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PIANO DELLA FORMAZIONE AMBITO 34 - VARESE
LA GESTIONE DEI CONFLITTI
Materiali didattici 1° INCONTRO
Varese giugno 2017
a cura di Angelo Maraschiello
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FASE A UL 1 - Sis1
Parlare insieme
Nelle attività precedenti ci si è resi conto dell’importanza degli altri per dare senso alla identità di un soggetto.
L’uomo è un essere sociale che si realizza nella relazione con gli altri. La comunicazione è la forma attraverso la quale gli uomini possono realizzare il riconoscimento reciproco delle rispettive identità.
Possiamo definire in modo molto semplice cos’è la comunicazione interpersonale. Un mittente che vuole comunicare qualcosa esprime la sua istanza usando segni riconoscibili che codificherà in
un “messaggio”. Il destinatario che riceve il messaggio dovrà decifrarlo per comprenderlo. Quando i soggetti mettono in uso condotte per verificare la comprensione avvenuta ovvero quando il
destinatario comunica al mittente come ha decifrato il messaggio il mittente può verificare se il suo scopo
coincide con il risultato del destinatario. Tale verifica prende il nome di feedback (questo tema sarà oggetto del modulo B).
Le esperienze fatte nella prima parte del presente modulo hanno messo in evidenza che il messaggio emesso dal mittente1 trasmette una pluralità di significati, in sostanza la comunicazione contiene allo stesso tempo più
messaggi, ciò rende la comunicazione interpersonale molto complicata e facilmente soggetta a disturbi, e nello
stesso tempo molto interessante.
Per comprendere, facciamo un esempio2: Il compagno di banco vi dice: “Vedo che hai due penne nell’astuccio!”. In questo semplice messaggio si
possono dedurre diverse tipologie di informazioni. Vediamole.
1. Contenuto (ovvero: su cosa verte il messaggio)
Innanzitutto il messaggio trasmette un contenuto; nel caso citato, il fatto che il compagno di classe ha due penne nell’astuccio. Questo è un fatto in sé che i due interlocutori possono verificare. A questa
affermazione il compagno può rispondere “Sì e vero”, oppure ”No, se guardi meglio vedrai che ce ne sono tre”. I due comunicanti possono verificare e condividere ciò che dicono in modo razionale verificando i fatti.
2. La rivelazione di sè (ovvero: che cosa comunico di me stesso) La comunicazione però può trasmettere anche informazioni sul mittente che non hanno diretta connessione
al contenuto del messaggio. Per esempio, da quella frase noi possiamo dedurre che il compagno di banco non ha portato con sé penne e pertanto non può prendere appunti. Questo ci può rivelare che è uno
studente svogliato e poco attento alle proprie cose. Può rivelarci anche che è curioso perché ha sbirciato
nel nostro astuccio oppure che ha una buona vista. In sostanza, non possiamo evitare di rivelare qualcosa di noi stessi ogniqualvolta comunichiamo.
3. Relazione (ovvero: che cosa penso di te e come ci consideriamo l’un l’altro)
Ogni messaggio fa emergere anche come il mittente consideri il destinatario. Questo tipo di informazione spesso è veicolato non tanto dal messaggio verbale, quanto dalle espressioni non verbali, dal tono di voce,
dal ritmo delle parole ecc.. Nel nostro caso il messaggio potrebbe voler dire, se accompagnato da un tono
suadente, “Sono certo che tu sei buono e mi presterai una penna”; oppure, se il tono è perentorio, potrebbe significare “sono certo che non esiterai a prestarmi la penna, moccioso!” o altro ancora.
Ovviamente la risposta dell’interlocutore può assecondare o meno il modo come l’altro lo vede e di conseguenza ridefinire o meno la modalità della relazione (approfondiremo questo aspetto nel Modulo B).
1 Si usa in questa scheda l’espressione “mittente” e “destinatario” per identificare chi trasmette il messaggio e chi lo riceve, così come
definiti nel testo F. Schulz von Thun, “Parlare insieme”, pagg. 20-24, Ed. Tea, Milano 1981, dal quale è trattata questa breve sintesi del 1° capitolo. Nel modulo successivo si useranno le espressioni trasmittente e ricevente.
2 Il testo è tratto da F. Schulz von Thun, “Parlare insieme”, pagg. 20-24, ci si è limitati a cambiare l’esempio per adattarlo meglio al
contesto scolastico.
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4. Appello (ovvero: che cosa vorrei indurti a fare)
Le cose non vengono dette mai “così per dire”: quasi tutti i messaggi si prefiggono di esercitare
un’influenza sul destinatario, chiamiamo questo elemento del messaggio: “appello”. Nel nostro caso l’appello potrebbe significare: “Mi puoi prestare una penna per prendere appunti visto che
l’ho dimenticata a casa?”. Il messaggio, in sostanza, si prefigge di indurre il destinatario a fare, non fare, sentire o pensare
determinate cose.
Il tentativo di influenzare qualcuno può essere più o meno evidente. Quando lo scopo di influenzare è evidente si parla di manipolazione.
Il mittente manipolatore non si fa scrupolo di asservire anche gli altri elementi dell’informazione agli scopi
dell’appello. In questo caso la comunicazione è tendenziosa, la rilevazione di sé è finalizzata ad ottenere un determinato effetto (per esempio suscitare ammirazione o disponibilità) e anche la relazione potrebbe
essere piegata all’esigenza di raggiungere il proprio scopo (appello); per esempio, usando un
atteggiamento di sottomissione o producendosi in complimenti interessati. E’ ovvio che in questo caso i tre aspetti della comunicazione citati in precedenza non rispecchiano la realtà effettiva, ma diventano
strumenti per raggiungere il proprio scopo.
Possiamo sintetizzare quanto abbiamo detto con un semplice grafico che descrive la pluralità di significati
contenuti nella comunicazione interpersonale.
I quattro aspetti di un messaggi (F. Schulz von Thun, “Parlare insieme”, Ed. Tea, Milano 1981)
Il grafico mette in evidenza che il messaggio, emesso dal mittente, raggiunge il destinatario e “veicola”
contemporaneamente le quattro componenti informative che abbiamo citato in precedenza.
Ci occuperemo nel prossimo modulo dell’interazione fra mittente e destinatario, in particolare su come è
possibile utilizzare il feedback (cioè la bidirezionalità della comunicazione: A trasmette – B riceve, poi B-trasmette ed A riceve).
Mittente Destinatario
contenuto
relazione
appello
Rivelazione di sè
messaggio
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I tre meccanismi della percezione3
Vi sono molti modi di ricevere un messaggio. Le tre modalità di ricezione a cui facciamo riferimento sono:
L’ordine sequenziale con le quali sono proposte stanno ad indicare che, in genere, esse si susseguono in modo temporale e sono alla base della nostra risposta ad uno stimolo o messaggio. Il fatto che siano
passaggi logicamente sequenziali non significa che noi ne abbiamo consapevolezza, anzi in genere la nostra reazione è così veloce ed automatica che ci appare unitaria e spontanea.
Percepire significa: vedere qualcosa (per esempio uno sguardo) o udire (per esempio la domanda: “Che
cos’è quella cosa verde nella minestra?”).
Interpretare significa: attribuire un significato percepito. Per esempio, interpretare lo sguardo come
sprezzante o la domanda sulla minestra come critica. Questa interpretazione può essere giusta o sbagliata. Ciò non significa che bisogna evitare
l’interpretazione. Del resto non è né possibile né auspicabile, poiché proprio l’interpretazione apre una
possibilità di capire ciò che veramente si intendeva dire. E’ sufficiente tenere presente che d’interpretazione si tratta e che, come tale, può essere giusta o sbagliata.
Provare significa: rispondere con una sensazione al percepito e all’interpretato. Durante questa fase,
decisiva è la natura psicologica dell’individuo per la natura della sensazione che scaturirà (per esempio di
rabbia di fronte ad uno sguardo sprezzante). Questa sensazione non può sottostare alle categorie di giusta o sbagliata, è una semplice realtà di fatto.
Come si diceva poco sopra, di solito non siamo abituati a distinguere dentro di noi i tre meccanismi: essi si
fondono in un prodotto unico. Esempio: un ragazzo espone alla madre alcuni progetti personali. La madre aggrotta la fronte e il figlio la
aggredisce verbalmente: “Ma dai! Non fare subito quella faccia!”.
Questo feedback è il risultato della miscela dei tre meccanismi (vedi figura successiva).
3 Il testo seguente è tratto da “Parlare insieme”, pagg. 59-62, F. Schulz von Thun, TEA, Milano, 1997
Percepire qualcosa
Interpretare qualcosa
Provare qualcosa
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Perché è così importante distinguere questi tre meccanismi interiori?
Perché il destinatario abbia chiaro che la sua reazione è appunto “sua”, con delle componenti del tutto personali. E perché abbia l’opportunità di verificare la natura di queste componenti domandando, per
esempio: “Aggrotti la fronte perché non ti va a genio quello che ho in mente?”. Solo così il destinatario è in grado di avere una conferma (Sì, quell’idea mi piace …”), una smentita (“no,
quella cosa lì non mi va.”), oppure di mettersi in discussione (“non mi sono reso conto di aver
aggrottato la fronte … in realtà forse sono rimasto un po’ male che tu non me ne abbia parlato prima…”). E’ un buon esercizio isolare ed evidenziare le tre fasi che riproducono la reazione:
I tre meccanismi descritti sono gli elementi più importanti della “ruota della consapevolezza”4 che consente di avere una chiara comprensione del messaggio sapendo distinguere fra ciò che è il fatto, ciò che è
interpretazione dello stesso e ciò che è frutto della propria sensazione conseguente all’interpretazione del fatto.
4 Miller, Nunnally e Wachmann (Alive and aware, Minneapolis, 1975)
Ma dai ! Non fare subito quella faccia !
Percezione
(aggrottamento della fronte)
Interpretazione
(lei non approva i miei piani)
Sensazione
(rabbia, delusione)
Vedo che aggrotti la fronte
Presumo che non ti piaccia quello che ho in mente
Sono deluso, arrabbiato, perché speravo nel tuo
appoggio
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Fase A St 2
La comunicazione ad una e due vie: (consegne per il gruppo di riceventi )
Ci sottoponiamo ad un esperimento di comunicazione.
Due persone saranno chiamate ed usciranno dal gruppo classe per svolgere il ruolo di “comunicatori”,
mentre tutti gli altri membri riceveranno i messaggi che, a turno, i due membri che si offriranno come volontari per svolgere il ruolo di trasmittenti, di volta volta, invieranno.
1^ SITUAZIONE.
Il trasmittente volge le spalle a tutti gli altri, seduto su una sedia in posizione frontale. Il docente dà il via
al trasmittente che può iniziare a parlare. Il vostro compito è quello di eseguire tutte le istruzioni che
vengono fornite dal trasmittente, disegnando su un foglio, con matita e gomma, l’immagine che vi viene trasmessa.
Prima di dare il via, il docente incarica un membro del gruppo di registrare il tempo impiegato, dall’inizio alla fine della trasmissione del messaggio.
Regole: E’ possibile scrivere, modificare e cancellare quello che si è fatto;
Bisogna cercare di svolgere il compito da soli. senza sbirciare il foglio altrui.
Durante la comunicazione, non si può parlare con il vicino
Durante la comunicazione, non si possono rivolgere domande a chi trasmette.
la comunicazione ha termine quando il trasmettitore dice STOP.
Il docente farà rispettare quest’ultima regola, impedendo ai soggetti riceventi di parlare con il trasmittente.
Si conservi il foglio con il prodotto realizzato, contrassegnandolo con la sigla: “disegno n. 1”.
2^ SITUAZIONE.
Il trasmittente siede sulla sedia, in posizione frontale rispetto agli altri.
Il docente dà il via al trasmittente che può iniziare a parlare. Il vostro compito, come nella situazione
precedente, è di eseguire tutte le istruzioni che vengono fornite dal trasmittente, disegnando su un foglio, con matita e gomma, ciò che viene trasmesso.
Prima di dare il via, il docente incarica un membro del gruppo di registrare il tempo impiegato, dall’inizio alla fine della trasmissione del messaggio.
Regole: E’ possibile scrivere, modificare e cancellare quello che si è fatto;
Bisogna cercare di svolgere il compito da soli, senza sbirciare il foglio altrui.
Durante la comunicazione, non si può parlare con il vicino
Durante la comunicazione, si possono rivolgere domande a chi trasmette.
La comunicazione ha termine quando nessuno dei riceventi avrà più domande da porre.
Il docente, al termine dell’esercizio, chiederà per tre volte: “Ci sono domande?” e se nessuno di voi pone altre domande, l’esercitazione ha termine.
Si conservi il foglio con il prodotto realizzato, contrassegnandolo con la sigla: “disegno n. 2”.
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Fase A UL 2
Una definizione di comunicazione
LETTURA DELL’ESERCITAZIONE
L'esperimento effettuato può essere analizzato, osservando alcuni elementi essenziali, quali: il tempo impiegato
nella trasmissione, la precisione, l'efficienza, la soddisfazione, il potere, il linguaggio.
La tabella sottostante mette in evidenza le differenze fra la comunicazione ad una via e quella a due vie.
Possibile schema di lettura dell’esperienza
ELEMANTO UNA VIA DUE VIE
TEMPO più veloce più lenta
PRECISIONE più errori più precisa
EFFICIENZA scadente migliore
POTERE trasmittente distribuito
LINGUAGGIO codice rigido codice vario, ricco
Considerazioni possibili
Il cronometraggio dell'esperienza, ha evidenziato che la comunicazione ad una via è più veloce, ma
porta con sè un maggior rischio di errori di ricezione, di imprecisione e quindi un’efficacia più bassa. Al contrario, nella trasmissione a due vie, si ottiene una maggior efficacia, a scapito di un maggior tempo
complessivo.
Nella trasmissione ad una via, l'efficacia può essere migliorata assicurando un certo fattore di
RIDONDANZA, cioè la ripetizione del messaggio. Anche in questo caso, per aumentare l'efficacia, si deve aumentare il tempo di trasmissione. Nel caso della pubblicità, è proprio la frequenza del
messaggio a garantire l'aumento di efficacia.
Nella trasmissione ad una via, è evidente che il potere è concentrato nelle mani di chi trasmette: è il
trasmittente che sceglie i tempi, i codici (linguaggio), le pause e la quantità di informazioni da
trasmettere; al contrario, nella comunicazione a due vie, il potere è distribuito tra trasmittenti e riceventi.
La trasmissione ad una via, proprio perchè non prevede la verifica della comprensione del segnale, ha
un codice rigido; viceversa, nella comunicazione a due vie, la possibilità di scambiare informazioni e
quindi di controllare l'efficacia del messaggio, favorisce l'arricchimento del codice.
Può essere stimolante domandarsi quale situazione sia più soddisfacente per trasmittente e ricevente.
ELEMENTO UNA VIA DUE VIE
SODDISFAZIONE (Soggettiva) Trasmittente/Ricevente ? Trasmittente/Ricevente ?
In linea teorica, la comunicazione a due vie, dovrebbe essere più piacevole per chi riceve, in quanto rende più attivo il soggetto, anche se aumenta la “rumorosità” dell’ambiente. Viceversa, nella trasmissione ad una via,
dovrebbe essere il trasmittente ad essere più soddisfatto in quanto, non essendo sottoposto al feed-back, può scegliere il proprio codice, senza doverlo continuamente rimettere in discussione. In realtà, questa percezione
è soggettiva e ogni situazione dà origine a valutazioni diverse:
qualcuno fra i riceventi, potrebbe preferire la situazione ad una via perché entra, da subito, in sintonia
con il trasmittente ed il silenzio facilità la comprensione;
nella comunicazione a due vie, alcuni possono trovare insopportabile la confusione, specialmente se il
gruppo non trova una modalità di porger le domande
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al contrario, vi può essere chi non sopporta la frustrazione della comunicazione ad una via, dove non
gli è consentito il feed-back ed apprezzi la possibilità di dialogo e confronto con chi trasmette.
E’ possibile, ora, riprendere i concetti trattati nella introduzione di questa unità di lavoro, per definire meglio
alcuni elementi strutturali del processo comunicativo:
TRAMITTENTE: colui da cui parte il messaggio,
RICEVENTE: colui a cui arriva il messaggio,
SCHEMA quadro degli atteggiamenti mentali, culturali ed esperienziali da cui
DI RIFERIMENTO: i comunicanti attingono il codice,
CODICE: elenco dei segni (simboli) e dei reali significati con cui
viene composto il messaggio,
CANALE: mezzo fisico attraverso cui passa il codice,
MESSAGGIO: forma e contenuto della comunicazione
RUMORE segnali, messaggi ed effetti indesiderati che disturbano il canale
mentre avviene la comunicazione
CODIFICARE: attribuire segni e significati a ciò che si vuole trasmettere
DECODIFICARE: traduzione dei segni e significati per comprendere cosa è stato
trasmesso.
Da quanto abbiamo detto, si deduce che la comunicazione umana è un processo che coinvolge due soggetti e
che ha varie fasi:
1. PROCESSO DI COMUNICAZIONE,( FORMAZIONE è TERMINE AMBIGUO IN QUESTO CONTESTO…) ciò che
vogliamo significare, quadro di riferimento esperienziale che fornisce segni e significati da comunicare
(questo processo è influenzato dallo stato emotivo del comunicante).
2. PERFORMANCE COMUNICATIVA (RIPRENDIAMO LA TERMINOLOGIA DI CHOMSKY..), ciò che appare
all'esterno dei soggetti comunicanti e può essere scomposto in tre momenti:
a. EMISSIONE ciò che realmente diciamo attraverso l'apparato fonatorio,
b. TRASMISSIONE ciò che passa del messaggio attraverso il mezzo fisico (aria, filo, ecc.)
c. RICEZIONE ciò che il ricevente intende, attraverso l'apparato visivo, uditivo, ecc..
3. INTERPRETAZIONE ciò che il ricevente capisce attraverso la decodificazione e interpretazione in base al
proprio quadro di riferimento (percezione).
Come abbiamo visto, il processo di comunicazione subisce interferenze e disturbi di vario tipo:
DISTURBI PSICOLOGICI causati dalla diversa sensibilità individuale, dallo stato emotivo, dalla stress, ecc.
DISTURBI DI TRASMISSIONE causati dal tipo di codice adottato, dalla semantica (significato che
attribuiamo alle parole), da rumori accidentali, da disturbi ambientali.
DISTURBI IN RICEZIONE causati da difetti nella percezione, nella memorizzazione, nei tempi diversivi
apprendimento, dai diversi quadri di riferimento.
La ricchezza della comunicazione umana, impone ai comunicanti di controllare se il messaggio che è stato emesso, è giunto a destinazione esattamente, nelle forme e con i significati che il trasmittente gli ha attribuito.
Il mancato controllo può generare ambiguità, incomprensioni e, in genere, il degrado della comunicazione. L'esperimento condotto ci consente di affermare che il controllo (feed-back) che esiste nella comunicazione
bidirezionale, migliora il grado di efficienza, in quanto consente la verifica dei rispettivi codici.
Il feed-back, in sostanza, consente di ”mettere in sintonia” i rispettivi quadri di riferimento per consentire la decodifica dei messaggi inviati.
Nel grafico seguente, dove si riporta in modo semplificato, lo schema riportato in apertura, si mette in evidenza il concetto di feed-back
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Solo se il trasmittente verifica ciò che il ricevente ha compreso, è possibile aumentare l’efficacia della
trasmissione. Ciò è possibile, attivando la comunicazione a due vie, in modo che sul canale B, il trasmittente
possa ricevere informazioni su ciò che il ricevente ha capito, e regolare, di conseguenza, il suo prossimo messaggio.
Trasmittente Ricevente
CONTESTO
Canale A
Canale B
A B
messaggio
Messaggio
decodificato
Informazioni su cosa
ha decodificato
Verifica delle a
comprensione
Messaggio
Feed-back
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Fase A UL 3 St 1
La comunicazione non verbale
Nella comunicazione umana, si hanno solo due possibilità per far riferimento agli oggetti: rappresentarli in un’immagine o dare loro un nome. E’ a tutti noto come, nel tempo, l’uomo sia passato da modalità di
comunicazione del primo tipo, utilizzando il gesto e il proprio corpo, per fare riferimento ad oggetti e per comunicare le proprie emozioni e sentimenti, fino ad arrivare a forme sempre più evolute di comunicazione.
Questa è diventata la forma di comunicazione corrente e si realizza nei rapporti umani attraverso l’uso della
parola, cioè con la comunicazione verbale. Ma gli esseri umani non hanno abbandonato la forma di comunicazione che non è fatta di scrittura e parola e che ha le sue radici in periodi molto più arcaici
dell’evoluzione umana. In cosa consiste la comunicazione non verbale? La risposta è semplice: in ogni comunicazione che non si
manifesta con la parola, ma fa riferimento a: postura del corpo,
gesti,
espressioni del viso,
inflessioni della voce,
sequenza, cadenza, ritmo delle parole,
ogni altra espressione non verbale di cui l’organismo è capace,
segni di comunicazione presenti nel contesto nel quale si agisce.
L’uomo è l’unico essere vivente ad utilizzare queste due forme di comunicazione e, spesso, non ci si rende
conto di quanto sia importante questo fatto. La comunicazione verbale, basata, cioè, sulla parola e sulla scrittura, ha consentito all’uomo, enormi progressi e possiamo dire che la civiltà si è evoluta soprattutto grazie
a questa forma di comunicazione; essa ha un’importanza particolare perché serve a scambiare informazione sugli oggetti e a trasmettere la conoscenza di epoca in epoca.
La comunicazione non verbale, al contrario, si discosta assai poco dall’eredità che ci hanno lasciato i nostri
antenati: essa è la forma principale con la quale, ancora oggi, gli uomini comunicano le proprie emozioni e sentimenti. In sostanza, essa esplicita il tema della “relazione”, cioè di come ci si mette in relazione con gli
altri. Non vi è dubbio che il rossore del volto causato dalla timidezza, in seguito ad un complimento ricevuto, si manifesti con le stesse caratteristiche, nel giovane del terzo millennio e in quello vissuto in epoca romana, così
come le espressioni di aggressione del volto di un soldato medioevale, durante una battaglia, non erano dissimili da quelle di un soldato impegnato in una guerra contemporanea.
In sintesi, possiamo dire che in ogni messaggio sono presenti questi due tipi di linguaggio: verbale e non
verbale, complementari fra loro. Il primo, il linguaggio verbale, codifica il contenuto (cosa voglio dire sull’oggetto, su qualcosa) con una sintassi ed un lessico “formalizzati” da un sistema di regole che deve essere
condiviso per permettere di veicolare il messaggio. Questo linguaggio, proprio per il suo alto grado di formalizzazione, è poco adatto ad esprimere “significati” nel settore della relazione interpersonale (è difficile
descrivere sentimenti ed emozioni con le parole).
Viceversa il linguaggio non verbale è più idoneo ad esprimere questi significati (il rossore della pelle o il digrignare dei denti indicano un’emozione evidente), ma non ha una sintassi, cioè un sistema di regole che
consenta di “definire” in modo non ambiguo, la natura delle relazioni.
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Fase A UL 3 Sis
Le comunicazione non verbale Il linguaggio del corpo rende visibile, all’esterno, il nostro stato d’animo e i nostri pensieri più profondi, più di
quanto non possa fare la parola. Abbiamo visto che il linguaggio verbale è fonte spesso di distorsioni del
messaggio che, a volte, rendono difficoltoso farsi capire. Questo accade perché nel processo di trasmissione del proprio pensiero, ogni essere umano deve codificare ciò che è nella sua mente per trasmetterlo, mentre, in
ricezione, il suo interlocutore deve compiere l’operazione inversa. La distorsione della comunicazione, deriva proprio da questi passaggi. Abbiamo visto anche che, grazie al feed-back, è possibile controllare l’effettiva
comprensione del messaggio. Sappiamo anche che, mentre è facile trasmettere informazioni che si riferiscono ad aspetti professionali, al vivere comune, ad aspetti razionali, è molto più difficile trasmettere le proprie
sensazioni, emozioni e sentimenti.
Le emozioni “scelgono” canali non verbali per manifestarsi, per questo è difficile parlare di esse. Non a caso sono le arti come la poesia, la prosa, la pittura, la scultura che riescono a trasmetterci le emozioni più
struggenti. Le emozioni, in genere, vengono percepite non da ciò che si dice, ma dal tono della voce, dal rossore (o
pallore) del volto, dal tremore delle mani, dal sudore della pelle, e da tanti altri segnali non verbali.
Il linguaggio del corpo è oggetto di studio di varie discipline alle quali si rimanda, in questa fase del nostro percorso ci limiteremo solo ad affrontare alcuni aspetti rilevanti, presentando una tipologia del linguaggio non
verbale.
TIPOLOGIA DI MESSAGGI NON VERBALI Possiamo distinguere i messaggi non verbali lungo un continuum che ha, ad un estremo, le espressioni di
piacere (indicano apertura e disponibilità verso l’altro) e dall’altro, le espressioni di aggressività (indicano
chiusura e attacco verso l’altro). piacere controllo insofferenza chiusura aggressività aggress. repressa
apertura sofferenza sbarramento rigetto competizione aggress. aperta
Queste emozioni, in genere, hanno gesti caratteristici che ci consentono di decodificarle se si presta attenzione
al non verbale. Di seguito, elenchiamo i gesti più significativi che sono espressione del non verbale.
ESPRESSIONE DI PIACERE
Indicano che l’interlocutore è ben disposto nei nostri confronti e ci percepisce come gradevoli. Gesti tipici sono: sorridere o comunque distendere il volto, umettarsi le labbra o unirle e protenderle verso l’altro in una sorta di
bacio metaforico, sorseggiare una bevanda in risposta ad uno stimolo, avvicinare un oggetto a sè mentre si interagisce con l’altro.
ESPRESSIONE DI ACCOGLIEMENTO E APERTURA
Questi atti ci informano che il nostro interlocutore è ben disposto nei nostri confronti, per usare una metafora
ciò vuol dire che il “semaforo è verde” cioè possiamo entrare in rapporto emotivo con lui. Sono segni tipici: sorridere cordialmente e tendere il capo o il corpo verso di noi, tendere le braccia o
disincrociare le braccia e le gambe, fare gli stessi gesti che facciamo noi (es. accarezzarsi i capelli, toccarsi la fronte, ecc.), accavallare le gambe verso di noi, avvicinarsi a noi o sfiorarci con il palmo della mano.
ESPRESSIONI DI CONTROLLO DELLA COMUNICAZIONE Sono segnali di apprezzamento o rifiuto: il corrucciare il naso o strofinarlo o grattarlo in genere indica che
l’argomento e/o la persona con la quale si interagisce non sono graditi.
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Invece sfiorarsi la bocca, umettare le labbra con la lingua indicano un atteggiamento favorevole verso gli
argomenti trattati e che si stanno provando piacevoli sensazioni.
ESPRESSIONI DI SOFFERENZA
Indicano che il nostro interlocutore sta soffrendo a causa dell’argomento toccato. Per esempio, sfiorando la zona lacrimale degli occhi, oppure passarsi le mani sul volto coprendosi gli occhi o passarsi le dita o il palmo
delle mani più volte tra i capelli o addirittura tirarli.
ESPRESSIONE DI INSOFFERENZA
Sono segnali che l’argomento trattato crea disagio all’interlocutore. In genere, precedono altri segnali che indicano chiusura verso gli altri. Sono atti che hanno un significato simbolico e metaforicamente indicano che si
vuole allontanare l’interlocutore, perché si è a disagio. Per esempio, togliersi di dosso un capello o spolverarsi quando in realtà non v’è nulla da togliere, oppure spostare lateralmente qualcosa dalla propria visuale, come
un bicchiere sul tavolo o scostare del pane o delle briciole; agitarsi sulla sedia, spostare lo sguardo
dall’interlocutore.
ESPRESSIONE DI SBARRAMENTO In questa categoria, rientrano i gesti che comunicano disagio nella comunicazione e che avvertono il rischio di
“chiusura” da parte dell’interlocutore se si dovesse continuare a trattare l’argomento. Sono segni tipici: il
mettere la mano davanti alla bocca, incrociare le braccia, incrociare le gambe in modo da formare un quadrato (cioè mettendo una gamba orizzontalmente sopra l’altra) e frapponendo una barriera fra se stessi e gli altri.
ESPRESSIONI DI CHIUSURA
In genere, questi atti o gesti vengono attuati dopo aver ripetutamente manifestato i segnali precedentemente descritti. Indicano che il nostro interlocutore ha messo il “semaforo rosso,” cioè non ci vuole far passare oltre la
mera presenza fisica, cioè che non vuole entrare in contatto emotivo con noi. Fra questi atti, rientrano:
l’elusione dello sguardo di chi ci sta parlando, la frapposizione di una barriera fra sè e l’interlocutore (allontanarsi oltre alla distanza normale di colloquio, mettere le braccia conserte o protese, accavallare le
gambe e allontanarsi dall’altro).
ESPRESSIONI DI RIGETTO
Questi atti indicano che si è superata la misura di tolleranza di chi è in relazione con noi; in questi casi si è entrati in un “territorio” che l’interlocutore reputa come un’invasione e per questo ci rifiuta.
Gesti tipici sono: passarsi le dita della mano intorno alle estremità della bocca come per asportare residui di cibo, strofinarsi le narici con il dito indice teso, ritrarre il busto se si è seduti.
ESPRESSIONI DI AGGRESSIVITA’ REPRESSA La nostra cultura ci insegna a reprimere l’aggressività in molte relazioni sociali e ciò produce una sua
repressione. Vi sono alcuni gesti che ci possono dare la percezione che in quel momento il nostro interlocutore sta reprimendo impulsi aggressivi. Sono gesti di questo tipo: la respirazione superficiale lieve (respiri corti e
poco profondi), la tensione della muscolatura, l’inibizione del movimento. Possiamo notare nell’interlocutore, questi segni, osservando se il respiro è profondo e calmo o al contrario
superficiale e accentuato, se la muscolatura della mascella è rilassata o contratta, se le mani sono serrate o
aperte. L’inibizione del movimento lo si può notare, osservando se il nostro interlocutore tiene le mani sotto la gamba, le mani giunte tra le gambe, o le mani sotto le ascelle.
ESPRESSIONI DI COMPETIZIONE E SFIDA
In questo caso, l’interlocutore sceglie il conflitto competitivo, la sfida con l’altro. Sono gesti tipici: alzare le
maniche della giacca o della camicia, divaricare le gambe con le mani sui fianchi, irrigidire i muscoli del volto e del corpo.
ESPRESSIONI DI AGGRESSIVITA’ APERTA
Aggressività significa letteralmente “andare verso…”, cioè andare nella direzione di qualcuno o qualcosa per colpirlo. Sono gesti di questo tipo: il percuotere i denti con le unghie, tenere l’indice puntato verso
l’interlocutore in modo accusatorio, porre una mano su un fianco e allungare l’altra verso chi parla, tenere le
mani in tasca, tenere i pollici nella cintura con le mani penzoloni sui pantaloni, sedersi su una poltrona e mettere le mani dietro la nuca con le gambe protratte in avanti.
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Altri elementi sulla comunicazione non verbale L’esercitazione che abbiamo svolto ha consentito di capire che il linguaggio non verbale è particolarmente ricco
e difficile da analizzare. Infatti anche nella stessa comunicazione vocale, vi sono elementi che ci dicono qualcosa su cosa prova il soggetto che parla e come si mette in relazione con chi lo ascolta.
Il testo seguente mette in evidenza gli elementi rilevati della comunicazione. Nell’aspetto vocale della comunicazione, si distingue tra ciò che viene emesso dall’apparato fonatorio (voce),
che riguarda il contenuto della comunicazione, ed altri elementi che fanno riferimento soprattutto alla modalità di relazione con gli altri.
La comunicazione vocale
La comunicazione vocale ha un elemento di contenuto, cioè quello che si dice (“buongiorno” significa “ti auguro di trascorrere una buona giornata”), ma nello stesso tempo, trasmette anche informazioni sulla
modalità con la quale ci si mette in relazione con gli altri (il tono con il quale dico: “buongiorno” può significare
che non penso che sarà una buona giornata specie se accompagno la parola con un gesto allusivo). La componente vocale della voce, comprende:
la pronuncia (fonologia, ciò che si emette);
il vocabolario (lessico e semantica, la ricchezza del linguaggio e il suo significato);
la grammatica (morfologia e sintassi, come si articola il discorso rispetto alle regole della lingua);
l’intonazione (interrogazione, sospensione, esclamazione);
la preminenza ( enfasi, accentuazione di un elemento).
Le caratteristiche della voce che trasmettono informazioni che vanno oltre il messaggio vocale, sono :
il tono, della voce (ovvero la frequenza fondamentale della voce)
l’intensità, che consiste nel volume della voce che è connesso con l’accento (l’enfasi) che viene messo
su alcune parti del discorso per sottolineare un determinato enunciato rispetto ad un altro; il tempo, che determina il succedersi delle parole, le pause fra una e l’altra, la durata dell’eloquio, la
velocità dell’articolazione del discorso (numero di sillabe pronunciate nell’unità di tempo).
E’ il caso di mettere in luce, altri elementi della comunicazione non verbale.
Il silenzio Il silenzio è particolarmente importante nella comunicazione, possiamo dire che il silenzio “dice” molto di una
persona. In generale il suo valore è ambiguo perché può significare molte cose: ascolto attivo, non volontà di
comunicare, distrazione, immaginazione, ecc.
Vediamo alcuni significati del silenzio: 1. legame affettivo, il silenzio può unire due persone e significare profonda condivisione o dividerle
denotando odio o rancore;
2. funzione di valutazione, può indicare che il soggetto sta valutando e approva o dissente da quello che diciamo;
3. processo di rilevazione, può rendere manifesto qualcosa a qualcuno o essere una barriera oscura rispetto ad una data informazione;
4. funzione di attivazione, può indicare una forte concentrazione mentale o segnalare una dispersione mentale.
La mimica facciale E’ fuor di dubbio che i movimenti del volto, costituiscono il modo privilegiato attraverso il quale gli uomini
comunicano sentimenti ed emozioni verso gli altri. Il sorriso è uno dei segnali fondamentali della specie umana. Nel mondo animale, equivale a “mostrare i denti
in silenzio” come atto di difesa e sottomissione per acquietare e rassicurare il partner, infatti, l’animale mostra
di non voler usare la dentatura per aggredire. In ambito umano, il sorriso non è un segnale uniforme e univoco, ma copre una vasta gamma di messaggi.
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Vi sono vari tipi di sorriso:
il sorriso spontaneo, che riguarda il volto intero e consiste nel sollevare gli angoli della bocca verso
l’alto, mostrare i denti e contrarre i muscoli degli occhi;
il sorriso simulato che consiste nell’attivare solo i muscoli zigomatici della parte inferiore del volto
senza il coinvolgimento dei muscoli oculari. il sorriso miserabile che manifesta l’accettazione di una condizione di necessità spiacevole e che
comporta un prolungamento dell’espressione della zona inferiore del volto.
Il sorriso è un potente regolatore dei rapporti sociali perchè favorisce la comunicazione e mette nelle migliori
condizioni il nostro interlocutore per ricevere il nostro messaggio.
Lo sguardo
Al pari del sorriso, lo sguardo rappresenta un potente segnale a livello non verbale. Una celebre frase dice: “Guarda le pupille di una persona, non può nascondere se stessa”.
Il contatto oculare è il primo passo di ogni relazione umana.
Lo sguardo e conversazione. Lo sguardo costituisce una sorta di appello per verificare se due o più persone vogliono iniziare la conversazione ed è un segnale efficace per gestire la regolazione dei turni di conversazione. Grazie allo
sguardo, possiamo stabilire a chi tocca parlare, scambiare gesti di intesa, ecc. Mentre si parla, si può distribuire lo sguardo sugli altri per percepire segnali (feed-back) sulla propria comunicazione.
L’ascoltatore può rivolge lo sguardo a chi parla, per segnalargli la sua attenzione o il suo desiderio di
intervenire nella discussione. Lo sguardo svolge anche il ruolo di sincronizzazione fra comunicanti per evitare sovrapposizioni o per definire
l’avvicendamento dei turni, il monitoraggio dell’interazione con il partner e la segnalazione delle proprie intenzioni.
Lo sguardo e la gestione dell’immagine personale. Lo sguardo è efficace per gestire il profilo della propria immagine personale. Chi guarda l’interlocutore, è
percepito come più attento di chi ne distoglie lo sguardo. Lo sguardo dimostra competenza, credibilità e affidabilità, fiducia e sincerità.
Attenzione però, anche lo sguardo è ambiguo, molti hanno la concezione erronea che chi guarda gli altri negli occhi non dica menzogne; in realtà, la manipolazione degli altri mediante il linguaggio non verbale, è un’abilità
che i truffatori sanno usare benissimo.
Lo sguardo favorisce la cooperazione perché facilità la comunicazione delle intenzioni positive ed è un potente
segnale di chi mostra il consenso. Esso sostiene l’attenzione degli interlocutori e aumenta la disponibilità all’apprendimento: per questo, solitamente, le persone che guardano gli altri, sono considerate più estroverse
e sincere, socialmente più abili ed intraprendenti, sicure di sé e dotate di buon controllo interno e più intelligenti. Viceversa, coloro che evitano lo sguardo, spesso denotano sofferenza psichica (depressione,
nevrosi ecc.).
Anche le emozioni sono correlate con lo sguardo, in quanto quelle positive (gioia, amore) comportano un incremento del contatto oculare, mentre quelle negative (disgusto, vergogna, colpa, imbarazzo) implicano un
abbassamento e distrazione dello sguardo.
Anche la fissazione oculare ha un significato particolare nella comunicazione umana. In genere, nei rapporti
con le persone che non ci sono familiari, indica minaccia o sfida; da qui, l’usanza popolare di evitare lo sguardo di persone estranee, mentre nei rapporti intimi, questo stesso atteggiamento indica una situazione seduttiva,
spesso descritta come “colpo di fulmine” o “amore a prima vista”.
La prossemica
L’uso dello spazio e della distanza, implica un equilibrio fra processi affiliativi (di avvicinamento) e di riservatezza (di distanziamento). L’uomo ha bisogno di mantenere i contatti con gli altri e la vicinanza spaziale
è la premessa a questo bisogno. La gestione dell’equilibrio tra vicinanza e distanza, è l’elemento fondante della propria territorialità.
Il territorio è un’area geografica che assume risvolti psicologici se riferiti all’individuo. Vi è un territorio domestico e un territorio pubblico. Il primo indica il luogo dove gli individui hanno libertà di accesso e
l’individuo sente di avere libertà di movimento, in maniera regolare e abituale; in esso, prova un senso di
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benessere e di controllo su ciò che accade. Questo è nettamente distinto dal territorio pubblico mediante
precisi confini sia fisici (per es. la porta di casa, il proprio giardino), sia legali (la proprietà privata), sia
psicologici (lo spazio attorno alla mia persona che ritengo inviolabile).
Esistono varie zone del proprio territorio che possono essere anche misurate: Zona intima (fra 0 – 0,5 metri) è la distanza delle relazioni intime, ci si può toccare, sentire l’odore del
partner, avvertire l’intensità delle emozioni, parlare sottovoce;
Zona personale (fra 0,5-1 metro) è un’aria invisibile che circonda la persona (almeno nella sua
percezione) che sentiamo come nostra e ci consente di regolare i rapporti con gli altri che sono visibili
ma che non possono entrare, senza la nostra disponibilità, nella zona intima; ogni violazione di questo spazio viene vissuto come invadente e se fatto con la forza, come violenza.
Zona sociale (da 1 a ¾ metri) è la distanza per le interazioni meno personali; è il territorio dove
l’individuo si sente libero di muoversi, può essere la sua casa, il suo ufficio, un club di amici; Zona pubblica (oltre i 4 metri) è la distanza tenuta in situazione pubbliche ufficiali e comporta un
enfatizzazione dei movimenti e una maggior intensità della voce.
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Il contesto e lo stile comunicativo I filmati seguenti ci mostrano 4 diverse situazioni. Osservali attentamente e cerca di individuare le caratteristiche
principali del tipo di comunicazione che viene usato dal/I protagonista/i.
Cerca di individuare le caratteristiche del linguaggio e le sue componenti. Cerca poi di completare la scheda allegata, individualmente, discutendone, poi, in gruppo.
Filmato Comunicante Contenuto Relazione Rivelazione di sè Appello (scopo)
1
A
B
2
A
B
3
A
B
4
A
B
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Fase A UL 4 Sist
Stili comunicativi Il concetto di feed-back che abbiamo esposto nelle Unità di lavoro N.1 e N.2, ci consente di definire una
tipologia della comunicazione che, senza pretendere di essere esaustiva, permette di comprendere l’importanza dello stile comunicativo, in relazione al contesto in cui ci si trova ad agire.
La tabella seguente, mette in evidenza alcuni stili che definiamo nell’ordine: decibel, venditore, informazione
minima, partecipativo.
STILE CARATTERISTICHE RAPPORTO CON L’ALTRO CONTESTI TIPICI
DECIBEL
Esprimere ad alta voce e spesso il proprio punto di vista.
Poco interesse per l’opinione altrui.
Feed-back praticamente assente
L’altro viene manipolato e
piegato al proprio volere
Situazioni di comando,
Ambienti fortemente gerarchici
VENDITORE
Il comunicante vende
e il ricevente compra.
Influenza a senso unico
Feed-back ridotto all’essenziale
Passività del ricevente
Il venditore parla, il cliente
compra
Vendita
Conquista del consenso
PATERNALISTICO
Ci si limita a dire ciò che "l'altro"
ha "bisogno" di sapere
Feed-back basso e di verifica di comprensione
Si forniscono solo le informazioni che occorrono
all’altro
Rapporto
figlio-genitore
PARTECIPATIVO
Si assume anche il punto di vista
di chi ascolta.
Si esalta il ruolo del feed-back
Coinvolgimento dell’altro
Rapporto professionale
Gruppo di lavoro
Lo stile decibel è tipico delle situazioni fortemente gerarchiche dove prevale l’uso del potere e della forza. La comunicazione è molto rigida e il linguaggio è povero. In un certo senso, si potrebbe dire che vince chi
grida di più (chi ha più forza e/o potere). Il feedback è praticamente assente e vi è un basso interesse per l’altro che viene piegato al proprio volere. Questo stile comunicativo è tipico del contesto militare dove la
dipendenza gerarchica degli individui è fortemente presente. D’altro canto, non sarebbe possibile utilizzare
forme di comunicazione diverse, dato il tipo di obiettivi che ha l’istituzione militare (la disobbedienza agli ordini è punita severamente). Non si deve commettere l’errore di pensare che questo stile comunicativo è adatto solo
a situazioni gerarchiche. A volte, nella quotidianità, è necessario adottare questo stile comunicativo. Si pensi ad un genitore che deve insegnare al figlio a non mettersi in situazioni di pericolo come affacciarsi ad un balcone
o attraversare una strada trafficata: nel caso vi sia un pericolo reale, egli interverrà con queste modalità per
evitare il pericolo.
Lo stile venditore è tipico della persuasione strumentale dell’altro. Il trasmittente vende e il ricevente compra. L’influenza è a senso unico ed il feed-back ha solo la funzione di verificare il grado di consenso ottenuto. Lo
scopo finale è proprio quello di avere il consenso. Rientrano in questa categoria, anche la pubblicità televisiva e
la propaganda politica. E’ chiaro che l’interlocutore è passivo e ha scarsa possibilità di influire sul trasmittente per modificare il suo modo di interagire.
Lo stile paternalistico è detto anche “informazione minima”, ovvero, ci si limita a dire ciò che l’altro ha
bisogno di sapere. Il feed-back ha il solo scopo di verificare se l’altro ha capito ed è tipica del rapporto genitoriale dove l’adulto distilla, con modalità che decide da solo, quanto è opportuno dire a chi si ritiene non
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essere in grado di agire da solo. Il ruolo dell’interlocutore è meno passivo rispetto ai primi due casi, ma si trova
comunque, in una posizione subordinata.
Lo stile partecipativo prevede, invece, che il trasmittente assuma anche il punto i vista di chi riceve ed esalta
il ruolo del feed-back. Il ricevente viene coinvolto nel rapporto comunicativo e ha la possibilità di influenzare l’interlocutore. Il linguaggio è più ricco ed evolve in modo creativo, vi è apprendimento reciproco. E’ la
situazione tipica del gruppo professionale e del gruppo di lavoro, dove, di fatto, vi è una forte democraticità del
rapporto fra i vari membri che collaborano per obiettivi comuni. Anche in questo caso, non si deve ritenere che questo è lo stile migliore per comunicare. Lo stile dipende anche dal contesto nel quale si agisce, questa forma
di comunicazione non è adatta evidentemente là dove la struttura gerarchica è indispensabile.
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Fase A UL 5 St
Come ascoltare Per far funzionare bene il canale di trasmissione, è necessario regolare il “traffico” delle comunicazioni fra i
soggetti che interagiscono, non sovrapponendo le voci di chi parla. Non basta, però, tacere per capire. L’ascolto non è un’attività passiva, presuppone concentrazione e partecipazione, senza le quali la
comunicazione non può avvenire.
Per questo è opportuno enunciare alcune elementari regole che facilitano l’ascolto:
rispettare se stessi e gli altri,
prestare attenzione, anche quando l’interlocutore è poco interessante,
ascoltare l’intero messaggio, anche se contiene cose spiacevoli,
ascoltare fino in fondo prima di esprimere valutazioni,
ripetersi mentalmente ciò che a mano a mano si ascolta,
sostenere i propri diritti senza negare quelli degli altri,
saper dire di no senza sperimentare sensi di ansia e colpa,
saper ricevere dei “no” senza sentire sensi di rivalsa ed ingiustizia,
saper dare e ricevere affettività,
comunicare volontà, simpatia e voglia di fare.
Ad alcuni di voi (4 persone) viene richiesto di sottoporsi ad una prova di ascolto. I soggetti coinvolti cerchino di applicare queste regole, gli altri osservino cosa accade durante l’esperienza.
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Le dicerie
Vi racconto una storia.
“L’altro giorno, ho preso il tram per andare al lavoro e, mentre viaggiavo tranquillamente seduto, leggendo
il giornale, ho visto salire una giovane signora che aveva un vestito rosso e un vecchia borsetta gialla. La signora era in piedi, davanti a me, e ho pensato di cederle il posto, mi sono alzato e le ho detto: “Prego
si accomodi”, ma lei mi ha risposto: “No, grazie scendo alla prossima fermata”, aveva un accento francese. Proprio mentre stavo per chiederle se fosse straniera, ho visto, con la coda dell’occhio, un uomo che le ha
strappato la borsetta ed è scappato via dalla porta anteriore del tram che, intanto, si era fermato.
Nel fuga, il ladro ha urtato contro un’auto ferma ed è caduto, ma si è presto rialzato ed è fuggito. Nel parapiglia che si è creato, un’altra auto, per evitarlo, ha urtato un furgone fermo all’angolo della strada. Il
conducente si è ferito alla testa e aveva tutto il volto coperto di sangue. Qualcuno ha pensato saggiamente di chiamare subito un’autombulanza che da lì a poco è arrivata e lo ha portato via.
Dopo mezz’ora tutto era finito, ma io mi sono preso un bello spavento. Che giornataccia…”
Racconta questa storia al tuo amico che ora entrerà.
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Sistematizzazione
Fase A UL 6
Saper ascoltare
L’esperienza che abbiamo appena vissuto, mostra come sia difficile ascoltare e comprendere tutto ciò che ci viene detto e che il rischio di distorsioni è sempre in agguato.
Il contenuto del messaggio in gran parte viene perso (non memorizzato), il punto di vista e lo stato psicologico di chi trasmette così come quello di chi riceve, possono sovente introdurre deformazioni al messaggio
originario.
Si può dire che “saper ascoltare" è l’ elemento fondamentale della comunicazione perché apre la mente a
nuove idee, a nuove soluzioni, ed arricchisce la persona.
Da studi statistici, si è stato rilevato che, nei processi di comunicazione, la maggior parte del tempo viene
dedicata all'ascolto, e poiché il tempo è un bene prezioso che va utilizzato al meglio, ne deriva l’importanza di migliorare la capacità di ascolto.
D’altro canto, il filosofo greco Zenone diceva che l’uomo ha due orecchie e una bocca sola, per ascoltare di più
e parlare di meno.
E’ opportuno individuare alcune modalità di ascolto:
Ascolto discontinuo
(o finto ascolto)
L’ascolto avviene a tratti, lasciandosi distrarre dai propri pensieri e dalla fantasia, lasciando all'intuito il compito di gestire la
relazione, catturando solo le cose "importanti" e tralasciando quelle meno importanti.
L’ascolto è passivo, senza reazioni, vissuto solo come opportunità
per poter parlare, in attesa del nostro momento per comunicare.
Ascolto del contenuto
(ascolto logico)
Si ascolta, applicando un efficace controllo solo del significato
logico di quello che ci viene detto. L’attenzione è concentrata sul contenuto di ciò che viene espresso ed anche l’interlocutore
potrebbe avere l’errata convinzione di essere stato capito.
Ascolto di contenuto e relazione
(ascolto attivo ed empatico)
Ci si mette "nei panni dell' altro", in condizione di "ascolto
efficace". Si entra nel punto di vista del nostro interlocutore condividendo, per quello che è umanamente possibile, le
sensazioni che manifesta.
Attenzione: quando si è in ascolto empatico, non si danno giudizi e consigli, nè l’atteggiamento del “dover darsi da fare" per
risolvere il problema.
L’ascolto empatico allarga le conoscenze, facilita i rapporti, evita errori, fa risparmiare tempo, aumenta la
fiducia nella relazione.
Lo sforzo necessario sarà di spostare l'interesse dal "perché" l'altro dice, interpreta o vive una situazione, al
"come" si esprime: avendo e mostrando, interesse e comprensione ("sei importante, ho stima di te, riconosco, e rispetto il tuo sentimento").
Potrebbe succedere che chi parla, sentendosi ascoltato, tenterà di migliorare la comunicazione, sia nella
quantità, che nella qualità, a tutto vantaggio della ricchezza delle informazioni, del senso di sicurezza, della
fiducia e dell'onestà.
Applicare una più efficiente modalità di ascolto, avrà diversi vantaggi, nei vari ambiti:
riduce le incomprensioni induce l'interlocutore ad esprimersi a pieno, senza timore: spesso stimola nell’altro, la ricerca delle
migliori possibilità espressive, anche nei contenuti!
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Rapportarsi al meglio con gli altri, aumenta l'autostima e la fiducia in se stessi: si immagazzinano più informazioni, si eseguono meglio le istruzioni e si ha anche maggior controllo su quelle date.
Meno errori vuol dire impiegare il tempo al meglio, in un clima di fiducia e di rispetto. Saper ascoltare se stessi, inoltre, metterà al riparo da scelte di cui ci si potrebbe pentire e aiuterà a soddisfare i
bisogni ben individuati.
Attenzione: le nostre abitudini di ascolto, in qualche modo, sono state influenzate dai modelli appresi da
bambini e da come si è sviluppata la nostra integrazione nelle prime occasioni di socializzazione. Tuttavia, con un certo esercizio, è possibile migliorare le proprie capacità di ascolto.
Ecco due semplici esercitazioni per migliorare le abilità di ascolto, imparando ad utilizzare un ascolto attivo
empatico:
a) fai mente locale su qualche persona che ritieni un "buon ascoltatore", poi rifletti sul suo modo di
porgersi e sulle gradevoli sensazioni che ti procura; ricorda, inoltre, qualche situazione in cui un buon ascolto ha o avrebbe risolto un problema più in fretta.
b) prova a ripensare ad alcuni momenti passati della tua vita in cui sei riuscito ad esprimerti su argomenti "difficili"; quanto ti sei sentito veramente ascoltato; con chi eri? Quando o quanto, invece, hai "dovuto
tener dentro" perché bloccato dal tuo interlocutore? Chi era? Da chi ti piacerebbe o ti sarebbe piaciuto essere ascoltato di più?
c) per alcuni minuti, chiudi gli occhi e concentrati sui rumori che provengono dall'esterno, sforzandoti di captare anche quelli meno percettibili.
d) prova ad ascoltare, con impegno, una conferenza, per te, poco interessante o gli interventi di una riunione noiosa.