poesie un lavoro autunno

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Page 1: Poesie Un Lavoro Autunno

Collana

I Sogni

 

 

 

 

 

 

 

 

Promos

 

Un Lavoro d’Autunno

 

 

 

 

 

 

 

Soloparole

Edizioni

Indice

 

 

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Page 2: Poesie Un Lavoro Autunno

 

Introduzione.3

Un lavoro d'autunno

Capitolo I6

Capitolo II8

Capitolo III:11

Capitolo IV:13

Capitolo V:15

Capitolo VI:17

Capitolo VII:19

Capitolo VIII:21

Capitolo IX:23

Capitolo X:25

Capitolo XI:27

Capitolo XII:29

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Page 3: Poesie Un Lavoro Autunno

 

Introduzione

a cura di Adsus Biografus

 

 

Un'aria Mozartiana (di Così fan tutte) recita "...L'Araba Fenice, che ci sia ognun lo dice, dove sia nessunlo sa.." Pensando a Promos e dovendo parlare dei suoi dati biografici mi vengono in mente queste parole.Ma Perché? Perché attorno a Promos girano tante voci, ma nessuno sa veramente chi egli sia. Si diceche il suo nome sia Claudio, che sia nato in riva ad un lago, il lago Maggiore, forse. Voci non confermatenarrano che egli si trovi attualmente in una grande città insulare dove ha ambientato anche alcuni suoiracconti, e poi?

Non si conosce la sua età, non si sa cosa egli abbia fatto dopo aver lasciato il lago e prima di trasferirsinell'Italia insulare. Voci, solo voci corrono, "veloci come i pensieri "direbbe Promos.

Tra una ridda di supposizioni cerchiamo di trovare elementi sulla sua vita da offrire ai lettori dei suoiracconti, sì perché Promos scrive racconti, e bene; lui direbbe "scrivo solo per i fichi secchi", "per la gioiadei lettori", scriviamo noi.

Da fonti piuttosto certe abbiamo appreso che dopo aver completato gli studi, presso un ateneo del nordItalia non precisato, egli abbia iniziato la sua attività come libero professionista. "Collaudatore di casseacustiche" per la precisione.

"Mi trovai a collaudare casse acustiche e impianti hi-fi, un lavoro per il quale avevo una passione, che miporto ancora dietro" dichiara Promos in una intervista rilasciata ad un settimanale di cui non si conosce ilnome e di cui si è persa ogni traccia.

Arrivò però il momento "delle decisioni irrevocabili", "mi stancai del mio lavoro, la reiterazione deicomportamenti non era più sopportabile, mi ero stufato del mio incarico, che nato da una passione mi sistava ritorcendo contro, diventando per me una gabbia".

A nulla valsero le offerte di lavoro della RCF e della JBL per prendere con sé Promos, che fu tentatoanche dalla Bose, ma poi decise di cambiare strada.

Si imbarcò su un cargo battente bandiera Siberiana (la bandiera Siberiana è quella completamente colorghiaccio con una tigre al centro), che si occupava del trasporto di licheni e muschi della taiga verso laFrancia dove venivano utilizzati per l'industria cosmetica e farmaceutica. Tre anni Promos restò imbarcatosul cargo "Balalaika" dove apprese dal cuoco cieco della nave l'arte del liutaio.

"Decisi dopo tre anni di mare che troppo ghiaccio avevano visto i miei occhi, onde immani chespazzavano il ponte mentre la prua affondava nei flutti neri del Mare del Nord. Decisi ancora una volta didare una brusca virata alla mia esistenza, tornai in Italia e a Cremona mi feci assumere da un liutaioesperto nel restauro di antichi violini. Ancora una volta il suono e la musica entravano nella mia vita,questa volta fu di sicuro per reazione al silenzio assordante dei ghiacci. Mi ritrovai così a fare il liutaionella città di Stradivari.”

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Costruire e restaurare strumenti dal suono perfetto fu per Promos fonte di immense soddisfazioni,perfezionista all'estremo, dedicava tutte le sue forze alla costruzione dello strumento dal suono assoluto.Si dice che una volta costruì uno strumento ad otto corde, capace di suscitare nell'ascoltatore una pace euna gioia inusitata, aveva raggiunto la perfezione, distrusse lo strumento (si dice per la contentezza) edecise di cambiare ancora rotta.

C'è chi dice sia stato inviato all'estero per un grande giornale, chi afferma che abbia per anni viaggiatoper l'Europa, compiendo lavori saltuari, alla scoperta dell'essenza della cultura occidentale, chi lo vuoleRanger in un parco americano e pescatore sulle coste di Bahia, quasi forse uno dei personaggi di JorgeAmado, ma non si hanno notizie certe sino al suo ritorno in Italia.

Tornò sul suo lago in una brumosa giornata di novembre; "avevo bisogno di riabbracciare il mio passato,di vedere se le virate compiute nel corso della mia vita mi avevano portato da qualche parte, e qualeposto era migliore del lago dove sono nato per acquisire questa consapevolezza?".

Tre mesi si fermò lì, e per tre mesi il San Carlone lo supplicò di restare, ma virate e ancora virate siaspettava Promos dalla sua vita.

Scomparve ancora per qualche tempo, c'è chi dice fu mercante di seta a Shangai, chi crede di averlovisto in un ospedale di un paese del terzo mondo prestare soccorso ai bambini, c'è chi crede abbia fatto ildj in una radio locale famosa per la trasmissione di Musica etnica, non si sa. Si sa che ora, forse ognivolta che si affaccia dalla finestra di casa, sente il profumo del mare e il profumo di arance. Passeggia perstrade un tempo percorse da cavalieri normanni e da mercanti arabi, e scrive racconti. Racconti dei qualinon voglio parlare, è sufficiente leggerli per capirne il valore. Anche se una cosa la voglio dire.

Sembra che Promos non faccia fatica a scriverli, sembra che la spontaneità e la "leggerezza" dei suoiscritti non gli costino fatica. L'impegnativa attività dello scrivere sembra non pesargli anche adesso chenon scrive più per i "fichi secchi", ma per l'esclusivo diletto dei suoi lettori. (Alcuni dei quali- io cioè - loinvidiano per la sua bravura)

Tutto ciò che si dice a proposito dei racconti è completamente vero, per quanto riguarda i dati biograficinon si sa.

 

 

 

   

 

 

 

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Un lavoro d'autunno

 

Di Promos

 

Capitolo I  

 

La sveglia trillò sul comodino. Erano le 7.30 quando Elena aprì gli occhi per pigiare quel maledettopulsantino che ogni mattina si prendeva beffa di lei e del suo sonno, spostandosi nei posti più impensati.

“Questa sveglia ce l'ha con me" pensava "ogni giorno aspetta la parte più bella del sonno per mettersi asuonare"

Ancora con gli occhi chiusi riuscì a spegnerla.

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"Finalmente un po' di pace" e si raggomitolò sotto la coperta ancora leggera.

Le piaceva poltrire un poco la mattina, prima di perdere completamente quello stato magico di semiincoscienza, quella sensazione di quasi distacco dal mondo e dalle sue cose che precede il completorisveglio.

Cinque, dieci minuti, chi può dire quanto dura la felicità di quello stato di abbandono dove le immaginidella notte si confondono con le incombenze del giorno, ma lo fanno senza creare affanno, come unoscorrere sereno di immagini, come un film che guardiamo ma che non ci vedrà mai protagonista?

Si stiracchiò ancora sotto le coperte.

Alzarsi era il momento più difficile, occorreva determinazione e concentrazione, un sinergico concorso divolontà inconscia e di collaborazione di tutto l'apparato senso motorio. Il corpo fatica e ritrovarel'equilibrio dopo una prolungata fase di riposo supino. Il sangue deve riprendere a scorrere dal basso inalto, lungo un asse verticale e non più, semplicemente, fluire comodamente disteso, da sinistra a destra eviceversa, lungo il corso di un comodo giaciglio.

Ecco. Era in piedi, e subito aprì le persiane.

Amava scoprire le incognite che il tempo riservava. Era un gioco che iniziava già dal letto dove cercava,con il primo sguardo, di carpire dalla debole luce che filtrava, se c'era il sole o se pure si preparava iltemporale.

Era una bella giornata, la luce intensa del mattino invase la stanza. Il cielo era di uno splendido azzurro.

Si sentì subito bene. Amava il sole e quel giorno le sembrava ancora caldo tanto da far pensare che quelprincipio d'autunno fosse ancora una quasi estate.Nella doccia l'acqua scrosciava bollente. Amava quel massaggio e quel calore che a molti sarebbesembrato insopportabile

"Qualche volta ti ustionerai! Dovremo portarti in ospedale..." Era il tormentone con cui la ossessionavasua madre quando era ancora a casa, ma quel giorno sua madre non c'era, in quella casa, che era la suacasa, sua madre non c'era.

Poteva quindi godersi la sua doccia, alla temperatura che aveva sempre desiderato senza dovergiustificare niente a nessuno.

Certo non era stato facile convincere sua madre che era giusto che lei abitasse da sola: "Oh certo,vivendo da sola potrai portarti a casa tutti ragazzi che vorrai! Farai la fine di una..." Non aveva terminatola frase, o forse sì. Elena non lo sapeva. Durante il loro ultimo litigio se ne era andata sbattendo la portalasciandosi dietro le sue ingiurie. Per lei quella casa non era necessaria per portarsi a casa i ragazzi.Dopotutto anche i ragazzi avevano le loro case e per fare l'amore poi, una casa non è strettamentenecessaria.

Quella casa la voleva perché sentiva di volere un suo mondo.

I suoi spazi da organizzare, i suoi muri da dipingere, i suoi armadi ed i suoi cassetti da riempire. Gli angoliin cui accatastare i suoi ricordi, le sue esperienze. Trovare quella casa non era stato facile.

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Lei la voleva piccola, ma soprattutto luminosa e poi la voleva con un bel terrazzo, da riempire di piante efiori e per metterci un gatto, Lumiere, chiamato così in onore dei fratelli che inventarono il cinema.

Elena amava il cinema. Ogni volta che poteva si chiudeva in una sala, da sola o con gli amici e guardavaun film. Aveva imparato ad usare il cinema come terapia. Ci curava i momenti di malinconia ma anche dieccessiva euforia. Quando aveva un problema sceglieva un film a caso, lo guardava e lì trovava larisposta. Avete presente il libro dei King? Ecco, Elena usava i film allo stesso modo. Ci scrutava il suofuturo, ci trovava le risposte ad ogni sua domanda.Passò in cucina, Lumiere la stava aspettando affamato ma quieto. Le miagolò appena un salutovedendola arrivare e lei ricambiò con una valanga di complimenti e di coccole. Aprì il frigorifero. Ilcartone del latte era quasi vuoto.

"Uffa" disse fra sé pensando che a breve avrebbe dovuto fare la spesa. Ne versò un poco nella ciotola aLumiere e per lei ne rimase solo mezzo bicchiere. Guardò quel poco latte pensierosa.

"Questo mese dovremo tirare un poco la cinghia caro Lumiere" disse con tono affettuoso al gatto. Avevafatto la cameriera in una gelateria per tutta l'estate ma adesso che la stagione era finita... Impiegatastagionale, così l'avevano chiamato all'ufficio di collocamento.

"Beh,” continuò accarezzando il gatto sul collo mentre bevevano entrambi il loro latte “non disperiamo!Fra poco inizia la nuova stagione e qualche posto da commessa in qualche negozio lo potrò ancherimediare. Non trovi Lumiere?" concluse grattandolo con dolcezza fra petto e pancia.

"Ron....ron..." Rispose il gatto facendo le sue fusa e strofinandosi contro la mano di lei.

"Per prima cosa oggi andrò in edicola e prenderò io giornale degli annunci, vedrai che qualcosa salteràfuori"

Si vestì e detto fatto scese per strada. Il tempo stava cambiando così che il cielo che s'era preannunciatotanto luminoso ora appariva coperto in parte da nubi scure. Un rombo lontano lasciava presagire che untemporale stava arrivando. Giunse di buon passo all'edicola dove acquistò il quotidiano ed il giornaledegli annunci economici. Era quasi a casa quando iniziarono a cadere le prime gocce di pioggia e questola fece correre per non inzupparsi.

Salì sempre correndo anche le scale. Le case antiche, nel centro storico non hanno ascensori.

"E' un modo economico per fare ginnastica e rimanere in forma!" rispondeva sempre a quelli che lechiedevano se non le pesassero tutti quei piani a piedi. Entrò in cucina e posò i giornali sul tavolo.

"Ecco cosa mi sono scordata!" d'un tratto esclamò.

Il calendario appeso sul muro aveva ancora la data del giorno precedente.

Era uno di quei calendari a fogli singoli con i numeri grandi.

Ad Elena piaceva perché poteva vedere sempre e solo un giorno alla volta. Era un modo, diceva, perscordarsi dei giorni passati e per non pensare a quelli che verranno. Per vivere pienamente un giorno allavolta. Per avere, ogni giorno, soltanto un giorno come protagonista. Perché ogni giorno potesse esseredavvero unico e speciale. Strappò il foglio dal calendario e comparì la data di quel mattino: 21 settembre.

"Oggi inizia l'autunno Lumiere!” esclamò rivolgendosi al gatto “oggi cambia una stagione, vuoi

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scommettere che cambieremo qualcosa anche noi? Vieni guardiamo assieme il giornale, vedrai chetroveremo un bel posto di lavoro!"

Con quell'entusiasmo nuovo si sedette col gatto accoccolato sulle ginocchia, e cominciò a cercare.

 

 

Capitolo II

Quel giorno si sentiva...

 

 

Quel giorno si sentiva particolarmente infelice. Neppure la lettura della spumeggiante logica di BertrandRussell riusciva a donargli un poco d'euforia, provò a trovare quiete nel rigore e negli elementi di Euclide.Niente, nulla riusciva colmare quel suo strano senso di ansietà.

Giacomo era un matematico che di professione faceva l'insegnante. Uno di quei matematici puri che findalla primissima infanzia vedi far di conto. Con tutto, in ogni occasione.

Il primo regalo che destò in lui un grande interesse fu infatti un grosso pallottoliere, all'età di due anni. Incasa si pensò che fosse per via di quelle grandi palle colorate.

"Si vede che ha talento artistico!" sentenziò una zia.

E tutti a darle corda. A sostenere il piccolo artista con regali che dovevano sviluppare quell'innatotalento. Furono anni di pastelli e di colori, di album da disegnare che, regolarmente, finivano accantonatiancora nuovi.

"Sarà portato per la musica, allora" questa diceria nacque perché, in fondo uno zio del nonno paternoera stato musicista e un talento d'artista doveva in qualche modo doversi manifestare. A cinque anni iniziòa prendere lezioni di pianoforte.

Anzi, per fare le cose in grande gliene venne comperato uno verticale. Di fronte a cotanto strumentoGioacchino, ch'era piuttosto bassino rispetto alla sua età, si sentiva in grande imbarazzo. Sostenutodall'entusiasmo dei parenti cominciò a sciorinare scale. Erano i pomeriggi più lunghi della sua vita.Picchiava sui tasti senza alcuna voglia né volontà. Spesso anzi incespicava ed allora il maestro scuotevagravemente la testa.

"Il ragazzo è molto portato esordì un giorno parlando alla madre. Disse questo più per compiacerla e permantenere quel magro compenso che per viva convinzione “tuttavia appare...come dire... svagato... nonsi concentra abbastanza...”

Poi, pensando di aver detto troppo e di rischiare di compromettere in quel modo il suo futuro di docente

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del piccolo, leggendo negli occhi della madre una viva apprensione, s'affrettò a concludere, tutto d'unfiato “D'altra parte uno spirito simile è tipico dei piccoli talenti. E' lo spirito dell'artista, del vero artista"

A sentire quelle parole la madre si rassicurò. Quella donna, convinta che la sua missione fosse quella difar scaturire la gioia dell'arte da quel figliolo moltiplicò le sue cure e le sue attenzioni.

"Forse sarà un po' debole...non vedi come mangia poco?" era la voce della nonna paterna chesentenziava.

Iniziò il periodo cosiddetto "ricostituente". Ogni mattina per colazione c'era un uovo fresco da bere, epoi pane, burro e marmellata, ed una tazza colma di latte addolcito col miele.

A pranzo un'abbondante piatto di pasta riccamente condito con il ragù, due frutti ed un pane, perlopiùriempito di prosciutto e formaggio. Alle quattro si faceva merenda con pane burro e zucchero, o con lacioccolata, a seconda delle stagioni.

La sera passato di verdura ed una fettina, perché la carne faceva crescere... Questa teoria in effetti nontrovò molto riscontro, oltre il suo metro e sessanta Gioacchino, da grande non salì mai.

Sta di fatto che in quell'anno Gioacchino crebbe, crebbe a dismisura ma solo in larghezza.

Fu solo dopo l'avviamento della prima elementare che tutti scoprirono la sua vera passione.

Al primo giorno di scuola sua madre parlò con la maestra.

"E' Molto portato per le arti e per la musica, ma è un po' svogliato..." lasciò la frase in sospeso comevolesse dire "ci pensi lei, per favore...". Ma non concluse quel suo discorso.

Furono le prime nozioni di matematica a svelare la sua vera inclinazione. Ma tutto questo era storiaormai lontana. Per farla breve dirò solamente che l'unico a felicitarsi di quella strada fu il padre. Dasempre messo un po' in disparte in una famiglia composta da moglie sorella e madre, le ultime due,soprattutto, di forte tempra. In cuor suo non gli dispiacque che il figlio avesse lasciato la via dell'artetroppo spesso confinante "con scelte così ambigue che...non voglio neanche pensarci!"

Già s'immaginava un figlio effeminato, in preda a chissà quali turpitudini ed invece, insperatamente…

"Diventerà un ingegnere, un grande ingegnere!" sentenziò alfine un giorno alle donne di casa. Nessuna diloro gli diede ascolto, ormai il sogno di un artista in famiglia era svanito, per il resto sarebbe stata lavolontà del Cielo. Loro, la loro parte l'avevano fatta tutta.

Il resto del suo corso di studi lo potete facilmente immaginare.

Gettato alle ortiche il progetto di farne un vero artista nessuna donna di casa tentò di contrastare quellasua passione per i numeri. Il padre poi non fece in tempo a vederlo laureato. Morì improvvisamente, in unincidente, che ancora non aveva finito il liceo.

All'università s'iscrisse al corso di matematica pura. Quello che concedeva davvero poco in fatto discelte.

Ma lui aveva scelto benissimo.

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Page 10: Poesie Un Lavoro Autunno

"Voglio fare l'insegnante" disse il giorno del suo 21° compleanno.

La notizia fu accolta in silenzio dalla madre e dalla zia. La nonna aveva scelto di riposare d'un sonno benpiù lungo di quello d'una notte, poco dopo la morte del figlio.

Gli anni dell'università passarono veloci.

Gioacchino studiava instancabilmente. Del resto madre natura lo aveva ben aiutato a non concedersigrandi distrazioni! Non era tanto per la sua altezza fermatasi non oltre i centosessanta centimetri, no, suquella si sarebbe potuto sorvolare.

Era l'insieme di vari elementi. La calvizie incipiente, il naso un poco adunco ed aquilino, gli occhi grandicoperti da spessi occhiali. Passate le età dello scherno con l'infanzia e l'adolescenza, quando i compagnilo chiamavano "Gufo" o, a volte, "Civettone", passata l'epoca in cui le ragazze ridevano, dietro aiquaderni, quando lui facevano le sue timide avances, passato tutto questo incominciò per lui una vita aimargini delle abitudini sociali.

Mai una volta a ballare, mai un invito ad una festa, mai una vacanza in compagnia e, naturalmente, maiuna ragazza.

A poco a poco si abituò a quell'esistenza invisibile. Solo quando entrava in aula, con il suo registro,trovava una vera identità.

Seduto dietro alla cattedra incuteva rispetto e terrore. Insegnava matematica perbacco! Mica una diquelle discipline secondarie.

Un cinque in storia era comunque discutibile, un cinque in matematica era quasi inappellabile. Genitori edalunni avevano tutti rispetto per lui.

Ma quel giorno si sentiva inquieto. Eppure tutto era in ordine!

Dopo la morte della madre, un anno dopo la scomparsa della zia, s'era trovato completamente solo edovette imparare ad occuparsi di quella grande casa che gli era rimasta in eredità.

Imparò a lavarsi ed a stirarsi, imparò a cucinare, cosa che invero non gli riusciva troppo bene, così che,spesso, si rifugiava in piati pronti da riscaldare. Era diventato un esperto in fatto di zuppe precotte e sughibuoni subito per condire. Il suo rapporto con il cibo era variabile. Alternava periodi di assoluta bulimiacon altri in cui toccava appena vivande.

Ma quel giorno era in un periodo in cui amava mangiare.

Uscì di casa e pensò di passeggiare un poco in centro.

" Forse” pensò “vedendo un po' di gente attorno mi calmerò”

Era un'ansia strana, quella. Iniziava la notte, prima di addormentarsi.

Il sonno lo conduceva verso sogni che poi aveva vergogna persino a ricordare. Nel sogno s'incontravacon donne e con loro faceva quelle cose che vedeva nei film. Oddio non poteva neanche pensarci.

Lui era un professore! E di matematica! Non un pornografo!

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Page 11: Poesie Un Lavoro Autunno

Camminando arrivò fino in centro dove c'era la migliore gelateria della città. Era goloso in quel periodo efaceva davvero caldo quel giorno.

Si sedette ad un tavolino e ordinò una coppa di gelato

"Di gelsi, per favore, con panna montata" diede l'ordinazione senza guardare negli occhi la camerieratanto era il suo senso di colpa per quello strappo che si concedeva ad una dieta che avrebbe dovutoessere ben più rigida.

"Mi dispiace signore, oggi non abbiamo panna montata, la macchina s'è guastata"

Era una voce di giovane donna quella della cameriera. Gioacchino alzò lo sguardo ed incontrò il suovolto. Era bellissima! Due occhi chiari in un viso perfettamente ovale incastonato dai capelli castaniraccolti sulla nuca. Arrossì sorpreso di vederla sorridente e serena mentre lo guardava. "..Come ha dettosignorina..?" chiese appena riuscì ad articolare qualche parola. La giovane ripeté.

"Non importa, non importa disse Giacomo va bene senza panna”

La ragazza lo servì velocemente. Giacomo mangiava con molta attenzione il suo gelato. Lo gustava maancor di più gustava la vista della ragazza. Doveva avere ventiquattro o venticinque anni. Il portamentoagile, il sorriso sempre presente.

Sembrava che niente di tutto quello che di brutto potesse capitare al mondo la potesse mai incontrare.Era lo specchio della felicità e portava allegria il guardarla. Chiese il conto.

"Posso chiederle come si chiama, signorina" domandò a bassa voce quando lei portò il resto

"Come?" rispose la ragazza.

"No...niente...” Riprese Gioacchino sempre più rosso ed impacciato “era solo una curiosità....unastupida curiosità" prese il resto dal tavolo, lasciò le monete per mancia e si alzò per andarsene.

La ragazza lo guardò goffo ed impacciato e si mise a ridere. Quando fu un po' più lontano gli gridò:

"Elena, mi chiamo Elena... e ho anche un gatto! Un gatto che si chiama Lumiere! Torni a trovarci,signore"

Gioacchino si fermò, come trafitto da una freccia invisibile. Sudò freddo guardando la ragazza che losalutava con la mano alzata

"Tornerò” disse tra sé “tornerò."

 

Capitolo III:  

Come pestar acqua in un mortaio

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Page 12: Poesie Un Lavoro Autunno

 

 

"Lumiéreeeee...Lumiéreee...dove sei micio..." erano ormai più di cinque minuti che Elena cercava il suogatto per tutta la casa e per il balcone. Un comportamento strano per Lumiere, sparire così.

Di solito se ne stava raggomitolato beatamente intento a dormire in un angolo della cucina o siconcedeva una passeggiata sul balcone strusciandosi contro tutti i vasi. E' vero, non gli mancavano leuscite per strada, ma lo faceva con lei sempre ad una certa distanza.

Non era, per così dire, un gatto dagli istinti troppo felini. S'era adattato bene a quella vita domesticatanto che, certe volte, Elena lo schermiva chiamandolo "gatto di pezza". Quella sparizione era perciò unevento straordinario e per questo Elena era in preda ad una certa preoccupazione. Aveva sentito dire cheil gatto di una sua conoscente era precipitato dal balcone, sfracellandosi a terra.

Non avrebbe mai pensato che Lumiere avrebbe potuto fare una cosa del genere. Non lo aveva mai vistointraprendere un'azione che potesse anche solo sembrare pericolosa.

Mai lo aveva trovato su di un cornicione o sul davanzale. Mai sulla ringhiera. Guardò in basso, verso lastrada, con un briciolo di esitazione, temendo quasi di poter essere smentita. Niente.

Nulla sul marciapiede o sull'asfalto lasciava presagire il peggio.

"Meno male" pensò fra sé. La casa non era grande, un piccolo ingresso dal quale si poteva accedere insuccessione, in una stanza che serviva da soggiorno e cucina e poi alla camera da letto confinante con unbagno microscopico con i servizi ed una doccia.

Quello era il suo cruccio. Nella casa dov'era vissuta con la madre, dopo che i suoi avevano divorziato,c'era un grande bagno, molto luminoso, ed una vasca immensa dove lei amava immergersi nell'acquabollente, profumata di essenze, e fantasticare.

Passava momenti indimenticabili chiusa in bagno. Proprio chiusa, perché per assicurarsi di non esseredisturbata amava fare il bagno chiudendosi con la chiave anche se in casa c'erano solo lei e sua madre.Questa cosa sua madre non la capiva proprio. Capitava quindi che i suoi momenti di sogno venisserointerrotti da quella voce che le intimava. "Apri Elena! Apri subito! Devo prepararmi per uscire" oppure"...devo andare al lavoro e devo pettinarmi" oppure più semplicemente "...Sbrigati che devo usare ilbagno!" I motivi per entrare potevano essere i più vari. Sempre e comunque unica era la conclusione

"Non capisco perché tu ti debba chiudere a chiave per fare il bagno. E starci delle ore poi! Lo saibenissimo che ne abbiamo uno solo in casa e che serve a tutt'e due. Io non ti dico di non fare il bagno,ma almeno di lasciare la porta aperta quando siamo solo io e te!"

Si accorse d'un tratto che la piccola finestrella che aveva nell'ingresso e che dava sul pianerottolo erasocchiusa. Non era mai uscito da solo Lumiere da quella finestrella, perché avrebbe dovuto farlo allora.

Aprì la porta e si trovò sulle scale:

"Lumièreee....Lumièreee..." chiamava sul pianerottolo.

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Page 13: Poesie Un Lavoro Autunno

Scese di un piano, e poi di un altro ed un altro ancora. Arrivò giù, sino al primo piano, il cosiddetto"piano nobile", così chiamato perché il suo appartamento aveva il prospetto ed il relativo balcone propriosopra l'imponente portone d'ingresso. La porta era socchiusa.

Elena infilò la testa e cominciò a chiamare con un grido soffocato a mezza voce:

"Lumiere, sei qui?" L'appartamento era bellissimo anche se completamente disabitato, anzi privo di ognimobilio. I tetti erano alti ed affrescati. Lumiere era appallottolato fra le braccia di un uomo che loaccarezzava mentre lui, beatamente faceva le fusa.

Vedendo quella scena Elena disse con voce più decisa ed arrabbiata:

"Lumiere! Cosa fai qui? Lo sai da quanto tempo è che ti cerco?" Lumiere alzo il muso verso lapadroncina, socchiuse appena gli occhi sopraffatto dalle coccole che l'uomo continuava a fargliaccarezzandolo nel sotto gola.

"E' un bellissimo gatto" disse l'uomo porgendoglielo.

Elena lo accolse fra le braccia e cominciò ad accarezzarlo. Lumiere si accoccolò.

"E' il mio gatto... Lumiere.... Lo stavo cercando... E' strano che sia uscito di casa in questo modo, non lofa mai da solo"

"La discontinuità è un segno di intelligenza.” disse l'uomo. “Solo gli animali molto stupidi o molto annoiatifanno sempre le stesse cose, si comportano sempre allo stesso modo. L'imprevedibilità è l'essenzadell'atto intelligente. Sa quando un essere vivente dimostra di essere intelligente?"

Elena guardava l'uomo che le parlava e con la mano accarezzava Lumiere. Avrà avuto poco più diquarant'anni. La prima cosa che di lui l'aveva colpita erano i capelli d'un color cenere dalle moltesfumature, mossi agli estremi da un accenno di riccioli naturali che li facevano sembrare dei boccoli dacherubino. Sembravano la chioma d'un bambino posata sopra il capo d'un adulto.

"L'annoio signorina?" le chiese l'uomo che aveva notato una sorta di vaghezza nel suo sguardo. A quelleparole Elena ebbe un impercettibile sobbalzo, come se si destasse da una sorta di ipnosi. Riprendendocoscienza rispose prontamente:

"No, affatto, anzi mi interessa moltissimo"

"Ha presente l'esperimento della scimmia nella gabbia che deve raggiungere il casco di banane oltre lesbarre?"

Elena scosse il capo

"No" disse semplicemente.

L'uomo prese questo segno come un incoraggiamento a continuare. "Orbene si mette una scimmia in unagabbia e le si pone di fronte un bel casco di banane ad una distanza tale che la scimmia non possaarrivarci con le zampe per quanto si sporga. All'interno della gabbia vengono messi alcuni attrezzi fra iquali un bastone. La scimmia dapprima tenterà di raggiungere le banane sporgendosi fra le inferriate, poi,a poco a poco, proverà con altri strumenti. Ad un certo punto capirà che con il bastone potrà avvicinareil casco di banane. Avrà imparato ad usare un mezzo esterno al proprio corpo per raggiungere uno

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scopo. Avrà organizzato un pensiero, quello sarà il suo atto intelligente"

Elena ascoltava l'uomo parlare. Aveva una bella voce, calma.

Le parole sembravano uscire fluide, avvolgenti. Si sentiva bene ascoltandolo parlare. Il suo timbro erachiaro come quello di chi non ha nulla da nascondere. Parlando la guardava dritta negli occhi e lei potevacosì guardare i suoi. Erano scuri, vivaci, brillanti e coloravano l'intero volto, forse l'intera stanza, facendocontrasto con le cento sfumature del cenere dei capelli.

"E, secondo lei, Lumiere avrebbe fatto un gesto intelligente uscendo dalla finestrella che dà sul miopianerottolo e scendendo fin qui?" domandò Elena con tono un po' ironico.

"Certamente rispose lui prontamente, poi dopo una brevissima pausa continuò "...così mi ha dato mododi conoscerla"

Elena arrossì impercettibilmente

"Permette che mi presenti?” e senza aspettare risposta continuò: “mi chiamo Marco Bolzoni..."

Allungò la mano che Elena strinse rispondendo:

"…piacere, mi chiamo Elena...Elena De Martini... E lui” soggiunse, riferendosi al suo gatto “è Lumiere,ma ho visto che siete già buoni amici..."

Fece una breve pausa silenziosa poi, staccando lo sguardo dai suoi occhi e volgendolo alla stanza che licircondava, continuò: "…Verrà ad abitare qui? E' una casa bellissima...bellissimi questi pavimenti...equesti soffitti affrescati....io abito all'ultimo piano" E poi, ridendo divertita continuò "Direi che più che unacasa vera e propria è un abbaino...ma è la mia prima casa, cioè la prima casa dove vivo da sola, e iol'adoro”

Poi cambiando tono e ritornando improvvisamente seria continuò

"Lei ci verrà a vivere da solo?"

"No" disse subito Marco, poi abbassando un poco il tono della voce come a celare una sorta di piccoloimbarazzo "Con mia moglie" "Sposatissimo dunque” lo incalzò Elena con una sfumata ironia nelle parole.Marco, quasi a giustificarsi rispose:

"...mia moglie si occupa di pubbliche relazioni per una casa di caschi per motociclette. Per questo suolavoro è spesso in giro per il mondo...sa, segue i piloti, le gare dei campionati...."

"Bene, signor Bolzoni” soggiunse Elena con un tono che lasciava presagire un imminente congedo, “miha fatto piacere conoscerla… Spero che verrà presto ad abitare in questa casa.... con sua moglie,naturalmente"

"E' stato un piacere anche per me” disse Marco. accompagnandola alla porta. Poi, mentre lei stavasalendo le scale verso il piano superiore soggiunse "Sono architetto, architetto restauratore!"

Elena si fermò un attimo sui gradini poi rispose "Io lavoravo come cameriera in una gelateria. Ora sperodi trovare un posto da commessa...o qualcosa d'altro...vedrò"

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Si mise a correre sulle scale verso la porta di casa. Marco la seguì dapprima con lo sguardo poi restòsull'uscio ad ascoltare il rumore dei suoi piedi sugli scalini. Quando arrivò in casa ad Elena batteva forte ilcuore, e non era solamente per la corsa appena conclusa.

Capitolo IV:  

Vent'anni dopo

 

 

Era uscito di casa per trovare un po' di conforto a quell'ansia che lo tormentava e vi rientrava ancora piùagitato di prima.

Questa del ritorno era per Gioacchino ben diversa da quella che, di primo pomeriggio, l'aveva condottoper le vie del centro e poi, in quella gelateria.

Non riusciva a distogliere i pensieri dal volto di Elena. I suoi capelli e soprattutto i suoi occhi, chiari. Epoi la sua voce, quel timbro così allegro! Quel suo modo di prestare attenzione, di rivolgere attenzione.Di far sentire, con una sola parola, l'interlocutore come l'essere più importante del mondo. Quel pensierolo riempiva di euforia ma egualmente di disagio. Sembrava far affacciare una sensazione sempre tenutasopita: la paura delle solitudine, il timore di invecchiare.

E poi c'erano quei capelli, li aveva visti raccolti alla nuca ma li poteva immaginare sciolti a toccareappena le spalle.

Li avrebbe carezzati con le dita, con gli occhi. Sentì il fiato farsi un poco più corto ed il cuore accelerare.Cos'era quel senso di vuoto che gli bloccava la bocca dello stomaco poco sotto il diaframma? E quellavertigine acuta che colpiva il suo corpo quando pensava più intensamente al volto di Elena?.

"Basta" si disse, recandosi verso la libreria dove, ordinati lo attendevano i suoi libri, perlopiù dimatematica.

Cercò quasi febbrile l'argomento... dov'era quel libro... doveva placare la sua agitazione, lo dovevatrovare...

"Eccolo...finalmente!"

Guardò un poco la copertina ancora chiusa. Si sentì un poco sollevato, quel libro lo avrebbe dovutocalmare. Era la lettura in cui si immergeva nei rari momenti di euforia: la raccolta dei tentativi mancati dellatripartizione dell'angolo. Era il libro che avrebbe offuscato le sue emozioni. La prima volta che lo lessecadde in forte depressione.

Era un insieme di dimostrazioni in cui la logica magnifica della matematica, il motore di tutta la sua vita,veniva sopraffatta, o meglio, non portava al risultato voluto. Leggeva, immergendosi in ogni capitolo, madi quando in quando, infingarda presenza, fra le righe ed i passaggi più ardui, compariva lei, il volto di

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Page 16: Poesie Un Lavoro Autunno

quella cameriera conosciuta in gelateria: il volto di Elena. Una raccolta d'insuccessi della logica.

"Dove la logica muore cosa prevale dunque? L'irrazionale, forse il sentimento!"

Ebbe un fitta al cuore. Quel libro non placava la sua ansia, anzi la faceva lievitare. Il crollo della ragioneportava alla prevalenza del cuore.

Nell'alchimia magica dell'amore è il pensiero dell'amato che prevale sulla sua vera figura. Come muove iprimi passi un sentimento?

E' l'irrazionale di un attimo, un particolare: a volte è l'aspetto, altre una battuta di spirito, altre ancora unombra degli occhi o un loro brillare. E' la scintilla che mutare d'attenzione. Sino ad un istante primaquell'uomo o quella donna erano folla, gente. Un figura indistinta. D'un tratto quell'uomo o quella donnadiventano oggetto di speciale attenzione. Nasce il desiderio di approfondire quella conoscenza fino adallora superficiale.

Nascono le prime domande e su queste le ipotesi di risposta.

"Come sarà il suo modo di fare...di pensare...?…e mi penserà...?"

Ecco, il pensiero è la macchina che muove l'amore. Si pensa ad un persona appena vista. Si immagina, sicreano delle aspettative. Si attende con ansia il prossimo incontro nell'attesa di provare conferma aidesideri suscitati

"Sarà come io l'ho immaginato?".

Al nuovo incontro si cerca di capire se le idee, le aspettative maturate trovano corrispondenza. Ma forsea quel punto già non si vedono più le risposte obiettive. L'altra persona è già diventata una costruzione.

Il frutto di un processo cognitivo dove si sommano impressioni e desideri. La si vuol vedere in un certomodo. Ed allora la si affronta con un'attenzione selettiva che scarta gli indizi che potrebbero rivelare unrisultato differente. Poi, quando il sentimento prevalso definitivamente e ha sopraffatto ogni ragione siscarta l'evidenza con una frase risolutoria quanto ambigua:

"Lo so che è la persona sbagliata... Ma io lo farò cambiare..."

E la legge del più forte torna a dominare.

L'innamorato soffre e l'amato vive l'ebbrezza di quella vita che gli si dona totalmente. Sente la forza diquel potere invisibile che fa soggiacere chi l'ama oltre la sua stessa dignità.

Il sentimento soffoca la ragione. Così quando una storia finisce, l'innamorato lasciato odia l'altra partenon per quello che realmente è, ma per ciò che rappresenta.

Soffre per quanto l'altro porta via del suo sé: il tempo a lui o a lei dedicato, i cento pensieri, le mille volteche si è rinunciato. Quello che manca, a chi è lasciato, non è in realtà l'altro o l'altra che se ne sonoandati, sono quelle parti di sé che col tempo ha dedicato e lasciate attaccate a quella persona che se neva.

L'innamorato soffre per il sé perduto.

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Ma tutto questo l'innamorato non lo sente o non lo sa.

Crede d'aver perso la metà del cielo, o il cielo intero. Il sentimento obnubila la mente, la copre con unacoperta calda di emozione.

L'amore nasce dunque dal pensare all'altro come se fosse quello che si vorrebbe. Gioacchino in quelmomento pensava, ormai senza alcun freno della ragione. Fantasticava, con la mente volava, era allagelateria, guardava Elena, anzi le parlava.

Lei gli sorrideva e lo ascoltava, con quella sua aria allegra, con quegli occhi chiari.

Lui le sfiorava la mano e lei non la ritraeva. Dio come impazziva il suo cuore!

Erano anni che non pensava così ad una donna. Dagli anni delle superiori, quando s'era innamorato diuna compagna, Margherita.

Era quella che tutti avrebbero detto " la più brutta" o, per essere gentili "...la meno carina"

Le sopracciglia folte che si univano quasi sulla fronte, il labbro inferiore sporgente un poco leporino, ilnaso schiacciato e gli occhiali spessi. Era la più brava di tutte però in classe. Per schernirla, di nascosto,la chiamavano "secchiona" ch'era un modo in più per emarginarla.

Ma poi tutti la cercavano quand'era il momento di copiare. Gioacchino la guardò per giorni e giorni,seduta al suo banco. Nell'intervallo sedeva con le due amiche del cuore, che per quello strano gioco dellecomplicità femminili, erano anche le più belle di tutta la scuola e di questa amicizia lei traeva i vantaggi delsentirsi attorniata dai cento ragazzi che la volevano conoscere per arrivare alle altre due.

Lei ancora che non aveva scoperto il fine di quel gioco, si sentiva particolarmente attraente e, perquesto, un po' spocchiosa. Una mattina Gioacchino si sedette accanto a lei ed iniziò a parlare. Non eramolto bravo a conversare. Lui che non aveva amici neppure fra i compagni.

Lo chiamavano "Gufo" o anche "Civettone" per via di quegli occhi grandi e di quel naso aquilino, per via,forse di quegli occhiali spessi, come i suoi, come quelli di lei.

"Pensi che ti sia andato bene il compito di latino?" lui le chiese dopo aver atteso un bell'attimo in silenzio.Lei lo guardò come sorpresa che le avesse rivolto la parola:

"Sì, penso di sì, quasi sicuramente" rispose lei con tono un po' altezzoso. "A me piace la matematica...”s'interruppe, le frasi uscivano a fatica dalla bocca di Gioacchino, arrossì d'un tratto e poi disse di filato"...studieresti con me qualche pomeriggio?"

Lei si voltò, lo guardò con l'aria più stupita del mondo. Smise persino di masticare, poi rispose gelida

"Ma ti sei visto bene? Neanche se fossi l'ultimo essere vivente di questa terra!" si alzò e corse aconfabulare con le amiche. Di tanto intanto tutt'e tre lo guardavano e ridevano. Rosso in viso con letempie che gli scoppiavano, scappò in bagno. Si presentò in classe che l'intervallo era già finito da unpezzo. Il professore lo rimproverò, stupito, ché da lui non se lo sarebbe mai aspettato.

Gioacchino aveva il capo abbassato ed approfittò di quella posizione per arrivare al suo posto senzaguardare in faccia nessuno, principalmente lei. Fu quella l'unica volta che Gioacchino, prima d'allora,aveva ascoltato il suo cuore.

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Poi per vent'anni, l'aveva nascosto dentro ad una gabbia, matematicamente chiusa.

 

 

Capitolo V:  

La realtà come appare

 

 

"So a cosa stai pensando, sai Lumiere? E non mi piace per niente!"

Era un tono fintamente seccato quello che Elena stava usando con il suo gatto che se ne stavaaccoccolato con l'espressione beata nel suo cestino; "Non avrai intenzione di tornartene al primo pianoda quel...quel... Elena si sforzava di non ridere fingendo di rimproverare il suo micio, poi, come se avessericevuto un suggerimento continuò

"Ecco, appunto...quell'architetto? Vedi che ci stavi pensando?"

Lumiere stiracchio le zampe anteriori come per giocare. In fondo stava giocando con la sua padrona, ungioco di specchi, di riflessi, di luci e di proiezioni.

“Adesso siamo diventati di gusti facili, eh Lumiere?” continuava Elena con lo stesso tono di fintorimbrotto "Ti sono bastate quattro carezze e un paio di occhiate dolci e ti sei fatto un nuovo amico...”

Poi si avvicinò al gatto, lo sollevò portandogli il muso all'altezza del suo volto ed avvicinando il proprionaso al suo, gli disse dolce e ridente, come facesse una confidenza all'amica del cuore:

"Hai visto i suoi occhi Lumiere? Eh? Sembravano illuminare tutta la stanza."

Strofinò il suo naso e quello del gatto che, ricambiando quel gesto d'affetto, la leccò leggermente.Appoggiò a terra il gatto e poi gli disse:

"Scommetto che hai voglia di una bella passeggiata, vieni, dai, usciamo" e dentro di sé, una voce chepure voleva scacciare, che non voleva ascoltare, le disse, forte "...che magari, passando, lo incontriamo"

Scese le scale di corsa, com'era suo solito fare. Solo quando giunse sul pianerottolo del primo pianorallentò i passo.

Guardò la porta di Marco, era chiusa; dal di dentro non proveniva alcun rumore, neppure quello deglioperai che stavano restaurando l'appartamento. Ebbe un piccolo tuffo al cuore per quella speranza cheseppur invisibile e nascosta, andava delusa. In strada, camminando con Lumiere poco distante, pensavaa lui:

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"Chissà dove sarà, ora.... Forse era con la moglie, tornata da chissà quale parte del mondo, oforse...forse era solo, chissà dove"

Quel pensiero le addolcì il cuore. Un rapido accelerare delle palpitazioni, solo per un momento, le feceavvampare le guance. Perché pensava a lui in quel momento? Era sposato, una storia impossibile...una diquelle che lei non avrebbe mai accettato. Eppure i suoi occhi avevano brillato in un modo strano quelgiorno che l'aveva conosciuto.

Forse si sentiva triste...forse la moglie troppo spesso lontana... Le erano parsi gli occhi d'un uomoancora con un fondo di bambino.

Fors'anche per via di quei capelli che gli si poggiavano sul capo con quell'accenno di boccoli tanto dolcee strano in un adulto...forse...forse...

La sua mente si affollava di domande a cui dava ogni volta una possibile risposta, senza accorgersi cheogni risposta le appariva plausibile solo quando provocava concordanza fra la ragione ed i battiti del suocuore. Pian piano stava costruendosi un'immagine di "Lui" su misura di ogni sua aspettativa.

Riempiva l'involucro di quegli occhi d'ogni risposta alla sua voglia di compagnia. Era l'eroe romantico epaziente.

Dolce seppur dominante. Era l'insieme di risposte chiare a quell'insieme di bisogni indistinti e contrastanti,ch'erano i suoi, di giovane donna, come quelli d'ogni vivente. Il suo amore lo avrebbe voluto pieno ditratti tanto grandi quanto discordanti che ad esser tutti presenti ci sarebbe voluto, se non un esercito o unbattaglione, almeno un plotone d'esseri umani.

Quanti sono i bisogni d'un essere umano?

Potenzialmente infiniti. E pure, a volte, contrastanti. E' la magia di un attimo che rende possibile loscatenarsi della meccanica dell'amore.

Un brillare d'occhi, il fondo d'un essere ancora bambini, aveva scatenato in Elena la sensazione che tuttoquanto potesse richiedere ed aspettarsi, fosse possibile e reale.

Avesse almeno un corpo. Una meta verso cui potersi volgere e guardare.

La testa di Elena lavorava all'unisono con le segrete aspettative del suo cuore. Si preparava a cercarequelle mille conferme che le avrebbero dovuto rivelare che la sua intuizione non s'era sbagliata.

Quell'uomo avrebbe potuto essere un uomo speciale. Avrebbe potuto raccogliere e donare, scambiarsied essere ricambiato.

Era forse l'anima gemella, la sua stella polare...

Le persone non cambiano sono gli occhi di chi li guarda a vederli sotto una luce diversa. L'uomo è undiamante dai mille volti, dalle infinite sfaccettature. A seconda di come prende luce mette in risalto unasfumatura dell'animo o del carattere, per chi la vuol vedere.

Così, quella luce tanto abbacinante, sembra l'unica e la sola, e fa dimenticare le altre facce in attesa cheuna luce diversa, un fatto nuovo, le possa mostrare.

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Le persone non cambiano, cambiano gli occhi di chi le guarda.

Cambia il modo di guardarle, cambia la faccia che si vede, ed appaiono le altre angolature. Cambia lafaccia che appariva l'unica possibile, compaiono altre mille sfumature.

Lumiere le si avvicinò un poco. Forse aveva colto quel suo fantasticare e s'era messo a strusciarsi controle sue gambe, quasi a volerla, in qualche modo, svegliare. Elena lo raccolse e si mise ad accarezzarlo.Aveva sul volto uno strano sorriso. I suoi occhi guardavano un punto indefinito della strada, fissi versoun'ipotesi di futuro.

Si sentiva felice, rientrando.

Salendo le scale si fermò un attimo dietro la porta di Marco. Mandò un impercettibile bacio.

Era il segno della caduta di ogni sua difesa.

Il suggello definitivo di una scelta che le aveva preso, in quel giorno, il cuore.

 

Capitolo VI:  

Parlar con Li animali

 

 

Gran cosa avere un gatto con cui parlare.

Se cercate un amico fedele nel senso più stretto della parola girategli al largo, scegliete un cane. Ma sevolete un amico che vi sappia ascoltare con il dovuto distacco e con quello anche consigliare, allora ilfelino è l'amico ideale. Un cane no, lui vi è troppo affezionato, si farebbe ammazzare per voi e nullafarebbe che potesse contraddirvi a meno che gli abbiate causato un grave dispiacere.

Ma se lo farà sarà solo per farvi un dispetto e farvi accorgere che vi siete scordati di lui. Il gatto inveceanche nei rapporti più intimi ed esclusivi, conserverà una sua indipendenza, una sua personalità. Sapràfarvi capire d'esser presente, che vi vuol bene, con mille attenzioni ma...... ma resterà sempre legato acerte sue abitudini, ad un suo mondo e modo di fare. Così dovrebbe capitare anche fra amici, dove inamicizia un giudizio differente non pregiudica il rapporto.

Fra amici ci si dovrebbe dire tutto, non è vero? Anche le cose sgradevoli, anche quello che non sivorrebbe mai sentire.

Chi può criticare se non un amico? Una madre non è fatta per vedere i difetti del figlio; fra marito emoglie i difetti dell'uno tendono a diventar gli spigoli tondi pronti ad accogliere le insenature dell'altra. Laconvivenza infatti aiuta a modellare.

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Fra fidanzati i difetti non esistono, finché c'è l'amore.

Poi, se l'amore finisce, i difetti dell'altro sovrastano ogni cosa e diventano gli aspetti più odiosi del suocarattere fino a quando la tempesta si placa ed il ricordo diventa, con gli anni, una brezza gentile, edallora, ma solo allora, si riesce a guardare indietro, come in un cielo terso, e leggere le nuvole passate equindi le colpe, spesso equamente distribuite. Non è sempre così, sia ben chiaro.

A volte le colpe dell'uno sovrastano indefinitamente quelle dell'altra. Si parla per casi, per così dire,generali.

Elena parlava spesso con Lumiere, gli confidava ogni emozione, ogni pensiero, anche il più nascosto.Lumiere del resto si comportava bene come amico e non andava mai a confidare ad alcuno i lorodiscorsi.

Era da qualche giorno che le loro conversazioni vertevano su un unico argomento: l'architetto MarcoBolzoni, il loro vicino di casa del primo piano. Dopo il primo incontro nessuno sembrava essere tornatopiù in quella casa che, chiusa, aspettava di tornare ad essere abitata.

Lumiere a dire il vero, cercava in ogni modo di smorzare gli entusiasmi della sua padroncina versoquell'uomo.

E' vero che, in fondo, era stato lui la causa di quella conoscenza e di tutto quel trambusto che ne stavaseguendo, ma, insomma...

Lui s'era accontentato di qualche coccola, di una carezza...mica s'era deciso a cambiar vita per questo.

Purtroppo, come spesso accade, chi chiede consiglio all'amico cerca solo una conferma alle risposte ches'è già dato dentro. Non si aspetta un parere opposto, e per intendere quel che Lumiere le voleva dire,Elena avrebbe dovuto prestare ben più di una semplice attenzione.

Capitò così che Elena gli chiedesse, al termine di un lungo monologo "...non sei d'accordo Lumiere?" e ilgatto rispondesse con uno scuotimento tale della testa, come a dire:

"No, non se ne parla nemmeno!" cosa che Elena intese invece come uno starnuto e gli dicesse:

"Hai visto che ti sei raffreddato? Sempre in giro per il balcone, anche con questa pioggia!"

Erano i primi giorni d'autunno ed anche se ancora non faceva molto freddo le giornate piovose eranonaturalmente più frequenti. Lumiere, se avesse potuto, avrebbe allargato le zampe, come a dire:"...io c'hoprovato!" ma una gatto, allenato dalla natura alle serenate notturne, è un essere romantico e sa benequanto un cuore innamorato possa chiudere le orecchie.

Allargò la bocca ed allungò una zampetta volendo attirare l'attenzione. Elena pensò invece adun'improvvisa voglia di giocare:

"Ti sembra il momento di giocare questo? Fra poco devo andare al lavoro...o vuoi che faccia tardi cosìche poi mi licenzino e non ti possa più comperare da mangiare?"

Lumiere la guardò un poco sconsolato.

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Cos'altro avrebbe potuto fare per farsi intendere?

Elena non aveva il lavoro come scopo della sua vita, era, per il momento, una necessità. Non avevaancora risposto alla domanda "cosa farò da grande?".

Le sarebbe piaciuto per la verità un lavoro che la mettesse a continuo contatto con le persone. La cosache le riusciva meglio, infatti, era proprio quella di entrare in rapporto con la gente.

Il riuscire ad instaurare un naturale rapporto di simpatia. Ma tutto questo non aveva ancora trovato unameta distinta.

L'estate precedente aveva lavorato come cameriera in una gelateria ed adesso era riuscita a scovare unposto come cassiera in un piccolo supermercato. Il lavoro erano soldi ed i soldi servivano per l'affitto, ilcibo per Lumiere, quello, poco, per lei, qualcosa per vestirsi, non che fosse particolarmente esigente inquesto, e soprattutto il cinema.

Elena amava il cinema e, quando poteva, frequentava i cineforum.

Lì i film costavano meno e di solito, in quelle rassegne, passavano tutte quelle pellicole che avrebbevoluto vedere. Non aveva un genere preferito, certo c'erano i film che proprio non sopportava.

A lei piacevano le storie. Di ogni trama sceglieva un personaggio e s'immedesimava. Aveva piantospesso al cinema.

Da un po' di tempo preferiva i film inglesi e, da sempre, le pellicole francesi con quelle storie d'ottobre,un poco cupe e tristi. Facevano contrasto con la sua naturale allegria.

Aveva pianto a "Lezioni di Piano", s'era emozionata con "Storie di Ragazze" e commossa con "L'ospited'Inverno".

Soprattutto questo le era piaciuto con quel rapporto conflittuale fra la protagonista e la madre. Suamadre. Da quanto non la sentiva?

Oh certo, anche lei poteva telefonare se voleva, il suo cellulare era sempre acceso. Ma di sicuro,orgogliosa com'era, non lo avrebbe fatto tanto facilmente per prima.

"Basta pensarci" si disse fra sé, e scaccio in un altro angolo del cervello l'idea della madre.

"Il calendario!" disse gioiosa. Era il momento che tanto le piaceva, di prima mattina staccava il foglio perpassare al giorno dopo.

Amava, ma ormai è cosa nota, quei fogli che riportavano un solo giorno alla volta. Era un modo perattirare la sua attenzione solo su quella data, rendendola esclusiva. Un giorno passato era un giorno daaccantonare, e nuove storie e nuove emozioni da provare in quello che le si presentava.

Fu proprio il sentir battere un martello di muratore al primo piano che la fece sobbalzare.

Qualcuno era dunque entrato nella casa di Marco, forse Marco stesso era lì. Sentì l'impulso di correre eguardare. Lumiere tentò allora l'estrema carta per poterla dissuadere.

Proprio mentre stava per imboccare la porta per uscire le si infilò fra le gambe, come per fermarla.

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Page 23: Poesie Un Lavoro Autunno

Ma quando comanda il cuore, l'amico non ascolta altro consiglio, non si lascia dissuadere e vede e osente solo ciò che la propria emozione vuole. Il cuore di Elena, come tutti i cuori in subbuglio, facevaElena sorda e cieca e quindi le fece intendere che Lumiere voleva una carezza per cui gli disse:

"Non è il momento di coccole, Lumiere, non senti? Qualcuno sta lavorando al primo piano? Andiamo avedere”

Poi soggiunse a bassa voce con tono complice: "ma senza far capire che ci stiamo andando apposta, miraccomando!?"

 

Lumiere capì che l'amica era ormai irrecuperabile, da gatto saggio quale era non disse niente, la leccòsemplicemente sul naso per farle capire che comunque sarebbe andata a finire quella storia, lui le sarebbestato vicino.

 

Capitolo VII:

 

Discorsi "di café"

 

 

"Buongiorno signore, sono contenta di rivederla"

Era proprio la voce di quella ragazza, di Elena, quella che lo stava accogliendo? Gioacchino che avevafatto il tratto di strada che lo portava da casa a quella gelateria in centro quasi in trance, ebbe un sussulto.

Era pallido, sudava, guardò la ragazza ma non riusciva ad articolare parola. Vedendolo visibilmenteagitato Elena soggiunse

"Si sente bene, signore?"

"...sì” alla fine riuscì a rispondere Gioacchino con la voce malferma “...mi sento bene...grazie”

Parlava intercalando pause fra ogni parola, come se il respiro gli stesse per mancare. “...sarà un po' dicaldo...” cercò di argomentare mentre si sedeva ad un tavolino.

"Vuole ordinare subito o aspetta un poco?" gli chiese Elena.

Gioacchino prese al balzo quell'inaspettata pausa nella quale avrebbe potuto cercare di ricomporsi esubito rispose:

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Page 24: Poesie Un Lavoro Autunno

"...aspetto un attimo...grazie"

Era una bella giornata e, pur essendo mattina appena inoltrata, il sole già faceva la sua parte riscaldandoquell'aria d'un caldo che si preannunciava opprimente.

La gelateria non era per niente affollata a quell'ora, difficilmente, infatti, la gente vi si recava per farecolazione. Gioacchino si godeva dunque quel posto e, soprattutto, la visione di Elena che, non avendonulla da fare, se ne stava un po' in disparte ma comunque a lui vicina, in attesa di poter prendere la suaordinazione.

Passarono quattro o cinque interminabili minuti. Le palpitazioni di Gioacchino sembravano essersiplacate un poco, così come la sudorazione.

Chiamò la ragazza con un cenno della mano e lei subito si avvicinò. Gioacchino la guardava mentre siavvicinava.

Com'era bella con quel suo muoversi leggero eppure deciso. E sempre con quel sorriso sereno scrittosul volto. Appena giunta acconto a lui Elena gli disse con un tono allegro e quasi confidenziale:

"Ha visto che bella giornata oggi? Farà caldo, certo, però io adoro il sole, mi mette di buon umore...hadeciso cosa posso portarle signore?" Ecco cosa lo colpiva di lei, quel suo modo naturale di dareconfidenza alle persone, di non farle sembrare unicamente degli anonimi clienti. "Vorrei un caffè...” disse, “ed una bottiglietta d'acqua."

"Gliela porto naturale o gassata?"

"Come?…Naturale...naturale, grazie..." concluse Gioacchino.

Una cameriera qualunque si sarebbe limitata a chiedere l'ordinazione. Elena invece ci metteva del suo,parlava come se lo stesse facendo con un conoscente, un amico. Era quello il suo modo speciale di farsentire a proprio agio le persone. Elena riusciva così subito simpatica.

Era quel tipo di persona che messa in uno scompartimento di treno, sale con altri anonimi sconosciuti e,lungo il viaggio riesce a parlare con tutti così che, quando scende, s'è fatta dei nuovi amici. A leiavrebbero raccontato i loro fatti personali, persino quelli che mai avrebbero confidato ad un amicod'infanzia, ad un parente.

Elena aveva il dono di far sentire subito a proprio agio le persone. Una naturale vocazione al dialogo..

Quando arrivò l'acqua Gioacchino se ne versò subito un bicchiere colmo e lo bevve d'un fiato. Sentivaun'arsura dentro che lo prendeva.

Ne bevve un altro, più lentamente, ma si accorse che l'acqua non placava quella sua sete. Sfinito alloras'apprestò a sorseggiare il suo caffè.

Quando l'ebbe terminato Elena gli si avvicinò e gli chiese

"Tutto a posto, signore? Posso fare ancora qualcosa per lei?"

Gioacchino la guardò e le rispose

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Page 25: Poesie Un Lavoro Autunno

"...Tutto bene...grazie” Poi, raccogliendo tutte le forze che possedeva ebbe il coraggio di domandare:"...E’...è da molto che lavora qui signorina?"

Elena stava sparecchiando il tavolino, posò bottiglia bicchiere e tazzina sul vassoio.

"Dai primi di maggio, da quando la stagione s'è fatta bella”

Poi fu lei a chiedergli qualcosa:

“Lei è di questa città o è qui come turista?"

Gioacchino prese quella carta che la conversazione gli offriva. Era un argomento semplice che avrebbepotuto affrontare senza particolare difficoltà e che gli stava dando la possibilità di parlare con lei, almenoper un poco.

"No...sono di qui, sono nato qui e lo erano anche i miei...da tre generazioni"

"Elenaaaa!" si sentì chiamare da dietro il bancone, era la voce del titolare. Elena guardò un attimo versoil punto da cui la stavano chiamando poi si voltò verso Gioacchino e gli disse con un tono che a lui parvedi dispiacere

"Mi stanno chiamando...aspetti qui.” E poi soggiunse con voce più bassa e quasi confidenziale: “tornosubito."

Gioacchino seguì la ragazza con uno sguardo sorridente. Quel veloce scambio di battute se da un lato gliavevano placato un poco quell'ansia che si portava dentro, dall'altro lo aveva reso ancora più desiderosodi continuare a parlare. Come il primo boccone per l'affamato o il primo sorso per chi e roso dall'arsura,non placano né fame né sete ma fanno pregustare la sazietà, così quel breve dialogo aveva indotto inGioacchino la sensazione di una felicità che avrebbe potuto appagare se solo lei avesse continuato arimanere lì con lui. Elena sbrigò brevemente quanto il proprietario della gelateria le comandò di fare e poitornò vicina al tavolino di Gioacchino e, come se nulla li avesse disturbati continuò il discorso interrottopoco prima

"Anch'io vivo qui fin dalla nascita. Mi piace questa città, mi ci trovo bene"

Stimolato da quella specie di confidenza che s'era aperta fra di loro Gioacchino trovò il coraggio didomandarle: "…l'altra volta mi ha parlato di un gatto..." Il volto di Elena s'illuminò ancora di più con unlargo sorriso.

"Se lo ricorda? Lumiere, il mio gatto, anzi, il mio amico...coinquilino...confidente. Lumiere è tutto per me.Io e lui viviamo in una casa nel centro, è piccola ma ha un bel balcone dove ci tengo le piante e Lumierepuò prendere il sole e passeggiare senza pericolo di cadere o di farsi travolgere dalle macchine. Lepiacciono i gatti?" Gioacchino che era rapito da quel modo naturale di parlargli, avrebbe risposto di sì atutto pur di continuare, avrebbe ammesso di amare anche i serpenti a sonagli, ch'erano, come tutti iserpenti, la cosa che più lo facevano inorridire, tanto da non poterli vedere neanche in televisione, risposesubito:

"Sì, sì...certo adoro i gatti..."

"Ne ha uno anche lei?" gli chiese allora Elena.

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Page 26: Poesie Un Lavoro Autunno

"...no…” rispose Gioacchino, “...sfortunatamente no"

"Io non saprei vivere senza Lumiere..." disse Elena con un tono che s'era fatto leggermente malinconico."Vuole che le porti il conto, signore?" Gioacchino che s'era perso in quella conversazione che avrebbevoluto far durare all'infinito, s'accorse che era passata più di un'ora da quando si era seduto a queltavolino. Come di soprassalto rispose:

"...Certamente...certamente grazie…" pagò, lasciando una mancia alla ragazza che mentre si stavaalzando lo salutò dicendo:

"Arrivederla a domani, signore"

Gioacchino ebbe un sussulto a quelle parole.

"...Sì...” disse “...a domani, a domani."

E se ne andò convinto di avere un appuntamento per il giorno dopo.

Un appuntamento da rispettare.

 

Capitolo VIII:

 

Finché morte non ci separi

 

 

Un appuntamento, è un appuntamento.

Anche se uno non è un tipo ansioso, se ha un appuntamento, ci pensa. "Che giorno è oggi?...." e già nellarisposta è implicito che l'indomani c'è qualcosa da fare. Poi, quando arriva il giorno ogni volta che siguarda l'ora, uno lo deve ricordare: "sono le 10 e mezza” si dice per fare un esempio, e come un tarloecco che supera la soglia di attenzione: l'appuntamento. E ci si pensa per forza, meccanicamente: "oggialle tre, è per le tre..."

Poi, almeno un'ora prima, ci si comincia a preparare per uscire, oppure se si sta facendo altro, ci siaffretta a concludere, perché: "fra un'ora....". Tutto questo poi si amplifica se l'appuntamento è con unapersona speciale, colei o colui che si vorrebbe. Man mano che s'avvicina il momento cresce l'ansia di paripasso.

Se poi l'ora passa e l'altro è anche un po' in ritardo l'ansia si trasforma in dubbio poi, ancora infrustrazione.

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Page 27: Poesie Un Lavoro Autunno

"Arriverà? Perché non viene? Sarà successo qualcosa, oppure un imprevisto, oppure..."

Naturalmente oggi i cellulari hanno risolto molti di questi inconvenienti, quando si usano: "Scusa, sono inritardo" oppure "arrivo fra mezz'ora" o anche un SMS, insomma, oggi si può comunicare piùrapidamente, in tempo reale, si dice, ma fino a qualche anno fa, mica qualche lustro, solo qualche annofa, un ritardo era un spasmo del cuore.

Gioacchino se n'era andato dalla gelateria con un appuntamento per il giorno dopo: "arrivederla adomani" gli aveva detto Elena.

Non un generico arrivederci, che avrebbe potuto differire all'infinito un loro prossimo incontro.

"Arrivederla a domani", una precisa disposizione di tempo e di luogo. Era da intendersi come un esplicitoinvito?

Anche lei desiderava dunque rivederlo? Gioacchino era confuso, si sentiva felice in questa suacondizione di sospensione fra desiderio ed ansia. L'avrebbe rivista il giorno dopo e non per una banalecoincidenza, ma perché lei lo aveva invitato.

O forse, si stava sbagliando, tutto era una semplice coincidenza.

No, non poteva sbagliarsi :"arrivederla a domani" non un normale "arrivederla" Arrivò a casa conl'espressione trasognata, con gli occhi che già grandi di loro, apparivano ancora più dilatati dal fluire delleimmagini. Si gettò sul letto e chiuse gli occhi con un sospiro che sapeva d'attesa e di liberazione.

S'addormentò col lampo di quegli occhi nel cuore.

S'addormentò con l'alito di quel sorriso sulle labbra.

 

Elena tornò a casa subito quella sera, ad attenderla, come sempre Lumiere che quando entrò dalla portasi alzò dal suo angolo per andarle incontro e raccogliere una carezza.

Elena non lo deluse, in questo non lo deludeva mai, e lo riempì prontamente di coccole, carezze edattenzioni.

"Lumiere!” esclamò felice, “come stai micio, micio?"

E mentre gli parlava lo accarezzava tutto e Lumiere si raggomitolava per meglio godersi quello straripared'affetto.

"Vieni qua Lumiere che ti devo raccontare una cosa...."

Elena si mise su di una sedia con il gatto sulle ginocchia, continuando ad accarezzarlo sotto il muso cheLumiere protendeva per godersi in ogni centimetro quel piacevole massaggio.

"Oggi è ritornato un signore che era già venuto ieri, che buffo Lumiere! Dovresti vederlo! Ha gli occhicosì”, e mentre parlava con le mani faceva vedere al gatto il diametro pari a quello di una scodella, “e ilnaso Lumiere!”

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E con le mani mimava il becco di un rapace.

“Però è tanto timido...Fa quasi tenerezza... e poi, ti devo dire, credo di piacergli un po'... È così goffoquando mi parla! Sembra sempre che debba incespicare su ogni parola!"

Il gatto la guardava quieto, cercava di capire il motivo di quell'entusiasmo. Elena gli parlava diquell'uomo con un che di compassione, tenerezza e derisione.

Cosa voleva da lui?

Gli umani, a volte non riusciva a capirli.

"Gli ho detto "arrivederci a domani", sai? Mi ha fatto un po' pena, mi è sembrato tanto solo, ed hopensato di essere gentile con lui"

Lumiere la guardava socchiudendo gli occhi sopraffatto dalle coccole. La guardava per capire, ma tuttogli sembrava inutilmente artefatto e complicato. Se una gatta gli piaceva, lui glielo faceva ben capire conle consumate tecniche della natura e lei, se era nel periodo degli amori, contraccambiava, se no una gattaera una gatta qualunque, mica ci si perdeva per compassione.

Elena però non era un gatto, anche se le donne a volte, sembrano felini quando giocano con le loroprede.

Si rendono docili e fanno le fusa, pronte però a colpire in modo mortale.

Le diresti domestiche eppure conservano sempre dentro a sé l'animo selvaggio ed irrequieto. Guardi unadonna ed anche se la vedi pianura di grano in un ozioso pomeriggio di maggio, sai che dentro lei coval'onda del mare che può essere giocosa o di tempesta.

Imprevedibile. Deliziosa. Viva. Incostante. Amabile. Donna.

Non sapeva cosa chiedere a quell'uomo dai grandi occhi e dal naso buffo, dai modi goffi ma gentili. Leinon avrebbe avuto niente da dargli, eppure quelle attenzioni le facevano piacere.

E' più difficile rinunciare ad essere amati piuttosto che ad amare.

Perché quell'amore, la sensazione d'essere per l'altro colei che decide le vie del giorno e domina la nottecol sogno, riempie di significato quella voglia d'essere importanti e di potere. Quel desiderio dipossedere, che è comunque un significato dell'essere umano.

Soprattutto quando l'innamorato resta nell'ombra.

Cyrano che da dietro alla siepe fa salire la voce del cuore, e con la voce accarezza il tuo cuore. Propriotu Cyrano che di giorno saresti ripugnante, essere indesiderabile agli occhi d'una Rossana, detta Elena,bella dei suoi pochi anni e del suo sorriso, del suo seno pieno e dei fianchi che a stringerli sentirestid'avere fra le braccia tutte le gioie del mondo. Tu Cyrano, di notte diventi l'anima di contrasto. Iltornasole del suo bisogno d'attenzione, quelle tue goffe sembianze spariscono nell'ombra e restano vividequelle attenzioni che donano in lei il senso di un potere nuovo e sconosciuto. Il potere d'essere colei chedecide le vie del giorno e domina la tua notte col sogno.

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Page 29: Poesie Un Lavoro Autunno

E' più difficile rinunciare ad essere amati, piuttosto che rinunciare ad amare.

Lumiere, da gatto, non conosceva i percorsi tortuosi del cuore, o della coscienza, o, semplicemente, deibisogni dell'essere, comunque, umani. Guardò Elena, la sentì eccitata quantunque non ancora felice.

Si accoccolò sulle sue gambe. Elena si zittì, pensando a quella sensazione d'essere importante. D'esserecolei che decide le vie del giorno e domina la notte anche in sogno.

 

 

Capitolo IX:  

Calmarsi, a volte, conviene

 

 

Entrò nella casa senza neanche bussare. La porta era socchiusa ed i rumori degli operai che stavanoiniziando la ristrutturazione erano inequivocabili. Marco era in piedi in mezzo alla stanza principale eteneva delle carte in mano parlando con un muratore.

Stava probabilmente spiegando il progetto.

Elena non parlò subito. Rimase un attimo a guardarlo, non vista, in silenzio. Come in un attimo di temposospeso Elena guardava Marco come non avrebbe potuto farlo in pubblico.

Lo guardava come fosse il suo uomo e a lui pensava, in quel momento, come se lui fosse tutto nelmondo. Guardò quegli occhi, brillanti anche quando parlavano di qualsiasi cosa, e quei capelli.

Sentì in brivido scenderle per la schiena.

Può l'amore trasformarsi in un brivido?

Farsi sentire mentre attraversa tutto il corpo.

Sentì le labbra inumidirsi come se stessero per accogliere la bocca di quell'uomo che, poco distante, eralì e parlava.

Sogni di ragazza, si disse, senza però esserne troppo convinta.

Elena era così, caparbia, tenace, combattiva. Non si lasciava scoraggiare per niente. Non lo aveva fattoneppure a sedici anni, quella sera che sua madre le disse:

"Se esci anche stasera, al ritorno troverai la porta chiusa!"

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Page 30: Poesie Un Lavoro Autunno

Elena uscì quella sera e rientrò pure più tardi del solito, anche se non ce n'era bisogno. Eppure la portala trovò come sempre. Entrò in casa, accese la luce della cucina. Tutti dormivano. Si fece una camomillacalda e la sorseggiò lentamente, con un sorriso trionfatore stampato sulle labbra. Aveva vinto, pensò,quella che credeva una guerra.

Il tempo le avrebbe poi mostrato ch'era solo una battaglia.

S'accorse un po' alla volta che di tutta quella libertà poteva farne anche a meno. Non era il fare una certacosa che l'appagava, quanto piuttosto il sapere di poterla fare. Niente le doveva essere precluso.

Oggi quell'uomo che era di un'altra donna, che lo lasciava continuamente solo, dimostrando di nonmeritarlo, era il nuovo confine della sua libertà. Sapeva che lei avrebbe potuto farlo felice. Avrebbepotuto far ridere quegli occhi e ridendo, quell'uomo avrebbe mosso quei capelli che gli si poggiavano sulcapo, come quelli di un bambino. Quegli occhi che brillavano anche soli, con lei sarebbero stati felici.

Marco alzò gli occhi dal progetto e vide Elena accanto alla porta.

Le sorrise

"Buongiorno”, le disse “con tutto questo rumore non l'avevo sentita entrare..."

"Non tutto di quel che accade è subito manifesto..." disse Elena a mezza voce.

"Come ha detto?” chiese Marco. Poi, senza attendere risposta continuò "Venga... non ho moltecomodità da offrirle... qui i lavori stanno mettendo tutto sotto sopra"

Elena ch'era immersa nei suoi pensieri ebbe come un sussulto che la svegliò dal torpore delle suefantasticherie e, con allegro entusiasmo, si avvicinò a Marco chiedendo:

"Mi fa vedere come verrà la casa dopo i lavori?" Marco le porse il foglio del progetto e cominciò adindicare i locali segnati sulla carta.

"Questo sarà un grande locale, il centro della vita della casa. Da questa parte verrà una piccola cucina,qui ci sarà il mio studio...la camera da letto con il suo servizio e lo spogliatoio...qui, vede, verrà il bagnopiù grande, con una vasca, la doccia sauna ed una piccola palestra"

Il progetto era ben fatto e sfruttava al meglio tutti gli spazi di quella casa, ma Elena questo non lo volevadire, per cui soggiunse con tono quasi di sufficienza

"Sì...è abbastanza carino...” poi con tono allegro e quasi canzonatorio, concluse: "Però si poteva fareanche di meglio"

Marco la guardò con sguardo interrogativo.

"Se fosse casa mia la vorrei un po' diversa”, continuò Elena mentre Marco la guardava divertito "Nientestudio in casa, a casa non si lavora...ci sono cose più piacevoli da fare” e lo disse con tono sorridente emalizioso. “E poi,” continuò “ci vorrei una bella camera per i bambini...due bambini”

Alzò gli occhi dal progetto e guardando dritta negli occhi Marco gli chiese: “Non volete bambini lei e suamoglie?"

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Marco abbassò il suo sguardo come fosse imbarazzato, stette un po' in silenzio, poi, con un po' didifficoltà rispose

"...è un discorso difficile... ne abbiamo parlato varie volte con mia moglie... poi abbiamo deciso che erameglio di no...nessuno di noi potrebbe dedicarci il tempo...il col mio lavoro senza orari...lei che è spessoin giro per il mondo...” Aveva detto tutto questo a mezza voce, come se stesse parlando da solo, comese stesse ripetendosi un discorso troppe volte ridetto, una ferita mai chiusa. Alla fine riprendendo ilcontrollo con la piena ragione, riuscì a ritrovare la conclusione solita e razionale, quella che già tante volteaveva chiuso quel discorso che rischiava di minare la sua sicurezza, la sua immagine, che lo rendevaegoista, che non gli piaceva:

"Abbiamo fatto una scelta consapevole,” disse, riprendendo a guardare Elena negli occhi “abbiamoscelto per quello che potevamo dare. La vita è una sola, purtroppo, e non tutto è dato di poter scegliere.A volte si sceglie la famiglia, alte il lavoro e la carriera".

Tacque un poco, Elena lo guardava e non parlava, allora Marco sentì crescere dentro quel senso dicolpa che altre volte lo aveva turbato e riprese a parlare abbassando lo sguardo

"Io li vorrei dei figli...avevo detto a mia moglie che avrei anche rinunciato a degli incarichi...che sensohanno i soldi se poi servono solo ad essere accumulati...o ad accumulare cose di cui poi ti stanchi, edallora hai bisogno di altri soldi per comperarne altre che ti stancheranno in egual modo. Avrebbe dovutocambiare anche lei, però, avrebbe dovuto rinunciare almeno a seguire le gare, in giro per il mondo...leiperò non ha voluto...dice che per quel posto ha dovuto faticare parecchio...ed ha pure ragione..." Ebbeun sorriso triste, guardando Elena "Vede com'è difficile, a volte, scegliere...” Poi, cambiandocompletamente tono e riacquistando il suo normale le disse: “Ma io la sto annoiando con questechiacchiere.”

Elena lo guardò fissa, con lo sguardo che parlava tutte le lingue del cuore, gli appoggiò la mano sulbraccio e lo strinse leggermente poi soggiunse

"No...per niente". Marco guardò Elena e poi quella mano posata sul braccio. Rimase immobile, pianopiano sfilò il braccio sino a far scivolare in quella mano ch'era rimasta ferma, la sua.

Le due mani si strinsero.

Quella di Elena era un po' sudata, per l'emozione, e poi tremava.

Marco sentì quel tremore passargli dalla mano a tutto il corpo. Un brivido, un'emozione. Non aveva maipensato a quella ragazza i quel modo. Non aveva mai tradito la moglie. I pensieri si affollarono tuttiassieme nella mente.

Una vertigine lo colse, un attimo dopo la sua bocca cercava quella di Elena che lo accoglieva, morbida,sensuale, dolce, serena.

Fu un bacio che gli svuotò la mente, in quel bacio non c'erano più pensieri, angosce, paure, non pensòpiù a niente per quell'attimo.

Il mondo fuori era come fermo.

Non c'era sua moglie, non c'erano i muratori, non c'era rumore, non c'era il rimorso di un figlio voluto enon avuto. C'era un universo di pace come se tutto il peso della vita e del mondo fossero svaniti in

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quell'istante. Durò, quel bacio, quanto più a lungo le due bocche poterono resistere.

 

Quando si staccarono Marco guardò Elena in silenzio.

Le sorrise un po' impacciato. Elena aveva gli occhi lucidi per l'emozione. Ora tutto il corpo tremava.

Come aveva sempre sperato potesse tremare per un uomo.

 

 

Capitolo X:  

Si può star fermi in un posto solo?

 

 

Il giorno seguente Gioacchino fu puntuale al suo appuntamento con Elena e lei lo accolse con il consuetosorriso, e il giorno dopo ancora, e poi un altro giorno, ancora. I loro incontro si susseguivano così come iloro discorsi, che rimanevano quantunque vaghi.

Gli studi di lei, la sua casa, Lumiere, sempre presente. Pensando di compiacerlo Elena gli chiese dellamatematica. Gioacchino s'illuminò potendo parlare di quella cosa che più amava, o per meglio dire,dell'unica cosa che aveva amato, prima d'incontrare lei.

"La matematica iniziò con l'aria seria eppure felice, gli occhi sgranati ed illuminati da un sorriso lamatematica è l'essenza del mondo. La chiave di lettura dell'universo. Noi possiamo comprendere tuttoattraverso la sua logica, e proprio la logica ci aiuta a capire quello che ci pare incomprensibile. Anche iconcetti astratti con la matematica diventano semplici, nozioni che si possono padroneggiare" era feliceGioacchino, aveva imboccato la via maestra, una strada che lo vedeva sicuro, infatti il suo parlare erascorrevole, mai impacciato.

Sciorinava formule, esempi, nomi e date di grandi matematici, di scoperte di teoremi. Elena lo lasciòparlare per quasi mezz'ora, poi gli domandò dolcemente:

"Se la matematica può spiegare tutto, come lo spiega l'amore?" Gioacchino s'impacciò, sentì un fitta alcuore, arrossì e poi sudò, tutto in un istante. Elena venne chiamata dal proprietario della gelateria, e luiapprofittò di quella pausa insperata per ricomporsi.

Non aveva mai pensato all'amore, quel sentimento così violento che lo tormentava lo aveva semprescacciato, tenuto a bada con la logica della matematica che riusciva a frenarlo, a contenerlo, a volte

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anche a distrarlo, ma non poteva spiegarlo.

Pagò prima che Elena ritornasse al tavolo e si allontanò facendole un cenno di saluto da lontano. Elenaricambiò con un largo sorriso ed un cenno che voleva dire, "ci rivediamo".

"Si ricordi della matematica, professore, di come spiega l'amore" gli gridò mentre lui si allontanava.

Aveva bisogno d'aria e passeggiò per il centro.

La testa gli sembrava d'un peso insopportabile eppure completamente vuota.

Non riusciva a pensare. Non riusciva a trovare un nesso logico, una formula, un teorema, che glischiudesse quel mistero del cuore.

L'amore era inspiegabile attraverso le formule a lui note. Giunse così pensieroso a casa. Si sedette altavolo della cucina. Davanti a sé un foglio bianco su cui cominciò a tracciare delle linee.

"Siamo rette parallele che s'incontrano all'infinito” pensò “oppure io sono la tangente e tu il cerchio equesto punto d'incontro, il caffè la mattina, è l'unico che abbiamo"

Sentì montare dentro a sé la malinconia e lo sconforto. La sua mano tracciava ora segni senza senso sulfoglio. Righe oblique, scarabocchi. "Se fosse un solido calcolerei il volume, se fosse un perimetro lomisurerei, ma come faccio a calcolare l'area di questo amore?" Gioacchino guardava con sconforto ilfoglio pasticciato. Qual era la misura da cogliere fra lo spasmo del suo cuore ed il respiro che arrancava?Il calcolo dell'emozione, la visione notturna ed il volume di quel vuoto che sentiva dentro? Comecalcolare l'intensità di un sogno, la forza della molla che di notte lo faceva sobbalzare, e alzare dal letto?

Il volume dell'acqua che beveva quando sentiva un'arsura insolita nascergli dentro, quello lo potevamisurare, ma il fondo della sue sete, che quell'acqua non spegneva, quella era la misura imponderabile.Aveva voglia di gridare, si sentiva sopraffatto da quei numeri che non vedeva. Mille miliardi di cifre, diteoremi, di formule...tutto appariva senza senso, senza significato di fronte a quel mistero che loavvolgeva. L'amore non aveva alcuna spiegazione logica.

La matematica era formula incapace di contemplare quella realtà , perché lui lo sapeva che l'amore eraun oggetto reale, lo provava in ogni cellula del suo corpo, era dolore, esaltazione, oppressione, gioiaincontenibile. Era l'accelerazione di ogni palpitazione, era il suo sudore, era in respiro breve, l'ossessionenotturna, la ragione d'ogni suo giorno di vita. Elena era questo amore, così desiderabile, così tantolontano.

La matematica dunque non gli spiegava la vita, la racchiudeva, come un scrigno, a scomparti. Quandouna verità ingombrate s'affacciava, la matematica con la sua logica la classificava e l'ordinava.

E se una verità si faceva troppo ingombrante, la matematica la sopprimeva, esiliandola nei cassetti piùnascosti. La verità dell'amore ormai debordava in Gioacchino. Lo possedeva interamente.

Quell'amore così totale, quel desiderio tanto vitale aveva mutato la prospettiva di tutta la sua vita. Si alzòcon gli occhi quasi spiritati, sudava. Si avvicinò alla parete attrezzata dove, ordinati per autore e poi perdimensione e poi per argomento, c'erano tutti i libri della sua matematica. Li guardò un attimo tuttiperfettamente allineati. Lanciò un grido atroce e si scagliò contro quei libri. Era un grido d'angoscia, didolore ed assieme di liberazione.

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Gioacchino con le mani strappava i libri a quell'ordine perfetto e li gettava urlando in mezzo alla stanza.In preda ad un cieca forza distruttiva disordinava quell'ordine, disubbidiva alla fondamentale leggedell'entropia. La logica non spiegava l'amore, e neppure l'ordine. L'amore era il caos, quello stesso cheprovava dentro ogni parte del suo cuore e della sua mente. La logica era soccombente rispetto all'amore.

Il caos vinceva dunque sull'ordine. Si placò, la stanza era ridotta ad un campo di battaglia. Ansimandoguardò il frutto del caos. Sorrise, dentro di sé compiaciuto di quel gesto forse troppo a lungo covato edesiderato ed ora, finalmente sperimentato.

Sentì suonare al campanello. Aprì la porta e vide la sua vicina, anziana donna che s'intendeva di tutte lefaccende del caseggiato, che, messa in allarme da quel trambusto tanto insolito in un'abitazione dove tuttoera sempre stato misurato, gli chiese:

"Tutto bene Professore?" mentre con la testa cercava di guardare dentro casa per capire cos'erasuccesso. Gioacchino non la fece entrare. Aveva l'aspetto congestionato, la camicia sbottonata edansimava.

"Adesso sì...signora...grazie...ora va molto meglio"

Vedendo che la vicina di casa non tendeva ad andarsene ma, anzi cercava di incunearsi per megliocuriosare, la congedò dicendo:

"Ho molto da fare, adesso, signora, la ringrazio per la cortesia".

E chiuse la porta lasciando interdetta l'anziana signora.

Si voltò e ritornando nella stanza cominciò ad infilare i libri dentro ad un grande sacco della spazzatura.Era calmo, stavolta, consapevole che stava compiendo un gesto necessario. Stava dando il giusto peso alsuo passato, a quella cultura che lo aveva reso schiavo per tutta una vita.

Le convenzioni, le regole, i modi di dire, tutto doveva essere cancellato. Tutto poteva essere cambiato.Riempì un sacco, e poi un secondo ed un terzo. Riordinò alla bell'e meglio la stanza e portò i sacchi nelcassonetto dell'immondizia. Poi proseguì verso il centro dove trovò un negozio di poster e stampe. Entrò,non aveva mai considerato i quadri se non come ornamento. Per la prima volta li guardò comeespressione del cuore.

Ne vide una e vi si specchiò. Era il percorso di mille scale, dove gli uomini salivano e scendevanooccupando uno spazio senza dimensione, senza alto né basso, senza fronte né retro.

Era la sua immagine che si ritrovava dentro al labirinto di quel sentimento:

"Lo compro!” disse risoluto al commesso, “me lo può incartare?"

Poi ne vide un altro, gli occhi del gatto in un infinito ch'era cielo e mare. Pensò a Lumiere, pensò adElena e glielo voleva regalare.

"Prendo anche questo " disse ancora al commesso, “un pacchetto separato, per favore"

Il commesso incartò la tavola di Escher poi prese "il Gatto" di Magritte e ne fece una confezione regalo.

 

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Capitolo XI:  

Il Succhiatore d'Affetti

 

 

Furono giorni bellissimi, per Elena, quelli che seguirono.

Marco saliva sempre più spesso da lei, e sempre più spesso, con lei, dormiva. Marco era il suo mondo,il suo modo di comunicare, Marco era tutto, il suo anello di congiunzione con il mondo.

Se faceva una cosa, se solo la pensava, subito la rapportava a lui.

Gli sarebbe piaciuta? Cosa avrebbe pensato o detto sapendola?

Era entrata d'improvviso in un vortice strano, un rapporto esclusivo dove tutto il suo essere, la suaesistenza, veniva filtrata dalle emozione e dai pensieri di un altro, di marco. Elena era felice se Marco laguardava, se lui sorrideva, era felice quando lo pensava.

Annullata in lui, persa nell'immagine di quella storia. Quando facevano l'amore poi sentiva un'emozionespeciale.

Elena era molto appassionata in questo. Cercava d'intuire, di sapere, quali esperienze Marco aveva fatocon altre donne passate per riviverle assieme a lui. Era come se in una volta, volesse essere tutte le donneche marco aveva amato. Come se volesse contenerle tute in un'immagine i donna perfetta. Come se lasomma di queste fosse per Marco, l'immagine della perfezione.

Marco s'accorse subito di questo potere che esercitava su quella ragazza. Lei era dolce, appassionata,vitale, allegra.

Gioiva del suo solo sguardo o di un suo respiro. Viveva per anticipare ed esaudire ogni suo desiderio.La pensava, a volte, con stupore ed assaporava il gusto di essere il dio a cui i fedeli versano sacrifici, ildio che può chiedere ogni cosa poiché tutto gli sarà dato.

Non erano quelli di Marco i sintomi dell'amore, erano il segno di chi non può rinunciare a sentirsidesiderato.

Erano i segni dell'uomo che ha sofferto, che è stato privato e che, d'improvviso, sente di poter chiedereed avere tutto.

Marco si muoveva con Elena come un bambino capriccioso dentro un negozio di giocattoli.

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Page 36: Poesie Un Lavoro Autunno

Chiedeva, chiedeva, chiedeva. Ed Elena, immancabilmente, glielo concedeva con gioia.

Come nel gioco del tiro alla fune dove solo una parte tira e l'altra concede spazio, continuamente. Comel'aria immessa in una boccia di vetro dove prima s'era fatto il vuoto, si espande, sino a prendere l'interovolume. Così era la forma di quell'uomo, troppo al ungo compressa da una vita di contrattazione, dirinunce.

Ora l'io di marco si espandeva, si dilatava all'infinito. Non era più il marito di una donna forte che noncedeva per il suo amore, che non voleva quel figlio che avrebbe voluto, che lo lasciava, e che partiva.

Era l'io di un uomo che si sentiva infinito accanto ad Elena.

Giovane, fresca. Luminosa Elena.

Che sorrideva solo a guardarla, che tutto gli avrebbe dato che tutto gli dava.

Nei giochi d'amore Elena aveva sfogliato l'intera margherita, s'era tolta ogni petalo di pudore, e s'offriva,felice e consenziente, ad ogni sua fantasia. In quei giochi, marco provava il suo dominio assoluto.

Era come un bambino chiedeva, e chiedeva ancora.

Chiedeva cose che non aveva mai pensato di potere fare.

Elena lo assecondava in tutto. Ed alla fine di ogni gioco Marco non era saziato, ma aveva ancora un altrolimite da superare. Non erano quelli per lui i giochi dell'amore, ma la misura della sua solitudine.

Il tentativo di riempire un vuoto troppo grande. Il senso di una solitudine che lo lasciava ogni volta sfinito,mareggiato, deluso.

Non era quello il limite che lo avrebbe appagato, così che, ogni volta, terminata la passione, si ritrovavaa girarsi dall'altra parte mentre Elena avrebbe voluto carezze, e a dormire, deluso.

"Perché sono così felice con te?” Gli chiese una mattina Elena, mentre facevano colazione, “e perché conte riesco a fare cose che non avrei mai neppure immaginato?"

"Ci sono due verginità nella donna,” lui le rispose, “la prima è quella che ogni donna deve perdere. Lo faun giorno per curiosità, necessità o convinzione, l'altra la perde il giorno che sente davvero che stafacendo l'amore. La prima è una verginità passiva, infondo che ci vuole, un uomo le si corica sopra, leapre le gambe e, prima o poi, tutto finisce. La seconda vuole che sia lei a salire sull'uomo, sia lei a volerfare l'amore. E in quel gesto, in quell'attimo l'uomo penetra la donna non solo attraverso il suo copro maentra nella sua anima. Quella è la vera verginità di una donna. Non esistono donne sante ed altre puttane.Esistono donne che si sentono a proprio agio con un uomo e donne che invece non lo sono. Ogni donnaama fare l'amore, ma lo fa come e quanto in quel rapporto si sente considerata"

Ad Elena brillarono gli occhi, si alzò di scatto dalla sedia e corse ad abbracciare Marco: "Per questo,amore mio, con te lo faccio così bene, perché sento che tu mi capisci...perché so che con te sonorispettata..."

Lo riempì di baci sul collo, felice. Marco sentì il suo vuoto dentro che si muoveva. Si sentiva disagio aquelle manifestazione d'affetto assoluto che sapeva di non potere ricambiare con sincerità.

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S'ammutolì ed Elena pensò che fosse per il piacere.

"Com'è strano l'amore" pensò Marco quando fu uscita da quella casa. "Elena mi ama, è dolce, bella,gentile, allegra...potrebbe rendermi felice...eppure io non l'amo. Ma anche non amandola non sorinunciare al suo amore, così forte, così puro, così assoluto.

So di non poterle dare nulla di quanto vorrebbe e che pure non chiede. Mai una volta m'ha detto di miamoglie… mai una volta ha chiesto una parte nel mio futuro...È bella, dolce e viva. Ed io non posso fare ameno di questa sua vita. Io Nosferatu, il vampiro, vivo attraverso il sangue di una vergine, attraverso lasua vita che s'immola per riempire questo fondo che è infinito, che non si sazia mai. Per colmare questamia bisogno d'infinito, d'assoluto potere, di disperazione, di solitudine"

Così pensava il cacciatore di sé e della sua preda, con una dolcezza rivolta a lei che gli era quasisconosciuta, ed un timore e una vergogna, quasi, di sé, per quel suo non poterla, non saperla amare.

Quell'amore così assoluto, così privo di limiti lo rendeva solo, lo faceva specchiare con il fondo delle suepaure, della sua anima divisa, codarda da un lato, perché incapace di sottrarsi a quella morsa di dolcezza,inappagata e malinconica, dall'altra parte. Quel punto freddo che gli batteva nel petto era la parte del suocuore, morto. Pompa meccanica che pulsava sangue senza più passione.

Elena lo amava come mai lo era stato. L'avesse conosciuto prima quell'amore! Il tempo aveva essiccatola sua passione. Il ricordo di un lui passato era emerso tra le sue parole. Elena amava le sue parole e luigiocava con esse. Elena si perdeva nei suoi giochi.

"L'amore ha bisogno di cure pensava gioco e finzione, non si accordano. Elena pensa di bere latte dallamia mano, e miele, ed io avveleno invece la sua fiducia. Agnello tenero, nelle braccia del lupo. Io allora,Nosferatu, vampiro dell'anima, vivo attraverso le gioie di una vergine, attraverso i suoi occhi, usurpando,ingannando la sua felicità"

Elena era in casa. Giocava con Lumiere, felice, pensava a Marco, pensava al suo amore, pensava che luila stava pensando.

 

Capitolo XII:

 

Quando cala il sipario

 

 

Gioacchino si presentò prestissimo alla gelateria dove s'incontrava con Elena ormai ogni mattina. Eral'ultimo giorno d'agosto.

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Page 38: Poesie Un Lavoro Autunno

Per lui le ferie stavano terminando. Ricominciava la scuola.

La gelateria era ancora chiusa ed attese. Verso le 9.00 vide arrivare Elena, camminava sul marciapiedeed aveva un'aria pensierosa. Quando gli fu più vicina le si fece incontro.

Elena vedendolo gli sorrise e lui ne fu felice, incoraggiato. S'era preparato tutta la notte quel discorso edora sembrava che le parole volessero morirgli in gola.

"Come mai così presto?" domandò Elena. Di solito, infatti, lui arrivava almeno un'ora dopo. Gliappuntamenti vanno rispettati, anche nelle regole. Ci si aspetta ad una certa ora, se cambia l'orariocambiano le regole e non può esserci l'attesa ma, al più, la sorpresa.

"Oggi...."disse Gioacchino, con le parole che incespicavano, rigirando il pacco fra le mani ciancicando unpoco la carta che lo avvolgeva "...oggi è l'ultimo giorno che posso fare colazione...qui...da domaniriprendo il lavoro...in istituto..."

Voleva continuare, voleva dirle che avrebbe voluto rincontrarla a qualsiasi ora, in un altro posto, per tuttii giorni della sua vita, avrebbe voluto dirle del suo amore, di tutti i suoi pensieri, dei libri di matematica,buttati, voleva dirle della sua scoperta sulla vacuità della ragione, della vittoria del sentimento, voleva dirlequesto ed, assieme, tutte le parole del mondo.

Ma lei lo interruppe.

"Non lo dica a me! Per me questo è l'ultimo giorno di lavoro, da domani dovrò cercarmene un altro!”Quindi continuò con una frase che a Gioacchino parve una sentenza inappellabile.

"Da domani lei al lavoro ed io in cerca di uno nuovo...Questa dunque è l'ultima volta che ci vediamo!"

Gioacchino abbassò il capo, vacillò come se avesse ricevuto un colpo mortale. La testa gli si affollò ditutti i pensieri che sino a poco prima, attendevano d'uscire ordinati in un logico discorso "…l'ultimavolta...ultima volta...l'ultima volta..." erano le parole che gli rimbombavano dentro e che assordavano ognialtro rumore.

Si sentì mancare ma fece appello a tutte le sue forze per non cadere, per non lasciar trapelare ladisperazione che lo aveva colto. "...sì…” disse, con molta difficoltà “...questa ...è l'ultima volta"

Pronunciò quelle parole come se stesse annunciando la morte di un parente caro, della propria madre, diun figlio.

"Venga,” disse Elena, prendendolo sotto braccio, “sediamoci un poco assieme. Questa mattina allorasarà mio ospite. Dobbiamo salutarci da buoni amici"

"Da buoni amici" ripeté Gioacchino, quasi meccanicamente.

Si sedettero ad un tavolino e chiacchierarono ma Gioacchino non sentì quasi nulla di quello chedicevano. Elena gli parlava con il solito tono dolce ed allegro. Poi si alzò ed andò a prepararsi perincominciare il proprio lavoro. Tornò con un vassoio carico di dolci e con il solito caffè bollente

"Oggi servizio speciale" disse con entusiasmo

"Sì...” mormorò Gioacchino “...oggi è un giorno speciale"

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Page 39: Poesie Un Lavoro Autunno

Mangiò un dolcetto, quantunque avesse un nodo alla gola che non lasciava scendere nulla, e bevve il suocaffè. Quando fu il momento di andarsene disse ad Elena porgendole il pacco:

"Le ho portato un regalo...perché possa ricordarsi di me...qualche volta...spero che le piaccia"

Elena si mostrò sorpresa di quel gesto ma prese il pacco ed incominciò a scartarlo con allegria. Amava iregali, ed ancor di più adorava le sorprese. Quando vide la stampa di Magritte che riproduceva quegliocchi di gatto immersi in un cielo esclamò estasiata

"E' bellissimo...davvero...è bellissimo"

"Quando l'ho visto mi ha fatto pensare a lei, al suo gatto, Lumiere"

"A Lumiere piacerà tantissimo” disse Elena convinta, “spero solo che non sia troppo geloso nel vedereun altro gatto per casa"

Rise.

"Bene,” soggiunse Gioacchino, “è ora che io vada” e si alzò dalla sedia. Elena gli si avvicinò e con unoslancio spontaneo lo baciò sulla guancia vicino al fiorire delle labbra.

"Grazie" gli disse "grazie di tutto, dei bei momenti che ho passato con lei, e di questo quadro. Loconserverò per sempre, per tutta la vita, e sempre mi ricorderà di lei"

Gioacchino era rimasto sorpreso da quelle parole e da quel bacio. Quando si riprese Elena si era giàallontanata per servire altri clienti. Si accarezzò un poco la guancia, lì dove Elena aveva posato per unistante le sue labbra. Ne sentiva ancora il profumo. Mentre si allontanava si voltò a guardarla. Lei losalutò con il gesto di una mano.

"Addio" mormorò sottovoce Gioacchino mentre ricambiava quel saluto.

 

La storia fra Elena e Marco proseguì, fra alti e bassi, per qualche tempo ancora. Là dove non era natol'amore incominciarono i rimorsi per quell'amore che lui le stava rubando.

Marco sentì Elena stretta a lui e si sentì la cosa più importante della sua vita. Dopo i giorni della passioneiniziarono quelli del rimorso.

Marco sentiva crescere il disagio a volte l'insoddisfazione.

Elena pur non essendo gelosa di sua moglie, pur sparendo in un angolo ogni volta che sua moglietornava, riusciva dal suo guscio per chiedere la sua attenzione appena lei ripartiva per un nuovo viaggio,per una nuova gara.

Non gli chiedeva neppure molto, a pensarci bene. Marco questo lo sapeva. Voleva essere chiamata altelefono ogni tanto, quando lui era fuori per lavoro. Lo tempestava di messaggini al cellulare.

In ogni attimo era pronta a dichiarare il suo amore, infinito, eterno. Lui avrebbe solo dovuto cogliere queifrutti, ma dentro di sé tutto questo lo rendeva infelice. Sapeva di approfittare di quella ragazza, di

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Page 40: Poesie Un Lavoro Autunno

succhiarle la vita senza renderle nulla, senza che lei nulla gli chiedesse.

Mai gli domandò di lasciare la moglie. Mai gli chiese di farle uno sgarbo. Mai la nominò o parlò di leicon astio.

Una notte, mentre erano assieme. Elena gli disse:

"Voglio un figlio, un figlio da te" Marco la guardò e lei temette di essere stata fraintesa

"Non intendo un figlio per chiederti chissà quali cose. Lo so che non ho un posto nel tuo futuro, tu hai latua vita, non lascerai mai tua moglie per me. Per questo voglio un figlio che mi possa ricordare di te inogni istante della giornata, quando tu non ci sei. Io non ti chiedo niente. Solo un piccolo posto dentro latua vita"

Marco si sentì mancare. Sentì un senso di nausea crescergli dentro.

Era nauseato da sé.

Il troppo amore, che non riusciva a ricambiare, lo metteva a disagio.

A quella richiesta Marco rispose con un periodo di distacco. La evitava, quando lei lo chiamava lui erasempre troppo occupato e rispondeva evasivamente. Alle sue richieste d'incontrarlo lui si giustificavasempre con il troppo lavoro, e con nuovi impregni.

Seguì un periodo dalle alterne vicende. Ad abbandoni tempestosi seguivano riavvicinamenti appassionati.

Finché, un giorno, Marco decise che era tempo di cambiare vita. Conobbe una nuova donna, unahostess, alta, bellissima dura di carattere ma estremamente passionale. Se ne innamorò perdutamente.

Per lei lasciò la moglie, la casa e, quindi, Elena.

Iniziò una nuova vita.

La nuova compagna non voleva figli e, naturalmente, viaggiava..

Elena passò un periodo terribile dopo che Marco se ne fu andato.

Tutto lì attorno sapeva di lui. I muri, gli angoli di quella casa che lei aveva voluto per riempire dei propriricordi, tutto le parlava di lui, di quell'amore così grande che l'aveva colta, facendola tremare.

Doveva cambiare, vita, casa, cambiare in fretta come quell'amore l'aveva fatta cambiare.

Trovò una nuova casa, lontana dal centro, una piccola casetta in periferia. Due vani, più un piccoloservizio, era come la casa di Barbie, due stanze sovrapposte. Sotto soggiorno con angolo cottura, sopracamera da letto ed un piccolo bagno.

Era un piccola casetta isolata, l'avrebbe potuta descrivere come una villetta, ed aveva un grandegiardino.

Iniziò anche un nuovo lavoro, presso un'agenzia immobiliare. La sua facilità nel comunicare l'aiutavamoltissimo e a lei riusciva facile vendere alla gente quelle case.

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Le piaceva quel lavoro perché assieme alle case, ogni volta, vendeva un poco di sé, della sua allegria.Infondo le case sono calore, affetto, e se chi te le vende di fa sentire come di famiglia già senti, in quelparlare, un po' di quell'atmosfera speciale che vorresti sentire dentro casa tua.Lumiere sparì qualche giorno prima del trasloco.

Elena lo cercò a lungo, gridò il suo nome per tutto il quartiere.

Pianse per giorni. Nessuno lo aveva visto passare.

Nessuno sapeva dove fosse finito.

Qualcuno diede la colpa sottovoce, al pescivendolo o al macellaio che, di diceva, faceva certi bocconiavvelenati per gli animali, che odiava. Nessuno trovò il suo corpo. Qualcuno disse, dopo che Elena se nefu andata, che forse, il giorno in cui lei lasciò la casa, Lumiere era sul tetto e la guardava, con gli occhisoddisfatti e che, ma questa, sia chiaro, è una leggenda, la salutò con la coda ed un lungo miagolio chedurò tutta la notte.

 

Ho rivisto Gioacchino, qualche tempo fa. Dormiva in una stanza accanto alla mia in una piccola pensionedi una grande Città. Aveva lasciato l'insegnamento. Viveva, come si dice, senza fissa dimora, dielemosine della gente e dei diritti d'autore, alquanto magri, su qualche libro di matematica che di tanto intanto, scriveva.

Tornava ogni sera nella sua stanza, ubriaco. A volte piangeva.

Quando si sentiva solo mi chiamava per parlare. Mi raccontò lui la sua storia. Da un portafoglio lacerouscì un foto di Elena, che aveva avuto chissà come. Me la mostrò carezzandosi cento volte con la manola guancia, là dove fioriscono le labbra, dove Elena lo baciò prima di sparire.

 

 

Fine

 

 

 

 

 

 

 

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Page 43: Poesie Un Lavoro Autunno

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Collana I Sogni

 

Promos

Un lavoro d’autunno

 

Edizioni Soloparole

http://www.soloparole.com/

 

Prima edizione novembre 2001

 

Realizzazione E-Book a cura di PixelArt – Sandro Pescara

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