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Qual è la potenza necessaria per fare una salita? Che cos’è la “massima velocità ascensionale”? 1

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Qual è la potenza necessariaper fare una salita?

Che cos’è la “massima velocità ascensionale”?

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La parola che, forse, ricorre più spesso nei discorsi tra ciclisti è VAM, che sta permassima velocità ascensionale (vAmax). Essa indica il dislivello, rapportato ad 1ora, che può essere coperto viaggiando al limite della soglia del lattato (AT), altralocuzione magica di cui si comprenderà appieno il significato più avanti (capitolo 6). La vAmax è la misura della miglior “performance” che il ciclista è in grado di fornirein salita in un arco di tempo abbastanza lungo (superiore alla mezz’ora). Trattandosidi una prestazione di media-lunga durata, l’organismo non può essere stressatooltre un certo limite, cioè deve rimanere al di sotto della AT, pena l’accumulo neimuscoli e nel sangue di acido lattico (parola entrata nel linguaggio comune, anchese è più corretto il termine lattato), che finirebbe con il ridurre il livello della presta-zione sportiva fino ad interromperla.In questo capitolo si dà un’indicazione di come ciascun ciclista possa arrivare adeterminare la propria vAmax, scegliendo una salita “ad hoc”.Si spiega anche che vAmax può essere messa in relazione con Ẇcmax e viceversa.Ẇcmax è la massima potenza che il ciclista è in grado di sostenere continuativa-mente per un tempo sufficientemente lungo. Ẇcmax, oltre che rilevata in laborato-rio, può essere calcolata, più alla buona, in campo, anche questa volta semplice-mente percorrendo una salita. E qui si spiega come.Ma proprio in salita, la quota maggiore della potenza è ẆS, che serve per sollevare labicicletta con chi le sta sopra da una quota ad un’altra, e si spiega come calcolarla. Un altro parametro con cui ci si troverà a dover fare i conti nel prosieguo è HRs, cheè la frequenza cardiaca che si riscontra al raggiungimento della AT. Può anche esse-re calcolata con una formula empirica.Infine, si mettono a disposizione del “ciclista della domenica” un paio di formule chegli consentono di calcolare, in ogni momento, la potenza che egli sta sostenendo. Èun’alternativa, a costo zero, all’impiego dei powermeter (di cui si descrive il princi-pio di funzionamento), che misurano la potenza e che, sebbene ancora un po’ costo-si, incominciano a farsi strada anche tra i cicloamatori.

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Qual è, cioè di che tipo è l’energia che fa funzionare il corpo umano,

e come viene prodotta?

Quali sono i “numeri” del bilancio energetico del corpo umano

durante l’attività fisica aerobica?

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L’esercizio fisico avviene grazie all’attività dei muscoli scheletrici, e affinché questaattività abbia luogo occorre dell’energia.Nel ciclismo, l’energia è prevalentemente di origine aerobica, cioè nasce da un pro-cesso di ossidazione dei carboidrati (o glucidi) e dei grassi (o lipidi), presenti nel cibo,con l’ossigeno contenuto nell’aria (da cui il termine “aerobico”) che viene inspiratacon la respirazione. Questo processo, accompagnato da sviluppo di calore, avvienedove serve, cioè nelle cellule dei muscoli preposti ad operare, in piccolissimi conteni-tori chiamati mitocondri che fungono da vere e proprie centraline energetiche. Ce nesono centinaia, se non addirittura migliaia, all’interno di ciascuna cellula!L’energia per poter essere utilizzata per azionare i muscoli, viene prima trasferita in unprodotto a base di fosfati, l’ATP (adenosintrifosfato), che funge da accumulatore diessa. L’energia permette al muscolo di compiere il lavoro richiesto: nella fattispecie,quello di far girare i pedali della bicicletta.Quando, però, vi è una richiesta improvvisa di energia, come all’inizio dell’eserciziofisico o quando la sua intensità aumenta molto rapidamente, la disponibilità di ossige-no, cioè la quantità di esso che il sangue trasferisce ai mitocondri, non è sufficienteper produrre il “surplus” di energia necessaria. Infatti, mentre il “combustibile”, cioè iglucidi e i lipidi, si trova già nelle cellule, il “comburente”, cioè l’ossigeno, deve essereprelevato dall’atmosfera attraverso la respirazione. Ci vuole quindi del tempo, anchedue o tre minuti, affinché l’aumentata richiesta di ossigeno possa essere soddisfatta,perché l’ossigeno deve essere prima di tutto separato dall’aria.In questo periodo di tempo, l’organismo sopperisce al “deficit” di energia aerobicaattivando un meccanismo supplementare di produzione di energia per via anaerobica,cioè senza bisogno di ossigeno. Questa energia non s’accompagna con lo sviluppo dicalore. Nei primi 10-15 secondi il meccanismo non dà inconvenienti, ma se l’aumen-tata richiesta di energia dura più di questo breve periodo, ecco che incomincia la for-mazione di acido lattico. E dopo pochi minuti, anche se nel frattempo è aumentata laproduzione di energia aerobica, ma l’energia richiesta supera un certo limite chedipende dalla capacità che ha il sangue di trasferire l’ossigeno fino alle cellule, glieffetti negativi del progressivo accumulo dell’acido lattico, prima nei muscoli e poi nelsangue, cominciano a manifestarsi con difficoltà alla funzionalità muscolare e con unmalessere generale. Per intenderci, un corridore arriva a sviluppare una potenza aerobica, cioè senza for-mazione di acido lattico in eccesso rispetto a quello che l’organismo può smaltire, di400-420 watt, ma la potenza totale che può mettere in gioco, anche per parecchiminuti, è ben superiore. In queste situazioni è inevitabile l’accumulo di acido lattico,con le conseguenze che si sono appena dette.Un discorso sull’energia, come quello che qui viene sviluppato, porta a parlare di ren-dimento. Nel corpo umano, ogni muscolo scheletrico può essere considerato un“motore”, in quanto è l’organo attuatore del movimento. Da un punto di vista più

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Come viene prodotto e regolato l’ossigeno per generare

l’energia necessaria all’esercizio fisico?

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L’ossigeno (O2) è il comburente utilizzato nelle reazioni di ossidazione dei glucidi edei lipidi che costituiscono il combustibile dal quale si libera l’energia che fa funzio-nare il nostro corpo.Ma mentre il combustibile è disponibile sul posto dove serve, cioè nel muscolo, ilcomburente viene estratto dall’aria nei polmoni, e specificatamente nell’interfaccia(membrana respiratoria) tra i terminali dei bronchi, gli alveoli (sono 70 milioni conuna superficie attiva, negli scambi gassosi, di 60 m2!), e i capillari sanguigni, indi“caricato” nel sangue che provvede a trasportarlo e a distribuirlo dove serve.Alla produzione, al trasporto e alla distribuzione dell’O2 provvedono due apparatidell’organismo, distinti ma strettamente integrati tra di loro: l’apparato respiratorio equello circolatorio. Qui si focalizza l’attenzione sul primo dei due.Innanzitutto, non tutta l’aria inspirata (o volume ondoso, perché ha le caratteristichedell’onda marina che investe la spiaggia e subito dopo si ritira con la risacca) giun-ge agli alveoli. Una parte (spazio morto), variabile dal 10 al 40% (cresce passandoda respiri lenti e profondi a respiri più veloci e meno profondi), viene messa daparte, e funge da “ammortizzatore” per far sì che l’aria che giunge agli alveoli siaquella che serve per mantenere la quantità di O2 che entra nel sangue compatibilecon quella dell’anidride carbonica (CO2) che ne esce. Quest’aria viene poi immessanuovamente nel flusso principale durante la fase di espirazione.La CO2 si forma nelle reazioni che danno origine all’energia che fa funzionare il corpoumano, e prende il posto dell’O2 nel sangue che ritorna ai polmoni. Così negli alveoli,insieme con la separazione dell’O2 dall’aria inspirata e la sua immissione nel sangue,avviene anche la cessione della CO2, contenuta nel sangue, all’aria che viene espirata.Dell’O2 contenuto nell’aria che giunge agli alveoli, poi, solo una parte passa nel san-gue, perché deve essere rispettato un delicato e complesso equilibrio tra le pressio-

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Tra i due sistemi, quello respiratorio e quello circolatorio, qual è

più limitante al fine di fornire l’ossigeno per l’attività fisica?

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Il capitolo descrive le traversie che deve affrontare il corpo umano per far circolare ilsangue. Si parte infatti male. Il dover utilizzare una pompa aspirante-premente (ilcuore) presenta l’inconveniente di avere un flusso intermittente. Ciò comporta il fattoche la pressione di mandata del cuore deve essere più alta del dovuto, cioè di quellanecessaria per far circolare il sangue qualora il flusso fosse continuo, perché la por-tata istantanea è tre volte tanto quella media. Per rendere continuo il flusso, l’organi-smo sfrutta l’elasticità delle arterie per variarne la capacità e far sì che possanoammortizzare le variazioni di portata che intervengono tra diastole e sistole. A fronte,poi, di una variazione molto grande del flusso, tra la condizione di riposo e quella diun’attività d’intensità massimale, il sistema vascolare deve cambiare il proprio asset-to per evitare che le pressioni salgano a valori insostenibili. Ecco allora che alcunivasi (è un modo di dire, perché si tratta comunque di centinaia di milioni) varianodrasticamente il loro diametro, e che altri (più di un miliardo...) rimangono, a riposo,in gran parte inattivi, salvo prendere via via “servizio” man mano che lo sforzoaumenta. Sempre per limitare la pressione, interviene anche, ad un certo punto delcircolo, un “booster” (la parte destra del cuore), che consente al sangue di completa-re il suo giro. Visto, infine, che la “macchina” umana deve dare garanzie di buon fun-zionamento con il corpo sia disteso che eretto, ecco intervenire vari accorgimenti(pompa muscolare, valvole venose unidirezionali) per mettere le cose a posto.Il moto del sangue nell’apparato circolatorio è comunque descritto in modo chiaro esemplice nella prima parte del capitolo. È necessario, tuttavia, per comprendere cor-rettamente tutto ciò che riguarda la circolazione del sangue, avere ben chiaro il signi-ficato della terminologia che si impiega. Così, i vasi entro cui il sangue scorre dalcuore verso la periferia si chiamano arterie, mentre quelli che trasportano il sangue insenso inverso prendono il nome di vene (chiarimento già introdotto nel cap. 3). Esisto-no poi due circuiti, tra loro distinti, attraverso i quali avviene la circolazione del san-gue: il grande circolo, in cui il sangue ricco d’ossigeno (sangue arterioso) viene spintodal cuore sinistro prima nell’aorta e di qui in tutte le parti del corpo, e in cui il sangue,dopo aver ceduto l’ossigeno (sangue venoso) ritorna al cuore, e il piccolo circolo, in cuiil sangue venoso, spinto dal cuore destro, giunge prima ai polmoni, dove viene ossige-nato, e di qui, diventato arterioso, ritorna al cuore. Il trasferimento dell’ossigeno dal sangue ai tessuti avviene grazie alla differenza dipressione tra i capillari e i liquidi interstiziali attraverso i quali avviene la sua diffu-

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In che modo il corpo elimina il calore, in particolare quello che si produce

durante l’esercizio fisico?

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La nostra superficie corporea emette calore anche a riposo, cioè anche quando nonesercitiamo un’attività fisica. Questo calore è la misura dell’energia, prodotta dalcorpo, che dopo essere stata utilizzata affinché l’organismo svolga tutte le funzionivitali, come la respirazione, il battito del cuore, l’attività dei vari organi e delle cellu-le, la termoregolazione (cioè la regolazione della temperatura corporea a 37C°) e ilmantenimento del tono muscolare, si ritrova degradata proprio sotto forma di calo-re. Per l’uomo adulto si può assumere che questa energia, o metabolismo a riposo,valga 1,4 kcal all’ora per ogni kg di peso. Perciò, una persona di 70 kg che non fac-cia attività fisica consuma, nell’arco delle 24 ore, circa 2400 kcal (si tratta di unvalore standard soggetto ad ampie oscillazioni). Un corridore, mentre sta producendo uno sforzo intenso e prolungato, che sia pocoal di sotto della sua capacità aerobica, sviluppa una quantità di calore che è di circa11 volte quella a riposo. Se quest’ultima, come si è appena visto, è di 100 kcal inun’ora, nello stesso arco di tempo il corridore in questione dovrà smaltire all’esternoben 1100 kcal affinché la temperatura del corpo rimanga costante a 37°C. Questocalore viene eliminato attraverso i meccanismi classici della conduzione, della con-vezione e dell’irraggiamento, ai quali si aggiunge quello dell’evaporazione dell’ac-qua corporea, rappresentata principalmente dal sudore: 1 litro di sudore che l’orga-nismo espelle e che, una volta arrivato sulla superficie cutanea surriscaldata, eva-pora, serve per allontanare dalla superficie stessa 580 kcal.L’evaporazione aumenta con lo sforzo e diminuisce con la velocità, e contribuisce inmodo preponderante (94-73% passando da 30 a 22°C) allo smaltimento del calore

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Che cos’è la soglia anaerobica e qual è la sua importanza?

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Il parametro, indicatore del potenziale di resistenza del soggetto che pratica l’eser-cizio fisico, cioè della sua attitudine a sopportare uno sforzo moderato, ma di lungadurata, è la soglia anaerobica (AT). Essa è quindi particolarmente indicata a qualifi-care il livello di prestazione del corridore ciclista.L’AT rappresenta il limite entro cui l’energia prodotta dall’organismo è di tipo quasiesclusivamente aerobico, limite che si raggiunge quando la concentrazione del lat-tato (sale dell’acido lattico) nel sangue comincia ad aumentare in modo significati-vo. L’AT viene espressa come percentuale del massimo consumo di ossigeno che ilsoggetto è in grado di raggiungere durante uno sforzo via via crescente. Il capitolodescrive alcuni test indirizzati alla determinazione dell’AT e basati su misurazionidel lattato o dei gas respiratori. Convenzionalmente, in mancanza di questi test, siadotta per l’AT un valore standard pari al 60% del suddetto consumo massimo.L’AT può essere messa in relazione con i parametri W

.cmax e HRs, definiti e descritti

nel capitolo 1. Una AT alta è comunque una formidabile risorsa per un atleta chepratichi uno sport di fondo, come il corridore ciclista, perché consente elevate pre-stazioni al riparo dagli effetti dannosi dell’acido lattico. Il capitolo descrive anchecome l’organismo contrasta questi effetti, attivando, nel sangue, dei meccanismicosiddetti tampone.La conoscenza della W

.cmax, che è correlata all’AT, ha condotto alla messa a punto

di semplici algoritmi che, partendo dal “costo” energetico attribuito a varie formesportive di locomozione, permettono di prevedere le velocità delle migliori presta-zioni (quelle da primato) in competizioni di media-lunga durata, che sono quelle incui l’atleta utilizza in modo continuativo proprio la sua W

.cmax. Si arriva anche a

concludere che la bicicletta è la forma più economica di locomozione terrestre(ovviamente se ci si muove in piano e su strada asfaltata), in quanto la quasi totalitàdella potenza disponibile nei muscoli viene trasformata in velocità, a differenza diciò che succede con le altre forme di locomozione, come ad esempio la marcia e lacorsa a piedi. Il capitolo contiene anche indicazioni sulla capacità anaerobica, cioè sull’energiaprodotta per questa via, ed illustra un criterio concettuale, basato sulla misurazio-ne dell’eccesso di consumo d’ossigeno dopo l’esercizio (EPOC), per arrivare avalutarla. Infine, attraverso la descrizione di un test di laboratorio cui si è sottoposto un notocorridore, si ha l’immagine dell’estremo grado di sofisticazione che queste provehanno oggi raggiunto.

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Quale potenza è richiesta per vincere la resistenza al moto

e quella dell’aria?

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La potenza che il ciclista, ovvero che i suoi muscoli scheletrici devono trasmetterealla bicicletta affinché il movimento abbia luogo, è la somma di potenze parziali cheservono, rispettivamente, per superare un dislivello, per aver ragione della resisten-za dell’aria, per contrastare la resistenza al rotolamento che si genera tra le ruote ela superficie su cui esse appoggiano, e per vincere gli attriti degli organi rotanti,mentre girano attorno al proprio asse. Della prima s’è già detto nel capitolo 1. Laseconda cresce con il cubo della velocità, ed è insignificante fino a 14-15 km/h, mapoi aumenta molto rapidamente, e già a 17-18 km/h prende il sopravvento su quellache contrasta la resistenza al moto (resistenza al rotolamento + attriti), che dipendedal peso e che cresce solo linearmente con la velocità.Un corridore che viaggia a 45 km/h da solo, cioè senza l’ausilio di altri che gli “tagli-no l’aria”, vantaggio questo molto rilevante che può ridurre di oltre il 50% la resi-stenza dell’aria, deve fare i conti con una potenza di 408 W (si trova in pratica allasua soglia anaerobica), di cui circa 350 spesi per neutralizzare la resistenza dell’a-ria, mentre uno sprinter quando taglia il traguardo a 70 km/h, deve scaricare sullabicicletta circa 1400 W, di cui ben il 93% se ne va sempre a causa della resistenzadell’aria che, passando da 45 a 70 km/h, risulta quasi quadruplicata.Tuttavia, la resistenza dell’aria ha un effetto molto ridotto su quelle biciclette spe-ciali, dotate di carenatura e su cui il corridore è in posizione reclinata (“recum-bent”), tant’è che con esse si raggiungono velocità di punta che sfiorano i 150 km/h.Nel fare il quadro delle prestazioni di rilievo ottenute dai corridori in anni recenti, siintroduce il concetto di “wattaggio” specifico (rapporto tra la potenza e il peso cor-poreo) quale parametro utile per valutare la “performance” del corridore.

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Quali sono le modifiche morfologiche e fisiologiche che intervengono con l’età

e che hanno attinenza con l’esercizio fisico?

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Page 16: Pagine da ciclismo, fisica e fisiologia

Nel soggetto anziano è più marcata la perdita di efficienza del sistema circolatoriorispetto a quello respiratorio. Quindi, anche se la ventilazione polmonare si mantie-ne ancora buona, diminuisce drasticamente la quantità di ossigeno che passa nelsangue, a causa della riduzione della capacità del sangue di trasportarlo. L’allena-mento, cioè la pratica continua e non saltuaria dell’esercizio fisico, è comunquebasilare per l’anziano al fine di limitare le modificazioni dell’organismo associateall’invecchiamento. La forza muscolare, addirittura, con l’allenamento cresce di piùnell’anziano che nel giovane.Si è poi indotti a pensare che, con l’avanzare dell’età, per un po’ migliorino, o quantomeno non peggiorino, le doti di fondo. Il ciclista anziano riesce a stare in sella più omeno lo stesso tempo (ad esempio 5-6 ore) di quando era più giovane, prima diaccusare la fatica, cioè di avvertire quella sensazione di stanchezza associata ad unpeggioramento della prestazione. In questo ragionamento semplicistico si trascura,però, il fatto che la soglia della fatica non va messa in relazione con la durata dellaprestazione, ma con il “lavoro” che si compie durante questa prestazione. Se si ana-lizza questo secondo aspetto, si vedrà che l’anziano, a parità di tempo, compie unlavoro (ad esempio: copre un dislivello) ben inferiore a quello del “giovane”. L’età,ahimè!, ha quindi e comunque il suo peso.In questo capitolo, più per associazione d’idee che non per diritto di cittadinanza,trova collocazione un argomento che vede coinvolti i ciclisti di tutte le età. Si trattadei “disagi” fisici a cui va incontro chi pratica questo sport. Dal sovrallenamento aicrampi, dai foruncoli alle tendiniti, dalle distorsioni alle contratture muscolari, dallelombalgie alle conseguenze di un’errata postura sulla bicicletta, vengono tutti pas-sati in rassegna e, per quanto possibile, si danno i consigli utili per starsene allalarga, o per porvi rimedio.

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Qual è il fabbisogno di energia per un corridore in una corsa gravosa? E per un “ciclista della domenica”

che sta 6 ore in sella?

Qual è la perdita di liquidi e di peso dell’organismo durante

una prova impegnativa?

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Page 18: Pagine da ciclismo, fisica e fisiologia

Nella prima parte del capitolo si calcolano il fabbisogno energetico e la perdita diliquidi organici (che intervengono nel meccanismo dell’evaporazione, di cui la sudo-razione rappresenta gran parte), nonché di peso, di un corridore durante una corsa.Si fa anche un confronto con il ciclista “della domenica”. Un corridore in una corsa piuttosto impegnativa di 220 km arriva a consumare circa6400 kcal. Il corridore, nella stessa corsa, perde poi, per evaporazione, anche più di6 litri di liquidi con i rispettivi sali in essi disciolti (si tratta in gran parte di sudore).Inoltre, al netto delle perdite di liquidi e dei reintegri liquidi e solidi effettuati durantela corsa, il corridore perde 1,27 kg di peso corporeo.Ancora, a parità di percorso (quello dell’esempio che viene sviluppato) e al di sopra delmetabolismo a riposo, il corridore consuma il 44% in più di energia rispetto al cicloa-matore. Ciò è dovuto alla resistenza dell’aria che costa al primo un maggior dispendiodi energia, visto che egli viaggia a velocità più sostenuta.Nella seconda parte del capitolo emergono le differenze tra velocista, passista escalatore, prendendo in esame la taglia fisica di campioni che eccellono in ciascunaspecialità ed analizzando come la struttura e la composizione corporea influenzanola prestazione. Si capisce così, ad esempio, perché gli scalatori devono avere parti-colarmente sviluppati i muscoli della coscia, mentre per i velocisti l’ipertrofia simanifesta soprattutto in quelli del polpaccio. Dall’esame del rapporto tra il peso e l’altezza di diversi specialisti si cerca di spie-gare perché essi emergano nelle rispettive discipline. Una certa importanza assumepoi, per ottimizzare la prestazione, la dimestichezza che lo specialista acquisiscenell’adottare la posizione migliore sulla bicicletta.Infine, si analizzano le doti che deve avere un discesista, soprattutto per affrontarenel migliore dei modi le curve.

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Come riesce a stare in equilibrio il ciclista sulla bicicletta?

Quale contributo dà l’effetto giroscopico?

Illustrazioni a cura di Elisa Baldissera

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