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POLITECNICO DI TORINO Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Civile Tesi di Laurea Magistrale Analisi delle condizioni di vivibilità in caso di incendio in un piano uffici attraverso test sperimentali e simulazioni numeriche Relatore/i Prof. Vittorio Verda Firma del relatore (dei relatori) …………………… Candidato/i Mattia Palamà Firma del candidato …………………… Settembre 2018

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POLITECNICO DI TORINO

Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Civile

Tesi di Laurea Magistrale

Analisi delle condizioni di vivibilità in caso di incendio in un piano uffici attraverso test

sperimentali e simulazioni numeriche

Relatore/i Prof. Vittorio Verda Firma del relatore (dei relatori)

……………………

Candidato/i Mattia Palamà

Firma del candidato

……………………

Settembre 2018

Sommario 0. Abstract ................................................................................................................................... 1

1. Introduzione ............................................................................................................................ 3

1.1. Sviluppo incendi in ambienti confinati ........................................................................... 3

1.2. La combustione ............................................................................................................... 5

1.3. Metodi di calcolo Heat Release Rate .............................................................................. 6

1.4. Proprietà ottiche dei fumi ................................................................................................ 8

2. Review di letteratura ............................................................................................................. 13

2.1. FDS Validation Guide ................................................................................................... 13

NIST Full-Scale Enclosure Experiments, 2008 .................................................................... 13

2.2. Dalmarnock Fire Tests .................................................................................................. 13

3. Setup Sperimentale ................................................................................................................ 15

3.1. Il locale oggetto di studio .............................................................................................. 15

3.2. Metodologia di lavoro ................................................................................................... 16

3.3. Caratteristiche dell’incendio.......................................................................................... 18

3.3.1. Configurazione ottimale catasta di legna .............................................................. 18

3.3.2. Configurazione ottimale generatore di fumo ......................................................... 22

3.3.3. Configurazione finale ............................................................................................ 26

3.4. Strumentazione .............................................................................................................. 29

3.4.1. Descrizione della strumentazione .......................................................................... 29

3.4.2. Grandezze misurate ............................................................................................... 34

3.4.3. Costruzione e verifica opacimetro ......................................................................... 36

3.4.4. Verifica delle termocoppie .................................................................................... 41

4. Scenari e prestazioni .............................................................................................................. 47

4.1. Scenari di analisi ........................................................................................................... 47

4.2. Soglie di prestazione ..................................................................................................... 47

5. Modellazione con Fire Dynamics Simulator (FDS) .............................................................. 49

5.1. Modello e parametri di input ......................................................................................... 49

5.2. Modellazione termocoppie e superfici .......................................................................... 50

5.3. Valutazione del parametro Soot Yield .......................................................................... 54

6. Risultati e interpretazione delle prove sperimentali .............................................................. 59

6.1. Rilevazione fumi ........................................................................................................... 59

6.2. Temperatura dei fumi .................................................................................................... 59

6.3. Altezza libera da fumi ................................................................................................... 65

6.4. Visibilità ........................................................................................................................ 69

6.5. Concentrazione di ossigeno ........................................................................................... 72

7. Risultati e interpretazione delle simulazioni FDS ................................................................. 75

7.1. Temperatura dei fumi .................................................................................................... 75

7.2. Altezza libera da fumi ................................................................................................... 78

7.3. Visibilità ........................................................................................................................ 80

7.4. Concentrazione di ossigeno ........................................................................................... 84

8. Conclusioni............................................................................................................................ 87

9. Considerazioni personali e sviluppi futuri ............................................................................. 89

Bibliografia ................................................................................................................................... 91

Ringraziamenti .............................................................................................................................. 93

1

0. Abstract Oggetto dell’analisi è lo sviluppo dei fumi prodotti da un incendio in un tipico locale uffici.

Lo scopo del lavoro è la valutazione dell’effetto delle aperture di ventilazione naturale sullo

sviluppo dei fumi all’interno del locale uffici, con particolare attenzione all’interazione dei fumi

con gli occupanti e quindi con l’esodo. L’effetto delle aperture viene analizzato mediante test

sperimentali su 3 scenari di incendio. Gli scenari si differenziano tra loro solamente per i tempi di

attivazione delle diverse aperture naturali.

I risultati dei diversi scenari vengono poi confrontati con le simulazioni numeriche svolte con FDS,

al fine di osservarne la congruenza con i test sperimentali e continuare l’opera di validazione di

tale modello CFD.

Le prestazioni esaminate sono: visibilità, temperatura, altezza libera da fumi, concentrazione di ossigeno

2

3

1. Introduzione In questo capitolo verranno fornite le informazioni propedeutiche per comprendere al meglio il

lavoro svolto. Nei successivi capitoli verrà fatto saltuariamente riferimento ai concetti qui riportati.

1.1. Sviluppo incendi in ambienti confinati In questa sezione viene descritto brevemente il comportamento di un incendio che si sviluppa in

un ambiente confinato ossia un qualsiasi spazio racchiuso da pareti, soffitto e pavimento.

Il parametro principale per la caratterizzazione di un incendio è l’Heat Release Rate (HRR) o

Curva di rilascio termico. È espresso in kW o MW ed è strettamente dipendente da tipologia del

combustibile, geometria del combustibile e condizioni di ventilazione. Quindi una bacinella di

benzina brucerà più vigorosamente di una con alcool etilico, così come uno stack di 10 sedie più

di una singola sedia. Un esempio di curva caratteristica HRR di un generico incendio è

rappresentata in Figura 1.

Le principali fasi individuabili in un incendio sono:

• Ignizione o Incipiente

• Crescita o Propagazione

• Flashover

• Incendio Generalizzato

• Estinzione o Decadimento

Figura 1. Curva Heat Release Rate di un generico incendio

4

Ignizione

Combustibile, comburente e calore si combinano tra loro, una

reazione chimica esotermica ha luogo ed un piccolo incendio

nasce. Il processo di innesco può essere di tipo pilotato, quando

è avviato da una sorgente esterna come una fiamma, una

scintilla, una scarica elettrica, oppure di tipo spontaneo, quando

viene raggiunta una temperatura sufficiente ad auto innescare

l’incendio (temperatura di auto ignizione)

Tabella 1. Temperatura di

auto ignizione di alcuni

materiali

Materiale T [°C]

Carta 230

Metano 537

Propano 470

Nitrocellulosa 137

Gasolio 220

Crescita

Se abbastanza ossigeno è presente nel compartimento, altro combustibile viene coinvolto

nell’incendio e l’Heat Release Rate inizia a crescere. Numerosi fattori influenzano la fase di

crescita come il luogo di innesco, i tipi di combustibile nelle vicinanze, le condizioni di

ventilazione, le dimensioni del locale, ecc. In questa fase va a crearsi uno strato caldo di fumi nella

parte alta della stanza che si inspessisce pian piano, la fiamma cresce fino a raggiungere il soffitto

ed estendersi orizzontalmente (ceiling jet), il calore convettivo e radiante proveniente dal focolaio

riscaldano tutta la stanza e la temperatura globale cresce.

Flashover

Ad un certo punto della fase di crescita, il calore irradiato dallo strato di fumi superiore creatosi

sarà così elevato da provocare l’accensione quasi simultanea di tutti i restanti oggetti combustibili

presenti nella stanza. Questa rapida transizione è chiamata Flashover e determina il passaggio da

un incendio localizzato ad uno generalizzato. Si assume che esso si verifichi quando la temperatura

dello strato dei fumi raggiunge i 500-600°C o quando la radiazione a pavimento raggiunge i 15-20

kW/m2. Non sempre comunque è detto si verifichi. Infatti se il primo oggetto innescato non rilascia

abbastanza energia oppure non è presente una sufficiente quantità di ossigeno o combustibile, il

flashover non avviene.

5

Incendio generalizzato

Si è raggiunto a questo punto il picco di HRR e, conseguentemente, di temperatura che può anche

toccare i 1200°C. La combustione è ora limitata dalla ventilazione. Data la scarsità di ossigeno ora

nel compartimento, i gas incombusti prodotti con la pirolisi, si accumulano a soffitto e bruciano

solo una volta abbandonato il compartimento, dando luogo a fiammate visibili da porte e finestre.

Estinzione

È l’ultima fase di un incendio, il combustibile è ormai quasi esaurito (oppure è l’ossigeno a

mancare) e si ha una riduzione nel rilascio di energia.

1.2. La combustione Fondamentalmente esistono 2 tipi di combustione: Flaming and Smouldering

Una combustione di tipo smouldering è una combustione senza fiamma che può produrre una

discreta quantità di gas incombusti, fumo ed altre sostanze ma solo pochissimo calore.

Normalmente questo tipo di combustione è molto lenta ed il suo verificarsi dipende dalla natura

del combustibile, dalle condizioni di ventilazioni e dalla forza della sorgente di innesco.

Solo alcuni tipi di combustibili posso andare in smouldering combustion e cioè tutti quelli che

formano residuo carbonioso. Alcuni esempi sono i fogli di carta e cartone, le sigarette, alcune

imbottiture di divani. Una limitata ventilazione può incrementare la probabilità di una smouldering

combustion, così come una piccola sorgente di innesco. Viceversa una elevata ventilazione o una

sorgente di innesco più potente sono sfavorevoli a questo tipo di combustione e fanno propendere

più verso una flaming combustion.

Dato lo scarso rilascio termico di una smouldering combustion, essa è più convenientemente

caratterizzata da una curva del tasso di perdita di massa (Mass Loss Rate) anziché da una curva

HRR.

La combustione di tipo flaming ha luogo ogni qual volta i vapori infiammabili prendono fuoco,

sia il combustibile un gas, un liquido o un solido. Per le ultime due tipologie è comunque necessario

che una sorgente esterna di calore ne riscaldi la superficie per innescare un processo di pirolisi

superficiale, ossia una decomposizione termochimica che porta alla produzione di sostanze volatili

6

più facilmente infiammabili. La fiamma poi genera normalmente sufficiente calore per produrre

ulteriori sostanze volatili ed autosostenere così la combustione.

La combustione tipo flaming è ben caratterizzata da una curva HRR.

Una curva HRR è schematizzata matematicamente in 3 fasi:

• Fase di crescita, con andamento parabolico del tipo αt2. Il parametro α è il Fire Growth

Factor o Fattore di Crescita, rappresenta il fattore discriminante la rapidità di sviluppo di

un incendio e quindi la sua pericolosità. Vengono riconosciute 4 classi di crescita: lenta

(α=0,003 kW/s2), media (α=0,012 kW/s2), veloce (α=0,047 kW/s2), ultra-veloce (α=0,188

kW/s2) [1].

• Fase stazionaria, periodo transitorio in cui l’incendio la raggiunto la sua massima

potenzialità e l’HRR si stabilizza ad un determinato valore. Una variazione delle

condizioni al contorno (aumento ventilazione, ecc.) può spostare gli equilibri e determinare

una nuova condizione stazionaria diversa dalla precedente.

• Fase di decadimento, generalmente quando la maggior parte del combustibile è terminato

(circa l’80%) l’Heat Release Rate decresce

1.3. Metodi di calcolo Heat Release Rate L’Heat Release Rate è un parametro critico per caratterizzare un incendio. Valutare l’energia

termica rilasciata nel tempo da un certo focolare è il punto di partenza per ogni valutazione del

rischio, pianificazione di esodo e previsione con CFD. Una serie di metodologie è stata sviluppata

per il calcolo dell’HRR di materiali ed oggetti [2]. Tra queste le principali sono:

1. Metodo del consumo di ossigeno, Questo metodo è largamente usato ed ha il vantaggio di

permettere la stima dell’HRR anche senza conoscere la natura del combustibile. Si basa

sull’osservazione che l’HRR è pressoché proporzionale all’ossigeno consumato durante la

combustione di moltissime sostante di natura organica. Per ogni grammo di ossigeno

consumato nella combustione sono prodotti 13.1±0.68 kJ di energia (EO2). Quindi è

sufficiente misurare la perdita di massa di Ossigeno nel tempo (ΔmO2) per ottenere

un’ottima stima del rilascio termico di calore.

𝐻𝑅𝑅[𝑘𝑊] = 𝐸𝑂2[

𝑘𝐽

𝑔] ∙ ∆𝑚𝑂2

[𝑔

𝑠]

1 (Staffansson, 2010) 2 (Biteau, et al., 2008)

7

In caso di combustioni incomplete deve essere necessario affinare il calcolo includendo

anche l’ossigeno consumato per ossidare la CO in CO2.

In maniera analoga al consumo di ossigeno, può essere usata la produzione di anidride

carbonica, infatti anche in questo caso esiste una proporzionalità con l’HRR.

L’apparato di misura che sfrutta il principio del consumo di ossigeno per la misurazione

di HRR è detto Calorimetro Cono (Cone Calorimeter) ed è presentato in Figura 2. Il

campione che si vuole analizzare viene irradiato da una sorgente termica (spark igniter)

esterna fino al suo innesco, i prodotti della combustione vengono catturati da una cappa

(exhaust hood) ed incanalati in una tubazione dove vengono analizzati. Si misurano i gas

presenti, il particolato, il coefficiente di estinzione K, la temperatura, la pressione

differenziale, il mass loss rate del campione, ecc. Quindi il Calorimetro Cono rappresenta

una delle apparecchiature più complete per la caratterizzazione al fuoco di un generico

materiale combustibile.

Figura 2. Cone Calorimeter. Apparecchiatura per la valutazione dell’Heat Release Rate tramite metodo del

consumo di ossigeno e, in generale, del comportamento al fuoco di un generico materiale

2. Metodo della perdita di massa, Questo metodo è usato quando si conosce bene la natura

del materiale combustibile ed è noto il suo calore di combustione (ΔHc). Misurando la sua

perdita di massa nel tempo durante la combustione, l’HRR è così calcolato:

𝐻𝑅𝑅[𝑘𝑊] = ∆𝐻𝑐 [𝑘𝐽

𝑔] ∙ ∆𝑚𝑓𝑢𝑒𝑙 [

𝑔

𝑠]

8

Anche in questo caso deve tenersi in conto la produzione di CO per le combustioni

incomplete

3. Metodo convettivo, Si utilizzano le misurazioni di temperatura per la stima dell’HRR.

In questo lavoro il metodo utilizzato è il secondo, ossia il Metodo della perdita di massa, e se ne

parlerà approfonditamente nei successivi capitoli.

1.4. Proprietà ottiche dei fumi

Il fumo è definito come la componente in fase aerosol/condensata dei prodotti della combustione,

costituita soprattutto da minuscole particelle di carbone e vapore d’acqua. Esso, oltre a dare un

notevole contributo in termini di calore irradiato in nell’intero ambiente, influisce in modo

determinate sulla visibilità e quindi sul tempo di esodo degli occupanti di un locale.

Gli effetti del fumo sulle persone dipendono dalla quantità prodotta, dalla dimensione delle

particelle, dalle proprietà ottiche, dalla presenza di sostanze irritanti, ecc.

La massa delle particelle prodotte nella combustione rapportata alla massa del combustibile

coinvolto, rappresenta il parametro Soot Yield e verrà maggiormente discusso nel Capitolo 5.3.

Le proprietà ottiche del fumo sono di primario interesse poiché condizionano direttamente la

capacità delle persone di abbandonare un luogo con un principio di incendio. Per la loro misura si

fa affidamento alla legge di Lambert-Beer-Bouguer (più dettagliatamente discussa nel Capitolo

3.4.3) e, in base alle esigenze, vengono definiti differenti parametri ottici.

Il primo è il Coefficiente di Estinzione della Luce ‘K’ (Extinction Coefficient), deriva

direttamente dalla legge empirica sopra citata, misurato in m-1:

𝐾 = −1

𝐿∙ 𝑙𝑛 (

𝐼1

𝐼0)

L = lunghezza del mezzo attraversato [m]

I0 = Intensità della luce incidente [lm]

I1 = Intensità della luce trasmessa [lm]

Il secondo parametro è la Densità Ottica ‘OD’ (Optical Density, Absorbance), ossia una

rielaborazione del coefficiente di estinzione della luce in scala logaritmica con base 10 anziché e,

anch’esso misurato in m-1:

9

𝑂𝐷 = −1

𝐿∙ 𝑙𝑜𝑔 (

𝐼1

𝐼0)

Ossia

𝑂𝐷 =𝐾

2,303

Figura 3. Relazione tra Optical Density 'OD' e Extinction Coefficient 'K'

Il terzo parametro è la Visibilità ‘S’ (Visibility), misurato in m, è quello effettivamente correlato

alla percezione dell’occhio umano. Con vari test sperimentali reperibili in letteratura [3], si è

studiato il rapporto tra Coefficiente di Estinzione del fumo e Visibilità di oggetti, illuminati e non,

posizionati su pareti con sfondo uniforme. Per fumi non eccessivamente irritanti, si sono ottenute

2 relazioni.

Per oggetti non illuminati (light-reflecting sign):

𝑆 =3

𝐾

Per oggetti illuminati (light-emitting sign):

3 (Mulholland, Smoke Production and Properties, 2002)

10

𝑆 =8

𝐾

Figura 4. Relazione tra Visibility ‘S’ ed Extinction Coefficient ‘K’ per un oggetto riflettente o emettente luce

Il quarto ed ultimo parametro presentato è l’Oscuramento ‘Ou’ (Obscuration, Opacity), è

compreso tra 0 e 1, spesso rappresentato in forma percentuale %, correlabile al Coefficiente di

Estinzione della luce K.

𝑂𝑢[%] = (1 −𝐼1

𝐼0) ∗ 100

𝑂𝑢[%] = (1 − 𝑒−𝐾𝐿) ∗ 100

11

Figura 5. Relazione tra Obscuration 'Ou' e Extinction Coefficient 'K'

12

13

2. Review di letteratura

2.1. FDS Validation Guide

NIST Full-Scale Enclosure Experiments, 2008

Rappresenta una serie di 30 esperimenti condotti dal NIST con lo scopo di studiare gli incendi in

condizioni sotto ventilate variando tipologia di combustibile, distribuzione del combustibile,

dimensione delle aperture. Il compartimento in cui sono stati effettuati i test ha dimensioni 2.4m x

3.6m x 2.4m ed una porta di altezza 2 m e larghezza variabile da 0.1 m a 0.8 m (ISO 9705 room).

La strumentazione installata consiste in 2 alberi di termocoppie appesi al soffitto, ognuno con 11

termocoppie uniformemente suddivise in altezza, con cui è stato possibile ottenere la temperatura

dello strato dei fumi e l’altezza dello stesso. L’HRR del focolaio varia da 190kW a 420kW. I dati

delle sperimentazioni e quelli delle simulazioni mostrano un’ottima corrispondenza.

2.2. Dalmarnock Fire Tests Si tratta di alcuni test sperimentali in scala reale eseguiti nel 2005 nel distretto di Dalmarnock della

città Glasgow in Scozia in un appartamento residenziale al 4° piano di un edificio. Il combustibile

del focolaio è rappresentato dall’arredamento appositamente disposto in uno dei locali, ossia un

sofà in poliuretano, 2 scrivanie con computer, una sedia imbottita da ufficio, una sedia in legno, 3

librerie, 3 tavolini da caffè e numerosi giornali e riviste. La strumentazione è installata per ottenere

un’alta risoluzione dei dati e consiste in alberi di termocoppie, sensori di radiazione termica, sensori

di oscuramento, misuratori della velocità dell’aria. L’innesco è ottenuto da un cestino con carta

impregnata di eptano, e l’incendio si propaga al sofà, alla libreria fino al flashover in 300s. Dopo

tale evento L’HRR rimane costante a circa 3 MW fino alla rottura delle finestre, quando raggiunge

il picco di 5 MW.

7 team indipendenti vengono incaricati di realizzare una simulazione ‘a priori’, dati la geometria

del compartimento, la quantità e disposizione del combustibile (fuel package), sorgente di innesco,

condizioni di ventilazione. Si nota, comparando i risultati, che esiste una considerevole disparità

tra le diverse previsioni e tra ciascuna previsione e i risultati sperimentali. Lo studio enfatizza la

difficoltà che si riscontra nel modellare correttamente e scegliere le ipotesi in uno scenario

complesso e dimostra come l’accuratezza previsionale è generalmente scarsa in caso di

simulazione a priori.

La simulazione a posteriori invece è modellata considerando gli eventi critici come il tempo di

innesco degli oggetti, la rottura di finestre, il flashover ed è quindi “guidata” verso il

14

comportamento sperimentale. L’HRR è parzialmente prescritto e parzialmente predetto da FDS per

tenere in conto l’effetto sotto ventilato dell’incendio. Le temperature predette seguono abbastanza

fedelmente l’andamento di quelle misurate stabilizzandosi a 500-600°C dopo il flashover. La

rottura delle finestre però porta ad una differenziazione del dato; mentre sperimentalmente si ha un

incremento di appena 100°C, la simulazione ne mostra uno di 700. Per quanto riguarda la

distribuzione spaziale delle temperature, generalmente si ottiene una buona corrispondenza tra

esperimento e simulazione nello strato superiore (errore entro il 10%) che in quello inferiore (errore

entro il 80%) dove il dato è sottostimato.

15

3. Setup Sperimentale

3.1. Il locale oggetto di studio I locali sede della campagna di test si trovano all’interno di un complesso edilizio interamente in

muratura di mattoni. Il complesso è un ex-fabbrica di fiammiferi costruita nel 1873, ed i locali di

prova i vecchi dormitori degli operai. Il fabbricato è stato oggetto di una completa ristrutturazione

iniziata negli anni 2000 per adeguarlo ad ospitare uffici. Esso è caratterizzato dalla presenza di

finestre in alluminio e vetrocamera, porte tagliafuoco, pavimento galleggiante e caratteristico

solaio in voltine e putrelle risalente all’epoca di costruzione. I locali si trovano al 2° piano, e sono

accessibili attraverso un vano scala. Il piano è suddiviso in 8 locali di circa 17-20 mq ciascuno ed

un corridoio centrale che funge da collegamento. Il focolaio dei test è posizionato in uno dei locali

uffici, d’ora in avanti denominato Fire Room (FR) con le seguenti caratteristiche geometriche:

• dimensioni in pianta:5,55m x 3,90m;

• altezza media:2,95m.

Il locale è comunicante con:

• il corridoio, attraverso una porta tagliafuoco di dimensioni 1,00m x 2,05m;

• l’esterno, tramite una finestra 1,00m x 1,50m.

Il corridoio è, in caso di incendio, l’unica via d’esodo per gli utenti dei locali uffici ed ha le seguenti

caratteristiche geometriche:

• larghezza: 1,30 m;

• lunghezza: 18 metri.

16

Figura 6. Edificio dei test visto dall'esterno

Figura 7. Foto della Fire Room (FR) con indicazione

dell’altezza del locale

Figura 8. Foto del Corridoio

3.2. Metodologia di lavoro Dopo aver superato il primo step di ricerca dei locali per i test, si passa al secondo step di

definizione della natura ed entità del focolaio da usare, ossia “cosa bruciare” e “quanto bruciarne”.

Poiché è imposto il divieto di danneggiamento dell'edificio di prova in tutte le sue parti, inclusi

infissi, impianto elettrico, pavimentazione e solaio, è necessario mantenere relativamente bassa la

temperatura ed il rilascio termico del focolaio di prova.

17

Questo limite esclude subito una prova al fuoco spinta fino al flashover dove si raggiungono

temperature superiori a500-600 °C. Si decide quindi di trasformare il fire-test in un più cautelativo

smoke-test, esaltando più gli effetti del fumo che della temperatura o dell’irraggiamento.

La conformazione dei locali di prova, con un corridoio centrale e vari locali ad esso collegati, ben

si adatta a simulare un incendio tipico in un piano uffici, per cui il focolaio ideale sarebbe quello

derivante dalla combustione di oggetti comunemente presenti in un ufficio come scrivanie, sedie,

librerie, riviste, PC e tastiere, divanetti.

Ma una soluzione che comprenda reali arredi da ufficio comporta diverse problematiche:

1. reperimento di oggetti simili tra loro a basso costo. Uno dei requisiti per ricavare dei dati

confrontabili dai test è ricreare ogni volta lo stesso focolaio, ossia si devono avere a

disposizione gli stessi arredi in tutte le prove. Ma acquistare N scrivanie per N prove risulta

uno sperpero di risorse economiche, mentre andare alla ricerca di N scrivanie ottenibili a

titolo gratuito (abbandonate, in discarica, regalate da terzi) richiede molto tempo ed energie

e non dà garanzie sulla similitudine delle scrivanie.

2. incertezza nella determinazione della Curva di Rilascio Termico o HRR. Essendo la

maggior parte degli arredi costituita da materiale composito, è molto difficile trovarne il

calore di combustione rilasciato per ogni unità di massa. Il ricorso al metodo del consumo

di ossigeno (descritto brevemente al Capitolo 1.3) è invece impraticabile a causa della

difficoltà di campionamento dei fumi che incrementerebbe tempi e costi. L’utilizzo invece

di curve HRR di oggetti d’arredo reperibili in letteratura non garantisce un’uguaglianza di

comportamento al fuoco di questi arredi con quelli della nostra prova.

3. insufficienza della quantità di fumi o tossicità dei fumi. La combustione di elementi in

legno come scrivanie o sedie ha una produzione di fumo bassa in riferimento alla massa. I

materiali plastici o gli idrocarburi invece, pur producendo molto fumo, rilasciano anche

molte sostanze tossiche per la salute (Vedere Capitolo 1.4)

Date le circostanze, si opta per una divisione del problema:

• la potenza termica verrà fornita dalla combustione di un materiale con calore di

combustione ΔH noto (Generatore di calore)

• il fumo verrà emesso da un dispositivo apposito (Generatore di fumo)

Come generatore di fumo le soluzioni prospettate sono le seguenti:

• sovralimentare a 230V un trasformatore da 24V, questo avrebbe bruciato le guarnizioni in

18

plastica/gomma e prodotto fumo nero;

• costruire un “cannone di fumo” ossia un cilindro metallico con un foglio di cartone

arrotolato all’interno, il cartone brucerebbe con brace profonda e produrrebbe tanto fumo;

• ricorrere a dispositivi di generazione di fumo commerciali come i disco-fog usati in

discoteche e concerti, o i fumogeni segnaletici;

La scelta è ricaduta infine sul cosiddetto “cannone di fumo” poiché rimane la soluzione più

semplice ed economica. Questo viene innescato con alcool dal basso causando uno smouldering-

fire (Capitolo 1.2) con un’ottima produzione di fumo in rapporto alla massa combustibile. Viene

realizzato in 3 varianti, differenti per dimensione del cilindro, e testato nella Fire-Room (Capitolo

3.3.2)

Come generatore di calore le opzioni disponibili sono:

• bacinella di eptano(pool-fire), poiché il suo calore di combustione è ben noto e numerosi

sono i casi in letteratura di utilizzo di idrocarburi nelle prove al fuoco. Gli svantaggi sono

invece legati all’elevato calore prodotto dall’eptano che innalza velocemente la

temperatura dell’ambiente, alla discutibile equivalenza di comportamento tra una pool-fire

e l’incendio reale in un ufficio e al costo dell’eptano.

• catasta di legna, la quale ha un prezzo di mercato inferiore, presenta un calore di

combustione abbastanza stabile (funzione dell’umidità e del tipo di legno) ed ha una

combustione maggiormente corrispondente a quella di una scrivania o libreria.

È quindi stata scelta la catasta di legna come “generatore di calore” e diverse varianti sono state

realizzate per definirne la configurazione migliore in termini di Heat Release Rate (Capitolo 3.3.1).

3.3. Caratteristiche dell’incendio

3.3.1. Configurazione ottimale catasta di legna

Una volta stabilito che la natura del combustibile deve essere legno, se ne deve decidere la quantità

e la configurazione. Lo scopo della catasta di legna è quello di fornire l’energia termica per il

galleggiamento e movimentazione dei fumi del generatore di fumo, rispettando però il requisito di

contenimento della temperatura nella Fire Room a 120-150 °C.

Viene preso spunto da alcune normative in materia antincendio, come la UNI ISO 15779:2012e la

UNI EN 2:2005, che trattano le metodologie di prova per sistemi estinguenti ad aerosol condensato

19

e per estintori portatili. Nelle norme sono presi in esame focolai di diversa natura e, tra questi,

anche quello di Classe A costituito da listelli di legno (Wood Cribs).

Una delle configurazioni di focolaio proposte nelle suddette consiste in 4 strati da 6 listelli di legno

ciascuno. Ogni listello ha dimensioni circa 40mmx40mm, lunghezza variabile da 400 a 500 mm

ed è in legno di pino/abete. Questa configurazione e due sue varianti sono state testate al centro di

un locale di prova di dimensioni 5mx5mx4m con pareti e soffitto in pannelli di calcio-silicato. Si

sono misurate la temperatura sopra la catasta a 3 metri di altezza e la perdita di massa nel tempo

per ricondursi all’Heat Release Rate. I risultati sono rappresentati in Tabella 2 e le foto delle cataste

in Figura 9, Figura 10 e Figura 11.

Tipo Alleggerita Standard Alta

Dimensione listello [mm] 40x40x400 40x40x400 40x40x200

Configurazione 2 strati da 6 listelli 4 strati da 6 listelli 13 strati da 3 listelli

Massa iniziale [g] 3370 6938 5610

HRR di picco [kW] 37 100 55

Temperatura a 3 m durante

il picco [°C] 55 70 60

Tabella 2. Varianti della catasta di legna

Figura 9. Catasta di legna variante 'Alleggerita'

Figura 10. Catasta di legna variante 'Standard'

Figura 11. Catasta di legna variante 'Alta'

20

Ogni catasta è stata posizionata su una griglia metallica ed è stata innescata dal basso con alcuni

millilitri di eptano. In Figura 12 è riportata la curva di Rilascio Termico della catasta ‘Standard’.

La linea spezzata blu rappresenta l’HRR sperimentale della catasta, ignorando però la presenza

dell’eptano e ipotizzando quindi che tutta la massa persa sia del solo legno. Si sono effettuate quindi

delle correzioni per considerare, nella prima fase, la combustione dell’eptano. Si vedono quindi in

giallo la curva HRR dell’eptano schematizzata con la nota funzione αt2 (vedi Capitolo1.2), in

bordeaux la curva HRR del legno schematizzata, in rosso la curva complessiva dovuta ad entrambi

i contributi.

In Figura 13 invece viene mostrato l’andamento della temperatura.

Figura 12. Heat Release Rate della catasta versione ‘Standard’. In rosso la curva complessiva comprendente il

contributo di catasta ed eptano

21

Figura 13. Andamento della temperatura a 3m di altezza sopra la catasta versione 'Standard', ossia 3,60m dal pavimento

Sia per il Heat Release Rate che per la Temperatura si ha un picco a 300 secondi a causa dell’eptano

usato per l’innesco e seguentemente un tratto stazionario più basso (in Tabella 2 per tutte le varianti

è riportato solo il valore stazionario). Le dimensioni della camera di prova sono sufficientemente

grandi da garantire un apporto di ossigeno costante all’incendio, per cui l’HRR può ritenersi non

influenzato da un eventuale carenza di comburente.

Il parametro da tenere sotto controllo per non danneggiare l’edificio è la temperatura, come si è già

detto nel Capitolo 3.2. I test di combustione condotti sulle cataste di legna hanno mostrato delle

temperature nella fase stazionaria comprese tra i 55 e i 70 °C, ampiamente accettabili per venir

riprodotte nella Fire-Room. Esistono però ancora due problematiche da risolvere.

La prima riguarda la dimensione della FR che, essendo di dimensioni più ridotte rispetto al locale

di prova, vedrà svilupparsi sicuramente una temperatura maggiore. Questo comportamento è

causato da più fattori:

• il rimescolamento dei fumi caldi con l’aria fredda della camera; poiché la FR ha un volume

minore rispetto al locale di prova (65 m3 contro 100 m3), meno aria fredda sarà presente e

minore sarà la diluizione dei fumi caldi

• minore superficie disperdente per il calore; le dimensioni minori infatti comportano una

minore superficie di pareti, soffitto e pavimento che assorbono molto del calore prodotto

dal focolaio

22

La seconda problematica riguarda il picco di temperatura e HRR generato dall’eptano usato per

l’innesco. Questi potrebbe causare lo shock termico della vetrata della finestra o danneggiare il

soffitto del locale FR. Si ritiene quindi necessario cambiare il tipo di innesco.

Date le considerazioni sopra, la configurazione ottimale scelta è quella della catasta ‘Standard’,

poiché rappresenta la soluzione con il più alto HRR e con una temperatura massima accettabile

(Figura 12, Figura 13). Spostando questo tipo di catasta in FR non si ritiene, infatti, possa causare

temperature di molto superiori ai 70°C già registrati. Il suo innesco non verrà prodotto con eptano,

ma con alcool etilico avente un calore di combustione[4] minore di quello dell’eptano e quindi non

si verifica il problema del picco di HRR e temperatura.

Maggiori informazioni riguardo la combustione della catasta versione ‘Standard’ vengono date nel

seguente capitolo3.3.3

Figura 14. Configurazione definitiva della catasta di legna

3.3.2. Configurazione ottimale generatore di fumo

Lo scopo del generatore di fumo è appunto fornire particolato in sospensione al focolaio in quantità

tale da creare uno strato superiore di fumi ben visibile dalle videocamere. È necessario quindi che

il generatore di fumo emetta un’elevata quantità di fumo e per un tempo sufficientemente lungo.

Un generatore di fumo è formato essenzialmente da un cilindro metallico aperto alle basi e del

cartone arrotolato al suo interno, sollevato da terra di alcuni centimetri per consentire l’apporto di

aria dal basso, e con un innesco iniziale di alcool etilico. Una tale configurazione porta ad una

4 Si definisce Calore di Combustione ΔH°c (o Potere Calorifico Inferiore) la quantità di calore sviluppata dalla combustione di un’unità di massa di combustibile e si misura in MJ/kg o kJ/mol o Kcal/kg

23

combustione lenta del cartone con carenza di ossigeno e produzioni elevate di particolato, ossia

uno smouldering fire [5].

Sono state realizzate e testate diverse versioni del generatore di fumo:

Tipo Small Opened Medium Big

Diametro cilindro [mm] 50 60 83 163

Altezza cilindro [mm] 200 - 330 290

Il generatore Small ha prodotto una quantità esigua di fumo ed è stato scartato.

Quello Opened non ha un cilindro metallico che lo contiene, ma è solo cartone arrotolato. Questa

sua caratteristica non permette di limitare la quantità d’ossigeno per la combustione, che quindi

procede non come smouldering fire ma come flaming fire ossia con fiamma e pochissimo fumo.

Anche questo è quindi scartato.

I generatori Medium e Big danno invece buoni risultati. La produzione di fumo è soddisfacente per

entrambi ed il colore del fumo è bianco-grigiastro. Dato che la quantità di fumo emesso è

proporzionale alla massa di cartone nel generatore, si elegge la versione Big come definitiva poiché

con maggior cartone combustibile.

Sono eseguiti due test per valutare il comportamento del generatore di fumo. In Figura 15 e Figura

16 è rappresentato il Mass Loss Rate del generatore di fumo nei 2 test. Gli stessi test sono usati per

calibrare successivamente l’opacimetro costruito ad-hoc ed il parametro Soot Yield

(rispettivamente Capitolo 3.4.3 e Capitolo 5.3).

5 Vedere Capitolo 1.2 per chiarimenti

24

Figura 15. Combustion Rate del generatore di fumo - TEST 1

Figura 16. Combustion Rate del generatore di fumo - TEST 2

Una massa di 590g di cartone arrotolato a doppia ondulazione è posizionata all’interno del

generatore e alcuni ml di alcool sono usati per l’innesco dal fondo, nella prima 15ml nella seconda

25

5ml. Questa differenza ha influenzato il combustion rate (Mass Loss Rate o Tasso di Perdita di

Massa) del generatore di fumo che risulta maggiore nel Test 1 rispetto al Test 2.

La camera viene sigillata appena è innescato il generatore ed il fumo viene vincolato ad

accumularsi in FR. La combustione del cartone è inizialmente di tipo smouldering, ma diviene di

tipo flaming una volta consumata circa la metà della massa di cartone, ossia 300gr. Questo istante

si verifica a 250s nel TEST 1 e 600s nel TEST 2 e sancisce la fine della produzione di fumo da

parte del generatore. La conferma di quanto detto è leggibile dai dati di opacità dei fumi in Figura

17, in cui si nota come il punto di massimo oscuramento coincida con l’esaurimento dei generatori.

Dalla stessa figura si nota anche come, nonostante il diverso tasso di combustione, entrambi i

generatori producano la medesima opacità massima di 5.5 m-1, suggerendo quindi un’immissione

nell’ambiente di circa la stessa quantità di particolato.

Ulteriori considerazioni sui fumi sono fatte al Capitolo 5.3.

Figura 17. Opacità dello strato dei fumi a 2m di altezza in FR

26

Figura 18. Generatore di fumo in funzione

3.3.3. Configurazione finale

Il focolaio (vedere Figura 24 e Figura 25) consiste in una catasta di legna di massa complessiva 6

kg circa, costituita da listelli di legno di pino di dimensioni pari a 40x40x400mm (4 strati da 6

pezzi), inchiodata lungo i bordi. L’innesco della stessa avviene tramite un piccolo barattolo

riempito con alcool etilico posto alla base. L’Heat Release Rate è stato calcolato attraverso la

formula sotto riportata e già menzionata nel Capitolo1.3 :

𝐻𝑅𝑅[𝑘𝑊] = 𝛥𝑚 [𝑔

𝑠] ∙ ∆𝐻 [

𝑘𝐽

𝑔]

dove:

• 𝛥𝑚 =variazione di massa nel tempo della catasta di legna;

• ∆𝐻 =calore di combustione del legno posto pari a 17 kJ/g [6]

La curva HRR risultante, valutata sperimentalmente, raggiunge il valore di picco di circa 100 kW

seguendo un andamento parabolico del tipo αt2 molto lento con α=0.0006 kW/s2 (si considera lento

se α=0.003 kW/s2 [7]). Il tratto stazionario ha durata di circa 450s e ad esso segue un tratto di

decadimento che può essere approssimato attraverso un’equazione parabolica con α=0.0001 kW/s2.

Le curve sperimentali di Heat Release Rate sono mostrate in Figura22, assieme alla curva

schematica tipo αt2 in viola.

6 (Aniszewska & Gendek, 2014) 7 Come accennato nel Paragrafo 1.2 e nella fonte (Staffansson, 2010)

27

La durata dell’esperimento è fissata in circa 22 minuti (1300 secondi), tempo in corrispondenza del

quale la potenza sviluppata è scesa a circa 30 kW.

Figura 19. Fase di crescita

Figura 20. Fase stazionaria

Figura 21. Fase di decadimento

Figura22. Heat Release Rate della catasta di legna usata nei tests

28

L’Heat Release Rate generato dalla combustione della catasta di legno è assimilabile a quello di

alcuni arredi da ufficio in legno, ad esempio una sedia o un piccolo tavolo [8], come si può vedere

in Figura 23.

Figura 23. Esempi di HRR per arredi da ufficio. (1) Sedia di legno, (2) Sedia imbottita, (3) Tavolino in legno 1x1m

Dal momento che la catasta non genera una quantità di fumo apprezzabile, ad essa è stato aggiunto

un generatore di fumo (Figura 26 e Figura 27)

Il generatore di fumo è un cilindro metallico Ø165 mm H280 mm, aperto alle basi, con all’interno

un foglio di cartone arrotolato. La durata media del generatore di fumo è stata valutata pari a

683s±160s e più precisamente negli scenari analizzati si è comportato come descritto in Tabella 3.

Quando il cartone contenuto nel cilindro si esaurisce, cessa l’apporto di fumo ai locali di prova.

Dato che il generatore di fumo brucia attraverso una combustione lenta senza fiamma

(smouldering) cui corrisponde una elevata produzione di fumo ma una bassa emissione termica, il

suo contributo alla curva HRR è nullo.

TEST 1 TEST 2 TEST 3

772s 820s 493s Tabella 3. Durata del generatore di fumo

8 I dati sono disponibili nei database online https://ncfs.ucf.edu/burn_db/Thermal_Properties/burning_items.html e http://www.sp.se/fire/fdb

29

Figura 24. Catasta di legno, vista dall’alto

Figura 25. Catasta di legno, vista laterale

Figura 26. Generatore di fumo, vista dall'alto

Figura 27. Generatore di fumo, vista laterale

3.4. Strumentazione

3.4.1. Descrizione della strumentazione

La strumentazione predisposta nei locali è di varia natura e si compone di:

Action Cam

CAM1 – CAM2 – CAM3

L’ampio angolo di ripresa (170°) delle videocamere ad uso sportivo

garantisce una ottimale visione anche in spazi ristretti. Sono

economiche, versatili e la custodia impermeabile le protegge da

particolato e calore. Video 1080p 60fps, obiettivo wide angle 170°,

autonomia 120 min.

30

Videocamera

Permettono una migliore qualità video e ma sono adatte a

riprendere solo un determinato oggetto. Generalmente una è

costantemente impegnata a riprendere i dati di bilancia e

opacimetro Brainbee (descritto in basso), mentre una seconda

è posizionata in alcune prove all’esterno a riprendere Finestra

FR e Porta Est. SE/NW

Bilancia digitale

Pensata per l’ambito postale si presta bene alla

misura della perdita di massa della catasta di

legna. La piattaforma di carico e l’unità

schermo sono collegate da un filo estensibile

RJ9 che permette di effettuare la misura in una

stanza e leggerla in un’altra.

Capacità massima 50kg, precisione 2g

Termocoppie tipo J

T1J125 – T1J200 – T1J280 – T2J265 – T3J200 – T3J280 – T4J200 – T4J280

Combinano precisione nella misura, economicità, resistenza

strutturale e termica

Termoelementi di tipo “J” in Ferro/Costantana 0.20mm2 con

giunto caldo scoperto, protetti da guaina AISI316 Ø6mm x

200mm, range di misura -40÷482 °C, precisione ≤2.5°C per

T<333°C e 0.0075xT per T>333°C, rivestimento del cavo

conduttore in fibra di vetro e calza AISI per protezione al

calore, lunghezza cavo 10m, terminazione con connettore

mignon maschio secondo ASTM E1129.

31

Sono state provate assieme a delle termocoppie tipo K per valutarne la sensibilità alla temperatura,

come descritto nel Capitolo 3.4.4

Datalogger di Temperatura

In numero di 2 unità, sono utilizzati in accoppiata con le termocoppie per

memorizzare i dati di temperatura.

Modello YC747U, 4 canali, risoluzione 1°C, campionamento 1s, compatibile

con termocoppie di tipo K, J, T, E, R&S, N

Misuratori Ossigeno

OXY 1 – OXY2

Misura la frazione in volume di ossigeno presente nell’aria (%vol.). Piccolo,

semplice da usare, progettato per un uso portatile, campionamento ogni 5s,

memoria fino a 54000 valori, protezione IP65

Opacimetro ‘home made’,

OPA1

Costruito accoppiando una torcia ed un luxmetro, sfrutta la legge di Lambert-Beer-Bouguer per

calcolare l’opacità dei fumi. Il flusso luminoso della torcia è orientato in modo da colpire

perpendicolarmente il sensore del luxmetro, se si frappone nel mezzo un ostacolo semitrasparente

(come del fumo o della polvere) l’intensità luminosa registrata dal luxmetro varierà in proporzione

alla trasparenza/opacità dell’ostacolo. Non ha una precisione certificata essendo artigianale ma ha

mostrato nei test di confronto (Capitolo3.4.3) di saper dare un’ottima stima del valore di opacità.

32

Aste centimetrate

ROD1 – ROD2 – ROD3

Aste in materiale PVC espanso (Forex), dimensioni 2900mm x195mm, tacche ogni 100mm, sono

da ausilio per la stima dell’altezza dei fumi tramite videocamere.

Opacimetro ‘BrainBee’

OPA2

Progettato per analizzare i fumi di scarico delle automobili, è stato modificato aggiungendo un

sistema di aspirazione per poter essere utilizzato per le prove nel seguente documento. È composto

33

da 2 unità, una effettua fisicamente la misurazione e l’altra visualizza il dato su monitor. Lo

strumento è posizionato in corridoio.

Rilevatori di fumo

SD

Rilevatori ottici di fumo, tipo indirizzato, basati sull’effetto Tyndall [9]. Sono collegati ad una

centralina con allarme posta in corridoio

Figura 28. Rilevatori di fumo puntiformi in FR

Figura 29. Centralina dei rilevatori di fumo posta in corridoio

9 Fenomeno di diffusione della luce dovuto alla presenza di particelle molo fini in sospensione. In breve un rilevatore di fumo possiede un emettitore ed un ricevitore di luce, separati da un labirinto opaco che ne impedisce la comunicazione. L’ingresso di particelle di fumo, però, permette la diffusione della luce nel labirinto e l’eccitazione del ricevitore e conseguente allarme del rilevatore.

34

3.4.2. Grandezze misurate

I parametri misurati durante le prove sono:

• Temperatura dei gas [°C], attraverso termocoppie tipo J Ø6mm a giunto scoperto con

precisione ≤2.5°C poste a diverse altezze da terra (T1J125, T1J200, T1J280, T2J265,

T3J200, T3J280, T4J200, T4J280);

• la concentrazione di ossigeno [%vol.] [10], attraverso misuratori d’ossigeno portatili con

campionamento 5s posizionati a 1,50 m da terra (OXY1, OXY2);

• il coefficiente di estinzione della luce K [m-1], attraverso opacimetri posizionati a 2,00m

d’altezza, esso è correlato alla visibilità ambientale (OPA1, OPA2);

• l’altezza dello strato dei fumi [m], attraverso l’accoppiata videocamere-aste centimetrate e

con l’ausilio delle termocoppie (CAM1, CAM2, CAM3, ROD1, ROD2, ROD3);

• il tempo di rilevazione fumi, attraverso 8 rilevatori di fumo ottici puntuali montati a soffitto

(SD).

10 parametro che in condizioni normali è pari al 20.9%

35

Figura 30. Planimetria del piano uffici oggetto dei test

36

3.4.3. Costruzione e verifica opacimetro

Si è provveduto alla costruzione ad-hod di uno strumento per la misura dell’opacità dei fumi. Uno

strumento del genere è chiamato Opacimetro e segue fondamentalmente la legge empirica di

Lambert-Beer. Un ausilio per la sua costruzione è offerto dal DM 628 del 23 ottobre 1996.

Quando un fascio di luce monocromatica di intensità I0 attraversa uno strato di spessore L di un

mezzo, una parte viene assorbita dal mezzo stesso e una parte viene trasmessa con intensità ridotta

I1<I0

𝐼1

𝐼0= 𝑒−𝐾𝐿

Il parametro K nella formula rappresenta il Coefficiente di estinzione della luce ed è il parametro

caratterizzante l’opacità del mezzo attraversato, ossia i fumi dell’incendio. Esso si ricava come:

𝐾 = −1

𝐿∙ 𝑙𝑛 (

𝐼1

𝐼0)

L’opacimetro è costituito quindi da 2 componenti base:

• una sorgente luminosa capace di emettere un fascio luminoso verso una certa direzione

• un ricevitore di luce posto a distanza L capace di misurare l’intensità del fascio

Figura 31. Schizzo di progettazione dell'opacimetro

Figura 32. Curva di visione fotopica

In Figura 31 si vede un primo schizzo di progettazione dell’opacimetro.

Come sorgente luminosa viene usata una torcia LED emettente un fascio di luce bianca con

apertura 30° ricadente nello spettro visibile e come ricevitore di luce un Luxmetro capace di

37

misurare l’illuminamento su una certa superficie con una curva di sensibilità coincidente con quella

di visione fotopica11 (Figura 32)

Il fatto di lavorare con una luce visibile, anziché infrarossa o ultravioletta, ha il vantaggio di

adattarsi meglio alla reale percezione luminosa dell’occhio umano, ma lo svantaggio di essere più

facilmente influenzata da fonti luminose esterne, come per esempio la luce ambientale. Per arginare

questo problema si nasconde il foto-ricevitore sul fondo di un cilindro in PVC, isolandolo così dalla

luce naturale. Quest’aggiunta provoca anche la modifica del parametro L, spessore del mezzo, che

passa da distanza emettitore-ricevitore a distanza emettitore-bordo cilindro (195 mm). Si ipotizza

cioè che il fumo emesso non possa entrare nel cilindro in PVC. Nonostante questa possa sembrare

un’ipotesi azzardata, i risultati ottenuti successivamente la andranno a confermare.

Una struttura metallica viene creata per allineare emettitore e ricevitore di luce e rendere il sistema

più robusto.

Il ricevitore è collegato poi ad un datalogger sistemato in una cassetta di derivazione elettrica per

proteggerlo dal fumo e dal calore sprigionati nei test.

Per rendere più stabile il flusso luminoso emesso, la torcia LED viene modificata ed alimentata

direttamente a corrente elettrica anziché a batteria. Questo risulta necessario in seguito ai risultati

raccolti nel primo test, in cui si nota un deterioramento consistente nel tempo dell’intensità

luminosa emessa e la cui causa è stata imputata principalmente al consumo progressivo delle

batterie.

Il prototipo finale dell’Opacimetro ‘home-made’ è visibile in Figura 33.

Figura 33. Versione definitiva dell'opacimetro 'home-made' costruito ad-hoc per i test

11 Curva di sensibilità dell’occhio umano alla luce in caso di illuminazione normale (giorno). In parole povere

rappresenta le bande spettrali che l’occhio umano è più o meno in grado di percepire. Affiancata alla visione

fotopica, vi è anche la visione scotopica che vale in condizioni di scarsa illuminazione (notte)

38

Una precisazione è da fare sulla relazione tra illuminamento e intensità di luce. Infatti è stato detto

precedentemente come il luxmetro misuri l’illuminamento E su una superficie e non l’intensità

luminosa I che compare nella legge di Lambert-Beer. Esiste però una relazione tra i due parametri.

L’intensità luminosa I è definita come il rapporto tra il flusso luminoso Φ emesso da una sorgente

in una determinata direzione ed il cono di angolo solido unitario nella direzione stessa Ω.

𝐼 [𝑐𝑑] =𝛷 [𝑙𝑚]

Ω [𝑠𝑟]

L’illuminamento E è definito come la quantità di flusso Φ incidente su una superficie A.

𝐸[𝑙𝑢𝑥] =𝛷 [𝑙𝑚]

𝐴 [𝑚2]

Sapendo poi dalla definizione di steradiante che:

Ω[𝑠𝑟] =𝐴 [𝑚2]

𝑟2[𝑚2]

Allora:

𝐼[𝑐𝑑] =𝛷[𝑙𝑚]

Ω[𝑠𝑟]=

𝛷[𝑙𝑚]

𝐴 [𝑚2]∙ 𝑟2 = 𝐸[𝑙𝑢𝑥] ∙ 𝑟2

Considerando poi ancora che nella legge di Lambert-Beer compare il rapporto tra le Intensità di

corrente, i termini in r2 si semplificano:

𝐼1

𝐼0=

𝐸1 ∙ 𝑟2

𝐸0 ∙ 𝑟2=

𝐸1

𝐸0

Ossia si può direttamente utilizzare il valore di illuminamento per il calcolo del coefficiente di

estinzione K.

39

Successivamente alla costruzione si è dovuta valutare la corretta misura dello strumento. Questa

operazione è avvenuta mediante il confronto con un altro strumento, un opacimetro per auto

BrainBee. I due opacimetri sono stati collocati a circa la stessa altezza (differenza massima 20cm)

in un angolo della Fire Room ed è stato innescato un generatore di fumo. La camera è stata

mantenuta chiusa fino a circa 900s dall’innesco.

Figura 34. Confronto opacimetri ‘home-made’ e ‘BrainBee’ - Coefficiente di Estinzione della luce K - Test 1

40

Figura 35. Confronto opacimetri ‘home-made’ e ‘BrainBee’ – Errore relativo - Test 1

Figura 36. Confronto opacimetri ‘home-made’ e ‘BrainBee’ - Coefficiente di Estinzione della luce K - Test 2

41

Figura 37. Confronto opacimetri ‘home-made’ e ‘BrainBee’ – Errore relativo - Test 2

In Figura 34 e Figura 36 è mostrato l’andamento del coefficiente di estinzione della luce K nei due

test condotti sugli opacimetri ‘home-made’ e ‘BrainBee’, mentre in Figura 35 e Figura 37 è

riportato l’errore relativo tra le misurazioni dei due opacimetri. Il dato relativo all’opacimetro

costruito ad-hoc è denominato in legenda k_homemade mentre quello di confronto k_brainbee.

Si può vedere come i due opacimetri diano risultati molto simili per tutta la durata dei test. L’errore

relativo tra la misura dell’opacimetro Home-made e quella dell’opacimetro BrainBee è contenuto

entro un 15-20% durante la fase stazionaria, mentre è più alto nella iniziale fase transitoria

dell’incendio.

In definitiva quindi l’opacimetro appena costruito restituisce una lettura abbastanza affidabile

dell’opacità dei fumi e verrà quindi utilizzato nei successivi test in FR.

3.4.4. Verifica delle termocoppie

La necessità di misurazione della temperatura durante i test ha richiesto l’acquisto di termocoppie

adatte all’uso.

Una Termocoppia è un sensore per la misura della temperatura, costituita da 2 filamenti di metalli

diversi uniti insieme all’estremità. Questa giunzione è convenzionalmente chiamata “giunto

42

caldo”, ed è il punto nel quale viene applicata la temperatura da misurare. L'altra estremità,

costituita dalle estremità libere dei due conduttori, è convenzionalmente chiamata “giunto freddo”.

Quando il giunto caldo è sottoposto ad un gradiente di temperatura, si instaura una differenza di

potenziale rilevabile nel giunto freddo tanto più grande quanto più alto è il gradiente, secondo una

legge non lineare. In commercio esistono varie tipologie di termocoppie, che differiscono per i

metalli usati nella giunzione:

• Tipo K, Chromel/Alumel, range temperatura -200 / +1260°C, maggiormente diffuse

• Tipo J, Ferro/Costantana, range temperatura 0 / +750°C

• Tipo T, Rame/Costantana, range temperatura -200 / +400°C

• Altre per applicazioni particolari (R, S, B, G, C …)

Figura 38. Schema di funzionamento di una

termocoppia tipo K

Figura 39. Tipologie di termocoppie

Il giunto caldo del termoelemento può essere di 3 tipi:

• Esposto (Exposed), risulta più economico e con un tempo di risposta ridotto, ma si deteriora

rapidamente se esposto ad agenti corrosivi

• A massa (Grounded), i fili della termocoppia sono fisicamente attaccati alla parete interna

della sonda, col vantaggio di avere un buon trasferimento di calore ed una protezione

parziale da agenti esterni

• Isolato (Ungrounded), la giunzione è separata ed isolata dalla parete della sonda, avendo

il massimo grado di protezione sia da agenti esterni, sia dal rumore. Per contro aumenta il

tempo di risposta.

Il tempo di risposta è un altro parametro importante, è definito come il tempo necessario al sensore

per raggiungere il 63,2% della variazione di temperatura istantanea. Il tempo di risposta è una

funzione della massa del sensore e della sua efficienza a trasferire il calore dalla superficie esterna

del rivestimento all’elemento sensibile.

43

Per il lavoro in oggetto la scelta è ricaduta su termocoppie Tipo “J” in Ferro/Costantana giunto

isolato e guaina di protezione in acciaio AISI316 Ø6 mm x 200 mm.

Le performance di tali termocoppie sono state verificate attraverso un confronto con delle

Termocoppie tipo “K” a giunto isolato e guaina di protezione AISI310 Ø1 mm x 250 mm. La

modalità di test consiste nell’immersione simultanea delle 2 termocoppie in acqua in ebollizione

per 1 minuto, che presenta, com’è noto, una temperatura di circa 100 °C.

Figura 40. Confronto termocoppie - Andamento della Temperatura

I risultati ottenuti sono riportati in Figura 40 ed i tempi di risposta in Tabella

4. Si può notate come la termocoppia tipo J sia molto più lenta della tipo K

nella misurazione di un gradiente di temperatura a causa delle differenti

caratteristiche costruttive, in particolare il diametro maggiore della sonda.

Tale lentezza nella risposta mal si adatta all’uso previsto, infatti non si

avrebbe la possibilità di cogliere con efficacia le variazioni di temperatura invalidando quindi ogni

eventuale dato raccolto.

Per risolvere la problematica, è stata effettuata una modifica alla termocoppia, consistente nella

rimozione della testa protettiva in acciaio e conseguente esposizione del giunto caldo. Questa

modifica migliora leggermente la sensibilità del termoelemento rendendo di fatto la termocoppia

del tipo “a giunto esposto”.

Nuovi test sono stati eseguiti su 8 termocoppie tipo J modificate ed i risultati sono riportati di

seguito in Figura 41.

Tempo di

risposta

K 1,5 s

J 15 s

Tabella 4. Tempi di risposta

44

Figura 41. Misurazioni di temperatura di 8 Termocoppie tipo J a giunto esposto per la valutazione del loro tempo di risposta

Il tempo di risposta sperimentale si è ora ridotto a circa 2s, sufficientemente basso per permetterne

l’utilizzo nei Tests ufficiali. È da tenere in considerazione, comunque, un decadimento delle

performance a causa del loro successivo utilizzo in aria anziché acqua, dove invece sono state

testate.

Nel primo scenario ufficiale SCEN1, è stato effettuato quindi un ulteriore confronto tra

termocoppie tipo K e tipo J per valutarne la reciproca differenza in uno scenario reale. In Figura

42 è riportato il confronto per la posizione T1J280. Si nota come l’andamento della termocoppia J

(colore blu) arrivi più lentamente a regime.

45

Figura 42. Confronto delle misurazioni di temperatura tra termocoppie tipo K e tipo J nel test SCEN1

46

47

4. Scenari e prestazioni

4.1. Scenari di analisi Attraverso il cambiamento della configurazione delle aperture (porte e finestre in vari punti del

piano) e quindi della ventilazione naturale all’interno dei locali, si sono esplorati differenti scenari

di incendio. In tabella si riassumono le caratteristiche dei diversi scenari, tutti contraddistinti dallo

stesso focolaio. Successivamente verranno indicati come SCEN1, SCEN2, SCEN3.

Scenario Scopo

Tempo trascorso tra l’innesco e l’apertura

dell’elemento di ventilazione naturale

Porta FR Finestra

FR

Porta Est.

NW

Porta Est.

SE

1

Simulare una propagazione

improvvisa del fumo nella via

d'esodo

6’ 20’’ 13’ 00’’ 11’ 11’’ Sempre

chiusa

2

Simulare una propagazione

progressiva del fumo nella via

d'esodo; ipotesi porta lasciata

aperta da una persona in fuga

dall’ufficio

Aperta

sin da

subito

11’ 18’’ Sempre

chiusa 11’ 29’’

3

Simulare una propagazione del

fumo nella via d’esodo con

presenza di sistema naturale di

evacuazione fumi

1’ 48’’ 1’ 50’’ 2’ 05’’ Sempre

chiusa

4.2. Soglie di prestazione Le soglie di prestazione (performance criteria) sono dei livelli limite stabiliti con la progettazione

prestazionale per il conseguimento di determinati obiettivi come, per esempio, la salvaguardia delle

strutture, degli occupanti, dei beni o dell’ambiente.

Le soglie riguardano la temperatura, il fumo, la concentrazione di gas tossici, l'altezza libera da

fumi o altri parametri misurabili.

In questo lavoro sono state usate le soglie di prestazione consigliate nel DM 3 agosto 2015:

48

Temperatura massima di esposizione (a 2m di altezza) 60 °C

Visibilità minima (a 2m di altezza) 10 m

Altezza minima dei fumi 2 m

49

5. Modellazione con Fire Dynamics Simulator (FDS)

5.1. Modello e parametri di input Il Fire Dynamics Simulator (FDS) è un software CFD che risolve una forma delle equazioni di

Navier Stokes adatta per basse velocità (Ma < 0.3), con flussi governati da gradienti termici e con

particolare riguardo ai fenomeni di trasporto di calore e di fumo tipici delgi incendi.

Lo schema è del tipo predittore-correttore con un accuratezza del secondo ordine in spazio e tempo.

La turbolenza è trattata per mezzo di Large Eddy Simulation (LES). La combustione è modellata

come una reazione chimica del tipo mixing-controlled, con sole 3 specie in gioco: aria,

combustibile, prodotti. Il trasporto di calore include una soluzione delle equazioni per

l’irraggiamento da corpo grigio gassoso; usa la tecnica ai Volumi Finiti discretizzando con 100

angoli solidi lo spazio.

FDS è quindi particolarmente adatto per la risoluzione dei problemi nell’ingegneria antincendio.

La versione di FDS utilizzata per lo svolgimento delle analisi oggetto del presente studio è la 6.5.3.

Dimensione mesh 0.1m x 0.1m x 0.1m

Altezza locali 3 m (valore medio)

Tipo di combustione Simple chemistry C1H1.7O0.83

Soot Yield 0.015

CO yield 0.005

Focolaio Burner surface a pavimento dimensioni 0.5x0.5 m

HRR Assegnato come in Figura22

HRRPUA = 393 kW/m2

Termocoppie Bead Diameter 6 mm

Emissivity 0.85

Bead Density 8000 kg/m3

Bead Specific Heat 0.51 kJ/kg∙K

Dal momento che molti parametri caratterizzanti il sistema sperimentale non erano noti, è stata

fatta una analisi di sensitività su alcuni parametri del modello FDS:

- Caratteristiche termiche pareti

- Prodotti della combustione

- Leakage

50

- Heat Release Rate

- Termocoppie

5.2. Modellazione termocoppie e superfici In FDS le termocoppie sono state modellate come un dispositivo “Thermocouple”, sono state

messe in posizione come da layout sperimentale e sono stati impostati i parametri caratteristici

come sotto:

BeadDiameter 6 mm

Emissivity 0,85

BeadDensity 8000 kg/m3

BeadSpecificHeat 0,51 kJ/(kg·K)

Il parametro determinante in fase di misurazione della temperatura è il “beaddiameter”, più alto è

questo valore e maggiore è il tempo di risposta della termocoppia. Per determinare il parametro

che produce la miglior approssimazione tra dati simulati e sperimentali, sono state modellate 7

termocoppie in FDS che si differenziano per il solo BeadDiameter.

BeadDiameterRange [mm] 1 4 6 8 10 12 14

Di seguito in Figura 43 e Figura 44 è proposto il grafico per la comparazione delle Temperature

misurate da differenti termocoppie in FDS e le Temperature sperimentali di SCEN1 e SCEN3.

51

Figura 43. Comparazione tra la Temperatura misurata da T1J280 nella simulazione di SCEN1 con differenti BeadDiameter e la temperatura sperimentale nello stesso punto

Figura 44. Comparazione tra la Temperatura misurata da T1J280 nella simulazione di SCEN3 con differenti BeadDiameter e la temperatura sperimentale nello stesso punto

52

Come si evince dei 2 grafici, la termocoppia con un BeadDiameter di dimensioni 6 mm è quella

maggiormente fedele alla curva di temperatura sperimentale, in particolare nella fase di crescita

fino a 300 secondi per SCEN1 e fino a 900 secondi per SCEN3. Si ha quindi corrispondenza tra

Bead Diameter di termocoppie modellate e quello delle termocoppie reali.

Un’altra cosa da modellare sono le superfici di pareti, solaio e pavimento dei locali di prova. Le

possibilità per ogni superficie sono 3: inert, adiabatic, material layers.

La caratteristica INERT attribuita ad una superficie fa sì che questa non si scaldi mai e resti

costantemente alla temperatura ambiente, ossia permette una forte dispersione del calore prodotto.

La caratteristica ADIABATIC non permette alcuna dispersione del calore fuori dalla stanza e

rappresenta, nei fatti, l’opposto di INERT. In questo caso si ottiene un forte incremento delle

temperature nella camera (Vedi Figura 45).

La terza caratteristica attribuibile ad una superficie è la successione di uno o più strati di materiale

e rappresenta un comportamento intermedio tra Inert e adiabatic.

MATERIALI Mattoni

pieni

Calciosilicato Intonaco Truciolato

Density [kg/m3] 1600 870 1600 500

Specific Heat [kJ/(kg·K)] 1 1 1 1

Conductivity [W/(m·K)] 0,8 0,2 0,8 0,1

Emissivity 0,9 0,9 0,9 0,9

AbsorptionCoeff [1/m] 50000 50000 50000 50000

SUPERFICI

Soffitto 30cm di mattoni

Soffitto FR 1cm di Calciosilicato + 29cm di mattoni

Pavimento 3cm di Truciolato

Parete 2cm di Intonaco + 12cm di mattoni

53

Figura 45. Andamento delle Temperature in FR in SCEN1 misurate dal sensore T1J280 con pareti modellate tipo INERT, ADIABATIC e MATERIAL LAYERS e dato sperimentale

In Figura 45 si riporta l’andamento della temperatura nella posizione T1J280 di SCEN1 per la

simulazione con superfici tipo INERT, tipo ADIABATIC e tipo MATERIAL e per il test

sperimentale.

La adiabatic cresce in maniera spropositata, raggiungendo un picco di 400°C, oltre 4 volte

superiore a quello sperimentale (non mostrato interamente in figura per questioni di scala del

disegno). Questo tipo di superficie non rappresenta adeguatamente quella reale e viene quindi

scartata.

Inert e material sono molto simili sia tra loro che a quella sperimentale. La curva material,

nonostante un picco più alto iniziale, raggiunge una temperatura comparabile alla sperimentale

intorno i 900s – 1100s, ossia quando la temperatura sperimentale raggiunge la stabilizzazione.

Sembra quindi che delle superfici modellate con più strati di materiale siano le più adatte e verranno

usate nelle successive simulazioni.

54

5.3. Valutazione del parametro Soot Yield Il Soot Yield (Ys) rappresenta la frazione di massa del combustibile convertita in particolato di

fumo e varia da 0.01 a 0.12 per i materiali a base di cellulosa, come ad esempio legno, carta e

cartone Tabella 5. Esso è strettamente correlato all’opacità dei fumi ossia il Coefficiente di

estinzione della luce K.

Il parametro è calcolato sperimentalmente attraverso un campionamento dei fumi di combustione

con misurazione continua della portata volumica e opacità degli stessi.

Materiale Ys [-]

Polivinilcloruro PVC 0.12

Poliuretano PU 0.09

Polipropilene PP 0.12

Polimetilmetacrilato PMMA 0.022

Eptano 0.015 Tabella 5. Soot Yield di alcuni materiali

Le relazioni in gioco sono:

𝑌𝑠 =�́�𝑠

�́�𝑒

�́�𝑠 = 𝐶𝑠 ∙ �́�𝑒

𝐾 = 𝐶𝑠 ∙ 𝑘𝑠

𝑌𝑠 = Soot Yield [-]

�́�𝑠 = soot mass flow rate [g/s]

�́�𝑒 = exhaust mass flow rate [g/s]

𝐶𝑠 = Soot Concentration [g/m3]

�́�𝑒 = exhaust volume flow rate [m3/s]

𝑘𝑠 = specific extinction coefficient [m2/g]

𝐾 = extinction coefficient [1/m]

55

Il Soot Mass flow rate è esprimibile quindi in altri termini, manipolando le equazioni:

�́�𝑠 = 𝐶𝑠 ∙ �́�𝑒 =𝐾

𝑘𝑠∙ �́�𝑒

Per cui il Soot Yield sarà:

𝑌𝑠 =𝐾

𝑘𝑠∙

�́�𝑒

�́�𝑒

I valori 𝐾, �́�𝑒, �́�𝑒 sono variabili nel tempo e misurabili tutti sperimentalmente, ks è invece circa

costante per tutti i flaming fire con valore 8.7 m2/g. Tale numero è impostato come predefinito in

FDS e viene quindi usato nei successivi calcoli.

In Figura 2 al Capitolo 1.3 è stato descritto il Cone Calorimeter. Esso, oltre a misurare l’Heat

Release Rate, consente anche di avere una misura del parametro soot yield. Il coefficiente di

estinzione della luce K è misurato tramite un opacimetro tipo Laser Beam montato nell’exhaust

duct, �́�𝑒 è calcolato come prodotto della velocità del flusso nell’exhaust duct e l’area del condotto

(�́�𝑒 = 𝑣𝑒 ∙ 𝐴𝑑𝑢𝑐𝑡), �́�𝑒 rappresenta la perdita di massa dell’elemento combustibile nel tempo ed è

quindi misurata tramite una bilancia.

Questo procedimento fornisce dei valori istantanei di Ys, che poi andrebbero mediati nel tempo

per ottenere un unico valore caratteristico del materiale combustibile. Una strumentazione così

fatta è complessa e costosa da costruire, inoltre avere dei valori istantanei di Ys è fin troppo

accurato nel nostro caso. Si prova quindi a semplificare il procedimento di calcolo ragionando sui

parametri dipendenti dal tempo.

I parametri�́�𝑒, �́�𝑒 possono essere visti anche come 𝑑𝑉𝑒

𝑑𝑡, 𝑑𝑚𝑒

𝑑𝑡 ossia riferiti ad un intervallo di tempo

infinitesimo. Ipotizziamo ora che l’intervallo di tempo sia ben definito e pari a 𝑡 − 𝑡0 e riscriviamo

l’equazione:

�́�𝑠 =𝐾

𝑘𝑠∙

𝑉𝑒

𝑡−𝑡0𝑚𝑒

𝑡−𝑡0

=𝐾

𝑘𝑠∙

𝑉𝑒

𝑚𝑒

𝑚𝑒 = cumulated exhaust mass [g]

𝑉𝑒 = cumulated exhaust volume [m3]

56

Si vede come il tempo non è più presente esplicitamente nell’equazione. Sono invece presenti le

quantità Ve e me che rappresentano integrali definiti con estremi t0 e t. Fissando poi t0= 0 diventano

quantità cumulate dall’innesco del generatore fino ad un certo istante t. Il parametro K non subisce

variazioni e continua a rappresentare l’opacità nel generico istante di tempo t. Questa nuova

equazione si adatta meglio alle nostre esigenze e consente un ulteriore semplificazione, quella di

fissare Ve ad una costante ossia un volume ben definito come ad esempio il volume della camera

di prova. Questa semplificazione, comunque, è valida solo sotto l’ipotesi di uniformità spaziale dei

fumi della combustione, ovvero che non si verifichino stratificazioni. Questo difficile requisito è

ottenibile solo dopo che essere passato del tempo, tanto maggiore quanto più grande è il volume

della camera di prova.

Nelle due prove per testare l’opacità di fumi sono state prestate le seguenti attenzioni per poter

effettuare un calcolo sufficientemente accettabile di Ys:

• Il parametro volume cumulato Ve è supposto pari al volume della stanza, 65 m3

• Il parametro tempo t è preso il più alto possibile, affinché una buona uniformizzazione dei

fumi possa compiersi, ma anche contenuto al di sotto della soglia di passaggio a flaming-

fire. In definitiva viene preso come parametro t il momento di evoluzione a flaming-fire

del generatore di fumo.

• Il parametro massa cumulata me è preso corrispondente al tempo t

• Il parametro coefficiente di estinzione K, è preso al tempo t+100s, ossia ritardato, per

tenere in considerazione la lontananza dello strumento di misura dal generatore di fumo

• Un range di valori anziché uno singolo è d’obbligo, data l’incertezza in gioco

Prova Opacità fumi n.1 Prova Opacità fumi n.2

Ve [m3] 65 65

Ks [m2/g] 8.7 8.7

t [s] 255 586

me [g] 310 280

K [-] 4.7÷5.6 5.0÷5.6

Ys [-] 0.113÷0.135 0.133÷0,149

ms [g] 35÷41.8 37.2÷41.7

57

Quindi un generatore di fumo configurato come in Capitolo 3.3.2 riesce a produrre una massa di

particolato di 35÷42 g circa, con un Ys compreso tra 0.113÷0.149

Ora per poter utilizzare questo dato nel software FDS, è necessario adattarlo alla massa della catasta

di legna, ovvero fare in modo che la combustione della catasta di legna produca da sola la stessa

quantità di particolato carbonioso prodotta dal generatore di fumo. Questa imposizione è richiesta

dalla scelta modellistica di includere il solo focolaio della catasta di legna nelle simulazioni.

Vengono presi in considerazione ora i tre scenari di prova analizzati, e vengono riportati in tabella

sottostante la durata del generatore di fumo (intesa come tempo di smouldering fire), la massa della

catasta di legna consumata in quell'arco di tempo e il Soot Yield equivalente della catasta,

considerando una massa di particolato media di 38.5g

SCENARIO 1 SCENARIO 2 SCENARIO 3

Durata generatore [s] 772 820 493

Massa consumata della

catasta [g] 3100 3700 1740

SootYield [-] 0.0124 0.0104 0.0221

MEDIA [-] 0.015

Nelle successive simulazioni FDS verrà utilizzato un parametro medio di Ys pari ad 0.015 e

verranno discusse le differenze riscontrate.

58

59

6. Risultati e interpretazione delle prove sperimentali

6.1. Rilevazione fumi I rilevatori di fumo ottici presenti nella camera hanno generato un allarme in un tempo compreso

tra i 50 e i 70 secondi dall’innesco del generatore di fumo

6.2. Temperatura dei fumi I dati di temperatura considerati sono solo quelli delle termocoppie T1J125, T1J200, T1J280

posizionate in FR come in Figura 30. I locali non sono dotati di climatizzazione per cui si trovano

a inizio prova alla stessa temperatura ambientale esterna.

Nella Fire Room la temperatura dei fumi caldi supera in tutti gli scenari il limite di vivibilità di

60°C a 2 metri di altezza fissato dal DM 3 agosto 2015 [Tabella M.3-2]. Il tempo necessario a

raggiungere tale soglia è visibile in Tabella 6 e, come si evince, esso è compreso tra gli 8 e i 14

minuti e dipende con ogni probabilità dalla diversa temperatura esterna ed iniziale della stanza.

Maggiore è la temperatura iniziale nella stanza, minore il tempo impiegato dall’aria nella stanza

per raggiungere il valore soglia.

SCEN 1 SCEN 2 SCEN 3

8’ 14’’ 9’ 22’’ 13’ 41’’ Tabella 6. Tempo necessario in ogni test per raggiungere 60°C a 2 m da terra.

In tutti gli scenari, il tempo impiegato perché la temperatura dell’aria a 2 metri da terra raggiunga

il valore soglia di 60°C è largamente superiore al tempo presumibilmente necessario agli occupanti

della stanza per abbandonarla (2-3 minuti).

Le temperature massime rilevate nella FR alle diverse altezze considerate si possono vedere in

Figura 46, insieme alla temperatura ambiente T0 nella giornata del test. Come si può vedere, la

situazione più gravosa per la temperatura è rappresentata dallo Scenario 1, poiché la FR rimane

inizialmente chiusa per un tempo maggiore, ed è qui che si ottengono le temperature maggiori.

60

Figura 46. Profilo delle Temperature massime raggiunte in FR, con indicazione della temperatura ambientale T0

Sono altresì riportati gli andamenti nel tempo della temperatura alle varie altezze insieme agli

istanti di apertura dei serramenti per Scenario 2 (Figura 47) e Scenario 3 (Figura 49).

In Figura 47 è riportato il dato relativo allo scenario 2; le temperature rilevate dai sensori crescono

col progredire dell’incendio, tanto più velocemente quanto più il sensore è posto in alto. Questo è

dovuto al fatto che i fumi indisturbati salgono verso l’alto dove creano uno strato ad alta

temperatura. Nel momento in cui avviene l’apertura dei serramenti esterni, intorno 700s, si verifica

un cambio di pendenza in tutti e 3 gli andamenti. Infatti, alle altezze 2,80 e 2,00 m la curva si

stabilizza e procede orizzontalmente, a 1,25 m addirittura inizia a scendere, suggerendo che

l’effetto della ventilazione è maggiore in basso come è schematizzato in Figura 48.

61

Figura 47. Andamento nel tempo della Temperatura in Scenario 2

Figura 48. Effetto della ventilazione naturale sulla Temperatura in camera all’apertura della finestra FR

In Figura 49 si osserva che lo Scenario 3 è caratterizzato da temperature più basse poiché in quella

giornata la temperatura ambiente era minore. Tuttavia la crescita della temperatura segue il

medesimo comportamento dello scenario 2, rimanendo più alta ad altezze superiori. Ponendo

l’attenzione sulla curva ad altezza 1,25 m, si vede come questa rimanga per tutto il test abbastanza

bassa, mostrando uno scostamento di quasi 50 gradi rispetto quella a 2,00 m nel momento del picco.

62

Figura 49. Andamento nel tempo della Temperatura in Scenario 3

La Figura 50 mette a confronto le misure rilevate dal sensore T1J200 a 2 metri da terra per tutti gli

scenari.

In figura si osserva come l’andamento è simile nei tre scenari, con Scenario 1 più ‘caldo’ e Scenario

3 più ‘freddo’. In particolare scenario 1 e 2 hanno un andamento simile, mentre il test di Scenario

3 avviene in una giornata particolarmente fredda, per cui ci troviamo con una temperatura iniziale

di 10-12 °C inferiore a quella dei precedenti scenari. Questo scostamento è ancora visibile in ogni

istante della prova per cui è possibile associarlo effettivamente alla differente temperatura iniziale

della camera. Nel tentativo di eliminare tale scostamento e uniformare quindi le condizioni iniziali

di temperatura tra gli scenari, si è realizzata una un ulteriore curva tratteggiata traslando in alto la

curva di temperatura di Scenario 3 di +10°C. Dal confronto di SCEN1, SCEN2 e SCEN3_trasl, si

nota come non ci siano significative differenze nell’andamento complessivo nel tempo delle

temperature a 2 m di altezza e lontano dal focolaio.

Allo stesso modo, in Figura 51 sono state confrontate le temperature dei vari scenari rilevate dal

sensore T1J125 posto a 1,25 m dal pavimento.

63

Si vede come in SCEN1 la temperatura cresca all’inizio più velocemente di SCEN2 e

SCEN3.Questo è dovuto al fatto che nello scenario 1 la porta FR è inizialmente chiusa e quindi i

fumi restano confinati nella stanza. L’apertura della porta FR a 380s e della finestra FR a 780s

determina una fuoriuscita di calore dalla Fire Room e si traduce in una variazione di pendenza della

curva di temperatura. Scenario 2, avendo sin da subito la porta FR aperta, mostra a 1,25m una

crescita della temperatura più lenta per poi presentare anch’esso un calo della temperatura intorno

a 700s in corrispondenza della apertura della finestra e della Porta Esterna SE. In Scenario 3, dove

a 100s vengono aperte porta e finestra, la temperatura si mantiene più bassa rispetto agli altri

scenari discostandosi appena di 7 °C da quella iniziale. L’elevato scostamento tra lo scenario 3 e

gli altri 2è presente anche traslando la curva (tratteggiata).

Figura 50. Confronto tra le temperature degli scenari a 2,00 m da terra in FR

64

Figura 51. Confronto tra le temperature degli scenari a 1,25 m da terra in FR

Anche in corridoio sono state posizionate ulteriori termocoppie a 2,80m e 2,00m, le misurazioni

dei sensori T3J280 e T3J200 sono visibili in Figura 52.

Qui i picchi di temperatura raggiungono a 2m di altezza 38°C in SCEN2 e 19°C in SCEN3, rispetto

ai rispettivi 73°C e 62°C della Fire Room alla stessa altezza, ossia in corridoio si registra una

temperatura più bassa che in Fire Room. Questo fatto è causato dello scambio termico che i fumi

hanno con l’aria circostante, le pareti ed il soffitto e comporta un progressivo raffreddamento degli

stessi man mano che ci si allontana dal focolaio.

65

Figura 52. Confronto tra le temperature degli scenari a 2,80 m e 2,00m da terra in corridoio

Le considerazioni finali che possono essere ricavate sono quindi:

• nonostante la diversa temporizzazione delle aperture di porta e finestra, permane in tutti

gli scenari un gradiente verticale di temperatura; pertanto, nei casi analizzati, la presenza

di ventilazione naturale (dovuta a porte/finestre) non pregiudica completamente la

stratificazione dei fumi

• l’apertura di serramenti esterni, in modo tale da generare un flusso d’aria, ha una

conseguenza immediata sulle temperature e porta ad un generalizzato raffreddamento del

locale con un effetto molto più marcato nella parte inferiore della stanza, ossia a quote

basse. In particolare si ottiene un calo delle temperature nella zona inferiore, ed una

stabilizzazione delle stesse nella zona alta.

6.3. Altezza libera da fumi In base alle prescrizioni contenute nel DM 3 agosto 2015 [Tabella M.3-3], le condizioni di

sicurezza e vivibilità per gli occupanti sono assicurate da un’altezza libera dai fumi maggiore di 2

m da terra.

66

L’altezza libera dai fumi è stata stimata sperimentalmente attraverso le telecamere e le aste

centimetrate CAM1-ROD1 per la Fire Room, CAM2-ROD2 e CAM3-ROD3 per il corridoio, ed è

affetta da circa ±0,15 m di incertezza.

Confrontando i dati sperimentali in Figura 54, si può apprezzare il diverso comportamento tra

Scenario 2 e 3. Nello scenario 3, si osserva una costante altezza libera da fumi di circa 1.7m grazie

alla presenza di ventilazione naturale sin dal 2 minuto, mentre in Scenario 2, che rimane sigillato

per oltre 11 minuti, lo strato dei fumi cresce fino addirittura ad interessare tutta l’altezza dei locali.

Prima dei 100-120 s non è visibile una interfaccia netta tra aria pulita e fumi, poiché inizialmente

il fumo, raggiunto il soffitto di FR, si muove parallelamente ad esso mantenendo uno spessore

trascurabile. Dopo qualche minuto, in SCEN3, non è più possibile stimare l’altezza dell’interfaccia

a causa del rimescolamento dell’aria e la contaminazione dello strato inferiore.

Tale rimescolamento tra fumi e aria a livello dell’interfaccia è dovuto a due fattori distinti:

• raffreddamento dei fumi a contatto con il soffitto e con le pareti verticali, che provoca la

destratificazione lontano dal pennacchio

• effetto dell’apertura di porta e finestra che perturba il sistema.

Il fenomeno della destratificazione lontano dal pennacchio è visibile in Figura 53 [12]. Qui è

rappresentato il comportamento dello strato dei fumi in un ambiente confinato, identificandone 4

stadi.

(1) Inizialmente i fumi si muovono parallelamente al soffitto (ceiling jet), cedendogli calore.

(2) Arrivati a lambire le pareti saranno diventati abbastanza freddi da iniziare un moto verso il

basso (wall jet) in prossimità delle pareti stesse.

(3) La progressione dell’incendio causa uno strato uniforme di fumi che inizia ad accrescersi,

sommergendo i moti ceiling-wall jet. In contemporanea lo strato inferiore di aria relativamente

smoke-free si assottiglia.

(4) Infine il fumo in adiacenza alle pareti pian piano si raffredda, diventa più denso e quindi inizia

a muoversi verso il basso, contaminando lo strato d’aria inferiore.

12 Capitolo 3-10, SFPE Handbook of Fire Protection Engineering 3rd Edition

67

Figura 53. Comportamento dello strato di fumi col progredire di un incendio in un ambiente confinato

Questo è il motivo per cui dopo 400s in Scenario 3 non si hanno più dati per la FR. In corridoio,

invece, si intravede uno strato di fumi solo a partire da 300s e questo resta abbastanza stabile fino

a 700s dall’innesco, quando la perturbazione verificatasi fino a quel momento rende non più

visibile l’interfaccia tra gli strati superiore ed inferiore.

Analogamente anche Scenario 2 è affetto dal rimescolamento dell’aria, ma in questo caso il

fenomeno è più lento e un’interfaccia abbastanza definita viene conservata fino all’apertura della

finestra a circa 700s. Il corridoio, nonostante sia comunicante con la FR sin dal principio, inizia ad

essere invaso dai fumi solo a circa 300s ed in appena 2 minuti di tempo, l’altezza libera si azzera.

In Scenario 1, lo strato di fumi non cresce fino all’apetura della porta FR (380s) ovviamente. Dopo

questo istante in appena 20÷30 secondi l’altezza libera si riduce a 2 metri, ed in 3’30” si azzera. La

velocità con cui si inspessisce lo strato di fumi è paragonabile a quella di SCEN2 tra 300s e 430s.

Non si hanno dati in FR per lo SCEN1 a causa di un errato posizionamento della CAM1.

68

Si evince quindi che l’effetto perturbativo delle aperture sullo strato dei fumi è maggiore rispetto

al semplice raffreddamento per scambio termico con le pareti. Inoltre sembra che in corridoio la

stratificazione inizi sempre nello stesso momento (circa 300s) in SCEN2 e SCEN3,

indipendentemente dalla presenza o meno di un percorso ventilato instaurato dall’apertura

contemporanea di Finestra FR – Porta FR – Porta Esterna NO/SE. Probabilmente la causa è che i

fumi inizialmente generati rimangono confinati nel volume compreso tra soffitto FR e architrave

porta FR (circa distanza 1 metro), senza varcare la soglia della porta FR. Solo successivamente

inizia un flusso consistente di fumi verso il corridoio.

È altresì caratteristico osservare la circa stessa velocità di saturazione del volume corridoio da parte

dei fumi tra SCEN1 e SCEN2. Ossia in SCEN2, avente la porta FR aperta sin da subito, si va ad

instaurare lo stesso flusso di massa uscente di SCEN1, dove la Porta FR si apre improvvisamente.

Questa similitudine si riscontrerà anche nei dati di Opacità dei fumi al seguente capitolo.

Il percorso ventilato inoltre non ripristina col tempo uno strato totalmente smoke-free e l’aria negli

ambienti continua ad essere parzialmente contaminata in ogni punto.

Considerando, come suggerisce il decreto, una soglia di prestazione per l’esodo in sicurezza di 2

m liberi da fumo, si può vedere come i tempi disponibili per l’evacuazione siano esigui in un locale

tipo uffici di appena 3 metri di altezza; nella via di fuga rappresentata dal corridoio sono disponibili

meno di 5’ dall’innesco, che si riducono a circa 3’30’’ dalla rilevazione del fumo. Si ricorda inoltre

che in questi test il focolaio usato è di dimensioni ridotte ed a crescita molto lenta, per cui in una

ipotetica situazione reale con focolaio più grande e rapido il tempo disponibile si ridurrebbe

ulteriormente.

69

Figura 54. Confronto tra scenario 2 e 3 dell’altezza libera da fumi in FR e Corridoio

Figura 55. Altezza libera in FR - SCEN2 400s

Figura 56. Altezza libera in FR - SCEN3 400s

6.4. Visibilità Il valore limite di visibilità sul piano orizzontale a 2 metri da terra è fissato a 10m nel DM 3 agosto

2015 [Tabella M.3-2]. Questo valore, che garantisce l’esodo degli occupanti in sicurezza,

corrisponde ad un valore del coefficiente di estinzione della luce K di 0.30 m-1

K [m-1] 0.10 0.20 0.30 0.40 0.50 0.60 0.70 0.80 0.90 1 2 3 4 5 6 7

S [m] 30.00 15.00 10.00 7.50 6.00 5.00 4.29 3.75 3.33 3.00 1.50 1.00 0.75 0.60 0.50 0.43

70

Per la FR gli andamenti del Coefficiente di Estinzione della luce K, e quindi dell’opacità fumi,

sono misurati dal sensore OPA1 a 2,00 metri da terra e sono riportati in Figura 57.

Come si evince dai grafici, la soglia di vivibilità è raggiunta in circa 150-180 sec in tutti gli scenari.

Si nota come le curve di SCEN 1 e SCEN 2 siano molto simili tra loro; in entrambi i casi vi è la

presenza di due andamenti consecutivi nel tempo. Il primo andamento è rettilineo crescente, il

secondo assume una crescita quadratica fino al picco massimo. Questo cambiamento di pendenza

avviene in Scenario 1 esattamente all’apertura della porta FR, ossia quando viene permesso al fumo

di propagarsi anche in corridoio. È quindi probabile che anche in Scenario 2 avvenga un fenomeno

simile, ossia che a circa 240s dall’innesco inizi una copiosa movimentazione di fumo da FR a

Corridoio.

Lo scenario 3 presenta una curva di crescita più irregolare delle precedenti, a causa della maggiore

attività turbolenta, ed arriva al suo massimo in anticipo rispetto alle curve degli scenari precedenti.

Deve notarsi però che la durata del generatore di fumo è in questo scenario assai inferiore (327s in

meno), per cui è verosimile che si abbia avuta una combustione del cartone interno più veloce e

conseguente tasso di produzione di fumo maggiore.

Tutti gli scenari presentano un picco successivo all’esaurimento del generatore di fumo. Il picco

ritardato è dovuto ad un ritardo di rilevazione strumentale, poiché l’opacimetro non si trova

esattamente sopra il generatore di fumo ma in un angolo della stanza a 3 metri da esso. Il successivo

decadimento del coefficiente di estinzione invece è dovuto alla ventilazione dei locali operata dalle

aperture; finestre aperte e porte aperte contribuiscono a smaltire parte del fumo quindi si ha un

generale miglioramento della visibilità in camera.

71

Figura 57. Andamento del Coefficiente di Estinzione della luce K in FR in tutti gli scenari

Per lo scenario 2 si riporta anche il confronto tra opacità nella FR e opacità nel corridoio (Figura

58). I fumi vengono rilevati per la prima volta in corridoio dal sensore OPA2 a 2,00 metri da terra

dopo 300s dall’innesco, ossia 200s dopo rispetto alla FR. Questo dato è congruente con quello di

Figura 54 secondo cui il tempo necessario a creare uno strato di fumi visibile in corridoio è circa

300s. La perdita del requisito visibilità a 10 metri è anch’essa ritardata di 200s, ossia si verifica a

380s dall’innesco, ma il picco massimo viene raggiunto nel medesimo tempo sia in FR che in

corridoio. Sembra quindi che, nonostante il delay iniziale, corridoio e FR raggiungano rapidamente

un’uniformità dei fumi, tanto da comportarsi da 500s in poi quasi come un unico ambiente. Lo

stesso picco massimo raggiunto in FR si vede anche in corridoio e nel medesimo istante.

72

Figura 58. Coefficiente di Estinzione K in corridoio

6.5. Concentrazione di ossigeno Nei test sperimentali la concentrazione di ossigeno in FR parte dal valore standard 20.9%vol ±0.1%

e scende col procedere della combustione.

Il grafico in Figura 59 rappresentala concentrazione di ossigeno in FR misurato dal sensore OXY1

a 1,50 m da terra.

In SCEN 3, grazie all’elevata ventilazione, si mantiene costantemente una concentrazione normale

di ossigeno [13], mentre nei test 1 e 2 la concentrazione minima è 18.5-19%. A queste percentuali,

gli occupanti coinvolti potrebbero iniziare a presentare i sintomi iniziali della carenza di ossigeno

come la difficoltà di coordinazione [14]. È da tenere a mente inoltre che una riduzione dell’O2 è

correlata ad un incremento di gas tossici/asfissianti come CO, CO2 per cui l’effetto complessivo

sulla salute umana è maggiore di quello dovuto alla sola riduzione di ossigeno.

13

OSHA definisce un’atmosfera come carente di ossigeno quando la concentrazione di ossigeno scende sotto

19,5%, mentre da 20.8 a 21% come normale 14http://www.airproducts.com/~/media/files/pdf/company/safetygram-17.pdf

73

In generale l’attivazione di un percorso d’aria verso l’esterno porta ad un incremento della

concentrazione di ossigeno in seguito all’immissione di aria fresca. Lo si può vedere in Scenario 1

a circa 850s con l’apertura di Finestra FR − Porta Est. NW, in Scenario 2 a circa 700s all’apertura

di Finestra FR − Porta Est.SE

In Scenario 3 l’apporto costante di aria (porta FR, finestra FR e porta Est. NW sono aperte

dall’istante 120s) consente di mantenere la concentrazione di O2 sopra 19.5%. Il picco a 350s÷400s

apparentemente non ha una spiegazione; piccole oscillazioni sono prevedibili, ma questo picco è

troppo pronunciato per essere dovuto solo ai fenomeni turbolenti. Potrebbe essere stato causato da

un momentaneo deficit strumentale.

Figura 59. Concentrazione di Ossigeno in Fire Room registrata dal sensore OXY1 a 1,50m da terra

74

75

7. Risultati e interpretazione delle simulazioni FDS

7.1. Temperatura dei fumi In seguito Figura 60e Figura 61mostrano il confronto tra dati sperimentali e simulazioni per il

parametro Temperatura nello Scenario 2 e Scenario 3.Figura 62e Figura 63 mostrano invece la

stratificazione delle temperature sull’altezza del locale nel particolare istante t=700s

rispettivamente per Scenario 2 e Scenario 3.

In Figura 60 la temperatura simulata su FDS mostra picchi più alti rispetto alla sperimentale e

sembra risentire maggiormente dell’aumento di ventilazione a 700s, come si può vedere dal rapido

decadimento iniziato in quell’istante. Si osserva che lo scostamento per le termocoppie a 2,80m e

2,00m è di 20°C (maggiore del 20÷30% rispetto allo sperimentale), per la termocoppia ad altezza

1,25m diventa addirittura 45°C (maggiore del 110% rispetto allo sperimentale), come si vede in

Figura 62. Quindi lo scostamento della temperatura dei gas tra simulazione e test sperimentali è

maggiore a quote basse rispetto alle quote alte (più vicine al soffitto).

Figura 60. Confronto sperimentale – simulazione per il parametro Temperatura in Scenario 2

La differenza tra simulazioni e test risulta più contenuta nello Scenario 3 (Figura 61), dove

l’approssimazione è più soddisfacente sia come valore di picco che come andamento della curva

76

per h2,80 e h2,00 (errore contenuto nel 5%). Anche in questo caso però si ha scarsa corrispondenza

tra simulazioni e test per l’altezza 1,25m (fino a +190%). Si può apprezzare il profilo di temperatura

alle varie altezze in Figura 63.

Figura 61. Confronto sperimentale – simulazione per il parametro Temperatura in Scenario 3

77

Figura 62. Grafico Temperatura-altezza SCEN2 – t=700s

Figura 63. Grafico Temperatura-altezza SCEN3 – t=700s

Le cause di questa incongruenza tra dati sperimentali e risultati FDS sono da ricercarsi nelle ipotesi

di modellazione e nelle incertezze degli apparati di misura strumentale. Infatti, come detto

precedentemente, alcuni parametri caratterizzanti il sistema sperimentale non erano noti e sono

78

stati dedotti con analisi di sensitività, in aggiunta nella simulazione non è considerata l’influenza

del vento.

7.2. Altezza libera da fumi FDS sfrutta la variazione di temperatura sull’altezza per stimare lo spessore dello strato dei fumi,

tale metodo è il “Reduction Method”. Considerando una funzione continua T(z) che definisce la

temperatura T come funzione dell’altezza dal pavimento z, dove z = 0 rappresenta il pavimento e

z = H il soffitto. Si definisce come Tu la temperatura dello strato superiore, Tl la temperatura dello

strato inferiore e zint come l’altezza dell’interfaccia ossia l’altezza libera da fumo:

(𝐻 − 𝑧𝑖𝑛𝑡) ∙ 𝑇𝑢 + 𝑧𝑖𝑛𝑡 ∙ 𝑇𝑙 = ∫ 𝑇(𝑧)𝑑𝑧𝐻

0

= 𝐼1

(𝐻 − 𝑧𝑖𝑛𝑡) ∙1

𝑇𝑢+ 𝑧𝑖𝑛𝑡 ∙

1

𝑇𝑙= ∫

1

𝑇(𝑧)𝑑𝑧

𝐻

0

= 𝐼2

Si risolve in zint e Tu:

𝑧𝑖𝑛𝑡 =𝑇𝑙 ∙ (𝐼1 ∙ 𝐼2 − 𝐻2)

𝐼1 + 𝐼2 ∙ 𝑇12 − 2 ∙ 𝑇𝑙 ∙ 𝐻

(𝐻 − 𝑧𝑖𝑛𝑡) ∙ 𝑇𝑢 = ∫ 𝑇(𝑧)𝑑𝑧𝐻

𝑧𝑖𝑛𝑡

Il metodo utilizzato da FDS per la stima dell’altezza libera da fumi si differenzia dalla metodologia

sperimentale, dove l’altezza è stimata visivamente dal video delle cam inquadrandole aste

centimetrate a parete.

In Figura 64 è rappresentato un confronto tra simulazione e test dell’altezza libera da fumi durante

tutto SCEN2, mentre SCEN3 è in Figura 65.

Considerando l’errore sperimentale di ±0,15, per lo scenario 2 si osserva:

• una discreta approssimazione nella FR

• un anticipo della discesa dei fumi per il corridoio nella simulazione rispetto ai test.

L’aumento di ventilazione a 700s determina un leggero innalzamento dello strato di fumo in FR

nella simulazione, ma questo dato non ha un riscontro sperimentale poiché le aperture causano un

79

rimescolamento dell’aria e rendono indistinguibile l’interfaccia dello strato alto dei fumi per tutto

il resto del test.

Figura 64. Confronto sperimentale – simulazione per il parametro Altezza libera in FR e Corridoio - SCEN2

In Scenario 3 invece la simulazione ricalca lo stesso andamento all’incirca costante dell’altezza

libera, con la differenza chela stima di FDS è più pessimista ossia più bassa di quella sperimentale

di 50 - 60 cm.

80

Figura 65. Confronto sperimentale – simulazione per il parametro Altezza libera in FR e Corridoio - SCEN3

In generale, tenendo in conto l’errore sperimentale, si denota una discreta aderenza tra dati

sperimentali e risultati delle simulazioni, con scostamenti massimi sul valor medio sperimentale di

50cm in FR e 80cm in corridoio. La causa risiede sia nella difficoltà di misura durante i test

(perturbazione interfaccia) e sia nella differente metodologia di calcolo dei due dati, sperimentale

e simulato (visivo contro profilo temperatura). È probabile che un HRR maggiore avrebbe potuto

fornire una maggiore corrispondenza; la maggiore differenza di temperatura tra strato superiore e

inferiore avrebbe migliorato il fenomeno del ‘galleggiamento’ dei fumi ed enfatizzato l’interfaccia

che sarebbe rimasta visibile più a lungo nei test e più affidabilmente calcolata in FDS.

7.3. Visibilità In Figura 66, Figura 67 e Figura 68 si vede il confronto tra dato misurato e previsione FDS per i

tre scenari del Coefficiente di Estinzione della luce K. Il parametro Soot Yield è impostato a 0,015

per tutti e tre le simulazioni.

81

L’andamento del parametro K, sia nelle simulazioni che nelle rilevazioni sperimentali, è in linea

generale sempre lo stesso; esso cresce fino al suo picco, ossia fino a quando non vengono aperti i

serramenti esterni che consentono lo smaltimento del fumo, e decresce subito dopo.

SCEN 1 simulato conserva la stessa variazione della pendenza della curva sperimentale intorno a

400s causata dall’apertura della porta FR, insieme al medesimo valore di picco seppur anticipato.

In SCEN 2 simulato invece viene perso il cambiamento di pendenza a 250s e viene raggiunto un

picco di K = 2,8 m-1, maggiore di +75% di quello sperimentale (1,6 m-1). SCEN 3, invece, conserva

una buona aderenza all’andamento sperimentale più frastagliato.

Figura 66. Coefficiente di estinzione K per SCEN1 - Confronto test e simulazione

82

Figura 67. Coefficiente di estinzione K per SCEN2 - Confronto test e simulazione

Figura 68. Coefficiente di estinzione K per SCEN3 - Confronto test e simulazione

La visibilità dipende, in FDS, principalmente dal parametro SootYield. Per lo Scenario 2 si è

studiata la variabilità dell’opacità per diversi valori del parametro Ys facendo anche un confronto

con il dato sperimentale. Si vede in Figura 69come una piccola variazione del SootYield può

provocare una grande variazione in K. In realtà questo effetto è esaltato dalla natura logaritmica di

83

K [15] e, utilizzando invece la visibilità come parametro (Figura 70), lo scostamento è molto più

ridotto.

Il parametro soot yield è generalmente non noto, poiché dipende non solo dalle caratteristiche del

combustibile, ma anche dalla ventilazione del focolaio (sovra o sotto ventilato). Questo parametro

è inoltre di complessa rilevazione sperimentale. Nella presente analisi si è dunque proceduto

variando il parametro all’interno della simulazione FDS, fino a ottenere accordo tra il coefficiente

di estinzione misurato e quello calcolato da FDS per un range di valori Ys da 0,0075 a 0,0150.

Figura 69. Coefficiente di Estinzione K in funzione di Ys – SCEN2

15 Il coefficiente di estinzione della luce è calcolato con l’equazione 𝐾 = −

1

𝑟∙ ln (

𝐼

𝐼0)

84

Figura 70. Visibilità in funzione di Ys – SCEN2

In definitiva, considerando il dato Visibilità e non quello del Coefficiente di Estinzione K, si

riscontra una buona previsione da parte di FDS del valore minimo di visibilità in tutti gli scenari

considerati, a patto di imporre un parametro Soot Yield adeguato. Lo scostamento dal dato

sperimentale risulta più marcato dopo il valor minimo, poiché la simulazione prevede un

diradamento dei fumi più rapido.

7.4. Concentrazione di ossigeno L’andamento della concentrazione di ossigeno nelle simulazioni ricalca abbastanza fedelmente il

dato dei test. In Scenario 2, inizialmente in condizioni sotto ventilate, si nota una sottostima da

parte della simulazione (-0,5%vol in FR, -1%vol in corridoio). Viceversa in Scenario 3, scenario

con elevata ventilazione, si nota una leggera sovrastima da parte della simulazione (+0.5%vol in

FR, invariata in corridoio). Si nota un leggero ritardo del dato sperimentale rispetto al simulato,

probabilmente dovuto a sensibilità dello strumento.

85

Figura 71. Concentrazione di ossigeno in FR - SCEN2

Figura 72. Concentrazione di ossigeno in FR - SCEN3

86

87

8. Conclusioni La campagna di prove sperimentali ha fatto emergere quanto segue:

• Le condizioni di vivibilità sono decadute nella Fire Room nel seguente ordine: Altezza

libera da fumi (90÷120s), Visibilità (150÷180s), Temperatura (8÷13 min.). Quella sulla

concentrazione minima di ossigeno invece non è mai stata superata. Per cui l’altezza libera

si rivela la condizione più restrittiva per la vivibilità.

• Il corridoio è stato reso progressivamente impraticabile dai fumi intorno i 250-300s in

Scenario 2. In Scenario 1, il corridoio è stato compromesso appena 20s dopo l’apertura

della porta FR, che ha permesso ai fumi di espandersi nel nuovo volume. La ventilazione

del corridoio in Scenario 3, invece, mantiene la via d’esodo abbastanza sgombra di fumo

e l’altezza libera compresa tra 1,70 e 1,90 m.

• l’apertura di serramenti esterni e percorsi, in modo tale da generare un flusso d’aria, ha una

conseguenza immediata sulle temperature e porta ad un generalizzato raffreddamento del

locale con un effetto molto più marcato nella parte inferiore della stanza. In particolare si

ottiene un calo delle temperature nella zona inferiore, ed una stabilizzazione delle stesse

nella zona superiore.

• l’effetto perturbativo delle aperture sull’interfaccia tra strato di fumi è maggiore rispetto al

semplice raffreddamento per scambio termico con le pareti. La ventilazione quindi

deteriora più rapidamente lo strato inferiore di aria smoke-free.

• La nascita di un percorso di ventilazione ha rapidamente un effetto benefico sulla visibilità

nell’ambiente, ma non ripristina uno strato basso completamente smoke-free. L’aria

continuerà ad essere parzialmente contaminata da prodotti gassosi di combustione.

• Una volta che lo strato di fumi è sceso fino a lambire la porta, il fumo inizia a varcare la

soglia e si diffonde rapidamente nell’ambiente del Corridoio fino ad uniformarsi. Ossia FR

e Corridoio iniziano a comportarsi come un unico ambiente avente stesso spessore dello

strato di fumi, stessa opacità, stessa concentrazione di ossigeno. Mentre la temperatura è

l’unica a riscontrare un abbassamento in questo passaggio.

Dalle simulazioni si evince invece:

• Elevata sensibilità dei risultati ai parametri di input (HRR, caratteristiche termiche

superfici, Soot Yield, Leakage) ed ipotesi di modellazione.

• Il valore di temperatura viene predetto in maniera adeguata nell’upper layer, mentre si

hanno elevati scostamenti dal dato sperimentale nel lower layer. La previsione migliora in

88

presenza di aperture. In particolare si ha una coincidenza o una leggera sovrastima della

temperatura nella zona alta, ed un elevata sovrastima nella zona bassa (anche fino al doppio

o triplo del dato sperimentale misurato).

• L’altezza dei fumi differisce di massimo 50÷80cm dal valor medio misurato. Essa

rappresenta una discreta previsione, considerato che l’incertezza nell’identificazione

dell’interfaccia nei test sperimentali è circa 15cm

• L’andamento della visibilità ed il suo valor minimo sono ben predetti da FDS. Minor

aderenza al dato sperimentale si ha però subito dopo il minimo, quando i fumi iniziano ad

essere smaltiti dalle aperture. La simulazione prevede un miglioramento della visibilità più

rapido rispetto al valore misurato nei test.

89

9. Considerazioni personali e sviluppi futuri Ulteriori test possono essere fatti sulla falsa riga di quelli riportati in questo documento. Ad

esempio si potrebbe valutare uno scenario con propagazione dei fumi in uno dei locali adiacenti la

Fire Room, oppure uno scenario con un estrattore di fumo in corridoio, o ancora uno con la

presenza di un filtro fumo in sovrappressione interposto tra Fire Room e corridoio. Ognuno di essi

fornirà un tassello per approfondire la complessa problematica degli incendi confinati e consentirà

di validare i risultati prodotti dei modelli CFD su nuovi scenari di incendio.

In seguito all’esperienza maturata in queste prove vorrei suggerire alcuni accorgimenti per gli

eventuali test futuri.

Dopo aver vagliato la bibliografia e definito bene quale fenomeno si vuole studiare/verificare, si

procede ad acquistare la giusta strumentazione. L’acquisto di uno strumento errato o inadatto porta

infatti a perdite di tempo e denaro. Nel mio caso l’acquisto di termocoppie tipo K da 1mm, anziché

tipo J da 6mm mi avrebbe comportato un enorme risparmio di tempo e fatica nella fase di

modellazione e calibrazione delle stesse. Alcuni strumenti potrebbero essere troppo costosi o

difficilmente reperibili e si dovrà decidere se lasciar perdere o ingegnarsi in qualche modo. Nel

mio caso ho dovuto costruire ad-hoc un opacimetro per la misura della visibilità, un generatore di

fumo per aumentare la quantità di fumo nei locali e sono ricorso a letture dei display da

videocamera per sopperire alla mancanza di memoria integrata di alcuni strumenti come bilancia e

opacimetro Brainbee. Attenzione però a verificare l’affidabilità degli strumenti che potrebbero dare

problemi nel bel mezzo della prova e costringere, nel migliore dei casi, ad un complesso lavoro di

post-produzione o, nel peggiore, a ripetere il test. Ho dovuto rinunciare alle misurazioni di CO2 e

quelle di velocità dell’aria poiché la spesa non era sostenibile. Essenziali sono le action cam che

forniscono una visione dall’interno degli ambienti sottoposti ad incendio.

Si definisce poi la campagna prove che deve prevedere l’esecuzione di tutte le prove in un breve

periodo di tempo, affinché si abbiano sempre le medesime condizioni ambientali iniziali ed i test

siano comparabili tra loro. Possibilmente ripetere più volte il medesimo test per aumentare la

robustezza dei dati misurati ed eseguirli nel medesimo orario per evitare giochi d’ombre che

falserebbero la visione da videocamera. Nell’eseguire una prova è conveniente dotarsi di Check-

list per standardizzare le operazioni da compiere per iniziarla correttamente. Dimenticare di

accendere uno strumento, di aprire una finestra nell’istante giusto, non pesare la massa

combustibile del focolaio, o la quantità di alcool/eptano usato per l’innesco, ecc. potrebbero

invalidare l’intero test o rendere difficoltoso l’utilizzo dei dati. Includere nella check-list anche le

operazione da compiere per terminare la prova.

90

Inoltre è importante tenere sempre a portata di mano un estintore adatto per il tipo di focolaio

poiché, nonostante sia un incendio in condizioni controllate, imprevisti o incidenti possono sempre

accadere.

91

Bibliografia AirProducts. (n.d.). Dangers of oxygen-deficient atmospheres. Retrieved from

http://www.airproducts.com: http://www.airproducts.com/~/media/files/pdf/company/safetygram-17.pdf

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Webb, A. (2006). Fds Modelling of Hot Smoke Testing, Cinema And Airport Concourse (MSc Thesis). Worcester, USA: Worcester Polytechnic Institute.

93

Ringraziamenti È stato un lungo cammino quello che mi ha portato fin qui, alla mia laurea e, quindi, alla

conclusione del mio percorso di studi. In particolare il lavoro di questa mia tesi si è dimostrato

molto più impegnativo di quanto mi aspettassi e mi ha costretto più volte a rivedere i piani per la

mia laurea. Tuttavia mi ha permesso di crescere personalmente, ampliare le mie conoscenze di un

fenomeno per me del tutto nuovo e incontrare professionisti del settore.

Sono molte le persone che mi hanno dato una mano a raggiungere questo traguardo e tutte meritano

un ringraziamento da parte mia.

In primis mi sento di ringraziare Michele Fronterré e Giorgio Calestani per aver creduto in me ed

avermi dato l’opportunità di dimostrare quello che sono.

Rugiada Scozzari, per la sua immensa disponibilità a dare una mano nell’organizzazione delle

prove, dei dati e nella stesura di questo documento.

Il prof. Verda Vittorio, mio relatore, per i suoi consigli e la sua disponibilità.

Dumitru Brostianu, il mio caro collega rumeno con cui ho lavorato fianco a fianco in questi mesi,

per avermi supportato nell’allestimento delle prove. Mulţumesc!

Mio padre, mia madre, le mie sorelle per essermi sempre stati vicini in tutti questi anni ed avermi

sostenuto moralmente ed economicamente.

Gli amici di Casa Turati, Raffaele, Massimiliano e Simone, con cui ho trascorso e vissuto i miei

primi anni a Torino. In particolare Simone, insieme a cui ho affrontato tutti gli esami universitari.

Tutti i miei colleghi di Essecì, per la loro gentilezza nei miei confronti e per rendere ogni mia

giornata interessante.

Raluca e Riccardo, miei compagni di avventura, per non avermi lasciato mai solo.