pet-ology magazine #3

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1 Pet - OLOGY Magazine 03 LA RIVISTA CHE STA DALLA PARTE DEI PET, SEMPRE! OTTOBRE 2013 ANIMALI E SALUTE UMANA NUTRIRE IL PAPPAGALLO PERICOLO ZOONOSI c o p i a g r a t u i t a , s e m p r e !

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La rivista che sta dalla parte dei pet, sempre.

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Pet-ologYMagazine

03 LA RIVISTA CHE STA DALLA PARTE DEI PET, SEMPRE!

OTTO

BRE 2013

AnIMALI E SALuTE uMAnA

nuTRIRE IL PAPPAgALLo

PERICoLozoonoSI

copia gratuita, semp

re!

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Secondo una ricerca presentata poche settimane fa al 108° meeting annua-le dell’American Sociological Association a New York, le persone provano maggiore empatia per i cuccioli maltrattati e i cani adulti rispetto a quella sentita verso gli altri esseri umani. In sostanza ci si commuove di più per un cane che per un uomo; si ha invece un sentimento simile se oggetto della violenza è un piccolo di animale o di uomo. Per Jack Levin, docente di sociologia e criminologia alla Northeastern University, la spiegazione di ciò sta nel fatto che “un essere umano adulto viene ritenuto per definizione capace di difendersi da sé, mentre un cane adulto viene considerato fragile come un cucciolo di qualunque specie”.La notizia, di per sé, potrebbe passare quasi inosservata, dato che è noto l’impulso emotivo che in molti di noi generano certe notizie magari racca-priccianti sugli animali. Spinge tuttavia ad un’analisi più profonda e finanche spietata: se ciò è vero, perché esistono ancora tanti episodi di violenza, tal-volta di inaudita ferocia, che coinvolgono gli animali? E dove va a finire quel senso di empatia messo in evidenza dalla ricerca americana?Le spiegazioni possono essere varie e complesse, ma alla base persiste una verità di fondo: per molti di noi l’animale è ancora (non solo nel lessico ma anche soprattutto nella testa) la bestia, che come tale non ha diritto di vivere con noi in casa e forse non ha altri diritti se non quello di un pasto perlopiù inadeguato e un giaciglio pulcioso dove dormire. Tutto qui. Allora diventa inutile chiedersi il perché della violenza. Così come non ci si fanno tanti problemi a schiacciare una mosca o una zanzara, in quanto considerati esseri di fatto inferiori, la nostra coscienza non viene scomodata e la bruta-lità viene quasi assunta a diritto. Tutto qui (si fa par dire), con buona pace dei cervelloni di New York e delle loro, pur interessanti, teorie.

Stefano Nicelli

l’editoriale

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SoMMARIo03 - ottobre 2013

Pet-ologY Magazine

EditoreGruppo Editoriale Castel Negrino - 20886 Aicurzio (MB)www.pet-ology.itredazione: [email protected]

Pubblicazione on-line Rivista periodica d’informazione a diffusione gratuitaIscritta nel registro operatori comunicazione AGCOM n. ROC 38567

Direttore responsabileStefano Nicelli

Coordinamento editorialee supervisione scientificaLOGOGEST di Stefano [email protected]. 347-6692528

ImpaginazioneVirtuosa-Mentewww.virtuosa-mente.com

Foto: Fotolia

Hanno collaboratoLorenzo Crosta, Nadia Ghibaudo

Autori citatiNadia Ghibaudo, Alessandro Bellese,

Pet-ology® è un marchio registrato La riproduzione anche parziale di testo, foto e illustrazioni, anche parziale, è vietata.L’editore non si assume alcuna responsabilità per l’uso di marchi, immagini e slogan da parte degli inserzionisti.L’editore ringazia tutti coloro che direttamente o indirettamente hanno contribuito alla realiz-zazione di questa rivista. Inoltre l’editore resta a disposizione di tutti gli eventuali proprietari dei diritti sulle immagini riprodotte nel caso non si fosse riusciti a reperirli per chiedere detta au-torizzazione. In caso di cortese segnalazione si, provvederà tempestivamente a porre rimedio a eventuali omissioni e/o errori di riferimenti relativi e, in caso di conclamata violazione dei diritti si provvederà alla pronta rimozione di suddette immagini.

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NOTIZIE DAL MONDOL’eco dalla nostra pagina Facebook

COVER STORYAnimali e salute umana

PET FOR DUMMIESNutrire il pappagallo

ObIETTIVO TECNICOLampade e riscaldatori per rettili

V.I.P. - VERY IMPORTANT PETCharlie

I CONSIGLI DI...Il serpente

CONSIGLI DEL VETERINARIOLe zoonosi

INTERVISTA A...Nadia Ghibaudo

ETOLOGYAnimali in gabbia

AGENDA PETGli eventi top

I LIbRI DA LEGGEREConoscere il comportamento dei pappagalli

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UN’ASSURDITA’ I CANI E GATTI VE-GANI - I medici veterinari australiani sono scesi sul piede di guerra contro chi impone una dieta vegana (quindi priva di ogni nutrimento di origine animale) per i loro animali domesti-ci. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la storia di un gatto, ri-

dotto in fin di vita per una dieta simi-le e salvata in extremis presso il Lort Smith Animal Hospital di Melbourne. “Non potete forzare il vostro gatto a vivere secondo la vostra ideologia”, dice Pinfold, medico veterinario che ha curato il gatto vegano. “I carnivo-ri - sottolinea - cercheranno carne anche se gliela negate. è molto pro-babile che il vostro gatto sceglierà di

Notizie dal mondo l’eco dalla nostra pagina Facebook

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News dal m

ondo

andare a caccia e procurarsi qualche preda da solo, se privato di questo alimento”. (Fonte: bighunter.it)

La notizia del gatto australiano sal-vato per un pelo dopo che per lungo tempo era stato costretto dai pro-prietari ad una dieta strettamente vegana, lascia sinceramente basiti. Rappresenta infatti uno degli esem-pi più lampanti non solo di quanta ignoranza (il gatto non è forse un car-nivoro?), ma anche del livello di vera e propria presunzione che alberga ancora in molti presunti amanti de-gli animali. Quest’ultima si traduce nell’obbligare a scelte del tutto per-sonali e rispettabili come il veganesi-mo, anche esseri incapaci di sottrar-visi com’è appunto un gatto. Ecco allora profilarsi un vero e proprio atto di maltrattamento di animali e di reati che per noi umani sarebbero la circonvenzione d’incapace fino alle lesioni gravi.Sia ben chiaro: ognuno di noi è libero

di fare le scelte che crede. Molte di queste sono poi finanche condivisibili e dettate certamente da una filosofia animalista ed esistenziale sulla quale non è giusto avanzare critiche. Però, come dice un famoso detto, “la no-stra libertà finisce nel momento in cui inizia quella dell’altro”. Per di più se questo “altro” è un essere impos-sibilitato al diniego, come potrebbe essere un animale, un bambino o un uomo incapace di intendere e volere. Allargare la scelta vegana anche al gatto di casa è dunque un inequivo-cabile segno di violenza. Oltre che di stupidità oltre ogni limite.Purtroppo, però, questo episodio evi-denzia ancora una volta come il ruolo di tutore dell’animale che dovrem-mo ricoprire sfoci troppo spesso in quello di despota, di padre-padrone. Questo nonostante alla base ci siano magari intenzioni nobili. L’animale domestico è altro da noi. È un essere senziente che, per forza di cose, è co-stretto a dipendere da noi, e nulla ci autorizza ad abusare di questo privi-legio. Un concetto, questo, che per molti, sembra essere quasi lunare.

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Come gestire l’igiene dei

nostri pet

Animali e salute umana una convivenza possibile

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on è necessario citare pro-grammi televisivi di succes-so (seppur scioccanti) come

Sepolti in casa – Animali trasmesso su Real Time, per capire come il rap-porto tra igiene casalinga e animali talvolta vada oltre ogni ragionevole buon senso. Anche noi che cerchia-mo di gestire uno o più pet in modo più responsabile, spesse volte com-mettiamo degli errori che possono mettere a rischio la salute. Vediamo allora quali sono.

DA CHI CI DOBBIAMO DIFENDERE – Precisiamo per prima cosa quali sono i nemici dai quali ci dobbiamo difendere: virus, batteri e parassiti che possono essere introdotti nelle nostre case direttamente dall’ani-male (ad esempio attraverso la sa-liva, le feci o il sangue), oppure in-direttamente (è il caso dello sporco che si annida ad esempio nelle zam-pe, il pelo o il piumaggio). Essendo perlopiù invisibili, la lotta contro di loro dovrà essere molto accorta e soprattutto condotta in maniera profonda.

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Animali e salute umana una convivenza possibile

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L’AMBIENTE DI CASA – Diciamo subito che un ambiente troppo af-follato di oggetti o arredi riduce le possibilità di una pulizia profonda, offrendo un ricettacolo formidabile per i parassiti. Allo stesso modo mo-quette, parquet e tappeti non sono certo il massimo dell’igiene. Meglio pavimenti di ceramica o altro ma-teriale che possa essere pulito con facilità. In questo caso vanno be-nissimo disinfettanti come l’alcool etilico, l’isopropilico, e il fenolo. Più semplicemente l’uso del comune aceto o della candeggina si rivela una buona scelta. Attenzione invece all’ammoniaca. Essendo presente anche nell’urina dei gatti, si rischia che l’animale marchi con la pipì là

dove abbiamo appena lavato. In-dispensabile è poi l’uso frequente dell’aspirapolvere (la scopa non è al-trettanto efficace), meglio se fornita di un filtro anti-particolato.

TANA E OGGETTI DELL’ANIMALE – La coperta dove dorme il cane ma anche gli accessori come le ciotole possono rappresentare una rischio-sa fonte di infezione. Coperte e cu-scini vanno lavati regolarmente in lavatrice ad almeno 40°, meglio se con l’aggiunta di un disinfettante. Ciotole e stoviglie usate per dargli il cibo vanno lavate sempre con acqua molto calda e detersivo. Le ciotole in metallo risultano più igieniche e facili da pulire. Evitare assolutamen-

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te l’uso dei piatti o delle stoviglie che usiamo normalmente a tavola.Nel caso del gatto, la lettiera andrà pulita e disinfettata quotidianamen-te, meglio se con l’uso di guanti. Stesso discorso per il fondo delle gabbie di uccelli e roditori. Gli escre-menti dovranno in linea di massima essere buttati con regolarità, evitan-do che vadano in contatto con i no-stri oggetti d’uso frequente. IGIENE PERSONALE – I consigli in questo caso vanno dai più scontati (per esempio lavarsi spesso le mani con il sapone e sempre prima di toccare gli alimenti) a quelli magari meno gradevoli per gli aman-ti dei pet: evitare il con-tatto con la loro saliva ad esempio baciandoli sulla bocca o facendo-ci leccare spesso, maga-ri in faccia, ed evitare di dormire nello stes-so letto con l’animale. Tutto questo dovrà essere insegnato con particolare cura ai bambini. Attenzione poi se abbiamo il vizio di rosicchiarci le unghie: qui i pe-ricoli aumenta-no a dismisura.

In caso di graffi o morsi, occorre di-sinfettare sempre in modo accurato. Nel caso è bene rivolgersi ad un me-dico che valuterà l’entità della ferita e del relativo pericolo.

IGIENE DELL’ANIMALE – Occorre partire da un serio piano vaccinale e da controlli periodici che garantisca-no dei buoni livelli di salute in gene-rale. Un’attenzione particolare andrà posta a parassiti come pulci, zecche e pidocchi, che possono però essere tenuti a bada con l’uso coerente di antiparassitari (in genere sotto for-ma di spot-on, spray, collari e pol-

vere). Questi dovranno essere usati anche

là dove l’anima-le abitualmente staziona, per di-

struggere le uova che possono insediarsi. Da evitare è poi il contat-to, soprattut-to se troppo ravvicinato, con animali sconosciuti, che possono essere por-

tatori di patologie.

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Gli animali possono offrire all’uo-mo un indiscusso beneficio psi-cologico. In alcuni casi, però, tale contributo è addirittura di tipo medico. Parliamo della Pet The-rapy, ovvero dell’impiego degli animali domestici (soprattut-to cani, ma anche gatti e cavalli) come sostegno e coadiuvante nel-

la cura di certi disturbi psicofisici, secondo precisi protocolli medici e d’impiego.Questa pratica è stata da sempre sperimentata dall’uomo (pare che gli stessi uomini primitivi godes-sero dei benefici della compagnia di qualche cucciolo di animale sel-vatico) ma è solo a partire dal ‘700

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che assume connotati più rigorosi e se ne scopre l’efficacia ad esem-pio nei casi di pazienti con distur-bi mentali. Una prima teorizzazio-ne scientifica della Pet Therapy è attribuita allo psichiatra infantile Boris Levinson, che nei primi anni ’60 del ‘900 notò l’effetto benefi-co del suo cane durante le sedu-te con bambini affetti da disturbi psichici. Il termine Pet T h e r a p y venne inve-ce coniata dallo stes-so Levinson nel suo vo-lume The dog as co-therapist (1962).La nascita nel 1981 dell’ameri-cana Delta Society, la più auto-revole società internazionale in questa pratica, diede una svolta decisiva all’uso terapeutico degli animali che oggi è classificato in tre attività ben distinte:le Animal Assisted Activities (AAA); le Animal Assisted The-rapies (AAT); e l’Animal-Assisted Education (AAE).

ANIMAL ASSISTED ACTIVITIES – Sono attività volte a migliorare la qualità della vita di ipoveden-ti, anziani, bambini e malati ter-minali. L’animale in questo caso offre un tipo di intervento educa-tivo e ricreativo, oppure offre un supporto pratico nella vita quoti-diana (es. cani per ciechi).

ANIMAL AS-SISTED THE-RAPIES – L’a-nimale, sotto stretto con-trollo medico, diventa un co-terapeuta e contribuisce nella terapia

di pazienti affetti da problemi co-gnitivi, comportamentali e psico-sociali. Diventa allora un suppor-to, senza sostituirsi mai all’azione determinante del medico.

ANIMAL ASSISTED EDUCATION – Consiste nell’introdurre gli ani-mali nelle scuole (soprattutto ma-terne ed elementari) per educare i bambini alla conoscenza e al ri-spetto degli animali.

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Nutrire il pappagallo ecco di cosa ha bisogno

Foto tratta da:Conoscere il comportamento dei pappagalli di Nadia Ghibaudo

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osa mangia un pappagallo? La risposta è più difficile di quanto si possa pensare, te-

nendo conto che ci troviamo di fron-te a oltre 350 specie diverse, ognuna delle quali vive in habitat che offrono soluzioni alimentari diverse. In linea generale, però, si possono distingue-re tre tipi di alimentazione: tradizio-nale, formulata e integrata.

Dieta tradizionale – Prevede l’uso di una miscela di granaglie (soprattutto semi di girasole) e acqua, quasi senza l’apporto di vegetali freschi. In qual-che caso si fa ricorso a vitamine. È un tipo di alimentazione ormai sconsigliata dai più, anche perché i semi di girasole possono essere por-tatori di micotossine pericolose per il fegato. Casi di pappagalli nutriti a lungo in questo modo e all’apparenza in buona salute, non rappresentano una valida giustificazione per un tipo di dieta che resta da evitare.

Dieta formulata – È caratterizzata da alimenti estrusi o pellettati, oppure da una miscela composta da grana-

Nutrire il pappagallo pet f

or du

mmies

CSì a frutta e

verdure fresche, no a granaglie,

cioccolato e latte

ecco di cosa ha bisogno

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glie, arricchita da pellettati o estrusi.Gli alimenti pellettati, dalla caratteri-stica forma a cubetto o cilindro, sono composti da farine vegetali integrate da vitamine, minerali e liquidi. Que-sta pasta omogenea viene dapprima pressata e poi scaldata a 60-70°. Infi-ne passa attraverso una filiera e poi tagliata. Quelli estrusi, invece, subi-scono un trattamento a temperature più alte (100-180°) che fa evaporare l’acqua contenuta e spezza le cellu-le vegetali, rendendole più digeribi-li. Questi alimenti offrono in genere buone garanzie dal punto di vista

dell’igiene e della completezza degli apporti nutritivi.

Dieta integrata – Consiste nell’uso di alimenti estrusi, con l’aggiunta di cibo fresco e altri alimenti. Rappresenta secondo molti la soluzione ideale, in quanto permette all’animale di varia-re la routine giornaliera del pasto e gli offre stimoli importanti ad esem-pio quando si trova a sbocconcellare un frutto fresco.Una simile dieta può tuttavia lascia-re disorientato il neofita, soprattutto per ciò che riguarda la percentuale

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Fermo restando che è da evitare l’uso di cibi assolutamente non consoni a questo tipo di animale e magari dati quasi per gioco (es. patatine fritte), tra gli alimenti da evitare troviamo il latte, in quanto gli uccelli in gene-re non hanno la lattina, un enzima che permette di digerire il lattosio, e il cioccolato, in quanto può contenere livelli pericolosi di caffeina e teo-bromina. Sconsigliata è poi la somministrazione di: prezzemolo, avocado, semi delle mele e delle pere, noccioli di ciliegia, dei cachi e di frutti come prugne, pesche e albicocche. Da abolire sono poi i legumi germogliati e non cotti, in quanto contengono principi che possono risultare tossici.Attenzione infine a micotossine (generate da alcune varietà di funghi) fra cui l’Aspergillus flavus, potenzialmente devastante su fegato e talvolta i reni. Tali tossine si trovano spesso in alimenti come i semi di girasole e soprattutto le arachidi, il cui uso dev’essere pertanto molto limitato.

da impiegare dell’uno e dell’altro ali-mento. Indicativamente si può allora dire che una dieta bilanciata può es-sere rappresentata da un 60-70% di alimenti estrusi di prima qualità, e da un restante 40-30% di prodotti fre-schi. Tra questi sono preferibili i frutti esotici e in primis quelli tropicali, in quanto contengono catene di acidi grassi diverse da quelle dei frutti eu-ropei e risultano più digeribili. Il problema in questo caso è la quan-tità di insetticidi che tale frutta può aver raccolto e i trattamenti in gene-re che sono stati apportati. Eventual-mente è allora meglio usare un pro-dotto “nostrano” magari biologico, ma soprattutto di stagione e meglio se a “chilometro zero”.Questa dieta può poi essere integrata

da frutti di piante che comunemente si trovano anche da noi: l’azzeruolo, il giuggiolo e il nespolo europeo.

Stabiliti i tipi di dieta, ci si domanda ora: ma quante volte deve mangia-re un pappagallo? In natura questo uccello ama spiluccare durante tutto il giorno. Pertanto l’ideale è stabilire in partenza quanto deve mangiare, e distribuire questa quantità durante l’arco della giornata. Magari sceglien-do di dare il cibo fresco al mattino e l’estruso alla sera, o viceversa. Even-tualmente (ma non è proprio la solu-zione ideale) si può anche distribuire il cibo in più ciotoline nella voliera, distanziate in modo tale che il pap-pagallo debba muoversi per beccare l’una e l’altra.

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Utili ma attenti alle ustioni

Luce e calore lampade e riscaldatori per rettili

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l terrario dovrebbe rappre-sentare di fatto la ripropo-sizione artificiale più fedele

possibile delle condizioni di vita che i rettili incontrano in natura, a se-conda della specie. Quindi, essendo animali ectotermi (vedi box a parte) dev’essere garantita loro un’adegua-ta quantità di calore e di luce. Que-sta funzione viene perlopiù svolta da specifiche lampade, ma per il ri-scaldamento si possono anche usa-re apposite rocce, piastre e cavetti. Vediamoli nello specifico.

LAMPADE ILLUMINANTI: vanno di-stinte tra quelle che emettono rag-gi UV e invece quelle che non le emettono. La differenza non è da poco. I raggi UVb sono ad esempio fondamentali per le tartarughe che altrimenti hanno difficoltà a sintetiz-zare la vitamina D3 e ad assimilare il calcio. Meno invece per i serpenti che assumono tale vitamina diretta-mente dalle prede. Le lampade poi che producono raggi UVb produco-no anche raggi UVA, ma non è detto che accada il contrario. Quindi van-

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Luce e calore lampade e riscaldatori per rettili

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ECTOTERMIA: (dal greco: ektós = al di fuori; termos = calore) in biologia è la condizione degli organismi viventi la cui temperatura corporea dipen-de dall’ambiente esterno. È un tipo di termoregolazione che è l’opposto dell’endotermia. Ad avere questa caratteristica, oltre ai rettili, sono gli invertebrati, i pesci e gli anfibi. ELIOTERMI - TIGMOTERMI: i primi sono animali che si scaldano grazie all’esposizione ai raggi solari; i secondi grazie al contatto con elementi naturali caldi come rocce e suolo.FOTOPERIODO: durata dell’illuminazione diurna e intensità delle radia-zioni che, in natura, varia con la latitudine secondo ritmo stagionale. GRADIENTE TERMICO: valore (o tasso) con cui cambia la temperatura.INTERVALLO TERMICO D’ATTIVITÀ: è rappresentato dalle temperature minime e massime a cui si sottopone volontariamente il rettile durante la giornata.RAGGI UVA: radiazione ultravioletta di lunghezza d’onda compresa tra i 315 e i 400 nanometri. I rettili hanno la capacità di vedere all’interno dello spettro luminoso dei raggi UVA. Essi rappresentano il 95% degli UV di origine solare che arrivano sulla terra.RAGGI UVB: radiazione ultravioletta di lunghezza d’onda compresa tra i 280 e i 315 nanometri. Indispensabile in alcuni rettili per la sintesi della vitamina D3 e quindi l’assimilazione del calcio.

no lette molto bene le caratteristi-che di ogni prodotto. Le tipologie possono poi essere diverse: lampa-de spot (con riflettore incorporato), alogene, lampade al neodimio, a in-frarossi (di colore rosso, emettono luce tenue e grande calore), neon e lampade ai vapori di mercurio (tra le più efficienti per i valori di raggi UV emessi e il calore fornito).

LAMPADE RISCALDANTI: ogni lam-

pada che illumini genera anche una percentuale di calore. Esistono tut-tavia speciali lampade in ceramica (adatte soprattutto per tartarughe esotiche) che non producono luce, ma solo calore in una zona piuttosto ristretta. Per questo non sono adat-te per terrari molto grandi e pos-sono risultare eccessive per quelli molti piccoli. È poi preferibile usare un portalampada apposito, poiché quelli normali rischiano di fondersi.

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È fondamentale che l’animale non possa avere accesso diretto a que-ste lampade. Infatti, soprattutto i serpenti, hanno la tendenza ad aggrovigliarsi a loro, subendo gra-vi ustioni. È poi importante tene-re conto del gradiente termico, soprattutto nei terrari piccoli che magari non g a r a n t i s c o n o zone meno cal-de: un serpen-te ad esempio può morire con temperature su-periori ai 38,5° (il suo standard ideale va dai 24 ai 30°). Per que-sto si consiglia l’uso di almeno due termometri: uno per la zona più calda e l’al-tra per quella più fredda.

ELEMENTI RI-SCALDANTI: par-liamo di rocce, cavetti e piastre in grado di ge-nerare calore. Le rocce forniscono un riscaldamen-

to dal basso che risulta piuttosto innaturale e offre facilmente il ri-schio di ustioni. Non sono pertanto considerate l’ideale. Meglio cavetti e piastre da collocare sul fondo del terrario, ma da integrare con una lampada posta in alto.

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V.I

.P.

ottete i nazisti, fottete Hit-ler”. Con queste parole era solito accogliere gli ospiti

Charlie, il pappagallo del premier britannico Winston Churchill (1874-1965), passato alla storia non solo per il suo proverbiale sproloquio, ma anche per essere stato uno degli ani-mali più longevi al mondo: è difatti sicuro che abbia vissuto fino alme-no fino a 104 anni. Charlie era però una femmina (pur conscio di questo, Churchill decise di dargli un nome più virile), nata nel 1899 e comprata dal primo ministro nel 1937. Sull’identità di Charlie, creduto da sempre un pappagallo del tipo ara macao giallo e azzurro, re-centemente sono sorti dei dubbi. La sorella di Chur-chill, Soames, ha dichia-rato infatti alla bbC che è stata fatta confusione con un cenerino di nome Polly, che effettivamente visse nella sua famiglia per tre anni a Chartwell, nel Kent, salvo poi essere venduto

quando si trasferirono tutti a Lon-dra. Secondo la versione più nota, alla morte dello statista inglese, nel 1965, il pappagallo venne acquistato dal negoziante di animali Peter Oram. L’uomo, tuttavia, fu presto costretto a spostarlo dal negozio a casa sua, dal momento che il linguaggio del pennuto era diventato davvero inso-stenibile. È noto infatti che Churchill amasse particolarmente insegnare parolacce e bestemmie all’animale, suscitando sovente l’imbarazzo dei suoi ospiti.

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Charlie Il pappagallo di Churchill

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onsigli di...

cosa dobbiamo prestare at-tenzione quando pensiamo di acquistare un serpente?

Ecco a proposito qualche indicazione di Alessandro Bellese, medico vete-rinario e autore del volume Voglio un serpente (Gruppo Editoriale Castel Negrino, pp. 128, 2008) da cui è trat-to il testo che segue:“(...) Un serpente come qualsiasi altro animale dovrebbe vivere dove il complesso, lungo e non ancora terminato processo evolutivo l’ha adattato a esprimere al meglio le proprie po-tenzialità anatomiche e fisiologiche. È vero anche che ogni giorno l’idiozia umana annienta irre-vocabilmente l’ambiente in cui le va-rie specie di animali selvatici soprav-vivono, fino a che questa tendenza non si arresterà l’unica speranza per le generazioni future di poter guar-dare con i propri occhi un animale selvatico è che almeno una parte di questi si salvi grazie all’allevamento in cattività. La riproduzione in cattivi-

tà riduce il prelievo in natura.(...) L’esperienza personale [però] mi ha reso consapevole del fatto che ra-ramente un serpente è mantenuto in modo tale da garantirgli una vita seppur lontanamente dignitosa che tenga conto delle sue reali necessità ambientali, comportamentali e ali-

mentari. Diffusa è l’opi-nione secondo la quale se un animale riesce a sopravvivere a lungo, tenuto in una scatola riscaldata in cui non è in grado neppure di di-stendersi, significa che sta bene. Perciò alcu-ne semplici ma essen-

ziali indicazioni sull’allevamento di questi animali possono essere utili a migliorare la loro qualità di vita in cattività e far sì che il terrariofilo alle prime armi non passi da una morte prematura all’altra, ma si appassio-ni ai vari aspetti della loro biologia ed ecologia, arrivando anche alla riproduzione”.“Voglio un serpente” – Gr. Ed. Castel Negrino – Euro 15,90

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Il serpente di Alessandro Bellese

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Il vet. d

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Articolo di Lorenzo Crosta, med vet, PhD, Veterinario Accreditato da FNO-VI per la Medicina e Chirurgia Aviare e per la medicina e Chirurgia degli Animali da Zoo e Zoo management

e cosiddette antropozoono-si, o più semplicemente zo-onosi, sono le malattie tra-

smissibili dagli animali all’uomo. Fra le più conosciute abbiamo la rabbia, il carbonchio (spesso chiamato antra-ce), la tubercolosi e la malattia della mucca pazza, tutte patologie gravi, che possono portare a morte gli es-sere umani; ma ci sono molte zoono-

si, alcune pericolose per l’uomo, altre molto meno. Il discorso potrebbe essere infinito, ma il rischio va sempre associato al contesto socio-professionale e alla situazione geografica. Infatti, mentre va da sé che i veterinari, gli allevatori, e chiunque lavori con gli animali sia maggiormente esposto al rischio di contrarre una zoonosi, è anche vero che, se per un cittadino italiano la probabilità di incontrare un cane con la rabbia è molto basso, gli statuni-tensi, e i brasiliani sono esposti a un rischio molto maggiore, mentre in Australia la stessa malattia è pratica-

l

Le zoonosi se gli animali ci fanno ammalare

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mente sconosciuta. Inoltre bisogna considerare le mo-dalità di trasmissione e di infezione di ognuna di queste malattie: molte infatti, non vengono trasmesse diret-tamente dal contatto con l’animale malato, ma hanno bisogno di un vet-tore, spesso un artropode, di solito una zanzara o una zecca, per venire propagate. Nel nostro Paese, non siamo partico-larmente esposti a rischi zoonotici, fatte salve le figure professionali di cui sopra ed alcune situazioni locali (ad esempio le volpi, possibili porta-trici di rabbia in alcune zone dell’arco alpino). Fra i proprietari dei comuni animali domestici, vista la maggiore atten-zione che attualmente si pone verso la salute dei cani e dei gatti, il rischio zoonotico è diminuito negli anni; cio-nondimeno, si osservano casi di toxo-plasmosi (trasmessa dai gatti e dalle carni poco cotte di animali infetti), di trichinellosi e di brucellosi, oltre ad altre forme meno frequenti.Anche i pappagalli sono in grado di trasmettere una malattia all’uomo: si tratta della psittacosi, conosciu-ta anche come clamidiosi, ornitosi, o “febbre dei pappagalli”, malattia causata de un piccolo batterio chia-mato Chlamydophila (o Chlamydia) psittaci. In genere nei pappagalli la malattia

causa sintomi respiratori (congiunti-vite, scolo oculo-congiuntivale, respi-razione difficoltosa), o gastroenterici (feci diarroiche, di solito di colore verde pistacchio, per la liberazione di biliverdina dovuta al danno alle cellule epatiche), ma esistono anche forme con sintomatologia mista o anche neurologica (svenimenti, crisi epilettiformi). Nell’uomo, la malattia causa di solito febbre elevata, con sintomi respira-tori e può assumere un andamen-to anche molto grave, se non viene riconosciuta. Il problema principale sta nella dia-gnosi: se il medico, non viene messo al corrente del possibile nesso pap-pagallo-paziente umano, difficilmen-te può fare una diagnosi corretta di psittacosi. Se invece la psittacosi è diagnosticata per tempo, si può cura-re bene; la terapia, salvo le rare com-plicazioni, si effettua con dei semplici antibiotici.Infine, una nota legale: alcune zoo-nosi, come la tubercolosi, la rabbia e la psittacosi, sono malattie denun-ciabili, vanno cioè segnalate alle au-torità competenti, dal medico, o dal veterinario, secondo il caso. La legge prevede quindi il da farsi nelle diverse situazioni, per cui si può andare dal semplice isolamento e monitoraggio dei sospetti infetti, fino all’eliminazio-ne fisica degli animali portatori.

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...

hi oggi compra un pappagal-lo sa veramente a cosa va incontro? Oppure si tratta di

una scelta il più delle volte superfi-ciale, dettata magari dallo splendido aspetto che hanno questi animali, condito magari dal fascino di avere in casa un pet alternativo, che in sé conserva un’affascinante traccia del-la natura selvatica? Pet-Ology Maga-zine lo ha chiesto a Nadia Ghibaudo, anima dell’Associazione Italiana Re-cupero Animali Selvatici, e autrice del volume Conoscere in comportamen-to dei pappagalli. Signora Ghibaudo, nel suo libro Co-noscere il comportamento dei pap-pagalli lei non manca di sottolineare le difficoltà che si possono incontra-re nel gestire un simile animale. Si è fatta un’idea di chi, oggi, ha comun-que deciso di prenderne uno?“Certo, senza dubbio un’idea me la sono fatta e ritengo che grossomodo vi siano tre categorie essenziali: una vede protagonisti i collezionisti, irri-ducibili e attenti esclusivamente alla loro ‘passione’, a prescindere da tut-

to. La seconda raggruppa gli egoisti, coloro che hanno informazioni cor-rette, sulle quali dovrebbero riflette-re e saper attuare un atto di rinuncia che sarebbe sostenuto proprio da quell’amore che paventano per gli animali, ma che si guardano bene dal fare, giustificandosi abbondante-mente con le prezzolate informazioni del mercato, tendenti a soddisfare esclusivamente il guadagno di molte categorie, con buona pace dei diritti di libertà dei pappagalli; segue la ca-tegoria degli sprovveduti, quelli che non prendono alcun tipo di informa-zione previa, salvo poi stupirsi della molteplicità problematica che questi animali rappresentano. Il tutto, natu-ralmente, a discapito del benessere cui questi animali hanno pieno diritto e che si rappresenta nella sua pienez-za solo allo stato libero, in natura”.

Che differenze di massima vede tra chi ad esempio sceglie un cane o un gatto e invece chi predilige un ani-male esotico com’è il pappagallo?“Vedo innanzitutto la superficialità, cui segue la voglia di esotico, di ‘di-

C

Nadia Ghibaudo presidente Airas onlus

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verso’, di mettersi in mostra, di avere il ‘parlatore’ a tutti i costi; vedo la di-sinformazione, che sostiene sempre quel mercato ricco di guadagno, del tutto negligente nello spiegare che una differenza essenziale esiste tra un animale domestico e uno selva-tico, per quanto nato in cattività. Le leve emozionali che un pappagallo è in grado di toccare non sono preve-dibili a priori, ma segnano il contrap-passo durante questa esperienza del-la quale il costo è a carico esclusivo dell’animale, con ampia incompren-sione del proprietario.Sostanzialmente questo mercato se-leziona persone che, una volta com-perato l’animale, vi si relazionano come farebbero con un cane o un gatto, affidando al pappagallo aspet-tative che non potranno essere assol-

te. Tutto questo porta non solo alla frequente cessione dell’animale, ma anche alla totale incomprensione che porta a danni importanti e, nemme-no a dirlo, a carico del pappagallo”.

Un allevatore di uccelli di Pado-va scrive nel suo sito ufficiale che “l’allevamento degli uccel-li da gabbia è una forma di egoi-smo (…) ma lo è altrettanto qual-siasi altra forma di ‘uso’ della vita animale”. Lei cosa ne pensa? “Direi che questa frase vuole giusti-ficare la detenzione del pappagallo, credendo forse che la superficia-lità sia appannaggio di chiunque, ma non è così. Non approfondi-re è sinonimo di scarsa chiarezza. Del resto non stupisce, si tratta di chi i pappagalli li vende”.

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Eto

logy

ecita un proverbio sicilia-no: “Aceddu ‘nta iaggia ‘un canta p’amuri ma can-

ta pi raggia” (L’uccello in gabbia non canta per amore ma canta per rabbia). In questo detto si consuma l’intero dibattito che da sempre divide co-loro che vedono nella gabbia (per uccelli ma anche per i roditori) una sorta di prigione alla quale costrin-giamo gli animali, e coloro che inve-ce la vedono come una necessità, dato che si tratta di soggetti nati e cresciuti da generazioni in cattività, e pertanto inadatti a vivere fuori dai suoi confini. E basta un breve excursus su Internet per capirlo. Lu-igi, allevatore di uccelli in provincia di Padova, confessa ad esempio nel suo sito che “certo, l’allevamento degli uccelli da gabbia è una forma di egoismo”, salvo poi sottolineare: “posso altrettanto confermare che lo è qualsiasi altra forma di ‘uso’ della vita animale”. Su un blog tro-viamo poi chi scrive chiaramente che “oggi nelle nostre case abbia-mo pennuti domestici completa-

mente ‘imprintati’ sull’uomo, as-solutamente casalinghi e abituati ad un ambiente che non potrebbe essere diverso dalla gabbia e dal-la casa dove vivono”. L’animalista Luca, lo stesso che fa suo il prover-bio siciliano già citato, ribatte infine perentorio: “Cosa possiamo capire noi, esseri umani domestici, della sofferenza di un uccello chiuso in gabbia?”.

È dunque evidente che per arriva-re ad una risposta occorre epurare questo dibattito dalle pur impor-tanti connotazioni emotive e ide-alistiche. Se infatti da una parte è facile immaginare che la maggio-ranza di noi gradirebbe poter gode-re di un’interazione con l’animale possibilmente senza barriere (un po’ come accade per cani e gatti), dall’altra occorre evidenziare un problema pratico: il più delle volte è vero che canarini, pappagalli o ro-ditori sarebbero incapaci non solo di vivere in libertà, ma anche di tornare comunque nella casa dove vengono accuditi e sfamati. L’uso

R

Animali in gabbia prigione o necessità?

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della gabbia diventa allora una con-dizione necessaria, anche se può effettivamente assumere l’aspetto di una prigione.Detto questo si può comunque cer-care di unire l’aspetto pratico con le esigenze dell’animale: scegliendo ad esempio gabbie il più possibili grandi e comunque adatte all’ani-male che vi è inserito. L’immagine della gabbietta non più grande di

una scatola da scarpe, appesa fuo-ri da casa (perché il guano puzza) e contente un canarino triste, do-vrebbe insomma scomparire. Cer-to, così facendo si può immaginare ugualmente che l’animale “canti per rabbia” , ma quantomeno di-mostreremo che si è fatto il possi-bile per garantirgli se non proprio la felicità, almeno un po’ di sano welfare.

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I libr

i da legge

re

iù che accondiscendere, un buon libro sugli animali do-vrebbe mettere in guardia

il futuro proprie-tario, fino al limite di dissuaderlo, per il bene suo e di chi andrà a ospitare. In quest’ottica rientra questo volume di Nadia Ghibaudo. L’autrice non usa infatti mezzi termi-ni: “Il pappagallo è l’opportunista che non vi attendere-ste, è la libertà che avete rinchiu-so nelle vostre case e a cui dovrete profondo rispetto, è quel tipico irri-verente che non vi obbedirà mai”. E ancora: “Se non si possono offrire le condizioni per evitare danni al pap-pagallo e a noi, meglio comprarsi un cane, egli non volerà mai”.Schietta, chiara ed efficace, la Ghi-baudo offre dunque un libro prezio-so, completo per ciò che riguarda

tutti gli aspetti di questo animale (dalla scelta fino all’addestramento), con l’occhio sempre rivolto al benes-

sere e soprattut-to alla natura così particolare di que-sto uccello. Signi-ficativo in questo senso è ad esem-pio l’intero capi-tolo dedicato al taglio delle penne remiganti (fonda-mentali per il volo), a cui l’autrice pone un netto NO! con

parole come queste: “Il senso etico dovrebbe suggerirci il rispetto delle caratteristiche innate di un animale a cui abbiamo imposto la conviven-za con noi”. Insomma una fermezza, non così scontata, ma di cui si senti-va il bisogno.

“Conoscere il comportamen-to dei pappagalli” – Gr. Ed. Castelnegrino – Euro 21,90

P

Conoscere il comportamento dei pappagalli

di Nadia ghibaudo

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