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Periodico di animazione missionaria degli Amici del S. Anna - Anno XXI - N. 50 - Aprile 2014 Quadrimestrale - Poste Italiane S.p.A. Sped. in Abb. Post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 2 DCB - Roma Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a Dio Padre e a tutti i suoi figli ogni onore e gloria

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Periodico di animazione missionaria degli Amici del S. Anna - Anno XXI - N. 50 - Aprile 2014Qu

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Per Cristo, con Cristo e in Cristo,a Dio Padre e a tutti i suoi figliogni onore e gloria

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IL DECALOGO DELLA MISSIONE

In questo numero presentiamo il V° imperativo del mandato missionario secondoil decalogo stilato da Bruno Maggioni e qui riportato per intero come promemoria

I. Il cristiano fa proprio l’ideale che ha unificato tutta la vita dell’apostolo Paolo: annunciare Gesù Cristo.

II.  Annuncia un vangelo che aggrega. Ama la sua chiesa ed invita uomini e donnea farne parte. Tuttavia non annuncia la sua chiesa, ma il Signore Gesù.

III.  Porta un annuncio che salva. Sa che Il bisogno più profondo dell’uomo è l’incontro con Dio e che Gesù Cristo è la piena risposta a questo bisogno.

IV.  Si Impegna per la liberazione di tutta la persona: dal peccato, dalla fame, dal-l’oppressione e anche da quel troppo benessere ingiusto e sciupone, che distrae

da Dio e rende ciechi di fronte ai poveri.V.  Vuole la salvezza vera. Non si accontenta di curare I sintomi,

scende alle cause. Non si limita ad offrire aiuti che lasciano i poveri nella dipendenza,ma fa di tutto per renderli protagonisti. Ed è convinto che anche per questo è importante annunciare ai poveri la lieta notizia

dell’amore di Dio che li aiuta a ritrovare dignità.VI. Vive l’universalità evangelica. E insofferente di ogni chiusura.

Ha il gusto dell’incontro con il lontano e il diverso. Sollecita la sua comunità a valutare i problemi e le decisioni nell’ottica universalistica.

Suscita e collabora a tutte le iniziative volte ad Intrecciare relazioni con le altre chiese e con altri popoli.

VII. Solidarizza con le situazioni in cui vive e con le persone che gli sono accanto.Si preoccupa di tutti: come in casa è attento alla famiglia, così in parrocchia,

scuola, fabbrica e in ogni altro ambiente, nessuno gli è estraneo.VIII. Ricordando che Gesù ha privilegiato gli ultimi, in una società

sovente indifferente, si accorge subito di loro.IX. Poiché annuncia una verità che è scomoda, il cristiano missionario (che è uomo di pace) suscita reazioni e contrasti. Questo lo addolora,

ma non lo ferma. Trova il coraggio come Gesù, nella comunione con il Padre e nella solidarietà dei fratelli.

X. È consapevole del dovere della coerenza, ma non ne ha l’angoscia. Non pone nella propria coerenza il diritto di annunciare II vangelo,

ma nella fedeltà del Signore che a questo lo chiama. Del resto egli non parla di séstesso, ma solamente di quanto Dio ha fatto per tutti.

E così può parlare anche se peccatore.

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Cari Amici, arrivando nelle vostre case in piena quaresima, con la memoria di unimperativo che “brucia le mani”, per quanto è forte e impegnativo,(vedete il V° comandamento del missionario, evidenziato nella pagi-na a fianco) preferisco dare senz’altro la parola al Santo Padre Fran-cesco. Egli è ormai universalmente riconosciuto, e non solo da noicristiani, come: la voce più credibile del nostro tempo, il vero erme-neuta della Parola per i nostri giorni.Lo faccio qui con una sintesi del suo messaggio quaresimale ap-

parso, poco prima di andare in stampa: “Si è fatto povero per arric-chirci con la sua povertà” (2 Cor 8, 9).“Ma cosa dicono a noi, cristiani di oggi, queste parole di san Pao-

lo?” Che significano per noi che vogliamo continuare la sua missione?Questo “invito alla povertà, dice qual è lo stile di Dio, il quale non si rivela con i mezzi

della potenza e della ricchezza del mondo, ma con quelli della debolezza e della povertà. Il mistero dell’incarnazione trova infatti ragione nell’Amore divino, che è grazia, generosità,desiderio di prossimità, e non esita a sacrificarsi per le creature amate”. Un amore che “ren-de simili, crea uguaglianza, abbatte i muri e le distanze”.Ma “Lo scopo del farsi povero di Gesù non è la povertà in se stessa”. La sua logica non se-

gue il “pietismo filantropico” di chi “dà parte del proprio superfluo” in elemosina. “Non èquesto l’amore di Cristo!... La povertà di Cristo che ci arricchisce è il suo farsi carne, il suoprendere su di sé le nostre debolezze, i nostri peccati, comunicandoci la misericordia infinitadi Dio”. Proprio questa è la via che il Messia ha scelto per “consolarci, salvarci, liberarci dal-la nostra miseria”, una via di povertà che “ci rende ricchi” in virtù del “suo modo di amar-ci”, espresso in un triplice moto “di compassione, di tenerezza e di condivisione”. Gesù “èricco”, spiega, come lo è “un bambino che si sente amato e ama i suoi genitori e non dubi-ta un istante del loro amore e della loro tenerezza”. Quindi, ripete con Léon Bloy: “la sola ve-ra tristezza è non essere santi!”. Questa tristezza, cari amici, è ciò che noi vorremmo strappare dal cuore dei nostri fratelli

e dal nostro! Sappiamo che l’unico modo per farlo, il primo ineludibile strumento della no-stra missione , è metterci innanzitutto in ginocchio davanti a Lui abbracciando la Sua e lanostra Croce. (cf. foto di copertina)Nell’operare poi, “Bisogna saper distinguere miseria da povertà”, precisa il Santo Padre,

dal momento che “la miseria è la povertà senza fiducia, senza solidarietà, senza speranza”. In tal senso, “possiamo distinguere tre tipi di miseria: la miseria materiale, la miseria mora-le e la miseria spirituale”. La prima miseria, “quella che comunemente viene chiamata povertà”, tocca “quanti vivono in una condizione non degna della persona umana: privati deidiritti fondamentali e dei beni di prima necessità quali cibo, acqua, lavoro, possibilità di svi-luppo e crescita culturale. Quando il potere, il lusso e il denaro diventano idoli, si antepon-

Cristo si è fatto povero per arricchire NOI

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gono all’esigenza di una equa distribuzione delle ricchezze. È necessario che le coscienzesi convertano alla giustizia, all’uguaglianza, alla sobrietà e alla condivisione”.Esiste poi la miseria morale, “non meno preoccupante di quella materiale, perché rende

gli uomini schiavi del vizio e del peccato. “Quante persone sono costrette a questa miseria dacondizioni sociali ingiuste, dalla mancanza di lavoro che le priva della dignità ...È una mise-ria, questa, che può ben chiamarsi suicidio incipiente!”.Tale miseria si collega alla miseria spirituale che colpisce “quando ci allontaniamo da Dio

e rifiutiamo il suo amore. Se riteniamo di non aver bisogno di Dio, perché pensiamo di bastarea noi stessi, ci incamminiamo su una via di fallimento. Dio è l’unico che veramente salva e li-bera”. Antidoto contro la miseria spirituale è il Vangelo: creduto, vissuto e annunciato.Cari Amici, mi son fatta quasi sostituire, dal papa, nella stesura di questo messaggio,

ma ne valeva la pena: chi può negare che Lui creda, viva e annunci quanto è veramente es-senziale per la salvezza “vera”?Vi auguro grandi, gioiosi passi verso l’autentica trasformazione evangelica del mondo

(personale, familiare e sociale) con i mezzi che Lui ci indica.Spero che anche ciò che leggerete in questo cinquantesimo numero di Nuova Luce

vi aiuti a riconoscere qualche impronta di vangelo, se non sempre così luminosa nell’e-sperienza quotidiana, di noi poveri, almeno nelle intenzioni dei missionari che, sospintidall’esempio di papa Francesco, tentano di muovere passi un po’ più decisi nei confrontidegli ultimi. Ce le fa scorgere come al solito Anna, riportandoci con un volo audace den-tro la nostra culla di due secoli fa a palazzo Barolo, ma anche altre testimonianze più vi-cine nel tempo e largamente diffuse sulla faccia della terra ci dicono che sì, la Chiesa èpresente là dove l’uomo e le donne del nostro, come quelli di ogni tempo, faticano e lot-tano per trovare la loro felicità, la salvezza vera che solo Cristo ci dona con la Sua Pasqua.

Buon cammino pasquale,dunque, nell’abbraccio del Crocifisso Risorto! Sr. Irma De Santis

Foto di copertina:

• Via crucis sull’altopiano andino del Perù.

• Processione con i poveri del Messico.

• Scuola di poveri in Cameroun.• Promessa di vita nei volti

dei nostri bimbi.

SOMMARIOEditoriale ............................. 3

STUDI

Il decalogo............................. 2Speriamo che non sia femmina ..... 10Filippine: uguaglianza di genere.... 17Vescovi Africani:“No alla miseria”! .......... 24Prendersi cura della scuola ........................ 27Migranti: rapporto Caritas .............. 30

TESTIMONIANZE

Una nobile amicizia.......... 5

La gioia dei poveri............. 8

Malala day.......................... 12

In missione educativa ... 14

Dai e ti sarà dato............. 18

Una limonata contro la schiavitù ......... 19

Il mio raccolto.................. 21

Le sorelle della vita........ 25

Sr. Angelique e le altre .............................. 28

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Ho 4 figli, sono figli del caso e della strada. Nei vicoli dove abito siamo tutti così: figli di prostitute, mendicanti ed ex contadini fuggiti dalla campagna devastata dalla guer-ra, tutti in lotta per un tozzo di pane e un tronco di legna da ardere per il freddo. Nellenostre case non c’è intimità, viviamo tutti in una sola stanza e se uno si ammala, facil-

mente riesce a sterminare tutta la famiglia. I miei vicini sono morti tutti così...come

un domino. Il concedermi a molti uomini hapiagato inesorabilmente il mio corpo. Oraposso solo mendicare per dar da mangiareai miei figli. Non so né leggere e né scrivere,non so perchè vivo e neanche esattamente ilgiorno in cui sono nata. Sono solo Lisetta eho più o meno 30 anni e corre l’anno 1835.

Oggi hocamminatotutto il giornoper cercare

cibo, aiuto, ma nulla. Mentre torno a casa stremata, in unvicolo vicino al mio, vedo una donna elegante, molto bel-la uscire da un tugurio insieme ad un aiutante. Non l’homai vista e deve essere una nobile da come cammina e sipresenta.

Mi guarda e mentre sto per dirle con un fil di voce: “La prego, mi aiuti...” Lei mi sorride e mi precede: “Non haifreddo?” “Hai bisogno di coprirti!” e mi mette sulle spallela sua cappa di broccato pesante.

Sono disorientata, non so come chiamarla, non so chisia, è la prima persona che mi si avvicina senza essere spa-ventata da me. Anzi, sono io spaventata!

Mi prende sottobraccio e mi chiede di indicarle doveabito. Mentre camminiamo parla tenendo la sua mano ap-poggiata sulla mia, sento il cuore scaldarsi lentamente. Mi chiede chi sono, da dove vengo, se ho un lavoro, figli...tutto in pochi minuti. Non va di corsa, è molto attenta a quel che dico. Nessuno miaveva mai ascoltata così. Entra in casa, sembra un’ospite abituale, si presenta ai miei fi-gli, li accarezza senza guanti, ha una parola per ognuno e gli promette che oggi stesso unsuo messo porterà cibo e vestiti per tutti e pure un qualche gioco. Mentre parla con noi,

Una nobile amiciziaovvero:la storia letta con il cuore

perché come era in principio, così è, ora e sempre...

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un crocifisso appeso al muro e coperto di ragnatele attira lasua attenzione. Si avvicina, lo prende delicatamente lo spol-vera con il merletto del suo vestito e lo bacia. Si gira versodi noi e ci dice con fermezza: “Questo è il Re, fa nuove tut-te le cose”. Ho un brivido che va su e giù per la schiena, misento nascere oggi per la prima volta.

Sono anni che non prego e non mi ricordavo neanchepiù di avere in casa quel crocifisso, ma ora mi ritrovo a di-re. “Grazie, Signore, benedici questa donna”.

Tiro un respiro e le chiedo: “Qual’è il suo nome, signo-ra?” Giulia Falletti Marchesa di Barolo”. La Marchesa di Ba-rolo? - salto in piedi...non so che fare. Conosco di fama iMarchesi, sono ricchissimi e molto potenti. So che erano acorte di Napoleone e ora con il re...che ci fa qui nella mi-seria di casa mia?

Lei mi sorride e mentre esce saluta tutti come se ci conoscessimo da sempre, all’im-provviso mi chiede: “Lisetta, ti va di lavorare per me? Ho proprio bisogno di una came-riera a palazzo Barolo! A proposito di bambini...non mi sembra il caso di lasciarli a casada soli, può essere pericoloso e poi hanno bisogno di imparare a leggere a scrivere, di es-sere nutriti, vestiti e curati. Senti Tommaso che brutta tosse ha? Quindi portali pure con te!Li presenteremo a mio marito, il Marchese Carlo Tancredi, lui si occuperà di loro e vedraiche meraviglie ne farà. Vi aspetto domani”.

Ohhh, che meraviglia Palazzo Barolo! Sull’uscio ci viene incontro il Marchese in per-sona che dopo essersi presentato, prende per mano i miei piccoli e ci fa entrare in unastanza piena di bambini intorno a suore con facce da mamme , tutti belli, in carne, vesti-ti semplicemente, ma con cura, non smunti e sporchi come i miei.

Tutti fanno un’attività e con una punto di orgoglio mi confida: “sai, i più grandi sannoleggere e scrivere, le suore insegnano loro a farlo, trascorrono qui tutto il giorno, mentrele loro mamme lavorano o nella nostra casa o da altri amici fidati. Io e Giulietta, la miaadorata moglie, non abbiamo figli nostri, ma abbiamo deciso di fare lo stesso i genitori ditutti i bambini che ne hanno bisogno, specie i più poveri.

Ho così promesso al Signore che, con il suo aiuto, avreitrasformato la disperazione in speranza”.

Un bimbo si attacca a suoi pantaloni, vuol essere pre-so in braccio e lo fa capire in tutti i modi. Il Marchese loprende, lo tira su, sopra la sua testa e lo fa volare in giroper la stanza. E il bimbo ride, ride..con quelle risatone chesolo i bimbi piccoli sanno regalare quando fanno “vola vo-la” tra braccia sicure. Ricordo mio padre giocare così conme e mi commuovo perchè non ho mai conosciuto unapersona come Carlo Tancredi, se non nelle storie dei san-ti che raccontava il mio parroco, ma erano storie di pretie suore, non di persone ricche e del mondo!

Il Marchese Carlo forse intuisce il mio pensiero e misorride, m’invita a seguirlo e mi accompagna da sua mo-

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glie che mi aspetta. Quando entriamo nella suastanza, si alza festosa e mi viene incontro di-cendomi: “Lisetta, benvenuta! Da oggi hai unanuova vita e dei nuovi amici”. Si comincia.

Sono passati tanti anni da quel giorno e la-voro sempre a Palazzo Barolo che considero lamia seconda casa.

Mangio tutti i giorni e i miei figli hanno stu-diato con le suore di S. Anna che il Marcheseha fortemente voluto dedite all’insegnamentodei più poveri. Il più grande lavora qui comestalliere. Hanno guance bianche e rosse, un ve-stito pulito e anche un paio di scarpe.

Posso comprare la legna durante l’inverno epreparare tutte le sere un piatto di minestra perqualcuno più povero di me che bussi alla mia porta. Così mi hanno insegnato i Marche-si, così è cambiata la mia vita.

Una parte del loro Palazzo è sempre piena di studenti, letterati, poeti, persone che han-no bisogno di aiuto e a Torino tutti sanno chi sono e quanto siano amici dei poveri, i Mar-chesi di Barolo.

In tutto questo tempo li ho visti sedersi a tavola con ambasciatori, ministri, re e reginee al momento opportuno parlare di scuole per tutti, non solo per i ricchi, ospedali per ibisognosi, luoghi di rifugio per chi ha sbagliato e vuole riabilitarsi e una città accoglientesoprattutto per i più deboli. Ho sentito anche la Marchesa discutere amorevolmente conil marito quando questo cercava di metterla in guardia dall’andare nelle carceri a far visi-ta alle detenute. è troppo pericoloso! lo sentivo esclamare. Ma lei imperterrita risponde-re che era proprio là, in quel luogo di dolore che doveva portare il sollievo del Vangelo eil conforto dell’amicizia.

Il momento più incredibile però è stato quello in cui il colera è entrato nelle case diTorino. I Marchesi erano fuori, in vacanza per qualche giorno, ma appena saputa la noti-zia invece di scappare ancora più lontano, immediatamente sono tornati qui, a PalazzoBarolo.

Non si sono chiusi in casa immersi in una nuvola di cloro per resistere all’epidemia,ma mentre lui pregava incessantemente con tutti noi, personale di servizio, e si attivava aorganizzare l’assistenza sanitaria e preventiva insieme ai decurioni della città, lei passavale sue giornate al capezzale dei moribondi a raccogliere desideri, confidenze, propositi esoprattutto preghiere.

Ho scoperto così che quando sei animato dall’amore di Dio, non esiste più il senso delpericolo che qualcosa possa farti perdere la vita. L’hai già persa totalmente in Lui. Per que-sto nei posti dai quali tutti scappavano, la Marchesa Giulia entrava.

E in ultimo ho visto i Marchesi guardarsi innamorati negli occhi e trasfondere quellostesso amore specie in coloro che, come me fino a poco prima, non lo avevano ancoraincontrato. Avrei capito più tardi che è un amore a specchio dell’Amore di Dio. Lo stessoche ora anch’io cerco di restituire.

Anna De Acutis

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Ispirate da queste parole del nostro“Grande Capo”, Papa Francesco, noi suo-re con le aspiranti della Comunità del No-viziato di Eluru ci siamo rilanciate verso ipiù poveri dei villaggi vicini dove abitanoi nostri fratelli zingari.

Alcuni anni fa quando il numero dellenovizie era buono, li visitavano regolar-mente e offrivano loro aiuto e amicizia.Con la diminuzione delle vocazioni, do-vemmo fare la scelta di un apostolato ri-dimensionato, in conseguenza di ciò,questa parte della nostra missione fu tra-scurata, anche perché il noviziato fu spo-stato altrove. Dopo il cambiamento dellasede del Noviziato, è stato molto difficileristabilire la relazione con queste perso-ne a causa delle poche ragazze che en-travano nel convento e la difficoltà dellalingua locale. Ma “Dio non vuole perde-re le opera delle Sue mani” dice il nostrocaro Fondatore Carlo Tancredi. Così la

grazia di Dio ci ha spinte ad andare al dilà di ogni barriera: oltre il solito impegnodi visitare le famiglie cristiane dei 4 vil-laggi, distribuire uniformi, quaderni, libriper gli studenti all’inizio di ogni anno sco-lastico, organizzare una giornata per ibambini con attività diverse, unire i fede-

“Le opere d’amore verso il prossimo sono la migliore manifestazione esterna della grazia interna dello Spirito”

Papa Francesco (Evangelii Gaudium)

La GIOIA dei POVERI

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li dei villaggi per la cele-brazione di Natale ecc.

Seguendo l’esempio diGesù che va sempre altro-ve perché è mandato a pro-clamare la Buona Novellaovunque (cf Mc1,38), an-che noi abbiamo ricomin-ciato visitare questi nostrifratelli che vivono in situa-zioni inumane.

Li abbiamo trovati co-perti di polvere, non aven-do facile accesso all’acqua e alla vita nor-male. Ci siamo ricordate delle parole del-la nostra amata Fondatrice alla sua primavisita nelle carceri, “Oh Dio, queste povere donne ed io siamo piante dellostesso giardino. Che merito ho io per ave-re visto la luce in una famiglia “per bene”e loro che colpa hanno per vivere in unacondizione del genere?”

Ci sentivamo nella stessa situazionequando abbiamo visitato le baracche diqueste persone che appartengono alla comunità dell’Islam. La famiglia è com-posta di solito di tante ragazze nubili enella maggior parte ci sono solo le madriperche gli uomini sono morti oppure lehanno lasciate. Le donne si trovano in dif-ficoltà perché nessuno le prende al lavo-ro solo perche sono zingare! Le ragazzeuna volta che arrivano alla maggiore etàvanno a “lavorare” al circo. I bambini re-stano a casa perché, se vanno a scuola,vengono umiliati dagli altri compagni diclasse. Che miseria! I bimbi e le ragazzesono i più vulnerabili della società.

Alcune tende sono sulla strada. I bam-bini vi corrono in mezzo senza percepireil pericolo e spesso sono vittime di inci-denti.

L’intera giornata viene vissuta senza alcun senso particolare.

La nostra prima visita non fu tanto facile. I bambini ci avevano attorniate ma

le donne ci guardavano con diffidenza.C’è voluto del tempo per stabilire una re-lazione di fiducia poi hanno cominciato aparlare di loro e a dire dei loro problemi.Con l’aiuto delle persone generose, comequelle dell’Italia, abbiamo distribuito lorodei saree, vestiti, sapone etc. Però non sia-mo riuscite ad accontentare tutti ...a cau-sa delle poche risorse finanziarie, abbia-mo dovuto limitare il nostro aiuto solo aipiù poveri dei poveri.

La loro vita ci fa ricordare la verità del-le parole del Papa Francesco, “l’espres-sione più bella e naturale di gioia che hovisto nella mia vita era sul volto dei pove-ri che avevano pochissimo”. Anche noiabbiamo visto che queste persone hannodavvero poco o niente, non possono dire‘questo è mio’ ma sono contenti, non han-no né parole di rimprovero né pretese neiconfronti di chicchessia. Sono felici e sod-disfatti se qualcuno li aiuta ed offre qual-che cosa. Noi intendiamo offrire loro unfuturo pur sapendo che ogni nuova situa-zione porta con sé una nuova sfida. Gliinsegnamenti della Chiesa e le indicazio-ni dateci della nostra Famiglia Religiosa ciaiutano a pensare all’“opzione missiona-ria” capace di trasformare tutto, comin-ciando dall’interno di noi per poi arrivareagli altri con la Gioia del Vangelo.

St. Ann’s Novitiate, Eluru

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8 Mila euro per un embrione ma-schio. Per tutte le coppie la trafila è la stessa,con un esborso di circa 8 mila euro totali e 7giorni di permanenza, viene effettuata “pgd”(preimplantation genetic diagnosis), diagnosigenetica preimpianto, passaggio della fecon-dazione in vitro che permette di impiantarenell’utero femminile solo l’embrione del ses-so desiderato.Alcune cliniche mandano anche via mail i li-stini con i prezzi, come la Miracle baby clinic.I risultati sono accurati quasi al 100% e la cli-nica fa pagare il conto solo a risultato ottenu-to. Le coppie arrivate in Thailandia dall’India,a differenza di altre nazionalità le cui richiestesono per entrambe i sessi, domandano tutte di

selezionare embrioni maschili.

La delusione è femmina. Auguri efigli maschi in India è forse l’auspiciopiù gradito per le coppie che si sposano.La famiglia e la società premono per ve-dere la coppia sfornare il bambino cheporterà avanti il nome di casa, si pren-derà cura della madre una volta diven-tata anziana, aiuterà a mettere insiemela dote della eventuale e sventurata so-rella, rea di esser nata femmina, nel Pae-se sbagliato.Non accade più in tutta l’India, per for-tuna. Ma tuttora nelle campagne, nei

Speriamo (non) sia femminaIndia, la piaga degli aborti selettivi

di Eva Perasso(da www.lettera 43.it)

Aarita abita a Delhi, ha 35 anni e ha già partori-to due figlie femmine. Per assicurarsi l’eredemaschio, lo scorso autunno ha comprato un bi-glietto di andata e ritorno per la Thailandia e hadetto a tutti di aver prenotato una settimana divacanza.Ma Aarita non ha soggiornato in un resort a cin-que stelle con i piedi nell’acqua. Si è invece re-cata in una delle molte cliniche di Bangkok do-ve le donne indiane abbienti possono permet-tersi di scegliere il sesso del loro bambino.E la scelta, guarda caso, cade sempre sullo stes-so genere: maschile. Aarita infatti è tornata a ca-sa portando in grembo il suo erede, che nasceràla prossima estate.

La costrizione dei mariti. Non tutte le don-ne che vanno a Bangkok sono così fortunate daprendere la loro decisione indipendentemente:spesso a spingerle al viaggio-incubo sono i ma-riti, che organizzano il tutto all’insaputa dellaconsorte.La clinica Gender Selection della capitale thaidichiara che nell’80% dei casi a scrivere e pre-notare sono direttamente i mariti. La richiesta èuna: ci assicurate il figlio maschio in totale pri-vacy?

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caso dell’arrivo di una femmina.Ma il suo uso viene comunque perpetrato dadiversi medici e per questo motivo in alcunearee (come avviene per esempio nella città diKolhapur) vige addirittura un sistema di con-trollo di ogni ecografia eseguita negli ospeda-li. Il dottore che l’ha eseguita può essere inter-rogato e giudicato dalle autorità locali.Tra le proposte per la nuova legge, c’è anchequella di obbligare gli ospedali a segnalareogni morte sospetta di bambine e di registrareogni aborto di feti femmina. Mentre la poliziafa la sua parte e oltre a perseguire i medici cheusano i macchinari per monitorare i feti, ha or-ganizzato in passato raid per controllare lemacchine incriminate.

Censimento della popolazione. In India,dice l’ultimo colossale censimento di que-st’anno che ha contato 1,21 miliardi di perso-ne totali, ovvero il 17% della popolazionemondiale, il rapporto tra maschi e femminesotto ai 6 anni di età è sempre più a discapitodelle seconde.In alcuni Stati come il Maharastra, capitaleMumbai, la proporzione è drasticamente bas-sa: 883 bambine per 1.000 maschi. Non va me-glio per le percentuali di bimbe abbandonate,il 90% del totale, composto da 11 milioni dibambini in tutta l’India. E di questi, nemmenotremila hanno trovato un nuovo tetto grazie al-l’adozione.

villaggi di pescatori sulle lunghe spiagge ocea-niche, e anche nelle città più cosmopolite co-me Delhi, Bangalore e Mumbai molte mam-me nutrono in seno la speranza di partorirequel figlio maschio che farà contenti se non lo-ro, almeno marito, suocera e famiglia intera.

I cattivi consigli tra santoni e webPer avere l’erede di sesso maschile l’India sot-terranea si rivolge a santoni, applica vecchiedicerie tramandate da generazioni, corrompe imedici e ora butta un occhio anche a internet,dove pullulano gli indirizzi che danno consiglidi dubbia veridicità scientifica per capire an-zitempo se sarà maschio.

Il kit fai-da-te. Alcuni siti vendono kit percorrispondenza – circa 30 dollari americani –per scoprire il sesso da sé grazie a un esamedelle urine, promettono di rispondere al quesi-to già entro la sesta settimana di gravidanza,con bastoncini che si colorano con fiocco az-zurro o rosa a seconda del risultato. La loro po-polarità ha preoccupato organizzazioni non go-vernative (come Population First) ma anche al-cuni stati indiani. Lo Stato del Maharastra, peresempio, si è mobilitato per dare un giro di vi-te a questi siti, anche se il vero scoglio è cam-biare la legge che combatte la pratica degliaborti di feti femmina.

La legge che vieta le ecografie. Il Prenataldiagnostic techniques (Regulation and pre-vention of misuse) Act è del 1994: vieta le eco-grafie prima della ventesima settimana di ge-stazione per determinare il sesso e abortire in

Nelle foto: studentesse della nostra scuola superiore di Secunderabad dove, insieme all’istruzione e alla trasmissione dei valori tradizionali, le giovani vengono fornite di una nuova coscienza di Sé, legata alla rivelazione dei valori cristiani, che fanno considerare ogni vita umana, sia maschile che femminile, ugualmente, infinitamente, preziosa.

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MALALA DAY

Malala è la persona più giovane candi-data al premio Nobel per la Pace. Ma co-me mai? Cosa ha fatto di speciale? La suacelebrità deriva dal suo impegno a parlareper il diritto all’istruzione per tutti i bambi-ni, che non si è fermato neppure dopo chele hanno sparato,ferendola alla testa.

“Voglio un’istruzione per i figli e le figliedei talebani e di tutti i terroristi e gli estre-misti. Non odio nemmeno il tale-bano che mi ha sparato. Anche seavessi una pistola in mano e lui fos-se in piedi di fronte a me,non glisparerei. Questo è il sentimento cheho imparato da Maometto. Questa

è la spinta al cambiamento che ho eredita-to da Martin Luter King. Questa è la filoso-fia della non violenza che ho imparato daGandhi. È questo è il perdono che ho im-parato da mio padre e da mia madre: staiin pace e ama tutti”.

Di fronte a queste affermazioni, dice Sr. Luisa, ho provato una grande gioia

È un evento significativo nato dalla creatività e dal cuore missionario disuor Luisa di Palo e realizzato con la collaborazione di tutta la comunità,a seguito della lettura occasionale dell’articolo di Antonio Gaspari.(In Zenit.org).

Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo!

Sopravvissuta ad un attentato, la sedicenne Malala Yousafzai, ha invitato la comunità internazionale a “condurre una gloriosalotta control’analfabetismo, la povertà e il terrorismo”,imbracciando come armi i libri e le penne

Foto1: Manifesto di Malala all’ONU.Foto 2-3: La cena di Natale nellascuola di Torino via Massena. Foto 4: In favore delle scuole deipoveri in Balwadi Gollapudi-India.

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e mi sono sentita spinta a fare anch’io qual-cosa di bello. Dopo averne parlato in comunità ci siamo trovate d’accordo a pro-porre agli organi collegiali l’idea di fare al S. Anna le cene natalizie e così ricava-re delle borse di studio per i villaggi di Eluru in India dove i bambini, specie sefemmine, sono lasciati senza istruzione da famiglie troppo miserabili per poterlieducare. Le nostre suore, come sapete, da anni ne sostengono alcuni attraversol’adozione a distanza, ma per poterne aiu-tare qualcuno in più , anche in questotempo di crisi, bisogna escogitare qual-cosa. è stato bellissimo vedere come l’idea è stata accolta. “ma che bel-lo, dobbiamo parlarne ancora”.Malala dice che “la penna è più potente della spada perché dice laverità. Gli estremisti hanno pauradei libri e delle penne, perché ilpotere dell’educazione li spaven-ta. Hanno paura delle donne. Il potere della voce delle donne lispaventa. Per questo uccidono efanno saltare le scuole”.

In India, bambini innocenti epoveri sono vittime del lavoro minorile e le bambine spesso ven-gono eliminate solo perché femmi-ne prima di nascere. Molte scuolesono state distrutte in Nigeria. La gente in Afganistan è colpita dal-

l’estremismo. Le ragazzedevono lavorare in casa e sono costrette a sposarsiin età precoce. La povertà,l’ignoranza, l’ingiustizia, il razzismo e la privazionedei diritti fondamentali sono i principali problemiche uomini e donne devo-no affrontare. Anche noi,pertanto,abbiamo fatto unapiccolissima cosa control’analfabetismo, la povertà

e il terrorismo. Un bambino,un insegnan-te,un libro e una penna possono cambiareil mondo. l’istruzione è l’unica soluzione.L’istruzione è la prima cosa. Nel corso diun intervista ha detto Malala “Non mi im-porta di dovermi sedere sul pavimento ascuola. Voglio solo istruzione. E non hopaura di nessuno”.

Anche le nostre allieve delle scuole piùpovere hanno la stessa grinta e noi sappia-mo che quando una creatura acquista lacoscienza della propria dignità diventa unfattore determinante per il cambiamento edè un annuncio credibile della novità evan-gelica.

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“A tutti i fedeli incombe il nobile impegno di lavorare affinché il divino messag-gio della salvezza sia conosciuto e accettato da tutti gli uomini,su tutta la terra”.

(Conc. Vat.II decreto sull’apostolato dei laici, N.3)testimonianza di Isabel Cristina Souza

me e a tutti i professionisti dell’istruzionedell’unità scolastica una grande responsa-bilità: realizzare il processo di insegna-mento-apprendimento verso un gruppo so-ciale (quello degli indigeni) in una scuolafuori dal loro contesto, in un ambiente alquale non appartengono e del quale han-no scarsa o nessuna conoscenza. E allora,cosa fare? Da dove cominciare?

Riferirò di due esperienze che ho fattoal servizio delle scuole pubbliche, nel miolavoro di educatrice, vale la pena di ricor-dare che la scuola pubblica (scuola ele-mentare e media) in Brasile è frequentatada bambini, adolescenti e giovani prove-nienti da famiglie povere, con poche ec-cezioni. La prima esperienza è stata realiz-zata tra il 2007 e il 2010 in una scuola lacui caratteristica principale era l’educazio-ne dei bambini e dei giovani provenientidalle aree rurale e indigene.(foto)

Sto realizzando la seconda esperienzadall’anno 2010, sempre nel servizio pub-blico dello Stato del Paranà, esercitandol’attività educativa nell’“Ouvidoria” delNucleo Regionale di educazione di Lon-drina. [In Brasile, chiamano “ouvidoria” unservizio atto a creare un canale di comu-nicazione tra cittadini e pubblica ammini-strazione - n.d.r.]

Una scuola orientata all’inserimento degli indigeni

Per realizzare il mio primo lavoro, viag-giavo per 65 km ogni giorno (uscendo dicasa alle 5:30 e tornandovi alle 19:00 disera). è stata una mia scelta perché avevosempre desiderato ardentemente, lavorarecon gli indios, nella missione educativa, sapevo che sarebbe stata un’esperienzascolastica unica e che, a sua volta, avrei affrontato anche sfide uniche.

Il quadro che in questa scuola mi si pre-sentò, oltre che preoccupante, attribuiva a

Il mio ruolo di coordinatrice pedagogi-ca aveva il compito di coinvolgere tutti iprofessionisti dell’istruzione e, in collabo-razione con tutti, lavorare per attuare un’e-ducazione inclusiva che permettesse l’ac-cesso alle nozioni universali e allo stessotempo valorizzasse pratiche e conoscenzetradizionali degli indigeni.

La mia prima azione è stata il cercare diottenere dalle autorità competenti una for-

In missione educativa...verso i più emarginati

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mazione degli insegnanti, che fa-vorisse l’efficacia del loro inse-gnamento verso gli studenti indi-geni nello stesso spazio riservatoagli altri studenti non indigeni.

è stato un lavoro lento, diffici-le, date le procedure burocraticherichieste. Oltre alle difficoltà de-gli insegnanti nelle relazioni congli studenti indigeni, il problemapredominante era il fatto che gliindigeni, nella maggior parte deicasi, parlavano poco o addiritturanon capivano la lingua portoghe-se, evidenziando sempre più la necessità diformazione degli insegnanti, che passava-no a svolgere un ruolo sociale, promuo-vendo, in molte situazioni, la mediazionee il dialogo dei propri alunni con il modoesterno al loro ambiente.

Pertanto, affinché la scuola in questioneadempisse la sua funzione sociale, in sin-tonia con i progetti futuri, e contribuisse alprocesso di autonomia dei popoli indigeni,in quanto cittadini brasiliani, è stata fonda-mentale la creazione di nuovi metodi diformazione che permettessero agli inse-gnanti non indigeni di lavorare, in modocritico, cosciente e responsabile, nei con-testi interculturali in cui erano stati inseriti.

Per farlo, si è dovuta consolidare unaprassi di lavoro che prevedesse l’uso dellelingue indigene, di particolari metodologiedi insegnamento e apprendimento, di ma-teriali didattici specifici, in orari e calenda-ri differenziati, come strumenti indispensa-bili per il successo del processo educativo.

Non posso dire che tutte questi obietti-vi siano stati subito raggiunti, ma sono stati fatti passi da gigante, ed altri si stannofacendo per ottenere una scuola veramen-te inclusiva.

Un importante risultato, dopo tanti an-dirivieni, è stato l’aver ottenuto dal gover-no una scuola per i bambini indios fino a12 anni, nell’ambiente in cui abitano, po-

tendo apprendere in questa scuola anche ilportoghese per essere poi inseriti nellascuola di non indigeni con un po’ menodifficoltà di adattamento. Questi sono alcuni dei risultati che, insieme all’interacomunità scolastica, abbiamo realizzato afavore degli indigeni, poveri e spesso di-scriminati come minoranza razziale.

Un servizio di Mediazione tra scuolae famiglia nel Dipartimento Londrina

Dopo quei tre anni, a contatto con que-sta realtà scolastica, quando si comincia-vano a vedere i risultati del nostro lavoro,sono stata inviata a lavorare ed “esercitareil mio apostolato” dando la mia collabora-zione in funzione tecnico-pedagogica nel-l’Ouvidoria del Nucleo Regionale di istru-zione di Londrina/PR, dove lavoro fino adoggi. Qui non è più questione di “prendersicura” solo di una scuola, ma di avere gliocchi del cuore e la mente aperti su quasi400 scuole sotto la giurisdizione di questoCentro.

Il Mediatore è il canale di comunica-zione diretto con la popolazione, che puòfare reclami, richieste, suggerimenti per lafornitura di servizi pubblici relativi al Di-partimento di Stato della Pubblica Istruzio-ne. Il Dipartimento si propone di ascolta-re, guidare, chiarire e, ove possibile, sod-disfare, le richieste della popolazione.

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Ogni giorno ci scontriamo con moltiproblemi diversi, situazioni gravi come laviolenza nelle scuole, la droga, l’abusosessuale, la povertà estrema ... Per ciascu-na di queste situazioni siamo tenuti a for-nire i più diversi percorsi di soluzione, tracui una rete di collaborazione con altreagenzie, a tutela dei diritti dei bambini edegli adolescenti, in particolare quelli me-no fortunati.

Quando le persone sono rese coscientidei loro diritti, entrano in contatto con noimediante l’emissione e la registrazione deiloro pareri sulla qualità dell’istruzione e deiservizi ricevuti, nonché sui programmi edu-cativi sviluppati a scuola, sulla gestione pe-dagogica e amministrativa, essi esercitanopienamente la propria cittadinanza ed an-cora aiutano a migliorare la nostra gestio-ne in materia di istruzione a favore di bam-bini, adolescenti e giovani poveri. Non èun compito semplice, dal momento chespesso, nel contesto in cui viviamo, ci tro-viamo di fronte un sistema politico corrot-to che non è interessato ad offrire una for-mazione di qualità per i nostri bambini egiovani. Tuttavia, dobbiamo sempre cari-carci di fiducia e “mettercela tutta” perchéla possibilità di pensare e di imparare è unameravigliosa avventura. E i bambini ei gio-vani sono i veri costruttori di un mondo mi-gliore.

Non posso non sottolineareche, a parte questo duro lavoroa contatto diretto con le situa-zioni scolastiche dei nostri bam-bini e giovani, siamo spinti alservizio della carità cristiana, an-che nelle immediate urgenzecon un’ assistenza tempestivacome può essere un aiuto in ci-bo per le famiglie, offerte perl’acquisto di materiale scolasti-co, dono di vestiti, tutoring pergli studi di recupero, che sonoalcune tra le altre emergenze

che si presentano e non ci possono lascia-re indifferenti.

Infine, colgo questa opportunità per rin-graziare il Signore della vita per la possibi-lità datami di dedicarmi all’educazione deimeno fortunati e anche per chiedere a DioPadre Provvidente e Misericordioso, che haguidato Carlo e Giulia nel lavoro educati-vo, di continuare a inquietare il mio cuoree renderlo sensibile verso le necessità deibambini, degli adolescenti e dei giovani edi spingermi a proclamare con la vita di tut-ti i giorni, con gli impegni che assumo, cheil Dio della vita ama i giovani e vuole perloro un futuro senza frustrazione o emargi-nazione, in cui la vita piena sia accessibilea tutti; perché possa assicurare, per quantodipende da me, la continuità e la perseve-ranza dei processi educativi degli adole-scenti e dei giovani, per aiutarli a conse-guire gli obiettivi di sviluppo umano, di so-lidarietà nel costruire, con gioia, la civiltàdell’amore. Gli chiedo di trovare la forza dicompiere la missione educativa secondo ilVangelo, nell’amore che Cristo nutre per ibambini e i giovani: “Non impedite chebambini vengano a me” (Mt 19,14). Pregoperché mi sia sempre “maestro” il cuore co-me lo fu per Giulia Colbert e possa sempreimitare Gesù che, parlando con i giovani,li “guardava con amore” (cf. Mc 10,20).

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Mentre i dati della Banca Mondiale segnalano og-gi una crescita di 30 posizioni in un anno, dal 136°al 106° posto quanto a facilità d’impresa, le Filippinesi inorgogliscono anche di un altro dato diffuso re-centemente, quello della possibilità di accesso delledonne a ruoli essenziali nella vita pubblica.

La statistica annuale prodotta dal World Econo-mic Forum, il Rapporto globale sulla differenza di ge-nere, qualifica infatti l’arcipelago al quinto postomondiale tra le nazioni che favoriscono la partecipa-zione femminile, unico tra i paesi a reddito medio-basso e unico dell’Asia ad apparire tra le prime dieci.

Una posizione ditutto rispetto nellapartecipazione par-lamentare, nell’or-ganico dei movi-menti, partiti e, an-cora, nelle rappre-sentanze sindacali,nell’istruzione e nel-le Organizzazioninon governative. Ledonne filippine so-no anche ai verticidel sistema legale,

con le cariche di presidente della Corte suprema e di ministro della Giustizia. “Le Filippine sono il solo Paese dell’Asia-Pacifico ad avere pienamente chiuso il

divario di genere sia nell’educazione, sia nella sanità”, sottolinea il rapporto.Preceduto solo da Islanda, Finlandia, Norvegia e Svezia quanto a opportunità con-

cesse alla donna, il Paese asiatico ha saputo adattare a una società dai tratti maschili-sti d’influenza ispanica (e islamica nel suo meridione), la sua essenza matriarcale.Una nazione dove sono soprattutto le donne a gestire gli affari familiari e a garantire imolti legami che servono da connettori tra le grandi famiglie estese che caratterizza-no ancora la società del paese e al loro interno.

Davanti a questi dati, restano tuttavia aree di discriminazione, in particolare perquanto riguarda le posizioni più elevate in ambito aziendale, per i salari e il reddito,nelle posizioni decisionali.

da: notizie libere. Myblog.it

FILIPPINE: Prime in Asia nella lotta al divario di genere

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ROMA, 06 Novembre 2013 (Zenit.org)– Ho frequentato nel 1995 il corso per Elet-tromeccanico presso la Scuola di Forma-zione Professionale ELIS. Oggi sono un imprenditore di successo e lavoro nell’im-piantistica civile e industriale, ma ho ancherealizzato un sogno che iniziai a intravede-re proprio grazie all’ELIS e in particolare aquell’iniziativa di volontariato che facem-mo nel quartiere di Tor Bella Monaca, allaperiferia di Roma.Andavamo a fare compagnia ai bambini figlidi ragazze madri del quartiere, che non po-tevano occuparsi di loro perché lavoravanotutto il giorno. Andavamo lì e dopo aver pu-lito e fatto fare merenda ai piccoli giocavamoinsieme a loro. Una cosa che ricorderò sempre è quandocompravamo l’ottone e con il seghetto face-vamo gli scudetti della Roma e della Lazioper regalarli ai bambini che ci andavano paz-zi. Eravamo lì tutti i sabati e io non vedevo

l’ora che arrivasse il fine settimana perpoter riveder quelle faccette sotto quel-la baracca di lamiera messa su dallesuore di madre Teresa di Calcutta.Era una ludoteca sui generis, ma funzionava meglio di tante altre piùeleganti. Oltre agli scudetti c’era un

professore che con il rame realizzava degliasinelli e tanti altri piccoli animali che poiregalava ai bambini. Avevamo in tutto, un traforo, del rame, dell’ottone e una pal-la, nient’altro, ma il tempo passava velocis-simo.Questa esperienza mi ha segnato profonda-mente e da allora ho maturato un desiderio:aprire una Casa Famiglia. Sono riuscito a rea-lizzare il mio sogno e ho aperto una Casa Famiglia nel mio paese vicino a Sarno, chegestisco senza ricavare alcun utile insieme ad un mio amico.

Ospitiamo bambini senza genitori, e la gioiapiù grande è passare il tempo insieme a loro,in ogni momento libero della giornata.Quando non sono a lavoro, infatti, sono lìcon mia moglie a dare una mano. Ringrazioancora Dio che quel giorno mia madre sco-prì il Centro ELIS durante una trasmissionedi Uno mattina sulla Rai.

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Dai e ti sarà dato Assistere e dedicarsi agli altri cambia la vita. La storia di Alberto, un elettromeccanico diventato imprenditore.

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è il testo dell’insolito tweet ricevuto daNicholas Kristof, giornalista delNew YorkTimes da parte di Vivienne Harr, nel qua-le la bambina californiana spiegava lasua intenzione di raccogliere soldi perlottare contro la schiavitù che affliggetanti suoi coetanei.Un giorno, guardando insieme a mam-ma e papà una fotografia che ritraevadue piccoli schiavi nepalesi intenti a tra-sportare materiale pesante sulle lorospalle, la piccola aveva osservato: “Do-vrebbero stare a giocare!”, e da lì l’idea:“voglio liberare 500 bambini”. I genitorile avevano lanciato uno sguardo interro-gativo, ma lei aveva deciso: “Voglio rac-cogliere un milione di dollari”. Era an-data a riempire alcuni barattoli con dellalimonata da vendere. “Ma questa limo-nata è tantissima!”, avevano esclamato isuoi genitori.“Tantissime persone mi hanno detto ‘co-sa puoi farci? Hai solo nove anni!’, maio rispondo che una persona può fare

Una limonata contro la schiavitù infantile

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L’insolita e coraggiosa iniziativa di una bambina californiana di otto anniDi Maria Gabriella Filippi

da Zenit.org – ROMA, 29 Gennaio 2014

“Ciao, sono una bambina di otto anni e sto vendendo limonata contro la schiavitù infantile, tutti i giorni, fino a quando arriverò a1.000.000 di dollari”.

anche per dieci: Martin Luther King erauna persona, Madre Teresa era una per-sona... si può essere una persona”, rac-conta Vivienne mostrando la fotografiache l’ha spinta a prendere una posizio-ne, quella dei due bambini-schiavi dallescarpe troppo grosse sul punto di scivo-lare giù da una scarpata.

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Mentre l’Europa cerca di correre ai ripariper rispondere alla piaga della disoccu-pazione giovanile, l’Indice della Schia-vitù della Walk Free rivela che attual-mente sono oltre 30 milioni i bambini ridotti in schiavitù in tutto il mondo, vit-time di prigionia, maltrattamenti e lavoroforzato.“La compassione non è compassionesenza azione”, così Vivienne spiega ilmotivo per cui è subito passata ai fatti:“Avevo sia ragioni che mi spingevano afare qualcosa, sia ragioni che mi suggeri-vano che non avrei potuto. Ho comin-ciato a vendere ogni bicchiere di limo-nata a due dollari, ma avrei dovutoaspettare tanti anni in questo modo: allo-ra, al trentaquattresimo giorno, ho co-minciato a dire ad ognuno ‘paga secon-do il tuo cuore’. C’era chi dava uno e chidava cento”.“Alcuni giorni andava meglio, altri nonmi sentivo in vena di continuare, ma so-no andata avanti lo stesso, grazie al pen-siero dei bambini che altrimenti nonavrebbero potuto essere aiutati: pensavoche avrei potuto essere io una di loro,oppure mio fratello di quattroanni, o anche il figlio di qual-cuno...”.Vivienne osserva con sempli-cità che nel mondo ci sonosempre state persone grandi ederoiche, ma, racconta, “io hotratto la vera ispirazione damio fratello più piccolo, per-ché lui è quello che mi tira sue mi ricorda le persone chestiamo aiutando”.Dopo aver cominciato con unpiccolo banchetto a vendere limonata nel suo vicinato, a di-stanza di un anno Vivienneviene invitata dal sindaco diNew York a Times Square: leisorride entusiasta descrivendoquella giornata così particola-

re: “Faceva terribilmente freddo, ma tan-ta gente ci ha aiutato. è stata molto dura,ma mentre mi sembrava di congelare sapevo che anche i bambini che volevoaiutare quel giorno stavano morendo di freddo perché non avevano nessun ve-stito, così ho proseguito per altri duegiorni”.Ritornati in albergo, il papà si era con-gratulato con la bambina per aver final-mente raggiunto l’obiettivo: “Adessopuoi fermarti, è fatta!”, ma lei aveva su-bito chiesto: “La schiavitù dei bambini èsconfitta?” “No, tesoro, no...”. “Alloranon è fatta!”, aveva ribattuto. E così ave-va continuato pensando sempre che “seè possibile sognare una cosa, quella co-sa si può anche farla”.Make a Stand Lemon-Aid è divenuto cosìun marchio e una proposta sociale chenon solo si prefigge di rendere i bambiniliberi da qualsiasi schiavitù, ma di ren-derli liberi di poter studiare e scegliere ilproprio futuro; nei negozi per ogni botti-glia di limonata, i clienti possono pagare‘secondo il loro cuore’, il prezzo che Vi-vienne aveva stabilito fin dall’inizio.

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ria e la voglio raccontare così com’è, sen-za troppi fronzoli, lasciando a te che avraila pazienza e la bontà di leggere, le tueconclusioni.Una decina di anni fa, in piena crisi d’i-dentità, piena di frustrazioni, di “se avessi...e se fossi”, una carriera lavorativa al con-trario e un gran senso di solitudine a fareda condimento, decisi, non so bene spintada cosa (solo più in là avrei capito spintada Chi...) di adottare a distanza un bambi-no. Ne parlai con Sr. Irma e non so perchéaggiunsi: “uno di quelli che magari non

vuole nessuno”.Ci pensò su e mipropose non unbambino, ma dueragazze del Ca-meroun piuttostoadulte: Lucie eBrigitte. Dico OK!senza pensarci e

queste due per-fette sconosciu-te a migliaia diKm da casa mia,entrano prepo-tentemente nei

è vero, si parla molto sull’ef-ficacia delle adozioni a di-stanza, se hanno senso, seportano frutto, se sono soloun lavarsi la coscienza conpochi euro mensili se...se...se. La nostra vita è piena di: “seavessi...se fossi...” e forseproprio per questo va alla de-riva, immobilizzata nel di-lemma. Di solito scrivo piccoli rac-conti dove nei personaggi,frutto della mia fantasia, met-to sentimenti, stati d’animo che mi appar-tengono e li faccio navigare in storie in par-te vissute o ascoltate da altri o una mesco-lanza tra le due.Questa volta invece la storia è tutta vera,vissuta e reale perché è proprio la mia sto-

Il mio raccolto

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Suo Amore sentoqueste due ragaz-ze figlie, sorelle emadri nella sceltadi povertà. Acqui-sto, nell’incontrocon Lui una forzaed un coraggio ame completamen-te sconosciuti. In-sieme a Lui vera-mente Dio degliEserciti, affronto imiei problemi evinco paure, in-certezze e riacqui-sto la Speranza. Insomma io e lemie figlie cammi-niamo insieme equel guizzo neinostri occhi datosolo dall’amore diDio diventa sem-

pre più visibile.Ricordo le loro prime foto: panorama de-primente, magre, occhi tristi, piedi scalzi...Piano piano lo sguardo è cambiato è com-parso anche un sorriso e ai piedi i sandali.La possibilità di studiare ed è solo quellache materialmente ho potuto offrire loro, si-gnifica una possibilità di vita migliore, unapossibilità di imparare a fare qualcosa diconcreto per la propria famiglia e a mac-chia d’olio per tutta la comunità. Imparan-do a pregare, le ho ricordate tutte le sere alSignore ponendo nelle Sue mani una spe-ranza grande e silenziosa. Passa ancora tempo, le cose migliorano siaper me che per loro e un paio d’annifa...prima grande notizia: divento nonna!Sì, Brigitte, la più piccola, ha avuto un belmaschietto! Una gioia infinita per me.Un’altra occasione per capire quanto fossicambiata in questi anni. Dieci anni fa avrei

miei pensieri, esoprattutto nellemie speranze.Le volevo real-mente? mi ero po-sta degli obiettivi?No, proprio no,anche se mi ver-gogno un po’ adammetterlo, matant’è. Avevo tal-mente tanti pro-blemi da risolverein quel momentoche aggiungernealtri sarebbe statodisastroso. Quindiho preso “il pac-chetto adozione”come qualcosache dovevo fare(la lavata di co-scienza a cui ac-cennavo sopra),ma non che realmente volessi. Molto pocoromantica eh?Qualcosa però mi spingeva in avanti, qua-si al di là di quel che volessi io, faceva inmodo che Lucie e Brigitte fossero costante-mente nei miei pensieri giornalieri. Passa ancora del tempo, arrivano notizie suiloro progressi, sull’andamento scolastico,sulle prospettive familiari e di lavoro e len-tamente imparo a conoscerle ed entraredalla porta di servizio nelle loro vite. Cer-co di imparare a voler loro bene, semprepiù bene. Mi stupisce ancora oggi la capa-cità di amare qualcuno lontano, scono-sciuto che non sai neanche che sentimentinutra per te, ammesso che ne nutra...Crescono ed anche io cresco, mi converto,cambio molto nella mia vita perché incon-tro Dio che sbroglia tutte le matasse arro-vellate della mia mente, mi fa capire chi so-no, dove vado e perché vado. Immersa nel

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reagito: “Oddio! un figlio in quella miseria?un’altra bocca da sfamare ? ma sono mat-ti! e giù bla, bla, bla”. Il figlio di Brigitte nei miei pensieri diventainvece anche lui un “piccolè” così comechiamo mio figlio.Brigitte non ha un marito (sembra che inAfrica le donne prima di sposarsi debbanoessere testate per sapere se possano averefigli...) non entro nel merito della cosa, maqualsiasi sia stato il motivo di questa gravi-danza, se i principi siano stati quelli giustio meno, se questo bambino sia il frutto diun amore così come lo intendo io e pensocome anche lo intendi tu che leggi, è co-munque una benedizione. è una vittoriasulla paura. è dono di Dio che si dona a tut-ti noi. Brigitte quindi, da quel momento, fala mamma.Lucie invece si divide tra lavoro in casa, la-voro nei campi, studi e animazione dell’o-ratorio con le suore. Fa molti Km al giornoper raggiungere la scuola, in Africa le di-stanze sono tanto grandi quanto la capar-bietà di volerle colmare. Lucie lo fa con for-za, con convinzione, con spirito di abne-gazione perché quando torna poi a casanon può riposarsi, ma ha una squadra di

calcio di fratelli da accudire oltre che stu-diare.Diremmo noi : è una tosta. Si diploma (potrebbe bastare, vero?) e...nonsi ferma! Prova l’accesso all’università. In-credibile eh? Le mie preghiere frattanto aumentano... edopo vari tentativi (nei regimi dittatoriali lostudiare è mal visto perché aiuta a pensaree chi pensa potrebbe ribellarsi alla stupi-dità...) riesce ad entrare. I frutti delle mie preghiere (chiedete e visarà dato...), dell’impegno delle suore inmissione e dei miei sacrifici cominciano adarrivare. Ora è l’ora del raccolto, è l’ora incui il Signore ti dice: “Guarda cosa ho fat-to per te! Tu hai chiesto 10 e io ti ho Bene-detto fino a mille...” Lucie finisce tutto il suo corso di studi e...cosa avrei potuto volere di più? Tutti i mieidesideri sono esauditi. La bella storia, quel-la che si racconta da sola, sembra finita quie invece altro regalo: il Signore che guardaa fondo in ognuno di noi ha chiamato pro-prio Lucie all’esperienza della vita religio-sa. La vuole per sé. Ora è solo all’inizio del noviziato, ma chis-sà...Dio opera meraviglie in ognuno di noi e tidà consapevolezza che quel germe di be-ne che spandi anche molto lontano, comenel caso mio e tuo di genitore a distanza,non torna mai indietro senza portare mol-to frutto. Quindi amico mio, fratello nella fede, nondar retta a chi ti dice: “tanto non serve aniente, tanto è solo una goccia nell’ocea-no..tanto...”, guarda alla mia storia, pensaa chi non ha possibilità di scrivere o essereascoltato e ha realizzato invece con il suopoco il futuro di tante Lucie e Brigitte, la-sciati avvolgere dalla Speranza e Spera nelSignore, Sì, spera nel Signore.

Anna De Acutis

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I vescovi africani dicono“No alla miseria”Nel messaggio conclusivo della riunione del coordinamento Giustizia e Pace del Secam, i presuli denunciano lo sfruttamento della popolazione e delle risorse naturali. (Da Zenit.org del 6- Novembre 2013)

- “No alla miseria”. È questo il grido chei vescovi africani hanno lanciato nel mes-saggio conclusivo della riunione del coor-dinamento Giustizia e pace del Secam (Sim-posio delle Conferenze Episcopali di Africae Madagascar), svoltasi in questi giorni aBujumbura, in Burundi.

Il testo - diffuso dall’agenzia Sir e ripre-so dalla Radio Vaticana - è firmato da mons.Gabriel Justice Yaw Anokye, arcivescovo diKoumassi (Ghana) e vicepresidente del Se-cam. In esso i presuli africani elencano chia-ramente le cause della miseria in Africa eMadagascar , esprimendo un “netto rifiutodello sfruttamento dei più poveri e dei piùdeboli, la riduzione in schiavitù, il trafficodei nostri bambini e dei loro organi”.

Denunciano poi “l’insicurezza crescen-te in alcuni Paesi e regioni del continente”e ricordano “le violenze e le vessazioni cri-minali in Centrafrica, i conflitti ricorrentinella Repubblica Democratica del Congo, ilfanatismo e l’estremismo religioso in Nige-ria, Mali, Egitto, Somalia, Kenya e Tanza-nia”. L’obiettivo è dunque porre fine allo“sfruttamento ingiusto delle nostre risorsenaturali, con l’industria mineraria che pro-voca conflitti violenti e criminali”. L’auspi-cio, invece, che “gli Stati africani abbiano ilcoraggio di scrivere e votare delle leggi cheproteggano le rispettive risorse naturali”, inmodo da realizzare un “buon governo”, cheescluda “tutte le forme di corruzione e cat-tiva gestione”.

Nel messaggio traspare, inoltre, lapreoccupazione per la gestione non sempre

sana delle acque del fiume Nilo. Da esse, in-fatti, dipende “il benessere minimo dellepopolazioni e dei Paesi sulle sue rive”. Perquesto, i presuli esortano ad “un dialogopaziente e fruttuoso”, rinnovando il loroimpegno per “una cultura democratica ri-spettosa della libertà d’opinione” e che“tenga conto dei diritti dell’immigrato e af-fronti senza ipocrisia la questione dei rifu-giati nel rispetto della loro dignità umanafondamentale”.

Riguardo ai crimini contro l’umanità, leConferenze Episcopali del Continente nerosi dicono favorevoli “al diritto legale e pe-nale” e promettono anche di rafforzare leloro strutture di Giustizia e Pace “per undialogo efficace con i popoli africani, le or-ganizzazioni della società civile, i diversigruppi religiosi e i governi”. L’ultimo pen-siero, infine, alle vittime del naufragio diLampedusa dello scorso 3 ottobre e alle lo-ro famiglie, a cui i presuli assicurano la lo-ro vicinanza e preghiera. ■

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Le Sorelle della vita

Nell’uscire di casa quella mattina,Monica credeva di avere in mano l’in-dirizzo della clinica dove abortire. Invece si è trovata di fronte ad un con-vento. Si è fatta coraggio ed è uscitadalla macchina, salutando la suora chela accoglieva. Le Sisters of life (Sorelledella vita), ordine fondato dal cardina-le John O’Connor, lavorano – come

dice il loro statuto – «per la protezionee la promozione della sacralità dellapersona ad ogni stadio della vita».

Nel dialogo tra Monica e le suoresono venuti in luce diversi fattori di disagio. La donna – single e madre ditre bambini – avrebbe voluto tenere il

piccolo, ma una serie di problemipratici sembrava impedirlo. Comele suore

sanno bene, ci vogliono in mediaotto persone per aiutare una donnain difficoltà. Monica, ad esempio,avrebbe potuto portare a termine lagravidanza solo trasferendosi vici-no a sua sorella in Florida, trovan-do casa e lavoro lì. Le Sisters of li-fe hanno subito contattato la loro

vasta rete di volontari: persone di ogniprofessione ed estrazione sociale cheaprono le loro case alle donne in neces-sità, offrono le loro competenze profes-sionali, amicizia o semplicemente unamano. Nel caso di Monica, una volon-taria ha offerto l’alloggio, un’altra ha

di Anne Claire Mottefonte: Living City New York- traduzione di Chiara Andreola

Le Sisters of life sostengono la vita e le madri in difficoltà. Tre di loro, chevivono a New York, ci raccontano la loro esperienza.Come loro, anche le nostre sorelle, in Brasile, “le Figlie del Buon Pastore”ex “Maddalene” fondate dalla nostra stessa fondatrice Giulia Colbert diBarolo già dal 1833 e tante altre, fondate da altri santi, in altri tempi e luo-ghi, spendono la loro vita per La Vita.

(ripresa e adattamento redazione da Vino Nuovo del 2.2.014)

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procurato dei mobili, e un’altra ancoraha guidato il furgoncino su cui viaggia-va la donna fino a destinazione. Unavolta in Florida, Monica ha potuto con-tare su un gruppo di sostegno che l’haaccompagnata verso alla nascita del fi-glio.

Abbiamo incontrato alcune consorel-le dell’Holy Respite Convent diManhattan: suor Mary, suor Veronica esuor Maristella. «Già il semplice fattodella nostra consacrazione – affermasuor Veronica – ci fa arrivare delle gra-zie speciali». Essendo un ordine sia atti-vo che contemplativo, dedicano allapreghiera quattro giorni la settimana.Nei loro conventi in Connecticut, NewYork, e a Toronto offrono alloggio,un’atmosfera familiare e attenzionepersonale alle donne in difficoltà a cau-sa di una gravidanza indesiderata. Do-po il parto, vengono invitate a rimanerecon loro per sei mesi, così da poter ini-ziare al meglio la nuova vita insieme alloro bambino. Le ospiti rimangonospesso toccate dalla spiritualità delleconsorelle, e pregano con loro. Alcunesi sono avvicinate per la prima volta oriavvicinate alla Chiesa e ai sacramenti.«Diamo loro quello che abbiamo – spie-ga suor Veronica – e cerchiamo di por-tarle a Dio amando con il suo stessoamore». Alcune hanno semplicementebisogno di essere ascoltate, condizionenecessaria per uscire dalla crisi: «Quan-

do offriamo loro aiuto concreto – affer-ma suor Mary – possono seguire libera-mente il desiderio di essere madri».

La comunità accoglie anche donnesegnate dal trauma dell’aborto – che ne-gli Stati Uniti, secondo le statistiche,tocca una donna su quattro. Susan, adesempio, ne ha avuti diversi. Parteci-pando ad una delle iniziative organiz-zate dalle consorelle, ha trovato la pacee si è riconciliata con Dio: «Non sentosempre questa consolazione, ma ora hola certezza di essere amata». Suor Mari-stella ammira queste donne coraggiose:«Attraverso le loro sofferenze e l’acco-glienza del perdono diventano comedelle sante. Per me sono esempi viventidi Vangelo».

Le sorelle aprono i loro cuori anchea tutti coloro che incontrano ogni gior-no in città. «L’abito è come un magneteper coloro che cercano preghiere econforto», confida suor Veronica. «An-che un breve scambio di battute – pro-segue suor Mary – può bastare per sen-tire la presenza di Dio ed aprirsi allasperanza».

Fortunatamente, Dio continua amandare lavoratori nella sua vigna. La comunità ha 20 novizie, e diverse ra-gazze stanno prendendo in considera-zione l’idea di entrare nell’ordine. No-nostante i tempi duri, le donazioni sonoin crescita. «Dio sa che c’è molto lavoroda fare», afferma suor Veronica. ■

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intende promuovere la scuola per il bene di tut-ti, a favore di ciascuno”, scrive mons. NunzioGalantino, segretario generale ad interim dellaCEI nel messaggio-invito sul nuovo portale.“Non possiamo fare finta di niente”, sottolineail presule nella nota ripresa dal Sir. “Va inqua-drato nel contesto del decennio sull’educazionee centrato su un’idea concreta di bene comune”e richiede di “ritessere i fili della scuola, cioèquello delle generazioni (docenti e discenti),quello delle agenzie educative (scuola, fami-glia, Chiesa), quello, infine, delle dinamichesociali (scuola e lavoro)”.“Se educare è possibile e necessario se coltiva-re l’umano viene prima del profitto, se la scuo-la è la frontiera della socializzazione, non pos-siamo far finta di niente”, aggiunge Galantino,ricordando che “la Chiesa storicamente hasempre avvertito l’urgenza di star dentro a que-sto mondo perché sa per esperienza che solopersone libere e critiche possono dar seguito auna società giusta e aperta”. “Prendersi curadella scuola” è dunque, secondo il vescovo,“un impegno e insieme una opportunità”: “So-lo ripartendo da questa attenzione al percorsodi ciascuna ragazza e di ciascun ragazzo - af-ferma - si realizzerà una comunità all’altezzadelle sfide che l’epoca presente pone con incal-zante velocità”. “Siamo dentro un processo digrandi trasformazioni che la scuola non puòsubire - conclude il segretario CEI - è questo ilmotivo per cui la scuola deve ‘rinnovarsi e ri-motivarsi’”. A fargli eco mons. DomenicoPompili, sottosegretario della Cei e direttoredell’Ufficio nazionale per le comunicazioni so-ciali, il quale, nel video di presentazione dell’i-niziativa, afferma: “Tutti quelli che pensanoche oggi, ancor prima della logica del profit-to, sia importante riattivare la logica dellacrescita della persona, si ritroveranno a Ro-ma, e sarà una grande festa”. ■

ROMA, 26 Gennaio 2014 (Zenit.org) - In vistadel grande appuntamento del prossimo 10maggio, che vedrà tutto il mondo della scuolariunirisi in piazza San Pietro con Papa France-sco, nasce il nuovo sito www.lachiesaperla-scuola.it, predisposto dalla Conferenza Episco-pale italiana quale spazio per prepararsi all’e-vento.La grafica del sito - riferisce l’agenzia Sir - èquella di una cartina della metro, con le ferma-te marcate da linee colorate che s’intreccianoattraverso sette parole chiave - autonomia esussidiarietà, educazione, alleanza educativa,insegnanti, generazioni e futuro, comunità,umanesimo - che fungono quasi da “bussola”per la scuola. Ad arricchire il portale, poi, ma-teriali di approfondimento, iniziative sul terri-torio e indicazioni pratiche per la manifestazio-ne di maggio, in cui il variegato “popolo dellascuola” sarà accolto dal Papa.Ad animare quest’ultima, la convinzione dellanecessità di “difendere e promuovere la scuola,a cui - anche al tempo della crisi economica - èlegata la salute pubblica e la stessa democra-zia”. E non c’è “testimone migliore” di PapaFrancesco “per assicurare a tutti che la Chiesa

“Prendersi curadella scuola”:un impegno eun’opportunitàNasce www.lachiesaperlascuola.it, il sito della CEI per prepararsi all’evento del 10 maggio in cui il mondo della scuola incontrerà Papa Francesco

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Il 30 settembre a Ginevra il premio Nan-sen dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati(Acnur/Unhcr) è stato consegnato a suorAngélique un riconoscimento al suo impegnodecennale a sostegno delle donne vittimedelle violenze dei ribelli dell’Esercito di resi-stenza del Signore (Lra) nella remota localitàdi Dungu, nel nord-est della Repubblica de-mocratica del Congo. Prima di partire perl’Europa, la MISNA ha contattato la religiosacongolese, 46 anni, originaria della stessa zona, dove opera come missionaria dellacongregazione delle ‘Soeurs Joséphine’ del-la diocesi di Doruma-Dungu. Dal 2003 Angé-lique si dedica alla formazione delle ragaz-ze, madri e donne: ne ha già aiutate più di2000 e attualmente sta seguendo un grup-po di 150 persone. Da subito e con grandemodestia suor Angélique dice alla MISNA che“il premio è stato una vera sorpresa, nonavrei mai pensato che il mio lavoro potesseottenere un tale riconoscimento internazio-nale”, dedicandolo a tutte le donne “che mihanno permesso di ottenerlo” e a Dio che“mi ha dato forza, coraggio e perseveranzaper portare avanti la mia missione”. Per la religiosa l’otteni-

mento del premio Hansencostituisce la più grandeopportunità per “far por-tare lo sguardo e le atten-zioni della comunità inter-nazionale su quest’angolodi territorio lontano datutto, in particolare sulledonne sfollate”.Quando gli chiediamo

in che cosa consiste la suamissione quotidiana, suorAngélique non esita un

istante. “Aiuto le donne rapite a 10 anni, spo-sate con la forza ai ribelli ugandesi, madricontro la propria volontà e costrette come pri-gioniere per anni a curare le ferite, quelle del-l’anima che sono ancora più profonde di quel-le patite sul proprio corpo, per ricostruirsi unavita nuova e superare così tante atrocità e di-struzioni” risponde con voce dolce ma decisala religiosa congolese, anche lei costretta al-la fuga nel 2009. “Dopo tanta crudeltà, que-ste donne hanno bisogno di sentirsi amate esostenute per poter crescere i propri figli sen-

suor-Angelique: un simbolo di tutte le missionariee una-vittoria-di-tutte-le-donne...da www.misna.org del 20/set/2013 (riduzione e adattamento redazionale)

Sr. Angelique Namaika nello svolgimentodella sua missione

Suore di Sant’Anna con le ragazze madri di Tobin di cui si prendono cura in Cameroun.

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za odio, in modo consapevole e responsabi-le” prosegue suor Angélique.Le donne di Dungu (come tutte quelle del-

l’Africa povera a dimenticata) conoscono be-ne le religiose che operano presso le missionicristiane di reinserimento e di sostegno allosviluppo. Esse si recano spesso nei villaggi perseguirle da vicino quando non riescono a muo-versi per tanti motivi. Il primo aspetto del loro intervento consiste nell’alfabetizzazione,per dare loro gli strumenti necessari per par-lare la lingua nazionale, far capire le proprieidee e conoscere i propri diritti. Il secondoobiettivo di tutte le suore è di rendere le don-ne autosufficienti grazie a corsi di formazio-ne professionale ad esempio di cucito e di cucina. “Cosi riescono a fabbricare i vestiti dicui i loro figli hanno bisogno e a offrire loroun pasto decente. Poi grazie alle proprie co-noscenze possono cucinare e cucire per altri,guadagnando qualche soldo”.Con i nostri progetti missionari come

quello di MOKUNDA, nella Provincia Sud Ove-st del Cameroun, - Diocese di Buea, miriamoallo sviluppo integrale delle persone e dellacomunità cui appartengono. Come recita iltema di questo numero di Nuova Luce, «Nonci limitiamo ad offrire aiuti che mantenganoi poveri nella dipendenza, ma facciamo ditutto per renderli protagonisti».Con il nostro aiuto tante donne riescono

ad aprire piccoli atelier di sartoria, che ini-ziano con il fornire le uniformi scolasticheagli allievi delle nostre scuole, poi imparanoa specializzarsi conquistano diplomi e si met-tono in proprio diversificano la produzione esi creano una loro clientela. Riescono ad apri-re piccoli ristoranti, forni, pasticcerie e (co-me a Bafoussam) si tenta di avviare la rea-lizzazione di orti per consentire alle madri di coltivare verdure e frutta con metodi piùmoderni e produttivi che consentono di ven-dere le eccedenze al mercato dopo aver sod-disfatto le necessità della famiglia.

Le donne africane hanno tanto coraggioed uno spirito di sacrificio eroico. Sono loroche da sempre e ovunque mantengono la famiglia e lo fanno coltivando il mais, i fa-gioli, le banane ecc. Lavorano la terra con lazappa, unico strumento a loro disposizione,lo usano piegandosi in due sulla terra e te-nendo i loro figli più piccoli legati sullaschiena, per ricavare dal campo il loro ciboquotidiano. Questo non permette loro di ave-re il denaro necessario per comperare vesti-ti, medicine e mandare i figli alle scuole. Cosi tanti bimbi rimangono a casa, senzaistruzione ed esposti a tanti pericoli.Da qui nasce l’esigenza di un’opera come

quella di Sr. Angelique, di Sr. Pamela, di Sr. Angele e di migliaia di altre religiose che,facendosi sorelle a queste donne nelle “estre-me periferie esistenziali”, restituiscono lorodignità ed a sé stesse la gioia di una vita pie-na di senso. ■

Laboratorio di sartoria in Cameroun.

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“In Italia la crisi rischia di inde-bolire l’uguaglianza, la giustiziasociale, la tutela della dignità edei diritti delle persone, le pariopportunità: a rischio sono iprincipi costituzionali, è la de-mocrazia”: lo ha detto alla MISNA monsignorGiancarlo Perego, direttore gene-rale della Fondazione Migrantes inoccasione della presentazione, a Roma, del-l’ultimo rapporto sull’immigrazione Caritas- Migrantes.Il dossier di quest’anno, infatti, sottolineache in Italia gli stranieri sono i più a rischiopovertà in seguito alle difficoltà legate allacrisi economica. Secondo lo studio, il no-stro Paese cresce grazie agli stranieri. Nel2013 la popolazione straniera residente éaumentata di oltre 334.000 unità (+8,2% ri-spetto al 2012), grazie anche all’alto tasso dinatalità. E tuttavia il rischio che gli stranierivivano in condizioni di povertà è doppio rispetto a quello degli italiani.Le famiglie dei migranti, infatti, hanno do-vuto fronteggiare la crisi economica in po-sizioni di evidente svantaggio e il redditomedio delle famiglie, è solo il 56% di quel-lo degli italiani. Così si evince anche che un quarto degli stranieri è incapace di pa-gare con puntualità affitti e bollette contro il 10,5% e l’8,3% degli italiani.Particolarmente grave, risul-ta il problema abitativo: pergli immigrati quella della ca-sa è una criticità tre volte su-periore a quella delle fami-glie italiane. Quanto alla di-soccupazione, il rapportosottolinea che se tra gli ita-liani il fenomeno colpiscesoprattutto i più giovani, tragli stranieri la privazione dellavoro colpisce soprattutto il

genitore o il capofamiglia.Come già negli anni scorsi, la co-munità straniera più numerosa siconferma quella marocchina, conil 21,5%, seguiti dagli albanesi(16,3%) e dagli egiziani (4,7%). Lecittà con un numero maggiore di‘nuovi italiani’ sono Milano, Ro-ma, Torino, Brescia e Treviso. Ilrapporto segnala inoltre la cre-

scente presenza di alunni con cittadinanzastraniera che sono nati in Italia, bambini eragazzi che in molti casi non hanno mai vi-sitato il paese di cui hanno la cittadinanza,cioè il paese di origine dei loro genitori: so-no ormai quasi il 50% secondo le stime diCaritas-Migrantes.“Nel rapporto - sottolinea monsignor Pere-go – abbiamo delineato cinque proposte: Laprima invita a riflettere sul fatto che l’immi-grazione continua, ma non aumentano gliimmigrati: gli immigrati più che venire dafuori sono dentro la nostra città, in famiglie,con nuovi nati, più studenti e meno lavora-tori. Di conseguenza, chiediamo maggior in-tegrazione. Secondo, superare i CIE, veri epropri pericoli per la sicurezza delle perso-ne; terzo, più investimenti contro la tratta diesseri umani; quarto, maggiore attenzioneal riconoscimento delle discriminazioni equinto, più ecumenismo e dialogo interreli-gioso”. ■

RAPPORTO CARITAS-MIGRANTESQuesti sono i fatti il resto è chiacchera cattiva

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COME PARTECIPAREALLE INIZIATIVE MISSIONARIEDELLE SUORE DI S. ANNA

COME PARTECIPAREALLE INIZIATIVE MISSIONARIEDELLE SUORE DI S. ANNA

• per L’ADOZIONE A DISTANZA dei bambini bisognosi

• per i PROGETTI (costruzione e allestimento, mantenimento)• per EMERGENZE ed INIZIATIVE Puoi dare il tuo contributo sul c/c bancario o postale

IBAN IT 21 H 02008 03298 00010 1779293C/CP N. 1003514583

intestati ad: AMICI del S. ANNA-ONLUS,Via degli Aldobrandeschi, 100 - 00163 ROMA

L’importo delle offerte è detraibilenella dichiarazione dei redditi

Dona il 5 x Millealla onlus Amici del S. Anna AMISA

Codice Fiscale: 97644190585Grazie!

Dona il 5 x Millealla onlus Amici del S. Anna AMISA

Codice Fiscale: 97644190585Grazie!

N. 50 - Aprile 201431

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Anno XXI - N. 50 - Aprile 2014Quadrimestrale - Poste Italiane S.p.A. Sped. in Abb.Post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)Art. 1 comma 2 DCB - RomaAut. Trib. di Roma N° 156/94 del 14.4.1994Redazione e AmministrazioneIst. Suore di S. Anna e della ProvvidenzaVia degli Aldobrandeschi, 100 - 00163 RomaTel. 06.66.41.81.45 - Fax. 06.66.54.11.14E-mail: [email protected] Responsabile: Annalisa RossiDirezione Editoriale: Sr. Jacintha SaldanaRedazione: Anna De Acutis - Sr. Irma de SantisFotografie: Archivio S. Anna - Internetwww.suoredisantanna.orgStampa: Tip. Istituto Salesiano Pio XIVia Umbertide, 11 - 00181 Roma - Tel. 06.7827819Fax 06.7848333 - E-mail: [email protected] di stampare: Marzo 2014

Il sottoscritto, in data ........................................., chiede di poter adottare a distanza un bambino/bambina per � � � o più anni (barrare)

Cognome e Nome .................................................................................................Via ........................................................................................................ N. ..............C.A.P. ..................... Città ................................................... PR ...........................Tel. ...................................... e-mail .......................................................................Firma ............................................................................................................N.B. Non inviare subito quote di adozione, attendere l’arrivo dei documenti

comprovanti l’adozione avvenuta.

MODULO DOMANDA DI ADOZIONEAlla FAMIGLIA AMICI DEL S. ANNA - ONLUS

VIA DEGLI ALDOBRANDESCHI, 100 - 00163 ROMA

PROGETTO ADOZIONI A DISTANZALo scopo dell’iniziativa è diaiutare la crescita umana di bam-bini privi di famiglia o che si tro-vano in famiglie non in grado difarli vivere in condizioni econo-miche ed educative adeguate. L’adozione a distanza intende aiu-tare il bambino lasciandolo nelsuo ambiente naturale (possibil-mente la sua famiglia), pur stabi-lendo un rapporto particolare diconoscenza, di affetto e di solida-rietà con una famiglia italiana.Come funziona. Gli adottantinon si attendono niente in cambiodel legame che stabiliscono con ilbambino e la sua famiglia o coloro che ne hanno cura. Essi si impegnano soltanto ad accompa-gnarlo nella sua crescita fino al raggiungimento dell’autonomia. Essi, peraltro, penseranno albambino come parte integrante della loro famiglia ed aiuteranno così anche il proprio nucleo fa-miliare ad aprirsi a valori nuovi, rispondenti all’esperienza più profonda della visione umana ecristiana della vita.Un modesto contributo. Gli adottanti si impegnano ha versare per l’adozione a distanza al-la Famiglia Amici del S. Anna - Onlus, per un tempo da essi definito, la somma di almeno € 18al mese (rateizzabili anche diversamente), destinate ad un determinato bambino, perché gli sia-no garantite le necessità primarie, in particolare l’educazione scolastica.Ogni anno il resoconto. La Famiglia, tramite le suore missionarie, amministra le offerte, nedà un rendiconto annuale, s’impegna a fornire una scheda del bambino, con i suoi dati anagra-fici, indirizzo della missione che lo assiste, foto e quanto altro può favorire la sua conoscenza,insieme ad aggiornamenti sulla sua situazione che le missionarie invieranno all’ufficio.ATTENZIONE• In alcuni casi può, proporre la sostituzione del bambino divenuto irreperibile o non più in stato di necessità.• Il 5% delle offerte copre le spese dell’organizzazione.• Le offerte per il PAD sono deducibili dalle imposte sul reddito

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