patologia ematologica [anatomia patologica]

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LINFONODO (ln) Generalità Un linfonodo normale è molto piccolo. La sua dimensione, se non stimolato da un antigene (Ag), è di: 2, 3 mm. Un linfonodo non stimolato non è palpabile. Quando il linfonodo invece è stimolato dall’Ag, aumenta di dimensioni e diventa palpabile, apprezzabile, a causa della intensa migrazione e proliferazione linfocitaria che avviene al suo interno. Il linfonodo ha una forma a fagiolo. Ha una capsula fibrosa. Al di sotto della capsula decorre il seno marginale, o seno sottocapsulare, in cui si raccoglie la linfa drenata nel territorio tributario. L’antigene può essere trasportato dalla linfa in forma libera, come complessi antigene/anticorpo, o come antigene esposto sulle cellule dendritiche immature provenienti dal tessuto drenato. I macrofagi presenti nei seni hanno la funzione di rimuovere il materiale particolato dalla linfa. Nel parenchima vi si distinguono: - una zona corticale in cui sono presenti i follicoli linfatici B. Questi possono essere primari o secondari a seconda se sia avvenuta o meno la stimolazione antigenica. I follicoli secondari sono formati da un centro germinativo e da una zona mantellare. - Poi c’è una zona paracorticale , subito sotto la corticale, soprattutto popolata da linfociti T (CD4 + :CD8 + in rapporto 3:1, stesso rapporto che è nel sangue periferico). I linfociti T CD4o8+/CD3+ in particolare formano rosette insieme a cellule dendritiche interdigitate (IDC). Le IDC sono APC e stimolano la proliferazione dei linfociti T in grado di riconoscere l’antigene esposto sulla loro membrana. In questa zona sono presenti anche le venule ad alto endotelio (HEV), che costituiscono la zona di traffico attraverso cui i linfociti transitano dal sangue al linfonodo e viceversa. L’entità della migrazione è regolata dall’espressione delle molecole di adesione da parte delle cellule endoteliali. Tale espressione è indotta dalle citochine proinfiammatorie. - Una zona midollare costituita da seni e cordoni della midollare, e in questi cordoni ci sono essenzialmente macrofagi e plasmacellule mature. L’extravasazione dei leucociti nel linfonodo, e il loro spostamento all’interno del tessuto linfatico sono regolati dalla produzione di chemochine inducibili e di chemochine costitutive. Le prime sono prodotte dalle cellule dell’infiammazione e hanno la funzione di favorire il reclutamento dei leucociti nel sito di reazione. Le chemochine costitutive invece sono prodotte da cellule stromali e presiedono all’organizzazione del tessuto linfatico inclusa la sua compartimentalizzazione in aree B e T.

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Anatomia patologica del sistema ematopoietico

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LINFONODO (ln)

GeneralitàUn linfonodo normale è molto piccolo. La sua dimensione, se non stimolato da un antigene (Ag), è di: 2, 3 mm. Un linfonodo non stimolato non è palpabile. Quando il linfonodo invece è stimolato dall’Ag, aumenta di dimensioni e diventa palpabile, apprezzabile, a causa della intensa migrazione e proliferazione linfocitaria che avviene al suo interno. Il linfonodo ha una forma a fagiolo. Ha una capsula fibrosa. Al di sotto della capsula decorre il seno marginale, o seno sottocapsulare, in cui si raccoglie la linfa drenata nel territorio tributario. L’antigene può essere trasportato dalla linfa in forma libera, come complessi antigene/anticorpo, o come antigene esposto sulle cellule dendritiche immature provenienti dal tessuto drenato. I macrofagi presenti nei seni hanno la funzione di rimuovere il materiale particolato dalla linfa.Nel parenchima vi si distinguono:

- una zona corticale in cui sono presenti i follicoli linfatici B. Questi possono essere primari o secondari a seconda se sia avvenuta o meno la stimolazione antigenica. I follicoli secondari sono formati da un centro germinativo e da una zona mantellare.

- Poi c’è una zona paracorticale, subito sotto la corticale, soprattutto popolata da linfociti T (CD4+:CD8+ in rapporto 3:1, stesso rapporto che è nel sangue periferico). I linfociti T CD4o8+/CD3+ in particolare formano rosette insieme a cellule dendritiche interdigitate (IDC). Le IDC sono APC e stimolano la proliferazione dei linfociti T in grado di riconoscere l’antigene esposto sulla loro membrana. In questa zona sono presenti anche le venule ad alto endotelio (HEV), che costituiscono la zona di traffico attraverso cui i linfociti transitano dal sangue al linfonodo e viceversa. L’entità della migrazione è regolata dall’espressione delle molecole di adesione da parte delle cellule endoteliali. Tale espressione è indotta dalle citochine proinfiammatorie.

- Una zona midollare costituita da seni e cordoni della midollare, e in questi cordoni ci sono essenzialmente macrofagi e plasmacellule mature.

L’extravasazione dei leucociti nel linfonodo, e il loro spostamento all’interno del tessuto linfatico sono regolati dalla produzione di chemochine inducibili e di chemochine costitutive. Le prime sono prodotte dalle cellule dell’infiammazione e hanno la funzione di favorire il reclutamento dei leucociti nel sito di reazione. Le chemochine costitutive invece sono prodotte da cellule stromali e presiedono all’organizzazione del tessuto linfatico inclusa la sua compartimentalizzazione in aree B e T.

Una volta che il linfonodo è stato attivato dall’antigene, il prodotto ultimo di questa attivazione saranno 2 tipi di cellule: da un lato i linfociti B memoria, che avranno la memoria dell’Ag che li ha attivati. L’altro prodotto sono le plasmacellule che servono ad eliminare l’Ag che ha prodotto l’attivazione. Al linfonodo arriva linfa afferente dal tessuto drenato, la linfa attraversa il linfonodo e esce come linfa efferente e va alla stazione linfatica successiva.La cooperazione cellulare tra linfociti T e B ha un suo modo di essere. Il nodulo T + B è il nodulo funzionale, è la subunità funzionale del linfonodo (detto anche nodulo composito, delimitato da trabecole a partenza capsulare dirette verso l’ilo, costituito dal follicolo corticale e dalla sottostante porzione paracorticale a linfo T). Questa subunità ha linfociti T, linfociti B e follicoli.

Funzione del centro germinativo (CG)Il centro germinativo è presente al centro del follicolo B attivato e ha una serie di funzioni. La più importante è la maturazione dell’affinità della risposta anticorpale. All’interno del centro germinativo si verificano le ipermutazioni somatiche sulle regioni variabili dell’Ab (Ab = anticorpo). Si avr’ un linfocita B stimolato dall’Ag presentato dalle APC (antigen presenting cells). Questa stimolazione fa proliferare la cellula che va anche incontro a mutazioni somatiche nella regione dell’Ab che lega l’Ag. Il recettore per l’antigene (binding site), come conseguenza della mutazione sarà più o meno affine per l’Ag. I linfociti con un recettore ad affinità maggiore vengono salvati e indotti ad altri cicli di proliferazione. Quelli ad affinità inferiore vanno incontro ad apoptosi. Si ha così una selezione di linfociti che producono Ab sempre più affini nei confronti dell’Ag.Nel linfonodo c’è poi lo switch isotipico dell’Ab. Il fatto che ci siano tutti questi meccanismi, rende queste cellule del centro germinativo più suscettibili agli errori. Infatti i linfomi spesso hanno origine dalle cellule del centro germinativo (ipermutazioni somatiche, riarrangiamento del DNA). Sono più frequenti, rispetto ad altre sedi, gli errori che possono portare a traslocazione.

POPOLAZIONI CELLULARI DEL CGSi organizza in 4 zone concentriche, nell’ordine dall’est all’int: zona marginale, zona mantellare, zona chiara, zona scura.

- Mantellare: costituita da piccoli linfo B maturi, omogenei morfologicamente, policlonali, CD79a+ e CD79b+; tra questi si distinguono: linfo B ricircolanti come quelli del SP, tra cui ci sono linfo B memoria (IgA+ o IgG+); linfo B naive (IgM+/ IgD+) tra cui pochissimi sono CD5+.

- Zona scura: è la sede in cui i linfo B naive attivati da antigeni T-dipendenti vanno incontro ad espansione clonale assumendo aspetto di centroblasto (l’intensa basofilia citoplasmatica dovuta ai molti ribosomi conferisce il nome alla zona).

- Zona chiara: i cloni “differenziatisi“ in centrociti attraverso l’ipermutazione somatica vanno incontro a selezione. Le cellule follicolari reticolari dendritiche (FDRC) espongono l’antigene ai linfociti B, mentre la loro differenziazione è favorita dalle citochine (IL-4 e IL-6) prodotte dai “linfociti T del cg” (sottotipi di CD4+, TH2, CD45RO+, CD57+). I “macrofagi con i corpi tingibili” che si trovano nel cg stesso provvedono alla distruzione dei centrociti a bassa affinità.

- Zona marginale: riconoscibile solo in linfonodi profondi, nel tessuto linfatico splenico, nel MALT; popolata da linfociti B marginali (IgM+ e IgD-) a morfologia centrocito-simile ma con rima di citoplasma chiaro e nucleo a contorno irregolare. Le cellule B marginali sono in grado di rispondere ad antigeni T-indipendenti trasformandosi in plasmacellule secernenti IgM al di fuori del centro germinativo.

I diversi antigeni o patogeni che raggiungono il linfonodo possono stimolare in modo selettivo le aree B (follicolari), le aree T (paracorticali), i macrofagi dei seni, o l’insieme di tutte queste zone.A seconda del tipo di stimolazione ci saranno modificazioni istologiche più evidenti nell’area interessata e definite iperplasia follicolare, iperplasia paracorticale o diffusa ed iperplasia sinusale. Il caso più comune è quello di un’attivazione contemporanea di più compartimenti del linfonodo dando luogo a quella che si definisce iperplasia di tipo misto.

La linfomegalia (aumento di volume di un linfonodo) è un evento estremamente comune vista la fisiologica iperplasia del tessuto linfatico in risposta a uno stimolo (qualsiasi antigene inneschi una reazione immunitaria) e nella maggior parte dei casi essa è semplicemente la manifestazione macroscopica di una stimolazione antigenica. Esistono però tumori e metastasi tumorali in cui l’aumento di volume di uno o più linfonodi è dovuto all’evento neoplastico in atto.Diviene quindi importante sul piano clinico la distinzione tra un linfonodo reattivo, che richiede tutt’al più un periodo di osservazione, e un linfonodo che sia invece divenuto sede di un processo neoplastico, per il quale è previsto un iter differente.

Si distinguono linfomegalie che interessano stazioni linfatiche superficiali (“linfomegalie superficiali”), e linfomegalie profonde.

Una linfomegalia superficiale è quindi facilmente individuabile all’esame obiettivo, considerando che laddove un linfonodo ingrossato sia di natura reattiva difficilmente supererà i 2-3 cm, mentre dimensioni maggiori dovranno far sospettare processi di altro tipo. Le stazioni linfonodali profonde non sono immediatamente esplorabili e si indagano invece mediante tecniche di imaging, comprendenti sia la radiografia sia la TAC, con le quali si può valutare l’aumento di dimensioni dei linfonodi. Una volta apprezzata la dimensione del linfonodo, si deve valutare la consistenza, di norma elastica per i linfonodi reattivi (tra l’altro non dolenti ad eccezione che nella linfadenite acuta batterica), la presenza di aderenze, verificando la normale mobilità del linfonodo sui piani sottostanti (l’assenza di mobilità è segno generalmente dell’infiltrazione del tessuto adiposo perilinfonodale da parte di un processo neoplastico) e l’estensione del processo cioè riconoscere se la linfomegalia è localizzata o sistemica. Per linfomegalie localizzate è necessario in primis escludere la presenza nel territorio drenato dal linfonodo ingrossato di un processo che giustifichi la reazione iperplastica (infiammatorio o neoplastico, es. attenzione al braccio in caso di linfonodo ascellare ingrossato o effettuare visita otorino-laringoiatrica per linfomegalia dei latero cervicali o orto panoramica per quella dei sottomandibolari).Un linfonodo reattivo rimane iperplastico limitatamente alla persistenza del focolaio infettivo o del processo infiammatorio che ne hanno indotto l’ingrossamento. Tuttavia, sebbene in generale esista una correlazione stretta tra guarigione e regressione del linfonodo, esistono delle eccezioni, tra cui la mononucleosi infettiva, nelle quali le dimensioni del linfonodo si mantengono aumentate nel tempo al di là della scomparsa del fenomeno infettivo.Indagine di primo livello per la diagnosi differenziale tra un linfonodo metastatico e un linfonodo reattivo è sicuramente l’ecografia, che consente di verificare la natura della linfomegalia. In percentuale, circa il 95% dei linfonodi ingrossati sono reattivi, mentre la restante parte che invece risulta sospetta deve essere inviata a ulteriori indagini. Tre sono le possibilità per i linfonodi superficiali:

- CITOASPIRAZIONE CON AGO SOTTILE, le cellule sono prelevate, strisciate su vetrino e inviate alla citologia. L’unica indicazione a questo tipo di esame è un pz con neoplasia solida (K) in cui il linfonodo sospetto sia drenante il tumore stesso e quindi molto probabilmente sia metastatizzato. In ogni altro caso è sconsigliato: per malattie linfoproliferative, nella maggior parte dei casi anche se non sempre, non esistono caratteri citologici diagnostici e l’esame risulta inutile (necessaria un’informazione sulla cito-architettonica del linfonodo).

- LINFADENECTOMIA, ovvero rimozione del linfonodo per biopsia. Trattandosi di linfonodi superficiali sono interventi che possono essere effettuati ambulatorialmente e al tempo stesso garantiscono una diagnosi ben posta.

- AGOBIOPSIA, prelievo di un frustolo linfonodale che rappresenta un compromesso tra le due metodiche suddette. Può essere preferita quando il linfonodo è profondo e le condizioni generali del pz non sono tali da inviarlo a intervento chirurgico (es. pz molto anziano).

LINFOMEGALIE NON NEOPLASTICHE

LINFOMI

LINFOMEGALIE NEOPLASTICHEMETASTASI

Le linfomegalie possono essere localizzate o sistemiche. Nel primo caso o esiste un focolaio infettivo nella zona drenata da un linfonodo o si tratta di una metastasi di tumore solido oppure possono essere espressione di alcuni tipi di linfomi (es. Hodgkin che spessissimo si presenta con un unico linfonodo o al massimo una singola stazione linfonodale aumentati di volume). Nel caso delle linfoadenopatie sistemiche le cause possono essere altre, da una condizione influenzale a tipi particolari di linfomi.

REATTIVE – per infezioni virali/battericheAUTOIMMUNI – da stimolazione continua del tessuto linfaticoIATROGENE – per uso di alcuni farmaci

Il termine linfadenite indica la presenza di un processo infiammatorio nel linfonodo. Le cause più comuni sono infettive, seguite da malattie autoimmuni e da ipersensibilità a farmaci. Le linfadeniti possono essere acute o croniche.Nella linfadenite acuta il linfonodo è aumentato di volume ed è dolente.

A livello istologico, si osserva un infiltrato di granulociti neutrofili, inizialmente localizzato nei seni e progressivamente nel parenchima linfonodale. Se l’agente eziologico è un batterio piogeno si potrebbero formare dei microascessi (linfadenite suppurativa).Le linfadeniti croniche sono sottoposte più frequentemente a biopsia per fugare il sospetto neoplastico. Tuttavia nel 63% dei casi si parla di LINFADENITE NON SPECIFICA, laddove non si sia in grado di risalire alla causa determinante. Nel restante 37% si parla invece di LINFADENITE SPECIFICA, essendo la morfologia delle cellule fortemente indicativa di un preciso processo patologico in atto (14% toxoplasmosi, 10% mononucleosi, 9% tubercolosi, 4% altre cause) per la conferma del quale il paziente sarà avviato a indagini mirate.

LINFADENITI SPECIFICHEPossono essere granulomatose o non granulomatose.

GranulomatoseLe caratteristiche morfologiche dei granulomi (forma, presenza e tipo di necrosi, tipo di cellule giganti) possono fornire utili indizi riguardo l’identità dell’agente eziologico.

Linfadenite tubercolareÈ la causa più comune di linfadenite granulomatosa. I linfonodi più frequentemente interessati sono i mediastinici, i sopraclaveari e i laterocervicali.

All’analisi istologica il granuloma risulta formato da una necrosi caseosa centrale circondata da cellule giganti multinucleate (cellule di Langhans). La diagnosi di certezza eziologica si basa sulla dimostrazione della presenza dei micobatteri all’interno dei macrofagi tramite la colorazione di Ziehl-Nielsen o tramite PCR.

Linfadenite da graffio di gattoÈ causata da Bartonella henselae, batterio presente nelle unghie del gatto e trasmesso all’uomo tramite graffio. I linfonodi più colpiti sono gli ascellari e gli inguinali.

All’analisi istologica i granulomi risultano avere una forma allungata, serpiginosa, con al centro un’area di necrosi basofila (blu) in cui possono essere presenti alcuni granulociti neutrofili. La Bartonella si rileva solo tramite PCR.

Linfogranuloma venereoÈ causato dalla Chlamydia trachomatis. È una MST che si localizza nei linfonodi di drenaggio dei genitali esterni.

All’analisi istologica è evidente la necrosi centrale stellata.

Linfoadeniti da infezioni fungineLa dimostrazione della presenza del micete si fa mediante colorazione PAS o impregnazione argentica secondo Gomori.

SarcoidosiSono interessati principalmente i linfonodi peribronchiali e i mediastinici

All’esame istologico i granulomi appaiono privi di necrosi, mentre sono presenti le cellule giganti di tipo Langhans. I granulomi hanno una caratteristica forma a stampino, che tuttavia non permette una diagnosi di certezza, infatti, una linfadenite di tipo sarcoideo si può osservare nei linfonodi drenanti neoplasie maligne, o in quelli mesenterici in corso di malattia di Crohn.

Non granulomatose

Linfadenite da Toxoplasma

La malattia è più frequente nelle giovani donne e i linfonodi più colpiti sono i cervicali posteriori.All’esame istologico si evidenzia una caratteristica triade di alterazioni:

1. Iperplasia dei follicoli2. Infiltrazione dei follicoli a opera di aggregati di cellule istiocitarie epitelioidi (cluster)3. Iperplasia delle zone marginali.

Linfadenite da HIVNella linfadenite persistente generalizzata da HIV (PGL) la linfomegalia è molto accentuata.

All’esame istologico si nota una marcata iperplasia follicolare causata dalla stimolazione delle cellule B del centro germinativo a opera degli antigeni del virus HIV esposti sulle cellule follicolari dendritiche. Sono inoltre presenti quadri di follicololisi causati dai CTL che infiltrano i centri germinativi, riconoscono gli antigeni del virus esposti sulle cellule follicolari dendritiche, e ne causano la morte.

Mononucleosi infettivaSiti bersaglio sono i linfonodi laterocervicali e la milza.

All’esame istologico si nota un’espansione delle aree paracorticali, sono presenti numerosi immunoblasti (plasmablasti) che conferiscono alla lesione un aspetto marezzato (“mottled”).

Linfadeniti in corso di malattie autoimmuniNell’artrite reumatoide si ha una spiccata attivazione dei follicoli B.Nel LES si notano cellule LE nella zona corticale, è inoltre presente necrosi non associata né a granulomi né ad infiltrazione neutrofila.

LINFADENOPATIE RARE AD EZIOPATOGENESI INCERTA

Malattia di CastlemanSi può manifestare in forma localizzata o sistemica.

Nella forma localizzata si ha l’ingrandimento vistoso di un’unica stazione linfonodale in assenza di altra sintomatologia.

All’esame istologico si evidenzia un sovvertimento della struttura del parenchima linfonodale. Sono evidenti:

follicoli B atrofici, con centri germinativi in regressione nei quali si osserva deposizione di sostanza ialina extracellulare.

Nel parenchima linfonodale interfollicolare è presente una spiccata iperplasia delle venule ad alto endotelio.

Per queste ragioni tale variante della malattia è detta ialino vascolare.

La forma sistemica colpisce pazienti HIV positivi o in età avanzata ed è generalmente sintomatica. I pazienti presentano rialzo della VES, epatosplenomegalia, anemia ed ipergammaglobulinemia..

A livello istologico sono presenti, in forma meno marcata, le stesse alterazioni della forma localizzata, inoltre è presente una intensa proliferazione di plasmacellule nel parenchima interfollicolare. Per tale ragione tale variante è nota come plasmacellulare. Nei linfonodi sono presenti alti livelli di IL-6 (utile forse per la differenziazione dei linfociti B in plasmacellule), inoltre è probabile un ruolo del virus HHV8.

Malattia di KikuchiSi manifesta come una linfoadenopatia latero-cervicale o sopraclaveare asintomatica. È più frequente nelle donne 30enni.

All’esame istologico si evidenziano focolai di necrosi apoptotica, linfociti CD8+ attivati, cellule dendritiche plasmacitoidi di tipo DC-2, e una intensa reazione istiocitaria.Le lesioni sono simili a quelle presenti in corso di LES, tanto da ipotizzare un ruolo patogenetico in entrambe le malattie delle cellule DC-2 producenti IFN-α.

Istiocitosi dei seni con linfoadenopatia massiva (malattia di Rosai-Dorfman)

Patologia rara, interessa principalmente i linfonodi latero-cervicali ma può interessare anche sedi extranodali. Età media 20 anni. I sintomi più comuni sono febbre, astenia, perdita di peso, sudorazioni notturne e manifestazioni articolari. La malattia ha generalmente un decorso benigno, rara è la manxcanza di remissione o la progressione.

All’esame istologico si nota una marcata dilatazione dei seni del linfonodo (tale da giustificare l’accentuata linfomegalia) in cui sono presenti istiociti CD68+/proteina S100+ fagocitanti i linfociti (emperipolesi).

LINFOMII linfomi sono neoplasie maligne che originano dai linfociti B, T e dalle cellule NK.

7.5% delle neoplasie maligne nell’uomo

Linfomi Hodgkin + linfomi non Hodgkin + leucemie + mielomi

6.4% delle neoplasie maligne nella donna

L’incidenza dei linfomi è particolarmente elevata nelle aree del mondo industrializzate a suggerire come tutta una serie di stimolazioni ambientali di natura inquinante possano giocare un ruolo non marginale nell’insorgenza dei linfomi. L’effetto di sommazione temporale delle mutazioni indotte da fattori ambientali insieme all’immuno-senescenza progressiva giustificano il fatto che i linfomi non Hodgkin colpiscano prevalentemente in età adulta (ad eccezione di particolari tipologie).L’incidenza dei linfomi Hodgkin ha invece un andamento diverso, mettendosi infatti in evidenza un picco di incidenza intorno ai 20 aa in entrambi i sessi. In questi pz la stimolazione ambientale può entrare nella patogenesi solo fino a un certo punto, mentre molto più significativo è il ruolo delle infezioni virali. Esistono virus oncogeni, ad esempio l’Epstein-Barr, che nonostante non siano causa diretta di linfoma, mostrano tuttavia una marcata correlazione rispetto a questa patologia.Caratteri principali dei linfomi:

- L’85% dei linfomi originano dai B e solo il 15% restante dai T, questo a ragione dei riarrangiamenti genici subiti dai linfociti B che li espongono a un rischio mutagenico molto maggiore. Le neoplasie delle cellule NK, dei macrofagi o delle cellule dendritiche (interdigitate e follicolari) esistono , ma sono molto rare.

- Circa il 70% dei linfomi sono nodali, ovvero hanno la loro prima manifestazione a livello di un linfonodo, ma esiste anche un 30% di linfomi extra-nodali. Interessante il fatto che questo rapporto è quello della popolazione normale, mentre si ribalta in soggetti con immunodeficienza (es. da HIV). È interessante perché evidenzia che nello sviluppo di linfomi extra-nodali, un ruolo cardine è giocato dalla presenza di una noxa infettiva che il soggetto immunocompetente riesce, entro certi limiti, a gestire, diversamente da quanto accade al pz immunodepresso.

- Frequente è la presenza di una traslocazione, spesso diagnostica perché specifica per un tipo di linfoma. Le traslocazioni tendono a riunire un gene codificante per la catena (pesante o leggera) delle Ig a un oncogene, facendo sì che ogni qual volta sia indotta la trascrizione delle Ig contemporaneamente sia avviata la trascrizione dell’oncogene.

In ragione di quest’ultimo punto, per l’aumentata frequenza di traslocazioni cui sono esposti linfociti cronicamente stimolati, tre sono le condizioni associate ad un’aumentata probabilità di sviluppo di linfomi:

Infezioni, es. da Epstein-Barr. Malattie autoimmuni, es. tiroidite Hashimoto. Condizioni di immunodeficienza.

A differenza di altre neoplasie originate da altri tessuti, i tipi di neoplasia che coinvolgono i linfociti sono estremamente diversi l’uno dall’altro. Questo pone il problema di classificare i linfomi secondo le direttive della WHO (la cui classificazione più recente in campo ematologico risale al 2008) alla luce soprattutto della necessità di scegliere il protocollo terapeutico più appropriato.

Oltre alla variabilità genetica e molecolare anche la presentazione clinica e l’aggressività della malattia mettono capo a una distinzione ben precisa, fondata sulla diversa velocità di proliferazione dei linfociti:

- LINFOMA INDOLENTE , tende a manifestarsi in una o più sedi linfonodali senza che il paziente percepisca la condizione di malattia (è presente solo linfomegalia). La patologia progredisce con una certa lentezza e questo contribuisce al carattere di “indolenza”.

- LINFOMA AGGRESSIVO , la patologia è rapidamente ingravescente e il paziente risente in modo significativo dello stato patologico. I linfomi nodali clinicamente aggressivi si manifestano con un rapido aumento di volume di uno o più linfonodi, spesso associato ad astenia, febbre e dimagrimento.

Il più indolente dei linfomi è la leucemia linfatica cronica, in cui il 99% delle cellule tumorali (e forse più) è in fase Go e alla luce di ciò il ritmo di progressione della patologia è estremamente basso.Prototipo dei linfomi aggressivi è invece quello di Burkitt, in cui oltre il 99% delle cellule tumorali si trova nel pieno del ciclo cellulare e l’attività proliferativa è complessivamente molto alta.

Nel tempo, naturalmente avvantaggiandosi di tecniche evolutesi negli anni, si è fatto ricorso a criteri differenti per la classificazione dei linfomi:

o CRITERIO TOPOGRAFICO l. nodali / l. extranodalio CRITERIO MORFOLOGICO piccole/medie/grandi cellule [Rappaport 1966]o CRITERIO BIOLOGICO ad origine da LB/LT/istiociti [Lukes e Collins, Lennert 1974]o CRITERIO CLINICO valutazione delle caratteristiche morfologiche delle cellule tumorali, di

quelle immuno-fenotipiche ed eventualmente analisi molecolari [Working Formulation 1982]o In genere la morfologia (soprattutto) e l’immuno-istochimica sono sufficienti a pronunciare una

diagnosi, ma esiste una percentuale di casi (inferiore al 5%) in cui queste non risultano dirimenti ed occorre quindi effettuare le indagini molecolari → CRITERIO MORFOLOGICO/ IMMUNOLOGICO/ MOLECOLARE (1994 – oggi).

Es. Un linfoma a grandi cellule anaplastiche può somigliare morfologicamente a un carcinoma metastatico, ma la ricerca di citocheratine e CD30 consente la diagnosi differenziale: le citocheratine saranno positive nei carcinomi e non nei linfomi, il CD30 sarà positivo nei linfomi e non nei carcinomi.

Diagnosi istologica e caratterizzazione biomolecolare : Esecuzione di una biopsia linfonodale con analisi delle caratteristiche macroscopiche e microscopiche. La linfadenectomia è la metodica d’elezione, fa seguito l’agobiopsia (nei casi in cui l’intervento chirurgico di asportazione del linfonodo sia controindicato). La citologia per agoaspirazione non va eseguita perché non risulta diagnostica. Si pone allora la problematica di scegliere il linfonodo da prelevare, inesistente nel caso in cui il linfonodo patologico sia unico ma critica nel caso di più stazioni linfonodali coinvolte. Un errore commesso di frequente è quello di scegliere i linfonodi inguinali (il cui rischio chirurgico è molto basso perché non aderiscono a grossi vasi) che però, drenando gli arti inferiori e la regione genitale, possono essere interessati da linfadeniti da infezioni loco regionali, senza poter quindi fornire sempre informazioni su patologie sistemiche che coinvolgano altre stazioni.Statisticamente infatti, la frequenza con cui si fa diagnosi di linfoma in seguito a linfadenectomia è:

- 75-90% per il linfonodo sopraclaveare;- 60-70% laterocervicale e ascellare;- 30-40% inguinali.

Inoltre se nella stazione linfonodale sono coinvolti più linfonodi, il chirurgo dovrà selezionare i linfonodi almeno in apparenza più significativi (es. nella scelta tra un linfonodo ingrossato adiacente a un grosso vaso e uno piccolo in prossimità del primo ma meno rischioso da prelevare, il chirurgo dovrebbe tentare l’asportazione del primo in quanto il secondo potrebbe non essere rappresentativo).

Gli organi linfatici compromessi da linfoma sono aumentati di volume, hanno un colorito biancastro e, generalmente, una consistenza molle. Negli organi extralinfatici, i linfomi possono manifestarsi come masse solide intraparenchimali o come ispessimenti e ulcerazioni della cute o delle mucose.La diagnosi istologica si basa sulla dimostrazione di una popolazione di cellule monomorfe di aspetto linfoide che possono:

Infiltrare in modo diffuso e distruggere l’architettura del tessuto o dell’organo interessato (linfoma diffuso), oppure

Proliferare formando dei noduli grazie alla preservata capacità di interagire con le cellule follicolari dendritiche (linfoma nodulare).

Di seguito se ne studia la morfologia. In primo luogo si considerano le dimensioni delle cellule neoplastiche, piccole o grandi cellule; Quindi la forma del nucleo (rotondo, inciso, irregolare); La presenza di nucleoli (centrali, marginati sulla membrana nucleare); L’abbondanza del citoplasma; Il numero di mitosi.

Per la diagnosi definitiva occorrono le colorazioni immunoistochimiche in grado di definire l’immunofenotipo delle cellule neoplastiche. Di seguito le più note (per approfondimenti tabella 1.4 pag 20)

TdT (terminal-desossi-transferasi) – permette l’identificazione dei precursori dei linfociti T e B CD79a – tutte le cellule B, escluse le plasmacellule mature CD20 – tutte le cellule B mature, escluse le cellule in differenziazione plasmacellulare CD3 – i timociti midollari e tutti i linfociti T periferici CD5 – i linfociti T, una sottopopolazione di linfociti B mantellari, le cellule B della leucemia

linfatica cronica e del linfoma a cellule del mantello CD10 – alcune forme di leucemia linfoblastica B, le cellule B del centro germinativo, le cellule B dei

linfomi follicolari CD23 – alcune cellule B mantellari normali, le cellule follicolari dendritiche, le cellule B della

leucemia linfatica cronica Ciclina D1 – le cellule B del linfoma a cellule del mantello Bcl-2 – tutti i linfociti T e B, escluse le cellule B del centro germinativo normale CD30 – una quota di cellule reticolari normali, cellule B e T attivate, cellule di Hodgkin e di Reed-

Sternberg, cellule del linfoma T e B a grandi cellule anaplastiche.

Come già detto alcuni linfomi sono identificabili per la presenza di traslocazioni cromosomiche caratteristiche. Le traslocazioni possono essere utilizzate:

come ulteriore elemento utile per la classificazione del linfoma – classificazione genotipica Come marcatore per il riconoscimento di rare cellule tumorali che abbiano resistito alla terapia, cioè

la malattia minima residua.Per evidenziare la traslocazioni si utilizza la FISH o la PCR sull’RNA estratto.

Fatta la diagnosi di linfoma (istologica), lo step successivo sarà quello di stadiare la malattia:STADIAZIONE CON TAC TOTAL BODY [criteri di Ann Arbor]

I. STADIO Compromissione di una singola stazione linfonodale;II. STADIO Compromissione di due o più stazioni linfonodali dalla stessa parte del

diaframma;III. STADIO Compromissione di linfonodi sopra- e sotto- diaframmatici e/o della milza;IV. STADIO Compromissione diffusa di uno o più organi extralinfatici (midollo osseo,

fegato, polmoni) con o senza compromissione linfonodale.Ciascuno stadio è poi diviso in A e B a seconda che siano assenti o meno sintomi sistemici quali febbre, sudorazione notturna, o perdita di peso superiore al 10% negli ultimi 6 mesi.La diffusione del linfoma non è determinata soltanto dall’aggressività della neoplasia, ma anche dalle proprietà biologiche delle cellule neoplastiche. Esse possono esprimere molecole di adesione che ne facilitano il traffico e la diffusione negli organi. Ciò spiega come alcuni linfomi clinicamente indolenti, come il linfoma follicolare o la leucemia linfatica cronica B/linfoma linfocitico a piccole cellule, si possano presentare ad uno stadio avanzato già al momento della prima diagnosi.

In aggiunta alla TAC si esegue sempre una biopsia osteo-midollare della cresta iliaca antero-posteriore per verificare se ci sia o meno compromissione del midollo osseo.

Leucemia linfatica acuta dei B

L’interessamento del midollo oesseo oscilla tra il 40 e il 55% ed è più frequente nei linfomi a basso grado.Il tipo di interessamento (pattern) può essere di vari tipi:

Diffuso Focale: paratrabecolare (come nei linfomi dei centri follicolari), sinusale (tipico del linfoma splenico

della zona marginale), nodulare, interstiziale.Un interessamento midollare nei LNH ad alto grado è raro (in quanto queste neoplasie sono cistuite da cellule che non hanno in genere la possibilità di ricircolare) e assume un significato prognostico sfavorevole.

Quindi, riassumendo, i passi da compiere sono tre:1. DIAGNOSI ISTOLOGICA2. STADIAZIONE con TAC TOTAL BODY3. BIOPSIA OSTEO-MIDOLLARE

CLASSIFICAZIONE WHO 2008 88 tra tipi e sottotipi

• I. LINFOMI DEI PRECURSORI DEI LINFOCITI B8 sottotipi molecolari• II. LINFOMI A CELLULE B MATURE41 tra tipi, sottotipi e varianti• III. LINFOMI DEI PRECURSORI DEI LINFOCITI T• IV. LINFOMI A CELLULE T / NK MATURE23 tra tipi, sottotipi e varianti• V. LINFOMA DI HODGKIN5 tra tipi, sottotipi e varianti• VI. NEOPLASIE A CELLULE ISTIOCITARIE E DENDRITICHE7 tra tipi, sottotipi e varianti• VII. MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE POST-TRAPIANTO (PTLD)3 tra tipi, sottotipi e varianti

Secondo questa classificazione, sia per LB che per LT si distinguono quindi due famiglie:

Precursori dei LB Midollo osseo

1)LINFOMI DEI PRECURSORI Midollo osseo

Precursori dei LT

Timo Linfoma timico

2)LINFOMI DEI LINFOCITI PERIFERICI

Leucemia linfatica acuta dei T

Interessano il distretto anatomico in cui si trovano i precursori

I meccanismi generali della trasformazione neoplasticaLa trasformazione neoplastica delle cellule B è un evento multifattoriale.In molti tipi di linfoma B sono presenti traslocazioni cromosomiche reciproche che causano la giustapposizione di un proto-oncogene coinvolto nella regolazione della proliferazione cellulare e/o dell’apoptosi (MYC, BCL2, ciclina D1, etc…) al locus IgH delle immunoglobuline. Ne consegue che la trascrizione dell’oncogene passa sotto la regolazione del gene delle Ig causandone un’elevata espressione costitutiva. L’effetto è quello di una stimolazione continua del ciclo cellulare e/o di una inibizione dell’apoptosi con conseguente crescita incontrollata della massa neoplastica. Le traslocazioni sono favorite dai riarrangiamenti del DNA delle immunoglobuline. Schematicamente possiamo dividere tali riarrangiamenti in 3 eventi:

1. La ricombinazione delle regioni VDJ avviene nelle cellule immature del midollo osseo e determina la specificità per l’antigene del BCR.

2. L’ipermutazione somatica delle regioni variabili avviene all’interno del centro germinativo nelle cellule stimolate dall’antigene. Questo meccanismo è in grado di agire anche su geni non immunoglobulinici.

3. Il cambio di classe delle immunoglobuline (switch isotipico) attraverso il quale si cambia la catena pesante e quindi la classe dell’anticorpo prodotto avviene nel centro germinativo.

Un’altra concausa importante di trasformazione neoplastica può essere la stimolazione antigenica. È noto infatti che alcune malattie infettive (epatite cronica da HCV, gastrite cronica da H. pylori, etc…) possano esitare in un linfoma.La crescita di un linfoma può necessitare di un microambiente favorevole che ne consenta lo sviluppo. Esempi:

Le cellule neoplastiche dei linfomi B follicolari non proliferano in vitro se non sono stimolate dai linfociti T cd4+ del centro germinativo o dalle cellule follicolari dendritiche

Nei linfomi B a cellule marginali dello stomaco la proliferazione delle cellule neoplastiche deve essere sostenuta dalle citochine prodotte dai linfociti T stimolati dall’Helicobacter pylori.

Ruolo dei virus:o EBV è presente in molti casi di linfoma di Burkitt, e in circa il 40% dei casi di

linfoma di Hodgkin. La proteina virale LMP2A è in grado di inibire l’apoptosi.o HHV8 è strettamente associato al linfoma B delle cavità sierose. La proteina virale

FLIP è in grado di attivare NF-kB.I pazienti con immunodeficienze hanno una maggiore incidenza di linfomi B. La mancanza di risposta immunitaria infatti favorisce le infezioni, siano esse virali o da patogeni opportunisti.

LINFOMI DEI PRECURSORI (Linfoma linfoblastico B / leucemia linfatica acuta B)

Per diagnosticare una leucemia linfatica acuta B occorre tener presente il percorso differenziativo delle cellule B (midollo → sangue periferico).

La maturazione e proliferazione midollare è antigene-indipendente e al tempo stesso ci sono tutta una serie di possibili marcatori antigenici della linea B che consentono di diversificare le diverse tappe differenziative. Il CD34, che a proposito della leucemia mieloide acuta era stato considerato come un marker mieloide, in effetti è marcatore di una staminale molto alta per cui, in fasi estremamente precoci, anche i precursori linfoidi possono essere positivi per il CD34.Per la diagnosi di linfoma dei precursori poi un marcatore importante è il TDT (terminal desossi trasferasi), enzima nucleare presente nei precursori normali e neoplastici delle linee B e T che rappresenta un fattore di sicura distinzione tra cellule precursori, sicuramente TDT positive, e cellule mature, sicuramente TDT negative.Per poi valutare quale linea linfocitaria sia coinvolta (B o T), andranno valutati dei marcatori della linea B: CD19, CD79a, PAX5 (leggi pax-five). Quest’ultimo è un marcatore particolarmente precoce in quanto è il

fattore di trascrizione nucleare attivato non appena il linfocita intraprende il cammino differenziativo di tipo B. La maggior parte dei casi origina dai precursori B normalmente presenti nel MO ed esprime un fenotipo simile a quello delle cellule pre-pre-B o delle cellule pre-B.

Esiste poi, nel caso delle forme B, una minoranza di casi in cui la neoplasia si manifesta a livello di un linfonodo (manifestazione linfonodosa) prima che nel sangue periferico o nel midollo osseo (manifestazione leucemica). Nel decorso della malattia di questi pazienti seguirà in un secondo momento anche la fase leucemica, così come per i pz che hanno un esordio della malattia di tipo primariamente leucemico seguirà una fase linfonodosa quando la neoplasia, avendo le cellule trasformate conservato la capacità di migrare nell’ambito dei tessuti linfatici, si sposterà anche ai linfonodi.La differenza più rilevante tra leucemia linfatica acuta B e il linfoma linfoblastico B è nella manifestazione clinica, la prima infatti è di tipo leucemico con interessamento midollare mentre la seconda è linfonodale o extranodale senza manifestazione leucemica. Va precisato che, dato che i linfoblasti sono identici sia nelle espressioni solide (linfomi) sia in quelle liquide (leucemie), è stato arbitrariamente stabilito un limite di blasti midollari superiore al 25% per una diagnosi di leucemia piuttosto che di linfoma.Si localizza ai linfonodi sopra- e sottodiaframmatici e in numerosi sedi extranodali tra le quali il SNC, le gonadi, la cute, il tratto GI, le ghiandole salivari e le ossa (come lesioni osteolitiche). Nel 60% dei casi si ha una conversione leucemica durante l’evoluzione della malattia che si associa ad una compromissione diffusa del midollo osseo.

Più recentemente, si è posta l’attenzione sul fatto che questa malattia riassuma al suo interno un gruppo di patologie diversificate, in quanto ciascuna caratterizzata da un diverso quadro di alterazioni molecolari. Il tipo di modificazione molecolare ha una diversa incidenza a seconda dell’età (forme del bambino o dell’adulto) ma condiziona anche pesantemente la prognosi e la terapia.La traslocazione t(12;21) (p13;q22) TEL-AML1 e l’iperploidia si associano ad una buona prognosi. Esiste anche la traslocazione t(1;9) (q23;p13) che codifica per la proteina di fusione E2A-PBX.

Step successivo alla diagnosi sarà quindi l’individuazione del sottotipo leucemico, classificando la patologia sulla base delle modificazioni molecolari individuate nelle cellule.

Pro-B ALL:o Esprime uno o più antigeni di linea Bo È negativa per CD10 (CALLA)o Non esprime Ig di superficie o citoplasmatiche

Common ALL:o È positiva per antigeni B e per CD10 (CALLA)o Non esprime Ig di superficie o citoplasmatiche

Pre-B ALL:o È positiva per antigeni B, per CD10 (CALLA) e per la catena μ delle IgM nel citoplasmao Non esprime Ig di superficie

All’esame istologico le cellule appaiono di medie dimensioni, scarso citoplasma, cromatina nucleare finemente dispersa e nucleoli assenti o poco evidenti. In alcuni casi la forma dei nuclei si definisce convoluta per la presenza di incisure nucleari che rendono il nucleo lobulato. Le cellule neoplastiche invadono e distruggono il tessuto infiltrato. L’attività mitotica è molto alta.

LINFOMI DEI LINFOCITI PERIFERICI

I linfomi a partenza dalle cellule periferiche possono essere: 1. pre-centro germinativo, 2. del centro germinativo e 3. post-centro germinativo.

Le diverse fasi dell’evoluzione fisiologica della cellula trovano dei corrispettivi in linfomi, diversi tra loro, che possono originare da queste cellule in diversi momenti funzionali.

1. La cellula B che ha raggiunto il linfonodo è una cellula naive, che non ha incontrato l’antigene e non ha ancora subito processi di ipermutazione (propri dell’attraversamento del centro germinativo), essa è capostipite nella leucemia linfatica cronica a cellule immutate. Questa cellula B potrà avviarsi poi alla zona marginale del follicolo ed essere capostipite di linfomi della zona marginale (prevalentemente colpiscono MALT e milza dove i follicoli presentano zone marginali particolarmente sviluppate). Nella zona mantellare invece si localizza un altro tipo di linfoma (della zona mantellare appunto) con una caratteristica traslocazione che comporta un aumento della trascrizione della ciclina D1.

2. Si arriva infine al centro germinativo vero e proprio dove si collocano i linfomi follicolari. Un ulteriore aspetto complica questo quadro: i linfomi suddetti sono tutti a piccole cellule (sinonimo di indolenza e basso ritmo proliferativo, unica eccezione il mantellare). Come in tutte le neoplasie, la malattia è tendenzialmente progressiva per cui in un’elevata percentuale di casi si ha una modificazione da linfoma indolente a linfoma aggressivo/a grandi cellule (20-30% dei casi di linfomi inizialmente indolenti). Esistono poi, e sono circa il 50% dei linfomi B periferici, linfomi che esordiscono immediatamente in maniera aggressiva ovvero sono a grandi cellule sin dall’inizio. Anche il linfoma di Burkitt ed il linfoma di Hodgkin originano dal centro germinativo.

3. Le cellule post-centro germinativo sono cellule B che hanno terminato il percorso di selezione clonale e sono in differenziazione verso la plasmacellula o la cellula B memoria. Gli antigeni MUM-1 e CD134 sono caratteristici di questa fase maturativa. Appartengono a questo gruppo di linfomi il linfoma linfoplasmacitico, il mieloma/plasmocitoma, una parte dei linfomi B a grandi cellule, una parte dei linfomi marginali e delle leucemie linfatiche croniche.

Linfoma follicolareIl centro follicolo linfatico comprensivo di :

- Centro germinativo- Zona mantellare- Regione marginale

È la sede in cui si sviluppa il maggior numero di linfomi. Il linfoma che origina dal centro germinativo (dove si realizza la selezione clonale che consente la maturazione della risposta immunitaria per rendere le Ig più affini al loro antigene) vede coinvolto le seguenti cellule:

centrociti1

centroblastiTali linfomi sono detti “centrocitici” e “ centroblastici” e sono costituiti da una commistione di questi 2 tipi cellulari. Anni fa si scopri che tali linfomi erano caratterizzata da una particolare traslocazione : la traslocazione t(14;18) (q32;q21) che consente la giustapposizione di 2 geni

sul cromosoma 14 è presente il gene catena pesante IgH sul cromosoma 18 è presente il gene BCL-2 a funzione anti apoptotica che viene iperespresso

Inizialmente si pensava che questo fosse l’evento trasformante. Casualmente si è dimostrato che soggetti che non avevano il linfoma né manifestazioni potevano presentare occasionalmente comunque questa traslocazione la traslocazione non è sufficiente, ma necessaria a indurre il linfoma Nel passaggio da cellula normale a cellula neoplastica sono implicati più meccanismi e una somma di eventi molecolari. Il microambiente del centro germinativo risulta fondamentale nella trasformazione, sia perché è qui che avvengono eventi di riarrangiamento molecolare sia perché le cellule già traslocate (nel M.O.) sono stimolate a proliferare andando incontro ad ulteriori mutazioni che ne determinano la definitiva trasformazione neoplastica.

È un linfoma nodale che si sviluppa a livello dei linfonodi periferici. Da linfoma indolente ( perché follicolare e a bassa proliferazione cellulare) più del 30 % può evolvere a linfoma a grandi cellule B. Tale progressione comporta ulteriori danni al genoma della cellula neoplastica che si stratificano ai preesistenti aumento dell’ aggressività e evoluzione da basso grado indolente ad alto grado. La malattia può comunque esordire già nelle prime cellule come linfoma a grandi cellule B con la caratteristica traslocazione.

1 I centociti sono detti tali per la presenza di una profonda incisura al nucleo

Nel centro germinativo fisiologicamente non c’è espressione di Bcl-2. Le cellule del centro germinativo sono le uniche cellule linfocitarie immature (sia B che T) che esprimono una scarsissima quantità di Bcl-2. Questo perché nel centro germinativo dobbiamo eliminare attraverso l’apoptosi tutte le cellule inadeguate. Nel linfoma follicolare dopo la traslocazione si osserva invece intensa espressione di Bcl-2 nel centro germinativo.Inoltre le cellule B oltre a esprimere CD 20, CD79a e i marcatori caratteristici della linea B hanno un marcatore che segna la fase di maturazione follicolare del centro germinativo = CD 10 tale positività è solo a livello del centro germinativo. Anche le cellule del linfoma follicolare sono CD 10 positive e questo è importante per indicarne la natura follicolare e riconoscere la presenza di cellule neoplastiche in distretti extralinfonodali.È una neoplasia rara in età < i 20 aa (rara in età pediatrica) e a livello pediatrico, generalmente interessa età media avanzata 50- 60 anni. La Sopravvivenza a 5 anni è buona, più del 50 %, e non ci sono differenze tra maschio e femmina.La traslocazione che interessa bcl-2 è presente nell’80% dei casi, ma può essere coinvolto anche Bcl-6 nel 15 % dei casi.

Aspetti morfologiciIl linfonodo è aumentato di dimensioni (>2 cm), è di colorito omogeneamente biancastro e di consistenza molle.L’architettura del linfonodo è sovvertita dalla presenza di numerosi follicoli (noduli) che ne occupano il parenchima. I follicoli non presentano la classica organizzazione in aree distinte, tipica del centro germinativo. In essi sono presenti centroblasti e centrociti neoplastici con una quota di FDC e linfociti T reattivi.I linfomi follicolari sono gli unici linfomi che hanno un grading istologico è una popolazione cellulare mista e si valuta la componente centroblastica che è quella più aggressiva distinguiamo 3 gradi:

È importante distinguere il grado 1-2 dal 3 che è quello più aggressivo. In base al grado vi è un diverso trattamento terapeutico. Nei linfomi di grado 1-2 la classificazione non è utile a fini prognostici, risultano importanti invece la quota delle cellule proliferanti Ki67+ e la cosiddetta reazione dell’ospite. È un tumore che tende a progredirePuò evolvere da nodulare a diffuso a seguito della perdita della capacità organizzativa.

Linfomi della zona marginale

InquadramentoSono descritti 3 diversi tipi di linfomi che originano dalla zona marginale:

1. Il linfoma extranodale a derivazione dal MALT2. Il linfoma splenico3. Il linfoma ad origine dai linfonodi.

I dati molecolari suggeriscono che i meccanismi patogenetici possono essere molto diversi.

Nei linfociti normalmente il citoplasma è povero ( la membrana plasmatica è addossata a quella nucleare), nei linfociti marginali invece vi è un ampio citoplasma chiaro.

Linfomi del MALTI linfomi a origine dal MALT sono i più frequenti e costituiscono circa il 7% di tutti i linfomi a cellule B. Le sedi più comuni sono lo stomaco, il polmone, la cute, l’orbita/congiuntiva, le ghiandole salivari, la tiroide e numerosi altri organi.

La sintomatologia e le modalità di presentazione dipendono dall’organo compromesso. Stomaco → si osserverà un’ ulcerazione della mucosa gastrica. Sintomatologicamente non è diversa

da quella provocata da un carcinoma gastrico o da Hp (problemi digestivi e dolore epigastrico) è necessario un studio istologico per differenziare le varie forme.

Polmone → sintomatologia aspecifica Tiroide → gozzo associato ad ipotiroidismo

Tali linfomi tendono a rimanere localizzati nell’organo d’insorgenza per lunghi periodi di tempo prima di diffondere in altre sedi.

Patogenesi

Almeno 2 eventi hanno un ruolo determinante nel processo di trasformazione neoplastica delle cellule B marginali:

1. Stimolazione antigenica protratta nell’organo interessato dal linfoma2. Presenza di alterazioni genetiche specifiche quali:

o t(11;18) (q21;q21) API2-MALT1, o t(14;18) (q32;q21) IGH-MALT1, o t(1;14) (p22;q32), IGH-BCL10o t(1;2) (p22;p12)o Trisomia del cromosoma 3o Trisomia del cromosoma q8o Delezione di p16

1. In alcuni organi non c’è tessuto linfatico strutturato (tiroide, stomaco, etc…). Il tessuto linfatico si forma a seguito di una risposta immunitaria che può essere:

o nei confronti dell’agente infettivo Es. : HP nello stomaco gastrite cronica che evolve in una piccolissima % dei casi in linfoma a partire dai linfociti contro HP

o nelle malattie autoimmuni Es : tiroiditi il linfoma origina dai linfociti contro l’autoantigene

L’attivazione della risposta immune porta alla proliferazione delle cellule del sistema immunitario con un aumento della probabilità di sviluppo di mutazioni e conseguente sviluppo di linfoma.

Nel linfoma gastrico c’è una prima fase di proliferazione di cellule policlonali B indotta dai linfociti T attivati da HP. Si ha quindi gastrite cronica atrofica dalla proliferazione policlonale di cellule B antigene-specifica si passa poi a proliferazione monoclonale a seguito dell’acquisizione di mutazione e traslocazioni caratteristiche.

In alcuni casi se somministriamo una terapia antibiotica eradicante, il linfoma del MALT regredisce. Infatti l’eliminazione di Helycobacter pylori porta alla cessazione dello stimolo per la proliferazione linfocitaria. Questa è stata la prima evidenza che nell’ambito delle malattie linfoproliferative la “proliferazione autonoma delle cellule con perdita del controllo omeostatico indipendente dall’ambiente” (definizione stessa di tumore) non è un concetto sempre valido. In altri casi la terapia antibiotica eradicante non sortisce effetto, questo perché ormai i meccanismi di trasformazione neoplastica sono andati avanti ed il linfoma prolifera anche in assenza di Hp. Si è passati quindi da una fase Antigene-DIPENDENTE ad una Antigene-INDIPENDENTE.

Sono stati individuati i protagonisti molecolari e in particolare il trimero coinvolto è CARMA 1-BCL10-MALT1 che si trova lungo il cammino di trasduzione del segnale che va dal BCR al nucleo. La presenza del trimero è correlata all’attivazione di Nf-kB.

Linfoma splenico e linfoma ad origine dai linfonodiIl linfoma splenico si presenta generalmente con splenomegalia, compromissione del midollo osseo ed interessamento leucemico del sangue periferico.

Il linfoma della zona marginale a origine dal linfonodo è più aggressivo in quanto tende a presentarsi in uno stadio più avanzato ed evolve in un linfoma diffuso a grandi cellule B con maggiore frequenza (10-20% dei casi) rispetto ai linfomi marginali splenici o del MALT.

PatogenesiI linfomi della zona marginale della milza e del linfonodo non hanno le traslocazioni cromosomiche osservate nei linfomi del MALT, ma possono mostrare altre alterazioni genetiche aspecifiche. Nei pazienti con linfoma B marginale del linfonodo è spesso presente una infezione da HCV.

Aspetti comuniNel 10-20% dei casi i linfomi della zona marginale possono evolvere in linfomi diffusi a grandi cellule B. I 2 aspetti morfologici, a piccole e a grandi cellule possono coesistere.Le cellule B dei linfomi della zona marginale sono definite:

centrocito-simili in quanto hanno un nucleo leggermente indentato che ricorda quello dei centrociti o monocitoidi se hanno un citoplasma più abbondante come nel caso dei linfomi marginali del

linfonodo. Si possono vedere immunoblasti isolati, quando diventano prevalenti significa che il tumore ha virato verso tumore a grandi cellule. Nel tessuto neoplastico possono essere presenti numerosi centri germinativi reattivi.Un’altra caratteristica sono le lesioni linfoepiteliali, in cui le cellule B neoplastiche infiltrano l’epitelio dell’organo interessato inducendone l’atrofia. Sono colorabili con la citocheratina. Se le cellule tumorali maturano fino a diventare plasmacellule si osserva una iperproduzione di Ig → picco monoclonale (monoclonale perché tutte le cellule sono tumorali e producono la stessa Ig) nel sangue periferico. diagnosi differenziale con il mielomaLe cellule B marginali esprimono IgM, CD20 e CD79a.Le traslocazioni che si osservano quando il trigger è la risposta immunitaria contro un batterio non sono le stesse che si osservano nel corso di malattie autoimmuni. Non c’è una spiegazione certa di ciò. È possibile che quando c’è un infezione batterica c’è un richiamo di neutrofili nella lesione, i quali rilasciano sostanze ossidanti che provocano un danno tossico sul DNA a differenza delle patologie autoimmuni in cui i neutrofili sono assenti.

I linfomi del MALT dei diversi organi potrebbero essere innescati da meccanismi patogenetici diversi che convergerebbero sugli stessi pathway di trasformazione.

Leucemia linfatica cronica B/Linfoma a piccoli linfociti BPatologia di tipo B indolente. Spesso è il frutto di un riscontro occasionale all’emocromo che rivela una linfocitosi nel sangue periferico. I linfociti elevati possono essere To B. Normalmente i linfociti T sono l’85%, i B il 15% → nel caso di questa leucemia più del 90 % sono B! Altra caratteristica delle cellule neoplastiche è l’espressione del CD5 (con citofluorimetria) che normalmente è espresso dai linfociti T. Il linfoma a piccoli linfociti B e la leucemia linfatica cronica B sono 2 presentazioni cliniche distinte della stessa malattia.La malattia consiste in una proliferazione neoplastica di linfociti B maturi CD5+/CD23+ che infiltra il midollo osseo ed il sangue periferico (leucemia) od origina dai linfonodi (linfoma).

• Pazienti di età media o avanzata• Asintomatici, o modesta epatosplenomegalia e micro-poli-linfoadenopatia (molti linfonodi piccoli

aumentati di dimensione), disturbi immunologici (immunodeficienze). In genere è una patologia indolente anche se in alcuni casi si presenta in maniera aggressiva.

• L’analisi molecolare ha consentito di identificare 2 forme di LLC-B:– Indolente. È la forma più diffusa, le cellule neoplastiche sono assimilabili ai linfociti B

memoria post-centro germinativo. Hanno IgH mutate, ZAP-70 -, CD38-, con una sopravvivenza media superiore ai 10 anni

– Aggressiva. Le cellule neoplastiche sono di tipo pre-centro germinativo. Hanno IgH non-mutate, ZAP-70 + e CD38 +.

• In una minoranza di casi evolve in forme più aggressive: leucemia pro-linfocitica o linfoma diffuso a grandi cellule (sindrome di Richter)

PatogenesiPercorso di evoluzione multistep.

Inizialmente si avrebbe una modificazione in un singolo linfocita B normale che lo renderebbe particolarmente suscettibile alla stimolazione antigenica.

Nella fase successiva un ristretto numero di antigeni in grado di interagire col BCR di quel linfocita ne induce l’espansione clonale. La natura degli antigeni coinvolti non è nota.

o L’aggressività della neoplasia è correlata alla stimolazione antigenica. Più il BCR va incontro a riarrangiamenti meno sarà affine agli antigeni, il risultato è un rallentamento della proliferazione. È per questa ragione che i linfomi derivanti dalle cellule pre-centro germinativo sono più aggressivi.

In uno stadio successivo si possono verificare alcune alterazioni genetiche che sanciscono il passaggio da cellula normale a neoplastica. Di solito tali alterazioni riguardano la resistenza all’apoptosi. La delezione 13q14.3 è presente nel 50% dei casi. In tale regione sono codificati 2 microRNA (miR-15a e miR-16-1) in grado di inibire la traduzione dell’mRNA di Bcl-2. Probabilmente p53 è coinvolta nella delezione 17p13 ed ATM nella delezione 11q22-23.

Aspetti morfologiciNelle biopsie midollare si osserva un aumento della capillarità e le cellule sono identiche a un piccolo linfocita maturo normale, la maggior parte delle cellule è in G0 . Nel 75% dei casi le strutture del linfonodo sono completamente obliterate dalla popolazione neoplastica, nel rimanente 25% sono ancora parzialmente riconoscibili.L’espansione proliferativa della popolazione avviene in alcune strutture caratteristiche definite centri chiari di accrescimento o centri di proliferazione pseudofollicolari. Esse sono delle aree nodulari di colorito più chiaro composte da pro-linfociti, centrociti ed immunoblasti proliferanti.Per definire la natura neoplastica delle cellule va studiato l’immunofenotipo. Le cellule esprimono CD19, CD5 e CD23 mentre hanno bassi livelli di espressione di IgM ed IgD di membrana e di CD20 e di CD79a.La catena leggera espressa sulla superficie dalle cellule è o di ti tipo λ o di tipo κ, mentre nei fisiologici processi reattivi le 2 catene leggere sono equiespresse.

Esiste una quota di pz che hanno linfocitosi B monoclonali che farebbero pensare a una malattia neoplastica e invece si ha negatività nel midollo. È come se fosse una neoplasia benigna che non acquisisce mai caratteri di progressione e malignità.

Quadro istologicoL’interessamento midollare è caratteristico della forma leucemica,mentre nel corso della forma linfoma tosa l’infiltrato midollare è più raro.Piccoli linfociti unitamente a pro linfociti (taglia>linfocito con cromatina dispersa e macronucleo) costituiscono la popolazione neoplastica, Il pattern di infiltrazione può essere nodulare, linfonodale e diffuso, con peggioramento prognostico dalla prima all’ultima modalità di presentazione.Una caratteristica del sangue periferico è quella di presentare, nell’ambito della linfocitosi, elementi avariati per la loro fragilità (ombre di Gumprecht).

DecorsoE’ una patologia generalmente indolente, ma difficilmente eradicabile.La sopravvivenza media è di 7 anni.Tra i fattori prognosi da aggiungere la presenza di specifiche alterazioni cromosomiche (trisomia 12,delezione 11q e 17p condizionano una prognosi peggiore).Vanno infine ricordate alcune progressioni di malattia che hanno significato prognostico infausto, con sopravvivenza inferiore ad un anno:

Trasformazioni prolinfocitoide: avviene nel 15% dei pazienti, si presenta con citopenia, splenomegalia e una quota di pro linfociti nel sangue periferico che supera il 10%;

Sindrome di Richter; avviene nel 5% dei pazienti, si presenta con organomegalie addominali per insorgenza di LNH-B a grandi cellule (50% stesso clone della LLC/LML; 50% nuovo tumore).

Lo stato di immunodeficienza può facilitare l’insorgenza di un secondo tumore non ematologico (tumore solido).

Linfoma linfoplasmacitico / Macroglobulinemia di Waldenstrom

Aspetti cliniciÈ un linfoma relativamente raro con caratteristiche cliniche simili al linfoma a piccoli linfociti B. Le localizzazioni più comuni si hanno nei linfonodi, nella milza, nel sangue periferico e nel midollo osseo.I sintomi più comuni sono conseguenti alla sostituzione delle cellule ematopoietiche del midollo con le cellule neoplastiche:

Anemia → affaticamento e dispnea Trombocitopenia → epistassi, sanguinamento gengivale Leucopenia → infezioni croniche, polmoniti

Altri sintomi possono essere dimagrimento e sudorazioni notturne. Nel 10% si evidenzia emolisi dovuta ad agglutinine a freddo (crioglobuline), delle IgM che si legano ai globuli rossi a T < 37 °C.Subentrano in seguito sintomi specificatamente legati all’iperviscosità, quali:

Coagulopatie, poiché le IgM legano si legano ai fattori della coagulazione Fenomeno di Reynaud ed orticaria a frigore Disturbi a carico del SNC, quali ronzii e cefalea, da rallentato flusso nei vai di piccolo calibro; Deficit del visus, da sovradistensione e tortuosità dei vasi retinici

Solo il 25-30% dei pazienti è asintomatico al momento della diagnosi.Le cellule neoplastiche producono IgM che si accumulano nel sangue provocando una macroglobulinemia.La macroglobulinemia di Waldenstrom è definita come l’associazione tra linfoma linfoplasmocitico e IgM circolanti > 3g/dL.Nel 15-20% dei casi la malattia esordisce con una linfoadenopatia. Nel 10-20% dei pazienti è presente splenomegalia. In alcuni casi la malattia esordisce con una compromissione ematica e midollare che precede la diffusione nella milza e nei linfonodi. L’evoluzione verso il linfoma a grandi cellule B è rara.

PatogenesiLa cellula da cui origina il linfoma è una cellula B matura con i geni della regione variabile (VH) ipermutati, ma privi di variazioni intraclonali e switch isotipico. Lo switch isotipico non è consentito dalla mancanza

della citosin-deaminasi. Nel 90% dei casi le cellule neoplastiche utilizzano le regioni variabili di un’unica famiglia (VH3) avvalorando l’ipotesi di una stimolazione antigenica iniziale.

Aspetti morfologiciI linfociti che infiltrano i linfonodi hanno un fenotipo maturo e mostrano una iniziale differenziazione plasmacitoide. Alcuni elementi accumulano Ig nel citoplasma (corpi di Russell) o nel nucleo (corpi di Dutcher). Si associano numerosi mastociti.Le cellule hanno IgM citoplasmatiche ristrette per le catene leggere, l’attività mitotica è bassa. Le cellule sono CD19, CD20 e CD79a positive mentre non esprimono CD5, CD23 e CD10.

Linfoma a cellule del mantello Generalmente, la malattia esordisce in uno stato avanzato con una linfoadenopatia generalizzata, spesso sono presenti localizzazioni anche in sedi extralinfonodali, quali ad esempio la milza, il fegato ed il tratto GI. In quest’ultimo caso può dare origine alla POLIPOSI INTESTINALE MULTIPLA LINFOIDE, dovuta alla proliferazione cellule linfoidi mantellari a livello della mucosa.Il 25-30% dei pazienti ha una compromissione del sangue periferico e del MO alla diagnosi. È un linfoma dei soggetti anziani sopra i 60 anni ed è più frequente nei maschi. Il linfoma a cellule del mantello ha una prognosi pessima.

PatogenesiQuesti linfomi hanno la caratteristica traslocazione t(11;14) (q13;q32) che giustappone il gene delle IgH al gene della ciclina D1, una molecola a localizzazione nucleare coinvolta nella proliferazione cellulare.

Aspetti morfologici Per la diagnosi è necessario dimostrare l’eccesso di ciclina D1 nei nuclei delle cellule neoplastiche mediante colorazione immuistochimica. La ciclina D1 è presente anche nelle cellule normali ma la sua quantità è al di sotto della soglia di colorazione → troppo poca per essere visibile. Tale metodica può essere utile anche per riconoscere la presenza di cellule neoplastiche in altri tessuti. In alternativa si può dimostrare la presenza della traslocazione mediante FISH o PCR.Esistono principalmente 3 varianti morfologiche del linfoma a cellule del mantello:

La principale possiede cellule di piccole-medie dimensioni, con scarso citoplasma e nuclei dal contorno irregolare con cromatina finemente dispersa.

La seconda è costituita da cellule blastiche, simili a quelle di una leucemia acuta La terza è costituita da cellule grandi e pleomorfe simili a quelle di un linfoma a grandi cellule

diffuso.Nelle fasi iniziali della malattia il linfoma tende a conservare la struttura nodulare che ricorda la fisiologica architettura delle cellule del mantello. Successivamente le cellule neoplastiche invadono il linfonodo in modo diffuso. La variante clinica aggressiva è detta blastoide.L’elemento che ci permette di capire il grado di aggressività della patologia è la quota di cellule in proliferazione. Nella fase indolente la percentuale è bassa, pian piano che cresce l’aggressività cresce anche tale percentuale.Il 75% dei linfomi mantellari è costituito da cellule B naive con IgH non mutate, derivano cioè da cellule non ancora esposte ai processi di riarrangiamento del centro germinativo. Il 25 % presenta cellule con IgH mutate ma con un numero di mutazioni inferiori rispetto ai linfomi follicolari.Le cellule del linfoma mantellare sono CD19, CD20, CD22, CD79a e CD5 positivi, esprimono IgM o IgD.

Linfoma a grandi cellule BComprende il 40% dei casi di linfoma diagnosticati. Nel 75% dei casi si presenta come una malattia sistemica, al III-IV stadio. Possono inoltre essere presenti sintomi sistemici (astenia, febbre e dimagrimento). Nel 75-80% dei casi la chemioterapia induce una remissione completa.La prognosi del paziente è determinata da diversi fattori compresi nell’International non-Hodgkin lymphoma Prognostic Factors Index (IPI):

Età del paziente (> o < di 60 anni) Stadio del linfoma Numero di siti extranodali compromessi Performance status del paziente Livelli sierici di LDH

Tuttavia nell’indice IPI non viene considerato il profilo molecolare delle cellule. In base a quest’ultimo parametro esistono 2 tipi di linfomi:

Linfomi “buoni” presentano cellule con caratteristiche simili a quelle delle cellule del centro germinativo in termini di espressione genica. “Germinal Centre B type” = sottotipo di linfoma a grandi cellule a prognosi favorevole

Linfomi “cattivi” “ non Germinal center B type” o “activated B cell type” con caratteristiche cellulari più simili a quelle delle cellule post-centro germinativosono cellule attivate in differenziazione verso la plasmacellule: cellule più simile a immunoblasto (plasmablasto). Questi linfomi sono a prognosi peggiore.

Per distinguere i 2 tipi di linfoma si può fare ricorso all’immunoistochimica marcando: CD10 BCL6 tipici delle cellule del centro germinativo MUM1 colora le cellule attivate

Quindi la sopravvivenza cumulativa calcolata in base all’IPI è di fatto un valore intermedio tra i 2 tipi di linfoma.

PatogenesiQueste neoplasie derivano da cellule B esposte all’antigene nei centri germinativi. Non si osserva una traslocazione caratteristica ma possono essere presenti più alterazioni genetiche.Le traslocazioni più frequenti coinvolgono BCL-6 causandone un aumento della trascrizione, che provocherebbe un arresto maturativo e conferirebbe un vantaggio proliferativo. BCL-6 codifica per un repressore che impedisce la differenziazione del linfocita B verso una plasmacellula o una cellula memoria.BCL-6 potrebbe anche provocare una riduzione della p53.Altre mutazioni sono BCL-2, c-MYC, FAS, p53 e REL, e la traslocazione t(14;18). Le cellule con t(14;18) e traslocazioni di c-MYC sono dette cellule “double hit” e presentano prognosi sfavorevole. In molti casi i linfomi diffusi a grandi cellule rappresentano un punto di evoluzione di molti linfomi a piccoli cellule B, tuttavia possono anche già esordire come tali.

Aspetti morfologiciLe cellule neoplastiche sono di grandi dimensioni e possono assumere aspetti morfologici diversi (centroblastico, immunoblastico, T-cell rich o anaplastico). L’indice mitotico è elevato, possono essere presenti aree di necrosi e l’architettura del linfonodo è sovvertita.

Linfoma di BurkittÈ un linfoma a cellule B particolarmente diffuso in Africa. Tende a colpire ossa mascellari e mandibolari. Attualmente si riconoscono 3 forme della malattia:

La forma endemica, presente in Africa subsahariana La forma sporadica : quello occidentale, si localizza più frequentemente nei linfonodi (soprattutto

laterocervicali) e nell’ileo terminale → sintomatologia intestinale di tipo ostruttivo per crescita ”a manicotto” delle cellule tumorali. Altri organi interessati sono l’orofaringe, i reni, i surreni, i testicoli, le ovaie, il fegato ed il midollo osseo.

La forma associata ad HIV, che colpisce pazienti in AIDSLa neoplasia origina da linfociti B simili a quelli dei centri germinativi. Ha un’altissima attività proliferativa (il 99% delle cellule è continuamente in ciclo) che giustifica il rapido accrescimento della massa tumorale che infiltra organi e tessuti.Il burkitt inoltre :

compromette precocemente molti linfonodi quindi si osserva sviluppo di linfoadenopatia sistemica compromette il midollo.

Questa Patologia in passato era gravissima, oggi invece si guarisce grazie a chemoterapie particolarmente aggressive ma che portano a guarigione completa purchè la diagnosi sia veloce e siano rispettati i protocolli adeguati.

PatogenesiNel 95% dei casi di Burkitt endemico le cellule neoplastiche sono infettate da EBV, l’infezione è presente nel 30-40% dei casi associati ad HIV e nel 20% delle forme sporadiche.Secondo la teoria “ hit and run” EBV ha un ruolo patogenetico sempre ma

In alcuni casi rimane nelle cellule tumorali e continuo a poterlo rilevare In altri casi il sistema immunitario eradica l’infezione quando ormai il virus ha posto le basi per la

trasformazione neoplastica.Questa teoria spiega la maggiore incidenza dell’infezione nella forma endemica. In Africa subsahariana, infatti, l’infezione malarica e le condizioni di vita compromettono la risposta immune.La traslocazioni caratteristiche coinvolgono l’oncogene c-MYC presente sul cromosoma 8, che si giustappone ai geni che codificano per le catene leggere κ e λ (t(8;22) e t(2;8)) o pesanti IgH (t(8;14)(q24;q32))→ questo comporta un eccesso di myc nelle cellule tumorali.MYC è un fattore di trascrizione nucleare coinvolto nella regolazione del metabolismo energetico, della sintesi proteica, della progressione del ciclo cellulare e dell’apoptosi.L’oncogene c-MYC traslocato può andare incontro a mutazioni causate dal meccanismo di ipermutazione somatica attivo sul gene IgH. Nel 20% dei casi di linfoma di Burkitt Myc ha la mutazione T58 che le impedisce di attivare Bim, una proteina che induce apoptosi attraverso l’inibizione di bcl-2. In questi casi le cellule proliferano ma non vanno in apoptosi.Nel 30-40% dei casi c-MYC non è mutato ma sono inattivati altri meccanismi di apoptosi (blocco p53, etc…).Quindi nella patogenesi del linfoma :

1) Aumenta la trascrizione di Myc= fattore di trascrizione nucleare che promuove la proliferazione cellulare e

2) contemporaneamente si osserva un secondo tipo di danno per cui si blocca l’apoptosi o si interferisce con p53 meccanismo che giustifica altissima attività proliferativa.

Aspetti morfologiciEsistono 2 tipi di linfoma di Burkitt:

Linfoma di Burkitt tipicoLe cellule sono di medie dimensioni, con nuclei rotondi e nucleoli multipli, vacuoli perinucleari caratteristici, ampio citoplasma basofilo e a limiti indistinti che conferisce alla neoplasia un aspetto sinciziale. La neoplasia infiltra diffusamente l’organo bersaglio.Sono presenti macrofagi a citoplasma chiaro che contengono corpi tingibili (residui nucleari di cellule fagocitate). Essi sono interspersi fra le cellule neoplastiche donando alla lesione un aspetto “a cielo stellato”.

Linfoma di Burkitt atipicoCellule con caratteristiche morfologiche simili a quelle dei linfomi a grandi cellule, ma che hanno un alto indice mitotico ed un aspetto a cielo stellato. Rispondono meglio ai protocolli di trattamento per il linfoma di Burkitt che per il linfoma a grandi cellule.

Mieloma e proliferazioni plasmacellulari

Aspetti cliniciIl mieloma multiplo è una neoplasia maligna delle plasmacellule a localizzazione midollare. Colpisce soggetti in età media o avanzata e causa il 20% dei decessi per leucemia/linfoma. Mediana di sopravvivenza di 3 anni.Le plasmacellule neoplastiche possono conservare la capacità di produrre immunoglobuline complete (che nel 60% dei casi sono IgG, nel 20% IgA) o soltanto la catena leggera κ o λ (proteina di Bence-Jones). Le Ig sono monoclonali e facilmente dosabili nel siero e/o nelle urine.Generalmente si ha una evoluzione della malattia di questo tipo:

MGUS (Monoclonal Gammopathy of Uncertain Significance)↓

Smouldering Myeloma o Mieloma Occulto/Asintomatico↓

Mieloma multiplo intra-midollare↓

Mieloma multiplo extra-midollare/Leucemia plasmacellulare

La MGUS è considerata una condizione premaligna, è una condizione presente nel 3% dei soggetti con età > 70 anni. I pazienti sono asintomatici. I criteri diagnostici sono:

Assenza di sintomatologia Ig monoclonale sierica < 3 g/dL Assenza di BJ nelle urine Numero di plasmacellule nel midollo osseo < 10%

La progressione a MM è dell’1% annuo.I pazienti con Mieloma Occulto sono asintomatici ma presentano Ig monoclonale sierica > 3g/dl e numero di plasmacellule nel midollo > 10%.I pazienti con Mieloma multiplo intramidollare sono sintomatici, presentano Ig monoclonale sierica > 3g/dl e numero di plasmacellule nel midollo > 30%. I sintomi possono essere divisi a seconda della causa in 3 categorie:

1. Da infiltrazione d’organoo Osso – osteolisi, fratture, ipercalcemia che può dare sintomi a carico del SNC (apatia,

confusione, letargia)o Midollo emopoietico – citopenia (soprattutto anemia)

2. Da componente M siericao Iperviscosità (specie IgA e IgG3) – coagulopatieo Proteine BJ e amiloide (catene leggere in forma β-fibrillare) – insufficienza renale, amiloidosi

ALo Deposizione M su mielina – neuropatie periferiche

3. Da deficit immunologicoo Infezioni (soprattutto UTI)

Nelle fasi più avanzate della malattia (Mieloma multiplo extramidollare), le plasmacellule metastatizzano causando proliferazioni nei tessuti molli (milza, fegato, linfonodi, cute, reni e polmoni) o una leucemia plasmacellulare (quota > 20% di plasmacellule nella formula leucocitaria).

PatogenesiLe plasmacellule neoplastiche derivano da plasmoblasti post-centro germinativo che hanno completato con successo il processo di ipermutazione somatica indotto dall’antigene, hanno effettuato il cambiamento (switching) della catena pesante (da IgM ad IgG), ed infine sono migrati nel midollo osseo dove si sono differenziati in plasmacellule mature.Non è stato identificato un unico meccanismo responsabile della trasformazione neoplastica.Sia nella MGUS che nel MM si riscontrano con una frequenza ingravescente, alterazioni cromosomiche e biomolecolari che derivano da errori instauratosi nei linfociti B durante i processi di riarrangiamento del DNA.In meno del 30% dei casi il cariotipo è iperdiploide, negli altri casi sono presenti traslocazioni (dette primarie) che causano la giustapposizione del gene delle Ig con 1 di 5 partner cromosomici che sono:

4p16 (MMSET e FGFR3) 6p21 (ciclina D3) 11q13 (ciclina D1) 16q23 (c-MAF) 20q11 (MAFB)

Le alterazioni genetiche causano, sia direttamente che indirettamente, un aumento dell’espressione delle cicline che renderebbero le plasmacellule più responsive agli stimoli proliferativi presenti nel midollo osseo.

L’iperproliferazione facilita l’insorgenza di traslocazioni secondarie che non interessano il locus delle Ig e che sono comuni a tutti i tumori, come quelle che interessano c-MYC, K- ed N-RAS, p53, RB. Le traslocazioni secondarie non si osservano nei casi delle MGUS o di mieloma iniziale.Nella patogenesi del mieloma si ritiene abbia un ruolo importante il microambiente midollare. In particolare:

Si genera un’elevata secrezione di IL-6 e di altri fattori attivanti la proliferazione e inibenti l’apoptosi Aumenta la rete vasale midollare per incrementata secrezione di fattori angiogenetici (VEGF) Si instaura riassorbimento osseo per attivazione degli osteoclasti tramite il recettore RANK (che

attiva NF-kB), e le citochine IL-6, IL-1α, IL-1β, IL-11, MIP-1α, M-CSF, etc…

Aspetti morfologiciLe lesioni osteolitiche si osservano prevalentemente nello scheletro assiale. La diagnosi si pone su frustolo ottenuto tramite agobiopsia della cresta iliaca posteriore.L’esame del midollo rivela un’aumentata quota plasmacellulare (>10%), con disposizione interstiziale, nodulare o diffusa.Esistono 4 varianti morfologiche del mieloma:

1. Forma matura. Le cellule neoplastiche hanno un fenotipo simile alle plasmacellule mature. Hanno nucleo eccentrico con cromatina disposta a ruota di carro, citoplasma basofilo con un alone chiaro in corrispondenza dell’apparato di Golgi. L’alterata sintesi di Ig può accompagnarsi ad alterata secrezione, con aspetti cellulari polimorfi conseguenti all’accumulo:

Minuti globuli citoplasmatici con aspetto “morulare” (cellule di Mott); Macroglobuli singoli (corpi di Russell); fibrille e microcristalli citoplasmatici; cellule con

citoplasma rossastro “a fiamma” per accumulo di glicogeno (MM ad IgA) Accumulo di Ig intranucleare (corpi di Dutcher)

2. Forma plasmoblastica. Le cellule sono più grandi ed hanno un evidente nucleolo centrale.3. Forma anaplastica. Le cellule sono molto grandi ed indifferenziate4. Forma microcellulare. Le cellule sono simili a quelle del linfoma linfoplasmocitico.

L’immunoistochimica consente di osservare il restringimento clonale delle plasmacellule e di marcarle. Le plasmacellule sono CD138, CD38 e CD56 positive. CD38 e CD56 sono markers di adesione allo stroma.L’esame istologico può inoltre dimostrare:

Fibrosi stromale ed attività osteoclastica → prognosi sfavorevole Neogenesi vascolare → i derivati della talidomide, con effetto antiangiogenetico, sono efficacemente

utilizzati in terapia. Insorgenza di mielodisplasia post-chemioterapia

I danni a livello renale sono la conseguenza dell’elevata quantità di Ig monoclonale che attraversa il filtro glomerulare (grosso rene bianco da mieloma). Si ha:

Accumulo di proteina a livello della membrana basale glomerulare (glomerulonefrite membranosa) Danno tubulare dovuto al riassorbimento dell’eccesso di proteina filtrata Danno interstiziale causato dalla flogosi cronica dovuta alla presenza di materiale nell’interstizio,

derivante dalla rottura dei tubuli contenenti cilindri proteici.

Linfoma di HodgkinDescritto dal dottor Hodgkin come “linfogranuloma maligno” perché le lesioni erano simili a granulomi infiammatori però “maligno” perché mortale. In seguito si è compreso che la malattia è una neoplasia delle cellule B post-centro germinativo.

La peculiarità del linfoma di Hodgkin consiste nel fatto che le grandi cellule neoplastiche, anche definite cellule di Hodgkin (H) e di Reed-Sternberg (RS) costituiscono una quota marginale delle cellule presenti nella lesione. Ciò deriva dal fatto che le cellule H ed RS hanno la capacità di produrre citochine e chemochine che attraggono una ricca popolazione di cellule reattive:

Linfociti CD 4 + (in primis) Linfociti T regolatori FoxP3+, Macrofagi Eosinofili Plasmacellule

Le cellule di H/RS costituiscono il 3-5 % della lesione mentre le altre cellule normali reattive sono ben il 95%! Questo rende complesso lo studio delle cellule neoplastiche.Le cellule H/RS esprimono intensamente l’antigene di attivazione CD30. Questo antigene è espresso anche da altre cellule, per es. un immunoblasto T o B ma le cellule tumorali lo esprimono in maniera costitutiva. Caratteristica è anche l’espressione anche di CD15 antigene normalmente espresso dalle cellule della linea mieloide. Inoltre:

Nel 15% dei casi possono esprimere debolmente anche CD20 ( ma è per lo più negativo), CD4, CD3, mentre sono CD8 e CD79a negative, non esprimono antigeni T. Per questo in passato erano definite di tipo “nullo”(non si riusciva a identificare il la loro natura). Utilizzando marcatori più specifici quali fattori trascrizionali nucleari della linea B si è scoperta la loro natura.

Isolando ciascuna cellula e andando ad analizzare l’espressione delle immunoglobuline si è visto che tutte esprimono il medesimo riarrangiamento JDV come si osserva in tutte le cellule neoplastiche.

La dimostrazione dell’espressione del CD30 ha anche consentito di riconoscere che esistono almeno 2 diverse entità clinicopatologiche nell’ambito del linfoma di Hodgkin:

Il linfoma di Hodgkin classico, in cui le cellule neoplastiche sono CD30+ , CD20 e CD79a -; Il linfoma di Hodgkin a predominanza linfocitaria di tipo nodulare, in cui le cellule neoplastiche,

definite cellule Lymphocyte & Histiocyte (L/H) sono CD30 -, CD20 e CD79a +. Non è mai associato ad EBV.

Particolare è sia la distribuzione per età che per aree geografiche: Nei paesi asiatici (India, Iraq) la patologia è frequente nei bambini tra i 3 e i 10 aa. La forma

pediatrica è associata nel quasi 100% all’infezione del virus EBV. In occidente l’H. pediatrico è rarissimo ma abbiamo un picco di H. tra i 20 e i 30 aa per poi cadere e

un secondo nuovo rialzo si osserva intorno 60 curva bipolare in termini di incidenza. In questi paesi la percentuale di H. EBV positivi giovanile è molto bassa (<20%) mentre nell’H. senile più aumenta l’età del soggetto, più aumenta la frequenza di casi EBV positivi . Tale fenomeno è probabilmente dovuto al fatto che:- Nei bambini vi è una condizione di immaturità del sistema immunitario, mentre- Negli anziani la causa sarebbe l’immunosenescenza.

Studi epidemiologici hanno dimostrato che nei paesi con H. pediatrico molto presente i bambini contraggono EBV già nel 1°-2° anno di vita (come visto dalla sierologia).Negli adulti occidentali la presenza del virus è altissima ma l’infezione non viene contratta in età pediatrica bensì in età adolescenziale e la patologia correlata è la mononucleosi infettiva (chiamata “kiss disease” per la modalità di trasmissione). Tuttavia spesso l’infezione passa del tutto inosservata, normalmente dà una orofaringite non diversa da quelle data da altri virus, altri sintomi sono prurito, astenia e febbricola.Quindi solo una scarsissima percentuale manifesta la mononucleosi e quindi è consapevole di aver contratto il virus (è una malattia più invalidante, caratterizzata anche da splenomegalia). Perché un individuo sviluppi mononucleosi anziché orofaringite non è noto, probabilmente ciò è correlato alla diversa capacità di rispondere all’insulto infettivo. In effetti chi sviluppa mononucleosi infettiva ha un rischio più elevato rispetto alla popolazione normale di sviluppare il linfoma.Dunque sarebbero particolari circostanze di immunodeficienze generale o di incapacità di innescare la risposta del sistema immunitario contro EBV a contribuire allo sviluppo del linfoma.Non è noto l’ altro agente potenziale agente che indurrebbe lo sviluppo del LH nei casi EBV negativi. Anche in questo caso è supposto un meccanismo “HIT and RUN”. Oggi la rilevanza patogenetica del virus EBV si ritiene legata alla proteina virale LMP1 che ha un effetto trasformante sulle cellule linfoidi.

È il linfoma che meglio risponde alla terapia (una delle poche in ambito oncologico)80-90% guarisce completamenteLa forma più comune in Italia (giovanile) si caratterizza per un'unica stazione linfonodale compromessa che è spesso sovra diaframmatica. I linfonodi più interessati possono essere :

Ascellari Mediastinici Laterocervicali Sopraclaveari

Tale distribuzione non è casuale poiché questi linfonodi drenano il distretto rino-orofaringeo. Se non c’è un linfonodo palpabile ma c’è la restante sintomatologia dobbiamo ricordare che il mediastino è frequente sede di malattia quindi va effettuato un RX torace.

PatogenesiLe cellule H/RS sono cellule B del centro germinativo o post-centro germinativo. Non esprimendo un BCR che possa favorire la loro selezione positiva, le cellule H/RS dovrebbero andare incontro spontaneamente ad apoptosi. Il meccanismo patogenetico della malattia impedisce la morte cellulare programmata.Le cellule L/H della predominanza linfocitaria presentano mutazioni come se fossero state attivate da un antigene. La patogenesi di questa variante è probabilmente diversa dalla precedente.La traslocazione nucleare di NF-kB e la conseguente attivazione svolge un ruolo patogenetico fondamentale. NF-kB è coinvolto nel controllo del ciclo cellulare, dell’apoptosi e della proliferazione. Le proteine di EBV LMP1 e LMP2 potrebbero bloccare l’apoptosi tramite l’attivazione NF-kB.

Come già detto le cellule H/RS producono numerose citochine e fattori di crescita che svolgono un ruolo determinante nella patogenesi delle lesioni. Le citochine ed i fattori di crescita possono agire in maniera

autocrina, stimolando la proliferazione e la sopravvivenza delle cellule stesse paracrina, agendo su linfociti, fibroblasti e sull’endotelio vascolare chemotattica, reclutando cellule infiammatorie

Le cellule stimolate a loro volta producono altre citochine e chemochine, quest’abnorme produzione determina la cosiddetta “tempesta citochinica”.

Aspetti clinici

Caratteristiche generaliNel LH una localizzazione primitiva di malattia del midollo emopoietico, in assenza di interessamento di altre sedi, è rara. E’ più frequente invece che la malattia si istauri nel midollo per diffusione da altre sedi. Va ricordato che il LH, a differenza del LNH, si diffonde in maniera prevedibile secondo percorsi di contiguità, e questo rende ragione dell’importanza prognostica di una corretta stadiazione.Poiché il midollo osseo manca di una via linfatica, la diffusione è necessariamente per via ematica e la porta di entrata è quasi sempre costituita dal circolo splenico (ne deriva che il midollo può essere interessato quando vi è anche una localizzazione splenica).L’interessamento midollare è quasi sempre focale (raramente diffuso) e in ragione di ciò la significatività della biopsia aumenta se il prelievo viene effettuato bilateralmente.

Linfoma di Hodgkin classicoI pazienti possono essere asintomatici o presentare sintomi come dimagrimento, febbricola, sudorazioni notturne e prurito.

Nella maggior parte dei casi il linfoma interessa una o due stazioni linfonodali superficiali sopradiaframmatiche. In alcuni pazienti la malattia esordisce con un interessamento del mediastino anteriore. La malattia progredisce interessando linfonodi contigui. Se i linfonodi interessati sono i paraaortici e celiaci vi è una elevata probabilità di interessamento splenico, epatico e midollare.La prognosi è ottima, più dell’80% dei pazienti trattati va incontro a guarigione completa.

Linfoma di Hodgkin a predominanza linfocitaria nodulareRappresenta il 5-20% dei casi di linfoma di Hodgkin. La manifestazione più frequente consiste in una linfoadenopatia localizzata persistente, rara è la compromissione mediastinica. Elevatissima percentuale di guarigioni post-trattamento.

Aspetti istologiciLinfoma di Hodgkin classicoLa diagnosi si basa sulla dimostrazione della presenza delle cellule H ed R/S CD30 e CD15 positive in un contesto cellulare appropriato.Le cellule R/S sono grandi cellule bi- o multinucleate con dei grossi nucleoli eosinofili e citoplasma abbondante ed anfofilo (uguale affinità per i coloranti acidi e basici).Le cellule di Hodgkin sono simili alle R/S ma possiedono un solo nucleo.Esistono 4 varianti istologiche che si distinguono per le caratteristiche del background cellulare.

Variante ricca in linfocitiProliferazione diffusa di linfociti T maturi con rare cellule H/RS

Variante a sclerosi nodulareÈ la più comune. Sono presenti noduli ricchi di cellule, circondati da bande di tessuto connettivo collageno. Le cellule presenti all’interno dei noduli possono variare ma ad essere sempre presenti sono le cellule RS con aspetto “lacunare”. Le altre cellule presenti sono linfociti T reattivi, eosinofili, plasmacellule e neutrofili. Se le cellule RS sono particolarmente numerose possono essere presenti aree di necrosi.

Variante a cellularità mistaLe cellule H/RS sono numerose, sono inoltre presenti linfociti T maturi, plasmacellule, eosinofili e neutrofili. Sono spesso presenti numerosi istiociti reattivi, spesso organizzati in aggregati a mo’ di granulomi. Possono essere presenti aree di necrosi.

Variante a deplezione linfocitariaRara. La malattia si presenta in fase avanzata al momento della diagnosi. Proliferazione diffusa di cellule H/RS in un contesto povero di linfociti ed altre cellule reattive.

Linfoma di Hodgkin a predominanza linfocitaria nodulare

Sono presenti macronoduli cellulari a contorni mal definiti. Almeno il 50% delle cellule presenti nel nodulo sono piccoli linfociti B reattivi con nucleo rotondo. Gli istiociti reattivi presenti si organizzano a formare dei granulomi simili a quelli della sarcoidosi. In questa forma sono presenti le cellule L/H caratterizzate da ampio citoplasma chiaro e nuclei “popcorn”.

Neoplasie di origine B linf ad esclusiva presentazione leucemica

Leucemie prolinfocitiche B (e T)Rare leucemie (non si presentano mai come linfomi) dell’adulto/anziano, caratterizzate da elevati livelli di pro linfociti nel sangue periferico.La malattia si manifesta con citopenia, linfocitosi e splenomegalia (sia nelle forme B che T). Le forme T possono inoltre presentare un interessamento cutaneo.Nella forma a cellule T il pro linfocito è un elemento di media taglia con nucleo a contorno irregolare, indentato o cerebri forme con immunofenotipo di tipo periferico (CD4 o CD8 positivo).Il decorso di entrambe le forme (B e T) è molto aggressivo, con sopravvivenza media di un anno.

Leucemia a cellule capelluteRara forma di leucemia dei linfociti B che interessa preferibilmente i maschi adulti.La cell proliferante è un linf B a nucleo o9vale o reniforme, con cromatica fine, ampio citoplasma con prolungamenti filiformi (da cui il nome Hairy cells, o cellule capellute). Le cellule neoplastiche presentano IgG di superficie (con restringimento clonale per kappa o lambda), marcatori della linea B (CD19, CD20), marcatori monocitari (CD11c) , CD25 (catena α del recettore di IL-2) ed evidenza di permutazione somatica.Il sangue periferico si caratterizza per citopenia con evidenza di basso numero di cellule capellute. La diagnosi si fa tramite biopsia ossea, in quanto il solo ago aspirato da punctio sicca in quanto una fitta rete di fibre reticolari circonda e imprigiona le cellule midollare non consentendone il distacco.Vi una grossa incidenza di splenomegalia ed epatomegalia in quanto le cellule capellute tendono a sostituire gli elementi dei cordoni della polpa rossa splenica e ad infiltrare gli spazi portali e sinusali del fegato.Il paziente giunge all’osservazione per diatesi emorragica e per infezioni (conseguenza della citopenia) e presenta sempre spleno-epatomegalia.Il decorso è indolente e la terapia si avvale di svariati farmaci (tra questi gli analoghi delle purine come la 2cloro-deossiadenosina e deossicoformicina). Da sottolineare l’esistenza di una forma definita variant, in cui le cellule hanno macronucleo simile ai pro linfociti.La leucemia a cellule capellute va in dd con il LNH splenico della zona marginale (presenta cellule con propaggini “villose”, simili alle hairy cells), ma il quadro midollare è dirimente.

LINFOMI A CELLULE T

Sono una minoranza di linfomi (10-20% del totale). Secondo la classificazione WHO 2001:

I. Neoplasie da precursori T: Linfoma precursori T, linfoma linfoblastico/leucemia linfatica acuta TLinfoma/leucemia linfoblastica NK

II. Neoplasie da linfo T maturi/periferici e delle cell NK: Leucemia prolinfocitica TLeucemia a linfo T granulatiLeucemia aggressiva a cell NKLeucemia/linfoma a cell T dell’adulto (HTLV-1)Linfoma extranodale a cell T/NK di tipo nasaleLinfoma a cell T di tipo enteropaticoLinfoma epatosplenico a cell T gamma-deltaLinfoma a cell T tipo panniculite sottocutaneaSindrome di Sezary/micosi fungoide

Linfoma a grandi cell anaplastiche T/Null primitivo della cuteLinfoma T periferico non ulteriormente specificatoLinfoma a cell T tipo angioimmunoblasticoLinfoma a grandi cell anaplastiche T/Null di tipo sistemico

III. Proliferazione cell T di incerto potenziale maligno: Papulosi linfomatoide

Come per i linfomi B, nella classificazione dei T si distinguono:- Linfomi T originanti dai precursori- Linfomi T originanti da linfociti maturi periferici.

LINFOMA (o leucemia) LINFOBLASTICO A PRECURSORI T[*La definizione di ‘’linfoma’’ o ‘’leucemia’’ si basa su criteri relativamente arbitrari. Si usa preferenzialmente il termine linfoma in riferimento a quadri clinico/patologici caratterizzati prevalentemente dalla presenza di masse; se è presente un quadro leucemico o un significativo coinvolgimento midollare (presenza nel midollo di più del 25% di blasti a prescindere dalla presenza/assenza di masse neoplastiche) si preferisce parlare di ‘’leucemia’’.]

Linfoma originante dalla proliferazione di elementi linfoidi a fisionomia blastica ma già impegnati sulla linea differenziativa T. E’ segnalato un aumento della prevalenza della malattia nelle aree geografiche economicamente meno sviluppate sebbene non siano note l’eziologia o correlazioni con infezioni virali. L’evento patogenetico è verosimilmente molto precoce perché nelle forme di T-ALL della primissima infanzia il clone T neoplastico riarrangiato può essere identificato già alla nascita. Nelle forme sporadiche il gene ATM non è coinvolto, ma è noto che i pazienti affetti da atassia-teleangectasia hanno un rischio maggiore di sviluppare la malattia. La sede più tipica è rappresentata dal timo ma possono essere coinvolti vari organi. Colpisce per lo più adolescenti/giovani adulti e rappresenta:

- Il 15% delle leucemie acute infantili- Il 25% delle leucemie acute dell’adulto

Nei casi in cui non sia presente un quadro leucemico costituisce:- L’85% dei linfomi linfoblastici - Il 25% dei linfomi non-Hodgkin dell’infanzia - Il 2% di tutti i linfomi dell’adulto

Tipicamente la malattia è caratterizzata da massa mediastinica, espressione di localizzazione sia timica che linfonodale. Essa è solitamente responsabile della sintomatologia da ingombro mediastinico con compressione delle vie respiratorie e dei grossi vasi (fino all’emergenza clinica). Altre possibili localizzazioni sono a livello dei linfonodi sopradiaframmatici e, frequentemente, a livello del SNC. Pressoché costanti sono il coinvolgimento di midollo e sangue periferico, tanto da consentire usualmente la diagnosi senza dover fare ricorso alla biopsia mediastinica.

ASPETTI MORFOLOGICI:Infiltrazione diffusa di elementi di piccole dimensioni, con scarso citoplasma e nuclei tondeggianti con fine disegno cromatinico. Attività mitotica elevata. Frequenti fenomeni apoptotici da cui deriva l’aumento del numero di macrofagi con corpi inclusi tingibili, responsabili del tipico aspetto a cielo stellato. Se la massa è timica, soprattutto con l’ausilio dell’immunoistochimica, è possibile identificare l’impalcatura epiteliale residua dell’organo. Nei linfonodi la colonizzazione neoplastica è prevalente nelle aree T con parziale preservazione delle aree follicolari. Una forma di riscontro eccezionale può essere data dal concomitante aumento degli eosinofili a livello midollare e tissutale, con sviluppo di una leucemia mieloide acuta. Interessante come in entrambe le forme neoplastiche sia presente la stessa traslocazione t(8;13) a documentazione di uno sviluppo bi fenotipico con partenza dallo stesso clone cellulare.Le indagini immunofenotipiche sono essenziali per formulare con precisione la diagnosi: i vari antigeni sono espressi in maniera variabile a seconda del livello di maturazione linfoide T. Questi sono:TdT+, CD1a+, CD2+, CD3+ (citoplasmatico o di superficie), CD7+, CD5+ e CD4 e/o CD8+;CD7 e CD3 citoplasmatico rappresentano i requisiti minimi per identificare l’appartenenza alla linea T.

Il grado di maturazione correla anche con la presentazione clinica in quanto le forme più immature hanno generalmente un quadro di tipo leucemico mentre quelle più mature sono più spesso associate a massa mediastinica. Nel caso in cui ci siano ambiguità diagnostiche (perché la popolazione linfoide può essere simile a quella normalmente presente nella corticale timica e in determinate forme di timoma) va evitato l’approccio citologico agoaspirativo, mentre può essere dirimente l’istologico eseguito su campioni bioptici per un’attenta analisi morfologica, immunofenotipica ed eventualmente genotipica. Nei bambini molto piccoli gli ematogoni (TdT+) possono essere molto aumentati nell’interstizio del midollo tanto da simulare un’infiltrazione neoplastica ma la coesistenza di marcatori di maturazione della linea B, dimostrata attraverso un’attenta analisi citofluorimetrica, può risolvere il dubbio diagnostico.I geni del TCR sono riarrangiati in maniera variabile: si può osservare il riarrangiamento delle catene β e γ e simultaneamente il riarrangiamento delle catene pesanti della linea B. Si possono anche riscontrare traslocazioni coinvolgenti il TCR α e δ al locus 14q11 e il TCR β e γ al locus 7q34, i cui geni partner sono rappresentati da fattori di trascrizione tipo c-MYC (8q24), TAL1 (1p32), RBTN1 (11p15), RBTN2 (11P13), HOX11 (10q24) e dalla tirosinchinasi citoplasmatica LCK (1p34, 3-35). In conseguenza di queste traslocazioni si ha de regolazione trascrizionale dei geni partner che vengono giustapposti alle regioni regolatorie dei loci del TCR. Frequente la delezione del (9p) che porta alla perdita del gene oncosoppressore p16 CDKN2A (inibitore della chinasi CDK4).

CORRELAZIONI ANATOMO-CLINICHE:La prognosi nei pazienti pediatrici, con l’introduzione degli attuali schemi terapeutici aggressivi è notevolmente migliorata ed è analoga a quella delle forme a precursori B. Negli adulti i risultati non sono altrettanto soddisfacenti: sopravvivenza media esente da malattia di circa 28 mesi.

LINFOMI A LINFOCITI T MATURI

LINFOMA A LINFOCITI T PERIFERICI, NON ALTRIMENTI SPECIFICATO Appartengono a questa categoria un ampio gruppo di linfomi a localizzazione prevalentemente linfonodale, costituito da linfomi che non mostrano caratteri distintivi tali da consentirne un inquadramento più preciso. Numericamente raccoglie circa la metà dei linfomi T periferici maturi e colpisce prevalentemente pazienti adulti. La localizzazione è linfonodale ma la malattia è solitamente generalizzata con coinvolgimento del midollo e di altre sedi quali fegato, milza, cute e talora anche sangue periferico (quadro leucemico). Possono essere presenti eosinofilia, una sindrome emofagocitica o prurito.

ASPETTI MORFOLOGICI:Il linfonodo è strutturalmente sovvertito e si dimostra un’infiltrazione diffusa di elementi linfoidi alquanto eterogenei: in alcuni casi gli elementi sono di piccole-medie dimensioni, in altri casi prevalgono elementi grandi.Nuclei pleomorfi, irregolari, ipercromici, vescicolosi, con macro nucleoli. Mitosi frequenti. Alla popolazione neoplastica si associa non di rado un sottofondo reattivo rappresentato da eosinofili, plasmacellule, aggregati di istiociti epiteloidi. Le venule a endotelio alto sono frequentemente aumentate e ben evidenti. La variante della zona T mostra un peculiare interessamento delle zone T con preservazione delle aree B e dei follicoli, che possono risultare anche iperplastici. La variante a cellule epiteliodi (linfoma di Lennert) è caratterizzata dalla presenza, nel contesto della popolazione linfoide T (con elementi di piccole dimensioni), di numerosi aggregati di istiociti epiteliodi.Gli elementi esprimono i marker della linea T ma l’espressione anomala di questi (per perdita di alcuni di loro) è di particolare importanza diagnostica. Generalmente gli elementi sono CD4+ e CD8-; le forme citotossiche CD8+ possono esprimere anche CD56 e sono per lo più a localizzazione extralinfonodale. Talora gli elementi di grandi dimensioni sono CD30+, suggerendo diagnosi alternative di linfoma anaplastico o Hodgkin (quest’ultima ipotesi è ancor più sostenuta se le cellule risultano anche EBV+). Particolarmente utile per l’accertamento della natura neoplastica rispetto a forme puramente reattive è l’identificazione del riarrangiamento clonale del TCR.

CORRELAZIONI ANATOMO-CLINICHE:

Il linfoma rientra tra le forme più aggressive con scarsa risposta alla terapia e bassi livelli di sopravvivenza (circa 20% a 5 anni).

LINFOMA ANAPLASTICO A GRANDI CELLULE Peculiare forma di linfoma, con elementi usualmente di grandi dimensioni, a morfologia anaplastica, immunofenotipo CD30+, positività per ALK e modificazioni molecolari del tutto distintive. Esistono una forma primaria e una secondaria (evoluzione di precedenti forme linfomatose); la forma primitiva sistemica (frequentemente ALK+) è distinta da quella secondaria (sempre ALK-).Rappresenta:

- 3% di tutti i linfomi non-Hodgkin dell’adulto- 30% di quelli dell’infanzia

Colpisce prevalentemente il sesso maschile (con rapporto M/F=6.5) nei primi tre decenni di vita. Le forme ALK+ sono per lo più giovanili, le forme ALK- colpiscono più l’età avanzata.I pazienti si presentano spesso alla diagnosi in stadio già avanzato, con linfoadenomegalie superficiali e profonde e segni del coinvolgimento multi stazionale. I linfonodi sono infatti colpiti ma frequentemente il linfoma è disseminato con interessamento di cute, osso, tessuti molli, polmone e fegato; il midollo osseo può essere coinvolto ma più spesso in maniera subdola ed è di difficile riconoscimento.

ASPETTI MORFOLOGICI:Il quadro morfologico della variante comune (70%) mostra alcuni cardini fondamentali:

- Sempre riconoscibili le cellule hallmark (marchio) della malattia: di grandi dimensioni, con citoplasma ben rappresentato (talvolta eccessivo per una cellula linfoide), nucleo reniforme, embrio-simile o a ferro di cavallo. Possibili nuclei multipli a ghirlanda o simili a quelli delle cellule di Reed-Sternberg.

Quando infiltrano il linfonodo, la cui struttura non è ancora sovvertita, queste cellule tendono a colonizzare i seni linfatici simulando così il comportamento abituale dei carcinomi metastatici. Nella variante linfoistiocitica (10%):

- Presenza di un gran numero di istiociti reattivi che possono mascherare la popolazione neoplastica.Nella variante a piccole cellule (5-10%):

- La popolazione prevalente è di piccole-medie dimensioni;- Le cellule hallmark sono minoritarie per cui tale forma è spesso confusa con un linfoma a cellule T

periferiche.Descritte anche altre varianti con diversi aspetti strutturali, citologici e micro ambientali che rendono comprensibile come la diagnosi di questa forma non sia sempre facile.

La cellula neoplastica è identificata dalla positività di membrana e del Golgi per il CD30. La positività per ALK si riscontra in circa il 60-80% di casi, localizzata a livello nucleare e/o citoplasmatico a seconda della traslocazione presente (ad es. nella t(2;5), tra le più frequenti, è citoplasmatica e nucleare). Le cellule sono EMA positive e mostrano variabile positività per marcatori di linea T. Frequentemente i marcatori vengono progressivamente persi e pertanto il linfoma può apparire a fenotipo null. Per ovviare a tale inconveniente si ricorre a marcatori che sono persi con minore facilità: CD2 e CD4 sono i più utili in tal senso (CD3, CD5, CD7 sono frequentemente negativi). EBV sempre negativo.Caratteristica di questa forma è l’anomalia molecolare rappresentata da una serie di traslocazioni fra cui le più frequenti sono la t(2;5), la t(1;2), la t(2;3), la t(2;17), l’inv 2. In queste traslocazioni il gene ALK, codificante per un recettore tirosinchinasico normalmente silente sulle cellule linfoidi, viene ad essere giustapposto a geni codificanti proteine diverse (nucleofosmina, tropomiosina, clatrina,...) con conseguente formazione di una proteina di fusione, identificabile a livello cellulare con metodi immunoistochimici. L’espressione nucleare di p80 indica l’avvenuta traslocazione t(2;5).

CORRELAZIONI ANATOMO-CLINICHE:Attualmente la prognosi è buona nelle forme ALK+, con punte di sopravvivenza dell’80% a 5 anni.Nelle ALK- questa scende al 40%.

LINFOMA A CELLULE T, ANGIOIMMUNOBLASTICO

Linfoma dell’adulto e dell’anziano che rappresenta il 15-20% dei linfomi T periferici e l’1-2% di tutti i linfomi non-Hodgkin. Si caratterizza per: rash cutanei, allergia a farmaci, febbre, anemia a carattere per lo più autoimmune, ipergammaglobulinemia monoclonale. Si osserva espansione paracorticale con marcata proliferazione delle venule a endotelio alto. La popolazione cellulare è polimorfa con cellule di piccole-medie dimensioni, nucleo e modeste atipie. Vi si associano cellule reattive di accompagnamento quali piccoli linfociti, plasmacellule, granulociti eosinofili, istiociti, elementi follicolari dendritici. Possibili anche cellule di grandi dimensioni a fenotipo B.Le cellule esprimo marcatori di linea T (CD4 soprattutto) e CD10. Il riarrangiamento del TCR viene rilevato nel 75% dei casi. Decorso estremamente aggressivo con sopravvivenza media inferiore ai 3 anni.

LINFOMA A CELLULE T/NK EXTRANODALE, NASAL TYPE Rara forma di linfoma T dell’adulto a localizzazione extranodale che coinvolge caratteristicamente sedi sulla linea mediana quali cavità nasali, palato e nasofaringe (anche se si può anche riscontrare a livello di cute, tratto gastroenterico, testicolo, ecc…). Questa neoplasia rappresenta un linfoma angiocentrico ovvero ad elevato tropismo vascolare con associati fenomeni di necrosi. Nel contesto del tessuto necrotico-flogistico, gli elementi neoplastici possono essere di difficile identificazione, al punto da richiedere anche biopsie multiple. Le cellule neoplastiche sono di dimensioni variabili, da piccole a grandi, fornite di nucleo irregolare e frequentemente in mitosi. Immunofenotipicamente: elementi T CD2+ e CD56+ e mostrano positività per marcatori citotossici. EBV dimostrabile nelle cellule neoplastiche. Il decorso è aggressivo nelle forme che colpiscono aree diverse da quella rinofaringea, nelle forme naso-faringee è variabile ma tendenzialmente aggressivo per lo più per fenomeni di chemio resistenza.

LINFOMA A CELLULE T DI TIPO ENTEROPATICO Linfoma caratterizzato dalla proliferazione di linfociti T intraepiteliali, poco comune ma meno infrequente nelle aree con una certa prevalenza di celiachia. La localizzazione preferenziale è a livello di digiuno e duodeno ma anche in stomaco e grosso intestino. Si manifesta con segni di malassorbimento e dolori addominali. Lesioni iniziali caratterizzate dalla presenza di elementi linfoidi, prevalentemente di medie-grandi dimensioni, che caratteristicamente infiltrano l’epitelio della mucosa fino al coinvolgimento dell’intera parete viscerale. Gli elementi sono CD3+, CD7+, CD103+, CD5-, CD8-/+, CD4-. Il decorso della malattia è aggressivo e dovuto alla somma del danno diretto della neoplasia associato a quello del concomitante malassorbimento.

LINFOMA/LEUCEMIA A CELLULE T DELL’ADULTO Particolarmente rara in Europa, è una patologia endemica in Giappone, Caraibi, Africa Centrale. Nota la correlazione con il virus dell’HTLV-1 che, infettando i linfociti T, provoca l’attivazione di diversi geni linfocitari; il virus da solo non riesce a indurre lo sviluppo della malattia, ma sono necessarie ulteriori alterazioni geniche acquisite nel corso della vita. Clinicamente colpisce infatti individui adulti, localizzandosi in linfonodi, midollo emopoietico, cute e presenta frequentemente un quadro leucemico.Può avere diverse forme (acuta, linfoma tosa, cronica, smouldering). La più frequente è la forma acuta leucemica, caratterizzata da malattia disseminata con epatosplenomegalia, segni sistemici e, in particolare, ipercalcemia con lesioni osteolitiche da attivazione osteoclastica. Morfologicamente gli elementi sono di dimensioni variabili, da piccoli a grandi, con nuclei particolarmente pleomorfi, spesso ad aspetto floreale. Immunofenotipicamente sono CD2, CD3, CD5+, CD4+, CD8 e CD7-. Il decorso è comunemente aggressivo.

ALTRI LINFOMI Tra le numerose altre entità, peraltro di raro riscontro, si ricordano:la leucemia prolinfocitica a linfociti T;la leucemia a grandi linfociti T granulari;linfoma T epato-splenico;linfoma T sottocutaneo simil-panniculiteRelativamente più frequente è la micosi fungoide, classificata a parte nell’ambito dei linfomi cutanei, per la sua essenziale localizzazione cutanea.

NEOPLASIE A ORIGINE DALLE CELLULE DENDRITICHE O ISTIOCITARIE

Gruppo di neoplasie estremamente rare derivanti dalla trasformazione neoplastica di cellule istiocitarie o dendritiche normalmente presenti nei tessuti linfatici. Da una casistica di 61 casi, raccolti in uno studio cooperativo internazionale, sono state estrapolate le caratteristiche morfologiche e immunofenotipiche delle forme più comuni, comprendenti: sarcoma istiocitario, sarcoma a cellule dendritiche interdigitale, sarcoma a cellule di Langherans, sarcoma a cellule follicolari dendritiche. I pazienti sono più spesso adulti e in età media o avanzata; la neoplasia può interessare linfonodi o sedi extranodali. L’aspetto istologico è quello di una proliferazione di cellule istiocitarie/reticolari atipiche con presenza di figure mitotiche, le colorazioni immunoistochimiche sono indispensabili per un corretto inquadramento.

ISTIOCITOSI A CELLULE DI LANGHERANSRara patologia di probabile natura neoplastica, causata dalla proliferazione di cellule di Langherans. Queste, di norma, originano da un precursore mieloide presente nel midollo osseo da cui deriva un precursore circolante che va incontro a differenziazione terminale una volta entrato nei tessuti (anche monociti circolanti, se opportunamente stimolati possono differenziare in cellule di langherans). L’identificazione di queste cellule nei tessuti richiede colorazioni immunoistochimiche o la microscopia elettronica per la valutazione dell’antigene CD1a (tramite le prime) e la presenza dei granuli di Birbeck citoplasmatici (mediante la seconda).Tre sono le forme di istiocitosi a cellule di Langherans:

- DISSEMINATA: colpisce soprattutto bambini di età inferiore ai due anni; si manifesta con interessamento di più organi (polmone, fegato, tratto digerente, sistema ematopoietico, linfonodi, cute), con o senza lesioni ossee, spesso a prognosi infausta.

- LOCALIZZATA: più frequente nei bambini di età compresa tra i 5 e i 15 anni e, se opportunamente trattata, va incontro a guarigione completa. Può manifestarsi a livello cutaneo (lesioni eritematose, seborroiche o papulari) o a livello osseo (lesioni osteolitiche uniche o multiple); l’interessamento dello sfenoide può causare un danno alla neuroipofisi con conseguente diabete insipido. Possibile interessamento secondario dei linfonodi drenanti la lesione.

- POLMONARE: si osserva più frequentemente nel terzo decennio di età ed è strettamente associata al fumo di sigaretta. I polmoni compromessi presentano anche evidenti alterazioni enfisematose e vanno incontro a fibrosi polmonare diffusa.

Gli aspetti istologici della lesione sono molto simili tra loro indipendentemente dal tipo di presentazione e si caratterizzano per la presenza di cellule di Langherans di tipo CD1a+ nel tessuto interessato. Spesso sono presenti nella lesione anche numerosi eosinofili (in passato tale lesione veniva definita granuloma eosinofilo) e altre cellule infiammatorie (macrofagi, cellule giganti multinucleate, linfociti e plasmacellule), richiamate dalla capacità delle cellule di Langherans di secernere citochine e chemochine. Le cellule di Langherans presenti a livello della lesione sono monoclonali nella forma sistemica e localizzata (più probabilmente forme neoplastiche vere e proprie), policlonali nella forma polmonare (forma reattiva correlata alla stimolazione cronica da fumo di sigaretta).

PATOLOGIA DELLA MILZA

SPLENOMEGALIALa splenomegalia si definisce come l’aumento del volume e di conseguenza del peso della milza al di sopra dei valori normali (150-200g); nella pratica clinica se ne parla per valori di peso superiori a 400g.

Classificazione patogenetica delle cause di malattia:INCREMENTO FUNZIONALE

ANOMALIE DEL FLUSSO EMATICO

INFILTRAZIONE

Rimozione di globuli rossi anomali:

- Sferocitosi

- Cirrosi epatica- Scompenso cardiaco

congestizio

Malattie metaboliche:- Malattia di Gaucher- Malattia di Niemann-

- Talassemie- Emoglobinopatie- Anemia a cellule

falciformi (fase iniziale)

Iperplasia immunitaria funzionale

- Infezioni batteriche, virali, parassitarie

Malattie immunitarie- AR- LES- Malattia da siero- Anemia emolitica

autoimmune- Trombocitopenia

autoimmune- Sarcoidosi- Reazioni da farmaci

Emopoiesi extramidollare- Danno o infiltrazione

del midollo osseo

- Trombosi delle vene epatiche

- Trombosi della vena porta

- Trombosi della vena splenica

- Schistosomiasi epatica- Echinococcosi epatica

Pick- Mucopolisaccaridosi- Amiloidosi

Infiltrazioni neoplastiche benigne e maligne:

- Leucemie- Linfomi- Malattie

mieloproliferative croniche

- Matastasi- Istiocitosi a cellule di

langherans- Neoplasie vascolari- Cisti spleniche- Amartomi

Patologie che possono essere causa di splenomegalia massiva (>1kg):- Malattie linfoproliferative croniche- Linfomi e leucemie- Malattie da accumulo- Sarcoidosi- Anemia emolitica autoimmune- Malaria

Malattie diverse possono dare aspetti macroscopici simili. In generale, aspetti tipici della superficie di taglio della milza sono: aspetto rosso carneo, polpa bianca poco visibile, presenza di noduli solitamente biancastri che possono essere di piccole o grandi dimensioni, singoli, multipli o presenti su tutto il parenchima, isolati o confluenti.

ANOMALIE CONGENITE La più importante anomalia congenita, presente nel 20-30% della popolazione, è la presenza di milze accessorie, microscopicamente e macroscopicamente identiche alla principale. Solitamente sono di dimensioni inferiori ai 4 cm e possono essere localizzate all’ilo splenico, nel legamento gastrosplenico, alla coda del pancreas, nell’omento o nei mesenteri. Possono presentare la stessa patologia della milza principale e la loro permanenza può ridurre l’efficacia terapeutica di una splenectomia.

LESIONI TRAUMATICHE La rottura della milza costituisce un’indicazione frequente alla splenectomia. L’emoperitoneo che consegue alla rottura della milza può essere letale se non trattato con splenectomia d’urgenza. La causa può essere un trauma esterno, un incidente intraoperatorio o può trattarsi di rottura spontanea in assenza apparente di eventi causali (sebbene sia solitamente presente una patologia sottostante comunemente infezione da EBV, CMV, malaria, linfomi; si stima che in corso di mononucleosi infettiva il rischio di rottura della milza è valutato intorno allo 0.1-0.5%). Numerose patologie possono causare un rapido aumento di volume della milza, con tensione e fragilità della capsula.

CONDIZIONI INFETTIVE

La milza è frequentemente coinvolta nei processi infiammatori in quanto importante sede di filtraggio ematico e di produzione di anticorpi. Nello specifico, nei cordoni della polpa rossa, il sangue scorre in un ambiente privo di rivestimento endoteliale e viene a contatto con numerosi macrofagi che costituiscono il primo livello di difesa locale.

[Nella polpa bianca, i patogeni sono identificati a livello della zona marginale dalle cellule B che possono differenziarsi in plasmacellule, immettendo rapidamente e direttamente IgM nel torrente circolatorio, oppure possono acquisire funzioni di cellule APC, dando avvio a una serie di eventi che portano alla stimolazione della polpa bianca.]

Conseguenza di questi processi è la splenomegalia, talvolta modesta e appena apprezzabile, talvolta di dimensioni notevoli. Esempi:

- MALATTIE BATTERICHE: Nelle forme batteriche, talora associate a setticemia, la milza risulta ingrandita di 2-3 volte, sul piano morfologico presenta una polpa rossa di colore opaco e talora defluisce dalla superficie di taglio in quanto infiltrata da elementi granulocitari o macrofagici (a seconda dell’agente eziologico). In alcuni casi (brucellosi) possono anche essere presenti granulomi, dominanti in caso di tubercolosi e tularemia. Nella salmonellosi gli aggregati macrofagici sono di solito ben rappresentati tanto da essere macroscopicamente rilevabili anche sulla superficie dell’organo (noduli tifoidi).

- MALATTIE VIRALI: Tra queste forme, la mononucleosi è sicuramente la più frequente. La milza, con i linfonodi, costituisce la sede in cui vi è una spiccata reazione linfocitaria T nei confronti degli elementi B infettati. L’infiltrazione dei T attivati, nei seni e nei cordoni, è responsabile dell’aumento splenico fino anche al peso di 500g. La consistenza è molle in quanto associata a ricca cellularità. Il rischio di rottura spontanea o indotta palpatoriamente è meno frequente di quanto si credesse prima.

- MALATTIE PROTOZOARIE: Patologie prevalentemente endemiche in determinate regioni, ma di riscontro non infrequente anche in paesi occidentali in relazione a viaggi turistici e eventi migratori. Nella malaria la milza è ingrandita (enorme nelle forme croniche). Nei cordoni della polpa rossa sono presenti macrofagi e eritrociti contenenti i parassiti. Con il cronicizzarsi dell’infezione la milza diventa progressivamente fibrosa e di colorito scuro per l’accumulo di pigmento malarico. La polpa bianca è ipotrofica. Nella leishmaniosi la splenomegalia può essere enorme (fino a 2 kg) perché la polpa rossa è spiccatamente infiltrata da macrofagi ingolfati da parassiti e plasmacellule. Frequenti anche aree infartuali.

SPLENOMEGALIA FIBROCONGESTIZIA La splenomegalia congestizia è un ingrandimento della milza dovuto a fenomeni di stasi venosa. Il cronicizzarsi di tale condizione congestizia, con presenza di piccole emorragie sub capsulari, porta all’attivazione dei fenomeni di fibrogenesi con aumento dello spessore della capsula (perisplenite cartilaginea), ma anche della deposizione perisinusoidale di collagene. La stasi venosa può originare:

- da un’insufficienza a livello cardiaco e la splenomegalia che ne consegue è in genere limitata (raramente supera i 500g)

- da disordini pre- intra- o post-epatici (trombosi delle vene epatiche, malattia veno-occlusiva, fibrosi/cirrosi epatica, iperplasia nodulare rigenerativa, sclerosi epato-portale, ipertensione portale idiopatica, trombosi della vena porta, trombosi della vena splenica, schistosomiasi). In questi casi la splenomegalia che ne deriva può anche essere massiva. Un’entità clinica controversa è la sindrome di Banti che comprende ipertensione portale idiopatica non-cirrotica, fibroelastosi dei tratti portali e flebosclerosi associati a ipersplenismo con anemia, leucopenia e trombocitopenia.

MORFOLOGICAMENTE:Macroscopicamente: milza ingrandita con capsula ispessita, di consistenza aumentata e di colore rosso scuro. La fibrosi può conferire al parenchima un colore tendente al grigio-rosso, con scarsa visibilità della polpa bianca.Microscopicamente: i sinusoidi sono dilatati e congesti. E’ possibile evidenziarli mediante colorazione PAS, Gomori (per le fibre reticolari) o con colorazione IIC per le cellule endoteliali dei sinusoidi splenici. L’aumento di pressione dei sinusoidi causa attivazione dei fibroblasti perisinusoidali con incremento delle fibre collagene. Frequenti piccoli focolai emorragici, causa di fenomeni secondari come il riscontro di

siderofagi (macrofagi ripieni di emosiderina) e corpi di Gandy-Gamna (noduli fibro-elastotici con depositi di calcio ed emosiderina).

CORRELAZIONI ANATOMO-CLINICHE:Il rallentato flusso ematico aumenta il tempo di esposizione degli elementi ematici ai macrofagi della polpa rossa con conseguente ipersplenismo, ovvero iperfunzione splenica (NB: non confondere con la splenomegalia). Questo evento può essere limitato alle emazie o estendersi a piastrine o a leucociti. Alla citopenia può ulteriormente far seguito un’iperplasia compensatoria a livello del midollo osseo.

PATOLOGIA EMATOLOGICA

EMOGLOBINOPATIE QUALITATIVE E QUANTITATIVE, SFEROCITOSI - ANEMIA A CELLULE FALCIFORMI: le emazie sono scarsamente deformabili e la milza diviene

sede di frequenti fenomeni ischemici, fino all’autosplenectomia. La milza può essere aumentata di volume nelle fasi iniziali (prima infanzia) ma in seguito diminuisce progressivamente a causa dei fenomeni riparativi e acquisisce un colore grigiastro. Microscopicamente sono presenti fibrosi e corpi di Gandy-Gamna.

- TALASSEMIE (α e β): la milza è generalmente aumentata di volume e presenta fenomeni di ipersplenismo (spesso la splenectomia è terapeutica). Frequenti i fenomeni di emopoiesi extramidollare, anche in sede splenica.

- SFEROCITOSI EREDITARIA: milza di dimensioni normali o aumentate (fino a 1 kg), di consistenza aumentata, color rosso scuro, con capsula sottile. I follicoli della polpa bianca sono difficilmente identificabili. A livello microscopico i sinusoidi sono congesti, vuoti apparentemente per la presenza di fantasmi cellulari, mentre i macrofagi mostrano segni di attiva eritrofagocitosi.

MALATTIE MIELOPROLIFERATIVE (mielofibrosi) Un evento neoplastico colpisce la cellula staminale emopoietica a livello del midollo osseo. In conseguenza di ciò si verifica un’aumentata produzione di uno o più elementi differenziati. La splenomegalia in questi casi è da ricondurre ai fenomeni di emopoiesi extramidollare che si accompagnano a queste patologie.

- LEUCEMIA MIELOIDE CRONICA: la milza è ingrandita, rosso scura, con polpa bianca difficilmente riconoscibile per progressiva atrofia dovuta all’infiltrazione di cellule mieloidi in vari stadi maturativi a livello della polpa rossa.

- MIELOFIBROSI IDIOPATICA: malattia clonale che interessa la cellula staminale mieloide con spiccata fibrosi midollare reattiva e metaplasia mieloide, prevalentemente spleno-epatica. La splenomegalia può essere massiva (attorno ai 2 kg), la milza è rosso scura, compatta e con multiple aree emorragiche. Microscopicamente si notano fenomeni di emopoiesi extramidollare nella polpa rossa. I megacariociti possono essere atipici ma sono agevolmente distinguibili grazie alla colorazione per il CD61. Fenomeni di congestione, depositi di emosiderina e riduzione della polpa bianca.

LEUCEMIE LINFATICHE E LINFOMI Tutte le forme leucemiche, acute e croniche, possono presentare un interessamento splenico. In genere si localizzano alla polpa rossa (il che conferisce alla milza un aspetto rosso-carne), con polpa bianca scarsamente visibile. Unica eccezione è la leucemia linfatica cronica B che coinvolge preferenzialmente (anche se non esclusivamente) la polpa bianca.Il coinvolgimento splenico da parte di linfomi ad altra localizzazione primitiva è un fenomeno abbastanza comune, mentre rari sono i linfomi primitivi della milza; per essere così definito, un linfoma dovrebbe essere confinato al parenchima splenico e ai linfonodi ilari (alcuni autori ammettono però anche il coinvolgimento del midollo osseo). Alcuni linfomi e leucemie hanno come caratteristica saliente il coinvolgimento splenico:

- LINFOMA B A CELLULE DELLA ZONA MARGINALE SPLENICO: 1% di tutti i linfomi, è un linfoma B a basso grado di malignità con prevalente coinvolgimento splenico. Colpisce soggetti di età >50 anni senza predilezione di sesso. Concorrono al quadro clinico: splenomegalia, fenomeni autoimmuni (anemia emolitica o trombocitopenia) e spesso coinvolgimento del sangue periferico (presenti linfociti villosi), del fegato e del midollo osseo. Generalmente assente la linfadenopatia

sistemica (tranne nei casi ad alta malignità). Il decorso clinico è indolente, con una sopravvivenza mediana superiore ai nove anni. La milza è ingrandita (fino a 3 kg). Al taglio si evidenzia un coinvolgimento miliare (minute nodularità diffuse). Coinvolgimento prevalente della polpa bianca che si presenta espansa con noduli tendenti alla coalescenza. I noduli hanno aspetto bifasico, con un anello interno di cellule più piccole e uno esterno di cellule più grandi, con ampio citoplasma chiaro, simili a quelle della zona marginale splenica. L’infiltrazione della polpa rossa presenta lo stesso carattere bifasico, con cellule piccole che infiltrano il parenchima in maniera diffusa e cellule di medie dimensioni che formano noduli.

Le cellule neoplastiche mostrano l’espressione di marcatori B (CD20, CD22), Bcl-2 e presenza di Ig monoclonali intracitoplasmatiche. Una certa percentuale di linfomi di questo tipo mostrerebbero la presenza di mutazioni somatiche nei geni delle immunoglobuline (popolazione IgM+ IgD-) mentre il sottogruppo senza mutazioni presenterebbe con elevata frequenza una delezione del braccio lungo del cromosoma 7 (anche 1, 3 e 8).

- LEUCEMIA A CELLULE CAPELLUTE: 2% delle leucemie linfoidi, colpisce preferenzialmente maschi nel VI decennio di vita. Si presenta con splenomegalia associata a citopenia periferica (monocitopenia). Presenti cellule tumorali nel sangue periferico fornite di lunghi processi citoplasmatici (cellule capellute). Decorso clinico indolente con sopravvivenza media attorno ai 5 anni. La milza è ingrandita (>1kg), rosso carne, compatta al taglio. La polpa rossa mostra un infiltrato linfoide monotono, diffuso, spesso localizzato anche al di sotto dell’endotelio delle vene trabecolari, costituito da cellule di medie dimensioni, con ampio citoplasma chiaro o lievemente eosinofilo. Evento caratteristico è la formazione di laghi ematici bordati di cellule neoplastiche. La polpa bianca è atrofica. Le cellule neoplastiche esprimono i comuni marcatori B e le immunoglobuline di superficie, ma anche CD 25, CD 103, marcatori istiocitari (CD68, CD11c), DBA44 e l’enzima TRAP (fosfatasi alcalina tartrato-resistente). Frequente coinvolgimento del midollo osseo con incremento delle fibre reticolari (punctio sicca).

- LINFOMA T EPATOSPLENICO γδ- LINFOMA DI HODGKIN: Il coinvolgimento splenico è un evento comune (la milza è il sito

extranodale più frequentemente coinvolto, il pz può anche presentarsi con rottura di milza). Il riscontro di un linfoma di Hodgkin primitivo della milza è invece un evento decisamente raro. La splenectomia era un tempo parte della procedura stadiativa, ma oggi è superata dalle indagini radiologiche. Solitamente la localizzazione splenica della malattia è visibile macroscopicamente come uno o più noduli di discrete dimensioni (alcuni cm) con noduli di dimensioni minori (1 mm). Le lesioni più precoci si sviluppano a livello delle guaine linfocitarie periarteriolari e nella zona marginale. Nel 10% dei casi si riscontra la presenza di granulomi epitelioidi non necrotizzanti. Le cellule di Reed-Sternberg possono essere molto difficili da identificare.

- MASTOCITOSI SISTEMICA: Aspetto macroscopico caratterizzato da splenomegalia con presenza di numerose striature biancastre (fasci di fibrosi). Le MAST-cellule neoplastiche si localizzano di preferenza nella zona marginale della polpa bianca e lungo le trabecole fibrose (ma possono essere coinvolte anche altre zone). Il numero di mast-cellule può essere esiguo, con predominanza delle aree di fibrosi. Oncogene KIT (esone 17) mutato in una significativa percentuale di casi (la mutazione attiva il recettore, che rimane fosforilato e promuove la proliferazione cellulare). Questa mutazione rende il recettore insensibile a farmaci (come l’imatinib mesilato) usati in altre patologie con mutazione di KIT.

NEOPLASIE NON EMATOLOGICHE AMARTOMA SPLENICO

Malformazione di riscontro comunemente accidentale nota anche come splenoma. Nodulo unico o multiplo di aspetto omogeneo e dimensioni fino a 20 cm. Microscopicamente riproduce la struttura della polpa rossa, con un certo grado di disorganizzazione architetturale.

EMANGIOMA SPLENICO Più comune neoplasia benigna della milza, talvolta associata ad emangiomi in altre sedi. Può costituire un reperto occasionale o presentarsi con rottura della milza, coagulopatia da consumo, trombocitopenia. Solitamente si tratta di una lesione singola (2 cm) ma può anche essere di grandi dimensioni, mutiplo o coinvolgere l’intero organo (angiomatosi diffusa). La variante più comune è quella cavernosa, mentre la

forma mista e quella capillare sono più rare. Gli endoteli neoplastici sono positivi ai marcatori vascolari (CD31, CD34), ma negativi per il CD8 (espresso negli endoteli sinusoidali non neoplastici).

ANGIOMA A CELLULE LITTORALI Neoplasia rara, benigna, originante da cellule simili a quelle dell’endotelio di rivestimento dei sinusoidi. Colpisce pazienti tra 40-65 anni, senza predilezione di sesso. Può essere asintomatico o associarsi a splenomegalia. Talora si associa a carcinomi in altra sede (colon, pancreas, rene, polmone), sarcomi, linfomi o morbo di Crohn. L’aspetto macroscopico è di multipli noduli di dimensioni variabili (da mm a cm), di aspetto spugnoso e ripieni di sangue. Microscopicamente le lesioni sono costituite da multipli canali vascolari anastomizzati, simili ai sinusoidi splenici, ma rivestiti da cellule endoteliali alte, prive di atipie (che possono staccarsi dalla parete e cadere nel lume). Possono essere presenti spazi vascolari dilatati con aree di aspetto pseudo-papillare. Le cellule hanno un fenotipo caratteristico, con espressione di alcuni marcatori vascolari, di marcatori istiocitari e CD21, sono negative per il C8.

ANGIOSARCOMA SPLENICO E’ un tumore raro, ma il più comune tumore maligno non-linfoide della milza. Ha la massima incidenza nel VI decennio di vita (ma può colpire dal III al IX). I pazienti hanno sintomi di massa addominale, dolore addominale ed emoperitoneo.

MALATTIE DA ACCUMULO

MORBO DI GAUCHER Malattia AR dovuta al deficit della β-glucocerebrosidasi lisosomiale, con diversi quadri clinici a livello neurologico. La milza, insieme a fegato e midollo osseo, è frequentemente coinvolta (splenomegalia fino a 10 kg). Microscopicamente è presente espansione della polpa rossa e preservazione della bianca. Numerosi gli istiociti di grandi dimensioni, con citoplasma finemente fibrillare (a carta di sigaretta), lievemente PAS positivo.

IPERSPLENISMO E IPOSPLENISMO- IPERSPLENISMO E’ un fenomeno di accentuazione della normale funzione emocateretica della

milza. Rappresenta non una malattia in sé ma un fenomeno fisiopatologico conseguente a numerose condizioni morbose. Può originare da un aumento primitivo della massa funzionale della milza (splenomegalia congestizia, emangioma splenico, condizioni coinvolgenti la polpa rossa) o da anomalie degli elementi ematici (sferocitosi, talassemie, anemia emolitica autoimmune, porpora trombocitopenica autoimmune). La rimozione eccessiva di uno o più elementi ne può provocare trombocitopenia, neutropenia, anemia o pancitopenia.

- IPOSPLENISMO Condizione di insufficiente funzione della milza, fino all’asplenia anatomica o funzionale. L’asplenia può essere un fenomeno congenito, secondario a operazioni di splenectomia chirurgica o imputabile a fenomeni di auto splenectomia (perdita totale della funzione splenica per processi infartuali). I deficit principali sono a carico del sistema immunitario, con incremento del rischio di sepsi, in particolare da batteri capsulati (S. pneumoniae, H. Influenzae, N. Meningitidis).

PATOLOGIA DEL TIMO

Organo linfoepiteliale sede di sviluppo e maturazione degli elementi linfoidi T. Ha struttura bilobata e lobulata, nel cui contesto si identificano una porzione corticale più esterna e istologicamente più scura, riccamente popolata da elementi T immaturi (timociti), e una porzione più interna midollare con elementi linfoidi meno fittamente stipati e più chiara al microscopio. Entrambe le zone sono costituite da una rete di elementi epiteliali, cellule dendritiche e macrofagi che svolgono un ruolo di sostegno e di supporto a crescita e sviluppo dei timociti, con i quali interagiscono. Nella corticale esterna, alcune cellule epiteliali (cellule nutrici) sono fornite di lunghi elementi citoplasmatici che circondano circa 50 timociti a costituire ampi complessi multicellulari. Altre cellule stringono tra loro interconnessioni citoplasmatiche in modo da costituire una rete che viene percorsa dai timociti nel loro transito attraverso la corticale. I linfociti immaturi raggiungono il timo e vanno incontro a una complessa sequenza di eventi di cui fanno parte i meccanismi di

selezione positiva e negativa. La prima interviene a livello corticale tramite l’interazione timocita-cellula epiteliale corticale; la seconda, localizzata nella zona di transizione cortico-midollare, in cui gli effettori sono le cellule epiteliali, le dendritiche e verosimilmente le cellule B ivi residenti. Il risultato finale è rappresentato dalla produzione di linfociti maturi a positività singola CD4+ o CD8+.Dopo la pubertà si assiste a una fisiologica involuzione dell’organo che tuttavia non ne comporta la totale scomparsa. Anche nella vita adulta sono ancora riconoscibili isole di parenchima timico, disperse nel grasso in sede pre-pericardica, con piccoli aggregati linfoidi commisti a elementi epiteliali, talora organizzati nei corpuscoli di Hassall.Fenomeno completamente diverso invece è rappresentato dall’involuzione acuta ovvero la riduzione della massa timica cui si assiste dopo terapia cortisonica o, secondariamente, in individui debilitati a causa di diverse malattie (l’infezione da HIV ne è un esempio tipico: il timo mostra deplezione linfoide, preservazione della struttura lobulare e persistenza dei corpuscoli di Hassall). L’iperplasia timica vera è un’entità non sempre facile da identificare, date le grandi variazioni volumetriche dell’organo nel corso della vita. Descritta principalmente in neonati o bambini e, più raramente, in individui adulti come conseguenza di una difettosa involuzione o di un processo acquisito.

TIMO E MALATTIE IMMUNITARIE

MALATTIE DA IMMUNODEFICIENZA Nella sindrome di Di George completa si ha aplasia timica (timo del tutto assente), che si associa ad agenesia delle paratiroidi e a un grave difetto immunitario che coinvolge sia la linea T che B. Nelle forme incomplete (e in altre forme di immunodeficienza: atassia-teleangectasia, immunodeficienza combinata grave) il quadro è quello della displasia timica, di entità variabile. Di solito il timo è ridotto di volume, i linfociti sono scarsi o assenti, manca la distinzione in corticale e midollare, i corpuscoli di Hassall sono assenti e si osservano formazioni epiteliali come tubuli e rosette.

MALATTIE AUTOIMMUNI Nella miastenia grave, oltre a un processo neoplastico, il timo presenta nel 65% dei casi la cosiddetta iperplasia follicolare (timite follicolare) ovvero un quadro, localizzato principalmente alla midollare, caratterizzato dalla presenza di follicoli linfoidi forniti di ampio centro germinativo e popolati da elementi B IgM e IgD positivi. Presenti anche linfociti T maturi (di tipo periferico) e numerose plasmacellule responsabili della produzione autoanticorpale. E’ verosimile che l’antigene da cui origina la produzione di autoanticorpi sia localizzato nel timo e che il processo sia avviato da un contatto aberrante tra cellule mioidi e linfociti T specifici per il recettore acetil-colinergico. A riprova di ciò (e soprattutto in presenza di iperplasia follicolare) la miastenia grave risente favorevolmente della timectomia.L’iperplasia follicolare timica si può comunque osservare anche in altre condizioni autoimmuni tra cui: l’ipertiroidismo, la malattia di Addison, Les e altre.

TUMORI DEL TIMONeoplasie riguardanti costituenti propri del timo, rappresentate quindi da:

- Tumori epiteliali : timomi, carcinomi timici e tumori a differenziazione neuroendocrina- Linfomi - Tumori germinali

TUMORI EPITELIALI: La classificazione WHO (1994 e 2004) si basa su criteri morfologici, funzionali e genetici. Essa distingue i timomi veri e propri dai carcinomi timici: i primi (riscontrabili in sede timica o ectopica) mostrano una differenziazione architetturale organoide che ricorda la normale struttura del timo; i secondi, caratterizzati da atipie citologiche evidenti, sono morfologicamente analoghi a quelli che si riscontrano in qualunque altra sede dell’organismo. I tumori neuroendocrini poi sono composti esclusivamente da cellule neuroendocrine, identificate in base all’espressione di cromogranina, sinaptofisina, CD56 e di enolasi neurono-specifica (eventualmente anche per la dimostrazione di granuli neuro secretori alla microscopia elettronica). Da ricordare che nella stessa neoplasia timica è possibile riscontrare aspetti combinati.

1. TIMOMINeoplasie rare che colpiscono pazienti in un ampio intervallo di età (picco di incidenza tra 55-65 anni). I timomi mostrano marcata eterogeneità morfologica e si distinguono in:

- Forme di tipo A, benigne, a cellule fusate o ovalari di aspetto innocente; le alterazioni genetiche sono piuttosto rare, eventualmente rappresentate dal coinvolgimento del cromosoma 6 (perdita ricorrente del -6p).

- Forme di tipo B, a cellule rotondeggianti o ovalari-sottotipo B1 ricco in linfociti, considerato maligno di basso grado (sopravvivenza a 10 anni >90%)-sottotipo B2 -sottotipoB3 forma povera di linfociti e prevalentemente costituita da cellule epiteliali. *Nei sottotipi B2 e B3 si presentano acquisizioni nei cromosomi 1, 17 e 18 e perdite nei cromosomi 3, 6, 13, 16, 17. La prognosi è progressivamente più negativa per i sottotipi B2 e 3.

- Forme di tipo AB, benigne, derivanti dall’associazione delle forme A e B (più spesso B1) possono anche associarsi tra loro; si ha perdita di materiale genetico a livello dei cromosomi 5, 6, 12 e 16.

L’epitelio neoplastico conserva la capacità di interagire con gli elementi linfoidi che, anche se reattivi, costituiscono una significativa componente del quadro complessivo. Esprimono usualmente marcatori correlati alla linea T e, in varia proporzione, marcatori di immaturità come TdT, CD1a e CD99. Il fatto che persista attività relazionale tra epitelio ed elementi linfoidi può fornire una logica spiegazione della frequente associazione tra timoma e malattie autoimmuni (tra queste meritano menzione: miastenia grave, citopenie, pure red cell aplasia, ipogammaglobulinemia, pemfigo, lichen planus, malattia di Addison e Cushing).La prognosi viene definita sulla base di tre rilevanti fattori:

- Tipo istologico (secondo la classificazione WHO)- Stadio clinico- Resecabilità chirurgica

La definizione dello stadio si avvale del sistema di Masaoka (1981), che riconosce 4 stadi:- Stadio I: il timoma appare completamente capsulato all’esame macroscopico, senza infiltrazioni

capsulari microscopiche.- Stadio II: presente estensione macroscopica nel grasso, nella pleura o invasione microscopica della

capsula.- Stadio III: presente invasione macroscopica negli organi vicini (polmone pericardio e grandi vasi).- Stadio IV: presente disseminazione al pericardio o alla pleura e disseminazione metastatica per via

linfatica o ematogena.La diagnosi si basa su sintomi correlati alla presenza di massa mediastinica, associazione con malattie autoimmuni o, casualmente, viene effettuata in occasione di indagini radiologiche.

TIMOMA di tipo AForma rara che colpisce, senza predilezione di sesso, individui adulti (mediamente 61 anni). Nel 24% dei casi si associa a miastenia grave. La pure red cell aplasia, come in altre forme, può essere riscontrata anche in questa.Morfologicamente ricorda gli aspetti tipici del timo involuto: aggregati solidi di elementi fusati o ovalari, con cromatina dispersa, privi di significative atipie. Gli elementi neoplastici sono positivi alle citocheratine acide e localmente al CD20 (marcatore di linea B). I linfociti sono scarsi (CD3+ e CD5+) mentre gli elementi immaturi sono molto rari (CD1a e CD99)

TIMOMA di tipo ABUna delle forme più frequenti (15-43%) e colpisce pazienti adulti (età media 55 anni). La miastenia vi si associa nel 14% dei casi. Morfologicamente risulta dalla composizione di aree distinte di timoma di tipo A e B (prevalentemente B1), con espressione di marcatori immunofenotipici analoga al timoma di tipo A.

TIMOMA di tipo B1Forma relativamente rara (6-17%) e colpisce individui di età media compresa tra i 41 e 47 anni. Spesso associato alla miastenia grave (18-56%) mentre rara è l’associazione con ipogammaglobulinemia e la pure red cell aplasia.

Definito anche prevalentemente corticale perché morfologicamente costituito in prevalenza da aree che ricordano la corticale del timo normale. Queste sono popolate da elementi epiteliali sparsi, di forma ovalare, forniti di nuclei rotondi e pallidi (CK19+ diffusa, positività focale per CK7, CK14 2 CK18) commisti a numerosi elementi linfoidi di piccole dimensioni in elevata attività proliferativa (CD1a+, CD99+, TdT+, CD4+, CD8+). Sono inoltre presenti aree più chiare, talora con corpuscoli di Hassall, che sono zone di differenziazione midollare in cui i linfociti sono più maturi.La prognosi è peggiore che nelle forme A e AB. La resezione chirurgica completa è possibile nel 90%.

TIMOMA di tipo B2Relativamente frequente (18-42%) e colpisce individui dell’età media di circa 50 anni. L’associazione con la miastenia grave è particolarmente significativa (30-82%) mentre altre manifestazioni autoimmuni sono rare. Tale forma si presenta con aspetto lobulato e setti fibrosi; le cellule epiteliali, che si dispongono a costituire una ramificata rete di sostegno, sono di grandi dimensioni con nuclei vescicolosi, dotati di grosso nucleolo; lungo i setti e in sede periva scolare si dispongono a palizzata. I linfociti, prevalentemente immaturi, sono ben riconoscibili e più numerosi della componente epiteliale. Il timoma è per lo più caratterizzato da moderata aggressività ma in circa il 5-15% dei casi non è asportabile chirurgicamente e può metastatizzare (11%).

TIMOMA di tipo B3Definito anche carcinoma timico ben differenziato, rappresenta circa il 7-25% dei timomi. L’età media dei pazienti è di 45-50 anni. La miastenia si osserva nel 30-77% dei casi ma frequenti sono anche i segni di impegno mediastinico. La massa non è solitamente capsulata, mostra aree emorragiche, di necrosi, di deposizione calcifica e cavitazione cistica. Microscopicamente il tumore è costituito da elementi epiteliali di aspetto simil epidermoideo a scarsa componente linfoide e con immunofenotipo maturo. L’aggressività di questa forma è intermedia, con frequente invasività e recidive. Le metastasi a distanza sono presenti nel 7% dei casi. La sopravvivenza a 10 anni è compresa tra il 50 e il 70%.

2. CARCINOMI TIMICILa forma a cellule squamose è l’entità meno rara. Spesso complessa è la diagnosi differenziale rispetto a un carcinoma squamoso a partenza polmonare, per la quale risulta dirimente l’immunoistochimica che nel carcinoma timico mostra positività per CD5, CD70, CD117 e assenza di positività per TTF-1. Può metastatizzare localmente o a distanza. Assieme al carcinoma basalioide, rappresenta un’entità a prognosi relativamente migliore rispetto agli altri tipi quali il muco epidermoide, il sarcomatoide, il carcinoma a cellule chiare e il carcinoma simil-linfoepitelioma (con possibile associazione all’EBV).

3. TUMORI NEUROENDOCRINIBen differenziati:

- Carcinoidi tipici: cellule organizzate in festoni, cordoni o strutture rosettiformi, con attività mitotica inferiore a 2 mitosi x10 CFI e senza necrosi.

- Carcinoidi atipici: a maggiore attività proliferativa e necrosi simil comedonica.Poco differenziati:

- Carcinomi a piccole cellule: aspetto analogo a quello dell’omologa forma polmonare.- Carcinomi a grandi cellule: morfologia analoga a quella di altri carcinomi poco differenziati, si

separano dalle forme non neuroendocrine sulla base dei dati immunoistochimici.La prognosi è sostanzialmente buona per i carcinoidi tipici, peggiore in quelli atipici (sopravvivenze a 5 anni nell’ordine del 50-80%). Le forme a piccole e a grandi cellule hanno prognosi decisamente infausta.

LINFOMI PRIMITIVI DEL TIMO: Sul piano morfologico e clinico patologico non è sempre possibile distinguere agevolmente tra un linfoma a partenza timica o linfonodale. In via teorica, ogni linfoma si può localizzare nel mediastino/timo nell’ambito di una disseminazione multi stazionale e in questo caso la malattia non assume caratteristiche diverse da quelle presenti in tutte le altre sedi.

Linfomi timici primitivi di maggior rilievo sono:- LINFOMA A GRANDI CELLULE B PRIMITIVO DEL MEDIASTINO:

Forma rara ma non eccezionale (2-3% di tutti i linfomi). Colpisce individui giovani, usualmente nel terzo o quarto decennio di vita, con modesta predilezione per il sesso femminile. All’esordio la malattia è tipicamente localizzata nel mediastino anterosuperiore ed è rappresentata da una voluminosa massa, responsabile di disturbi compressivi sulle vie respiratorie e sui grossi vasi. Il linfoma si localizza in sedi extra-mediastiniche, coinvolgendo linfonodi superficiali e profondi, fegato, reni, ovaie, SNC. Il midollo emopoietico è raramente coinvolto.Morfologicamente si assiste a proliferazione diffusa di elementi di grandi dimensioni, forniti di citoplasma relativamente abbondante con nucleo rotondeggiante, in frequente attività proliferativa. Presente fibrosi tipicamente rappresentata da sottili bande di tessuto connettivo che compartimentalizzano aree cellulari di varie dimensioni. I fenomeni di necrosi possono essere anche molto estesi. Le indagini immunofenotipiche sono particolarmente utili perché sul piano esclusivamente morfologico il linfoma può simulare un carcinoma, un seminoma, una forma linfoma tosa a precursori T o anche un linfoma Hodgkin.Gli elementi linfoidi esprimono marcatori di linea B (CD20+, CD79a+) ma nella maggior parte dei casi non esprimono Ig di superficie pur essendo forniti di tutto l’armamentario trascrizionale necessario alla loro sintesi. L’espressione di BCL6, CD38, MUM1 e Pax5 in assenza di CD138 suggerisce che le cellule si trovino in uno stadio di maturazione post-centro germinativo; la controparte normale di queste sarebbe rappresentata da elementi linfoidi B a fisionomia asteroide presenti nella midollare timica. Nel 30% circa dei casi le cellule esprimono anche il CD30, introducendo problemi di diagnosi differenziale rispetto al linfoma di Hodgkin, mentre il CD15 resta comunque negativo.Studi genetici mostrano alcune anomalie distintive: numerosi cromosomi mostrano acquisizioni di materiale genetico piuttosto che perdite, il cromosoma 9 nel 75% dei casi mostra acquisizioni in corrispondenza del suo braccio corto (9p+), fenomeno eccezionale negli altri linfomi ma che può essere presente nel 25% dei linfomi Hodgkin.Il linfoma a grandi cellule B primitivo del mediastino ha decorso molto aggressivo. Dopo l’introduzione dei moderni protocolli terapeutici però la prognosi è migliorata in modo evidente (80% di sopravvivenza a 5 anni), considerando che la risposta precoce alla terapia è un importante fattore prognostico.

- LINFOMA EXTRANODALE TIMICO A CELLULE B DELLA ZONA MARGINALE DI TIPO MALT

Linfoma estremamente raro. Colpisce individui adulti, prevalentemente di sesso femminile e frequentemente affetti da patologie autoimmuni (spesso Sjogren). Accanto alla localizzazione timica e ai linfonodi regionali mediastinici, può essere presente un concomitante coinvolgimento di stomaco, polmone e ghiandole salivari da parte di un linfoma con caratteristiche MALT. Frequente il riscontro di gammapatia monoclonale. La massa neoplastica è usualmente ben circoscritta, di colorito grigio-biancastro e frequentemente disomogenea per la presenza di formazioni cistiche. Istologicamente: il linfoma presenta gli aspetti tipici dei MALT, con struttura sovvertita in cui accanto a follicoli linfoidi con centro germinativo di natura reattiva è presente infiltrazione diffusa di elementi di piccole dimensioni a fisionomia centrocitoide o di tipo marginale , con scarsa attività re plicativa. Le cellule neoplastiche sono CD20 e CD79a positive, negative per CD3, CD5, CD10, CD23 e ciclina D1 ed esprimono BCL2.Prognosi eccellente e il coinvolgimento di altre sedi MALT non necessariamente si correla a un’evoluzione peggiorativa. Possibile l’evoluzione in un linfoma ad alto grado.

- LINFOMA/LEUCEMIA LINFOBLASTICO/A A PRECURSORI TLa sede timica è la localizzazione naturale di questo linfoma ma nella pratica clinica l’osservazione della massa timica è limitata a quei casi in cui non sia presente (o non ancora manifesto) il quadro leucemico, che permette di formulare la diagnosi sulla base dei soli dati morfologici, immunofenotipici e molecolari derivanti dallo studio del midollo osseo e del sangue periferico.

- LINFOMA ANAPLASTICO A GRANDI CELLULEAnalogo a quello che si presenta in altre sedi. A livello timico tuttavia, vista la limitatezza del materiale su cui effettuare la diagnosi, può essere particolarmente difficoltosa la differenziazione da: linfoma Hodgkin, linfoma a grandi cellule B e carcinomi indifferenziati.

- LINFOMA DI HODGKIN E LINFOMA DELLA ZONA GRIGIAOgni variante istologica di linfoma di Hodgkin può potenzialmente localizzarsi a livello di timo e linfonodi mediastinici, ma l’insorgenza primitiva in questa sede è pressoché esclusiva della variante classica scleronodulare. Questa rappresenta l’80% dei casi osservati (seguita dalla forma a cellularità mista 18%, la

forma a prevalenza linfocitaria nodulare è di riscontro eccezionale 1%). Timo e mediastino rappresentano spesso l’unica sede della malattia e sono pertanto l’unica fonte di materiale diagnostico (nonché i diretti responsabili del quadro clinico). Recentemente sono stati segnalati casi inquadrabili nell’ambito di una zona grigia. Si tratta di forme di linfoma in cui la distinzione tra Hodgkin e non-Hodgkin tipo B non è attualmente possibile e che rappresenterebbero pertanto il punto di passaggio tra le due entità. Resta in dubbio se si tratti tuttavia di un problema interpretativo legato agli attuali strumenti diagnostici.

TUMORI GERMINALI: Il mediastino rappresenta la più frequente sede di’insorgenza di tumori germinali dopo le gonadi. Nonostante la cellula staminale totipotente da cui prendono origine tali tumori non sia mai stata identificata nel contesto del timo, è comunque un dato consolidato che una grande fetta di questi tumori nascano proprio all’interno del timo.Anche in presenza di un tumore germinale del mediastino, prima di definirne la primitività in tale sede è comunque necessario escludere la sua partenza dalle gonadi (si accompagnerebbe usualmente a coinvolgimento retro peritoneale). I tumori germinativi del mediastino rappresentano l’1% di tutte le neoplasie maligne e il 3-4% dei tumori germinali; costituiscono tuttavia il 16% delle masse mediastiniche dell’adulto e il 19-25% di quelle dell’infanzia. In età prepubere, teratoma e tumore del sacco vitellino (quest’ultimo a marcata predilezione per il sesso femminile) sono le forme di gran lunga prevalenti.

TERATOMA MATURO TERATOMA IMMATURO TUMORI GERMINALI MALIGNI NON-SEMINOMATOSI:- Carcinoma embrionario- Tumore del sacco vitellino- Corio carcinoma- Tumori germinali misti SEMINOMA

Per quanto concerne il seminoma, è una forma quasi esclusiva del sesso maschile e colpisce ugualmente maschi nel III e IV decennio di vita. Alla diagnosi la massa si presenta di solito localizzata nella regione timica senza invasione degli organi circostanti. Possibile modesta elevazione di β-hCG. Le sedi preferenziali di disseminazione sono: polmone, parete toracica, cervello, fegato e osso. Non differisce morfologicamente dal seminoma a insorgenza gonadica. Di notevole aiuto sono le indagini immunoistochimiche e in particolare la PALP positività (fosfatasi alcalina placentare), soprattutto in quanto la presenza di una estesa reazione flogistica, anche granulomatosa, di necrosi e di cavitazione cistica possono complicare il riconoscimento diagnostico. Se la forma è pura, la prognosi è nettamente migliore rispetto alle forme non-seminomatose. La sopravvivenza a 5 anni raggiunge il 90% grazie a chemio- e radio-terapia.

NEOPLASIE STROMALI – TIMOLIPOMANeoplasia rara riscontrabile a qualsiasi età, ma prevalentemente tra i 10 e i 30 anni. Può associarsi a sindromi autoimmunitarie come la miastenia grave. Istologicamente è rappresentato da tessuto adiposo nel cui contesto sono dispersi residui timici. Alle immagini radiologiche presenta un’immagine caratteristica e pertanto può essere diagnosticato o fortemente sospettato anche in fase preoperatoria. E’ assolutamente benigno e la sua asportazione locale è curativa e priva di recidive.

LESIONI NON NEOPLASTICHE: CISTI TIMICHEDi frequente riscontro nel timo.Lesioni cistiche uniloculari, rivestite da epitelio cubico o piatto unifilare, più raramente di tipo filamentoso composto, originano da residui del dotto timo faringeo derivato dalla terza tasca branchiale.Lesioni cistiche multiloculari rappresentano invece un evento acquisito, verosimilmente associato a processi infiammatori localizzati alla midollare timica. Sono rivestite da epitelio cubico, ciliato o squamoso, sottile o con aspetti di esuberante proliferazione, con fenomeni di infiltrazione flogistica. Questa può assumere anche una fisionomia granulomatosa, per lo più con i caratteri del granuloma colesterinico.

Operativamente, mediante un accurato studio della parete, è necessario stabilire se la lesione cistica non è neoplastica o rappresenta l’esito di fenomeni regressivi e necrotici all’interno di un processo neoplastico (seminoma e linfoma Hodgkin).

STRUTTURA E FUNZIONE DEL MIDOLLO EMOPOIETICO

-MICROAMBIENTE MIDOLLARE: Il midollo emopoietico è costituito da un microambiente entro il quale si collocano e interagiscono le cellule deputate all’emopoiesi. Il midollo emopoietico è raccolto entro una struttura protettiva rigida, la corticale ossea, attraversata dalle trabecole della spugnosa. Il microambiente midollare è formato da tutte le strutture e dalle cellule emopoietiche comprese entro questi spazi.

Elementi principali di supporto per l’emopoiesi sono:- la rete vasale, costituita dalla serie: arteria nutritizia-arteriole-capillari-rete sinusoidale. I sinusoidi

presentano ampie fenestrature che consentono il passaggio in circolo degli elementi ematici che hanno completato la differenziazione. Una varietà di cellule stromali (avventizi ali, fibroblasti, mio fibroblasti) fornisce l’impalcatura di supporto alla rete vasale. Una parte del sangue che giunge ai sinusoidi proviene da arterie periostali che si capillarizzano entro la corticale ossea e confluiscono (all’interfaccia osso-midollo) in un ampio sinusoide detto marginale. Questa particolare modalità di vascolarizzazione rappresenta un tipo di sistema portale al quale viene attribuita una regolazione del flusso ematico e dei fattori di crescita. Non sono stati identificati nel midollo vasi linfatici.

- Gli adipociti, parte volumetricamente rilevante dello stroma, assenti nella prima infanzia e che costituiscono l’elemento di supporto e nutrimento progressivamente più rappresentato con il progredire degli anni. In caso di aumentate richieste funzionali gli adipociti diminuiscono rapidamente.

- I fibroblasti midollari, produttori delle fibre argento file, sono l’elemento principale dello stroma e sono responsabili di numerosi quadri patologici di fibrosi midollare. Identificati anche mio fibroblasti strettamente associati agli endoteli sinusoidali.

- La matrice extracellulare è costituita da collagene e proteine con funzione di molecole di adesione specifiche per precursori emopoietici in sedi topograficamente definite.

La funzione del microambiente è di fornire un supporto che consenta l’homing delle cellule staminali nelle nicchie midollari, la loro proliferazione e differenziazione e l’entrata in circolo delle cellule ematiche differenziate. L’interazione si sviluppa mediante: molecole di adesione (fibronectina, laminina, proteoglicani), contatti intercellulari e mediante intervento di fattori solubili, principalmente fattori di crescita (CSF, ligando di c-Kit, fattore di crescita per le cellule staminali, eritropoietina e trombopoietina).

-COMPONENTE EMOPOIETICA: Le cellule staminali che colonizzeranno il midollo osseo originano dalla regione AGM (aorta-gonade-mesonefro) e dal sacco vitellino. Al terzo mese migrano al fegato (sede principale di ematopoiesi intrauterina) e dal quarto mese in poi occupano in totalità il midollo osseo.Da una staminale mieloide originano tre tipi di cellule staminali commissionate:

- Eritroide e magacariocitaria- Granulocita ria neutrofila, monocito-macrofagica e mastocita ria- Granulocita ria eosinofila

Le cellule staminali commissionate sono dette anche CFU (colony forming Units) perché in vitro danno origine a colonie di cellule differenziate. La capacità di auto rinnovamento diviene sempre più limitata man mano che si progredisce nella differenziazione, restando prerogativa delle sole cellule staminali commissionate. Le staminali non sono limitate al midollo ma circolano anche nel sangue periferico (SP), essendo però in grado di proliferare e differenziarsi solo nelle nicchie midollari. In condizioni normali, le cellule staminali sono presenti nel midollo in piccola misura (0,1%) e sono dimostrabili solo mediante marcatori (CD34).Ogni serie maturativa occupa una nicchia specifica nel midollo:

- La serie granulo poietica è localizzata con gradiente maturativo verso il centro della lacuna ossea, in contiguità con endostio e cellule avventizi ali periarteriolari;

- La serie rossa è raccolta attorno a un macrofago con emosiderina, che svolge funzioni di supporto (nurse).

- I megacariociti sono posti a contatto con la rete sinusoidale e quindi con accesso immediato in circolo dell’elemento differenziato.

- Le plasmacellule formano manicotti periva sali.

Fino ai 18 anni l’emopoiesi è distribuita in tutto lo scheletro. Da questo momento in poi comincia una progressiva concentrazione nello scheletro: cranio, vertebre, coste, sterno, pelvi, epifisi prossimali di omero e femore.Il volume midollare complessivo nell’adulto raggiunge i 3000 ml e per metà è composto da midollo emopoietico. In condizioni patologiche (anemizzazione, mielofibrosi) si assiste ad espansione dell’emopoiesi, non solo a scapito della componente adiposa, ma anche delle sedi extramidollari (fegato, milza), attive durante la vita intrauterina.

BIOPSIA OSTEOMIDOLLARE

Le indicazioni alla biopsia osteo-midollare (BOM) coincidono, in larga misura, con le situazioni in cui vi è fibrosi midollare.Principali indicazioni:

- Citopenia nel SP (sangue periferico)- Malattie mieloploriferative*- LNH e LH, leucemia a cellule capellute*- Leucemie acute*- Mastocitosi sistemica*

*patologie con più frequente fibrosi midollare

Per l’adulto la sede elettiva è la spina iliaca postero-superiore (SIPS). Il campione bioptico deve avere una lunghezza congrua (1.5-2 cm) perché le lacune midollari sottocorticali sono meno cellulari di quelle profonde (soprattutto nell’anziano) e in quanto le patologie focali possono avere una localizzazione profonda. Per i pazienti con malattie focali (LH, metastasi) l’esecuzione di biopsie bilaterali accresce la significatività. La sede di biopsia va cambiata nel caso in cui sia già stata bersaglio di prelievi ripetuti o di terapia radiante. Nella prima infanzia la sede può essere la cresta tibiale anteriore.

La biopsia può essere eseguita con diversi tipi di aghi disponibili in commercio (il più usato è lo Jamshidi, 11 Gauge per l’adulto, 13 Gauge in età pediatrica). La biopsia viene posta in un fissativo adeguato (formalina tamponata, B5) decalcificata e processata secondo gli ordinari moduli istologici, sezionata a più livelli e colorata con ematossilina-eosina, Giemsa, Gomori, Perls. Le informazioni che se ne ricavano sono relative a:

- Cellularità midollare- Modificazioni quali- quantitative dell’emopoiesi- Presenza di popolazioni cellulari abnormi- Modificazioni della topografia midollare- Alterazioni del microambiente stromale

Nella sede stessa da cui si è effettuata la biopsia si può anche effettuare un aspirato citologico da strisciare su vetrino ( da evitare l’aspirazione prima di ottenere il vetrino).

Per la lettura corretta di una BOM è essenziale disporre della storia clinica con profilo ematologico e biochimico, di uno striscio di sangue periferico, di strisci citologici da agoaspirazione midollare e, se ci si trova di fronte a patologie linfoproliferative, di un’eventuale precedente biopsia linfonodale.

Alcuni valori normali della biopsia osteomidollare: Rapporto tessuto adiposo/nucleato:

1° Decennio 1:4 2° Decennio 1:3 3° Decennio 1:1 4° Decennio 2:1

Serie granulo poietica/eritropietica: 2:1; 3:1 Megacariociti: 1% circa Plasmacellule: 5-10% periva sali Linfociti: 5-20%; T:B= 4:1; CD4:CD8=1:3 Noduli linfoidi: 2-8% dei casi Sideroblasti: 25-30% dei precursori eritroidi contiene 1-3 granuli di emosiderina

Principali marcatori cellulari utilizzati nella biopsia osteomidollare: Serie rossa: Emoglobina A, glicoforina A e C Serie granulo poietica: MPO (mieloperossidasi) Serie piastrino poietica: fattore VIII, CD61 Serie monocito-macrofagica: CD 68/PGM1, lisozima Plasmacellule: CD38, CD138, catene kappa e lambda, CD56 Linfociti B: CD20, CD79a, PAX5 Linfociti T: CD3, CD4, CD8 Mastociti: triptasi Precursori B e T: TdT Blasti: CD34 Metastasi: antigeni tumorali

Malattie della serie mieloide

Sindromi mielodisplastiche

Patologia della linea mieloide in cui le cellule si caratterizzano per difetto di maturazione, emopoiesi inefficace e rischio di evoluzione in LAM.La causa delle lesioni displastiche è la condizione patologica delle cellule conseguente a un danno genetico, in cui il DNA non sia danneggiato in modo così grave da generare una neoplasia. Le lesioni displastiche sono di solito dei processi reversibili, al contrario della neoplasia che è un processo irreversibile, autonomo e progressivo.Nella mielodisplasia le cellule displastiche presentano delle alterazioni molecolari caratteristiche (dovute a danni genetici).Questa patologia si manifesta prevalentemente negli anziani (sebbene sia descritta anche in altre età), in quanto col passare degli anni aumenta la probabilità che il danno genetico si manifesti.

Il sangue periferico di questi pazienti è caratterizzato da pancitopenia, poiché la cellula che non differenzia non entra in circolo. I disturbi che caratterizzano la pancitopenia sono:- anemia (che si manifesta con pallore, astenia)- granulocitopenia (maggior rischio infezioni ricorrenti)- trombocitopenia (diatesi emorragica).

Esistono varie cause possibili di pancitopenia: aplasia midollare, midollo infiltrato da metastasi, mielofibrosi, mielodisplasia…Si indaga dunque la causa di questo segno importante sottoponendo il paziente a biopsia osteomidollare.In un paziente mielodisplastico la biopsia rivela:

- cavità midollari ipercellulari (per la displasia e per l’aumentato stimolo a proliferare come compenso della pancitopenia);- anomalie della normale topografia midollare con presenza di ALIP (Atypical Localization of Immature Precursors),ovvero elementi immaturi della serie granulopoietica non allineati all’interfaccia lamella ossea-midollo , ma che si localizzano negli interstizi.- presenza di cellule blastiche (rilevata tramite uso di marcatori specifici per il CD34)- presenza di fibrosi

Nei pazienti affetti da MDS esiste un rischio importante di trasformazione in leucemia mieloide acuta (30-40% dei casi). C’è il rischio dunque che questa condizione preneoplastica evolva in una condizione francamente neoplastica. Fortunatamente esistono degli strumenti per prevedere questa trasformazione. In un midollo normale le cellule staminali esprimenti il CD34 sono l’1%. Colorando una sezione di midollo con anticorpi contro CD34, e andando a contare il numero di cellule CD34, si può avere un’indicazione sull’eventuale evoluzione della mielodisplasia in leucemia mieloide acuta.Un aumento della percentuale delle cellule CD34+ sta ad indicare un aumento della proliferazione dei blasti. Se la popolazione di blasti è > 20% (rilevata su striscio di sangue periferico, agoaspirato midollare o BOM), si parla di mielodisplasia evoluta in leucemia acuta.Quali sono le cause di una mielodisplasia?Sulla base clinica le mielodisplasie possono essere distinte in forme secondarie (danno indotto da chemioterapici, radiazioni, sostanze mielotossiche come il benzolo) ed idiopatiche (di cui non si conosce la causa). Esiste inoltre una classificazione ( classificazione WHO) che viene usata per la diagnosi clinica e per predire il rischio di evoluzione in leucemia (diverso a seconda del tipo di mielodisplasia). Ci sono forme distinguibili per un’alterazione citogenetica caratteristica (Sindrome 5q), forme associate a terapie specifiche (ex: agenti alchilanti), forme non classificabili.Nelle sindromi mielodisplastiche la sola morfologia non ci permette di distinguere le cellule displastiche dai normali precursori delle cellule eritroidi, mieloidi o megacariocitarie (al contrario delle condizioni fisiologiche). In tal senso ci viene in aiuto l’uso dei markers specifici che ci consentono di definire la composizione cellulare del midollo. I marker usati per la colorazione sono:- mieloperossidasi (per la linea mieloide); marker caratteristico dei leucociti polimorfonucleati. E’ presente nei granuli, ma prima di essere presente nei granuli maturi del granulocita, è anche presente fin dalle prime fasi nel citoplasma..- glicoforina A (marker della linea eritroide)- CD61 (è un’integrina presente su megacariociti e piastrine, ed è un marker della linea megacariocitaria)Quindi uso 4 colorazioni (compreso il CD 34) per valutare la percentuale di blasti. Con questo 4 colorazioni ho un quadro completo della popolazione cellulare presente nel midollo.

Le mielodisplasie si caratterizzano per la presenza di alterazioni citogenetiche specifiche (le più comuni sono del5q, 7q, 20q; monosomie 5 o 7; trisomia 8.

CLASSIFICAZIONE DELLE MDS (WHO)Anemia refattariaAnemia refrattaria con sideroblasti ad anelloCitopenia refrattaria con displasia multilineareAnemia refrattaria con eccesso di blastiSindrome del 5q-(altre: MDS non classificabili; MDS-t, ovvero secondarie a tp radiante o chemiotp specie con alchilanti)

Leucemia acuta mieloide

Le LEUCEMIE MIELOIDI ACUTE sono dei tumori che originano dalla trasformazione di una cellula staminale mieloide che ha perso la capacità di differenziare. Hanno un’insorgenza acuta, i sintomi si manifestano in un breve periodo di tempo. : si tratta infatti di una neoplasia costituita da cellule che proliferano rapidamente e che sopprimono la normale emopoiesi. Esistono due forme di leucemia mieloide acuta:- leucemia leucemica (le cellule neoplastiche riescono a raggiungere il sangue e sono riconoscibili nel sangue periferico)- leucemia aleucemica (le cellule neoplastiche non hanno la capacità di superare la parete del sinusoide midollare ed entrare in circolo; c’è quindi pancitopenia).In tutti e due i casi ho una proliferazione accentuata delle cellule del midollo osseo. Nel primo caso queste cellule, oltre a stare nel midollo osseo, stanno anche nel sangue. Nel secondo caso stanno solo nel midollo osseo.Se il paziente è affetto da leucemia francamente leucemica, nel sangue periferico ci sono blasti immaturi (leucocitosi periferica con globuli bianchi immaturi). In questo caso l’analisi di uno striscio di sangue periferico evidenzia una quota di cellule blastiche che può raggiungere il 90% di tutti i leucociti.I blasti sono cellule più grandi delle cellule mature, hanno un rapporto nucleo/citoplasma aumentato (a favore del nucleo) e presentano un citosol basofilo (aumento dei ribosomi).I blasti sono cellule indifferenziate, dunque non permettono di risalire alla cellula di origine tramite il solo studio della morfologia. Per fare diagnosi differenziale tra neoplasia mieloide e linfoide è quindi necessario ricorrere allo studio degli antigeni specifici espressi dal blasto; ad esempio il precursore linfoide dei linfociti T esprime il CD5 e il CD7, il precursore linfoide dei linfociti B esprime il CD10. Circa il 70% delle leucemie acute sono mieloidi, il 30% sono linfoidi.

Per porre diagnosi di leucemia acuta mieloide è necessario riscontrare (nel midollo o nel sangue periferico) una percentuale di blasti >20%.Attualmente la classificazione delle LAM più utilizzata è quella del gruppo FAB (Franco-American-Britannico), la quale individua 8 forme di leucemie mieloidi acute (da M0 a M7) a seconda dello stadio maturativo di appartenenza delle cellule neoplastiche (promielocita, mielocita ecc).

Accanto alla FAB esiste un’altra classificazione delle leucemie mieloidi acute che si basa sui genotipi (permette di capire la prognosi delle malattia in base al genotipo). Si distinguono i seguenti tipi di leucemie:*A: leucemia con anomalie genetiche ricorrenti;B: leucemia con displasia multilineare idiopatica evolutasi da una mielodisplasia;C: leucemia associata a mielodisplasia ed indotta da chemioterapici (non idiopatica);D: leucemie non altrimenti classificabili (prive di alterazioni genetiche ricorrenti);E: leucemie di linea ambigua (mieloide-linfoide).

*Gruppo A (anomalie ricorrenti):- AML t(8;21)(q22;q22) AML1/ETO- AML t(15;17)(q22;q11-12) PML/RARalfa equivalente a M3- AML con eosinofili midollari anomali inv(16) o t(16;16), CBFbeta/MYH11- AML con alterazioni in 11q23 (MLL)

La cellularità midollare di un paziente affetto da LAM può presentare i seguenti elementi leucemici:- Mieloblasti; nucleo fine, nucleoli multipli, ampio citoplasma con rari granuli azzurrofili, positività

per MPO, presenza nel citoplasma di corpi di Auer (granuli azzurrofili sotto forma di bastoncelli) in particolare nella M3 (leucemia promielocitica);

- Monoblasti; nuclei lobati, MPO negativi, esterasi positivi (la presenza di questo enzima è tipica della linea monocito-macrofagica);

- Megacarioblasti; cellule grandi con pseudopodi citoplasmatici e “zonazione” citoplasmatica (porzioni di citoplasma occupate da aggregati di piastrine)

La sintomatologia di tutte le forme LAM è secondaria alla pancitopenia , associata a quadri specifici per determinati istotipi:

- La M3 si associa quasi sempre a coagulopatie e può esordire con un quadro di CID (coagulazione intravasale disseminata)

- La M4 e la M5 possono presentare una localizzazione gengivale di malattia (iperplasia gengivale tipica delle leucemie monocitiche).

CLASSIFICAZIONE FAB delle LAMSi basa su criteri morfologici della popolazione neoplastica, ovvero su grado di differenziazione e su linea di origine. Sfrutta esame citomorfologico (SP, agoaspirato, BOM), immunoenzimatico e immunoistochimico (su agoaspirato midollare).M0 – minima differenziazione; riconoscibile origine mieloide solo per antigeni di linea (CD13, CD33, CD117)M1 – senza maturazione; parziale positività a MPO ,presenza corpi di Auer (granuli citoplasmatici azzurrofili a forma di bastoncelli, del tutto atipici e indicativi di LAM)M2 – con maturazione; presenti granuli e corpi di AuerM3 – promielocitica ipergranulare; molto rappresentati i corpi di AuerM4 – mielomonocitica; elementi mielo-monocitici (esterasi+) misti a elementi mieloidi (MPO+)M5 – monocitica; elementi esterasi+/MPO-M6 – eritroleucemica; precursori eritroidi (glicoforina+) misti a mieloblasti (nucleo a cromatina fine, nucleoli multipli, ampio citoplasma a rari granuli azzurrofili, MPO+, corpi di Auer)M7 – megacariocitica; megacarioblasti (CD61+ e fattore VIII+; pseudopodi citoplasmatici e zonazione citoplasmatica)

Tra le varie leucemie acute si segnala la leucemia promielocitica (M3) che si caratterizza per un’ottima prognosi. La LAM M3 è contraddistinta dalla traslocazione t(15;17) che pone il gene del recettore α per l’acido retinoico in contiguità del gene PML. La proteina di fusione codificata (PML/RAR α) ha un effetto inibitorio sulla differenziazione cellulare. Con la somministrazione dell’acido tutto-trans-retinoico (ATRA) viene scavalcato il blocco maturativo e viene consentita la differenziazione dei promielociti leucemici in granulociti. E’ necessario comunque associare la CHT convenzionale (antracicline in particolare) per bloccare il continuo rinnovamento dei progenitori neoplastici. La prognosi di questa patologia è ottima (sopravvivenza a 5aa supera l’80%). Lo stesso non si può dire per le altre forme (in particolare le più indifferenziate) nelle quali la sopravvivenza a 5aa è compresa tra il 15 e il 30%. Le forme più gravi sono quelle che insorgono in seguito a MDS e a CHT.

Malattie mieloproliferative croniche

Insieme di patologie che derivano anch’esse (come le LAM e le SMD) da proliferazione clonale della cellula staminale della linea mieloide. Tuttavia queste malattie si differenziano da quelle precedentemente trattate per l’alto grado di differenziazione che caratterizza le cellule in circolo (alto grado di replicazione e di differenziazione cellulare). Questa caratteristica rende ragione dell’andamento cronico (e quasi sempre asintomatico o paucisintomatico) di queste patologie.Caratteristiche comuni delle sindromi mieloproliferative:

Iperattività dell’emopoiesi con aumentata produzione di elementi normomaturanti (a differenza delle LAM) e conseguente ipercellularità del midollo (anche 90%) e del sangue periferico;

Spiccata tendenza della staminale a trovare un homing negli organi deputati all’emopoiesi nella vita intrauterina (in particolare la milza) creando così una metaplasia mieloide;

Possibile evoluzione in fibrosi midollare con conseguente citopenia periferica; Possibile progressione in LAM; Presenza di specifiche alterazioni citogenetiche e molecolari (gene di fusione BRC-ABl e mutazione

JAK2).

Le sindromi mieloproliferative vengono storicamente divise in due gruppi:1. Leucemia mieloide cronica (caratterizzata dalla traslocazione (9;22) con formazione del cromosoma

Philadelphia);

2. Sindromi mieloproliferative croniche Philadelphia negative (che non presentano la traslocazione (9;22) ) e che sono essenzialmente la Policitemia vera, la Trombocitemia Essenziale e la Mielofibrosi Idiopatica (più correttamente Mielofibrosi Primitiva). Si caratterizzano per la presenza di mutazioni del gene JAK2 (Janus Kinase 2) in tutti i casi di PV e circa nella metà dei casi di TE e MFI. Questo gene codifica per una tirosin-chinasi che svolge un ruolo chiave nella trasmissione dei segnali che pervengono alla cellula dal legame di recettori di superfice con numerosi fattori di crescita.

Leucemia mieloide cronicaMalattia mieloproliferativa cronica originata da una traslocazione cromosomica clonale della staminale, con iperproduzione di granulociti.In questa patologia il gene BCR (cr9) si giustappone al gene ABL (cr22) con formazione del gene di fusione BCR-ABL che induce la trascrizione di una proteina ad attività tirosin-chinasica la quale, indipendentemente da fattori di crescita, stimola la proliferazione cellulare, inibisce l’apoptosi, altera l’adesione cellulare allo stroma del midollo.La LMC colpisce prevalentemente anziani (picco 5-6 decade) con lieve predominanza dei maschi. L’insorgenza è subdola e il riscontro di iperleucocitosi può essere casuale.Sintomatologia e dati obiettivi all’esordio:

Anemia Sintomi di ipermetabolismo da aumento turnover cellulare (affaticabilità, astenia, sudorazione

notturna, calo ponderale) Senso di peso e talvolta dolore all’ipocondrio sinistro (splenomegalia e infarti splenici) Leucocitosi neutrofila (fino 10^5/mm3) con forme immature in circolo

(metamielociti,mielociti,mieloblasti) Aumento di basofili ed eosinofili in circolo Presenza del cromosoma Ph Possibile fibrosi midollare Il gradiente di maturazione topografico midollare è conservato (organizzazione midollare

parafisiologica) Iperplasia megacariocitaria alla BO con presenza di piccole forme displastiche di piccola taglia

(micromegacariociti)Con le attuali terapie (inibitori della tirosin-chinasi BCR-ABL come ad esempio il Glivec) la fase cronica può protrarsi per diverse decadi (attualmente pz trattati con Glivec o con trapianto allogenico di midollo osseo stessa aspettativa di vita della popolazione sana) ma in assenza di un trattamento la malattia evolve inevitabilmente in leucemia acuta (più frequentemente LAM che LAL) entro 5-7 anni dalla diagnosi.L’evoluzione in leucemia acuta (quando blasti nel midollo >20%) può avvenire ex abrupto (leucemia mieloide cronica in fase blastica) o gradualmente (leucemia mieloide cronica in fase accelerata).

Fase accelerata, criteri di diagnosi: Blasti tra 10 e 19% Basofili nel periferico>20% Trombocitopenia non correlata alla terapia o trombocitosi non responsiva alla terapia Anomalie citogenetiche addizionali Splenomegalia e leucocitosi non responsive alla terapia

Policitemia veraProliferazione della staminale con iperproduzione trilineare di precursori del midollo e di globuli rossi, granulociti e piastrine nel sangue periferico.La malattia colpisce prevalentemente l’anziano con una sintomatologia riconducibile all’aumentata viscosità del sangue secondaria all’aumento dei globuli rossi (e quindi dell’ematocrito). Avremo quindi: ipo-ossigenazione, cefalea, ronzii. La patologia si caratterizza inoltre per un aumentato rischio trombotico (per alterata funzione piastrinica e rallentamento del flusso) e per la presenza di prurito acquagenico (in seguito al contatto con acqua calda si ha un massivo rilascio di istamina da parte dei basofili circolanti). Da

segnalare inoltre l’aumentata insorgenza di iperuricemia (attacchi gottosi nel 5-10%) secondaria all’intenso turnover cellulare.Nel corso della storia naturale della malattia può attuarsi una fibrosi midollare (15-20% dei casi a 10 anni dall’esordio) con dislocazione dell’emopoiesi (metaplasia mieloide) in sedi extramidollari (fegato ma soprattutto milza) o un evoluzione in LAM (13% a 15 anni dalla diagnosi) specie dopo terapia citoriduttiva protratta nel tempo (idrossiurea in particolare).La terapia si avvale dell’uso di salassi, antiaggreganti e mielosoppressori.

Criteri diagnostici (diagnostici tutti i criteri A, oppure A1+A2 e almeno due criteri B)

A1 aumento MCV o HB (>18,5 M e >16,5 F)A2 assenza di cause secondarie di eritrocitosi (non eritrocitosi familiare, non incremento EPO)A3 splenomegaliaA4 anomalie genetiche clonali (non Ph, non BCR-ABL)A5 crescita spontanea di colonie eritroidiB1 trombocitosi >400.000 µLB2 lucocitosi >12.000 µLB3 BO: iperplasia eritroide e megacariocitariaB4 bassi livelli sierici di EPO

Trombocitemia essenzialeMalattia clonale che interessa principalmente la linea megacariocitaria, caratterizzata da trombocitosi persistente. L’età media di insorgenza è attorno ai 50 anni con prevalenza del sesso femminile. La malattia può decorrere silente o esordire con eritromelalgia (arrossamento, ipertermia, dolore e turgore di mani e piedi secondari a micro-ischemie dei capillari) o con episodi trombotico-emorragici. L’aumento delle piastrine è verosimilmente da ricondurre alla presenza di mutazioni di JAK2 (presenti in almeno il 50% dei casi).Alla BO la cellularità midollare è normale o di poco aumentata, con evidenza di elevato numero di megacariociti (talvolta organizzati in clusters) con forme giganti e nuclei iperlobati, in assenza di atipie. Prognosi buona (infrequente l’evoluzione in LAM e in fibrosi midollare) con aspettativa di vita pressoché normale , la terapia si avvale di antiaggreganti e di citoriduttivi (solo in caso di alto rischio cardiovascolare).

Criteri diagnosticiPiastrinosi stabile (>600.000 µL)BO: proliferazione della sola linea megacariocitariaEsclusione di: PV, LMC, MFI, MDSEsclusione di trombocitosi secondarie: flogosi, infezioni, neoplasie, splenectomia

Mielofibrosi idiopatica (primitiva)Malattia clonale della staminale con proliferazione prevalentemente megacariocitaria e granulopoietica, fibrosi progressiva del midollo e dislocazione extramidollare dell’emopoiesi. Patologia rara, tipica dell’anziano (infrequente e particolarmente aggressiva prima dei 60aa).Presentazione clinica:

Anemia Trombocitosi Pesantezza addominale (per splenomegalia massiva, fino a 4 Kg) Sintomi da aumentato metabolismo (iperuricemia ed episodi gottosi) Leucoeritroblastosi ovvero presenza in circolo di elementi immaturi e di emazie a lacrima

“dacriociti” (l’evoluzione fibrotica del microambiente midollare condiziona la deformazione “a lacrima” delle membrane eritrocitarie e l’immissione in circolo di elementi immaturi)

Riscontro di cellule staminali circolanti (CD34+) che colonizzano sedi extramidollari corrispondenti alle stazioni emopoietiche intrauterine (milza e fegato) o altre strutture (linfonodi, polmone,

cute,intestino, meningi).L’emopoiesi in queste sedi è inefficace per cui persiste ingravescente citopenia.

Morfologicamente si susseguono una fase ipercellulare trilineare, specie megacariocitaria (con anomala disposizione paratrabecolare anziché centro-lacunare, e atipie nucleari con ipolobulazione e picnosi) e dopo successivamente una fase fibrotica, inizialmente reticolinica quindi collagenica, in cui si osservano neoangiogenesi e neoosteogenesi/osteosclerosi. I processi illustrati sono sostenuti da citochine (PDGF e TGF-beta) prodotte dai megacariociti e attivanti una proliferazione reattivi di fibroblasti, endoteli e osteoblasti.La terapia è palliativa (androgeni ed eritropoietina per l’anemia) e può avvalersi di citoriduttivi in caso di mieloproliferazione eccessia. Il trapianto allogenico è gravato da alta mortalità e quindi poco praticato. La prognosi è pessima (mediana di sopravvivenza di circa 3-5 anni) e la patologia è gravata da un alto rischio di evoluzione in LAM (10-20% dei casi)

Malattie emoproliferative rare di incerta classificazione

MastocitosiAccumulo di mastociti nei tessuti. La maggior parte (65%) è infantile e interessa solo la cute (sotto forma di orticaria pigmentosa, maculo-papulomatosi diffusa a tronco e arti di colore rosso bruno; mastocitoma solitario, nodulo singolo). Le forme infantili tendono a regredire e si manifestano con prurito, orticaria, desmografismo, flushing (vasodil cutanea diffusa), formazione di bolle e flittene, urticazione spontanea o indotta da traumi. Nelle forme adulte ci possono essere manifestazioni sistemiche aggressive in assenza di manifestazione cutanea, con rapida insorgenza di insufficienza midollare pancitopenica, malassorbimento ,insufficienza epatica, fratture patologiche.La diagnosi si effettua tramite BO (il solo agoaspirato da in genere punctio sicca): presenza di infiltrati focali paratrabecolari e perivasali, composti da mastociti atipici (ipogranulari) unitamente a popolazione di accompagnamento (eosinofili,plasmacellule, linfociti) entro un contesto di fibrosi e neogenesi vasale. Per la diagnosi ci si avvale di colorazioni per la metacromasia dei granuli (Giemsa) e reazioni immunologiche che identificano la triptasi (specifica del mastocita) e il recettore kit (per lo stem cell factor). La positività per CD25 (non presente nel Mastocita normale) costituisce ausilio diagnostico nelle forme sistemiche.Le forme che presentano mutazioni del c-kit (con iperattivazione di una proteina ad attività tirosin-chinasica) sono purtroppo poco responsive (per il tipo di mutazione) a farmaci inibitori delle tirosin-chinasi.

Classificazione delle mastocitosi – WHO 2001Mastocitosi cutaneeMastocitosi sistemiche indolentiMastocitosi sistemiche aggressiveMastocitosi sistemiche associate a emopatia clonale di linea non mastocitariaLeucemia mastocitaria

Mastocitosi sistemia- sintomatologiaAnemia affaticabilità, malessere, febbre, calo ponderaleSistemia cardiocircolatorio: palpitazioni, tachicardia,ipotensione,shock, sincopeTratto GI: vomito, ulcera peptica, esofagite, gastrite, malassorbimento, dolori addominaliSistema respiratorio: broncospasmoApparato scheletrico: atralgie, dolori osseiSNC: cefalea, “testa vuota”, irritabilità, cambiamenti di personalitàProliferazioni istocitarie midollari

Granulomi midollari

Aggregati di istiocito-macrofagi, con più o meno estesa trasformazione epiteliode, commisti a linf t, eosinofili, fibroblasti. Possono avere cause immunologiche e infettive. Per l’identificazione del possibile agente vanno utilizzate colorazioni specifiche (Ziehl-Nielsen per i micobatteri atipici e le colorazioni all’argento-metamina per i funghi).

Granulomi su base infettiva Batteri (micobatteri,brucellosi) Miceti (istoplasmosi, criptococcosi) Protozoi (toxoplasmosi, leishmaniosi) Virus (epatite B, EBV, CMV, Herpes Zoster)

Sindrome emofagocitica virus associata (VAHS)Patologia grave con mortalità del 50%, descritta in immunodepressi iatrogeni o per patologie congenite; gli agenti scatenanti esogeni possono essere anche altri agenti infettivi oltre ai virus. Verosimilmente l’infezione delle cell ematopoietiche induce un riarrangiamento antigenico con distruzione autoimmunitaria che si realizza attraverso la diffusa infiltrazione istiocito-macrofagica midollare e linfonodale.

Sintomi e reperti obiettivi in corso di VAHS Febbre, citopenia, rash cutaneo Linfoadenopatie, epatosplenomegalia, infiltrati polmonari tipo ARDS (acute respiratory distress

syndrome Anomalie della funz epatica (ittero) Anomalie della coagulazione (CID, coagulazione intravasale disseminata)

Istiocitosi a cellule di LangerhansPatologia rara, di probabile natura neoplastica. Presenza di elementi identificativi con fenotipo: CD11c, CD1a+, CD14-, presenza dei granuli di Birbeck (visualizzabili alla ME). I tessuti interessati presentano accumulo di queste cell in associazione spesso ad eosinofili e altro infiltrato reattivo (plasmacellule, macrofagi, cell giganti multinucleate, linfociti) abbondante, giustificato dalla intensa produzione citochimica delle cell di Langerhans. Ci sono 3 forme anatomo-cliniche distinte- Disseminata, monoclonale: presi polmone, fegato, GI, linfonodi, midollo osseo, cute; più frequente pediatrica/neonatale <2aa. Infausta- Localizzata, monoclonale: più frequente in soggetti di età 5-15aa molto responsiva alla tp (va spesso remissione totale). Può avere manifestazione cutanea (eritematosa, seborroica, papulare) o ossea (osteolisi unica o multipla); si può associare interessamento secondario linfonodale loco-regionale- Polmonare, policlonale: tipica della III decade, strettamente associata al fumo di sigaretta. Quadro delle pneumopatie interstiziali diffuse. In questo caso la natura neoplastica della patologia sembra molto meno probabile.

Sarcoma istiocitarioPatologia rara, più comune nel maschio adulto con localizzazioni midollari, linfonodali, cutanee e intestinali. La malattia può essere sistemica. Le localizzazioni ossee si associano a osteolisi e pancitopenia. L’elemento proliferante è di grossa taglia, ampio citoplasma ed esprime marcatori istiocitari (CD68, lisozima, PgM1) con assenza di marcatori mieloidi e linfocitari. Il decorso è aggressivo, la prognosi infausta.