pet ology magazine #10

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1 Pet - OLOGY Magazine 10 LA RIVISTA CHE STA DALLA PARTE DEI PET, SEMPRE! MAGGIO 2014 UNA CAVIA COME PET SPECIALE FESTA DEL METICCIO AGGRESSIVITÀ: STRUMENTO DI VITA c o p i a g r a t u i t a , s e m p r e !

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La rivista che sta dalla parte dei pet, sempre.

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Pet-OLOGYMagazine

10 LA RIVISTA CHE STA DALLA PARTE DEI PET, SEMPRE!

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UNA CAVIACOME PET

SPECIALEFESTA DEL METICCIO

AGGRESSIVITÀ:STRUMENTO DI VITA

copia gratuita, semp

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Una delle frasi più tipiche che ho sentito pronunciare in questi anni è stata: “Quando andrò a vivere da solo, mi prenderò anch’io un animale”.È indubbio che tante volte l’ambiente familiare primigenio, cioè quello in cui siamo cresciuti fino al punto da essere economicamente e mentalmente autonomi, spesse volte limita l’adozione di un pet. Vuoi perché qualcuno in casa si oppone, oppure perché semplicemente non si è nati in una famiglia animalista, tale per cui l’igiene in casa, i doveri di una corretta gestione e gli indubbi limiti alla libertà personale che un animale domestico comportano, sono il più delle volte un ostacolo quasi invalicabile. Così ecco scattare il sogno, che assume l’aspetto di un’iniziazione, di un passaggio dalla vita da ragazzo a quella di adulto. Quel “mi prenderò un cane” (o un gatto, finanche un roditore) è dunque un atto impositivo nei confronti del mondo, che tuttavia molte volte tralascia un fattore importante: chi avrà al suo fianco quel pet, se com’è probabile questo passaggio sarà scandito almeno all’inizio da una vita solitaria o al massimo con un/una convivente? Certo… è bello tornare a casa e – soprat-tutto in questo caso – trovare un sostituto dei vecchi rumors familiari nell’a-nimale che ci fa le feste, o anche solo che riconosce il nostro arrivo. Però quante ore sarà rimasto da solo, perché nel migliore dei casi voi e il vostro ipotetico partner avete la fortuna di lavorare? Almeno nella vecchia siste-mazione era facile che almeno la madre, o la nonna, il nonno restassero a casa durante il giorno, creando così una fonte di compagnia al pet che vi abita. Ma in questo caso? La risposta più frequente è: “Resta solo poche ore da solo. Poi quando torno mi occupo solo di lui”. Balle. E lo sappiamo. Una volta tornati, e se l’animale non è proprio un cucciolo appena arrivato, spes-so viene prima il nostro riposo, la cena da preparare, la casa da sistemare, e quella partitella di calcetto con gli amici a cui no, proprio non possiamo rinunciare. Anche oggi, il pet, può aspettare…

Stefano Nicelli

L’editoriale

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SOMMARIO10 - maggio 2014

Pet-OLOGY Magazine

EditoreGruppo Editoriale Castel Negrino - 20886 Aicurzio (MB)www.pet-ology.itredazione: [email protected]

Pubblicazione on-line Rivista periodica d’informazione a diffusione gratuitaIscritta nel registro operatori comunicazione AGCOM n. ROC 38567

Direttore responsabileStefano Nicelli

Coordinamento editorialee supervisione scientificaLOGOGEST di Stefano [email protected]. 347-6692528

ImpaginazioneVirtuosa-Mentewww.virtuosa-mente.com

Foto: Fotolia

Hanno collaboratoSamuele Venturini

Autori citatiAlessandro Melillo, Ermanno Giudici, Paolo Piccinelli

Pet-ology® è un marchio registrato La riproduzione anche parziale di testo, foto e illustrazioni, anche parziale, è vietata.L’editore non si assume alcuna responsabilità per l’uso di marchi, immagini e slogan da parte degli inserzionisti.L’editore ringazia tutti coloro che direttamente o indirettamente hanno contribuito alla realiz-zazione di questa rivista. Inoltre l’editore resta a disposizione di tutti gli eventuali proprietari dei diritti sulle immagini riprodotte nel caso non si fosse riusciti a reperirli per chiedere detta au-torizzazione. In caso di cortese segnalazione si, provvederà tempestivamente a porre rimedio a eventuali omissioni e/o errori di riferimenti relativi e, in caso di conclamata violazione dei diritti si provvederà alla pronta rimozione di suddette immagini.

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NOTIZIE DAL MONDOL’eco dalla nostra pagina Facebook

COVER STORYAggressivita: strumento di vita

PET FOR DUMMIESScegliere una cavia

ANGOLO TECNICOPiante per acquari

V.I.P. - VERY IMPORTANT PETOranjey

I CONSIGLI DI...Alessandro Melillo

CONSIGLI DEL VETERINARIOPiroplasmosi

INTERVISTA A...Stefano Nicelli

ETOLOGYAnimali nei circhi

AGENDA PETGli eventi top

I LIBRI DA LEGGEREIl patto tradito fra uomo e cane

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Notizie dal mondo l’eco dalla nostra pagina Facebook

I CANI BRITANNICI? OBESI E PANTO-FOLAI - Un terzo dei cani della Gran Bretagna non fa abbastanza moto giornaliero e ciò comporta il rischio di aumento di obesità. Lo rivela un recente studio, secondo il quale 2,7 milioni di proprietari di cani non per-mettono ai loro animali domestici di

correre senza guinzaglio ogni gior-no. Stephen Goward, un comporta-mentista della società Dogs Trust, ha dichiarato: “I cani hanno bisogno della compagnia di altri animali e degli esseri umani. Hanno anche bi-sogno giornalmente di muoversi e di esplorare nuovi luoghi”. Più della metà dei proprietari com-mette inoltre errori nell’alimentazio-

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News dal m

ondo

ne dei loro cani. Gli studi conferma-no che la maggior parte dei proprie-tari di cani ama i suoi animali, ma semplicemente non capisce i loro bisogni, nonostante il 91% riconosca che è importante monitorare la sa-lute dei loro animali domestici (Fon-te: The Telegraph).

Quello che più colpisce di questa notizia non è tanto che oltre il 30% dei cani inglesi sia in sovrappeso o finanche obeso. In fondo statistiche simili, se non peggiori, potrebbero riguardare anche il nostro Paese. Piuttosto è il fatto che la maggior parte dei proprietari “non capisca i loro bisogni”, anche se quasi tutti (il 91%) sanno che è importante tenere d’occhio la loro salute. Ciò vuol dire che permane un’ignoranza davvero inquietante su cosa sia veramente un pet e come debba essere gestito.Faciloneria, superficialità e scarsa informazione restano allora delle pecche dure a morire, nonostante in questi anni certamente ci sia stato

un miglioramento nella cultura ani-malista in generale. Viene allora il dubbio che non è vero che molti non sappiano ad esempio che i nostri piatti fanno male ai cani, che sono troppo salati e ricchi di grassi, op-pure decisamente inadeguati come le patatine, o il cioccolato che può risultare letale. In realtà lo sappia-mo, ma è più forte di noi sgarrare, pensando di fare un piacere ai nostri animali. È insomma come le scritte “Il fumo uccide” che troviamo sui pacchetti di sigarette. Ogni fumato-re le vede. Ma quanti le leggono e ne tengono realmente conto? Pochi, non c’è dubbio, oppure sono ormai talmente assuefatti a concetti appa-rentemente astratti come quello che il fumo provoca realmente patologie mortali, da non farci quasi più caso.D’altra parte circola in merito pure una barzelletta: quella di quel fuma-tore che acquista un pacchetto in cui trova scritto: “Il fumo provoca impo-tenza”. Turbato, rientra in tabacche-ria e chiede: «Mi scusi, me lo può sostituire con quel pacchetto con su scritto “Il fumo fa male”?».

Notizie dal mondo l’eco dalla nostra pagina Facebook

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Aggressività: uno strumento di vita

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aggressività è un atteggia-mento sempre negativo? La risposta, a livello etologico,

è sicuramente no. Per comprenderla a fondo è dunque necessario allon-tanare ogni pregiudizio tipicamente umano e interpretarla nella sua fun-zione concreta.

TIPI DI AGGRESSIVITÀ – Se ne posso-no distinguere due: quella interspe-cifica, cioè rivolta verso un essere di specie diversa (è il caso del cane che assale l’uomo) e quella invece in-traspecifica, rivolta verso un essere della stessa specie (è il caso di due lupi che lottano per conquistarsi una femmina). L’etologo Konrad Lorenz distingue poi tre casi di aggressività interspecifica: quella del predatore verso la preda; quella della preda che si difende dal predatore; quella che scatta in colui che, attaccato da un nemico più forte, non potendo scappare (reazione di fuga) decide di difendersi disperatamente. È il co-siddetto caso del the rat in the cor-ner (topo nell’angolo), che spesso capita anche tra noi umani in situa-

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L’

CONSIDERATA IN MODO

NEGATIVO,IN REALTÀ È

UTILE

Aggressività: uno strumento di vita

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zioni estremamente difficili e senza scampo: fight or die (lotta oppure muori). Nel mondo animale l’aggressività interspecifica è perlopiù utilizzata per difendere necessità basilari: conservare il proprio territorio nel quale svolgere funzioni imprescin-dibili quali il riprodursi e curare la prole. Si tratta pertanto di una ti-pica aggressività da difesa. Diverso è invece il caso della predazione. Sempre Lorenz diceva che se noi potessimo misurare con un termo-metro il grado di “cattiveria” che ha ad esempio una tigre che insegue un erbivoro, il valore che riscon-

treremmo sarebbe pari a zero. In sostanza, a fronte di scene che ai nostri occhi possono apparire cru-deli, nell’aggressività da predazio-ne (quindi interspecifica) non c’è né odio né crudeltà. L’animale segue semplicemente un comportamento geneticamente codificato al fine di sopravvivere. Da ciò risulta chiaro come nel con-cetto stesso di aggressività non ab-bia alcun senso una connotazione negativa. Nel cane, ad esempio, essa è addirittura considerata una dote caratteriale, sulla quale ad esempio stabilire l’idoneità o meno a svolgere certi compiti come ad

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esempio il lavoro da cane poliziotto.

IL RITO DELL’AGGRESSIVITÀ – Un discorso a parte va fatto invece per l’aggressività intraspecifica. Il più delle volte, nel regno animale (uomo compreso) questa soggiace a un principio fondamentale: quel-lo della conservazione della specie. Pertanto madre Natura ha fatto sì che questa venga perlopiù ritualiz-zata, evitando in questo modo inu-tili pericoli. I lupi, ma anche i pesci, i primati o i mammiferi che si tro-vano a competere per l’accesso al cibo o alla riproduzione (leggi: ac-coppiarsi per proseguire la specie) sono perlopiù in grado di manife-stare livelli anche intensi di aggres-sività e di azzuffarsi, senza tuttavia arrivare a uccidersi a vicenda. Qui scatta infatti un limite, genetica-mente codificato, che fa sì che co-lui che visibilmente risulta inferiore ponga in atto dei gesti pacificatori e di resa che il dominante riconosce e che sono tali da interrompere l’as-salto violento, confermando la resa dell’avversario.Questa aggressività ritualizzata è presente anche nell’uomo, anche se in maniera meno costante. L’uo-mo che, preso d’ira, scaraventa un oggetto a terra, che batte i pugni sul tavolo, sta veicolando la sua

aggressività in maniera dislocata, evitando così che si passi alle mani. Ma in quest’ottica anche la compe-tizione sportiva, basata su regole accettate da entrambe le parti, è una forma ritualizzata di scontro. Nel caso del calcio, ad esempio, è lecito che tutti i giocatori giochino anche in maniera rude, ma per for-tuna una squadra non deve arriva-re a “uccidere” l’altra per vincere. D’altra parte lo psicanalista Freud sosteneva che l’aggressività esige una scarica periodica. La competi-zione sportiva, lo sfidarsi in attività fisiche sia da protagonisti (gioca-tori) che da spettatori (il tifoso) ha dunque questa funzione di lotta ri-tualizzata che il più delle volte resta nell’ambito della tenzone sportiva.

L’ECCEZIONE UMANA – In questo discorso l’uomo, pur adeguandosi in linea di principio a quanto detto finora, resta comunque un’eccezio-ne. A differenza di ogni altra specie animale, l’uomo troppo spesso ri-sulta incapace di ritualizzare l’ag-gressività. Basti pensare all’illusoria – seppur benemerita – idea primi-genia di fare dell’Onu il luogo depu-tato dove risolvere le questioni in-ternazionali senza passare alla vio-lenza. Sappiamo bene quale ruolo abbia oggi questo organismo mon-

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Perché l’uomo, a differenza di molte specie animali, spesso non è in grado di reindirizzare la sua aggressività in forme ritualizzate che possano ridurne l’effetto deva-stante? Ecco due opinioni di esper-ti di fama mondiale.

Erich Fromm, p s i c a n a l i s t a (1900-1980) : « D o b b i a m o d i s t i n g u e r e nell’uomo due

tipi completamente diversi di ag-gressione. Il primo, che egli ha in comune con tutti gli animali, è l’impulso, programmato filogene-ticamente, di attaccare o di fuggire quando sono minacciati interessi vitali. Questa aggressione difensi-va, “benigna”, è al servizio della so-pravvivenza dell’individuo e della specie, è biologicamente adattiva, e cessa quando viene a mancare l’aggressione. L’altro tipo, l’aggres-sione “maligna”, e cioè la crudeltà e la distruttività, è specifica del-la specie umana, e praticamente assente nella maggior parte dei mammiferi; non è programmata filogeneticamente e non è biolo-

gicamente adattiva; non ha alcuno scopo e, se soddisfatta, procura voluttà» (da Anatomia della di-struttività umana).

Konrad Lorenz, etologo (1903-1989): L’uso delle moderne armi co-mandate a distan-za esclude il con-tatto diretto con

l’aggredito e questo ne aumenta la pericolosità. «L’uomo che preme il pulsante d’innesco è così total-mente schermato dal vedere, sen-tire o altrimenti realizzare emozio-nalmente le conseguenze della sua azione che la può compiere con impunità, anche se è afflitto del peso di una buona immaginazione. Soltanto così si può spiegare come un buon uomo, che non riuscireb-be quasi a dare uno scapaccione ben meritato a un bambino disco-lo, si ritrovi senz’altro il coraggio di lanciare missili o di stendere tap-peti di bombe incendiarie su città addormentate, condannando così ad una terribile morte fra le fiam-me centinaia e migliaia di amabili bambini» (da Il cosiddetto male).

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diale, spesso costretto ad adattarsi a decisioni prese già in partenza da stati forti come ad esempio gli Stati Uniti. Le varie risoluzioni Onu che in questi anni hanno avallato vere e proprie guerre condotte in terra al-trui, sono il chiaro esempio di come la ritualizzazione – che in questo caso diventa negoziazione – resti un’idea da sognatori.Einstein diceva che a nessun topo verrebbe mai in mente di creare un’arma di distruzione di massa per sconfiggere tutti gli altri topi. All’uomo invece sì. Secondo Erich Fromm (vedi box a parte) ciò deriva da una nostra naturale propensio-ne all’aggressività maligna; secon-do altri come Silvia Bonino e Gian-

franco Saglione (cfr. La frustrazio-ne: teoria e sperimentazione, 1978) nasce dal fatto che l’uomo “non viene alla luce con un corredo di reazioni rigide e stereotipate, pro-grammate e poco variabili” come gli animali; secondo Konrad Lorenz deriva infine dal disequilibrio tra la potenza delle armi e i meccani-smi istintivi di inibizione. Resta in ogni caso il fatto che, ancora una volta, la Natura dovrebbe dare le-zioni proprio a chi pensa di averla soggiogata (quasi) a suo piacere.

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Scegliere una caviale cose da sapere

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a cavia è uno dei tipici ani-maletti che vengono com-prati con una certa super-

ficialità, data la loro dimensione ri-dotta e spinti dall’idea che basti una gabbietta, una spesa lieve di cibo e basta. Le cose non stanno però pro-prio così. Vediamoli dunque da più vicino.

COS’È: È un mammifero apparte-nente alla categoria dei Roditori. A differenza di topi e criceti, che sono Miomorfi (cioè a forma di topo), le cavie sono Istricomorfe (cioè a for-ma di istrice). In comune hanno tut-tavia un paio di grossi incisivi a cre-scita continua. Nel natio Sudame-rica abitano aree rocciose, savane, i bordi delle foreste e delle paludi dalla Colombia e dal Venezuela fino al Brasile, a sud, e fino all’Argentina a nord. L’addomesticamento iniziò probabilmente negli attuali Ecuador, Perù e Bolivia.

COM’È FATTA: La cavia presenta un corpo tozzo e tendenzialmente squadrato, con collo e zampe corte.

Scegliere una caviapet f

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L

È UN ANIMALE MOLTO TIMIDO

MA PUÒ DIVENTARE

UNA VERA PESTE

le cose da sapere

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È naturalmente priva di coda. Il peso si aggira nei maschi tra i 900 e i 1000 grammi, mentre le femmine sono un po’ più piccole. La vita media si aggira intorno ai 3-4 anni, ma non mancano punte di 7-8 anni.Il mantello e i colori sono vari. Esi-stono cavie a pelo raso, lungo, riccio, oppure fino. Il colore può essere uni-co, detto self, nero, cioccolato, bei-ge, lilla, blu, rosso mogano, arancio o rosso diluito, bianco. Può anche essere bicolore, detto agouti, cioè con peli ciascuno di colore diverso rispetto alla base. Le cavie selvatiche presentano invece un pelame corto, di colore uniformemente bruno.

COSA MANGIA – È fondamental-mente un erbivoro, per cui la base è rappresentata dal fieno, a cui van-no aggiunte le verdure che consu-miamo noi umani, a patto che sia-no sempre fresche, a temperatura ambiente e ben lavate. La frutta può essere data con molta moderazione. Meglio se ricca di vitamina C come arance, kiwi e fragole. Può anche essere usato – anch’esso con mode-razione - il pellet, che tuttavia dovrà contenere almeno un 16% di fibra e non più del 16% di proteine e 1g/Kg di vitamina C. Preferibile che non contenga cereali.

DOVE ALLOGGIARLA – Si può usare

una gabbia di almeno 70x45 cm per individuo, ricoperta sul fondo di pel-let di carta pressata (ideale) o anche trucioli (purché non di legni resinosi e mai di pino e cedro, che possono risultare tossici). Fondamentale che sia provvista di una casetta, dove questo animale – molto timido – potrà trovare un rifugio tranquillo, un abbeveratoio e i recipienti per il cibo. La gabbia dovrà essere posta in una zona tranquilla e silenziosa della casa, lontana da altri anima-li domestici, con una temperatura compresa tra i 17 ed i 26 gradi. So-litamente le cavie non vengono la-sciate libere di scorrazzare in casa, dati i danni ingenti che i loro denti possono provocare a fili elettrici e altri materiali.

DOVE PRENDERLA – Il negozio per animali è il luogo principale, anche se talvolta non garantisce sufficienti parametri di cura e gestione. Impor-tante è allora vedere dove e come sono alloggiate, oltre che l’età: è preferibile infatti acquistare sogget-ti di età compresa tra le 5-6 settima-ne, già svezzati.L’acquisto dal privato può essere una soluzione migliore, se è in grado di garantire sulla corretta gestione dei piccoli e della madre. In questi casi i cuccioli restano nella nidiata il tem-po sufficiente per lo svezzamento e

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l’imprinting, risultando così più so-cievoli con l’uomo. Da non esclude-re infine l’acquisto da un allevatore amatoriale, qualora prediligessimo una razza in particolare.

MASCHI E FEMMINE – La scelta del sesso è resa difficoltosa dal fatto che maschi e femmine, in età giova-ne, si assomigliano molto nella zona inguinale, e questo provoca spesso errori involontari di scelta. Occorre pertanto un esame accurato, an-

che alla palpazione, ad esempio per sentire sotto pelle il corpo del pene nel maschio. Per ciò che riguarda il numero, è sconsigliabile prendere una sola cavia, dato che soffrirebbe probabilmente di solitudine. Pren-derne un paio, anche dello stesso sesso, è dunque la soluzione miglio-re. Il carattere socievole fa sì che possano convivere bene anche due maschi, i quali invece diventeranno “maneschi” solo in presenza di una femmina.

La Cavia domestica è detta anche Porcellino (o Maialino) d’India an-che se originaria dell’America me-ridionale. Il nome “India” nasce dal fatto che Cristoforo Colombo scoprì il continente americano credendo che fossero le Indie. Gli indios addomesticavano que-sti animali per scopi alimentari, e ancora oggi in paesi come Perù, Bolivia, Ecuador e Colombia fanno parte della tradizione gastronomi-ca. Nella cultura rurale delle Ande è poi frequente regalare una cop-pia di cavie a degli sposini novelli o al giovane che inizi una sua atti-vità commerciale. Nella medicina tradizionale (curanderismo) si è

inoltre soliti legare al corpo del pa-ziente una cavia viva, osservando con cura le zone dove emette gli squittii; in seguito il curandero (o curandera) ne esamina gli organi interni per tracciare una diagnosi. Alla cavia viene infine attribuito il potere di far uscire gli spiriti mal-vagi dal corpo del malato.Furono gli europei a trasformarli in animali da compagnia ma pur-troppo anche a impiegarli nella sperimentazione animale, iniziata nel XIX secolo per mano di Robert Koch, (considerato un veterano, assieme a Pasteur della moderna batteriologia e microbiologia), e da altri batteriologi.

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Piante per acquario: sceglierle e curarle

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trumento funzionale im-portante per gli acquari di acqua dolce, alle piante

troppo spesso viene dedicata un’at-tenzione marginale, quasi pensando che siano solo un oggetto riempi-tivo. Le cose però non stanno così. “Essendo organismi viventi”, scri-ve Paolo Piccinelli nel suo Biotopi (Gruppo Editoriale Castel Negrino, 2012), “le piante come i pesci cre-scono, si riproducono, si evolvono e, allo stesso modo, ogni tipo di pian-ta ha precise esigenze riguardo alla luce, all’acqua, al terreno”. Vediamole allora più da vicino.

PRIMI PASSI – Visto quanto detto so-pra, la gestione delle piante richiede di avere delle pur basilari nozioni di biologia e chimica che ne regolano i processi vitali. Occorre poi avere no-zioni specifiche per mettere in atto le procedure richieste: tra queste la piantumazione, la fertilizzazione e la potatura.Scrive ancora Piccinelli: “Il modo migliore per avere successo con le piante è selezionare, all’interno del-

Angolo te

cnico

SNON SONO

SOLO DECORAZIONI,

MA ORGANISMI VIVENTI

IMPORTANTI

Piante per acquario: sceglierle e curarle

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le specie compatibili con il biotopo che ho scelto, quelle di cui siete certi di poter soddisfare le necessità: se state muovendo i primi passi sceglie-rete un ridotto numero di specie di piante robuste e poco esigenti, se il vostro allestimento prevede una luce soffusa sceglierete essenze sciafile (amanti dell’ombra), se il substrato del vostro futuro acquario sarà pri-vo di sostanze nutritive sceglierete specie epifite (che non necessitano di nutrimento per via radicale) o gal-leggianti; la scelta è talmente ampia e le opzioni talmente numerose che spesso vi troverete a doverne scarta-re alcune eliminando l’una o l’altra specie”.

COME SI DIVIDONO – Un buon me-todo per suddividere le diverse pian-te da acquario è quello in base alla loro velocità di crescita che potrà essere lenta, media e veloce.Piante a crescita lenta – Sono per-fette per quegli acquari con una ri-dotta popolazione animale e creati per avere una bassa esigenza di ma-nutenzione. Spesso infatti hanno ri-dotte esigenze di luce e di fertilizza-zione; inoltre non necessitano di un substrato dove affondare le radici.Tra le piante di questo tipo trovia-mo le diverse varietà di epifite come quelle del genere Anubias, Bolbi-tis, Microsorium, i muschi di Gia-va e alcune piante a bulbo come il

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Crinum natans, C. thaianum e C. calamistratum. Piante a crescita media – Emetto-no foglie con regolarità da una a più volte la settimana, richiedono una fertilizzazione in genere limitata al solo apparato radicale e sono carat-terizzate da una minore produzione di ossigeno rispetto alle piante a cre-scita veloce. Richiedono una manu-tenzione moderata (il più delle volte limitata alla rimozione delle foglie più vecchie ogni 15-30 giorni) e in genere sono di grandi dimensioni.Tra queste vanno citate quasi tutte le specie di Echinodorus, alcune varie-tà di Vallisneria, molte piante basse come la Hemiantus callitrichoides, la Eleocharis parvula, la riccia, la Marsilea hirsuta e diverse piante a cespuglio tra cui le Cryptocoryne e il Pgostemon helferi. Piante a crescita veloce – Sono tra le più impegnative, soprattutto per il neofita. Hanno infatti un elevato consumo di macro e micronutrien-ti, ai quali si aggiunge un notevo-le bisogno di luce. Richiedono poi un’adeguata fertilizzazione sia del substrato che dell’acqua, e richiedo-no spesso un impianto per la som-ministrazione controllata di anidride carbonica.La crescita abbondante che le carat-terizza richiede frequenti potature da fare anche più volte alla settima-

na; operazione questa che necessita di attrezzature adeguate ma anche di una certa abilità manuale. Per contro sono piante in grado di as-sorbire velocemente gran parte del-le sostanze organiche di rifiuto ge-nerate dai pesci (soprattutto nitrati e fosfati) migliorando di conseguen-za la qualità dell’acqua. In aggiunta sono in grado di produrre un’elevata quantità di ossigeno.Tra questo tipo di piante troviamo quelle a stelo come la Hygrophila polisperma, la Limnophila sessiflora, la Cabomba caroliniana, la Ludwi-gia gandulosa, le piante galleggianti come il Ceratophyllum demersum, l’Hydrocotyle, la Pistia strationes, le Salvinia natans e S. auriculata, la Lemma minore alcune piante a cespuglio come la Blixa japonica, la Vallisneria spiralis o la Sagittaria subulata.

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V.I

.P.

arattere pessimo, a tal punto da graffiare sovente anche il suo addestratore

Frank Inn, ma grande attore sul set. È Orangey, il gatto di razza Tabby protagonista tra l’altro del celebre film Colazione da Tiffany (1961) al fianco di Audrey Hepburn. Già vinci-tore nel 1951 del prestigioso premio PATSY (Picture Animal Top Star of the Year) per il film Rhubarb, in cui interpreta un felino che eredita una fortuna im-mensa e acquista così una squadra di baseball, Oran-gey ne vince un secondo dieci anni più tardi, proprio grazie all’interpre-tazione al fianco della Hepburn. Qui interpreta il ruolo di Gatto, e la sua presenza è costante accanto ai pro-tagonisti Holiday (Holly) Golightly, giovanissima ragazza dal grande fascino e spiccata spontaneità che per vivere fa la modella ma anche la escort d’alto bordo e Paul, promet-

tente ma svogliato scrittore in cerca d’ispirazione; fino alla commovente scena finale dove, dopo alterne vi-cende, fradicio di pioggia, si stringe in un tenero abbraccio tra i due che sa di amore ritrovato e base per un futuro finalmente roseo.Di lui la protagonista Holly dice: “Io e il mio gatto… siamo due randagi

senza nome che non apparten-gono a nessuno e a cui nessuno appartiene”. E ancora, a pro-posito del fat-to che di fatto il gatto non ha nome: “Se io

trovassi un posto a questo mondo che mi facesse sentire come da Tif-fany… comprerei i mobili e darei al gatto un nome!”.La carriera di Orangey durò 15 anni, durante i quali recitò in film qua-li Radiazioni BX: distruzione uomo (1957), Gigò (1962), e Village of the Giants (1965) e in Tv nella serie Our Miss Brooks, dal 1952 al 1958.

C

OrangeyUn micione superstar

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I c

onsigli di...

ome comunica una cavia? Ecco a proposito cosa scri-ve Alessandro Melillo, me-

dico veterinario, autore del volume Voglio una cavia.“ Non è sempre facile creare un vocabolario del ‘caviese’, in quan-to gli stessi suoni pos-sono avere significato diverso a seconda del contesto, ma in gene-rale riconosciamo:- uno squittio acuto, che di base è il verso che fanno i piccoli spaventati e soli per chiamare la mamma. Questo stesso suono, lievemente modifica-to, lo emettono anche gli adulti te-nuti da soli per reclamare attenzione da parte del proprietario; e in rapi-da sequenza segnala che la cavia ha ‘sentito’ il cibo e lo vuole subito! Suona circa ‘uì-uì-uì’ ed è un segnale riservato agli esseri umani; - uno squittio più basso, di solito ri-petuto, che comunica contentezza, appagamento e piacere nel stare in-sieme ad altre cavie o alle persone;

- un soffice grugnito che si può sen-tire nelle stesse occasioni e che è ri-servato in particolare ai piccoli che hanno bisogno di essere rassicurati. Se però coccolando la nostra cavia

tocchiamo qualche zona che a lei non piace, i suoni di appa-gamento potrebbero essere sostituiti da un brontolio di avverti-mento, una specie di ‘brr-r-r’ che può avere diverse inflessioni e diversi significati. Se

è breve e secco, di norma significa ‘Attenzione!’, oppure vuol far capire che una certa azione è sgradita, o ancora serve per mettere sull’avvi-so altre cavie che qualcosa non va (…) . Più prolungato e morbido, il brontolio segnala l’interesse di un maschio verso una femmina, ma anche una femmina in pieno calore può emetterlo per comunicare la sua disponibilità. “Voglio una cavia” – Gr. Ed. Castel Negrino – Euro 15,90

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Come “parla” una cavia di Alessandro Melillo

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Il vet. d

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ra le patologie che possono essere trasmesse dalle zec-che la piroplasmosi (detta

anche babesiosi) è una di quelle che possono portare alla morte dell’a-nimale nel giro di sole poche ore. Vediamola dunque più da vicino. COS’È – Viene trasmessa tramite un agente patogeno chiamato Babesia canis da due tipi di zecche: la Rhipi-cephalus sanguineis, nelle zone a cli-ma più caldo, e la Dermatocentor re-ticulatus in quelle più fredde. Causa una anemia emolitica grave, e spes-so mortale nella sua forma più acuta.La zecca si infetta succhiando il san-gue di un soggetto già malato e può trasmetterla in due modi: attraverso un pasto di sangue su un soggetto che a sua volta si infetta, oppure tra-smettendo la Babesia canis alle sue uova. Quest’ultimo è il caso più gra-ve, dato che da ogni zecca possono nascere da 2 a 8mila uova portatrici della malattia. In più c’è da ricordare che un terreno infetto da questo tipo di zecche rimane a forte rischio per 9-12 anni. Per questo è importante

che un cane che ne sia stato conta-giato non frequenti più le zone dove si ritiene che abbia preso la malattia.

COME SI SVILUPPA – Una volta en-trato nel sangue, il protozoo attacca un globulo rosso. Qui si moltiplica in modo esponenziale, fino a distrugge-re la cellula ospite. Succede così che 16 o 32 babesie vengano liberate nel sangue e a loro volta vadano ad at-taccare altri globuli rossi, inducendo ad una rapida evoluzione della ma-lattia. In genere nel cane il periodo di incubazione dura dai 7 ai 14 giorni, mentre la trasmissione del protozoo dalla zecca al cane avviene nell’arco di 24-48 ore. La piroplasmosi può presentarsi sot-to diverse forme:Iperacuta – Determina una anemia emolitica velocissima, che causa la morte dell’animale in poche ore a causa di uno choc ipovolemico (dimi-nuzione del volume di sangue circo-lante). Generalmente questa forma si manifesta nelle zone in cui la malattia è presente in maniera endemica (so-prattutto in Francia, Germania, Un-

T

Piroplasmosi:una patologia spesso letale

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gheria, Italia e Olanda).Acuta – È la più frequente. Il cane manifesta febbre alta, scarsa o nulla voglia di mangiare, apatia, e può ave-re vomito o diarrea. Le urine diven-tano di un colore scuro. Le mucose delle labbra sono pallide e tendono al giallo. Se non presa a tempo, que-sta forma di patologia porta alla mor-te nel giro di pochi giorni.Cronica – Il cane ha una febbre in-termittente e appare svogliato. Dati i sintomi piuttosto vaghi, è la forma più difficile da diagnosticare.

TERAPIA - La terapia è perlopiù co-stituita dalla somministrazione di un farmaco specifico da utilizzare una volta effettuata la diagnosi. Può esse-re talvolta necessaria una trasfusione di sangue ed in ogni caso una terapia di supporto per evitare i danni colla-terali della malattia agli organi interni.

PREVENZIONE – Là dov’è possibile è fondamentale evitare le zone dove già si sono dimostrati casi di avvenuta infezione, dato che il terreno – come detto – può restare contaminato da animali infetti per anni. Poi si può ri-correre a:

Antiparassitari – Sotto forma di spray, spot on, collari, da usare tutto l’anno, anche nella stagione freddaVaccino – Esiste un vaccino consiglia-to soprattutto nelle zone endemiche, che tuttavia non impedisce l’infezio-ne, offre una copertura di circa il 60% e può limitare la gravità del quadro clinico.Profilassi - Uno dei farmaci usati come antidoto può essere usato, in dosi differenti, anche come profilassi in caso il cane debba recarsi in zone endemiche di piroplasmosi. Lo pro-tegge per circa quattro settimane.

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Speciale!!!

a Festa per padro-ni… di razza”. Con questo slogan da

sette anni a questa parte si svolge a Seveso (MB) la Festa del Cane Meticcio, un concorso di bellezza e obbedienza organizzato dall’omonima Associazio-ne di Promozione Sociale. La prossi-ma edizione è fissata per domenica 15 giugno, come di consueto presso il Bosco delle Querce.

Nata a Banchette (TO) nel lontano 1996, la Festa non ha mai perso il suo scopo primario, anche dopo il trasfe-rimento in Lombardia, a partire dal 2008: quello di rappresentare un mo-mento di vera e propria festa per tutti i proprietari di cani non di razza pura, che abbiano voglia per un giorno di mettersi in gioco in una competizio-ne che ha un preciso scopo benefico: tutti gli utili, infatti, ogni anno vengo-no devoluti a canili e strutture di rico-vero di comprovata serietà.“Negli anni”, spiega il fondatore Ste-fano Nicelli, “abbiamo coniato di-

versi slogan per identificare lo spiri-to col quale viene proposto il nostro evento. Da Vedi nel tuo bastardino una star? Anche noi… a Qui di razza c’è solo il padrone, fino a Pedigree? No grazie! La cosa più importante è che noi stessi organizzatori siamo i primi a divertirci, nonostante l’impe-gno che richiede. Ed è proprio questo spirito gioioso che cerchiamo di tra-smettere ai concorrenti, ai loro cani e alle centinaia di amici della Festa che ci seguono da ogni parte d’Italia”.

Lo spirito della Festa lo si coglie inol-tre dai tanti premi che vengono mes-si in palio ogni anno: da quelli per la bellezza (Mister Cane, Lady Cagnolina e Barbetta Bianca, per i cani sopra i 7 anni d’età), a quello per l’obbedienza, la simpatia, l’interazione cane-padro-

“L

Meticci alla riscossa: a Seveso una festa solo per loro

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ne (Premio speciale Affinity). A questi si aggiungono poi altri riconoscimen-ti che non possono rientrare nei pa-rametri sopra citati. “Da due anni – spiega Nicelli – abbiamo ad esempio introdotto un premio per il bambino o la bambina che, portando il cane nel ring, dimostri maggiori doti da futuro handler, o un Premio specia-le della Giuria per quel cane che in qualche modo ci ha colpito”.

Per partecipare ci sono due strade: iscriversi on line direttamente sul sito dell’Associazione (www.festadelme-ticcio.com) senza anticipare la quo-ta di iscrizione che resta fissata (dal 2008 ad oggi) a 10 euro per il cane singolo e 8 euro per 2 o più cani (la quota verrà versata al momento del

ritiro della cartelletta di gara), oppure iscriversi direttamente il giorno della Festa, dalle ore 12 alle ore 14,30.La giuria è composta in genere da cinque persone equamente divise tra professionisti del settore (veterinari e volontari di canili) e semplici cinofili. A questi di aggiunge un giudice ester-no che sceglie il Best in Show, ovvero il vincitore di tutta la manifestazione e il giudice incaricato di premiare il giovane conduttore.

Per informazioni e iscrizioni:[email protected]. 347 6692528L’Associazione è inoltre presente su Facebook con una pagina dedicata.

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3 d

oman

de a

...

iornalista specializzato in cinofilia, direttore re-sponsabile di questa rivi-

sta, Stefano Nicelli è dal 2010 an-che Presidente dell’Associazione di Promozione Sociale “Festa del Cane Meticcio” che ogni anno or-ganizza l’omonima manifestazione a Seveso.

In cosa si contraddistingue la Festa di Seveso da altre che vengono or-ganizzate in Italia?“L’aspetto principale riguarda i cani che sono ammessi. Fin dalla prima edizione abbiamo infatti deciso di accogliere solo i cani non di raz-za pura, escludendo quelli magari di razza, seppur privi di pedigree. È una scelta che magari penalizza qualcuno, ma vogliamo preservare lo spirito proprio di questa mani-festazione, che è e resta dedicata solo ai ‘bastardini’. In questo modo la competizione è più alla pari. Un secondo aspetto è la partecipa-zione di concorrenti da tutto il nord e centro Italia, e non solo prove-nienti da zone limitrofe alla festa. Merito del tam tam che operiamo

attraverso il nostro sito internet e Facebook. Addirittura abbiamo avuto cani che venivano dalla Sar-degna e dal Lazio, e questo non può che riempirci di orgoglio”.

Perché una Festa dedicata ai meticci?“Per un’innata simpatia che provo per loro, merito anche di Chicco, il meticcio morto pochi anni fa e che è diventato il logo ufficiale della Fe-

G

Stefano Nicelli Presidente “Festa del cane meticcio”

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sta. Poi perché ritengo giusto che anche loro possano avere un mo-mento di gloria che fuoriesce dai classici circuiti dei cani di razza, da cui sono ovviamente esclusi (a par-te le manifestazioni di Agility Dog)”.

Cosa ti piace di più della “tua” Festa?“Lo spirito che l’anima. Ogni anno vediamo tanti nuovi concorrenti ma anche tanti che tornano, anche se hanno già vinto numerosi premi nelle edizioni precedenti. Vedere la

gente che si diverte in modo sano, pulito, rispettoso dell’animale, e cogliere quel senso di complicità che va oltre la competitività e che emerge tra gli stessi concorrenti, fa davvero piacere. La cosa più bel-la è poi vedere tante persone che magari non hanno vinto nulla, ma che ci ringraziano perché si sono divertite e non aspettano altro che tornare l’anno successivo. Questo realmente riempie il cuore, e ci ri-paga di tanti sforzi fatti per realizza-re questo evento”.

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Eto

logy

a donna cannone; l’uomo scimmia; il nano… sono tut-ti elementi che un tempo

caratterizzavano gli spettacoli popo-lari, perlopiù circhi, e che si basava-no sull’inconsueto, l’orrido, la curio-sità cinica. Veri e propri “fenomeni da baraccone” giustificati allora dal fatto che non esisteva né la comu-nicazione globale, né internet, e per questo si poteva ancora giocare sul-lo stupore per ciò che madre natura era stata capace di produrre. A pensarci bene l’uso degli animali nei circhi non è cosa da meno. Vede-re un orso che balla, un elefante che inforca una bicicletta, una foca che gioca a calcio forse può ancora susci-tare emozione in qualche bambino, può addirittura colpire anche l’adul-to che li accompagna e resta comun-que affascinato da quel mondo sen-za tempo rappresentato da quella che pur resta un’arte circense. Poi, però, non può non lasciare un senso di amaro in bocca, se non proprio di pietà per esseri viventi che genera-no divertimento compiendo azioni che sono totalmente fuori dai loro

schemi etologici. Questo, lo ribadia-mo, senza scalfire la nobiltà dell’atti-vità circense che da secoli conserva tutto il suo fascino e la sua nobiltà.

UNA CRESCENTE ONDATA DI SDE-GNO – A tale proposito l’Organizza-zione Internazionale Protezione Ani-mali (Oipa) scrive nel suo sito: “Negli ultimi anni l’uso degli animali negli spettacoli circensi è posto sotto ac-cusa da una crescente sensibilità di cittadini che lo considerano una ma-nifestazione di violenza proprio per la presenza degli animali costretti per la loro esistenza in anguste gab-bie da cui possono uscire solamente per compiere esercizi contrari alla loro natura. Prova di questo orienta-mento è la crescente disaffezione del pubblico prevalentemente costituito dai bambini, non solo per l’offerta di intrattenimenti alternativi, ma so-prattutto per la maggiore sensibilità animalista”. La stessa Oipa segnala poi una lunga lista di Paesi che hanno imposto un divieto assoluto di tutti gli animali selvatici nei circhi (Austria, Belgio,

L

Animali nei circhi: uno spettacolo d’altri tempi

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Estonia, Israele), e quelli che invece hanno imposto un divieto parziale, o solo di quelli iscritti nella Conven-zione di Washington (20 in totale nel mondo). A fronte di questa presa di coscien-za collettiva, sempre più diffusa, ha allora veramente poco senso con-tinuare su questa strada. Anche perché è purtroppo frequente l’u-so della costrizione, se non proprio della violenza, applicata in molti circhi – sicuramente con le dovute eccezioni – e documentata da varie testimonianze.

UN FUTURO DIVERSO – Il circo, in-

somma, può tranquillamente ab-bandonare questa tradizione decisa-mente arcaica. Non è affatto detto, anzi, che l’assenza di animali sotto il tendone possa rendere lo spettacolo meno affascinante. Probabilmente, invece, questa arte potrebbe recu-perare una fetta di pubblico che oggi come oggi se ne allontana proprio per una coscienza civile e animalista che non può accettare compromessi. E tornare così a godere, finalmente con l’animo in pace, di quel meravi-glioso spettacolo che l’uomo con la sua doti fisiche ma anche di ironia (pensiamo ai clown) può continuare a regalare.

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Biology

ell’articolo del numero pre-cedente (Pet-ology Magazi-ne n. 9) abbiamo parlato di

Pet Therapy. In questo articolo inve-ce ci soffermeremo sull’aspetto più emotivo del rapporto uomo-pet. Risulta interessante indagare quali si-ano i motivi che portano una persona a decidere di vivere una parte della propria vita con uno o più animali. Spesso le cause di ciò sono moltepli-ci perché abbracciano situazioni dif-ferenti. Sovente inoltre le ragioni di questa scelta possono avere valenze diametralmente opposte le une dalle altre.Molte persone semplicemente de-cidono di accudire, occuparsi, di un animale per il semplice piacere di condividere una parte della propria vita con lui, perché provano affetto e amore per gli animali in generale. Dal lato opposto vi sono persone che per sentirsi sicure di sé e manifestare la propria autorità, scelgono di pren-dere degli animali per il solo fine di poter comandare su un essere viven-te, per potersi sentire ricompensati da questa situazione in quanto nella

società odierna, probabilmente, non riescono a emergere o presentano disturbi psichici. In questo ultimo caso generalmente si possono ma-nifestare anche azioni di abuso sugli stessi animali in modo da sfogare delle tensioni represse dovute a trau-mi subiti nel corso della propria vita. Di tutt’altra valenza invece è la scelta di alcuni genitori di far entrare nella propria casa e famiglia un pet (cane, gatto, coniglio, ecc.) al fine di rende-re più armoniosa la vita in ambiente domestico, soprattutto quando sono presenti anche dei bambini. In que-sto caso infatti il ruolo dell’animale è importante per la crescita e lo svilup-po delle emozioni e delle responsabi-lità dei più piccoli, in particolare nei confronti del mondo vivente.Esistono però casi estremi che si tra-sformano in vere e proprie manie. Uno su tutti, il cui termine è forse sconosciuto ai più, è l’animal hoar-ding. Si tratta di una forma di mal-trattamento animale che consiste nel bisogno compulsivo di costringere un elevato numero di animali in spazi ri-stretti e sovraffollati. Nel caso si ven-

N

Pet ed emotività

a cura del dottor Samuele Venturini

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ga a conoscenza di una situazione simile è doveroso rivolgersi alle au-torità competenti oppure fare una segnalazione alle guardie zoofile o alle associazioni animaliste.Nel ricordare e ribadire il concetto fondamentale secondo cui, anche a livello giurisprudenziale, ogni ani-male è considerato un essere sen-ziente, esistono regolamenti comu-nali e regionali che vietano l’utilizzo di animali per scopi di accattonaggio e questo perché molto spesso dietro queste situazioni si celano episodi di maltrattamento che cagionano all’a-nimale non solo un danno fisico ma anche psicologico.Come non citare, inoltre, l’impor-tanza che gli animali – e la loro com-pagnia – rivestono per le persone anziane. Diversi studi hanno dimo-strato un miglioramento generale

dello stile di vita d e l l ’a n z i a n o ma è d’obbligo precisare che la scelta dell’ani-male va ponderata attentamente caso per c a s o focalizzandosi sul benessere dell’a-nimale stesso.E’ necessario quindi un nuovo ap-proccio multidisciplinare ma che si fondi sul connubio psicologia – bio-logia così da poter integrare due branche scientifiche che rappresen-tano entrambe, in modo interdipen-dente, il rapporto “uomo – natura”.La Pet Therapy è il trionfo nato dall’unione della biologia con la psicologia che dimostra come il le-game ancestrale uomo – natura sia indissolubile e da cui dipende il be-nessere di ogni creatura vivente.

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Age

nda

pet

ESPOSIZIONI CANINE

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Esposizione Nazionale - VicenzaTel. 0444291142

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7 giugno 2014Esposizione Internazionale - BariTel. 0805046733

8 giugno 2014Esposizione Nazionale – Poggibonsi (SI)Tel. 0577934858 Esposizione Internazionale - PalermoTel. 091300612

Esposizione Nazionale – Baveno (VB)Tel. 0324241954

14 giugno 2014Esposizione Internazionale - PratoTel. 057431461

15 giugno 2014Esposizione Nazionale – Jesi (AN)Tel. 0731207720

Esposizione Internazionale – Rapallo (GE)

Tel. 018556947

22 giugno 2014Esposizione Nazionale – Villalago (AQ)Tel. 0864740512

Esposizione Nazionale – CaltanisettaTel. 093423253

28 giugno 2014Esposizione Internazionale – Roma

29 giugno 2014Esposizione Internazionale – Narni (TR)Tel. 0744432271

ESPOSIZIONI FELINE

7-8 giugno 2014Esposizione Internazionale Felina – Latina

Gli eventi top dove e quando

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I libr

i da legge

re

un patto disatteso, finan-che ignorato quello tra uomo e cane. Una simbiosi

iniziata millenni fa e che ora, dopo che all’animale è stata praticamen-te tolta ogni fun-zione lavorativa e quindi di utilità pratica, vive una crisi profonda che ha come ef-fetto immediato migliaia di cani abbandonati a se stessi. Ma anche un crescente nu-mero di episodi di maltrattamento, che vanno dalla negazione del suo essere “cane” con proprie specificità e bisogni, fino al commercio clandestino e le arene dei combattimenti. Ermanno Giudici traccia in questo Il patto tradito fra uomo e cane (Grup-po Editoriale Castel Negrino, marzo 2012) un quadro lucido e spietato,

dove superficialità, connivenza con il crimine più o meno organizzato e una generale inciviltà la fanno da padrona. Dati alla mano, Giudici non

esita a mettere la sua penna nella piaga di un vero e proprio scempio non solo italiano: dal randagismo, con quei 200mila cani confinati nei canili e quei 600mila disperati vaganti sul terri-torio; al commer-cio illegale, che trasforma ogni carico di animali che giunge da noi in un potenziale introito da 70-

100mila euro; fino allo “scandalo dei canili pubblici”, dove la permanenza del cane diventa una fonte di gua-dagno e pertanto ogni adozione vie-ne frenata, se non proprio negata. “Il patto tradito fra uomo e cane” – Gr. Ed. Castel Negrino – Euro 17,90

È

Il patto tradito fra uomo e cane

di Ermanno Giudici

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La

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