politecnico di milano - infn.it contatori a gas proporzionali e i rivelatori a stato solido al...
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POLITECNICO DI MILANO
Facoltà di Ingegneria dei Processi Industriali
Corso di Laurea Specialistica in Ingegneria Nucleare
STUDIO DI UN AMPLIFICATORE A
COMPRESSIONE LOGARITMICA PER
MICROD
Relatore:
Correlatore interno:
Correlatore esterno:
POLITECNICO DI MILANO
Facoltà di Ingegneria dei Processi Industriali
Dipartimento di Energia – CeSNEF
Corso di Laurea Specialistica in Ingegneria Nucleare
STUDIO DI UN AMPLIFICATORE A
COMPRESSIONE LOGARITMICA PER
MICRODOSIMETRIA
Prof. Andrea POLA
Prof. Vincenzo VAROLI
Dott. Paolo COLAUTTI
Tesi di laurea specialistica di:
Anno Accademico 2011-2012
POLITECNICO DI MILANO
Facoltà di Ingegneria dei Processi Industriali
Corso di Laurea Specialistica in Ingegneria Nucleare
STUDIO DI UN AMPLIFICATORE A
COMPRESSIONE LOGARITMICA PER
SIMETRIA
Tesi di laurea specialistica di:
Michele TOGNO
Matricola 739609
ii
INDICE
INTRODUZIONE ................................................................................................................................ 1
Capitolo I: MICRODOSIMETRIA ................................................................................................. 4
I.1 INTRODUZIONE ................................................................................................................ 4
I.2 GRANDEZZE FISICHE IN MICRODOSIMETRIA ................................................................... 5
I.3 MICODOSIMETRIA SPERIMENTALE: RIVELATORI A GAS TESSUTO-EQUIVLENTE ............. 8
I.3.1 VARI TIPI DI TEPC .................................................................................................... 11
I.4 MICRODOSIMETRIA SPERIMENTALE: RIVELATORI ALLO STATO SOLIDO ....................... 14
Capitolo II: MISURA DI SPETTRI MICRODOSIMETRICI ............................................................. 19
II.1 INTRODUZIONE .............................................................................................................. 19
II.2 SISTEMA DI MISURA ....................................................................................................... 19
II.2.1 IL RIVELATORE ......................................................................................................... 19
II.2.2 GESTIONE DEL SEGNALE E ACQUISIZIONE .............................................................. 21
II.3 COSTRUZIONE DELLO SPETTRO MICRODOSIMETRICO .................................................. 23
II.4 CALIBRAZIONE ENERGETICA DELLO SPETTRO MICRODOSIMETRICO ............................ 30
II.5 COME INTERPRETARE UNO SPETTRO MICRODOSIMETRICO ......................................... 33
Capitolo III: IL CONVERTITORE LOGARITMICO ......................................................................... 35
III.1 INTRODUZIONE .............................................................................................................. 35
III.2 L’AMPLIFICAZIONE LOGARITMICA ................................................................................ 35
III.2.1 LA CONFIGURAZIONE TRANSDIODO ....................................................................... 37
III.2.2 LA CONFIGURAZIONE A PIÙ STADI DI AMPLIFICAZIONE ........................................ 39
III.3 IL CONVERTITORE LOGARITMICO TL441AM .................................................................. 42
III.3.1 MISURA DELLO SCALE FACTOR ............................................................................... 44
Capitolo IV: DISEGNO E MODELLIZZAZIONE DEL CONVERTITORE LOGARITMICO .................. 47
IV.1 INTRODUZIONE ............................................................................................................. 47
IV.2 IL FILTRO FORMATORE .................................................................................................. 47
IV.2.1 IL FILTRO FORMATORE SEMI-GAUSSIANO .............................................................. 50
IV.3 MATCHING CON IL PREAMPLIFICATORE DI CARICA ....................................................... 52
IV.3.1 DETERMINAZIONE DELLA COSTANTE DI FORMATURA OTTIMA ............................. 52
iii
IV.3.2 LA CANCELLAZIONE POLO-ZERO ............................................................................. 55
IV.3.3 LA CORREZIONE DELL’OFFSET ................................................................................. 57
IV.4 MODELLIZZAZIONE E TEST DEL FILTRO FORMATORE ................................................... 57
IV.5 IL BLOCCO DI CONVERSIONE LOGARITMICA .................................................................. 60
IV.6 MODELLIZZAZIONE E TEST DELLA PARTE LOGARITMICA ............................................... 60
Capitolo V: PRIMI TEST CON IL CONVERTITORE LOGARITMICO ............................................. 66
V.1 INTRODUZIONE .............................................................................................................. 66
V.2 RISPOSTA DEL SISTEMA AL SEGNALE DEL PREAMPLIFICATORE DI CARICA ................... 66
V.3 RISPOSTA DEL SISTEMA A UNA VARIAZIONE DI SEGNALE CONTINUO IN INGRESSO .... 68
Capitolo VI: CONFRONTO TRA CONVERTITORE LOGARITMICO E CATENA DI AMPLIFICAZIONE
LINEARE .................................................................................................................. 71
VI.1 INTRODUZIONE .............................................................................................................. 71
VI.2 SET-UP SPERIMENTALE .................................................................................................. 72
VI.3 IL SISTEMA DI ACQUISIZIONE ......................................................................................... 73
VI.4 CARATTERISTICHE A CONFRONTO ................................................................................. 80
VI.5 SPETTRI E NON CONFORMITÀ LOGARITMICA ................................................................ 83
Capitolo VII: CONCLUSIONI ........................................................................................................ 90
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ......................................................................................................... 92
INDICE DELLE FIGURE .................................................................................................................... 96
1
INTRODUZIONE
Nella sempre più diffusa radioterapia adronica, o adroterapia, per determinare
l’effetto biologico della radiazione è di notevole importanza conoscere non solo la dose
impartita, ma altresì l’efficacia biologica o qualità del fascio terapeutico utilizzato per il
trattamento [1][2][3].
La microdosimetria offre, attraverso strumenti e grandezze fisiche dedicate, una
possibile soluzione alla determinazione della qualità della radiazione.
I contatori proporzionali tessuto-equivalenti (TEPC) sono per caratteristiche
adatti e molto utilizzati nella microdosimetria sperimentale, il cui scopo è quello di
misurare gli spettri microdosimetrici di un fascio di radiazione. Negli anni, lo sviluppo dei
contatori TEPC è stato notevole, mentre il sistema di processamento del segnale ad essi
associato è rimasto sostanzialmente invariato.
Così come in molte applicazioni in ambito industriale, anche nella
microdosimetria si ha a che fare con segnali variabili su un ampio range dinamico, con
conseguenti problemi se questi segnali devono successivamente essere amplificati.
Negli attuali sistemi di acquisizione dei rivelatori TEPC il problema della gestione del
segnale è affrontato mediante un’amplificazione lineare su più stadi: il segnale è
suddiviso e inviato a catene di processamento indipendenti (tipicamente 3) in modo da
poter collezionare i segnali su tutto il range dinamico. Per quanto efficace, è intuibile
come questo sistema di trattamento del segnale introduca delle complessità di varia
natura nella misura di uno spettro microdosimetrico.
Affinché le misure microdosimetriche possano essere effettuate direttamente su
fasci adroterapici all’interno di centri medici, devono quindi necessariamente ridurre la
loro complessità tecnica ad un livello confrontabile con le comuni misure dosimetriche.
A tale scopo, una semplificazione della parte di elaborazione del segnale proveniente dal
rivelatore costituisce un notevole miglioramento.
In questo contesto, il presente lavoro di tesi si propone come obiettivo lo studio e
la caratterizzazione di un amplificatore a compressione che permette di gestire i segnali
2
su tutta la dinamica richiesta per l’elaborazione di uno spettro microdosimetrico,
rimpiazzando i tre stadi di amplificazione lineare sopracitati. Il lavoro si è svolto in un
contesto di stretta collaborazione tra il gruppo di ricerca di Misure Nucleari del
dipartimento di Energia del Politecnico di Milano, il Laboratorio di Elettronica Nucleare
dove è stato progettato e assemblato il dispositivo e il Laboratorio di Microdosimetria
dei Laboratori Nazionali di Legnaro (INFN) dove si è svolta parte dell’attività
sperimentale.
La presente tesi risulta così organizzata:
nel primo capitolo sono introdotti i concetti base della microdosimetria e sono
esposte le caratteristiche dei principali tipi di rivelatori ad essa dedicati, ovvero i
contatori a gas proporzionali e i rivelatori a stato solido al silicio.
Nel secondo capitolo è descritto il procedimento di creazione di uno spettro
microdosimetrico, con riferimento ad una catena di acquisizione tradizionale e rivelatore
TEPC, e se ne espone l’interpretazione fisica.
Il terzo capitolo tratta delle soluzioni alternative ad una catena di acquisizione
tradizionale, con particolare attenzione alle possibili configurazioni per ottenere
un’amplificazione non-lineare. Nel finale, è introdotta l’idea di convertitore logaritmico
su cui si basa il dispositivo studiato, insieme con le prime verifiche sperimentali del
comportamento del componente TL441AM.
Il disegno e l’implementazione di un modello circuitale dell’amplificatore a
compressione logaritmica sono descritti nel capitolo IV; in particolare vengono analizzati
separatamente il blocco costituito dal filtro formatore e il blocco che opera la
conversione del segnale, mettendo a confronto i risultati delle prove sperimentali e
quelli del modello.
La caratterizzazione elettronica dell’intero dispositivo è presentata nel capitolo V,
dove se ne mostra la risposta ad un segnale variabile in ampiezza proveniente dal
preamplificatore di carica.
Nel capitolo VI è presentato il confronto tra i sistemi di amplificazione lineare a
più stadi e a compressione logaritmica, con una breve descrizione del software
3
sviluppato per l’elaborazione dei dati acquisiti. In ultimo, vengono raffrontati gli spettri
microdosimetrici ottenuti con misure da rivelatore TEPC irraggiato con particelle a basso
LET e alto LET presso i Laboratori Nazionali di Legnaro.
4
Capitolo I: MICRODOSIMETRIA
I.1 INTRODUZIONE
Il risultato dell’interazione tra radiazione e materia è la generazione di eventi di
eccitazione e di ionizzazione all’interno del mezzo irradiato, processo che può portare
alla manifestazione di vari effetti biologici (morte cellulare, insorgere di patologie
tumorali, mutazioni genetiche …). A causa della natura stocastica di questi eventi e di
quella discreta della materia, i depositi di energia da parte della radiazione risultano
essere distribuiti in modo non uniforme nel corpo irradiato.
Studi radiobiologici evidenziano come, a parità di energia media depositata per
unità di massa (dose assorbita), il numero di depositi di energia, la loro intensità e la loro
distribuzione spaziale influenzino fortemente gli effetti biologici indotti dalla radiazione.
Per questo motivo i concetti di LET e di dose assorbita sono validi sono in termini
macroscopici, in quanto la loro natura di grandezze medie non è sufficiente a descrivere
il processo a livello microscopico [4].
La microdosimetria si pone come obiettivo lo studio e l’analisi della distribuzione
microscopica dell’energia depositata nella materia irradiata, in particolare nel tessuto
biologico, attraverso una struttura concettuale e un metodo sperimentale codificati.
Poiché la distribuzione di energia dipende dalla grandezza del sito di deposito
considerato, essa deve essere studiata in siti di dimensioni specifiche che simulino quelle
delle strutture biologiche in cui è importante valutare il danno. In microdosimetria,
grandezze tipiche considerate sono 1�� o 2��, che corrispondono come ordine di
grandezza al braccio di un cromosoma.
Attraverso la simulazione di cavità microdosimetriche, e con l’ausilio di grandezze fisiche
trattate matematicamente come variabili aleatorie, la microdosimetria permette quindi
di descrivere il deposito di energia in microvolumi. Per questo motivo essa trova
applicazioni in molteplici ambiti, come la radiobiologia, la radioprotezione e la
radioterapia.
5
In questo capitolo sono descritte le principali grandezze della teoria
microdosimetrica e si introduce la microdosimetria sperimentale, con una panoramica
sugli strumenti a essa dedicati.
I.2 GRANDEZZE FISICHE IN MICRODOSIMETRIA
Le principali quantità usate in microdosimetria sono definite dall’International
Commission Radiations Units and Measurements [5]. A differenza di quelle utilizzate
nella dosimetria convenzionale, esse sono di natura stocastica, e sono, quindi, soggette a
fluttuazioni casuali che ci si propone di misurare.
Ricordando che l’interazione della radiazione con la materia avviene in maniera
discreta, si definisce transfert point il punto in cui avviene il trasferimento di energia, e
energy deposit �� l’energia depositata nella singola interazione (i), necessaria a
descrivere la distribuzione spaziale iniziale di energia all’interno della traccia generata
dalla particella carica. �� può essere scritta come:
�� = ��� − ��� + �∆� (I.1)
dove ��� è l’energia cinetica della particella ionizzante incidente, ��� è la somma delle
energie cinetiche di tutte le particelle ionizzanti che lasciano il punto di interazione. �∆�
rappresenta la variazione della massa a riposo del sistema, ovvero dell’atomo e di tutte
la particelle che sono state coinvolte nell’interazione (�∆� > 0 indica una reazione
esotermica, �∆� < 0 una reazione endotermica). Il deposito di energia �� ha come unità
di misura il Joule [J] o l’elettronvolt [eV].
La somma di tutti i depositi di energia in un dato volume costituisce l’energia
impartita, energy imparted �, nel volume stesso, dove i singoli eventi �� che partecipano
alla sommatoria possono essere dovuti a una o più tracce statisticamente indipendenti:
� = ∑ ��� (I.2)
6
Anche l’energia impartita è una grandezza stocastica che può essere misurata in Joule o
elettronvolt.
Il rapporto tra l’energia impartita � e la massa � della materia nel volume
considerato porta alla definizione di una nuova grandezza che prende il nome di specific
energy, �:
� = �� (I.3)
la cui unità di misura è il Gray [Gy]. In questo caso � rappresenta il valore dell’energia
impartita dalla radiazione alla massa �, e non il suo valor medio, come è invece nella
definizione di dose assorbita, introducendo così una sostanziale differenza tra le due
grandezze.
Anche l’energia specifica è una quantità stocastica ed è utile considerare la sua
distribuzione di probabilità. La funzione di distribuzione cumulativa �(�) indica la
probabilità che l’energia specifica sia minore o uguale al valore di �, la densità di
probabilità �(�) rappresenta la probabilità di avere un evento con energia specifica
compresa tra � e � + ��:
�(�) = ��(�)�� (I.4)
L’energia specifica media si calcola come valore di aspettazione di �:
�̅ = � ∙ �(�)��"# (I.5)
Data la definizione di dose assorbita $ [6]:
$ = lim�→# �̅ (I.6)
e considerando che le misure microdosimetriche riguardano volumi sufficientemente
piccoli da poter supporre costante il valore della dose per molti tipi di irraggiamento, si
può assumere �̅ = $ senza commettere errori rilevanti [7]. Allora, l’integrando della (I.5)
può essere visto come il contributo a $ dell’energia specifica compresa tra � e � + ��, o
ugualmente si può definire la funzione di densità di probabilità in dose �(�) come la
frazione di dose assorbita per evento di energia specifica compresa tra � e � + ��:
7
�(�) = �∙)(�)�̅ = ��(�)
�� (I.7)
I valori di aspettazione ��̅ e �*̅ possono essere calcolati e sono definiti come energia
specifica media nella frequenza e dose media specifica.
Un’altra grandezza microdosimetrica è la lineal energy + , definita come il
rapporto tra l’energia impartita in un singolo evento e la lunghezza della corda media nel
volume interessato:
+ = �,̅ (I.8)
ed è solitamente espressa in [keV/µm]. Per un corpo convesso, - ̅è data dal teorema di
Cauchy [8]:
- ̅ = 4 /0 (I.9)
dove 1 è il volume e 2 la superficie del corpo stesso. Per un corpo sferico:
- ̅ = 34 � (I.10)
con � diametro della sfera.
Analogamente a quanto visto per l’energia specifica, anche per la grandezza stocastica +
si possono considerare la distribuzione cumulativa �(+) e la densità di probabilità
�(+) = ��(5)�5 che rappresenta la probabilità di avere un evento con energia lineale
compresa tra + e + + �+.
Il primo momento +6�:
+6� = +"# ∙ �(+)�+ (I.11)
è chiamato energia lineale media nella frequenza. È utile considerare, analogamente a
quanto visto sopra, la distribuzione della dose in funzione di +. Si definiscono la densità
di probabilità in dose �(+):
�(+) = �*(5)�5 (I.12)
8
che è indipendente dal valore di dose assorbita, e il suo valore di aspettazione:
+6* = + ∙ �(+)�+"# (I.13)
ovvero l’energia lineale media nella dose. Si può anche qui esprimere il legame tra dose
e densità di probabilità in frequenza mediante la relazione:
�(+) = 5567 �(+) (I.14)
Dall’unione della (I.12) e della (I.14) si ricava l’energia lineale media nella dose:
+6* = 8567 +3"# ∙ �(+)�(+) (I.15)
I.3 MICODOSIMETRIA SPERIMENTALE: RIVELATORI A GAS
TESSUTO-EQUIVLENTE
Per adempiere agli obiettivi che la microdosimetria si propone, i rivelatori
utilizzati devono essere in grado di misurare eventi di deposizione di energia che
avvengono nel tessuto in siti di dimensioni dell’ordine di quelle medie delle cellule
umane, ovvero da qualche frazione di micron a qualche decina di micron.
Un rivelatore tipico per la microdosimetria è la TEPC (Tissue Equivalent Proportional
Counter), un contatore proporzionale con pareti tessuto-equivalenti.
Si richiama brevemente il principio di funzionamento di un contatore
proporzionale. Esso è costituito essenzialmente da due elettrodi, un anodo e un catodo,
e da una cavità che può essere riempita di gas a varie pressioni. Il potenziale che si
applica tra gli elettrodi genera un campo elettrico che permette la raccolta delle cariche
create nell’interazione tra la radiazione incidente e il gas di riempimento.
Il volume all’interno del rivelatore può essere suddiviso sostanzialmente in due
regioni: una denominata regione di drift ed una denominata regione di moltiplicazione,
come schematizzato in Figura I-1.
Figura I-1:
Nella zona di drift, gli elettroni creati nel proc
si muovono verso l’anodo senza dar luogo ad ulteriori fenomeni di questo tipo.
Una volta entrati nella zona di moltiplicazione, essi hanno acquisito sufficiente energia
cinetica per generare ulteriori ionizzazio
elettronica. Queste cariche, raccolte sull’anodo, costituiscono il segnale in uscita dal
rivelatore, proporzionale all’energia depositata all’interno della cavità.
È importante ricordare che il corretto confina
funzione di vari parametri, quali il potenziale applicato, la pressione del gas e la sua
composizione [9].
Nelle misure microdosimetriche, il numero di ionizzazioni prodotte da radiazione
a basso LET è esiguo per via
necessità di avere fattori di moltiplicazione piuttosto elevati, tipicamente dell’ordine di
104 o più, per riuscire a rilevare in modo soddisfacente anche gli eventi più piccoli.
Campi elettrici sufficientemente elevati si ottengono utilizzando contatori proporzionali
a forma sferica o cilindrica. Si ricorda a tal proposito la relazione che esprime il campo
elettrico all’interno del volume di un rivelatore cilindrico in funzione del raggio:
: rappresentazione schematica di un contatore proporzionale
, gli elettroni creati nel processo di ionizzazione delle molecole del gas
si muovono verso l’anodo senza dar luogo ad ulteriori fenomeni di questo tipo.
Una volta entrati nella zona di moltiplicazione, essi hanno acquisito sufficiente energia
cinetica per generare ulteriori ionizzazioni e innescare un processo denominato
. Queste cariche, raccolte sull’anodo, costituiscono il segnale in uscita dal
rivelatore, proporzionale all’energia depositata all’interno della cavità.
È importante ricordare che il corretto confinamento della zona di moltiplicazione è
funzione di vari parametri, quali il potenziale applicato, la pressione del gas e la sua
Nelle misure microdosimetriche, il numero di ionizzazioni prodotte da radiazione
è esiguo per via delle ridotte dimensioni del sito simulato. Ciò comporta la
necessità di avere fattori di moltiplicazione piuttosto elevati, tipicamente dell’ordine di
o più, per riuscire a rilevare in modo soddisfacente anche gli eventi più piccoli.
ici sufficientemente elevati si ottengono utilizzando contatori proporzionali
a forma sferica o cilindrica. Si ricorda a tal proposito la relazione che esprime il campo
elettrico all’interno del volume di un rivelatore cilindrico in funzione del raggio:
9
rappresentazione schematica di un contatore proporzionale.
esso di ionizzazione delle molecole del gas
si muovono verso l’anodo senza dar luogo ad ulteriori fenomeni di questo tipo.
Una volta entrati nella zona di moltiplicazione, essi hanno acquisito sufficiente energia
ni e innescare un processo denominato valanga
. Queste cariche, raccolte sull’anodo, costituiscono il segnale in uscita dal
rivelatore, proporzionale all’energia depositata all’interno della cavità.
mento della zona di moltiplicazione è
funzione di vari parametri, quali il potenziale applicato, la pressione del gas e la sua
Nelle misure microdosimetriche, il numero di ionizzazioni prodotte da radiazione
delle ridotte dimensioni del sito simulato. Ciò comporta la
necessità di avere fattori di moltiplicazione piuttosto elevati, tipicamente dell’ordine di
o più, per riuscire a rilevare in modo soddisfacente anche gli eventi più piccoli.
ici sufficientemente elevati si ottengono utilizzando contatori proporzionali
a forma sferica o cilindrica. Si ricorda a tal proposito la relazione che esprime il campo
elettrico all’interno del volume di un rivelatore cilindrico in funzione del raggio:
10
9(:) = /;</=>∙?@(A=A;) (I.16)
dove 1 è il potenziale e i pedici a e c stanno ad indicare rispettivamente anodo e catodo.
Applicando un potenziale 1B − 1C = 9001, e assumendo a titolo di esempio :C = 450��
e :B = 5��, il campo elettrico generato alla superficie dell’anodo risulta essere pari a
4.0 ∙ 10G /� . Per ottenere lo stesso valore in un contatore a facce piane parallele, con gli
elettrodi distanti 500��, è necessario fornire un potenziale ben maggiore, 20000V [10].
Si è già accennato al fatto che i rivelatori TEPC, per simulare misure in tessuto
biologico, hanno pareti di materiale tessuto-equivalente. Questa equivalenza si basa sul
fatto che il trasferimento di energia dalla radiazione al mezzo dipende massimamente
dalla combinazione atomica del materiale piuttosto che da quella chimica. Ciò significa
che è possibile creare materiali con proprietà di assorbimento simili a quelle del tessuto
biologico mediante combinazione dei principali costituenti della materia organica [11].
Tipicamente nelle TEPC si utilizzano la plastica conduttiva A-150 per le pareti e metano-
TE o propano-TE come gas di riempimento (vedi Tabella I.1 e Tabella I.2).
Elementi H C N O F Na Mg P S K Ca
Tessuto
Muscolare
ICRU
10.2 12.3 3.5 72.9 - 0.08 0.08 0.2 0.5 0.3 0.007
Plastica
A-150 10.1 77.6 3.5 5.2 1.7 - - - - - 1.8
Tabella I-1: composizione della plastica tessuto-equivalente A-150.
CH4 (%) C3H8 (%) CO2 (%) N2 (%)
Metano-TE 64.4 0 32.5 3.1
Propano-TE 0 55 39.6 5.4
Tabella I-2: composizione gas di riempimento per TEPC
11
Con i TEPC è possibile simulare siti di differenti volumi variando la pressione del
gas all’interno della cavità del rivelatore [4]. Questa può avere dimensioni anche di
qualche centimetro, per cui la simulazione di un sito di micrometrico è garantita se la
perdita di energia delle particelle cariche è identica, per traiettorie equivalenti, nella
sfera di tessuto e in quella di gas. In formule:
∆9� = H8I
�J�KL� ∙ M� ∙ �� = H8
I�J�KLN ∙ MN ∙ �N = ∆9N (I.17)
dove ∆9 indica la perdita media di energia nel tessuto, 8I
�J�K è lo stopping power massico
delle particelle cariche, M la densità del mezzo e � il diametro del sito sferico. I pedici t e
g indicano se il mezzo è tessuto oppure gas, rispettivamente.
Se la tessuto-equivalenza garantisce l’uguaglianza dei due poteri frenanti massici, la
(I.17) si risolve nella seguente:
M� ∙ �� = MN ∙ �N (I.18)
e quindi la relazione ∆9� = ∆9N è verificata se il rapporto tra le densità di gas e tessuto è
uguale all’inverso del rapporto dei diametri dei siti sferici. Si può facilmente ricavare il
valore della pressione del gas di riempimento per la simulazione di un volume avente
diametro ��:
P = MN ∙ Q∙RS = M� ∙ �T�U ∙ Q∙R
S (I.19)
dove V è la costante universale dei gas, � la temperatura assoluta e W la massa molare.
M� è solitamente approssimata con la densità dell’acqua (M� = 1 NC�X).
I.3.1 VARI TIPI DI TEPC
Storicamente i primi TEPC ad essere costruiti furono i contatori di Rossi, a
geometria sferica, e delle dimensioni di qualche centimetro. Il loro limite era legato
soprattutto ad una scarsa risoluzione spaziale e alla impossibilità di essere utilizzati per
12
misure in campi di radiazione ad alta fluenza. Lo sviluppo negli anni ha portato alla
creazione di rivelatori sferici commerciali che hanno trovato una vasta applicazione,
come quello rappresentato in Figura I-2.
Figura I-2: schema di un TEPC sferico della Far West Technology.
Sono stati studiati e realizzati anche TEPC con differenti geometrie; a titolo di
esempio si riportano gli schemi di un contatore piano e di uno a geometria cilindrica
rispettivamente in Figura I-3 e in Figura I-4.
Si è sopra accennato ad uno dei maggiori problemi che riguardano questo tipo di
rivelatori, ovvero alla difficoltà di effettuare misure microdosimetriche in condizioni di
irraggiamento con alta intensità per l’insorgere di problemi di pile-up. Le dimensioni
macroscopiche del volume sensibile del rivelatore non lo rendono uno strumento
adatto, ad esempio, ad un impiego in adroterapia per la caratterizzazione della qualità
dei fasci terapeutici.
13
Figura I-3: TEPC a geometria piana
Figura I-4: TECP a geometria cilindrica.
La soluzione al problema del pile-up è stata trovata con la costruzione di microdosimetri
denominati miniTEPC, nei quali, grazie ad un ridotto volume sensibile, si limita il
fenomeno e contemporaneamente si aumenta la risoluzione spaziale del rivelatore. Nel
Laboratorio di Microdosimetria dei Laboratori Nazionali di Legnaro sono stati progettati
e costruiti una serie di microdosimetri chiamati AMiCo (Adrotherapy Mini Counter) [12]
per applicazioni adroterapiche (Figura I-5) ed una dedicata all’applicazione in BNCT con
la realizzazione di microdosimetri denominati TwinTEPC [13].
14
Figura I-5: schema tecnico dei miniTEPC AMiCo1 e AMiCo2.
Allo stato attuale i contatori proporzionali tessuto-equivalenti sono i rivelatori
convenzionali per la microdosimetria, grazie alla loro sensibilità alle basse energie e alla
buona proprietà di tessuto-equivaenza. Inoltre il loro volume sensibile è ben definito e
risulta indipendente dalle caratteristiche del campo di radiazione (energia, LET delle
particelle …). Tuttavia essi risultano avere una elevata complessità, soprattutto tecnico-
costruttiva, e quindi anche una certa ‘fragilità’ e costosità.
Ancora, in riferimento ad un loro utilizzo direttamente nei centri medici, risultano essere
difficilmente trasportabili, e questo vale soprattutto per quei sistemi in cui il gas di
riempimento del TEPC è fatto circolare nel volume sensibile in maniera flussata, per
evitarne il suo deterioramento.
I.4 MICRODOSIMETRIA SPERIMENTALE: RIVELATORI ALLO
STATO SOLIDO
Un altro modo per effettuare misure microdosimetriche è quello di utilizzare
rivelatori basati su dispositivi a semiconduttore, sfruttandone le proprietà per
15
raccogliere la cariche prodotte dalla radiazione. L’evoluzione continua della tecnologia
del silicio ha permesso ai rivelatori allo stato solido di proporsi nel tempo come una
valida alternativa ai contatori proporzionali TE.
In ordine cronologico, il primo esempio di tali dispositivi è stato un rivelatore al Si(Li)
[14], seguito successivamente da altri numerosi esemplari, principalmente diodi al silicio
per la microdosimetria in campi neutronici [15][16][17].
Uno dei principali punti di forza di questi microdosimetri è la possibilità di
effettuare misure di deposizione di energia in siti che hanno realmente dimensioni
dell’ordine del micron. Inoltre possono vantare una elevata risoluzione spaziale e una
buona risoluzione energetica.
Tuttavia, il confronto con misure da TEPC ha spesso mostrato per questo tipo di
rivelatori marcate differenze, principalmente imputabili a forma e dimensioni dei volumi
sensibili.
Altri problemi sono la non tessuto-equivalenza del silicio, specialmente per i neutroni, e
la dipendenza dello spessore della zona sensibile dal LET della particella incidente,
fenomeno conosciuto come field-funnelling [18].
Questo effetto rappresenta il principale ostacolo ad una corretta applicazione dei
rivelatori al silicio nella microdosimetria. Esso è dovuto ad una distorsione locale del
campo elettrico nella zona svuotata che comporta una raccolta di coppie elettrone-
lacuna prodotte in una zona non svuotata dal rivelatore. Il risultato è la già menzionata
dipendenza della dimensione del volume sensibile dalle caratteristiche della radiazione,
in particolare dal LET.
Una soluzione a questo problema è stata proposta dal gruppo di ricerca di Misure
Nucleari del dipartimento di Energia Nucleare del Politecnico di Milano che, in
collaborazione con ST-Microelectronics, ha sviluppato un rivelatore denominato
telescopio monolitico al silicio [19][20](Figura I-6).
16
Figura I-6: telescopio monolitico al silicio.
Questo dispositivo è caratterizzato da due stadi, ∆9 e 9, realizzati su un unico substrato
di silicio. I due stadi condividono uno strato drogato p+,realizzato mediante
impiantazione ionica profonda di ioni boro, il cui scopo è quello di confinare la raccolta
della carica.
In pratica, ∆9 e 9 si possono modellizzare come due diodi aventi il nodo p+ in comune, e
polarizzati inversamente per creare le rispettive zone svuotate. Generalmente il nodo p+
è tenuto a massa, mentre dai due elettrodi di raccolta si estraggono i segnali che
costituiscono l’informazione sull’energia depositata nei rispettivi stadi.
Grazie a questa particolare configurazione, lo stadio ∆9, il cui spessore nominale è 2��,
può quindi essere impiegato come microdosimetro, essendo le sue dimensioni non più
influenzate dalle particelle che lo attraversano.
Lo studio e la caratterizzazione dei telescopi al silicio e il confronto con le misure
effettuate con TEPC hanno evidenziato problemi legati principalmente ad effetti di tipo
geometrico, per via della dimensione dell’area sensibile pari a 1��3. La possibilità di
avere tracce di questa lunghezza è causa di distorsioni dello spettro microdosimetrico
(per maggiori particolari sulla costruzione e il significato di uno spettro microdosimetrico
riferirsi al capitolo II) e rappresenta una seria limitazione all’utilizzo del dispositivo in
microdosimetria.
17
Tali evidenze hanno portato alla realizzazione di un nuovo rivelatore, basato
sempre sulla stessa tecnologia del telescopio monolitico, e denominato telescopio
monolitico a matrice di pixel [21][22][23]. Sviluppato presso lo stesso gruppo di ricerca di
Misure Nucleari del Politecnico, esso presenta uno stadio ∆9 non più uniforme, ma
segmentato in una matrice di elementi cilindrici detti pixel, realizzati su un unico stadio
9.
Nella schizzo riportato in Figura I-7 oltre alla geometria e alle dimensioni del singolo
pixel, è mostrata schematicamente la loro disposizione. Più di 7000 di questi elementi
sono collegati tra loro in parallelo, attraverso piste di contatto, per formare un’area
efficace di rivelazione pari a 0.5 ��3.
Figura I-7: schema di disposizione dei pixel nel telescopio a matrice (a) e particolare(b).
Va ricordato che per poter effettuare un confronto diretto con i TEPC è
necessario introdurre delle correzioni agli spettri misurati con il telescopio monolitico,
sia per le differenti geometrie dei rivelatori, sia per la non tessuto-equivalenza del silicio.
In particolare quest’ultima risulta essere molto accurata grazie alla struttura stessa del
rivelatore.
Lo sviluppo di questo filone tecnologico e gli studi condotti [24] dimostrano che il
telescopio monolitico a matrice di pixel può essere una valida alternativa ai
microdosimetri a gas. Questa conclusione è tuttavia fondata se ci si limita alla misura di
eventi energetici sufficientemente intensi (la soglia tipica per questo tipo di rivelatore è
intorno ai 7 [\/]� in energia lineale). L’elevata capacità di giunzione del telescopio a
18
matrice, dell’ordine di centinaia di pF, introduce elevati valori di rumore, anche in
condizioni di filtraggio ottimo, che inesorabilmente innalzano le soglie di rivelazione.
Il miglioramento di questo aspetto è stato studiato attraverso la caratterizzazione di un
prototipo a stato solido detto telescopio monolitico di silicio a singolo pixel, testato
proprio per indagare il limite di rivelazione di questi dispositivi e indicare le specifiche di
progetto di un nuovo rivelatore [25].
I risultati ottenuti mostrano come, a fronte di una bassa efficienza di rivelazione, sia
possibile con il telescopio monopixel abbassare la soglia di rivelazione ai valori tipici
raggiunti con i TEPC.
19
Capitolo II: MISURA DI SPETTRI
MICRODOSIMETRICI
II.1 INTRODUZIONE
Il modo più comune e utilizzato per rappresentare i risultati di una misura
microdosimetrica è la creazione di uno spettro che mette in relazione i valori di alcune
delle grandezze tipiche definite nel paragrafo I.2.
In questo capitolo si espone il procedimento standard che porta alla creazione di
uno spettro microdosimetrico e se ne dà una valida interpretazione. A questo scopo ci si
avvale, come esempi, delle misure effettuate al Laboratorio di Microdosimetria dei
Laboratori Nazionali di Legnaro. È quindi presentato anche il sistema di misura con
rivelatore TEPC e la relativa catena di acquisizione dei segnali.
II.2 SISTEMA DI MISURA
II.2.1 IL RIVELATORE
Il rivelatore utilizzato in parte dei test presenti in questo lavoro di tesi è un
prototipo, denominato EuTEPC [26] (European Tissue Equivalent Proportional Counter),
disegnato e realizzato per il progetto EuCPAD C/D1 nel Laboratorio di Microdosimetria
dei Laboratori Nazionali di Legnaro. Questo progetto, promosso dall’ESA e che conta
numerose collaborazioni, ha come fine lo sviluppo di dosimetri personali per gli
astronauti ospiti della ISS.
Il rivelatore EuTEPC è un contatore proporzionale sferico che può essere riempito
di gas propano a diverse pressioni e successivamente sigillato. La chiusura ermetica è
stata studiata e testata per evitare qualsiasi tipo di inquinamento del gas, soprattutto da
elementi molto elettronegativi come ossigeno e fluoro, in modo da garantire la stabilità
20
del guadagno nel tempo e la riproducibilità delle misure. È da evitare anche il
deterioramento eccessivo del gas di riempimento, dovuto alle continue ionizzazioni
provocate dalla radiazione incidente che ne spezzano i legami chimici delle molecole. Il
rivelatore è quindi necessariamente montato su un sistema di pompaggio che permette
sia di farne il vuoto all’interno, sia di riempirlo mantenendo controllata la pressione.
Nella Figura II-1 è rappresentato il sistema da vuoto che risulta essere così composto:
• una pompa rotativa, modello Alcatel 2012A, usata per creare un pre-vuoto fino a
circa 10<4�^_:;
• una pompa turbomolecolare, modello Alcatel 5100, che entra in funzione dopo la
rotativa e raggiunge livelli di vuoto nell’ordine di 10<` ÷ 10<G�^_:;
• un vacuometro a conducibilità termica Pirani e un vacuometro a ionizzazione
Penning per il controllo del livello di vuoto nel sistema;
• un vacuometro capacitivo a diaframma per il controllo della pressione all’interno
del rivelatore.
Figura II-1: sistema da vuoto e pompaggio gas per EuTEPC.
Per garantire l’uniformità della valanga elettronica nella zona di moltiplicazione, è stata
adottata una soluzione dettata da vincoli costruttivi e di utilizzo. Nell’EuTEPC il catodo,
che costituisce la parete esterna del rivelatore, è segmentato in più settori sferici o
anelli. Ciascun anello, costituito da plastica conduttiva tessuto-equivalente A-150, è
polarizzato ad una tensione stabilita grazie ad un partitore, in modo da avere all’interno
21
del rivelatore una forma corretta del potenziale elettrico. Questa configurazione
permette di confinare la valanga elettronica in una zona distante meno di 3��
dall’anodo.
L’EuTEPC permette di effettuare misure simulando siti di tessuto biologico di
1�� di diametro, e il range di energia impartita misurabile è valutato tra 0.1cd1 e
2Wd1.
Nella Figura II-2 si vedono la cupola esterna che funge da schermo elettrostatico (a
sinistra) e il rivelatore all’interno del contenitore a tenuta (sulla destra) già assemblato
sulla flangia di supporto, dove si posiziona l’elettronica di front-end.
Figura II-2: EuTEPC.
II.2.2 GESTIONE DEL SEGNALE E ACQUISIZIONE
Gli elettroni generati dalla radiazione incidente sono raccolti sull’anodo, che è
mantenuto a un potenziale nullo, e generano un impulso proporzionale al numero di
eventi di ionizzazione avvenuti. L’anodo è collegato direttamente, tramite un piccolo
cavo coassiale, ad un preamplificatore di carica appositamente progettato per questo
rivelatore.
22
Il segnale, positivo, in uscita dal preamplificatore viene inviato parallelamente a
tre amplificatori formatori commerciali, denominati amp1, amp2 e amp3 nello schema
in Figura II-3 (amp1 modello ORTEC 673, amp2 e amp3 modello ORTEC 572). Ciascuno di
essi dà una forma gaussiana al segnale, con un tempo di formatura e un guadagno
regolabili. Il tempo di formatura scelto per queste misure è di 2�e, mentre i guadagni
scelti sono ≅ 2 per amp1, ≅ 60 per amp2 e ≅ 1000 per amp3. Il motivo di questa scelta
sarà chiarito nel paragrafo II.3.
Figura II-3: schema del set-up di misura.
I tre segnali, opportunamente amplificati, sono mandati in ingresso a tre
convertitori ADC:
• ADC ORTEC AD114 da 16384 canali per il segnale a più alta amplificazione;
• ADC ORTEC AD413A da 8192 canali per i segnali a media e bassa amplificazione.
In uscita, ciascun ADC restituisce il numero di eventi registrati in corrispondenza di ogni
canale.
Questi moduli sono ospitati in un sistema di acquisizione CAMAC, il quale contiene
anche un modulo di memoria ORTEC HM 413 dove sono registrati gli istogrammi
pulser
EuTEPC preamp
amp 1
amp 2 ADC PC
amp 3
High Voltage
23
generati per ogni canale. Il trasferimento dei dati al computer avviene tramite un bus
SCSI, e sono quindi gestiti ed elaborati tramite il software Kmax distribuito da Sparrow.
II.3 COSTRUZIONE DELLO SPETTRO MICRODOSIMETRICO
L’utilizzo di tre stadi di amplificazione a guadagni differenti è necessario per
coprire l’ampia dinamica dei segnali provenienti da TEPC e garantire allo stesso tempo
una buona risoluzione sia per eventi di bassa che di alta intensità. Durante la fase di
calibrazione del sistema si regolano opportunamente i rapporti di amplificazione, sia per
sfruttare a pieno la dinamica del preamplificatore, sia per ottenere una buon zona di
sovrapposizione tra gli spettri dei tre canali. D’ora in avanti si indicheranno per
semplicità low LET, medium LET e high LET i canali rispettivamente ad amplificazione
maggiore, media e minore. Questa terminologia riflette il fatto che nel canale ad alto
guadagno sono registrati gli eventi con minor deposito energetico mentre quelli più
intensi saturano; viceversa dove il guadagno è minore anche gli eventi con grande
deposito energetico vengono contati.
In Figura II-4, Figura II-5 e Figura II-6 sono riportati gli spettri in conteggi dei tre ADC
ottenuti irraggiando il rivelatore con una sorgente di Am-Be da 100�hi per circa 14 ore.
24
Figura II-4: spettro in conteggi low LET.
Figura II-5: spettro in conteggi medium LET.
0
2 104
4 104
6 104
8 104
1 105
0 2000 4000 6000 8000 1 104 1.2 10 4 1.4 10 4 1.6 104
low LET
channels
0
2 104
4 104
6 104
8 104
1 105
0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000
medium LET
channels
25
Figura II-6: spettro in conteggi high LET.
Per generare lo spettro microdosimetrico è necessario unire i tre sub-spettri,
come in Figura II-7. Nelle zone di sovrapposizione essi devono presentare lo stesso
andamento per avere una corretta giuntura.
È inoltre applicato un fattore correttivo di scala in quanto, nelle zone di sovrapposizione,
i tre sub-spettri hanno un numero di conteggi per canali differente, fatto dovuto sia ai
differenti guadagni sia al diverso numero di bit degli ADC.
La corrispondenza canale-�1 che permette di graficare lo spettro come in Figura II-7 si
ricava mediante calibrazione della catena elettronica. Tramite un impulsatore di
precisione (modello BNC PB-4 Berkeley California) si invia un treno di impulsi di ampiezza
nota all’ingresso di test del preamplificatore (vedi Figura II-3) e si costruisce una retta di
calibrazione che stabilisce in maniera univoca una corrispondenza canale- �1 di test.
Una volta giuntato, lo spettro dei conteggi appare come in Figura II-8 .
0
1000
2000
3000
4000
5000
0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000
high LET
channels
26
Figura II-7: spettri riscalati e pronti per essere giuntati; i picchi all’estremità degli spettri di low LET e
medium LET sono dovuti alla saturazione del rispettivo canale.
Figura II-8: spettro in conteggi giuntato e calibrato con impulso di test.
0.01
0.1
1
10
100
1000
104
105
0.01 0.1 1 10 100 1000 104
low LET
high LETmedium LET
mV
0.01
0.1
1
10
100
1000
104
105
0.01 0.1 1 10 100 1000 104
mV
27
A questo punto, seguendo le indicazioni riportate in ICRU 36 [5] si può procedere
per ottenere una corretta rappresentazione grafica delle distribuzioni in energia lineale
�(+) e �(+).
Uno spettro microdosimetrico standard è un grafico semilogaritmico con in ascissa i
valori di energia lineale + in scala logaritmica e in ordinata il prodotto +�(+) o +�(+) in
scala lineare.Porre questi valori sugli assi di uno spettro microdosimetrico significa far
corrispondere ad aree uguali sottese alla curva:
• dosi uguali nel caso di +�(+);
• numero di eventi uguale nel caso di +�(+).
Questo tipo di rappresentazione richiede allora una riorganizzazione dello spettro per
passare dalla forma lineare in + a quella logaritmica in +. Il rebinning si effettua partendo
dall’equivalenza tra differenziale lineare e differenziale logaritmico:
�(+)�+ = +�(+)�(ln +) = (ln 10)+�(+)�(log +) (II.1)
La definizione data di �(+) implica la sua normalizzazione: �(+)�+ = 1"# , e deve
valere per + in scala lineare come per + in scala logaritmica. Se l’asse logaritmico
dell’energia lineare è suddiviso in m intervalli per decade, l’ n-esimo valore di + è:
+� = +# ∙ 10op (II.2)
dove +# è il valore più basso considerato, e l’incremento logaritmico di + è:
∆(log +) = 8q (II.3)
Per m sufficientemente grande si può assumere �(log +) = ∆(log +) e di conseguenza:
∆(ln +) = ln 10 ∙ ∆(log +) = ?@ 8#q (II.4)
Nella rappresentazione in +�(+) semilogaritmica in + si ottiene la corretta
normalizzazione come:
�(+)�+ = +�(+)�(ln +) ≈ ?@ 8#q ∑ +� ∙ �(+�) = 1"�s#"#"# (II.5)
28
e ugualmente per la rappresentazione in +�(+) semilogaritmica in +:
�(+)�+ = +�(+)�(ln +) ≈ ?@ 8#q ∑ +� ∙ �(+�) = 1"�s#"#"# (II.6)
In Figura II-9 e in Figura II-10 sono rappresentati gli spettri microdosimetrici della
sorgente Am-Be, risultati del processo di elaborazione descritto.
Ogni decade di energia lineale è suddivisa in 60 punti, equispaziati in scala logaritmica,
per un totale di 300 intervalli sulle 5 decadi che coprono tutto il range. Si noti come lo
spettro sia troncato ad un valore leggermente al di sotto della soglia imposta dal rumore
della catena di acquisizione. Per raggiungere i valori tipici dei più deboli eventi ionizzanti
(≈ 0.01 [\/]�) si ricorre generalmente a tecniche di estrapolazione lineare.
Gli spettri sono normalizzati in modo da poter effettuare un confronto diretto tra misure
in condizioni differenti e con diversi tipi di radiazione. Le distribuzioni pesate si
ottengono dalle seguenti relazioni:
�(+�) = �(5t)∑ �(5t)∙∆5tt (II.7)
�(+�) = 5t∙)(5t)∑ 5t∙)(5t)∙∆5tt (II.8)
dove n(+�) sono i conteggi raccolti e ∆+� l’ampiezza dell’intervallo logaritmico.
In realtà, negli spettri rappresentati in Figura II-9 e in Figura II-10 si è utilizzata
una notazione non corretta per indicare l’energia lineale sull’asse logaritmico. +[�1]
infatti non ha un reale significato, se non quello di ricordare che in questi spettri i valori
in ascissa sono i valori di tensione ricavati dalla calibrazione elettronica.
Affinché gli spettri microdosimetrici acquistino il loro significato fisico, devono essere
calibrati in energia.
29
Figura II-9: spettro microdosimetrico in frequenza di neutroni da sorgente Am-Be, sito simulato 2μ�. Il
picco al limite inferiore dello spettro è dovuto al rumore elettronico.
Figura II-10: spettro microdosimetrico in dose di neutroni da sorgente Am-Be, sito simulato 2μ�.
0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
0.1 1 10 100 1000 104
y [mV]
0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.1 1 10 100 1000 104
y [mV]
30
II.4 CALIBRAZIONE ENERGETICA DELLO SPETTRO
MICRODOSIMETRICO
Questa procedura permette di stabilire un rapporto di proporzionalità tra
l’energia depositata in un evento all’interno del rivelatore e il segnale elettronico
corrispondente generato. In un contatore proporzionale, il numero di cariche prodotte
nel processo di ionizzazione del gas di riempimento è legato all’energia depositata
tramite la grandezza x detta potenziale medio di ionizzazione. x si misura
convenzionalmente in \/
Cyy�B e rappresenta l’energia media necessaria a produrre una
coppia di ioni all’interno del gas.
A differenza di quanto avviene per i rivelatori a stato solido in silicio, x per i gas è una
grandezza che dipende sia dal tipo e dall’energia della radiazione incidente sia dal tipo e
dalla pressione del gas di riempimento.
In prima approssimazione, lo spettro microdosimetrico può essere calibrato ipotizzando
che x sia costante, introducendo successivamente delle correzioni che tengano conto
della sua variazione con il tipo di particella interagente.
Esistono principalmente due modi pratici per la calibrazione di uno spettro
microdosimetrico da TEPC:
• utilizzando una sorgente di calibrazione interna;
• utilizzando il metodo di ricerca della electron edge o proton edge.
La calibrazione mediante sorgente interna prevede l’inserimento all’interno del
rivelatore di una sorgente alfa di energia nota che viene rimossa una volta completata la
procedura. Le particelle alfa rilasciano tutta la loro energia nel volume sensibile del
TEPC, e grazie a ciò è possibile legare l’ampiezza del segnale generato all’energia lineale
media:
+z = 34 ∙ ∆J{� (II.9)
e calibrare tutto lo spettro una volta verificata la linearità del sistema. In II.9 ∆9z
rappresenta l’energia rilasciata dalle particelle alfa e � il diametro del sito simulato.
31
Può tuttavia risultare complicato se non impossibile inserire una sorgente di calibrazione
all’interno di un TEPC, e questo per motivi di complessità costruttiva o più
semplicemente per le caratteristiche e le dimensioni del rivelatore stesso.
Un secondo metodo consiste nell’individuare all’interno dello spettro
microdosimetrico i cosiddetti edges, che corrispondono al massimo rilascio di energia da
parte di particelle denominate exact stoppers. Si parla di electron edge, proton edge o
alfa edge a seconda del tipo di particella carica considerata.
Gli exact stoppers sono particelle cariche che si fermano esattamente dopo aver
percorso un cammino equivalente alla corda massima nel volume sensibile, ovvero al
diametro. Questo metodo di calibrazione risulta quindi valido se non intercorrono
fenomeni di straggling marcati, che potrebbero spostare a diverse energie l’edge
considerato. Per lo stesso motivo, dove possibile si preferisce calibrare mediante proton
edge, in quanto i protoni sono particelle meno soggette al fenomeno della diffusione e
compiono percorsi più lineari rispetto agli elettroni.
Dalle tabelle range-energia per neutroni monoenergetici riportate in ICRU 49 [27]
sono stati calcolati i valori di proton edge sia in gas propano tessuto-equivalente sia in
gas propano puro. Per maggiori dettagli sulla stima di questi valori e sul relativo calcolo
delle incertezze riferirsi a [10].
Esistono vari metodi per individuare con la maggiore accuratezza possibile il
punto esatto corrispondente ad uno degli edge in uno spettro microdosimetrico. Alcuni
esempi si possono trovare in [28] e in [29].
Sempre in [10] è presentato il metodo della derivata seconda, con uno studio
sperimentale completo che prova la sua validità.
La derivata seconda dello spettro microdosimetrico è calcolata dopo un processo di
smoothing di +�(+) e della sua derivata prima. Tale accorgimento risulta necessario,
nonostante diminuisca la risoluzione dello spettro, per ridurre le fluttuazioni statistiche
che possono impedire la corretta individuazione dell’edge. Un fit polinomiale di quarto
grado permette di localizzare il valore di +[�1] in corrispondenza del picco della
derivata.
32
In Figura II-11 è illustrata la ricerca del proton edge con la tecnica della derivata seconda
nello spettro di neutroni ottenuto nel paragrafo II.3.
Lo spettro microdosimetrico può essere così correttamente calibrato lungo tutto
il range di energia lineale. La Figura II-12 rappresenta lo spettro misurato con il
rivelatore EuTEPC, calibrato in energia, dove si è assunto per neutroni in un sito simulato
di 2�� un valore del proton edge pari a 161.5 [\/]� .
Maggiori dettagli sulle tecniche di calibrazione dei TEPC si possono trovare in
[30][31][32][33].
Figura II-11: particolare del proton edge e del picco della derivata seconda corrispondente.
0
0.05
0.1
0.15
100 1000 104
yd(y)
derivata seconda
y [mV]
33
Figura II-12: spettro microdosimetrico in dose di neutroni da sorgente Am-Be (energia massima dei
neutroni ≅ 10Wd1), sito simulato2��, calibrato in energia lineale mediante tecnica della
proton edge.
II.5 COME INTERPRETARE UNO SPETTRO MICRODOSIMETRICO
Per quanto detto nei paragrafi I.2 e II.3, poiché + è una grandezza simile al LET,
una rappresentazione dello spettro microdosimetrico come in Figura II-12 equivale a
stabilire una relazione tra dose assorbita e LET della radiazione incidente. Si ricorda che
nella rappresentazione +�(+) verso + aree uguali sottese alla curva corrispondono a
dosi impartite uguali.
Sempre partendo dallo spettro di Figura II-12, è possibile distinguere tre
principali zone della distribuzione che corrispondono a contributi di particelle a diverso
LET.
Una prima parte, che va da circa 0.1 [\/]� fino all’electron edge, è dovuta agli elettroni
secondari prodotti dall’interazione tra i raggi gamma che accompagnano il campo
neutronico e il catodo del rivelatore. È evidenziata in blu nella Figura II-13.
0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.1 1 10 100 1000
y [keV/µm]
34
Una seconda parte, compresa tra l’electron edge e la proton edge, è dovuta al contributo
di protoni di rinculo generati nelle interazioni elastiche dei neutroni con la plastica del
catodo (ad esempio 14N(n,p)14C). È evidenziata in giallo.
L’ultima parte, colorata in rosso, è una parte di distribuzione dovuta a particelle cariche
più pesanti prodotte in reazioni tra i neutroni veloci del campo e i costituenti del catodo.
Figura II-13: composizione dello spettro microdosimetrico di Figura II-12: in blu gli eventi dovuti a elettroni
secondari, in giallo gli eventi dovuti a protoni di rinculo, in rosso quelli dovuti a ioni pesanti.
electron edge
proton edge
35
Capitolo III: IL CONVERTITORE LOGARITMICO
III.1 INTRODUZIONE
Così come in molte applicazioni in ambito industriale, anche nel settore nucleare,
in particolare nella rivelazione di particelle, un ampio range dinamico è una delle
caratteristiche più importanti del segnale trattato.
In microdosimetria preservare questa caratteristica è essenziale per avere misure che,
come si è visto, coprano almeno quattro decadi di energia lineale.
Nel capitolo II è stato presentato un metodo per gestire i segnali provenienti da
un rivelatore TEPC, suddividendo opportunamente la dinamica in più stadi e utilizzando
un’amplificazione lineare.
Questo capitolo offre un’introduzione all’amplificazione non lineare come soluzione
alternativa al problema. Dapprima sono esposti i metodi tradizionali per avere
un’amplificazione di tipo logaritmica del segnale trattato. In ultimo è presentata l’idea di
convertitore logaritmico, oggetto di questo lavoro di tesi, insieme con le prime misure
sperimentali sui suoi componenti.
III.2 L’AMPLIFICAZIONE LOGARITMICA
Gli amplificatori di tipo logaritmico trovano applicazione ogni qual volta ci sia la
necessità di gestire un segnale ad ampio range (tipicamente 80 ÷ 100�m) e/o questo
debba essere processato da convertitori ADC con una dinamica limitata [34].
La caratteristica principale di un amplificatore logaritmico, che lo rende adatto a questi
scopi, è quella di avere il massimo valore di guadagno per segnali piccoli, guadagno che
decresce in modo logaritmico con l’ampiezza del segnale in ingresso. Per questo, un
amplificatore di tipo logaritmico può accettare in ingresso segnali con un ampio range
dinamico e sostanzialmente comprimerli.
36
Proprio in virtù di questo modo di operare, il termine ‘amplificatore logaritmico’ non
risulta essere completamente appropriato, e nel seguito di questo lavoro si adotterà la
più corretta dicitura di ‘convertitore logaritmico’.
Un convertitore logaritmico ha una funzione di trasferimento del tipo:
1�� = 15 ∙ log /to/} (III.1)
su un certo intervallo di valori di ingresso 1��. 15 rappresenta la pendenza della curva
caratteristica ed è espressa in Volt, così come 1K, che rende adimensionale l’argomento
del logaritmo e rappresenta l’intercetta sull’asse delle ascisse.
Il grafico della funzione di trasferimento è riportato nella Figura III-1, dove l’asse dei
segnali di input è in scala logaritmica, e la caratteristica ideale è rappresentata da una
linea retta.
Figura III-1: funzione di trasferimento di un convertitore logaritmico.
Si nota che per segnali in ingresso che tendono a zero, il comportamento del
convertitore logaritmico si discosta da quello ideale, e addirittura si può avere un
andamento di /~�T/to quasi lineare. Spesso tuttavia, questa non-idealità è sommersa dal
37
rumore elettronico, che è causa anche della limitazione del range dinamico del
dispositivo.
Per quanto riguarda la conversione di segnali negativi, dove la funzione logaritmo
non è definita, il convertitore può essere progettato in modo da avere una risposta:
• costante e negativa;
• proporzionale al logaritmo del valore assoluto dell’ingresso;
• proporzionale al logaritmo del valore assoluto dell’ingresso e negativa.
Esistono vari modi e varie architetture per realizzare un convertitore logaritmico,
qui di seguito sono esposte la configurazione transdiodo e la configurazione a più stadi di
amplificazione in cascata.
III.2.1 LA CONFIGURAZIONE TRANSDIODO
Il modo più semplice di realizzare un convertitore logaritmico è quello di sfruttare
la risposta esponenziale di un diodo polarizzato in diretta posto nel ramo di retroazione
di un operazionale in configurazione invertente (Figura III-2).
Figura III-2: amplificatore logaritmico con diodo in retroazione.
In questa configurazione si ha:
1� = −1* (III.2)
dove 1* è la tensione sul diodo. È nota anche la relazione tra la corrente che scorre nel
diodo, �*, e la tensione ai suoi capi:
1� 1� V
�*
1*
38
�* = �0 ∙ d ���∙�� (III.3)
con �0 corrente di saturazione inversa, � fattore di idealità che dipende dal materiale e
dal processo di fabbricazione, 1R è l’equivalente in tensione della temperatura e vale
1R = �p∙R�� .
Invertendo l’equazione (III.3) si ottiene:
1* = � ∙ 1R ∙ ln H /tQ∙��L (III.4)
e quindi si evidenzia come l’uscita sia proporzionale al logaritmo naturale della tensione
di ingresso.
Questa configurazione presenta tuttavia diversi svantaggi. Innanzitutto il range
dinamico è limitato a 40 ÷ 60�m per via delle caratteristiche non-ideali di un diodo
reale. In secondo luogo sia 1R che �0 dipendono fortemente dalla temperatura, il
dispositivo risulta adatto a gestire unicamente segnali unipolari, e la banda è limitata e
dipendente dall’ampiezza del segnale.
Per aumentare la dinamica, si preferisce inserire nel ramo di retroazione un
transistor BJT, in quella che si chiama configurazione transdiodo (Figura III-3).
Figura III-3: amplificatore logaritmico con transistor BJT in retroazione.
Questo componente possiede infatti una caratteristica di tipo esponenziale che ricalca
verosimilmente quella del diodo, e permette di aumentare il numero di decadi su cui
opera.
La configurazione transdiodo implica:
1� V 1�
39
1� = −1qJ (III.5)
Secondo il modello di Ebers-Moll [35], la corrente di collettore per un BJT è:
�� = �38 ∙ d�p��� = /tQ (III.6)
in quanto 1�q = 0. Allora, invertendo la (III.6), otteniamo la relazione tra ingresso e
uscita, ancora una volta di tipo logaritmico:
1qJ = 1R ∙ ln H /tQ∙���L (III.7)
Anche il comportamento del transistore bipolare è influenzato dalla temperatura,
dipendenza presente sia nel termine 1R, analogo a quello del diodo, sia nel coefficiente
�38 , che è proporzionale a dR , e rende quindi necessaria una compensazione.
Compensazione che deve essere introdotta anche per la presenza di un componente
attivo in un sistema retroazionato, motivo di possibile instabilità del circuito.
III.2.2 LA CONFIGURAZIONE A PIÙ STADI DI AMPLIFICAZIONE
L’idea che sta alla base di questa configurazione è di riprodurre la caratteristica
logaritmica mediante somma di opportune funzioni. Un possibile esempio è
rappresentato in Figura III-4, dove al posto di un unico amplificatore con caratteristica
logaritmica vengono utilizzati un certo numero di stadi lineari in cascata.
Supponiamo di avere � stadi lineari, ciascuno con un guadagno di � �m. Per segnali
sufficientemente piccoli, tali per cui nessun amplificatore è in regime di saturazione, il
guadagno al termine della catena è pari a �� �m.
Aumentando l’ampiezza del segnale in ingresso, l’ultimo stadio comincia ad essere
limitato: esso dà un contributo fisso e costante al segnale in uscita e il guadagno di
questa configurazione scende a (� − 1)� �m.
40
Figura III-4: architettura a più stadi di amplificazione per un convertitore logaritmico
Aumentando sempre più il segnale in ingresso, un numero decrescente di stadi
contribuisce all’amplificazione, fino a quando, al limite, anche il primo amplificatore
satura e l’uscita risulta indipendente dalle variazioni sull'ingresso.
La curva caratteristica è costruita come somma di tratti lineari, come si può
vedere in Figura III-5.
Figura III-5: risposta logaritmica della configurazione a più stadi di Figura III-4.
L’andamento ricalca in maniera soddisfacente quello di una funzione logaritmica. La
bontà di questa approssimazione è influenzata anche dalla scelta del parametro � di
amplificazione. Infatti, si può facilmente intuire che un guadagno molto alto coincide con
una peggiore qualità dell’approssimazione, mentre un guadagno molto basso permette
si una maggiore conformità, ma al contempo rende necessario l’utilizzo di un elevato
numero di stadi per coprire il range dinamico richiesto.
Generalmente, il compromesso tra queste due esigenze contrastanti si riduce alla scelta
di un fattore di guadagno compreso tra 10�m e 12�m.
Un'altra possibilità di riprodurre una caratteristica logaritmica mediante una
configurazione a più stadi è quella di sommare funzioni tipo tangente iperbolica. Si
41
sfrutta a tal proposito la possibilità di alcuni circuiti elettrici di produrre segnali in uscita
che ricalcano esattamente questo andamento. Un esempio è rappresentato dal circuito
in Figura III-6.
Figura III-6: circuito generatore di segnali con andamento a tangente iperbolica.
In questa configurazione, due transistori BJT di tipo npn sono disposti in modo da
avere in comune il terminale di emitter.
Le equazioni che regolano il circuito sono le seguenti:
�����
1�� = 1�8 − 1�3������ = d�t���
��8 + ��3 = ��JJ
� (III.8)
con � guadagno in corrente. 1�� rappresenta il segnale differenziale, ��8 e ��3 sono le
correnti di collettore, 1R è l’equivalente in tensione della temperatura e �JJ la somma
delle correnti di emettitore. Attraverso alcuni passaggi è facile giungere all’espressione
che lega 1� alla differenza delle tensioni di ingresso:
42
1� = V� ∙ (��8 − ��3) = � ∙ �JJ ∙ V� ∙ tanh H</t�3/� L
con V� resistenza di polarizzazione. Su tale principio di funzionamento si basa il
componente TL441AM (Texas Instruments) che è analizzato nel prossimo paragrafo, e
che sta alla base del progetto esposto in questo lavoro di tesi.
Per tutte queste configurazioni a più stadi di amplificazione si parla di non
conformità logaritmica facendo riferimento agli scostamenti della caratteristica generata
da quella ideale. In Figura III-7 è illustrato questo comportamento, dove è messa in
risalto la periodicità delle deviazioni dovuta alla presenza di vari stadi.
Figura III-7: errore di non conformità logaritmica tipico di configurazioni a più stadi.
III.3 IL CONVERTITORE LOGARITMICO TL441AM
Come detto nel paragrafo III.2.2, il componente TL441AM [36] è basato su coppie
di transistori BJT con caratteristica a tangente iperbolica. Queste coppie, disposte in una
configurazione opportuna, permettono di ottenere una caratterista finale che ha il tipico
andamento della una funzione logaritmo. In Figura III-8 è riportato lo schema interno del
componente TL441AM.
Come si può vedere dallo schema circuitale, all’interno del componente sono
presenti otto coppie differenziali. Ciascuna di esse costituisce un blocco di amplificazione
su un range di 15�m.
43
Figura III-8: schema circuitale del convertitore logaritmico TL441AM.
Nel complesso sono quindi presenti quattro celle, ciascuna costituita da due coppie
differenziali, alimentate da quattro ingressi diversi. Il segnale che si vuole amplificare,
1��, è quindi scomposto esternamente al TL441AM in quattro segnali:
• il primo è invariato rispetto a 1�� ed è inviato all’ingresso �1;
• il secondo è ridotto di 30�m ed è inviato all’ingresso �2;
• il terzo è amplificato di 30�m rispetto a 1�� ed entra sull’ingresso m1;
• il quarto è amplificato di 60�m ed è inviato all’ingresso m2.
In Figura III-9 è rappresentato lo schema a blocchi del componente.
Figura III-9: diagramma funzionale del componente TL441AM.
44
All’interno di ogni cella il segnale è ulteriormente scomposto, in modo da avere otto
diversi stadi di amplificazione che lavorano su un possibile range dinamico di 120�m.
Le correnti di collettore di ogni stadio sono sommate in modo da ottenere, per
ciascuna metà del circuito, una coppia di uscite (� e � oppure � e �) uguali in ampiezza
ma di polarità opposta.
III.3.1 MISURA DELLO SCALE FACTOR
La misura dello scale factor del componente TL441 è stato il primo passo nella
caratterizzazione dell’intero sistema. Le specifiche fornite dal costruttore indicano che
questo parametro deve essere compreso tra 7 �/�q e 11 �/
�q su uno stadio da 30�m.
La configurazione adottata per questa misura è quella rappresentata in Figura III-10: il
componente è montato su una breadboard così come tutti i relativi collegamenti. Il resto
dell’apparato di misura è composto da: QL 355 TP power supply (TTi) per le
alimentazioni, DC source 7651 (Yokagawa) per i segnali in ingresso, multimetro di
precisione 3478A (Hp) per la lettura delle tensioni in uscita.
Le indicazioni per una corretta misura dello scale factor sono fornite
direttamente dal costruttore tramite le seguenti relazioni:
e�_-d �_� ¡: = ¢/~�T(£¤¥¦�)</~�T(�§¦�)¨�/4#�q (III.9)
$h d::¡: = ¢/~�T(�¥¥¦�)<#.©∙/~�T(£¤¥¦�)<#.©∙/~�T(�§¦�)¨�/ªCB,\ )BC�> (III.10)
I valori trovati sono: 9.33 �/�q per il fattore di scala e 1.63�m per l’errore misurato (le
specifiche indicano una valore massimo di 3�m a 125°h).
45
Figura III-10: configurazione per la misura del fattore di scala di TL441AM.
Per una completa caratterizzazione del dispositivo che è oggetto di studio di
questa tesi, sono state implementate delle simulazioni in ambiente LTSpice [37], con lo
scopo di effettuare confronti diretti tra risultati del modello teorico e misure sul circuito
reale. Nel capitolo IV queste procedure sono presentate nel dettaglio.
Si quindi è reso necessario creare un modello circuitale in LTSpice per il componente
TL441AM, e verificare la congruenza tra comportamento reale e ideale.
A titolo di esempio, in Figura III-11 è rappresentato il modello LTSpice equivalente
alla configurazione in Figura III-10 per il calcolo dello scale factor, mentre in Figura III-12
è riportato il confronto dei segnali di uscita, misurato e ideale, dal blocco di
amplificazione formato dalle prime quattro coppie differenziali.
L’accordo tra i risultati sperimentali e quelli ricavati dalla simulazione è
soddisfacente. Si nota, nell’andamento delle due uscite, sia la presenza delle oscillazioni
descritte alla fine del paragrafo III.2.2, sia la perdita del ‘comportamento logaritmico’
alle estremità del range di amplificazione.
46
Figura III-11: modello circuitale per la simulazione del comportamento di TL441AM.
Figura III-12: risposta misurata e simulata dello stadio di amplificazione composto dalle prime due celle di
TL441AM. L’asse delle ascisse è in scala logaritmica.
I valori del fattore di scala calcolati sono:
• 11.94 �/�q per il componente reale,
• 11.99 �/�q per il componente simulato.
Questi valori confermano il buon accordo tra componente reale e il suo modello
circuitale.
47
Capitolo IV: DISEGNO E MODELLIZZAZIONE DEL
CONVERTITORE LOGARITMICO
IV.1 INTRODUZIONE
Il dispositivo concepito per comprimere la dinamica di un segnale elettronico, e
candidato quindi ad essere una valida alternativa al sistema di gestione dei segnali
mediante più stadi lineari, è stato progettato e realizzato presso il Laboratorio di
Elettronica Nucleare del Dipartimento di Energia del Politecnico di Milano. Esso è
composto sostanzialmente da due stadi o blocchi: uno lineare, costituito da un filtro
formatore semi-gaussiano, e uno di conversione logaritmica, disegnato attorno al
componente TL441AM introdotto nel precedente paragrafo III.3.
In questo capitolo, per entrambi gli stadi, sono riportate le specifiche di
costruzione più significative e le modifiche introdotte per adattarli alla catena
elettronica di test. Inoltre, sono presentati i risultati della caratterizzazione elettronica
effettuata separatamente per ogni stadio, sia mediante misure sul circuito reale, sia
attraverso simulazioni con un modello circuitale ideale.
IV.2 IL FILTRO FORMATORE
Il primo blocco del convertitore logaritmico è costituito da un filtro formatore, un
elemento necessario per una corretta gestione dei segnali raccolti [38].
Nelle misure di tipo nucleare infatti, il preamplificatore di carica è progettato in modo da
avere un tempo di decadimento del segnale abbastanza lungo, almeno dell’ordine delle
decine di µs, così da raccogliere tutta la carica generata da un evento di ionizzazione
all’interno del rivelatore. Tipicamente, il segnale di tensione in uscita da un
preamplificatore può essere quello riportato in Figura IV-1 (a).
48
Figura IV-1: segnale prima (a) e dopo la formatura(b).
Poiché l’informazione è contenuta nell’ampiezza del segnale in uscita ( 1( ) è
proporzionale alla carica raccolta), in un processo casuale nel tempo come quello che
caratterizza gli eventi rivelati è possibile l’insorgere di fenomeni di pile-up che alterano la
veridicità della misura. Per ovviare a questo problema si applica al segnale una
formatura adeguata. Idealmente si vuole ottenere il risultato rappresentato in Figura IV-
1 (b). In questo modo, le code degli impulsi vengono ridotte, mentre la loro ampiezza e
quindi l’informazione originale associata viene preservata.
Il processo di formatura viene effettuato dal filtro formatore che normalmente è
posizionato a valle del preamplificatore e prima dell’amplificatore vero e proprio, in
questo caso prima dello stadio di conversione logaritmica.
Esistono varie configurazioni circuitali che permettono la realizzazione di filtri formatori
adatti a varie esigenze. Ad esempio, oltre alla già citata riduzione del fenomeno del pile-
up, sono importanti per migliorare il rapporto segnale-rumore e per adattare la forma
del segnale allo stadio successivo, come nel caso in cui debba essere processato in un
convertitore ADC.
Per le sue ottime caratteristiche di rumore e per la sua ottima risposta nel
dominio del tempo, il filtro più utilizzato in elettronica nucleare è il filtro gaussiano.
Il circuito base per la realizzazione del filtro gaussiano è costituito da uno stadio
differenziatore accoppiato a uno stadio di integrazione, come in Figura IV-2.
49
Figura IV-2: circuito RC-CR che sta alla base del filtro gaussiano. L’amplificatore è aggiunto per
disaccoppiare i due stadi.
La risposta di questo circuito ad uno scalino in ingresso si calcola facilmente e vale:
1�� = 1�� ∙ ¬�¬�<¬� d< T®� − d< T®�¯ (IV.1)
dove °8 = V8h8 e °3 = V32 sono le costanti di tempo che determinano l’andamento
dell’uscita. Nel caso in cui °8 = °3 = ° la IV.1 diventa:
1�� = 1�� ∙ �¬ ∙ d<T® (IV.2)
Se ad un singolo stadio di differenziazione seguono in cascata più stadi di
integrazione il segnale in uscita dal filtro formatore tende ad avere una forma gaussiana.
Supponendo di avere n stadi RC, tutti con la stessa costante di tempo dello stadio CR, la
risposta ad uno scalino seguirà l’equazione:
1�� = 1�� ∙ H�¬L� ∙ d<T® (IV.3)
Il numero di stadi RC influenza la forma dell’impulso in uscita dal formatore:
aumentandolo cresce infatti anche il tempo di picco del segnale, pari a n° .
Contemporaneamente però diminuisce il tempo impiegato per il ripristino della baseline,
contribuendo a diminuire il pile-up alle alte frequenze di conteggio.
Nella pratica, quattro stadi di integrazione sono sufficienti per approssimare molto bene
una funzione gaussiana.
50
IV.2.1 IL FILTRO FORMATORE SEMI-GAUSSIANO
Quale filtro formatore da integrare all’ingresso del convertitore logaritmico è
stato scelto un filtro semi-gaussiano a tre poli e uno zero, in modo da evitare possibili
problemi di instabilità legati a configurazioni più complesse. È stato costruito utilizzando
il componente ADA4898-2 (Analog Device), che contiene al suo interno entrambi gli
amplificatori operazionali necessari alla sua realizzazione.
Le caratteristiche principali dell’ADA4898-2 sono un rumore molto basso (0.9 �/√²�), un
guadagno unitario stabile e un’alta velocità (slew rate 55 /]ª).
Nella progettazione del filtro, si è cercato di avere la coincidenza delle tre
costanti di tempo. La scelta del valore di questo parametro è stata fatta in base a
considerazioni di varia natura.
In primo luogo, la costante di formatura del filtro deve essere superiore al tempo di
raccolta della carica generata nel rivelatore, ovvero al tempo di salita del segnale
proveniente dal preamplificatore. In caso contrario, si possono avere problemi di deficit
balistico, cioè avere una perdita di informazione legata ad una sottostima dell’ampiezza
del segnale.
Il secondo punto da tenere presente per una scelta corretta è il rate di conteggio del
rivelatore. Come si è visto, tempi di formatura elevati comportano segnali più ampi nel
tempo e di conseguenza una maggior possibilità di incorrere in fenomeni di pile-up.
In ultimo, c’è da considerare che anche il rumore elettronico dipende dal tempo di
formatura del filtro: normalmente quindi il valore ottimale della costante ° corrisponde
al minimo valore del rumore.
Poiché questo convertitore logaritmico è stato pensato per misure
microdosimetriche su fasci terapeutici, dove i rate di conteggio sono dell’ordine delle
decine di migliaia di cps, si è scelto nella prima versione del progetto di avere una
costante di formatura breve, di poco superiore ai 100ne. In Figura IV-3 è illustrato il
disegno del filtro semi-gaussiano montato sul dispositivo.
Oltre alle valutazioni già viste, i valori di resistenze e condensatori sono stati
scelti anche in funzione del circuito a valle del filtro. Nelle specifiche del componente
51
TL441AM infatti è indicato tra −31 e +31 il range di corretto funzionamento, mentre
oltre i ±3.51 il segnale in uscita può essere distorto a causa della saturazione delle
correnti di collettore (vedi paragrafo III.3). Poiché la dinamica del preamplificatore
utilizzato arriva fino ad un massimo di 101, tutti i componenti passivi del filtro sono stati
selezionati in modo che le ampiezze in uscita siano attenuate di circa un terzo rispetto
alle ampiezze in ingresso.
Figura IV-3: filtro semi-gaussiano. Un’uscita BNC permette di acquisire separatamente anche il segnale a
valle del filtro.
Sempre facendo riferimento alla Figura IV.3, è possibile ricavare piuttosto
semplicemente la funzione di trasferimento del circuito:
/~�T/to = Q�∙QX∙Q´Q� ∙ ª¬�(8µª¬�)(8µª¬�)(8µª¬´) (IV.4)
dove °8 = h8V8, °3 = h3V3 e °¶ = h¶4 sono le costanti di tempo sopra menzionate. Con
i valori scelti per resistenze e condensatori si ottiene °8 = 140.4ne, °3 = 126.9ne e
infine °¶ = 144ne.
R1
R2
R3 R1
R4
C1
C2
C4
52
IV.3 MATCHING CON IL PREAMPLIFICATORE DI CARICA
Il filtro semi-gussiano è disegnato in modo da considerare la terminazione a 50·
del preamplificatore come parte integrante della rete di formatura. Il preamplificatore
con cui si sono effettuati i test della catena elettronica e le validazioni del modello è lo
stesso utilizzato durante le misure sperimentali con il rivelatore EuTEPC. È caratterizzato
da un basso rumore e da una dinamica di uscita che si estende, come detto, fino a 101.
Per un coretto adattamento con il filtro del convertitore logaritmico sono stati effettuati
dei test che hanno portato all’introduzione di alcune modifiche nel disegno dello stesso.
IV.3.1 DETERMINAZIONE DELLA COSTANTE DI FORMATURA
OTTIMA
Si è già accennato al paragrafo IV.2.1 che esiste una costante di formatura del
segnale, definita ottima, che permette di minimizzare il rumore elettronico immesso
nella catena di acquisizione [39][40][41]. La caratterizzazione dell’andamento del rumore
elettronico in funzione della ° (Figura IV-4) si effettua misurando 1ª�N� e 1>�ª che sono
rispettivamente i valori del segnale in uscita dall’amplificatore e il valore quadratico
medio del rumore associato, in corrispondenza di un segnale 1�� in ingresso al
preamplificatore. Il rumore può essere espresso in termini di rumore ENC (Equivalente
Noise Charge) ovvero in termini di carica rms equivalente all’ingresso del
preamplificatore:
9�h[d − :�e] = /A¦¸/¸tUo ∙ ���¹[d] (IV.5)
dove ���¹[d] è la carica iniettata nel preamplificatore, espressa in numero di elettroni,
attraverso la capacità di iniezione.
53
Figura IV-4: andamento del rumore elettronico in funzione del tempo di formatura applicato.
Per ottenere una corretta valutazione quantitativa del rumore è necessario
quindi conoscere con precisione la capacità di iniezione h��¹ del preamplificatore di
carica. Essendo il valore nominale pari a 1º� non certificato, la stima della h��¹ è stata
effettuata per via sperimentale mediante il confronto tra uno spettro generato con
sorgente di 241Am e un segnale di test da impulsatore.
Lo spettro, misurato con un fotodiodo commerciale (modello SFH225FA, prodotto dalla
OSRAM) di area sensibile di circa 25��3, presenta un picco in corrispondenza dei raggi
gamma da 59.54cd1 prodotti dal decadimento dell’americio. Riproducendo la posizione
di questo picco con un segnale da impulsatore è possibile risalire al valore della capacità
di test. Infatti, imponendo l’equivalenza della carica generata nel rivelatore e quella
iniettata attraverso la capacità di test, si ricava la relazione:
h�\ª� = J∙�/T�¸T∙��t (IV.6)
dove 9 è l’energia del picco dei gamma, 1�\ª� il segnale di test corrispondente, » e �0� sono rispettivamente la carica dell’elettrone e l’energia media necessaria a creare una
coppia elettrone-lacuna nel silicio, pari a circa 3.62d1.
Il valore misurato della capacità di test è di 1.632º� ± 0.066º�.
A questo punto è stato possibile riprodurre sperimentalmente quanto
rappresentato in Figura IV-4. Come si evince dal grafico in Figura IV-5, il minimo del
rumore ENC, pari a 236d − :�e, corrisponde a un tempo di formatura di 2�e. Per °
54
inferiori la curva del rumore cresce, fino a raggiungere valori di 346d − :�e in
corrispondenza di formature pari a 0.25�e.
Figura IV-5: andamento sperimentale del rumore elettronico in funzione del tempo di formatura applicato.
Il filtro semi-gaussiano del dispositivo, così come è stato progettato e realizzato
in un primo momento, ha un tempo di formatura che si è visto essere intorno ai 140ne,
e quindi causa di un rumore ancora più elevato.
Inoltre, il segnale in uscita dal preamplificatore presenta una salita molto veloce,
nell’ordine dei 100ne, quasi confrontabile con i valori della °.
Tutte queste considerazioni hanno portato alla decisione di allungare il tempo di
formatura del filtro inserendo dei condensatori opportunamente dimensionati, come
mostrato in Figura IV-6.
55
Figura IV-6: adattamento della formatura con l’introduzione di nuove capacità.
I nuovi valori delle costanti di tempo sono °8 = 280.8ne , °3 = 253.8ne e infine
°¶ = 288ne, raddoppiate rispetto alle precedenti.
IV.3.2 LA CANCELLAZIONE POLO-ZERO
Il segnale in uscita dal preamplificatore ha un tempo di decadimento finito (si
ricorda la Figura IV.1) regolato dalla costante di tempo di scarica della capacità di
feedback. La forma di questi impulsi può generare dei problemi nel momento il cui il
segnale passa al filtro e viene formato. Lo stadio differenziatore CR infatti differenzia la
lunga coda dei segnali e il risultato può essere quello di avere un segnale distorto che
presenta un undershoot rispetto alla linea di base. Un comportamento di questo tipo è
sicuramente da evitarsi.
La presenza di un pur piccolo undershoot (o overshoot) nel segnale formato è
messa in risalto, all’atto della conversione logaritmica, per via del comportamento del
dispositivo che tende ad amplificare maggiormente i segnali ad ampiezza minore.
Nella Figura IV-7 è mostrata l’uscita del convertitore logaritmico sullo schermo
dell’oscilloscopio: la sottoelongazione nella coda del segnale è ben visibile.
56
Questo tipo di problema può essere risolto introducendo una opportuna
correzione polo-zero nel circuito del filtro. In pratica è stato acquisito il segnale in uscita
dal preamplificatore e tramite un fit esponenziale se ne è ricavata la costante di scarica,
pari a circa 130�e. Quindi sono stati aggiunti un trimmer resistivo e una resistenza al
circuito del filtro (Figura IV-8) in modo da introdurre una cancellazione polo-zero per
valori di ° variabili nel range tra 64�e e 220�e.
Figura IV-7: undershoot in uscita dal convertitore logaritmico prima della correzione polo-zero.
Figura IV-8: resistenze per la cancellazione polo-zero.
57
IV.3.3 LA CORREZIONE DELL’OFFSET
L’ultima correzione introdotta nel circuito di formatura è legata all’offset del
preamplificatore. Esso presenta infatti in uscita un valore di tensione continua pari a
circa −760�1, che deve essere compensato all’ingresso del filtro. Questa correzione è
resa possibile attraverso un circuito resistivo opportunamente connesso alle
alimentazioni (Figura IV-9).
Figura IV-9: circuito per la correzione dell’offset in ingresso al filtro.
Sull’uscita del filtro si è posizionato anche un test point, indicato con tp1 nello
schema, utile per controllare il livello dell’offset durante le regolazioni.
IV.4 MODELLIZZAZIONE E TEST DEL FILTRO FORMATORE
Una volta realizzate tutte le modifiche descritte ai precedenti paragrafi, il circuito
del filtro formatore è stato implementato in ambiente LTSpice, in modo da poter
58
verificare la bontà del funzionamento del circuito reale confrontandolo con quello
modellizzato.
Innanzitutto, per poter verificare la linearità del filtro nelle normali condizioni operative,
si è scelto di effettuare una misura di questo tipo: grazie al generatore di funzioni
33250A della Agilent Technologies è inviato direttamente all’ingresso del circuito un
segnale ad onda quadra, caratterizzato da un rapido fronte di salita (< 8ne) e da un
offset di −758�1, con ampiezza che viene fatta variare nel tempo. L’ampiezza del
segnale in uscita è misurata tramite un digitalizzatore commerciale PicoScope 4424 (Pico
Technology), che permette l’acquisizione di 4 segnali in contemporanea ad una
frequenza massima di campionamento di 20 S0ª , con una risoluzione di 12 ^i .
Le coppie ingresso-uscita sono raccolte nel grafico di Figura IV-10. L’equazione
del fit lineare applicata ai punti sperimentali conferma la linearità del filtro su un ampio
range di ampiezze.
Figura IV-10: linearità del filtro formatore semi-gaussiano.
Il valore del coefficiente di regressione lineare del fit è pari a 0.99998, mentre il
rapporto delle ampiezze uscita/ingresso è di 0.352. Solo per valori superiori a 91 in
ingresso il segnale comincia ad essere affetto da distorsioni che sono causa di non
linearità. Questo comportamento è confermato dalla simulazione del circuito con
LTSpice, nel quale sono riprodotte le stesse condizioni della misura. Il fit dei risultati
59
della simulazione restituisce un coefficiente di regressione lineare pari a 1, mentre le
ampiezze risultano leggermente inferiori a parità di ingressi, con un rapporto di
uscita/ingresso di 0.333.
Con un procedimento analogo a quello esposto nel paragrafo IV.3.1 è stato
calcolato il valore del rumore rms, espresso in carica equivalente all’ingresso del
preamplificatore, con la nuova costante di formatura. Per l’amplificazione dei segnali si è
utilizzato un amplificatore lineare a basso rumore con guadagno noto costante (x81). Il
valore trovato è 9�h = 336d − :�e, in accordo con l’andamento e valori riportati in
Figura IV.6.
Infine, in Figura IV-11 è rappresentato il confronto tra l’uscita del filtro formatore
misurata sull’oscilloscopio e quella ottenuta con la simulazione, entrambe per un
segnale in ingresso al preamplificatore di ampiezza pari a 200�1.
Figura IV-11: uscita del filtro semi-gaussiano, la linea blu rappresenta quella reale misurata mentre la linea
arancione quella ottenuta con la simulazione del circuito in LTSpice.
Il rapporto tra i massimi delle due curve è pari a /¦�;¸/¸t¦ = ¼8�/
G`�/ ≅ 1.06, ed è coerente con
il rapporto #.4©3#.444 ≅ 1.06 tra le pendenze delle due caratteristiche ricavate in precedenza.
60
La relazione è verificata su tutto il range dei segnali di ingresso fino a 91. Il tempo di
picco si attesta attorno ai 500ne.
IV.5 IL BLOCCO DI CONVERSIONE LOGARITMICA
A valle del filtro semi-gaussiano il segnale entra nel blocco circuitale dove avviene
la vera e propria conversione logaritmica. Come già descritto al paragrafo III.3, esso
viene scomposto, prima di passare al componente TL441AM, mediante operazioni di
attenuazione e amplificazione. Gli stadi di amplificazione a +30�m e +60�m sono
realizzati mediante operazionali ADA4899 della Analog Device (guadagno unitario
stabile, rumore 1 �/√²�, slew rate 310 /
]ª); per entrambi è stato realizzato un circuito di
correzione dell’offset analogo a quello introdotto nello stadio lineare. La correzione è
fatta manualmente operando su appositi trimmer resistivi ed è possibile monitorare
l’andamento dell’offset nei test point installati.
L’uscita del componente TL441AM è composta da un coppia di segnali che viene
successivamente inviata ad uno stadio di amplificazione differenziale. Il circuito,
disegnato attorno all’operazionale LT1468 (Linear Technology), è riprodotto in Figura
IV.12 com’era nella prima versione del dispositivo.
IV.6 MODELLIZZAZIONE E TEST DELLA PARTE LOGARITMICA
Come per la parte lineare, in ambiente LTSpice è stata implementata la
simulazione del blocco di conversione logaritmica completo.
Per quanto riguarda il circuito di amplificazione di Figura IV-12, sono state introdotte
delle correzioni per evitare che il guadagno di questo stadio venga influenzato dalla
regolazione dell’offset. In Figura IV-13 sono riportati i valori di guadagno ottenuti
mediante un’analisi in AC per alcuni valori possibili della resistenza di trimmer.
61
Figura IV-12: stadio di amplificazione differenziale delle uscite. Il trimmer resistivo connesso ai punti x e y
serve alla correzione dell’offset.
Figura IV-13: simulazione AC del guadagno dello stadio differenziale al variare della resistenza per la
correzione dell’offset.
Questo comportamento indesiderato è stato modificato aggiungendo due operazionali,
modello OP200 (Analog Devices), che permettono di disaccoppiare il trimmer dal blocco
di amplificazione. Il nuovo disegno del circuito è mostrato in Figura IV-14, mentre in
Figura IV-15 è rappresentato il modello LTSpice realizzato per simularne il
comportamento. I risultati confermano la stabilità del guadagno per qualsiasi
regolazione operata.
62
Figura IV-14: stadio di amplificazione con circuito di correzione dell’offset.
Figura IV-15: modello di simulazione del circuito di Figura IV-14.
Al fine di avere una caratterizzazione elettronica completa anche per la parte di
conversione logaritmica, si è deciso di effettuare un’analisi in DC e procedere secondo lo
schema di confronto tra misura e simulazione. Questo test permette di verificare il
comportamento di tutte e quattro le celle del componente TL441AM simultaneamente e
la risposta dell’intero blocco ad un ingresso statico.
63
Per poter effettuare la misura sperimentale, si è reso necessario separare i due
blocchi lineare e logaritmico.
È stato quindi installato un secondo ingresso nel dispositivo, e mediante un normale
jumper è possibile scegliere di bypassare il filtro formatore ed entrare direttamente nello
stadio di conversione. Questa possibilità, indispensabile per il tipo di analisi che si voleva
condurre, può risultare utile anche in una fase di confronto con i normali amplificatori
lineari, e comunque aggiunge flessibilità di utilizzo al dispositivo.
In questa prova, il segnale di tensione continua è fornito mediante il generatore
Yokagawa 7651, il segnale di tensione in uscita è misurato con il multimetro di
precisione Hp 3478A.
L’analisi è stata effettuata anche per tensioni di polarità negativa, comprese in un range
tra −1.21 e +1.21, in modo da mantenere una risoluzione di almeno 10�1 sui valori di
ingresso.
Come sempre, in parallelo è stata condotta anche la simulazione con LTSpice
riproducendo le stesse condizioni operative.
I risultati di queste prove sono riassunti in Figura IV-16 e in Figura IV-17. Sia la
simulazione sia la misura diretta indicano un comportamento di buona simmetria tra la
risposta a segnali positivi e quella in corrispondenza di segnali negativi. In ogni caso, lo
scopo al quale è dedicato il dispositivo impone una soddisfacente caratterizzazione
soprattutto della risposta a segnali di polarità positiva, quali sono quelli provenienti dal
preamplificatore di carica.
Il confronto in Figura IV-17 tra l’uscita misurata e quella ottenuta dal modello circuitale
indica una buona corrispondenza tra le due, soprattutto per segnali di input che stanno
nelle decadi al di sopra del valore di 0.1�1. La caratteristica misurata presenta delle
oscillazioni legate alla non conformità logaritmica più accentuate rispetto a quella
simulata.
64
Figura IV-16: caratteristiche dello stadio di conversione misurate sperimentalmente per segnali di ingresso
continui, positivi (arancione) e negativi (blu). La curva blu è stata graficata prendendo il valore
assoluto di ingressi e uscite. Per segnali al di sotto di 0.1�1 si nota la tipica deviazione dal
comportamento ‘ideale’.
Figura IV-17: caratteristiche dello stadio di conversione per segnali positivi in ingresso, misurate
sperimentalmente (blu) e simulate in LTSpice (arancione). Le curve sono state aggiustate con
un fattore di scala in quanto il modello circuitale restituisce un guadagno superiore rispetto
a al dispositivo reale.
65
La verifica del comportamento dei due stadi, lineare e di conversione logaritmica,
rispetto al comportamento atteso è stato il passo preliminare alla caratterizzazione
elettronica dell’intero dispositivo presentata nel capitolo V.
66
Capitolo V: PRIMI TEST CON IL CONVERTITORE
LOGARITMICO
V.1 INTRODUZIONE
Dopo aver caratterizzato separatamente il filtro formatore e lo stadio di
conversione logaritmica, è stata studiata la risposta del sistema completo a segnali
elettronici di test.
In questo capitolo sono presentati i risultati di queste prove che completano lo studio
del comportamento del convertitore logaritmico in regime statico.
Dapprima è stata verificata la conformità della caratteristica del dispositivo al modello
ideale, quindi sono state effettuate delle misure per quantificare l’influenza sull’uscita di
una variazione del valore di tensione continua all’ingresso del filtro semi-gaussiano.
V.2 RISPOSTA DEL SISTEMA AL SEGNALE DEL
PREAMPLIFICATORE DI CARICA
Dopo aver verificato il comportamento dei singoli stadi, è stata valutata la
risposta dell’intero dispositivo a segnali elettronici di test, in una configurazione che
riproduce quella effettiva di misura con un rivelatore.
All’ingresso del filtro formatore è collegato il preamplificatore con terminazione a 50·, il
segnale di test è un’onda quadra con frequenza 100½� di ampiezza variabile fornita dal
generatore di funzioni 33250A (Agilent Technologies). I valori di tensione in uscita sono
letti su oscilloscopio digitale.
Per poter meglio apprezzare l’intera caratteristica di risposta, è stata effettuata una
media sul rumore del segnale in uscita, così da ripulirlo e poter visualizzare segnali anche
al di sotto della soglia normalmente imposta dallo stesso rumore elettronico. Per ogni
67
ampiezza del segnale in ingresso è stato registrato il valore medio del massimo del
segnale in uscita corrispondente.
In Figura V-1 è riportato il grafico della risposta del dispositivo. La caratteristica
presenta un andamento ‘logaritmico’ per quasi cinque decadi, mentre agli estremi tende
a divergere dal comportamento ideale. Per quanto riguarda gli scostamenti dovuti alla
non conformità logaritmica, una più approfondita analisi si trova al capitolo VI.
Figura V-1: risposta della catena preamplificatore-convertitore ad un impulso di test. L’asse delle ascisse è
in scala logaritmica.
Sempre tramite il modello implementato in LTSpice, è stato possibile fare dei
confronti diretti tra il comportamento reale del dispositivo e quello teorico. L’ingresso
del circuito simulato è costituito da un segnale che riproduce quello reale in uscita dal
preamplificatore, ovvero un segnale tipo esponenziale con rapido tempo di salita (80ne)
e una costante di discesa pari a 130�e. La risposta del sistema ‘ideale’ differisce da
quella di Figura V-1 solo per un fattore di scala, come già si è visto nel paragrafo IV.4 a
proposito del filtro formatore.
Per completare il confronto, sono state comparate anche le forme del segnale in
uscita dalla catena elettronica preamplificatore-convertitore. Dopo essere state riscalate
68
per lo stesso fattore di proporzionalità, esse presentano una più che soddisfacente
congruenza, sia nella forma che nella durata temporale (Figura V.2).
Figura V-2: confronto tra forme del segnale generato nella catena preamplificatore+convertitore per
impulsi di test di ampiezza pari a 200�1. Le ampiezze sono state riscalate per un fattore di
proporzionalità pari a 1.116. I segnali hanno una durata di circa 5�e.
V.3 RISPOSTA DEL SISTEMA A UNA VARIAZIONE DI SEGNALE
CONTINUO IN INGRESSO
Uno degli aspetti più critici e delicati di questo dispositivo è sicuramente la
variazione dei valori di tensione di offset che può verificarsi nei vari stadi all’interno del
circuito. Questa variazione può essere indotta da effetti termici e da una fluttuazione del
livello in continua del segnale d’uscita del preamplificatore che implica una non corretta
compensazione del valore di tensione all’ingresso dello stadio di amplificazione. Nel
capitolo IV sono stati descritti i punti di correzione delle tensioni di offset nei vari stadi,
mentre un sistema di correzione automatica mediante microcontrollore ha già terminato
la fase di progettazione.
69
Durante i test in laboratorio, prima di ogni misura il sistema è stato portato in
una condizione di stabilità termica, dopodiché sono state effettuate le regolazioni
necessarie ad azzerare gli offset. È stato verificato che il dispositivo risulta essere molto
più sensibile ad una non corretta compensazione della tensione di offset in ingresso che
ad una variazione legata alla temperatura.
Per quantificare il grado di sensibilità del convertitore logaritmico alle oscillazioni del
valore di tensione continua in uscita dal preamplificatore sono stati eseguiti due tipi di
misura differenti.
La prima, di natura statica, è stata effettuata utilizzando il DC Source Yokagawa
7651 collegato all’ingresso del filtro formatore. La compensazione dell’offset è stata
eseguita per un valore di tensione continua pari a −758�1, equivalente a quella
misurata per il preamplificatore in condizioni di stabilità. A questo punto, si è valutata la
risposta del sistema a fronte di una variazione del valore di tensione in ingresso,
misurando il corrispondente valore di uscita mediante il multimetro Hp 3478A. I risultati
della misura sono mostrati nella Figura V-3.
Il range entro il quale è fatto variare il segnale di input è significativo, soprattutto
considerando che si tratta di variazioni del valore di offset di un preamplificatore di
carica. Comunque il sistema reagisce amplificando fortemente queste variazioni, e con
un comportamento simmetrico, come è lecito aspettarsi date le sue caratteristiche.
La seconda prova è stata effettuata inviando all’ingresso del filtro lineare un
segnale ad onda quadra del tutto analogo a quello utilizzato per i test presentati al
paragrafo V.2, ma con una valore di offset variabile. In particolare, sono stati scelti tre
valori: −758�1 usato come riferimento per le correzioni, −768�1 e −748�1. Per
questi ingressi è stata misurata la media del valor massimo dell’ampiezza degli impulsi in
uscita con il digitalizzatore PicoScope 4424.
Le caratteristiche ottenute su un range di ampiezze del segnale di input che va da 0.2�1
a 101 sono riportate in Figura V-4 e mostrano un andamento in linea con le previsioni
del modello. Per segnali di ampiezza piccola, lo scostamento dal comportamento
‘corretto’ può essere significativo in funzione della variazione dell’uscita del
preamplificatore.
70
Figura V-3: analisi di sensibilità a variazioni dell’offset. Le linee rosse indicano il punto di lavoro corretto.
Figura V-4: risposta del circuito a gradini di ampiezza variabile per diversi valori di tensione di offset.
71
Capitolo VI: CONFRONTO TRA CONVERTITORE
LOGARITMICO E CATENA DI AMPLIFICAZIONE
LINEARE
VI.1 INTRODUZIONE
Poiché l’obiettivo fissato per questo lavoro è quello di verificare la possibilità di
sostituire, in un set-up per misure microdosimetriche, la tradizionale catena di
amplificazione lineare a più stadi con il convertitore logaritmico, si è deciso, dopo la
prima fase di caratterizzazione, di effettuare dei raffronti diretti tra le due
configurazioni.
A tal proposito, in questo capitolo sono presentati i risultati del confronto tra la risposta
ad uno stesso ingresso di test per una catena di acquisizione di tipo lineare e quella con
conversione logaritmica dei segnali.
Per poter effettuare questo tipo di prova, si è reso necessario lo sviluppo di un
software dedicato all’elaborazione dei segnali acquisiti. La logica di funzionamento e le
principale funzioni del programma, sviluppato in ambiente LabView [42], sono
brevemente descritte al paragrafo VI.3.
Terminate le procedure di caratterizzazione, il dispositivo è stato provato, presso
il Laboratorio di Microdosimetria ai Laboratori Nazionali di Legnaro, in una serie di
misure da sorgente con il rivelatore EuTEPC descritto nel capitolo II. Anche in questo
caso si è valutato il confronto con il metodo tradizionale di gestione dei segnali. I risultati
ottenuti sono presentati alla fine del capitolo.
72
VI.2 SET-UP SPERIMENTALE
Per avere un confronto diretto tra una catena di amplificazione tradizionale di
tipo lineare e il dispositivo a conversione logaritmica, sono state effettuate un serie di
misure in parallelo nella configurazione di seguito descritta.
La sorgente del segnale elettronico è rappresentata sempre dal generatore di
funzioni 33250A (Agilent Technologies) collegato all’ingresso del preamplificatore di
carica, lo stesso utilizzato sia per le caratterizzazioni elettroniche viste ai precedenti
capitoli sia per le misure con il rivelatore EuTEPC.
Il segnale immesso nel circuito è costituito da un treno di 2000 impulsi, equidistanziati
nel tempo a intervalli di 50�e, ripetuto per ampiezze variabili nel range 0.3�1 ÷ 31.
Questo intervallo di tensioni è stato scelto anche in funzione dei guadagni degli stadi di
amplificazione lineare. Infatti, in una configurazione che riproduce quella descritta al
paragrafo II.2.2, l’uscita del preamplificatore di carica è inviata in parallelo a tre stadi di
amplificazione che chiameremo low LET, medium LET e high LET, costituiti
rispettivamente da un modulo Silena 7611/L e due moduli Silena 7614. I guadagni degli
amplificatori lineari sono impostati in modo da avere una buona zona di sovrapposizione
tra i vari stadi e da privilegiare gli eventi a minore intensità.
Per la costante di formatura è stato scelto il valore di 0.25�e, la più simile, tra quelle
impostabili in questi moduli di amplificazione, alla costante del filtro del convertitore
logaritmico. Questa scelta è stata fatta proprio in virtù di una maggiore conformità tra le
due catene, nonostante sia penalizzante dal punto di vista del rumore elettronico (vedi
paragrafo IV.3.1).
Come detto, lo stesso segnale in uscita dal preamplificatore è inviato
parallelamente ai tre stadi di amplificazione lineare e al convertitore logaritmico. In
questa particolare configurazione, l’accoppiamento con le impedenze dei vari blocchi fa
variare il valore di tensione continua del preamplificatore, rendendo necessaria una
diversa compensazione all’ingresso del filtro formatore del convertitore.
In Figura VI-1 sono rappresentati gli elementi e i collegamenti che compongono il set-up
di misura descritto.
73
Figura VI-1: schema del set-up di misura.
A valle dei vari stadi di amplificazione, il segnale è acquisito mediante il
digitalizzatore commerciale PicoScope 4424 (Pico Technology) [43]. Le caratteristiche di
questo strumento, introdotte brevemente nel paragrafo IV, sono descritte con maggior
dettaglio nel prossimo paragrafo, insieme con il software di acquisizione sviluppato e
dedicato a questo tipo di misura.
VI.3 IL SISTEMA DI ACQUISIZIONE
L’oscilloscopio digitale PicoScope 4424 permette l’acquisizione di tutti e quattro i
segnali contemporaneamente, con una frequenza massima di campionamento di 20 S0ª e
una risoluzione di 12 ^i . È gestito mediante software programmati in ambiente
LabView grazie alle librerie fornite dalla Pico Technology.
Per quanto riguarda l’acquisizione dei segnali si è scelto di conservare l’intera
forma d’onda campionata salvando l’intero dato originale. Questa soluzione porta
numerosi vantaggi, che consistono nella possibilità di effettuare tutta una serie di analisi
ed elaborazioni off-line del segnale, controllare l’insorgenza di problemi o disturbi nella
catena e verificare il corretto funzionamento del sistema di acquisizione.
74
Il software utilizzato per gestire la parte di campionamento è stato sviluppato in
precedenti lavori all’interno del gruppo di ricerca di Misure Nucleari ed è basato sulla
modalità RapidBlock dell’oscilloscopio. Questa modalità stabilisce un certo numero di
segmenti in cui suddividere il buffer di memoria interno del PicoScope (da 32W2), i quali
corrispondono ad un numero preciso di forme d’onda da acquisire prima di trasferire i
dati al computer attraverso un porta USB.
L’utente può impostare attraverso l’interfaccia grafica del software una serie di
parametri che regolano l’acquisizione, tra i quali:
• la frequenza di campionamento;
• il numero di canali da acquisire e il range di tensione per ognuno di essi;
• l’accoppiamento AC/DC di ogni canale;
• il canale di riferimento per il trigger e le impostazioni di trigger, quali valore di
soglia, tempo di trigger automatico, direzione di trigger;
• il numero di segmenti in cui dividere il buffer di memoria e il numero di campioni
costituenti ogni segmento.
In questa modalità di acquisizione, la parte più delicata riguarda una scelta corretta di
segmentazione della memoria interna del digitalizzatore, in modo da poter supportare
un’acquisizione sufficientemente veloce.
Il programma di elaborazione sviluppato permette di recuperare i dati campionati
ed analizzare le forma d’onda in modo da ottenere come risultato dei ‘pacchetti’
costituiti dai quattro segnali in coincidenza sui quattro canali.
Sempre attraverso un’interfaccia grafica (Figura VI-2) l’utente è chiamato ad inserire i
parametri che regolano l’elaborazione, tra i quali:
• il tempo di ritardo che si desidera applicare al segnale proveniente dal
convertitore logaritmico per un miglior allineamento dei picchi;
• il metodo di ricerca del massimo dei picchi del segnale;
• il valore di soglia sopra il quale effettuare la ricerca di un picco del segnale;
• l’intervallo di coincidenza per discriminare i segnali;
• il numero di canali utilizzati per la costruzione dello spettro delle ampiezze degli
impulsi;
75
• la possibilità di effettuare o meno un fit di tipo gaussiano sullo spettro con
conseguente indicazione di media, deviazione standard e FWHM dei picchi.
Figura VI-2: parte dell’interfaccia utente per la gestione dell’elaborazione dei segnali campionati.
I dati provenienti dal PicoScope sono in formato Integer 16 bit, ovvero sono
distribuiti su un range di valori discreti che va da −32767 a +32764. La conversione in
valori di tensione viene effettuata sulla base del range dinamico di ogni canale dopo che
i dati sono stati caricati all’interno del programma di elaborazione.
È stato selezionato il segnale di low LET come segnale di riferimento per la
finestra di coincidenza temporale, in quanto sempre presente lungo tutto il range di
ampiezze degli impulsi di test. Esso è passato ad una specifica funzione di LabView che
opera in questo modo: ogni volta che il segnale supera la soglia di ampiezza per la
ricerca dei picchi impostata dall’utente, la routine controlla se il segnale resta al di sopra
di tale valore per un numero sufficiente di campioni, anch’esso impostato esternamente;
se la condizione è verificata ritorna l’indice temporale corrispondente all’istante di
superamento della soglia. Questo indice costituisce l’inizio della finestra di tempo entro
la quale si verifica la presenza di picchi in coincidenza sugli atri canali. Anche l’intervallo
76
di coincidenza può essere traslato nel tempo in modo da aggiungere ulteriore flessibilità
all’elaborazione.
Una volta selezionati i campioni nel dominio del tempo, il programma effettua la
ricerca del valore di picco del segnale in base alla modalità decisa dall’utente. Una
possibilità consiste nel selezionare il valore massimo di ampiezza che compare
nell’intervallo analizzato, in quello che, con qualche forzatura, si può definire come un
corrispondente digitale del comportamento di un ADC analogico.
Una seconda possibilità è quella di effettuare una ricerca del picco tramite un’apposita
funzione di LabView, la quale opera un fit quadratico su un certo numero di punti al di
sopra della soglia impostata e restituisce il valore del massimo. In questo caso l’utente
deve settare la costante di formatura digitale in funzione delle caratteristiche del
segnale. Il metodo di fitting dei campioni per la ricerca dei picchi è una buona soluzione
soprattutto per segnali di forma gaussiana, in quanto opera un ulteriore filtraggio del
rumore associato al segnale.
Al termine di queste operazioni, il software compila degli array in cui per ogni
canale memorizza i valori dei picchi trovati, oppure uno zero se la coincidenza temporale
non è verificata o se il picco non supera lo soglia di acquisizione. I vettori sono prima
passati ad una routine che genera gli spettri delle ampiezze sulla base del numero di bin
e dei valori di minimo e massimo selezionati. Poi vengono selezionati e graficati in
scatter plot separati, ciascuno dei quali rappresenta la relazione tra picchi in uscita da un
canale lineare e picchi in uscita dal convertitore logaritmico. Questo tipo di
rappresentazione grafica è utile per riconoscere e discriminare eventi anomali,
soprattutto per segnali acquisiti da sorgente (ad esempio riconoscere fenomeni di pile-
up).
Al termine del programma, è possibile effettuare il salvataggio sia dei vettori con i valori
delle ampiezze dei picchi in coincidenza, sia degli istogrammi e dei grafici a dispersione.
In Figura VI-3 sono visualizzati i quattro segnali dalle due catene in parallelo e la
finestra temporale di coincidenza pari a 1�e. In Figura VI-4 e in Figura VI-5 sono
rappresentati il modello a blocchi del software di elaborazione e le corrispondenti
funzioni all’interno del programma.
Figura VI-3: segnali in coincidenza per il
saturo per segnali di
dei massimi il valore di saturazione non viene correttamente riconosciuto come as
picco. I segnali di
Infine, il segnale proveniente dal convertitore logaritmico è visualizzato in blu.
egnali in coincidenza per il set-up di misura di Figura VI-1. Il segnale di
saturo per segnali di test superiori a 6�1. Utilizzando la funzione di fit quadratico per la ricerca
lore di saturazione non viene correttamente riconosciuto come as
picco. I segnali di Medium LET e High LET sono visualizzati rispettivamente in rosso e in verde.
Infine, il segnale proveniente dal convertitore logaritmico è visualizzato in blu.
77
1. Il segnale di Low LET (bianco) rimane
. Utilizzando la funzione di fit quadratico per la ricerca
lore di saturazione non viene correttamente riconosciuto come associato ad un
sono visualizzati rispettivamente in rosso e in verde.
Infine, il segnale proveniente dal convertitore logaritmico è visualizzato in blu.
78
Acquisizione gruppo di
segmenti dalla memoria
del PC
Estrazione, per ogni segnale, del numero
di campioni corrispondenti alla finestra di
coincidenza
Ricerca, sul segnale di LowLET, degli
indici temporali (i) in corrispondenza del
superamento della soglia imposta
Ricerca del valore del massimo di
ampiezza del picco. Il picco esiste ed è
sopra la soglia di acquisizione?
I =
0
Settaggio dei parametri
di elaborazione
Avvio del programma di
elaborazione
SI
NO
Registra il valore
dell’ampiezza in coincidenza
Registra il valore “0” in
coincidenza
Interruzione
da utente? NO
i=N-1? NO
SI
SI
Salva i dati
elaborati e
disconnetti il
PicoScope
I = i +1
Figura VI-4: diagramma a blocchi del programma di elaborazione dati.
Figura VI-5: routine di ricerca picchi con fit quadratico in ambiente
le stesse funzioni presenti nello schema a blocchi.
di ricerca picchi con fit quadratico in ambiente LabView
tesse funzioni presenti nello schema a blocchi.
79
LabView. Sono evidenziate
80
VI.4 CARATTERISTICHE A CONFRONTO
Per ogni sequenza di impulsi immessi nelle catene di acquisizione, sono stati
raccolti i valori delle ampiezze dei segnali generati, il loro valor medio e la loro
deviazione standard. La procedura utilizzata per la ricerca del massimo nel programma
di elaborazione è quella che sfrutta la routine di LabView per il fit quadratico. In Figura
VI-6 è rappresentata la curva che relaziona le uscite dei tre stadi di amplificazione lineare
ai segnali di test. I tratti lineari corrispondenti a Low LET, Medium LET e High LET sono
stati uniti applicando dei fattori di scala che tengono conto della diversità dei guadagni,
ottenendo una buona sovrapposizione nelle zone di giuntura. La linearità valutata
separatamente sui tre tratti presenta un coefficiente di correlazione lineare
essenzialmente pari a 1.
Figura VI-6: relazione tra uscite e ingressi di test per i tre stadi di amplificazione lineare. Le zone di giuntura
sono evidenziate nei circoli rossi e si trovano tra 2�1 e 6�1 e tra 50�1 e 100�V sull’asse delle
ascisse. Le scale sono logaritmiche su entrambi gli assi.
81
In Figura VI-7 invece è rappresentata la curva caratteristica del convertitore
logaritmico, con in ascissa le ampiezze degli impulsi di test e in ordinata le ampiezze
delle uscite. Su questi punti è stata effettuata una procedura di fit, la più generale
possibile, con tre parametri lasciati liberi, e con un peso equamente distribuito per i
punti in scala logaritmica.
La curva di fit imposta ha equazione del tipo:
¡¿ º¿ [�1] = _ − ^ ∙ ln(inº¿ [�1] + �) (VI.1)
e i valori dei parametri ottenuti sono:
_ = 744.3
^ = −232.1
� = 0.05
V − e»¿_:d = 0.9998
Figura VI-7: relazione tra uscite e ingressi di test per il convertitore logaritmico.
82
È stato effettuato anche un confronto, a scopo qualitativo, tra questa
caratteristica e quella ricavata al paragrafo IV.6 come risultato dell’analisi in DC. In Figura
VI-8 è riportata la sovrapposizione tra le due curve: alla curva rappresentata in nero è
stato applicato un fattore di traslazione che riflette la diversa condizione in cui sono
state condotte le due misure.
In ultimo, per ogni burst di impulsi sono stati raccolti i valori di deviazione
standard legati alle ampiezze in uscita. Sono riportati nel grafico di Figura VI-9 sia per la
catena lineare che per quella a conversione logaritmica. La sigma rapportata al valor
medio dell’uscita si mantiene, per quest’ultima catena, al di sotto del 4% anche per i
segnali più piccoli, mentre nella configurazione lineare mostra valori più alti.
Figura VI-8: confronto tra la curva di Figura VI-7 (in rosso) e la caratterizzazione in DC (in nero) fatta al
paragrafo IV.6.
83
Figura VI-9: valori di deviazione standard legati ai segnali di uscita. Sull’asse delle ascisse, in scala
logaritmica, ci sono i corrispondenti segnali di ingresso.
VI.5 SPETTRI E NON CONFORMITÀ LOGARITMICA
Presso i Laboratori Nazionali di Legnaro sono state effettuate alcune misure
microdosimetriche con rivelatore EuTEPC e con il dispositivo sviluppato in questo lavoro
di tesi.
Le acquisizioni non sono state condotte in parallelo ma in successione. Per prima è stata
eseguita una misura di riferimento con il sistema di acquisizione tradizionale, descritto al
paragrafo II.2.2, composto da tre amplificatori lineari (modello ORTEC 673 per il Low LET,
modello ORTEC 572 per il Medium LET e l’High LET ) con costanti di formatura di 0.5�e, e
dai moduli ADC AD114 e AD413A (ORTEC) a 14^i e 13^i . I tempi di formatura degli
amplificatori sono i più piccoli impostabili in questi moduli commerciali.
Successivamente, la misura è stata ripetuta con il convertitore logaritmico in
luogo dei tre stadi di amplificazione lineare, mantenendo lo stesso preamplificatore di
carica, e gestendo l’acquisizione del segnale con il solo modulo ADC AD114 e con lo
84
stesso software di elaborazione dati. All’inizio delle misure sono state effettuate le
compensazioni degli offset.
Per entrambe le catene di acquisizione si è effettuata la calibrazione elettronica,
mediante l’impulsatore BNC Modello PB-4 per quella lineare, con il generatore di
funzioni modello Hp 8611A per il convertitore logaritmico. L’impulsatore BNC infatti
presenta un segnale di uscita di tipo esponenziale e introduce una ulteriore costante di
discesa che non permette una completa compensazione polo-zero. Le curve di
calibrazione sono riportate in Figura VI-10 e in Figura VI-11.
Figura VI-10: calibrazione elettronica della catena di acquisizione con convertitore logaritmico.
85
(a) (b)
(c)
Figura VI-11: calibrazione elettronica della catena di acquisizione con stadi di amplificazione lineare: (a)
Low LET, (b) Medium LET, (c) High LET.
Sono stati acquisiti spettri da sorgente di Co-60 e di Am-Be per valutare la
risposta ad eventi rispettivamente di basso LET e medio-alto LET. La Figura VI-12 e la
Figura VI-13 riportano i risultati di queste misure, ponendo a confronto le due catene di
acquisizione. Gli spettri non sono calibrati in energia lineale e presentano sull’asse delle
ascisse i valori corrispondenti all’ingresso di test. In generale, la soglia di acquisizione per
il convertitore logaritmico è risultata essere più alta della corrispettiva in configurazione
lineare, e comunque, poiché le misure non sono state effettuate in parallelo, si è
preferito ‘tagliare’ gli spettri ad uno stesso valore di soglia in modo da avere un
confronto qualitativo della loro forma non influenzato dalla normalizzazione.
Comparando i risultati, si notano differenze non trascurabili nel profilo degli
spettri, soprattutto in quello di cobalto, e comunque in generale degli scostamenti che
alterano la forma attesa. La natura di queste alterazioni può essere molteplice, tuttavia
86
alcune evidenze sperimentali permettono di formulare un’ipotesi sufficientemente
credibile per spiegarne il manifestarsi.
Figura VI-12: spettro microdosimetrico da sorgente di Co60 non calibrato in energia.
87
Figura VI-13: spettro microdosimetrico da sorgente di Am-Be non calibrato in energia.
Le distorsioni presenti negli spettri microdosimetrici paiono infatti avere una
struttura ricorsiva e ripetersi ad intervalli regolari. Andando a riprendere la caratteristica
del dispositivo logaritmico di Figura VI-7 generata mediante sequenze di impulsi di test,
si sono quantificate le distorsioni dovute alla non conformità logaritmica calcolando i
residui dei punti misurati rispetto alla funzione di fit. La Figura VI-14 riporta i valori dei
residui rapportati ai valori della curva di fit, in corrispondenza delle varie ampiezze del
segnale di test.
Gli scostamenti della caratteristica pseudo-logaritmica dalla funzione di
trasferimento ideale hanno effettivamente un andamento periodico, dovuto, ricordi
molo, alla presenza di più stadi di conversione all’interno del componente TL441AM, e
soprattutto sono in corrispondenza degli stessi valori in cui appaiono le distorsioni negli
spettri microdosimetrici.
88
Figura VI-14: residui tra caratteristica misurata e fit ideale normalizzati. L’asse delle ascisse è in scala
logaritmica.
Secondo questa ipotesi dunque, il fatto di utilizzare una funzione di calibrazione ideale,
quale è quella di fit, in luogo di quella reale, introduce delle alterazioni negli spettri
proprio nelle zone dove la congruenza tra le due è minore, ovvero nelle zone dove
l’errore di non conformità logaritmica è più marcato.
Queste considerazioni traggono forza anche dal confronto tra gli spettri prima
dell’elaborazione che porta alla tipica rappresentazione di dose in funzione dell’energia
lineale. La situazione è quella rappresentata in Figura VI-15, dove si nota che le uniche
differenze tra i due spettri (a parte diversi valori di soglia) sono imputabili alle oscillazioni
periodiche descritte.
89
Figura VI-15: spettri raccolti da sorgente di Co60 prima dell’elaborazione microdosimetrica. La linea
rappresenta le sezioni di Low LET e Medium LET pronte per essere giuntate. Sull’asse delle
ordinate, in scala logaritmica, sono presenti i conteggi rapportati al valore del segnale di test
corrispondente.
90
Capitolo VII: CONCLUSIONI
L’acquisizione dei segnali provenienti da un rivelatore per microdosimetria
presenta delle criticità legate principalmente all’ampia dinamica da gestire. Tipicamente,
questo problema viene risolto inviando il segnale su più stadi di amplificazione lineare
indipendenti, in modo da poter coprire tutto il range dinamico richiesto.
Successivamente, le uscite delle varie catene di processamento vengono giuntate in base
ai rapporti di guadagno impostati per gli amplificatori, con l’obiettivo di ottenere uno
spettro continuo.
Nel corso degli anni, il sistema di processamento dei segnali provenienti da TEPC
è rimasto sostanzialmente invariato. Tuttavia, per poter effettuare misure
microdosimetriche su fasci adroterapici direttamente all’interno di centri medici, è sorta
la necessità di ridurre il più possibile la loro complessità tecnica. A tale scopo, una
semplificazione della parte di gestione del segnale costituisce senza dubbio un notevole
miglioramento in termini di flessibilità del sistema.
In quest’ottica si pone lo studio e lo sviluppo di un dispositivo a compressione
logaritmica che possa sostituire gli stadi di amplificazione lineare normalmente utilizzati.
Oltre a semplificare la catena di acquisizione, l’utilizzo di questo convertitore permette
anche di diminuire le operazioni di elaborazione dei dati raccolti, in quanto
sostanzialmente restituisce già un valore di dose pesata in energia lineale e permette di
evitare tutte le operazioni di unione dei sub-spettri viste al paragrafo II.3 di questa tesi.
La caratterizzazione elettronica del dispositivo è stata sviluppata in più fasi,
partendo dalla verifica del comportamento del singolo componente TL441AM, fino a
giungere ad un’analisi della risposta del circuito completo ad un ingresso di test
periodico e di ampiezza variabile. Ogni misura è stata confrontata con il risultato atteso
delle simulazioni circuitali implementate in LTSpice.
È stato condotto anche un raffronto diretto con una tipica configurazione di
amplificazione a più stadi lineari. Per questo tipo di caratterizzazione si è reso necessario
lo sviluppo di un software dedicato per l’elaborazione dei dati in coincidenza.
91
I risultati ottenuti mostrano un comportamento del convertitore in buon accordo
con il modello su un range di segnali in ingresso ampio almeno quattro decadi e mezzo.
L’obiettivo della copertura di una dinamica sufficiente all’elaborazione di uno spettro
microdosimetrico corretto è quindi raggiunto, con la condizione che i valori di tensione
continua in ingresso siano correttamente compensati.
Inoltre, le incertezze sulla stima delle ampiezze dei segnali mostrano valori comparabili
tra la catena tradizionale e quella a amplificazione logaritmica.
Si sono effettuati dei test anche con un rivelatore TEPC irraggiato con radiazione
a basso LET e medio-alto LET. L’elaborazione microdosimetrica finale degli spettri
presenta delle distorsioni che con buona probabilità possono essere ricondotte a
fenomeni di non conformità logaritmica tipici di un convertitore a più stadi.
Il presente lavoro si pone quindi come punto di partenza per ulteriori sviluppi
nella configurazione del dispositivo e nella gestione del segnale acquisito. In particolare,
come accennato al paragrafo V.3, un sistema di correzione automatica degli offset
mediante microcontrollore è già stato progettato ed è pronto per essere installato sul
circuito. Inoltre, per recuperare l’errore di non conformità logaritmica e ridurre le
distorsioni degli spettri, la soluzione potrebbe essere quella di utilizzare una funzione di
fit polinomiale in luogo di una logaritmica pura nella procedura di calibrazione
elettronica.
Per quanto concerne l’acquisizione del segnale in uscita dal convertitore, l’utilizzo
di una funzione dedicata per la ricerca del massimo del picco, unita all’impiego del
digitalizzatore portatile PicoScope, potrebbe ulteriormente ridurre l’incertezza associata
alla misura, anche in confronto ai metodi di analisi digitale con fit quadratico e di
conversione analogico-digitale mediante peak-stretcher.
92
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96
INDICE DELLE FIGURE
Figura I-1: rappresentazione schematica di un contatore proporzionale. ........................... 9
Figura I-2: schema di un TEPC sferico della Far West Technology. .................................... 12
Figura I-3: TEPC a geometria piana ................................................................................... 13
Figura I-4: TECP a geometria cilindrica. ............................................................................. 13
Figura I-5: Schema tecnico dei miniTEPC AMiCo1 e AMiCo2. ............................................ 14
Figura I-6: telescopio monolitico al silicio. ......................................................................... 16
Figura I-7: schema di disposizione dei pixel nel telescopio a matrice (a) e particolare (b)
............................................................................................................................................ 17
Figura II-1: sistema da vuoto e pompaggio gas per EuTEPC. ............................................ 20
Figura II-2: EuTEPC. ............................................................................................................ 21
Figura II-3: schema del set-up di misura. ........................................................................... 22
Figura II-4: spettro in conteggi low LET. ............................................................................ 24
Figura II-5: spettro in conteggi medium LET. ..................................................................... 24
Figura II-6: spettro in conteggi high LET. ........................................................................... 25
Figura II-7: spettri riscalati e pronti per essere giuntati. ................................................... 26
Figura II-8: spettro in conteggi giuntato e calibrato con impulso di test. ......................... 26
Figura II-9: spettro microdosimetrico da sorgente Am-Be, sito simulato 2µm.. ............... 29
Figura II-10: spettro microdosimetrico in dose da sorgente Am-Be, sito simulato 2µm. .. 29
Figura II-11: particolare del proton edge e del picco della derivata seconda
corrispondente. ........................................................................................ 32
Figura II-12: spettro microdosimetrico in dose di neutroni da sorgente Am-Be, calibrato in
energia lineale mediante tecnica del proton edge. ...................................... 33
Figura II-13: composizione di uno spettro microdosimetrico. ........................................... 34
Figura III-1: funzione di trasferimento di un convertitore logaritmico. ............................. 36
Figura III-2: amplificatore logaritmico con diodo in retroazione. ...................................... 37
Figura III-3: amplificatore logaritmico con transistor BJT in retroazione. ......................... 38
Figura III-4: architettura a più stadi di amplificazione per un convertitore logaritmico ... 40
97
Figura III-5: risposta logaritmica di una configurazione a più stadi .................................. 40
Figura III-6: circuito generatore di segnali con andamento a tangente iperbolica. .......... 41
Figura III-7: errore di non conformità logaritmica tipico di configurazioni a più stadi. .... 42
Figura III-8: schema circuitale del convertitore logaritmico TL441AM. ............................. 43
Figura III-9: diagramma funzionale del componente TL441AM. ....................................... 43
Figura III-10: configurazione per la misura del fattore di scala di TL441AM. .................... 45
Figura III-11: modello circuitale per la simulazione del comportamento di TL441AM. ..... 46
Figura III-12: misura e simulazione del comportamento delle prime due celle di TL441AM.
...................................................................................................................... 46
Figura IV-1: segnale prima (a) e dopo la formatura(b)...................................................... 48
Figura IV-2: circuito RC-CR che sta alla base del filtro gaussiano. ..................................... 49
Figura IV-3: filtro semi-gaussiano. ..................................................................................... 51
Figura IV-4: andamento del rumore elettronico in funzione del tempo di formatura. ...... 53
Figura IV-5: misura sperimentale del rumore elettronico in funzione del tempo di
formatura ................................................................................................... 54
Figura IV-6: adattamento della formatura con l’introduzione di capacità. ....................... 55
Figura IV-7: undershoot in uscita dal convertitore logaritmico prima della correzione
polo-zero. ...................................................................................................... 56
Figura IV-8: resistenze per la cancellazione polo-zero. ...................................................... 56
Figura IV-9: circuito per la correzione dell’offset in ingresso al filtro. ............................... 57
Figura IV-10: linearità del filtro formatore semi-gaussiano. ............................................. 58
Figura IV-11: uscita del filtro semi-gaussiano, misura e simulazione LTSpice ................... 59
Figura IV-12: stadio di amplificazione differenziale delle uscite........................................ 61
Figura IV-13: simulazione AC del guadagno dello stadio differenziale al variare della
resistenza per la correzione dell’offset. ...................................................... 61
Figura IV-14: stadio di amplificazione con circuito di correzione dell’offset. .................... 62
Figura IV-15: modello di simulazione del circuito di Figura IV-14. .................................... 62
Figura IV-16: caratteristiche dello stadio di conversione. ................................................. 64
Figura IV-17: caratteristiche dello stadio di conversione, confronto tra misura e
simulazione. ............................................................................................. 64
98
Figura V-1: risposta della catena preamplificatore-convertitore ad un impulso di test. ... 67
Figura V-2: forma del segnale in uscita dal convertitore logaritmico. .............................. 68
Figura V-3: analisi di sensibilità a variazioni dell’offset. .................................................... 70
Figura V-4: risposta del circuito a gradini di ampiezza variabile per diversetensioni di
offset. ............................................................................................................ 70
Figura VI-1: schema del set-up di misura per il confronto delle configurazioni lineare e
logaritmica. ................................................................................................... 73
Figura VI-2: interfaccia utente per l’elaborazione dei segnali campionati. ....................... 75
Figura VI-3: segnali in coincidenza per il set-up di misura di Figura VI-1. ......................... 77
Figura VI-4: diagramma a blocchi del programma di elaborazione dati. .......................... 78
Figura VI-5: routine di ricerca picchi con fit quadratico in ambiente LabView.. ................ 79
Figura VI-6: relazione tra uscite e ingressi di test per i tre stadi di amplificazione lineare.
............................................................................................................................................ 80
Figura VI-7: relazione tra uscite e ingressi di test per il convertitore logaritmico. ............ 81
Figura VI-8: confronto tra la curva di Figura VI-7 e la caratterizzazione in DC ................ 82
Figura VI-9: valori di deviazione standard legati ai segnali di uscita. ............................... 83
Figura VI-10: calibrazione elettronica della catena di acquisizione con convertitore
logaritmico. .............................................................................................. 84
Figura VI-11: calibrazione elettronica della catena di acquisizione con stadi di
amplificazione lineare: (a) Low LET, (b) Medium LET, (c) High LET. ........ 85
Figura VI-12: spettro microdosimetrico da sorgente di Co60 non calibrato in energia. ... 86
Figura VI-13: spettro microdosimetrico da sorgente di Am-Be non calibrato in energia. . 87
Figura VI-14: residui tra caratteristica misurata e fit ideale normalizzati......................... 88
Figura VI-15: confronto tra spettri raccolti da sorgente di Co60 prima dell’elaborazione
microdosimetrica.. ...................................................................................... 89