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Università Telematica Pegaso Il gruppo in psicologia sociale
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Indice
1 PREMESSA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 IL GRUPPO --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 5
2.1. IL GRUPPO IN PSICOLOGIA SOCIALE ---------------------------------------------------------------------------------------- 6 2.2. MA COME SI DIFFERENZIANO I GRUPPI? ------------------------------------------------------------------------------------ 7 2.3. …ALTRI TIPI DI GRUPPI ------------------------------------------------------------------------------------------------------- 8
3 LA STRUTTURA DEI GRUPPI ------------------------------------------------------------------------------------------- 10
3.1. GLI STATUS IN UN GRUPPO ------------------------------------------------------------------------------------------------- 10 3.2. I RUOLI IN UN GRUPPO ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 11 3.3. LE NORME IN UN GRUPPO -------------------------------------------------------------------------------------------------- 14
4 NASCITA ED EVOLUZIONE DEL GRUPPO ------------------------------------------------------------------------- 16
4.1. LE FASI DI SVILUPPO -------------------------------------------------------------------------------------------------------- 16 4.2. IL “MODELLO TEMPORALE DI SOCIALIZZAZIONE AL GRUPPO” ------------------------------------------------------- 17 4.3. IL GRUPPO E IL GRUPPO DI LAVORO: LE DIFFERENZE ------------------------------------------------------------------- 20
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 23
Università Telematica Pegaso Il gruppo in psicologia sociale
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(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 Premessa
La lezione è imperniata sulla presentazione del concetto di “gruppo” in senso comune e
generale e poi, più strettamente, nell’ambito della Psicologia Sociale.
A partire da una descrizione del gruppo all’interno di filoni scientifici diversi, affronteremo il tema
del gruppo in una prospettiva strutturale, inquadrandone i diversi tipi (a seconda di scopi e
configurazioni) e analizzandone i principali aspetti costituenti: gli status, i ruoli e le norme.
Approfondendo ciascuno di questi tre aspetti, tenteremo, anche con l’ausilio di alcuni esempi
concreti e di semplice utilizzo, di collegarci in un secondo momento alla vita di gruppo, e dunque
alle fasi di sviluppo e alla formazione dello stesso.
Infine dopo aver concentrato l’attenzione sul “Modello di socializzazione” di Levine e Moreland, ci
appresteremo a chiudere la lezione con la presentazione delle differenze tra “gruppo sociale” e
“gruppo di lavoro”, specificandone le caratteristiche peculiari.
“[…] Dolcemente viaggiare
rallentare per poi accelerare
con un ritmo fluente di vita nel cuore
gentilmente senza strappi al motore.”
da Sì Viaggiare di Lucio Battisti
L’idea di partire (e non a caso l’utilizzo di questo verbo) da queste poche righe tratte dalla canzone -
un po’ a tutti nota- di Battisti, nasce dal fatto che sarebbe stimolante capire, sommariamente, qual è
il pensiero comune circa il viaggio.
Si parte per evadere? Per ritrovare se stessi? Per fare nuove scoperte?
Indipendentemente da quelle che possano essere le ragioni specifiche che spingono l’essere umano
ad intraprendere un viaggio di qualsiasi tipo, è interessante notare che quest’ultimo, da sempre, ha
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un significato che va oltre la mera conoscenza di luoghi altri da quelli noti. In quest’ottica,
proviamo ad immaginare come un viaggiatore, che intraprende un percorso di scoperta e ricerca,
possa trasformarsi in un turista, desideroso di abbandonare stress e routine ed inoltrarsi in nuovi
contesti culturali e paesaggistici, da integrare nel proprio bagaglio di esperienze: e se questo
passaggio, da turista a viaggiatore, piuttosto che una brusca differenza di rotte potesse rappresentare
una sorta di integrazione degli aspetti di entrambi?
Se il turista riuscisse a coniugare l’esigenza e la voglia di allontanarsi dalla ripetitività del suo
quotidiano allo spirito errante di un viaggiatore, non sarebbe forse una bella sperimentazione?
Senza volerci addentrare troppo in queste ambizioni, che ricordano, in forma diversa, quello che è
stato accennato - nell’introduzione al corso- circa il connubio di scienza e poesia, è ipotizzabile che
uno dei motivi (o comunque certamente una delle situazioni in cui inevitabilmente incorrerà) che
potrebbe spingere un qualsiasi individuo ad intraprendere un viaggio (da turista o meno) possa
essere quello di sperimentare la dimensione di appartenenza ad un gruppo, diverso da quelli già
conosciuti e, forse, caratterizzato da una connotazione più leggera ed intensa, circa quell’esperienza
di condivisione. Secondo tali premesse, proviamo ad avvicinarci all’idea di gruppo, immaginando
come esso possa essere determinante, dal momento stesso in cui si sceglie di farne parte.
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2 Il gruppo
E’ interessante poter approcciare al concetto di “gruppo” a partire dalla stessa etimologia del
termine, che ci consente già di inquadrarne gli aspetti cruciali.
Nell’antico germanico occidentale il termine “kruppa” infatti sta ad indicare una “matassa
aggrovigliata”, rendendo perfettamente l’idea delle relazioni che vengono ad intessersi tra i
componenti di un qualsivoglia gruppo e della complessità delle stesse.
In un’ottica comune, è probabile che ognuno di noi, pensando al gruppo, abbia una sorta di idea
generale di unione e vicinanza, ma è pur vero che per qualcun altro potrebbe invece corrispondere a
qualcosa di più ansiogeno: pensiamo al farsi accettare nel gruppo, al parlare di fronte a un gruppo,
al sentirsi integrati o meno nello stesso.
Se nell’antichità è stato evidenziato (Baumeister e Leary, 1995) che la primaria funzione di un
gruppo fosse quella di garantire la sopravvivenza al singolo, sia per quanto riguardava il
procacciamento del cibo sia in termini di accoppiamento e dunque di riproduzione, è pur vero che,
nel tempo, si è rivelata sempre più importante l’esigenza innata dell’essere umano di creare
appartenenza e, dunque, di creare relazioni.
Più specificamente, i gruppi sociali rappresentano quindi “l’insieme di due o più persone che
interagiscono reciprocamente e sono interdipendenti, nel senso che sono spinti dai propri
bisogni e obiettivi ad affidarsi l’uno all’altro e a influenzare reciprocamente il
comportamento” (Lewin, 1948).
Oltre a garantire la sopravvivenza e a consolidare il senso di appartenenza, i gruppi ci aiutano anche
a dare una migliore definizione di noi stessi, a partire dalla relazione con l’altro e dalle norme
implicite o esplicite che ne regolano l’interazione.
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2.1. Il gruppo in Psicologia Sociale
La Psicologia sociale, in fondo, prende a svilupparsi proprio a partire dalla curiosità
scientifica che viene a crearsi circa episodi storici significativi che hanno coinvolto dei gruppi di
riferimento.
Risulta interessante soffermarsi brevemente su quei due filoni, rispettivamente sviluppatisi in
Francia e in Germania, che hanno visto come focus il gruppo: se, per il primo, si è parlato di
“psicologia delle folle”, soffermandosi su quanto agglomerati di dimensioni elevate tendano a far
regredire l’individuo al punto da far sì che i suoi comportamenti siano completamente diversi da
come sono quando è da solo, nel secondo filone, lo studio della “psicologia dei popoli” è stata
concentrata una maggiore attenzione sui gruppi intesi come “comunità culturali” e sui prodotti delle
stesse, mostrando un interesse cospicuo per la collettività e per i processi che la coinvolgono.
Questo accenno ci consente di avere chiara, da subito, la dimensione multidisciplinare in cui il
concetto di “gruppo” va ad inserirsi nel corso della storia: gli avvenimenti storici, infatti, non sono
sicuramente elementi di influenza trascurabile nell’interesse che lo studio dei gruppi assume, anche
in ambito scientifico.
Già dagli anni ’30, dunque, negli Stati Uniti comincia a diffondersi l’interesse per il funzionamento
dei gruppi a partire da eventi significativi come la crisi economica e il New Deal, per poi culminare
nel 1945 con la fondazione da parte di Lewin del “Research Centre for Group Dynamics”, in cui
viene proposta una visione gestaltica del gruppo, inteso non come la mera somma delle singole
parti, ma dotato di una propria struttura con peculiari dinamiche interne e con specifici fini e
relazioni anche esterni, e caratterizzato dall’interdipendenza dei suoi membri. Inoltre, proprio
secondo una tale interdipendenza e una tale dinamicità interna (esso è infatti di per sé una totalità
dinamica) non potrà che mutare a seconda di come muteranno singole o più parti che lo
costituiscono. In contrapposizione all’approccio gestaltico Lewiniano, Allport (’24) specifica che la
psicologia dei gruppi non è altro che una psicologia degli individui ampliata alla dimensione
gruppale.
La psicologia sociale stessa prende inizio da quella del singolo individuo, inserito in un contesto
ambientale, in cui va studiato.
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Nell’ottica di Lewin, a differenza dell’approccio nordamericano riduzionista di cui accennavamo a
proposito di Allport, è possibile comprendere quanto la complessità già rintracciabile
nell’etimologia non sia affatto tralasciabile: immaginiamo quanto potrebbe condurci in fallo pensare
di poterci relazionare ad un singolo membro di un gruppo, senza tenere conto di quanto esso sia
legato imprescindibilmente agli altri e di quanto ogni azione avverrà all’interno di quella unità e si
ripercuoterà su tutte le parti che la compongono.
Se durante gli anni ’60 si verifica una sorta di calo di interesse per lo studio dei gruppi e ci si
concentra su un approccio più di tipo individualistico e di ricerca di laboratorio, è pur vero che
gli anni ’90 rappresenteranno invece una cornice importante per lo sviluppo di nuovi studi
orientati sui gruppi che vedranno schierati due filoni: coloro che studieranno i gruppi, secondo
una visione più individualistica e che dunque considereranno gli stessi come somma delle
parti costituenti, e coloro che invece, in un’ottica collettivistica, affronteranno lo studio dei
gruppi tenendo conto di come questi ultimi influenzino il comportamento dei singoli individui
che vanno a costituirlo.
“Se è vero che ogni gruppo è una aggregazione di persone, ogni aggregazione di persone non
è necessariamente un gruppo” (McGrath, 1984). Com’è deducibile da quest’affermazione è
possibile inquadrare, secondo l’autore, il gruppo come quel tipo di aggregazione sociale in cui
vi è una consapevolezza e un’interazione reciproca tra i membri, e in cui vi siano una struttura
e una dimensione.
Inoltre una delle caratteristiche ritenute favorevoli e indispensabili per incrementare
l’appartenenza al proprio gruppo è la coesione, in quanto i “gruppi coesi” agevolano la
cooperazione e il raggiungimento degli obiettivi, superando dei meri interessi individuali;
inoltre i gruppi coesi operano una maggiore influenza sociale e attraggono o trattengono i
membri, aiutandoli ad affrontare le loro difficoltà.
2.2. Ma come si differenziano i gruppi?
Non in tutti i gruppi è prevista una interazione che sia diretta ed è questo il caso dei
“piccoli gruppi”, in cui vi è reciproca influenza pur non essendoci necessariamente interazione
continuativa e diretta; differentemente quelli “faccia a faccia” prevedono un’interazione
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diretta oltre che un’ influenza reciproca tra i membri, che si ritrovano coinvolti spesso in
riunioni di gruppo, con ruoli diversificati tra loro (De Grada, 1999).
Abbiamo dunque già prodotto una prima differenziazione basata sulla dimensione quantitativa
del gruppo, che conduce inoltre alla constatazione che la dimensione dei gruppi è variabile da
due, tre persone a diverse dozzine, senza raggiungere quantità di membri troppo elevate poiché
ciò andrebbe a scapito della interazione reciproca, che tenderebbe a disperdersi. E’ noto anche
che i membri tendano ad essere simili per sesso, età e opinioni (Levine e Moreland,1995), in
quanto le somiglianze tra i componenti creano attrazione tra gli stessi ancor prima che essi si
uniscano: ciò accade anche perché i gruppi sociali agiscono, tendendo ad enfatizzare la
somiglianza tra i membri.
E’ interessante notare come vi siano altre differenze relative ad essi: i gruppi si distinguono
infatti in primari, in cui le persone interagiscono, mosse da un legame affettivo e da una forte
coesione interna, in maniera diretta, possedendo un forte senso di appartenenza, e i gruppi
secondari, che mirano al raggiungimento di scopi comuni da parte di tutti i componenti (che
posseggono ruoli differenziati ma interdipendenti e orientati ad un obiettivo), vi è
identificazione; ancora, esistono i gruppi di riferimento che rappresentano quelli a cui si
appartiene o a cui si aspira di appartenere, con cui l’individuo si identifica. Li unisce uno o più
obiettivi da raggiungere che un’identificazione vera e propria.
Essi inoltre possono essere formali, cioè garantiti da protezione istituzionale e con obiettivi e
attività specifici, ed informali, in cui, più che gli obiettivi e le attività, contano in prima
istanza le relazioni esistenti tra i componenti. Sono anche distinguibili i gruppi strumentali
(orientati prettamente allo scopo) da quelli espressivi (con forte orientamento emozionale).
Infine rintracciamo una differenza evidente tra quelli che possono essere gruppi creati ad hoc
detti appunto artificiali diversamente da quelli preesistenti definiti gruppi naturali.
2.3. …Altri tipi di gruppi
A seconda degli obiettivi che si pongono, delle attività svolte e delle eventuali modalità di
conduzione adoperate, è possibile citare diverse tipologie di gruppi, tra quelle più note nel
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campo della psicologia, come ad esempio i gruppi di discussione (in cui si lavora su una
tematica, esterna al gruppo, su cui esso discuterà, cercando di accrescere le conoscenze e le
informazioni sull’argomento scelto); i gruppi di lavoro (che operano con uno scopo preciso e
con una forte interdipendenza, distinti in gruppi di lavoro temporanei –che durano esattamente
il tempo necessario per il raggiungimento dell’obiettivo finale- e work team in cui invece la
collaborazione è collegata ad una forte coesione e un forte senso della cooperazione); i gruppi
di studio e/o di apprendimento ; i gruppi di orientamento; i gruppi di counseling; i gruppi
terapeutici.
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3 La struttura dei gruppi
3.1. Gli status in un gruppo
Sherif e Sherif (1969) definiscono la struttura di un gruppo come “una rete
interdipendente di ruoli e status gerarchici”.
E’ fondamentale comprendere come affinchè il gruppo raggiunga uno scopo e possa
funzionare, esso debba possedere delle norme interne (esplicite o implicite che siano) a
regolarne ruoli, status e posizioni; quando parliamo di status dobbiamo immaginare la
posizione occupata da ciascun membro all’interno del gruppo cui appartiene, o per
imposizione esterna o per capacità personali di promuovere iniziative, in modo formale o
informale che sia, infatti “il sistema di status è il pattern generale di influenza sociale fra i
membri di un gruppo” (Levine e Moreland, 1990).
Esistono due indicatori che consentono di individuare lo status che un soggetto occupa in un
gruppo: la capacità di proporre idee (chiaramente chi ha uno status elevato avrà un maggiore
grado di iniziativa) e la valutazione consensuale del prestigio (la valutazione che faranno gli
altri membri del gruppo sarà influenzata dalla posizione occupata da colui che farà la proposta
e aumenterà qualora quest’ultimo abbia una posizione di prestigio).
L’acquisizione di uno status piuttosto che di un altro è determinata da un processo che
comincia sin da quando il gruppo si forma e che dipende anche dalle caratteristiche dei
membri e da come ciascuno riesce, sin da subito, a soddisfare la maggior parte delle
aspettative che il gruppo nutre.
Non sottovalutiamo l’importanza dello status in un gruppo, in quanto quest’ultimo garantisce
un ordine e una stabilità che, a loro volta, fanno sì che il gruppo risulti produttivo e ben
orientato allo scopo. E’ stato possibile elaborare veri e propri metodi di studio per evidenziare
gli status all’interno dei gruppi attraverso la raccolta delle valutazioni dei membri del gruppo
e di come ogni membro del gruppo valuta gli altri in termini di popolarità, influenza,
competenza. Secondo Sherif (1948) è possibile osservare i comportamenti verbali e non
verbali: per quanto riguarda i primi, ci riferiamo al fatto che le persone con status elevato
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interagiscano più frequentemente con gli altri membri, con maggiori interventi sia nei termini
di assiduità nel prender parole e sia per una maggior durata della stessa; ancora è stato notato
come esse effettuino un maggior numero di critiche, diano più comandi, compiano interruzioni
più frequenti degli interlocutori, avendo anche un maggior numero di comunicazioni da parte
degli altri membri. Per quel che concerne gli aspetti legati al non verbale, riscontreremo delle
differenze nell’abbigliamento, negli accessori, nel maggior uso dello spazio personale, nel
maggiore contatto fisico e in posture più aperte e rilassate, compreso lo sguardo che verrà più
volte rivolto all’interlocutore durante le interazioni; inoltre è stata riscontrata in queste persone
(con status elevato) una maggiore adeguatezza tra comunicazione verbale e non verbale
(congruenza tra mimica, gesti, intonazione vocale ecc..).
3.2. I ruoli in un gruppo
Ben distinti dagli status, nel gruppo, vi sono i ruoli, che rappresentano “l'insieme di
attività e relazioni che ci si aspetta da parte di una persona che occupa una particolare
posizione all'interno della società, e da parte di altri nei confronti della persona in
questione” (Brofenbrenner, 1979); questi ultimi possono essere formali (se sono
oggettivamente riconoscibili anche dall’esterno) o informali (se vengono a determinarsi in
maniera specifica per degli aspetti, in un preciso contesto).
Benne e Sheats (1948), nei loro studi, hanno riscontrato tre tipologie di ruoli all’interno dei
gruppi: quelli relativi al compito; quelli relativi alla manutenzione della vita collettiva sul
versante socio – affettivo e sul versante del gruppo; e quelli individuali (Bombardi, Rutelli,
Chemello, 1994).
Per quanto riguarda i primi, possiamo intuire che ci stiamo riferendo a quei ruoli occupati
dalle persone all’interno di un qualsiasi gruppo, in merito ad un compito da dover eseguire: ve
ne sono diversi, che potremmo riscontrare anche in un gruppo di turisti durante un viaggio; vi
è il propositore di idee, che suggerisce modi in cui poter raggiungere gli obiettivi (information
giver), vi è colui che è critico e le mette in discussione (evaluator critic) e vi è il
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coordinatore, che ha il compito di raccogliere idee e critiche e cercare di utilizzarle per
perseguire gli obiettivi.
Per quel che riguarda i secondi, quelli legati alla vita collettiva, sono ruoli connessi per lo più
allo stato emotivo del gruppo e quindi anche ai rapporti al suo interno: troviamo colui che
stimola i rapporti, incoraggiando il contributo generale (encourager) e colui che li media,
cercando di trovare punti di incontro (harmonizer); vi saranno poi coloro che, nel gruppo,
faciliteranno e faranno meglio comprendere meglio a tutti il valore del gruppo stesso e invece
quelli che, in maniera più passiva, asseconderanno e seguiranno le decisioni prese dalla
maggioranza.
Infine, ritroviamo i ruoli individuali, che usano il gruppo per soddisfare i propri bisogni: per
questi ultimi, dunque, l’obiettivo non è la vita del gruppo ma il conseguimento dei propri
scopi, passando sopra agli interessi comuni (immaginiamo i manipolatori, i dominatori, gli
arrivisti).
•I ruoli che riscontriamo più comunemente
E’ interessante poter fare riferimento, avendo voi a che fare con gruppi di diverso tipo, a tre
ruoli sempre rintracciabili in ogni gruppo: il leader, il nuovo arrivato e il capro espiatorio
(Levine e Moreland, 1990); quello del leader è un ruolo indispensabile e centrale in un gruppo
ed è sempre presente all’interno di ogni gruppo; il “nuovo arrivato” è colui che avrà tutta una
serie di resistenze e una certa cautela nell’entrare a far parte di un gruppo già formato
(chiaramente ciò comporterà anche una certa iniziale diffidenza e il bisogno di integrarsi e di
sentirsi accettato dal gruppo già compatto); infine, il capro espiatorio ha un ruolo
apparentemente “negativo” ma in realtà è basilare nella vita di ogni gruppo, in quanto in esso
vengono proiettate tutte quelle caratteristiche mal tollerate che in realtà ogni membro del
gruppo, in quantità maggiori o minori, possiede.
Esiste inoltre il ruolo del “clown” che rappresenterà un “contenitore” più strettamente affettivo
ed emotivo, capace di allentare le tensioni che si generano nel gruppo, facendo leva
sull’aspetto più ludico e leggero ed usando questa modalità anche per fare emergere aspetti
critici o situazioni problematiche.
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La differenziazione tra ruoli è contesto-specifica e favorisce la divisione dei compiti e del
lavoro, agevolando il raggiungimento dello scopo comune, portando ordine nell’esistenza del
gruppo e determinando un diverso modo di relazionarsi, a seconda delle diverse aspettative.
Come possiamo ben immaginare, conoscere questi ruoli-cardine, presenti all’incirca in tutti i
gruppi, ci aiuterà ad individuarli e a sapere come rapportarci ad essi.
Facciamo un esempio: immaginiamo di essere in una località di vacanza invernale, presso
una struttura sciistica, nel periodo prima di Natale. La tabella di marcia prevede due incontri
giornalieri, in cui usufruire delle piste e di lezioni di scii da parte di maestri esperti. Dopo una
settimana di permanenza, rispettando i ritmi previsti dalla tabella di marcia, Luca, il
componente più anziano del gruppo, comincia a manifestare un disagio legato alla frequenza
delle lezioni, a cadenza troppo incalzante. Luca lamenta di non poter approfittare della
vacanza per fare shopping pre-natalizio e per godere del paesino di montagna in cui si trovano.
Il settimo giorno, Luca si mostra contrario a recarsi presso la pista sciistica, creando
scompiglio nel resto del gruppo, dal momento che per poter seguire le lezioni è richiesta la
presenza di tutti. Il gruppo reagisce negativamente a questa manifestazione di disagio,
attaccando in modo aggressivo Luca, additandolo come elemento di disturbo e fastidio, senza
dargli la possibilità di replica. In una situazione del genere, in cui l’escalation del nervosismo è
vicina, il tour operator per riprendere il controllo della situazione potrà innanzitutto creare un
clima più disteso in cui venga favorito un civile scambio di opinioni, ma soprattutto potrà
consentire ad ogni membro del gruppo di dire la propria opinione sulla questione presa in
causa. Laura, dopo pochi minuti dall’inizio della discussione, interviene timidamente
ammettendo che, in realtà, anche a lei sarebbe piaciuto avere più tempo per altre attività. Poco
dopo, a lei si aggiunge Cristian. La discussione comincia, dunque, a riequilibrarsi e il gruppo
prende atto del fatto che Luca, in fin dei conti, non era altro che il “portavoce” (capro
espiatorio) di un’esigenza che anche altri membri tacevano. Quest’esempio è emblematico del
fatto che l’accanimento sulla singola persona, spesso, impedisce di coglierne il ruolo di
“contenitore” delle ansie, dei disagi o dei desideri anche di altri, facendo sì che non si proceda
con strategie funzionali a risolvere i problemi.
Inoltre, l’esistenza dei ruoli porta con sé, inevitabilmente, la presenza di eventuali conflitti che
possono venire a crearsi tra i diversi ruoli, a livello personale e in questo caso ci riferiamo ai
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casi di una incompatibilità fra ruolo giocato nel gruppo ed altri ruoli sociali( immaginiamo
come potrebbe trovarsi un poliziotto che poi sia anche padre, nel dover affrontare una
infrazione commessa dal figlio, che in quel caso rappresenta anche colui che elude le regole),
sia a livello di gruppo, come nei casi di mancanza di accordo, da parte del gruppo, o rispetto
alla persona che ricopre un determinato ruolo o rispetto al modo in cui un ruolo viene
interpretato.
3.3. Le norme in un gruppo
Se è vero che i ruoli contengono in sé le aspettative del gruppo verso il gruppo, è pur
vero che senza la presenza di norme risulterebbe praticamente impossibile prenderne atto e
poterle attuare, in quanto “le nome costituiscono scale di valori che definiscono le
aspettative condivise rispetto al modo in cui dovrebbero comportarsi i membri del
gruppo” (Levine e Moreland, 1990); un gruppo rispetta o viola certe norme, implicite o
esplicite che siano, sempre secondo parametri ed attese comuni. Esse sono fondamentali sia
per il raggiungimento degli scopi e sia per la definizione dei rapporti all’interno e all’esterno
del gruppo stesso. Sono esplicite o implicite a seconda della formalizzazione che posseggono
e di quanto siano espresse direttamente tra i membri del gruppo; e sono centrali o periferiche
a seconda di quanto siano fondamentali per il gruppo e quindi anche a seconda di quanto pesi,
su di esso, la loro eventuale trasgressione.
Dunque, l’utilità delle norme sta nel fatto che esse occorrono sia a mantenere la vita interna
nel gruppo (immaginiamo cosa accadrebbe se non vi fosse il rispetto di norme comuni e
ognuno procedesse secondo i propri scopi, senza curarsi del resto del gruppo) sia esterna al
gruppo (è fondamentale che il gruppo utilizzi queste norme per sapere anche come
interfacciarsi con altri gruppi o comunque in contesti nuovi o altri).
Facciamo un esempio pratico: un gruppo di turisti italiani si reca in Giappone per una
vacanza organizzata, per festeggiare il compleanno di Antonio, che per i suoi 40 anni ha
deciso di uscire dagli schemi.
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La prima sera si recano in un famoso ristorante giapponese, dopo essersi informati sul
comportamento da tenere, sia per quel che riguarda, specificamente, i pasti (l’uso delle
bacchette e le regole a tavola) sia per l’abbigliamento (togliere le scarpe prima di sedersi).
Convinti di aver appreso tutto il necessario per evitare figuracce, gli amici si apprestano a
festeggiare Antonio. Alla fine della serata, dopo aver spento le candeline, Antonio decide di
brindare. Nel momento in cui il brindisi è all’apice, con il fatidico “cin- cin”, succede qualcosa
di estremamente curioso: nel locale, cala il silenzio, per poi sfociare in una sonora risata
generale. In Giappone, infatti, il termine “cin” corrisponde al termine usato per indicare il
membro maschile, mentre la loro formula è Kanpai. L’intervento di un tour operator a
conoscenza di norme e tradizioni giapponesi, avrebbe potuto prevenire questo piccolo
inconveniente, mettendo al corrente la comitiva su questo uso del termine in quel contesto.
Per la precisione, a livello individuale, le norme costituiscono un riferimento per capire come
relazionarci al mondo e all’ambiente circostante, soprattutto in situazione ambigue, facendo sì
che vi sia sempre una certa prevedibilità di alcune azioni e delle rispettive conseguenze.
A livello sociale, invece, servono al gruppo per comprendere quale sia la strada migliore e
legittima per raggiungere gli scopi prefissati e regolano anche l’interazione intergruppi.
Sono stati individuati tre tipi di norme (Opp, 1982) divisibili in norme istituzionali, imposte
da autorità esterne o dal leader che possono riguardare gruppi sportivi, federazioni, ecc., in cui
è necessario che vi siano una certa precisione organizzativa a sancirne l’efficacia; le norme
volontarie che originano dalle contrattazioni tra i membri per fronteggiare i conflitti e che
rappresentano quelle norme a cui gli individui pervengono attraverso la negoziazione:
immaginiamo situazioni di lavoro stressanti e lavoratori molto sovraccarichi, determinati
interventi, come la rotazione di turni lavorativi o degli incarichi, divengono norme vere e
proprie per far fronte alle esigenze generali; infine le norme evolutive, nascono qualora i
comportamenti che appagano un membro vengano appresi anche dagli altri, che li diffondono
nel resto del gruppo, fino a trasformarle in vere e proprie prescrizioni: immaginiamo il caso in
cui, in un team di atleti, il coach si renda conto che una accorgimento applicato con un atleta
riscuota un certo successo, gara dopo gara. Nonostante non vi siano basi scientifiche a
testimoniarne la validità, il coach proverà a sperimentarlo con gli altri membri della squadra e,
in caso di successo, potrà far sì che diventi “norma generale”.
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4 Nascita ed evoluzione del gruppo
4.1. Le fasi di sviluppo
Una volta fatto cenno a quelle che sono le caratteristiche peculiari di ogni gruppo, è
importante comprendere più nello specifico come quest’ultimo venga a formarsi tramite varie
fasi di sviluppo.
La formazione rappresenta la prima fase del gruppo, in cui appunto esso si forma e in cui
avviene la prima fase di conoscenza tra i membri, che si orienteranno anche a seconda della
leadership presente; la seconda fase, quella del conflitto, è fondamentale per far emergere le
tematiche di divergenza tra i membri e per far sì che questi ultimi trovino dei punti di incontro
attraverso la mediazione e la negoziazione dei significati condivisi dalla maggioranza; la fase
dell’evoluzione rappresenta l’apice del raggiungimento di armonia e unità, in cui la coesione
conferisce un senso di sicurezza e appartenenza ai membri e garantisce la creazione di una
identità positiva di gruppo; l’esecuzione del compito è la fase performante di un gruppo, in
cui esso si accinge ad essere produttivo per il raggiungimento di uno scopo comune. I compiti
in un gruppo si differenziano a seconda di come sono articolati in: additivo, che è la somma
delle singole prestazioni dei membri del gruppo; disgiunto, in cui la prestazione del gruppo
corrisponde alla prestazione del suo membro migliore; di tipo congiunto laddove per un
successo comune, ciascun membro deve svolgere al meglio la propria parte e di tipo
complesso che si suddivide in parti diverse con caratteristiche diverse e che richiede una
precisa organizzazione.
Facciamo degli esempi: il compito congiunto potrebbe essere rappresentato da un’escursione
che preveda una gara amatoriale di canottaggio: solo se tutti i componenti della squadra
eseguiranno al meglio il loro compito, si potranno raggiungere risultati ottimali; l’obiettivo
principale sarà dunque motivare ciascuno alla necessaria cooperazione per un esito positivo; il
compito disgiunto, diversamente, potremmo immaginarlo in una competizione canora, in cui
siano presenti dei cori, ciascuno con il proprio solista; in tal caso, sarà compito di quest’ultimo
valorizzare la performance di tutto il gruppo, tramite il proprio talento. Il compito di tipo
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complesso è facilmente rintracciabile in giochi di squadra come il calcio: per una prestazione
di successo del gruppo è necessario che vi sia alla base un’organizzazione precisa dei ruoli e
delle singole responsabilità dei membri. Infine, per quanto riguarda l’ultimo, il compito di tipo
additivo, possiamo immaginare il caso di un concorso per ragazzi sulla scrittura creativa di un
giornalino: ognuno si impegnerà singolarmente nella creazione di un articolo, svolgendo il
proprio compito da sé, ma mirando ad uno scopo finale comune.
Per quel che riguarda la conclusione e lo scioglimento del gruppo, questi due momenti si
verificheranno o per una questione legata al ciclo di vita del gruppo che, dunque, sarà giunto al
termine o perché gli obiettivi prefissati saranno stati realizzati: quest’ultima è una fase
particolarmente delicata, in quanto il gruppo, disgregandosi, richiede ai membri una
ridefinizione dell’identità e l’impatto coi sentimenti di separazione, da gestire e integrare.
Sintetizzando, dunque, possiamo dire che se prima di entrare a far parte di un gruppo vi è una
sorta di esplorazione, l’effettiva appartenenza ad esso ha delle implicazioni sia per il modo in
cui ciascuno vede se stesso sia perché ogni membro ha la sensazione profonda di iniziare un
destino comune con gli altri.
4.2. Il “modello temporale di socializzazione al gruppo”
Le fasi appena descritte hanno sicuramente a che vedere col Modello di Levine e
Moreland (1994) definito “modello temporale della socializzazione al gruppo”, che dà
un’importanza peculiare alla reciprocità dell’individuo e del gruppo, in quanto se è vero che
l’individuo deve fronteggiare dei personali cambiamenti quando entra a far parte di un gruppo,
è anche vero che il gruppo stesso dovrà accomodarsi ai suoi nuovi membri. I due autori si
soffermano in particolare su alcuni aspetti specifici, caratteristici di questo processo: la
ricognizione iniziale, i cambiamenti nel concetto di sé quando si entra a far parte di un
gruppo e il processo di iniziazione al gruppo.
Per quanto riguarda la ricognizione iniziale, si fa riferimento a quel processo per il quale
avviene la scelta del gruppo di cui fare parte, secondo una serie di parametri che gli autori
identificano come la valutazione dei costi/benefici, ispirandosi alla Teoria dello scambio
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sociale (Homans, 1950): essa è un criterio che valuta la massimizzazione dei benefici e la
minimizzazione dei costi.
E’ pur vero che, da un lato, pare che i nuovi membri, quando entrano a far parte di un gruppo,
risultino influenzati dalle esperienze fatte coi gruppi precedenti (Pavelchack, Moreland e
Levine, 1986) dall’altro, piuttosto, pare che questi effettuino una comparazione tra se stessi
all’interno del gruppo e il membro rappresentativo o ideale: minore risulta la discrepanza,
maggiore sarà la propensione ad avvicinarsi ad un gruppo piuttosto che ad un altro (Hogg,
1992).
Il secondo punto che abbiamo preso in considerazione è un processo che si verifica non
appena si entra a far parte di un gruppo ed è sicuramente la ridefinizione che avviene di se
stessi all’interno di quest’ultimo: ciò determina sicuramente delle conseguenze
sull’autostima e sulla personale valutazione di se stessi. Il valore e i successi del gruppo
tenderanno a riflettersi sulla considerazione che i membri hanno di sé, dal momento esatto in
cui l’appartenenza al gruppo verrà interiorizzata da ciascuno, all’interno del concetto di sé.
E’ una fase in cui l’esplorazione del gruppo, se avviene in modo pacifico, risulta proficua per
la conoscenza coi membri, in quanto questi ultimi non si sentiranno minacciati e avranno
atteggiamenti propensi all’accettazione del nuovo arrivato; diversamente, nel caso in cui costui
avesse un atteggiamento troppo spregiudicato, questi potrebbero reagire negativamente.
A tal proposito, è interessante focalizzare l’attenzione su quelle figure di spicco, all’interno di
un gruppo, che favoriscono l’inserimento dei “novellini”: ci riferiamo al ruolo di mentor e di
sponsor, che rispettivamente posseggono il ruolo formale di tutoraggio e il ruolo di
“reclutatore” di nuovi membri. Entrambi sono concentrati a favorire un clima collaborativo tra
coloro che già facevano parte del gruppo e coloro che vi si stanno appena avvicinando.
•Linguisticamente parlando…
L’entrata in un gruppo (Speltini, 2002) è sancita, anche linguisticamente, da parte dei membri
con l’attribuzione di nominativi specifici a seconda della fase in cui è il gruppo quando vi si
aggiungono membri, di quanto tempo vi resteranno e di quali ruoli essi rivestiranno: ad
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esempio ritroveremo i neofiti regolari, che entreranno nel gruppo con l’idea di restarci in
maniera permanente; i visitatori, che invece non mostrano un impegno sostanziale nel farne
parte e che permarranno solo per un determinato lasso temporale; i trasferiti che provengono
da altri gruppi precedenti e portano con sé una serie di capacità e competenze pregresse; i
sostituti che prendono il posto di qualcuno che ha lasciato il gruppo e che, inevitabilmente,
saranno confrontati spesso e volentieri con la persona che li precedeva; infine, abbiamo gli
istituenti, che sono coloro che hanno fondato il gruppo e ne sono le colonne portanti.
Tornando all’ultimo punto delle tre fasi della socializzazione, ossia l’iniziazione vera e
propria, possiamo dire che essa si focalizza principalmente su quali possano essere gli effetti
dell’entrata di un nuovo membro all’interno di un gruppo già formato: esistono esempi anche
religiosi o sociali, in cui l’entrata dei nuovi membri viene sancita attraverso riti specifici e non
sempre piacevoli (pensiamo ad esempio alla circoncisione o al nonnismo nei plotoni militari) e
potremmo chiederci come mai ciò accada. Di fronte a questo, non può che subentrare un
contributo strettamente sociologico e antropologico, legato all’importanza delle cerimonie di
passaggio e al valore che esse hanno nel delimitare i confini del gruppo stesso, consolidandone
identità e coesione e accompagnando il singolo nella creazione di un’identità gruppale.
Proviamo a immaginare, riassuntivamente, due situazioni concrete a confronto: nella
prima, un gruppo di ragazzi si reca per una vacanza studio a Londra, dove si stabilisce in un
campus. Dopo una prima iniziale fase di conoscenza tra i membri del gruppo, facilitata
dall’obiettivo comune che li unisce e dal fatto che non vi siano conoscenze pregresse,
cominciano a svilupparsi relazioni interpersonali positive, dando vita a un codice di
comportamento ben rispettato e accettato da tutto il gruppo. Dopo un mese di permanenza al
campus, il tutor del gruppo, informa i ragazzi sul prossimo arrivo di Guido, un coetaneo che si
aggiungerà in ritardo a causa di un incidente burocratico che ha posposto la sua partenza. Il
gruppo, che già era a conoscenza dell’assenza solo temporanea e giustificata di Guido, sembra
reagire serenamente alla notizia. Effettivamente l’arrivo di Guido, che è ben predisposto nei
confronti del gruppo, non genera resistenze negative da parte dei membri, i quali dopo qualche
giorno di conoscenza reciproca, decidono di “iniziarlo” alla vita di gruppo, con una piccola e
divertente “cerimonia”: Guido dovrà fare un tuffo coi vestiti nella piscina del campus, dopo
l’orario di chiusura. Dopo una prima resistenza, Guido accetterà la sfida e in maniera
goliardica condividerà l’esperienza coi compagni, sentendosi integrato pienamente nel gruppo.
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Nel secondo caso, l’arrivo posticipato del nuovo membro del gruppo, Andrea, è legato ad una
sua resistenza a farne parte, a causa della sua difficoltà di far parte di un gruppo e di accettarne
le regole. I membri reagiranno alla notizia del suo arrivo in maniera negativa, mostrando una
forte chiusura verso il novellino.
In effetti, Andrea riscontrerà, soprattutto nei primi giorni, una forte contrarietà da parte dei
compagni nei suoi confronti; anche in questo caso, dopo tempi un po’ più dilatati, avverrà una
sorta di cerimonia di iniziazione che però stavolta avrà connotazioni meno accoglienti: Andrea
verrà spinto dai compagni, per entrare a far parte del gruppo, a declamare dei versi di una
romantica poesia al cospetto di una ragazza del gruppo da cui lui è molto intimidito.
Il modo in cui vengono affrontate le due diverse situazioni è emblematico di quanto possa
contare, al di là delle fasi di socializzazione in un gruppo, la percezione che i vecchi e i nuovi
componenti hanno gli uni degli altri. Inoltre, essere parte di un gruppo implica
un’appartenenza e una coesione che chiedono di essere rispettate e ambite. Al nuovo arrivato è
dunque sempre richiesta una sorta di “prova” per potergli dare fiducia.
4.3. Il gruppo e il gruppo di lavoro: le differenze
Una distinzione fondamentale nella vita di gruppo è quella tra i comportamenti diretti
allo scopo e i sentimenti per e verso gli altri nel gruppo, distinzione che in effetti ci apre ad
una indispensabile puntualizzazione sulla differenza che sorge tra un gruppo e un gruppo di
lavoro: se è vero che il gruppo possiede una serie di caratteristiche, analizzate fino ad ora, che
ci consentono di definirlo tale (la coesione, l’interdipendenza, la condivisione di norme
comuni, la presenza di ruoli differenziati, ecc..) è altrettanto vero che il gruppo di lavoro si
fonda piuttosto su una pluralità di integrazioni, diverse dalle interazioni che caratterizzano il
semplice gruppo. Le seconde abbiamo compreso quanto siano fondamentali affinchè si abbia
un gruppo e una vita di gruppo, le prime invece hanno a che vedere maggiormente col
concetto di interdipendenza, necessario per perseguire scopi comuni.
Dunque se l’interazione e la interdipendenza rappresentano due elementi focali nelle due fasi
(Storming e Forming) di formazione di un gruppo, l’integrazione (nella fase di Norming) è il
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raggiungimento di un equilibrio tra l’appagamento dei bisogni del singolo e quelli del gruppo
tutto: è l’aspetto della collaborazione e della continua negoziazione di esigenze tra membri e
gruppo.
Per quel che riguarda gli obiettivi, vi sarà una differenza tra quelli del gruppo che sono
orientati fondamentalmente al mantenimento e alla coesione dello stesso, rispetto a quelli del
gruppo di lavoro, che riguardano invece un compito comune da dover eseguire al meglio; le
norme assumeranno sicuramente, nel gruppo di lavoro, un maggior grado di formalità,
accompagnate da ruoli definiti istituzionalmente (e dunque meno fluidi) e da relazioni che
contemplino maggiormente sentimenti di stima reciproca, rispetto, competizione, piuttosto che
sentimenti di solidarietà e vicinanza emotiva presenti nel gruppo sociale.
L’importanza delle relazioni, nel ciclo di vita di un gruppo, risulta centrale proprio per
l’acquisizione, da parte dei membri che lo costituiscono, di una vera e propria “mente di
gruppo”, concetto ripreso e sviluppato da vari autori come Mead (1934), Sherif (1936), Asch
(1952) e Lewin (1952), che ha a che vedere con la creazione di una vera e propria (id)entità
sociale che i membri del gruppo sentono come riferimento per se stessi.
E’ interessante, a partire da questo presupposto, soffermarci su come avvenga la
trasformazione dal comportamento interpersonale a quello di gruppo, notando come essi
siano disposti su un continuum (Tajfel, 1978: la differenza consiste nel fatto che, mentre nel
comportamento interpersonale, l’interazione è guidata dalle caratteristiche dei singoli
individui, nel comportamento intergruppi è determinata piuttosto dall’appartenenza e dalle
relazioni. E’ un’asse su cui gli individui si spostano continuamente, dal momento che,
entrando in un gruppo, pur portando ognuno le proprie caratteristiche, ogni scambio
interpersonale è pur sempre connotato da aspetti derivanti da esperienze pregresse in gruppi di
vario genere; è importante notare che la differenza sta nella valutazione delle somiglianze e
delle differenze: il comportamento di gruppo è più orientato a notare le somiglianze tra i suoi
membri, mentre il comportamento interpersonale che è più concentrato sulle differenze che
sussistono tra i singoli.
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In sintesi,
il gruppo sociale risulta caratterizzato da :
• Interdipendenza
• Obiettivo comune condiviso
• Presenza di ruoli, norme e status da rispettare
• Legami emotivi tra i membri e disponibilità alla collaborazione
• Interazione focalizzata sulla bontà della relazione
Il gruppo di lavoro, invece:
• Nasce nel momento in cui lo scopo di un gruppo è quello di produrre un bene o
servizio
• Gli obiettivi sono più incentrati sul compito che sulla relazione
• Le norme sono più formali e i ruoli più definiti
• Le relazioni contemplano maggiormente sentimenti di stima reciproca, rispetto,
competizione, piuttosto che sentimenti di solidarietà e vicinanza emotiva presenti nel
gruppo sociale.
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Bibliografia
Dinamiche di gruppo e tecniche di gruppo nel lavoro educativo e formativo, G. Venza,
Franco Angeli, Milano, 2013.
Dinamiche psicologiche nella gestione di un gruppo, a cura di D. Zamperini, R.Floreani,
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Psicologia dei gruppi. Teoria, contesti e metodologie d’intervento., a cura di B. Bertrani, M.
Manetti, Franco Angeli, Milano, 2007.
Psicologia Sociale, di E. Aronson, T. D. Wilson, R. M. Akert, Il Mulino, Bologna, 2006.
The evolutionary emergence of norms, Opp, K.D. (1982), British Journal of Social
Psychology, 21, 139-149.