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“IL GRUPPO IN PSICOLOGIA SOCIALEPROF.SSA ANNA FALCO

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““IILL GGRRUUPPPPOO IINN PPSSIICCOOLLOOGGIIAA

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Università Telematica Pegaso Il gruppo in psicologia sociale

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1 PREMESSA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3

2 IL GRUPPO --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 5

2.1. IL GRUPPO IN PSICOLOGIA SOCIALE ---------------------------------------------------------------------------------------- 6 2.2. MA COME SI DIFFERENZIANO I GRUPPI? ------------------------------------------------------------------------------------ 7 2.3. …ALTRI TIPI DI GRUPPI ------------------------------------------------------------------------------------------------------- 8

3 LA STRUTTURA DEI GRUPPI ------------------------------------------------------------------------------------------- 10

3.1. GLI STATUS IN UN GRUPPO ------------------------------------------------------------------------------------------------- 10 3.2. I RUOLI IN UN GRUPPO ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 11 3.3. LE NORME IN UN GRUPPO -------------------------------------------------------------------------------------------------- 14

4 NASCITA ED EVOLUZIONE DEL GRUPPO ------------------------------------------------------------------------- 16

4.1. LE FASI DI SVILUPPO -------------------------------------------------------------------------------------------------------- 16 4.2. IL “MODELLO TEMPORALE DI SOCIALIZZAZIONE AL GRUPPO” ------------------------------------------------------- 17 4.3. IL GRUPPO E IL GRUPPO DI LAVORO: LE DIFFERENZE ------------------------------------------------------------------- 20

BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 23

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1 Premessa

La lezione è imperniata sulla presentazione del concetto di “gruppo” in senso comune e

generale e poi, più strettamente, nell’ambito della Psicologia Sociale.

A partire da una descrizione del gruppo all’interno di filoni scientifici diversi, affronteremo il tema

del gruppo in una prospettiva strutturale, inquadrandone i diversi tipi (a seconda di scopi e

configurazioni) e analizzandone i principali aspetti costituenti: gli status, i ruoli e le norme.

Approfondendo ciascuno di questi tre aspetti, tenteremo, anche con l’ausilio di alcuni esempi

concreti e di semplice utilizzo, di collegarci in un secondo momento alla vita di gruppo, e dunque

alle fasi di sviluppo e alla formazione dello stesso.

Infine dopo aver concentrato l’attenzione sul “Modello di socializzazione” di Levine e Moreland, ci

appresteremo a chiudere la lezione con la presentazione delle differenze tra “gruppo sociale” e

“gruppo di lavoro”, specificandone le caratteristiche peculiari.

“[…] Dolcemente viaggiare

rallentare per poi accelerare

con un ritmo fluente di vita nel cuore

gentilmente senza strappi al motore.”

da Sì Viaggiare di Lucio Battisti

L’idea di partire (e non a caso l’utilizzo di questo verbo) da queste poche righe tratte dalla canzone -

un po’ a tutti nota- di Battisti, nasce dal fatto che sarebbe stimolante capire, sommariamente, qual è

il pensiero comune circa il viaggio.

Si parte per evadere? Per ritrovare se stessi? Per fare nuove scoperte?

Indipendentemente da quelle che possano essere le ragioni specifiche che spingono l’essere umano

ad intraprendere un viaggio di qualsiasi tipo, è interessante notare che quest’ultimo, da sempre, ha

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un significato che va oltre la mera conoscenza di luoghi altri da quelli noti. In quest’ottica,

proviamo ad immaginare come un viaggiatore, che intraprende un percorso di scoperta e ricerca,

possa trasformarsi in un turista, desideroso di abbandonare stress e routine ed inoltrarsi in nuovi

contesti culturali e paesaggistici, da integrare nel proprio bagaglio di esperienze: e se questo

passaggio, da turista a viaggiatore, piuttosto che una brusca differenza di rotte potesse rappresentare

una sorta di integrazione degli aspetti di entrambi?

Se il turista riuscisse a coniugare l’esigenza e la voglia di allontanarsi dalla ripetitività del suo

quotidiano allo spirito errante di un viaggiatore, non sarebbe forse una bella sperimentazione?

Senza volerci addentrare troppo in queste ambizioni, che ricordano, in forma diversa, quello che è

stato accennato - nell’introduzione al corso- circa il connubio di scienza e poesia, è ipotizzabile che

uno dei motivi (o comunque certamente una delle situazioni in cui inevitabilmente incorrerà) che

potrebbe spingere un qualsiasi individuo ad intraprendere un viaggio (da turista o meno) possa

essere quello di sperimentare la dimensione di appartenenza ad un gruppo, diverso da quelli già

conosciuti e, forse, caratterizzato da una connotazione più leggera ed intensa, circa quell’esperienza

di condivisione. Secondo tali premesse, proviamo ad avvicinarci all’idea di gruppo, immaginando

come esso possa essere determinante, dal momento stesso in cui si sceglie di farne parte.

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2 Il gruppo

E’ interessante poter approcciare al concetto di “gruppo” a partire dalla stessa etimologia del

termine, che ci consente già di inquadrarne gli aspetti cruciali.

Nell’antico germanico occidentale il termine “kruppa” infatti sta ad indicare una “matassa

aggrovigliata”, rendendo perfettamente l’idea delle relazioni che vengono ad intessersi tra i

componenti di un qualsivoglia gruppo e della complessità delle stesse.

In un’ottica comune, è probabile che ognuno di noi, pensando al gruppo, abbia una sorta di idea

generale di unione e vicinanza, ma è pur vero che per qualcun altro potrebbe invece corrispondere a

qualcosa di più ansiogeno: pensiamo al farsi accettare nel gruppo, al parlare di fronte a un gruppo,

al sentirsi integrati o meno nello stesso.

Se nell’antichità è stato evidenziato (Baumeister e Leary, 1995) che la primaria funzione di un

gruppo fosse quella di garantire la sopravvivenza al singolo, sia per quanto riguardava il

procacciamento del cibo sia in termini di accoppiamento e dunque di riproduzione, è pur vero che,

nel tempo, si è rivelata sempre più importante l’esigenza innata dell’essere umano di creare

appartenenza e, dunque, di creare relazioni.

Più specificamente, i gruppi sociali rappresentano quindi “l’insieme di due o più persone che

interagiscono reciprocamente e sono interdipendenti, nel senso che sono spinti dai propri

bisogni e obiettivi ad affidarsi l’uno all’altro e a influenzare reciprocamente il

comportamento” (Lewin, 1948).

Oltre a garantire la sopravvivenza e a consolidare il senso di appartenenza, i gruppi ci aiutano anche

a dare una migliore definizione di noi stessi, a partire dalla relazione con l’altro e dalle norme

implicite o esplicite che ne regolano l’interazione.

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2.1. Il gruppo in Psicologia Sociale

La Psicologia sociale, in fondo, prende a svilupparsi proprio a partire dalla curiosità

scientifica che viene a crearsi circa episodi storici significativi che hanno coinvolto dei gruppi di

riferimento.

Risulta interessante soffermarsi brevemente su quei due filoni, rispettivamente sviluppatisi in

Francia e in Germania, che hanno visto come focus il gruppo: se, per il primo, si è parlato di

“psicologia delle folle”, soffermandosi su quanto agglomerati di dimensioni elevate tendano a far

regredire l’individuo al punto da far sì che i suoi comportamenti siano completamente diversi da

come sono quando è da solo, nel secondo filone, lo studio della “psicologia dei popoli” è stata

concentrata una maggiore attenzione sui gruppi intesi come “comunità culturali” e sui prodotti delle

stesse, mostrando un interesse cospicuo per la collettività e per i processi che la coinvolgono.

Questo accenno ci consente di avere chiara, da subito, la dimensione multidisciplinare in cui il

concetto di “gruppo” va ad inserirsi nel corso della storia: gli avvenimenti storici, infatti, non sono

sicuramente elementi di influenza trascurabile nell’interesse che lo studio dei gruppi assume, anche

in ambito scientifico.

Già dagli anni ’30, dunque, negli Stati Uniti comincia a diffondersi l’interesse per il funzionamento

dei gruppi a partire da eventi significativi come la crisi economica e il New Deal, per poi culminare

nel 1945 con la fondazione da parte di Lewin del “Research Centre for Group Dynamics”, in cui

viene proposta una visione gestaltica del gruppo, inteso non come la mera somma delle singole

parti, ma dotato di una propria struttura con peculiari dinamiche interne e con specifici fini e

relazioni anche esterni, e caratterizzato dall’interdipendenza dei suoi membri. Inoltre, proprio

secondo una tale interdipendenza e una tale dinamicità interna (esso è infatti di per sé una totalità

dinamica) non potrà che mutare a seconda di come muteranno singole o più parti che lo

costituiscono. In contrapposizione all’approccio gestaltico Lewiniano, Allport (’24) specifica che la

psicologia dei gruppi non è altro che una psicologia degli individui ampliata alla dimensione

gruppale.

La psicologia sociale stessa prende inizio da quella del singolo individuo, inserito in un contesto

ambientale, in cui va studiato.

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Nell’ottica di Lewin, a differenza dell’approccio nordamericano riduzionista di cui accennavamo a

proposito di Allport, è possibile comprendere quanto la complessità già rintracciabile

nell’etimologia non sia affatto tralasciabile: immaginiamo quanto potrebbe condurci in fallo pensare

di poterci relazionare ad un singolo membro di un gruppo, senza tenere conto di quanto esso sia

legato imprescindibilmente agli altri e di quanto ogni azione avverrà all’interno di quella unità e si

ripercuoterà su tutte le parti che la compongono.

Se durante gli anni ’60 si verifica una sorta di calo di interesse per lo studio dei gruppi e ci si

concentra su un approccio più di tipo individualistico e di ricerca di laboratorio, è pur vero che

gli anni ’90 rappresenteranno invece una cornice importante per lo sviluppo di nuovi studi

orientati sui gruppi che vedranno schierati due filoni: coloro che studieranno i gruppi, secondo

una visione più individualistica e che dunque considereranno gli stessi come somma delle

parti costituenti, e coloro che invece, in un’ottica collettivistica, affronteranno lo studio dei

gruppi tenendo conto di come questi ultimi influenzino il comportamento dei singoli individui

che vanno a costituirlo.

“Se è vero che ogni gruppo è una aggregazione di persone, ogni aggregazione di persone non

è necessariamente un gruppo” (McGrath, 1984). Com’è deducibile da quest’affermazione è

possibile inquadrare, secondo l’autore, il gruppo come quel tipo di aggregazione sociale in cui

vi è una consapevolezza e un’interazione reciproca tra i membri, e in cui vi siano una struttura

e una dimensione.

Inoltre una delle caratteristiche ritenute favorevoli e indispensabili per incrementare

l’appartenenza al proprio gruppo è la coesione, in quanto i “gruppi coesi” agevolano la

cooperazione e il raggiungimento degli obiettivi, superando dei meri interessi individuali;

inoltre i gruppi coesi operano una maggiore influenza sociale e attraggono o trattengono i

membri, aiutandoli ad affrontare le loro difficoltà.

2.2. Ma come si differenziano i gruppi?

Non in tutti i gruppi è prevista una interazione che sia diretta ed è questo il caso dei

“piccoli gruppi”, in cui vi è reciproca influenza pur non essendoci necessariamente interazione

continuativa e diretta; differentemente quelli “faccia a faccia” prevedono un’interazione

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diretta oltre che un’ influenza reciproca tra i membri, che si ritrovano coinvolti spesso in

riunioni di gruppo, con ruoli diversificati tra loro (De Grada, 1999).

Abbiamo dunque già prodotto una prima differenziazione basata sulla dimensione quantitativa

del gruppo, che conduce inoltre alla constatazione che la dimensione dei gruppi è variabile da

due, tre persone a diverse dozzine, senza raggiungere quantità di membri troppo elevate poiché

ciò andrebbe a scapito della interazione reciproca, che tenderebbe a disperdersi. E’ noto anche

che i membri tendano ad essere simili per sesso, età e opinioni (Levine e Moreland,1995), in

quanto le somiglianze tra i componenti creano attrazione tra gli stessi ancor prima che essi si

uniscano: ciò accade anche perché i gruppi sociali agiscono, tendendo ad enfatizzare la

somiglianza tra i membri.

E’ interessante notare come vi siano altre differenze relative ad essi: i gruppi si distinguono

infatti in primari, in cui le persone interagiscono, mosse da un legame affettivo e da una forte

coesione interna, in maniera diretta, possedendo un forte senso di appartenenza, e i gruppi

secondari, che mirano al raggiungimento di scopi comuni da parte di tutti i componenti (che

posseggono ruoli differenziati ma interdipendenti e orientati ad un obiettivo), vi è

identificazione; ancora, esistono i gruppi di riferimento che rappresentano quelli a cui si

appartiene o a cui si aspira di appartenere, con cui l’individuo si identifica. Li unisce uno o più

obiettivi da raggiungere che un’identificazione vera e propria.

Essi inoltre possono essere formali, cioè garantiti da protezione istituzionale e con obiettivi e

attività specifici, ed informali, in cui, più che gli obiettivi e le attività, contano in prima

istanza le relazioni esistenti tra i componenti. Sono anche distinguibili i gruppi strumentali

(orientati prettamente allo scopo) da quelli espressivi (con forte orientamento emozionale).

Infine rintracciamo una differenza evidente tra quelli che possono essere gruppi creati ad hoc

detti appunto artificiali diversamente da quelli preesistenti definiti gruppi naturali.

2.3. …Altri tipi di gruppi

A seconda degli obiettivi che si pongono, delle attività svolte e delle eventuali modalità di

conduzione adoperate, è possibile citare diverse tipologie di gruppi, tra quelle più note nel

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campo della psicologia, come ad esempio i gruppi di discussione (in cui si lavora su una

tematica, esterna al gruppo, su cui esso discuterà, cercando di accrescere le conoscenze e le

informazioni sull’argomento scelto); i gruppi di lavoro (che operano con uno scopo preciso e

con una forte interdipendenza, distinti in gruppi di lavoro temporanei –che durano esattamente

il tempo necessario per il raggiungimento dell’obiettivo finale- e work team in cui invece la

collaborazione è collegata ad una forte coesione e un forte senso della cooperazione); i gruppi

di studio e/o di apprendimento ; i gruppi di orientamento; i gruppi di counseling; i gruppi

terapeutici.

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3 La struttura dei gruppi

3.1. Gli status in un gruppo

Sherif e Sherif (1969) definiscono la struttura di un gruppo come “una rete

interdipendente di ruoli e status gerarchici”.

E’ fondamentale comprendere come affinchè il gruppo raggiunga uno scopo e possa

funzionare, esso debba possedere delle norme interne (esplicite o implicite che siano) a

regolarne ruoli, status e posizioni; quando parliamo di status dobbiamo immaginare la

posizione occupata da ciascun membro all’interno del gruppo cui appartiene, o per

imposizione esterna o per capacità personali di promuovere iniziative, in modo formale o

informale che sia, infatti “il sistema di status è il pattern generale di influenza sociale fra i

membri di un gruppo” (Levine e Moreland, 1990).

Esistono due indicatori che consentono di individuare lo status che un soggetto occupa in un

gruppo: la capacità di proporre idee (chiaramente chi ha uno status elevato avrà un maggiore

grado di iniziativa) e la valutazione consensuale del prestigio (la valutazione che faranno gli

altri membri del gruppo sarà influenzata dalla posizione occupata da colui che farà la proposta

e aumenterà qualora quest’ultimo abbia una posizione di prestigio).

L’acquisizione di uno status piuttosto che di un altro è determinata da un processo che

comincia sin da quando il gruppo si forma e che dipende anche dalle caratteristiche dei

membri e da come ciascuno riesce, sin da subito, a soddisfare la maggior parte delle

aspettative che il gruppo nutre.

Non sottovalutiamo l’importanza dello status in un gruppo, in quanto quest’ultimo garantisce

un ordine e una stabilità che, a loro volta, fanno sì che il gruppo risulti produttivo e ben

orientato allo scopo. E’ stato possibile elaborare veri e propri metodi di studio per evidenziare

gli status all’interno dei gruppi attraverso la raccolta delle valutazioni dei membri del gruppo

e di come ogni membro del gruppo valuta gli altri in termini di popolarità, influenza,

competenza. Secondo Sherif (1948) è possibile osservare i comportamenti verbali e non

verbali: per quanto riguarda i primi, ci riferiamo al fatto che le persone con status elevato

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interagiscano più frequentemente con gli altri membri, con maggiori interventi sia nei termini

di assiduità nel prender parole e sia per una maggior durata della stessa; ancora è stato notato

come esse effettuino un maggior numero di critiche, diano più comandi, compiano interruzioni

più frequenti degli interlocutori, avendo anche un maggior numero di comunicazioni da parte

degli altri membri. Per quel che concerne gli aspetti legati al non verbale, riscontreremo delle

differenze nell’abbigliamento, negli accessori, nel maggior uso dello spazio personale, nel

maggiore contatto fisico e in posture più aperte e rilassate, compreso lo sguardo che verrà più

volte rivolto all’interlocutore durante le interazioni; inoltre è stata riscontrata in queste persone

(con status elevato) una maggiore adeguatezza tra comunicazione verbale e non verbale

(congruenza tra mimica, gesti, intonazione vocale ecc..).

3.2. I ruoli in un gruppo

Ben distinti dagli status, nel gruppo, vi sono i ruoli, che rappresentano “l'insieme di

attività e relazioni che ci si aspetta da parte di una persona che occupa una particolare

posizione all'interno della società, e da parte di altri nei confronti della persona in

questione” (Brofenbrenner, 1979); questi ultimi possono essere formali (se sono

oggettivamente riconoscibili anche dall’esterno) o informali (se vengono a determinarsi in

maniera specifica per degli aspetti, in un preciso contesto).

Benne e Sheats (1948), nei loro studi, hanno riscontrato tre tipologie di ruoli all’interno dei

gruppi: quelli relativi al compito; quelli relativi alla manutenzione della vita collettiva sul

versante socio – affettivo e sul versante del gruppo; e quelli individuali (Bombardi, Rutelli,

Chemello, 1994).

Per quanto riguarda i primi, possiamo intuire che ci stiamo riferendo a quei ruoli occupati

dalle persone all’interno di un qualsiasi gruppo, in merito ad un compito da dover eseguire: ve

ne sono diversi, che potremmo riscontrare anche in un gruppo di turisti durante un viaggio; vi

è il propositore di idee, che suggerisce modi in cui poter raggiungere gli obiettivi (information

giver), vi è colui che è critico e le mette in discussione (evaluator critic) e vi è il

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coordinatore, che ha il compito di raccogliere idee e critiche e cercare di utilizzarle per

perseguire gli obiettivi.

Per quel che riguarda i secondi, quelli legati alla vita collettiva, sono ruoli connessi per lo più

allo stato emotivo del gruppo e quindi anche ai rapporti al suo interno: troviamo colui che

stimola i rapporti, incoraggiando il contributo generale (encourager) e colui che li media,

cercando di trovare punti di incontro (harmonizer); vi saranno poi coloro che, nel gruppo,

faciliteranno e faranno meglio comprendere meglio a tutti il valore del gruppo stesso e invece

quelli che, in maniera più passiva, asseconderanno e seguiranno le decisioni prese dalla

maggioranza.

Infine, ritroviamo i ruoli individuali, che usano il gruppo per soddisfare i propri bisogni: per

questi ultimi, dunque, l’obiettivo non è la vita del gruppo ma il conseguimento dei propri

scopi, passando sopra agli interessi comuni (immaginiamo i manipolatori, i dominatori, gli

arrivisti).

•I ruoli che riscontriamo più comunemente

E’ interessante poter fare riferimento, avendo voi a che fare con gruppi di diverso tipo, a tre

ruoli sempre rintracciabili in ogni gruppo: il leader, il nuovo arrivato e il capro espiatorio

(Levine e Moreland, 1990); quello del leader è un ruolo indispensabile e centrale in un gruppo

ed è sempre presente all’interno di ogni gruppo; il “nuovo arrivato” è colui che avrà tutta una

serie di resistenze e una certa cautela nell’entrare a far parte di un gruppo già formato

(chiaramente ciò comporterà anche una certa iniziale diffidenza e il bisogno di integrarsi e di

sentirsi accettato dal gruppo già compatto); infine, il capro espiatorio ha un ruolo

apparentemente “negativo” ma in realtà è basilare nella vita di ogni gruppo, in quanto in esso

vengono proiettate tutte quelle caratteristiche mal tollerate che in realtà ogni membro del

gruppo, in quantità maggiori o minori, possiede.

Esiste inoltre il ruolo del “clown” che rappresenterà un “contenitore” più strettamente affettivo

ed emotivo, capace di allentare le tensioni che si generano nel gruppo, facendo leva

sull’aspetto più ludico e leggero ed usando questa modalità anche per fare emergere aspetti

critici o situazioni problematiche.

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La differenziazione tra ruoli è contesto-specifica e favorisce la divisione dei compiti e del

lavoro, agevolando il raggiungimento dello scopo comune, portando ordine nell’esistenza del

gruppo e determinando un diverso modo di relazionarsi, a seconda delle diverse aspettative.

Come possiamo ben immaginare, conoscere questi ruoli-cardine, presenti all’incirca in tutti i

gruppi, ci aiuterà ad individuarli e a sapere come rapportarci ad essi.

Facciamo un esempio: immaginiamo di essere in una località di vacanza invernale, presso

una struttura sciistica, nel periodo prima di Natale. La tabella di marcia prevede due incontri

giornalieri, in cui usufruire delle piste e di lezioni di scii da parte di maestri esperti. Dopo una

settimana di permanenza, rispettando i ritmi previsti dalla tabella di marcia, Luca, il

componente più anziano del gruppo, comincia a manifestare un disagio legato alla frequenza

delle lezioni, a cadenza troppo incalzante. Luca lamenta di non poter approfittare della

vacanza per fare shopping pre-natalizio e per godere del paesino di montagna in cui si trovano.

Il settimo giorno, Luca si mostra contrario a recarsi presso la pista sciistica, creando

scompiglio nel resto del gruppo, dal momento che per poter seguire le lezioni è richiesta la

presenza di tutti. Il gruppo reagisce negativamente a questa manifestazione di disagio,

attaccando in modo aggressivo Luca, additandolo come elemento di disturbo e fastidio, senza

dargli la possibilità di replica. In una situazione del genere, in cui l’escalation del nervosismo è

vicina, il tour operator per riprendere il controllo della situazione potrà innanzitutto creare un

clima più disteso in cui venga favorito un civile scambio di opinioni, ma soprattutto potrà

consentire ad ogni membro del gruppo di dire la propria opinione sulla questione presa in

causa. Laura, dopo pochi minuti dall’inizio della discussione, interviene timidamente

ammettendo che, in realtà, anche a lei sarebbe piaciuto avere più tempo per altre attività. Poco

dopo, a lei si aggiunge Cristian. La discussione comincia, dunque, a riequilibrarsi e il gruppo

prende atto del fatto che Luca, in fin dei conti, non era altro che il “portavoce” (capro

espiatorio) di un’esigenza che anche altri membri tacevano. Quest’esempio è emblematico del

fatto che l’accanimento sulla singola persona, spesso, impedisce di coglierne il ruolo di

“contenitore” delle ansie, dei disagi o dei desideri anche di altri, facendo sì che non si proceda

con strategie funzionali a risolvere i problemi.

Inoltre, l’esistenza dei ruoli porta con sé, inevitabilmente, la presenza di eventuali conflitti che

possono venire a crearsi tra i diversi ruoli, a livello personale e in questo caso ci riferiamo ai

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casi di una incompatibilità fra ruolo giocato nel gruppo ed altri ruoli sociali( immaginiamo

come potrebbe trovarsi un poliziotto che poi sia anche padre, nel dover affrontare una

infrazione commessa dal figlio, che in quel caso rappresenta anche colui che elude le regole),

sia a livello di gruppo, come nei casi di mancanza di accordo, da parte del gruppo, o rispetto

alla persona che ricopre un determinato ruolo o rispetto al modo in cui un ruolo viene

interpretato.

3.3. Le norme in un gruppo

Se è vero che i ruoli contengono in sé le aspettative del gruppo verso il gruppo, è pur

vero che senza la presenza di norme risulterebbe praticamente impossibile prenderne atto e

poterle attuare, in quanto “le nome costituiscono scale di valori che definiscono le

aspettative condivise rispetto al modo in cui dovrebbero comportarsi i membri del

gruppo” (Levine e Moreland, 1990); un gruppo rispetta o viola certe norme, implicite o

esplicite che siano, sempre secondo parametri ed attese comuni. Esse sono fondamentali sia

per il raggiungimento degli scopi e sia per la definizione dei rapporti all’interno e all’esterno

del gruppo stesso. Sono esplicite o implicite a seconda della formalizzazione che posseggono

e di quanto siano espresse direttamente tra i membri del gruppo; e sono centrali o periferiche

a seconda di quanto siano fondamentali per il gruppo e quindi anche a seconda di quanto pesi,

su di esso, la loro eventuale trasgressione.

Dunque, l’utilità delle norme sta nel fatto che esse occorrono sia a mantenere la vita interna

nel gruppo (immaginiamo cosa accadrebbe se non vi fosse il rispetto di norme comuni e

ognuno procedesse secondo i propri scopi, senza curarsi del resto del gruppo) sia esterna al

gruppo (è fondamentale che il gruppo utilizzi queste norme per sapere anche come

interfacciarsi con altri gruppi o comunque in contesti nuovi o altri).

Facciamo un esempio pratico: un gruppo di turisti italiani si reca in Giappone per una

vacanza organizzata, per festeggiare il compleanno di Antonio, che per i suoi 40 anni ha

deciso di uscire dagli schemi.

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La prima sera si recano in un famoso ristorante giapponese, dopo essersi informati sul

comportamento da tenere, sia per quel che riguarda, specificamente, i pasti (l’uso delle

bacchette e le regole a tavola) sia per l’abbigliamento (togliere le scarpe prima di sedersi).

Convinti di aver appreso tutto il necessario per evitare figuracce, gli amici si apprestano a

festeggiare Antonio. Alla fine della serata, dopo aver spento le candeline, Antonio decide di

brindare. Nel momento in cui il brindisi è all’apice, con il fatidico “cin- cin”, succede qualcosa

di estremamente curioso: nel locale, cala il silenzio, per poi sfociare in una sonora risata

generale. In Giappone, infatti, il termine “cin” corrisponde al termine usato per indicare il

membro maschile, mentre la loro formula è Kanpai. L’intervento di un tour operator a

conoscenza di norme e tradizioni giapponesi, avrebbe potuto prevenire questo piccolo

inconveniente, mettendo al corrente la comitiva su questo uso del termine in quel contesto.

Per la precisione, a livello individuale, le norme costituiscono un riferimento per capire come

relazionarci al mondo e all’ambiente circostante, soprattutto in situazione ambigue, facendo sì

che vi sia sempre una certa prevedibilità di alcune azioni e delle rispettive conseguenze.

A livello sociale, invece, servono al gruppo per comprendere quale sia la strada migliore e

legittima per raggiungere gli scopi prefissati e regolano anche l’interazione intergruppi.

Sono stati individuati tre tipi di norme (Opp, 1982) divisibili in norme istituzionali, imposte

da autorità esterne o dal leader che possono riguardare gruppi sportivi, federazioni, ecc., in cui

è necessario che vi siano una certa precisione organizzativa a sancirne l’efficacia; le norme

volontarie che originano dalle contrattazioni tra i membri per fronteggiare i conflitti e che

rappresentano quelle norme a cui gli individui pervengono attraverso la negoziazione:

immaginiamo situazioni di lavoro stressanti e lavoratori molto sovraccarichi, determinati

interventi, come la rotazione di turni lavorativi o degli incarichi, divengono norme vere e

proprie per far fronte alle esigenze generali; infine le norme evolutive, nascono qualora i

comportamenti che appagano un membro vengano appresi anche dagli altri, che li diffondono

nel resto del gruppo, fino a trasformarle in vere e proprie prescrizioni: immaginiamo il caso in

cui, in un team di atleti, il coach si renda conto che una accorgimento applicato con un atleta

riscuota un certo successo, gara dopo gara. Nonostante non vi siano basi scientifiche a

testimoniarne la validità, il coach proverà a sperimentarlo con gli altri membri della squadra e,

in caso di successo, potrà far sì che diventi “norma generale”.

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4 Nascita ed evoluzione del gruppo

4.1. Le fasi di sviluppo

Una volta fatto cenno a quelle che sono le caratteristiche peculiari di ogni gruppo, è

importante comprendere più nello specifico come quest’ultimo venga a formarsi tramite varie

fasi di sviluppo.

La formazione rappresenta la prima fase del gruppo, in cui appunto esso si forma e in cui

avviene la prima fase di conoscenza tra i membri, che si orienteranno anche a seconda della

leadership presente; la seconda fase, quella del conflitto, è fondamentale per far emergere le

tematiche di divergenza tra i membri e per far sì che questi ultimi trovino dei punti di incontro

attraverso la mediazione e la negoziazione dei significati condivisi dalla maggioranza; la fase

dell’evoluzione rappresenta l’apice del raggiungimento di armonia e unità, in cui la coesione

conferisce un senso di sicurezza e appartenenza ai membri e garantisce la creazione di una

identità positiva di gruppo; l’esecuzione del compito è la fase performante di un gruppo, in

cui esso si accinge ad essere produttivo per il raggiungimento di uno scopo comune. I compiti

in un gruppo si differenziano a seconda di come sono articolati in: additivo, che è la somma

delle singole prestazioni dei membri del gruppo; disgiunto, in cui la prestazione del gruppo

corrisponde alla prestazione del suo membro migliore; di tipo congiunto laddove per un

successo comune, ciascun membro deve svolgere al meglio la propria parte e di tipo

complesso che si suddivide in parti diverse con caratteristiche diverse e che richiede una

precisa organizzazione.

Facciamo degli esempi: il compito congiunto potrebbe essere rappresentato da un’escursione

che preveda una gara amatoriale di canottaggio: solo se tutti i componenti della squadra

eseguiranno al meglio il loro compito, si potranno raggiungere risultati ottimali; l’obiettivo

principale sarà dunque motivare ciascuno alla necessaria cooperazione per un esito positivo; il

compito disgiunto, diversamente, potremmo immaginarlo in una competizione canora, in cui

siano presenti dei cori, ciascuno con il proprio solista; in tal caso, sarà compito di quest’ultimo

valorizzare la performance di tutto il gruppo, tramite il proprio talento. Il compito di tipo

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complesso è facilmente rintracciabile in giochi di squadra come il calcio: per una prestazione

di successo del gruppo è necessario che vi sia alla base un’organizzazione precisa dei ruoli e

delle singole responsabilità dei membri. Infine, per quanto riguarda l’ultimo, il compito di tipo

additivo, possiamo immaginare il caso di un concorso per ragazzi sulla scrittura creativa di un

giornalino: ognuno si impegnerà singolarmente nella creazione di un articolo, svolgendo il

proprio compito da sé, ma mirando ad uno scopo finale comune.

Per quel che riguarda la conclusione e lo scioglimento del gruppo, questi due momenti si

verificheranno o per una questione legata al ciclo di vita del gruppo che, dunque, sarà giunto al

termine o perché gli obiettivi prefissati saranno stati realizzati: quest’ultima è una fase

particolarmente delicata, in quanto il gruppo, disgregandosi, richiede ai membri una

ridefinizione dell’identità e l’impatto coi sentimenti di separazione, da gestire e integrare.

Sintetizzando, dunque, possiamo dire che se prima di entrare a far parte di un gruppo vi è una

sorta di esplorazione, l’effettiva appartenenza ad esso ha delle implicazioni sia per il modo in

cui ciascuno vede se stesso sia perché ogni membro ha la sensazione profonda di iniziare un

destino comune con gli altri.

4.2. Il “modello temporale di socializzazione al gruppo”

Le fasi appena descritte hanno sicuramente a che vedere col Modello di Levine e

Moreland (1994) definito “modello temporale della socializzazione al gruppo”, che dà

un’importanza peculiare alla reciprocità dell’individuo e del gruppo, in quanto se è vero che

l’individuo deve fronteggiare dei personali cambiamenti quando entra a far parte di un gruppo,

è anche vero che il gruppo stesso dovrà accomodarsi ai suoi nuovi membri. I due autori si

soffermano in particolare su alcuni aspetti specifici, caratteristici di questo processo: la

ricognizione iniziale, i cambiamenti nel concetto di sé quando si entra a far parte di un

gruppo e il processo di iniziazione al gruppo.

Per quanto riguarda la ricognizione iniziale, si fa riferimento a quel processo per il quale

avviene la scelta del gruppo di cui fare parte, secondo una serie di parametri che gli autori

identificano come la valutazione dei costi/benefici, ispirandosi alla Teoria dello scambio

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sociale (Homans, 1950): essa è un criterio che valuta la massimizzazione dei benefici e la

minimizzazione dei costi.

E’ pur vero che, da un lato, pare che i nuovi membri, quando entrano a far parte di un gruppo,

risultino influenzati dalle esperienze fatte coi gruppi precedenti (Pavelchack, Moreland e

Levine, 1986) dall’altro, piuttosto, pare che questi effettuino una comparazione tra se stessi

all’interno del gruppo e il membro rappresentativo o ideale: minore risulta la discrepanza,

maggiore sarà la propensione ad avvicinarsi ad un gruppo piuttosto che ad un altro (Hogg,

1992).

Il secondo punto che abbiamo preso in considerazione è un processo che si verifica non

appena si entra a far parte di un gruppo ed è sicuramente la ridefinizione che avviene di se

stessi all’interno di quest’ultimo: ciò determina sicuramente delle conseguenze

sull’autostima e sulla personale valutazione di se stessi. Il valore e i successi del gruppo

tenderanno a riflettersi sulla considerazione che i membri hanno di sé, dal momento esatto in

cui l’appartenenza al gruppo verrà interiorizzata da ciascuno, all’interno del concetto di sé.

E’ una fase in cui l’esplorazione del gruppo, se avviene in modo pacifico, risulta proficua per

la conoscenza coi membri, in quanto questi ultimi non si sentiranno minacciati e avranno

atteggiamenti propensi all’accettazione del nuovo arrivato; diversamente, nel caso in cui costui

avesse un atteggiamento troppo spregiudicato, questi potrebbero reagire negativamente.

A tal proposito, è interessante focalizzare l’attenzione su quelle figure di spicco, all’interno di

un gruppo, che favoriscono l’inserimento dei “novellini”: ci riferiamo al ruolo di mentor e di

sponsor, che rispettivamente posseggono il ruolo formale di tutoraggio e il ruolo di

“reclutatore” di nuovi membri. Entrambi sono concentrati a favorire un clima collaborativo tra

coloro che già facevano parte del gruppo e coloro che vi si stanno appena avvicinando.

•Linguisticamente parlando…

L’entrata in un gruppo (Speltini, 2002) è sancita, anche linguisticamente, da parte dei membri

con l’attribuzione di nominativi specifici a seconda della fase in cui è il gruppo quando vi si

aggiungono membri, di quanto tempo vi resteranno e di quali ruoli essi rivestiranno: ad

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esempio ritroveremo i neofiti regolari, che entreranno nel gruppo con l’idea di restarci in

maniera permanente; i visitatori, che invece non mostrano un impegno sostanziale nel farne

parte e che permarranno solo per un determinato lasso temporale; i trasferiti che provengono

da altri gruppi precedenti e portano con sé una serie di capacità e competenze pregresse; i

sostituti che prendono il posto di qualcuno che ha lasciato il gruppo e che, inevitabilmente,

saranno confrontati spesso e volentieri con la persona che li precedeva; infine, abbiamo gli

istituenti, che sono coloro che hanno fondato il gruppo e ne sono le colonne portanti.

Tornando all’ultimo punto delle tre fasi della socializzazione, ossia l’iniziazione vera e

propria, possiamo dire che essa si focalizza principalmente su quali possano essere gli effetti

dell’entrata di un nuovo membro all’interno di un gruppo già formato: esistono esempi anche

religiosi o sociali, in cui l’entrata dei nuovi membri viene sancita attraverso riti specifici e non

sempre piacevoli (pensiamo ad esempio alla circoncisione o al nonnismo nei plotoni militari) e

potremmo chiederci come mai ciò accada. Di fronte a questo, non può che subentrare un

contributo strettamente sociologico e antropologico, legato all’importanza delle cerimonie di

passaggio e al valore che esse hanno nel delimitare i confini del gruppo stesso, consolidandone

identità e coesione e accompagnando il singolo nella creazione di un’identità gruppale.

Proviamo a immaginare, riassuntivamente, due situazioni concrete a confronto: nella

prima, un gruppo di ragazzi si reca per una vacanza studio a Londra, dove si stabilisce in un

campus. Dopo una prima iniziale fase di conoscenza tra i membri del gruppo, facilitata

dall’obiettivo comune che li unisce e dal fatto che non vi siano conoscenze pregresse,

cominciano a svilupparsi relazioni interpersonali positive, dando vita a un codice di

comportamento ben rispettato e accettato da tutto il gruppo. Dopo un mese di permanenza al

campus, il tutor del gruppo, informa i ragazzi sul prossimo arrivo di Guido, un coetaneo che si

aggiungerà in ritardo a causa di un incidente burocratico che ha posposto la sua partenza. Il

gruppo, che già era a conoscenza dell’assenza solo temporanea e giustificata di Guido, sembra

reagire serenamente alla notizia. Effettivamente l’arrivo di Guido, che è ben predisposto nei

confronti del gruppo, non genera resistenze negative da parte dei membri, i quali dopo qualche

giorno di conoscenza reciproca, decidono di “iniziarlo” alla vita di gruppo, con una piccola e

divertente “cerimonia”: Guido dovrà fare un tuffo coi vestiti nella piscina del campus, dopo

l’orario di chiusura. Dopo una prima resistenza, Guido accetterà la sfida e in maniera

goliardica condividerà l’esperienza coi compagni, sentendosi integrato pienamente nel gruppo.

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Nel secondo caso, l’arrivo posticipato del nuovo membro del gruppo, Andrea, è legato ad una

sua resistenza a farne parte, a causa della sua difficoltà di far parte di un gruppo e di accettarne

le regole. I membri reagiranno alla notizia del suo arrivo in maniera negativa, mostrando una

forte chiusura verso il novellino.

In effetti, Andrea riscontrerà, soprattutto nei primi giorni, una forte contrarietà da parte dei

compagni nei suoi confronti; anche in questo caso, dopo tempi un po’ più dilatati, avverrà una

sorta di cerimonia di iniziazione che però stavolta avrà connotazioni meno accoglienti: Andrea

verrà spinto dai compagni, per entrare a far parte del gruppo, a declamare dei versi di una

romantica poesia al cospetto di una ragazza del gruppo da cui lui è molto intimidito.

Il modo in cui vengono affrontate le due diverse situazioni è emblematico di quanto possa

contare, al di là delle fasi di socializzazione in un gruppo, la percezione che i vecchi e i nuovi

componenti hanno gli uni degli altri. Inoltre, essere parte di un gruppo implica

un’appartenenza e una coesione che chiedono di essere rispettate e ambite. Al nuovo arrivato è

dunque sempre richiesta una sorta di “prova” per potergli dare fiducia.

4.3. Il gruppo e il gruppo di lavoro: le differenze

Una distinzione fondamentale nella vita di gruppo è quella tra i comportamenti diretti

allo scopo e i sentimenti per e verso gli altri nel gruppo, distinzione che in effetti ci apre ad

una indispensabile puntualizzazione sulla differenza che sorge tra un gruppo e un gruppo di

lavoro: se è vero che il gruppo possiede una serie di caratteristiche, analizzate fino ad ora, che

ci consentono di definirlo tale (la coesione, l’interdipendenza, la condivisione di norme

comuni, la presenza di ruoli differenziati, ecc..) è altrettanto vero che il gruppo di lavoro si

fonda piuttosto su una pluralità di integrazioni, diverse dalle interazioni che caratterizzano il

semplice gruppo. Le seconde abbiamo compreso quanto siano fondamentali affinchè si abbia

un gruppo e una vita di gruppo, le prime invece hanno a che vedere maggiormente col

concetto di interdipendenza, necessario per perseguire scopi comuni.

Dunque se l’interazione e la interdipendenza rappresentano due elementi focali nelle due fasi

(Storming e Forming) di formazione di un gruppo, l’integrazione (nella fase di Norming) è il

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raggiungimento di un equilibrio tra l’appagamento dei bisogni del singolo e quelli del gruppo

tutto: è l’aspetto della collaborazione e della continua negoziazione di esigenze tra membri e

gruppo.

Per quel che riguarda gli obiettivi, vi sarà una differenza tra quelli del gruppo che sono

orientati fondamentalmente al mantenimento e alla coesione dello stesso, rispetto a quelli del

gruppo di lavoro, che riguardano invece un compito comune da dover eseguire al meglio; le

norme assumeranno sicuramente, nel gruppo di lavoro, un maggior grado di formalità,

accompagnate da ruoli definiti istituzionalmente (e dunque meno fluidi) e da relazioni che

contemplino maggiormente sentimenti di stima reciproca, rispetto, competizione, piuttosto che

sentimenti di solidarietà e vicinanza emotiva presenti nel gruppo sociale.

L’importanza delle relazioni, nel ciclo di vita di un gruppo, risulta centrale proprio per

l’acquisizione, da parte dei membri che lo costituiscono, di una vera e propria “mente di

gruppo”, concetto ripreso e sviluppato da vari autori come Mead (1934), Sherif (1936), Asch

(1952) e Lewin (1952), che ha a che vedere con la creazione di una vera e propria (id)entità

sociale che i membri del gruppo sentono come riferimento per se stessi.

E’ interessante, a partire da questo presupposto, soffermarci su come avvenga la

trasformazione dal comportamento interpersonale a quello di gruppo, notando come essi

siano disposti su un continuum (Tajfel, 1978: la differenza consiste nel fatto che, mentre nel

comportamento interpersonale, l’interazione è guidata dalle caratteristiche dei singoli

individui, nel comportamento intergruppi è determinata piuttosto dall’appartenenza e dalle

relazioni. E’ un’asse su cui gli individui si spostano continuamente, dal momento che,

entrando in un gruppo, pur portando ognuno le proprie caratteristiche, ogni scambio

interpersonale è pur sempre connotato da aspetti derivanti da esperienze pregresse in gruppi di

vario genere; è importante notare che la differenza sta nella valutazione delle somiglianze e

delle differenze: il comportamento di gruppo è più orientato a notare le somiglianze tra i suoi

membri, mentre il comportamento interpersonale che è più concentrato sulle differenze che

sussistono tra i singoli.

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In sintesi,

il gruppo sociale risulta caratterizzato da :

• Interdipendenza

• Obiettivo comune condiviso

• Presenza di ruoli, norme e status da rispettare

• Legami emotivi tra i membri e disponibilità alla collaborazione

• Interazione focalizzata sulla bontà della relazione

Il gruppo di lavoro, invece:

• Nasce nel momento in cui lo scopo di un gruppo è quello di produrre un bene o

servizio

• Gli obiettivi sono più incentrati sul compito che sulla relazione

• Le norme sono più formali e i ruoli più definiti

• Le relazioni contemplano maggiormente sentimenti di stima reciproca, rispetto,

competizione, piuttosto che sentimenti di solidarietà e vicinanza emotiva presenti nel

gruppo sociale.

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