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[email protected] P OTERI ILLEGALI E TRAME TERRITORIALI : LA CRIMINALITÀ AMBIENTALE E LE « ECOMAFIE » IN I TALIA 1) LA CRIMINALITÀ AMBIENTALE Le criminalità, le loro rappresentazioni, i loro territori Il bene pubblico globale “ambiente” Un’evoluzione postmoderna dello spazio criminale 2) LA CRIMINALITÀ AMBIENTALE IN ITALIA: LE ECOMAFIE L’illegalità ambientale in Italia attraverso i rapporti di Legambiente. L’“Archeo-mafia” e “Zoo-mafia” Il “ciclo del cemento” e le diverse forme di abusivismo Il “ciclo dei rifiuti” e l’“ecomafia” 3) POTERI ILLEGALI E TERRITORI A RISCHIO: CASI CONCRETI E VICENDE PARADIGMATICHE Dal sacco dei siti archeologici al traffico internazionale di opere d’arte Infrastrutture e pianificazione territoriale: alta velocità, bassa legalità Il clan dei casalesi: territorio e paradigma dell’ecomafia Un network (criminale?) postmoderno negli spaccati della Commissione Parlamentare 4) CONCLUSIONI L’ambiente e la criminalità - e quindi la legalità e il diritto - sono due elementi centrali del dibattito sull’odierna globalizzazione postmoderna; due questioni trasversali rispetto alle sfere economiche, politiche e sociali dell’interazione umana, dal cui incontro/scontro originano articolate dinamiche dalle significative conseguenze territoriali alle differenti scale geografiche. Obiettivo del presente contributo è quello di introdurre una riflessione del fenomeno “criminalità ambientale” che, inquadrandone i limiti, gli attori e i meccanismi, ne metta in luce la complessità, attraverso l’applicazione di alcuni strumenti del ragionamento geopolitico alla realtà del laboratorio italiano: una dei panorami più effervescenti dell’intero proscenio criminale/ambientale. 1 LA CRIMINALITÀ AMBIENTALE Il fenomeno della criminalità ambientale è un’espressione recente e particolarmente rappresentativa dell’odierna società. Recente, poiché la presa di coscienza collettiva riguardo alla sua esistenza risale agli anni Novanta, mentre la sua genesi effettiva è rintracciabile negli anni Ottanta del secolo scorso: una prossimità temporale che concorre anche a spiegare la scarsità di riflessioni scientifiche complessive e fondanti. Rappresentativa perché collegata strettamente con alcune delle più preoccupanti patologie della società stessa, e perché inserita nei più ampi dibattiti teorici sulla globalizzazione, dei quali può essere sia un banco di prova che un concetto fondamentale, in antitesi, ad esempio, alla nozione di sviluppo sostenibile. 1

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POTERI ILLEGALI E TRAME TERRITORIALI: LA CRIMINALITÀ AMBIENTALE E LE «ECOMAFIE» IN ITALIA

1) LA CRIMINALITÀ AMBIENTALE

• Le criminalità, le loro rappresentazioni, i loro territori • Il bene pubblico globale “ambiente” • Un’evoluzione postmoderna dello spazio criminale

2) LA CRIMINALITÀ AMBIENTALE IN ITALIA: LE ECOMAFIE

• L’illegalità ambientale in Italia attraverso i rapporti di Legambiente. • L’“Archeo-mafia” e “Zoo-mafia” • Il “ciclo del cemento” e le diverse forme di abusivismo • Il “ciclo dei rifiuti” e l’“ecomafia”

3) POTERI ILLEGALI E TERRITORI A RISCHIO: CASI CONCRETI E VICENDE PARADIGMATICHE

• Dal sacco dei siti archeologici al traffico internazionale di opere d’arte • Infrastrutture e pianificazione territoriale: alta velocità, bassa legalità • Il clan dei casalesi: territorio e paradigma dell’ecomafia • Un network (criminale?) postmoderno negli spaccati della Commissione Parlamentare

4) CONCLUSIONI

L’ambiente e la criminalità - e quindi la legalità e il diritto - sono due elementi centrali del

dibattito sull’odierna globalizzazione postmoderna; due questioni trasversali rispetto alle sfere economiche, politiche e sociali dell’interazione umana, dal cui incontro/scontro originano articolate dinamiche dalle significative conseguenze territoriali alle differenti scale geografiche. Obiettivo del presente contributo è quello di introdurre una riflessione del fenomeno “criminalità ambientale” che, inquadrandone i limiti, gli attori e i meccanismi, ne metta in luce la complessità, attraverso l’applicazione di alcuni strumenti del ragionamento geopolitico alla realtà del laboratorio italiano: una dei panorami più effervescenti dell’intero proscenio criminale/ambientale.

1 LA CRIMINALITÀ AMBIENTALE Il fenomeno della criminalità ambientale è un’espressione recente e particolarmente

rappresentativa dell’odierna società. Recente, poiché la presa di coscienza collettiva riguardo alla sua esistenza risale agli anni Novanta, mentre la sua genesi effettiva è rintracciabile negli anni Ottanta del secolo scorso: una prossimità temporale che concorre anche a spiegare la scarsità di riflessioni scientifiche complessive e fondanti. Rappresentativa perché collegata strettamente con alcune delle più preoccupanti patologie della società stessa, e perché inserita nei più ampi dibattiti teorici sulla globalizzazione, dei quali può essere sia un banco di prova che un concetto fondamentale, in antitesi, ad esempio, alla nozione di sviluppo sostenibile.

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• LE CRIMINALITÀ, LE LORO RAPPRESENTAZIONI, I LORO TERRITORI Secondo la I Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata

transnazionale1, firmata a Palermo nel dicembre 2000, è criminale ogni comportamento delittuoso “grave”, per il quale, cioè, il diritto penale degli ordinamenti giuridici nazionali prevede una pena di almeno 4 anni di reclusione. E proprio cercando di uniformare tali “gravi” comportamenti, la Convenzione si sofferma su quattro fattispecie delittuose, diffuse transnazionalmente2 ma non sempre adeguatamente perseguite: 1) l’appartenenza a gruppi criminali organizzati e cioè strutturati, non casuali e finalizzati alla commissione di un delitto grave, 2) il riciclaggio di denaro e, comunque, la dissimulazione, la detenzione e l’utilizzo di beni provenienti da attività illecite, 3) la corruzione e la concussione, 4) l’intralcio alla giustizia tramite l’uso della forza, della minaccia o della corruzione. Verso queste attività, si specifica nella Convenzione, tendono a convergere, talvolta simultaneamente, gli interessi illeciti di almeno tre attori principali: A) le organizzazioni criminali propriamente dette fra le quali quelle di stampo mafioso B) le persone giuridiche, ex art. 10 e C) alcuni attori pubblici e ufficiali dei quali, ex art. 9, deve essere prevenuta e contrastata la corruzione.

Per meglio intendere l’importanza di tale passo è necessario rifarsi ai lavori preparatori della Convenzione stessa, svoltisi a Vienna nell’aprile del 2000, e in particolare al documento che si propone di analizzare le sfide attese dalla cooperazione internazionale nella lotta contro il crimine3. In esso si sottolinea come l’incrocio fra i poteri politici, quelli economici e quelli criminali, non sia il prodotto di una relazione antinomica fra tre soggetti, i primi due dei quali nobili e razionali, e un terzo, invece, affetto invece da patologico malfunzionamento. È, invece, uno dei contesti relazionali oggi normalmente diffusi e riscontrabili nello spazio globalizzato. Un ambito in cui gli attori principali si distinguono per due prerogative: 1) sono in grado di stabilire regole, anche rigide, e possono avere la forza necessaria per farle generalmente rispettare, 2) riescono a sfuggire ai regolamenti che essi stessi tendono ad imporsi tanto reciprocamente quanto, paradossalmente, in maniera autoreferenziata.

A prescindere dalla loro reale efficacia, fortemente vincolata dalle ratifiche che all’oggi risultano meno di trenta, le oltre 140 firme alla Convenzione hanno il merito di confermare un dato di fatto fondamentale, ma non scontato, nell’approccio all’analisi dei fenomeni criminali. Come spiega Jaean De Maillard4 l’odierna, indefinita e universale espansione della criminalità nello spazio e nel tempo, ha mutato radicalmente la questione rispetto a quando i fenomeni criminali erano assimilati alla marginalità e ai gruppi sociali definiti a rischio. Nella tesi sviluppata dal magistrato francese, infatti, la più redditizia modalità di formazione di plusvalore e la più efficace strategia per l’acquisizione di potere è proprio quella perseguita al di fuori, o apertamente contro, le norme di diritto; e la sua attuale sovrabbondante diffusione è uno dei sintomi principali della crisi dello Stato nazione, nelle sue funzioni regolatrici e redistributrici5. Nello spazio di interazione fra i maggiori attori geopolitici internazionali, insomma, l’esistenza di un confine fra legale e illegale non è per nulla scontata. Al massimo è immaginabile l’esistenza di una frontiera, dalle caratteristiche decisamente più indeterminate e permeabili6. Una frontiera che, se possibile, si va facendo sempre più aleatoria tanto che: «Il vero problema risiede nella crescente impossibilità di distinguere i due ambiti, e non nella crescita dell’illegalità a detrimento della legalità. Non si ha da 1 ASSEMBLEE GENERALE, Conventions des Nations Unies contre la Criminalité transnationale Organisée, A/RES/55/25, New York, 8 janvier 2001. 2 Ex art. 3 un’infrazione è di carattere transnazionale quando è commessa in più di uno Stato, quando è commessa in un unico Paese ma è pianificata, preparata o condotta da un altro territorio nazionale, quando è perpetrata da un gruppo criminale organizzato che opera in più Stati e, ancora, nel caso in cui, a prescindere dal luogo di commissione, i suoi effetti si ripercuotono su diversi Paesi. 3 SECRETARIAT, Coopération inernational pour lutter contre la criminalité transnationale organisée : nouveaux défis au XXIe siècle, A/CONF.187/6, Dixième Congrès des Nations Unies pour la prévention du crime et le traitement des délinquents, Vienna, 10-17 aprile 2000. 4 DE MAILLARD J. Il mercato fa la sua legge, Feltrinelli, aprile 2002. 5 Si veda in proposito DE MAILLARD J. Un monde sans loi, Stock, Paris, 1998. 6 Si veda in proposito ISENBURG T. Legale/illegale; una geografia, Ed. Punto rosso, 2000

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un lato un ambito criminale in crescita e un ambito legale che si contrae, ma un doppio movimento correlato di espansione del crimine nell’economia e nelle strutture di esercizio del potere e di scivolamento di questi ultimi nella criminalità (…) la tendenza di cui parliamo riguarda non tanto il crimine, che ne costituisce un elemento rivelatore, quanto la società che lo produce»7.

Senza addentrarci nella spinosa questione relativa alle dimensioni economiche dei fenomeni criminali, incerte e fumose per definizione, è sufficiente renderne immaginabile la portata prendendo ad esempio le stime, da intendersi in ampio difetto, sul riciclaggio di denaro “sporco”. Il Gafi, organismo intergovernativo di monitoraggio, ne calcola l’entità annuale fra i 590 e i 1.500 miliardi di dollari partendo da valutazioni del FMI risalenti al 19968. Sono proprio tali dimensioni, unite all’imbricamento fra poteri legali e illegali, politici e economici, che fanno della tematica criminale una questione centrale nel dibattito sulla governance globale, e sotto un duplice punto di vista. È quanto emerge da un recente studio9 dove il neologismo “Gouvernance mondiale” viene inteso come «… l’insieme dei processi di interazione tramite i quali delle regole collettive sono elaborate, decise, legittimate, messe in opera e controllate»10. Un rapporto di analisi finalizzato sia ad esaminare pregi e difetti delle esistenti modalità di gestione comune delle interdipendenze mondiali, sia a proporre nuovi percorsi per una maggiore “sostenibilità” politica ed economica della globalizzazione. In tale prospettiva il fenomeno della criminalità transnazionale assume una duplice valenza. Da un lato esso è uno dei principali “problemi globali”, legato ai temi dell’equità e della giustizia, della sicurezza e dell’emergere di una società civile internazionale. Dall’altro lato, e qualunque sia il ruolo e la forza che si vogliano accreditare al soggetto Stato nazione, le “autorità illecite” sono uno dei tre attori “privati” (assieme alle autorità di mercato e a quelle morali) che con maggior forza ed efficacia contribuiscono all’elaborazione, alla decisione, alla messa in opera e anche al controllo di norme capaci di influenzare percorso e valori della globalizzazione11.

Nella sua rappresentazione criminologica, infine, la criminalità transnazionale risulta dall’unione di due macro tipologie che, secondo l’efficace definizione avanzata dal criminologo Gabrio Forti12, possiamo definire come “criminalità organizzata” e “criminalità organizzativa”. Nella prima rientrano i gruppi criminali organizzati veri e propri e quelli di stampo mafioso. Nella seconda trovano unità le definizioni13 di “crimine delle imprese”, “crimine dei colletti bianchi” e di “crimine politico”. Alcune distinzioni di massima risultano abbastanza evidenti, e tuttavia nella pratica è davvero molto difficile, se non impossibile, stabilire una ripartizione chiara. La criminalità organizzata si avvale, ad esempio, di imprese illegali tout court, ma attraverso di esse può sia svolgere affari illeciti che cercare di entrare nell’economia legale; il crimine delle imprese designa generalmente un illecito compiuto da una persona giuridica legittima per minimizzare i costi e massimizzare gli utili, ma per fare ciò il soggetto può trovare opportuno avvalersi dei servizi messi a disposizione dalla criminalità organizzata, dalla quale rischia successivamente di venir condizionato o rilevato; il crimine del colletto bianco si astiene generalmente dall’uso delle minacce e della forza coercitiva, che caratterizzano invece la criminalità organizzata, ma è vero anche che può sempre ricorrervi, e spesso lo fa, affidandosi alla merce “violenza” garantita sul mercato proprio dal crimine organizzato. Il crimine del politico, infine, condivide con quello organizzato di stampo mafioso un elemento fondamentale: il rapporto con il territorio e il suo controllo come risorsa e come obiettivo.

7 DE MAILLARD J. 2002, pp. 26-27, op. cit. 8 http://www.fatf-gafi.org/MLaundering_en.htm 9 JACQUET P. - PISANI-FERRY J. - TUBIANA L. a cura di, Gouvernance Mondiale. Rapport de synthése, Conseil d’Analyse Économique, La Documentation Française, 2002. 10 LAÏDI Z. - LAMY P., La gouvernance, ou comment donner sens à la mondiailisation, in JACQUET P. - PISANI-FERRY J. - TUBIANA L. 2002, p. 200, op. cit. 11 cfr. CHAVAGNEUX C. La montée en puissance des acteurs non étatiques, in JACQUET P. - PISANI-FERRY J. - TUBIANA L. 2002, pp. 233-250, op. cit. 12 FORTI G. L'immane concretezza: metamorfosi del crimine e controllo penale, Cortina, Milano, 2000. 13 Cfr. RUGGIERO V. Economie sporche, l’impresa criminale in Europa, Bollati Boringhieri, 1996. E FANTÒ E. L’impresa a partecipazione mafiosa, Ed. Dedalo, 2000.

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• IL BENE PUBBLICO GLOBALE “AMBIENTE” Se la questione criminale è uno dei maggiori problemi globali, l’ambiente e la sua

salvaguardia sono generalmente riconosciuti come la prima e più importante questione globale e, non è un gioco di parole, sono anche la prima e più importante questione globale a essere storicamente riconosciuta e percepita come tale.

Nella sua più ampia accezione, l’ambiente è immaginabile come l’insieme degli elementi biotici e abiotici che, nel loro essere e nel loro divenire sistemico, individuano un determinato ecosistema territoriale. Cosciente protagonista biotica dell’ecosistema Terra, la società umana ha raggiunto, nel corso del ventesimo secolo del proprio svolgimento storico, un tale livello di sviluppo tecnologico, e per sua fortuna anche filosofico, da essersi resa conto di potere, e di stare modificando in senso negativo - fino ad immaginare i limiti della propria autodistruzione - l’unico ambiente a lei noto nel quale è consapevole di poter sopravvivere: il pianeta Terra. Ha cominciato così a interrogarsi sulle cause di tale degradazione, ponendo le basi per lo sviluppo di una “società civile internazionale”. Ha iniziato anche a studiare l’estensione e la profondità del problema, preparando la strada alla nozione di “bene pubblico globale”. Ha intrapreso un riesame della propria evoluzione, individuando alcune contraddizioni e proponendo alcuni correttivi teoricamente efficaci, come la nozione di “sviluppo sostenibile” o il “principio di precauzione”. Ha abbozzato l’individuazione di regole per preservare le condizioni naturali - migliori o minime indispensabili - atte a rendere possibile la vita, e cerca di consolidarne il consenso e guidarne l’applicazione.

Nonostante abbia acquisito la consapevolezza di essere diventata una «forza geologica planetaria»14, però, la società umana sembra ben lontana dal riuscire a controllare gli shock che è in grado di produrre sull’ambiente che la ospita, e i problemi sembrano aggravarsi e aumentare di numero15. Porzioni di atmosfera risultano gravemente inquinate da emissioni prodotte dall’uomo, come nel caso del “nuovo vulcanismo urbano”16, e proprietà naturali dello stesso involucro gassoso sono modificate dall’azione antropica come nel caso dell’ozono. Suoli e territori si rivelano contaminati nella loro fertilità o deturpati nel loro paesaggio, mentre più vaste aree della litosfera soffrono processi di desertificazione e di impauperimento. In numerosi bacini idrografici l’avvelenamento delle acque riguarda l’intero ciclo idrosferico, dalle precipitazioni (piogge acide), alle acque superficiali (inquinamento marino e costiero, fluviale e lacustre, fenomeni di eutrofizzazione) fino ad arrivare ai deflussi sotterranei (falde avvelenate). E anche la biosfera, per chiudere il cerchio, è sottoposta a fortissime pressioni. Sia nella sua componente naturale, animale e vegetale, con una preoccupante riduzione della biodiversità. Sia nella sua componente antropica, visto che la società umana di cui sopra sembra attraversare una profonda crisi «… se si è d’accordo nel chiamare “crisi” le situazioni in cui le attese della maggioranza non possono essere soddisfatte dalla logica di funzionamento del sistema».17

Questo profondo solco fra teoria e pratica dipende dall’enormità dell’impegno. La più grave causa accertata della crescente crisi ambientale, infatti, è niente meno che una contraddizione dello stesso paradigma economico dominante: il neoliberismo. Come emerge da un vivace dibattito animato da Jean-Paul Maréchal18 e protrattosi per tutto il 2002 sulla rivista “Géoeconomie”, esso è caratterizzato dalla logica dell’utilità da accrescersi al massimo con il minimo sforzo, e non è in grado di - né secondo le interpretazioni dominanti dovrebbe mai - farsi carico di qualunque altra considerazione sociale, politica, etica o ecologica. Se si separano le nozioni di “crescita”, in quanto indicatore quantitativo soprattutto economico, e di “sviluppo”, in quanto nozione integrante una

14 W. VERNADSKY, La biosphère, Seuil, Point-sciences, Paris, 2002. Ed originale : Leningrado, 1926. 15 Cfr. DELEAGE J. P. La Biospère, notre terre vivante, Gallimard, Paris, 2001. 16 DELEAGE J. P. L’émergence d’une écologie-monde, «GÈOECONOMIE» n° 23, autum 2002, Paris. 17 AMIN S. Le sfide della mondializzazione, in LUZI J., a cura di, Miseria della mondializzazione, Strategie della lumaca, Roma, 1997, p. 165 18 MARECHAL J. P., Humaniser l’èconomie, Desclée de Brouwer, Paris, 2000.

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dimensione etica e qualitativa alla nozione di crescita,19 diventa allora più verosimile come, in un sistema privo di autorità super-partes come quello internazionale, e in presenza di un’atrofizzazione del potere e della legittimità dello Stato nazione, tale modello rischi di implodere sul suo stesso apparente successo, generando un vero e proprio ritorno allo stato di natura hobbesiano.

Nella realtà, infatti, l’economia non riesce ad essere la miglior «… gestione, finalizzata al bene individuale e collettivo, delle interazioni umane per l’impiego dei beni rari, socialmente e approssimativamente quantificabili e contabilizzabili»20. Al contrario essa si manifesta in una redistribuzione talmente dissimmetrica delle risorse da: 1) sembrare anche uno sviluppo oltre che una crescita, agli occhi di quel ristretto gruppo che ne beneficia, e indurre una certa passività morale della cittadinanza di fronte alle manifeste “esternalità negative” e, 2) riuscire a tenere gli esclusi a una distanza tale da non potersene neanche rendere conto, o da non avere comunque alternative alla disperazione. «E allora non si tratta più di un’economia ma di una politica, le cui finalità non sono l’espressione di una necessità endogena implicante la permanenza della struttura ma l’espressione di una volontà esogena determinante quali sono le parti della struttura che si devono conservare»21.

Due ultime osservazioni di un dibattito avvincente e di ben maggiore portata. Da un lato la coerenza di un tale “panorama di crisi” con la crescita e la diffusione dei fenomeni criminali sotto un duplice, consolidato, punto di vista: 1) un’enorme massa di nullatenenti, prima bacino di “manovalanza” criminale e poi anche “merce” proibita, eccezionalmente e criminalmente valorizzata attraverso la trasgressione dei divieti e la mobilità demografica; 2) il dogma “ultra-liberista” o “turbo-capitalista” o, comunque, il potere e la ricchezza individuale e immediata come unico modello di riferimento anche culturale. Dall’altro lato il progressivo consolidarsi di alternative, come la nozione di “sviluppo sostenibile”, che individua un concetto di sviluppo atto a rispondere ai bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle future generazioni di soddisfare la loro, e il “principio di precauzione” che invita, di fronte a gravi danni potenziali e in un contesto ad alta indeterminatezza, a prevenire in ogni modo il pericolo supposto nell’attesa di diminuire il livello di incertezza. Consacrato pubblicamente nel Rapporto Brundtland nel 1987, lo sviluppo sostenibile istituisce una solidarietà definita orizzontale, e quindi contemporanea e finalizzata a ridurre le disuguaglianze presenti, e una verticale perché precauzionale rispetto alle generazioni future; suo complementare, il principio di precauzione dà ordine e fondamento a questa seconda solidarietà trans-generazionale, e viene riconosciuto nel Principio numero 15 della Dichiarazione di Rio del 199222.

È nel perseguimento dello sviluppo sostenibile, di cui sottolinea gli aspetti etici e normativi, che J. P. Maréchal intravede le possibilità per la sfera politica - stimolata da quella sociale tramite la società civile internazionale, e nonostante il declino degli Stati nazione - di recuperare incisività costringendo la sfera economica ad una «gestione regolata e sotto controllo»23 che inquadri il libero funzionamento del mercato entro limiti ecologici e morali, qualitativi e quantitativi. Tanto da porre il tema dello sviluppo sostenibile come campo di indagine privilegiato della “geoeconomia” intesa come programma di ricerca finalizzato a re-introdurre pragmaticamente le relazioni di potere nel dibattito economico24. L’ambiente e la sua salvaguardia, dunque, si rivelano non solo come il principale “problema globale” ma anche come forza motrice di uno degli attori fondamentali sul proscenio della governance mondiale, la società civile internazionale e come punto fondante di un nuovo - ipotetico e auspicabile - paradigma organizzativo economico, politico e sociale.

19 Cfr PASSET R. Néolibelralisme ou développement durable, il faut choisir, « GÉOECONOMIE » n° 23, automne 2002, Institut Européen de géoéconomie, Paris. PERROUX F. L’économie du Xxe siècle, Presse Universitaire de Grenoble, Grenoble, 1991. 20 PERROUX F. Pour une philosophie du nouveau développement, Aubier /Unesco, Paris, 1981, citato in MARECHAL J. P. L’analyse économique et le pouvoir, «GÉOECONOMIE» n° 22, été 2002, Institut Européen de géoéconomie, Paris, p. 28. 21 RAFFESTIN C. Per una geografia del potere, Unicopli, Milano, 1981. 22 BOURG D. – MARECHAL J.-P., Durabilité et précaution, « GÉOECONOMIE » n° 23, op. cit. 23 PASSET R. L’économie et le vivante, Paris, Economica, 1996, p. 217, citato in BOURG D. – MARECHAL J.-P., Durabilité et précaution, « GÉOECONOMIE » n° 23, automne 2002, Institut Européen de géoéconomie, Paris, p. 61. 24 Cfr. MARECHAL J. P. L’analyse économique et le pouvoir, «GÉOECONOMIE» n° 22, été 2002, Institut Européen de géoéconomie, Paris,

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• UN’EVOLUZIONE POSTMODERNA DELLO SPAZIO CRIMINALE Per rappresentare correttamente lo sviluppo della criminalità ambientale, si devono ricondurre

a unità quattro momenti racchiusi in un breve intervallo attorno agli ultimi quindici anni del secolo scorso. Due di essi rilevano dal ragionamento precedente e concernono l’uno il crescente valore legale del bene ambiente e l’altro il suo crescente rilievo economico. L’importante riconoscimento in quanto “bene pubblico globale”25 puro colloca l’ambiente, al pari della vita umana e della pace, al vertice della scala dei valori ideali. Differenti normative nazionali, spesso stimolate a livello sovranazionale, ne tutelano via via tutti gli aspetti e così facendo ne riducono inevitabilmente la fruibilità facendone aumentare, e di molto, il corrispondente economico. E automaticamente tutte le infinite componenti sistemiche del “bene ambiente” entrano, nel momento stesso in cui vengono individualmente tutelate, sul mercato illegale poiché: «… tutto ciò il cui uso o commercio è vietato, limitato o normato da una legge, un principio di diritto o una semplice regolamentazione pubblica, acquisisce per questo unico fatto un valore sul mercato della trasgressione delle norme»26.

Gli altri due momenti, invece, sono legati alle evoluzioni geopolitiche dell’universo criminale e ne rappresentano altrettanti punti di rottura. Essi sono: la completa affermazione della deregulation sui mercati economici e finanziari globali, assieme causa ed effetto del deficit di controllo e legittimità delle istituzioni nazionali. E la liquidazione dell’Impero sovietico, accompagnata dall’improvvisa necessità di rivedere radicalmente le strutture portanti delle relazioni internazionali. La deregulation, commenta Jean de Mailard, crea una forte dissimmetria fra la scala nazionale alla quale le regole vengono elaborate e applicate, e quella in cui si viene a formare il valore economico, globale e sfuggente alle contingenze normative. Nasce così il «mercato della legge» che è «… la possibilità (…) di investire nei traffici riguardanti ciò che è vietato dagli stati nazione, senza che questi siano in grado di imporre le proprie proibizioni»27. Il crollo del sistema sovietico, invece, porta alla ribalta nuovi attori, rotte e business criminali. In ambedue gli schieramenti, durante la guerra fredda, molti Stati hanno condotto una parte più o meno rilevante della loro politica, interna e internazionale, per mezzo di strutture occulte spesso in grado di sostenersi con fondi provenienti da attività illecite. Altri, invece, hanno creduto di poter manovrare a proprio vantaggio organizzazioni clandestine pre-esistenti, per lo più di carattere criminale; ma così facendo ne hanno legittimato la presenza e il potere territoriale, incoraggiato e facilitato l’esperienza internazionale e l’accesso alla tecnologia e, infine, ne hanno consentito un eccezionale arricchimento tramite la trasgressione delle proibizioni, con particolare riferimento a quella internazionale sugli stupefacenti. La fine delle ostilità, in ogni caso, ha segnato una brusca revisione di molti di tali rapporti, ha liberato straordinarie energie e competenze, ha reso ancora più effervescenti le frontiere fra legalità e criminalità, stimolando nuovi settori e percorsi borderline.

Un recente studio sulla criminalità organizzata internazionale28, coordinato dal Senatore Nando Dalla Chiesa della Commissione antimafia, ha proposto una mappatura delle generazioni dei traffici illegali, divisa in quattro tipologie concettuali, finalizzata a contestualizzare l’innovarsi delle specialità nel moderno universo criminale. Droga, rifiuti, armi e esseri umani: «Se il traffico su larghissima scala degli stupefacenti è stato indubbiamente il primo, ossia quello che ha aperto la strada a processi accumulativi di capitale illegale che oggi conosciamo, il traffico di esseri umani (anch’esso non certo nuovo in assoluto!) è stato altrettanto indubbiamente l’ultimo a comparire sulla scena. In mezzo si situano il traffico dei rifiuti, specialità abbracciata da alcune organizzazioni criminali a partire dagli anni Ottanta dello scorso secolo, e il traffico di armi, giunto a nuove dimensioni e implicazioni con l’esplodere dei conflitti locali e il crollo del sistema sovietico»29.

25 TUBIANA L. – SEVERINO J. M. Biens publics globaux, gouvernance mondiale et aide pubblic au développement, in JACQUET P. - PISANI-FERRY J. - TUBIANA L. 2002, pp. 349-372, op. cit. 26 DE MAILLARD J. 2002, p. 46, op. cit. 27 DE MAILLARD J. 2002, p. 42, op. cit. 28 OMICRON L’influenza della criminalità straniera sulla struttura degli interessi e dei comportamenti criminali: le grandi aree dell’Europa mediterranea, Omicron-Onlus, Milano, 2001. 29 OMICRON 2001, op. cit., p. 7.

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Diversamente da quanto può evocare l’idea di generazione, in questo caso nessuna tipologia criminale è sparita o ha ceduto il passo; al contrario esse si sono sviluppate e intrecciate anche sui medesimi territori, traendo forza e energia dai processi di internazionalizzazione e da una serie di fattori criminogeni (legislazioni fiscali e finanziarie compiacenti, autorità politiche deboli o corrotte, istituzioni illegittime, conflitti locali per il controllo di risorse e distretti, socializzazione anticipata ai modelli di vita propri della società opulenta, proibizionismi) che, combinandosi variamente fra loro, hanno assecondato le carriere dei gruppi più spregiudicati lungo le filiere del crimine internazionale e hanno aumentato, protetto e innovato qualitativamente i traffici.

In Italia tale evoluzione postmoderna dello spazio criminale è stata ed è particolarmente evidente così come evidenti sono i segnali della presenza di numerosi network criminali. Secondo l’analisi dell’Onorevole Alfredo Mantovano della Commissione antimafia, il network criminale è rappresentabile come un «sistema criminale integrato»30. Esso presenta due caratteristiche fondamentali che sono l’elasticità nei movimenti, e cioè la capacità dei componenti di modificare con immediatezza i loro punti di riferimento logistici in funzione dell’attività di contrasto incontrata o prevista, e la flessibilità nelle attività, e cioè la capacità dei componenti di gestire un ampio ventaglio di illeciti dedicandosi, di volta in volta, a quello che presenta i maggiori vantaggi contingenti. Il network criminale si struttura su tre livelli, che rimandano inevitabilmente a una divisione del lavoro, ma che possono essere spalmati all’interno di un unico gruppo di grandi dimensioni, oppure possono vedere all’opera organizzazioni più ridotte nelle dimensioni ma altrettanto, se non più, preparate alla specifica mansione. Al livello alto corrispondono la pianificazione e l’organizzazione pratica dell’illecito nonché il controllo dei due punti di rottura della filiera, quelli dove di solito circuitano i maggiori movimenti di denaro, e cioè la fase iniziale di reperimento e la fase finale di consegna della merce. Il livello medio fa riferimento alla fase operativa, controllata in tutti i suoi risvolti da emissari qualificati: documenti, rotte, viaggi, elusione dei controlli, consegna. Il livello basso, infine, corrisponde allo smistamento finale al “dettaglio”.

Se intendiamo la geopolitica come la disciplina che si dedica a rendere intelligibile l’esercizio del potere sul territorio, la criminalità ambientale sembra dover essere il capitolo privilegiato dell’analisi geopolitica dei fenomeni criminali. È infatti difficile sfuggire alla constatazione che il settore criminale rivolto contro l’ambiente è quello che più palesemente sfida i legittimi poteri, nazionali e regionali, nella loro più essenziale prerogativa: quella territoriale. E proprio il territorio italiano sembra dover essere il laboratorio di analisi privilegiato in un tale impegno. Nel proseguio, dunque, concentreremo in questo senso l’analisi, e restringeremo ancor più l’osservazione sui soli crimini ambientali compiuti dalla “criminalità organizzata” dai quali, per altro, traspaiono inequivocabilmente anche quelli commessi dalla “criminalità organizzativa”.

2 LA CRIMINALITÀ AMBIENTALE IN ITALIA: LE ECOMAFIE

Nel “paradigma della complessità”31, elaborato dal sociologo Umberto Santino, le organizzazioni mafiose sono interpretate come organizzazioni criminali particolari che: 1) agiscono all’interno di un vasto e ramificato contesto relazionale, 2) configurano un sistema di violenza e di illegalità finalizzato all’accumulazione di capitali e all’acquisizione di posizioni di potere, 3) si avvalgono di un codice culturale e, 4) godono di un certo consenso sociale. Tali organizzazioni, in particolare, esercitano un efficace controllo del territorio condizionandone le dinamiche politiche, sociali ed economiche; non riconoscendo il monopolio statale dell’uso della forza, inoltre, possono disporre di una rimarcabile potenza di fuoco coercitiva o punitiva.

Alle attività tradizionali come le estorsioni e il contrabbando, le organizzazioni mafiose italiane hanno affiancato, a partire dagli anni Sessanta, i traffici internazionali di stupefacenti grazie ai quali hanno accumulato patrimoni multimiliardari e tramite il quale hanno contribuito a consolidare il network criminale internazionale. Hanno poi reinvestito i capitali nel loro territorio, 30 MANTOVANO A. I tre livelli del network criminale, «OMICRON», n° 30, gen. 2001, Omicron Onlus, Milano. 31 SANTINO U. Mafia: un’ipotesi definitoria, www.centroimpastato.it

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nelle altre regioni del Paese e all’estero ma, a cavallo degli anni ‘90, si sono trovate nelle condizioni di dover rivedere la propria stessa ragion d’essere e le proprie alleanze: e hanno risposto sia militarmente, sfidando apertamente lo Stato, sia politicamente, trasformandosi e cercando nuove intese. In tale trasformazione si iscrive il generale abbandono di attività illecite divenute logore, troppo esposte e selettivamente perseguite, come il traffico e lo spaccio di stupefacenti. Tralasciando tali specialità, in favore di formazioni straniere di recente immigrazione - e anche sul proprio territorio in cambio di una percentuale - le organizzazioni italiane hanno rivolto la loro attenzione verso illeciti altrettanto remunerativi ma dalla minor visibilità e dalle più blande ripercussioni giudiziarie, come l’infiltrazione e il condizionamento di appalti e servizi pubblici o il traffico di rifiuti.

• L’ILLEGALITÀ AMBIENTALE IN ITALIA ATTRAVERSO I RAPPORTI DI LEGAMBIENTE

« “La monnezza vale più dell’oro” dichiarò un pentito della Camorra nel primo processo sulle

Ecomafie. Era il 1993 ed è stato merito di un’associazione ambientalista, Legambiente, aver acceso il riflettore sull’affare rifiuti sollecitando l’impegno della magistratura, delle forze addette al contrasto e del parlamento»32. A scala nazionale, la Ong Legambiente rappresenta perfettamente l’attore della definita “società civile internazionale” che si delinea progressivamente come “autorità morale privata”33 in grado di contribuire all’elaborazione, alla messa in opera e anche al controllo delle norme. Nata nel 1980 sull’onda delle contestazioni antinucleari, l’associazione ambientalista è riuscita a dare una certa unitarietà ai differenti e singoli aspetti dell’ambiente che le leggi italiane disciplinano in maniera atomizzata: urbanistica, tutela del paesaggio, beni culturali, caccia e pesca, suolo e territorio, aree naturali protette, aree industriali a rischio di incidente rilevante, rifiuti, inquinamento dell’aria, dell’acqua, acustico, elettromagnetico, nucleare, chimico, biologico, ecc. Ha contribuito alla nascita e alla diffusione della coscienza civica ambientale nel paese ed è riuscita a mobilitare la cittadinanza su importanti tematiche, prima fra tutte proprio la legalità. In questo campo particolare, Legambiente ha via via acquisito una competenza, una diffusione territoriale e un’autorità, tali da affiancare le Istituzioni nelle loro funzioni di monitorizzazione e controllo (Rapporti annuali sull’ambiente e sulle ecomafie, operato e denunce dei Centri di azione giuridica “Ceag”) e di produzione legislativa, come nel caso della efficace pressione esercitata per l’inserimento dell’art. 53 bis (attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti) nel DL n°22/97 (Decreto Ronchi) tramite la legge 93/01 (Disposizioni in campo ambientale).

Dal “Rapporto Ecomafia 2003” 34 la fotografia dell’illegalità ambientale, e del ruolo che in essa gioca la criminalità organizzata, è la seguente: 19.453 infrazioni accertate (-37,7 per cento rispetto al 2001), 16.783 persone denunciate o arrestate (-64,5 per cento), 4.479 sequestri effettuati (-51,3 per cento) come da TABELLA I. Un’inversione di tendenza rispetto agli anni precedenti che Legambiente spiega in quattro punti: 1) un crescente impegno delle forze dell’ordine verso i reati più gravi (come il traffico criminale di rifiuti dopo l’entrata in vigore del citato art. 53 bis) e che necessitano di maggiori energie investigative, 2) una crescente coscienza civica ambientale e un relativo minor numero di infrazioni, 3) una serie di cause contingenti, come la riduzione di oltre 3.000 notizie di reato sugli incendi boschivi, registrate dal Corpo forestale nazionale, a seguito di un’estate particolarmente piovosa, 4) una ancora insufficiente sistematicità e organicità scientifica dei dati statistici raccolti dalle Istituzioni e dalle forze dell’ordine. Dalla disaggregazione territoriale dei dati risalta come le quattro regioni meridionali a tradizionale insediamento mafioso siano il teatro di quasi la metà di tutte le infrazioni accertate: 9.030, il 46,4 per cento del totale nazionale, con 5.938 persone denunciate, il 36 per cento, e 1.766 sequestri effettuati, 39,4 per cento. Seguite dalla Lombardia dove, sebbene le dimensioni, la popolazione e le attività produttive ne legittimino

32 SCALIA M. Delitto ambientale, « Omicron » N° 7, nov/dic 1997, Omicron Onlus, Milano. 33 cfr. CHAVAGNEUX C. La montée en puissance des acteurs non étatiques, in JACQUET P. - PISANI-FERRY J. - TUBIANA L. 2002, pp. 233-250, op. cit. 34 LEGAMBIENTE, Rapporto ecomafia 2003, Legambiente, Roma, 2003.

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la posizione, l’insediamento mafioso non può dirsi tradizionale ma esso è certamente ormai “consolidato”, secondo le conclusioni della stessa Commissione antimafia.

TABELLA I : DIMENSIONI QUANTITATIVE DELL’ILLEGALITÀ AMBIENTALE IN ITALIA

’96/’94 1997 1998 1999 2000 2001 2002

INFRAZIONI ACCERTATE 77.850 28.457 30.957 26.508 31.681 31.201 19.453

PERSONE DENUNCIATE O ARRESTATE 53.455 10.286 9.392 17.447 21.506 25.980 16.783

SEQUESTRI EFFETTUATI 7.277 3.491 4.443 4.694 7.201 8.723 4.479

Fonte: Legambiente, Rapporto Ecomafia ’03, ’02, ’01, ’00, ’99, ’98, ’97.

Definita dal vocabolario della lingua italiana come quel «… settore della mafia che gestisce

attività altamente dannose per l’ambiente come l’abusivismo edilizio e lo smaltimento clandestino dei rifiuti tossici»35, l’«ecomafia» ha, in realtà, un ruolo fondamentale in quattro filiere principali che andremo a delineare: il ciclo dei rifiuti, il ciclo del cemento, gli animali e i beni culturali. Anche se bisogna riconoscere alle due problematiche evidenziate dal vocabolario una netta supremazia in termini di rischio, pericolosità e antisocialità. Un business criminale complessivamente stimato (TABELLA II) in 7.757 milioni di euro, circa 15 mila miliardi di vecchie lire, al quale hanno partecipato 158 clan mafiosi censiti, sette in più rispetto al 2001; valutazioni che si apprezzano soprattutto nel rendere intelligibile la portata economico-finanziaria del fenomeno. Legambiente elabora direttamente quelle sui rifiuti, partendo dai dati dell’Anpa e dell’Osservatorio nazionale rifiuti, e quelle sull’abusivismo edilizio, dalle rilevazioni dell’Istat, del Cresme, dell’Enel, e dagli Uffici comunali per il rilascio di concessioni edilizie. Le stime sugli animali, invece, vengono annualmente proposte dalla Lega anti-vivisezione (LAV), mentre le valutazioni riguardanti i beni culturali provengono dal Comando Carabinieri per la tutela del patrimonio artistico e culturale.

TABELLA II : DIMENSIONI ECONOMICHE DELL’ «ECOMAFIA» E DIFFERENTI SPECIALITÀ CRIMINALI

1997 1998 1999 2000 2001 2002

RIFIUTI 2.624 3.744 2.721 3.098 2.582 2.500

CEMENTO 4.148 3.151 2.110 1.832 1.785 2.102

ANIMALI 516 2.679 1.384 1.962 2.825 3.000

BENI CULTURALI / / / / 155 155 155 155

TOTALE 7.329 9.574 6.370 6.047 7.347 7.757

Fonte: Legambiente, Rapporto Ecomafia ’02, ’01, ’00, ’99, ’98. Stime in milioni di €uro

• L’“ARCHEO-MAFIA” E LA “ZOO-MAFIA”

L’interesse criminale verso i beni culturali si manifesta essenzialmente 1) nel furto di opere

d’arte o negli scavi archeologici clandestini, da cui il suggestivo “archeomafia” e 2) nella successiva vendita del maltolto, sui canali internazionali del mercato dell’arte, o ad un preciso committente o al miglior offerente. L’attenzione verso questo tipo di delitto, in Italia, è alta fin dal

35 Zingarelli 1994.

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1969 quando, alle dirette dipendenze del Ministero per i beni e le attività culturali, viene creato il reparto specializzato dell’Arma dei Carabinieri per la tutela del patrimonio. Nel 2002 esso ha censito 1.539 denunce per furti di opere d’arte e reperti archeologici (1.829 nel 2001), per un totale di 18.536 oggetti trafugati contro i 21.738 del 2001. Ha recuperato 44.380 reperti archeologici da scavi clandestini (102.350 nel 2001), e 9.629 oggetti d’arte (3.473) per un valore stimato di circa 93 milioni di Euro (134)36.

In Italia i motivi di maggiore preoccupazione istituzionale, sono soprattutto due. Da un lato i cataloghi relativi ai beni culturali (ma qui il problema non è solo italiano) sono largamente incompleti, e la mancanza di conoscenza rende impossibile il controllo del patrimonio. Reato di indole preminentemente transnazionale, d’altra parte, il traffico di opere d’arte alimenta preziose sinergie fra gruppi criminali internazionali: consorterie mafiose italiane che, con tecnologie d’avanguardia e padronanza del territorio, depredano siti archeologici clandestini; bande criminali strutturate straniere (sul modello, ad esempio, del “gran banditismo” francese o dei “motard” Nord europei) che si occupano della ricettazione e del piazzamento della refurtiva, in stretto contatto con esperti e collezionisti d’arte tanto disinvolti quanto apparentemente rispettabili. Si tratta, però, di una specialità contro la quale gli attori sovranazionali riescono abbastanza agevolmente a trovare spunti di intesa. Il Parlamento dell’Unione Europea, ad esempio, ha recentemente approvato una risoluzione dedicata proprio al traffico di beni culturali, alla dispersione di opere d’arte e alla spoliazione dei siti archeologici dentro e fuori i confini comunitari. Ma si pensi anche, come sottolineato dal Professor Joseph Dimento37, alla eco mediatica e alla condanna internazionale relativamente alla distruzione dei Buddah scolpiti nelle montagne dell’Afghanistan.

Di non minor impatto mediatico, il termine “zoo-mafia”38 rappresenta due filiere criminali principali che vedono gli animali quali involontari protagonisti: 1) le corse clandestine di cavalli e i combattimenti fra cani. 2) l’import - export di animali appartenenti a specie protette. Tipici di questa seconda specialità sono a) il commercio di animali vivi per l’allevamento, a scopo commerciale o amatoriale, b) il commercio di parti di essi, grezze o lavorate - come nel caso dell’avorio - per oggettistica o collezionismo, c) il bracconaggio e le “vacanze venatorie” che vanno dai safari illegali alle libertine battute di caccia organizzate da apposite agenzie verso l’Europa orientale.

Si tratta, in effetti, di due casistiche distinte e con implicazioni assolutamente differenti. Nel caso delle competizioni, infatti, sono le scommesse clandestine che simbioticamente accompagnano corse e combattimenti, a rappresentare la posta per le consorterie mafiose, che hanno modo così di introitare una merce particolarmente apprezzata nel panorama criminale: contante liquido in straordinarie quantità. Rispetto alle puntate illegali che vengono normalmente raccolte dai clan verso qualsivoglia evento sportivo, però, l’allevamento degli animali e soprattutto l’organizzazione delle competizioni implica, e mette in mostra nella sua reale portata, il controllo del territorio esercitato dal centro di potere criminale; si pensi solo che, in Sicilia ad esempio, le gare si svolgono sulle strade statali o sulle principali arterie cittadine appositamente chiuse al traffico39. La seconda filiera, invece, presenta maglie concettuali molto più ampie che arrivano a chiamare in causa, e a spiegare in alcune delle sue forme, il crescente carico di pressioni cui è sottoposto il patrimonio biologico terrestre e la degradazione della biodiversità. Ai traffici di specie animali protette, in effetti, si affiancano gli altrettanto ricchi e ancora poco noti commerci criminali dei componenti vegetali della biosfera, come nel caso del contrabbando internazionale di legno pregiato.

• IL “CICLO DEL CEMENTO” E LE DIVERSE FORME DI ABUSIVISMO

Noto anche con l’espressione di “mattone selvaggio” il ciclo del cemento considera: 1)

L’edilizia abusiva, e tutti i processi del ciclo, appunto, del cemento dalla cava illegale al fabbricato 36 LEGAMBIENTE 2003, op. cit. 37 http://www.seweb.uci.edu/faculty/dimento/ 38 Cfr. LAV, Lega anti-vivisezione, www.infolav.org e LEGAMBIENTE 2003, op. cit. 39 Cfr. LEGAMBIENTE, Rapporto ecomafia 2002, Legambiente, Roma, 2002.

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finale non autorizzato o realizzato al di fuori delle concessioni originarie; 2) il condizionamento e l’infiltrazione degli appalti per servizi e opere pubbliche.

La prima tipologia ha un fortissimo ed evidente impatto territoriale - paesaggistico e in termini di dissesto geologico e idrogeologico - per via degli edifici costruiti al di fuori dei vincoli urbanistici e a causa delle cave abusive, impiantate lungo i fiumi e i letti dei torrenti o a ridosso di colline dalle quali drenare sabbia, ghiaia e pietrisco. E presenta aspetti di carattere economico e fiscale poiché, come spiega l’Osservatorio nazionale ambiente legalità40 tutte queste attività si realizzano “in nero”, e cioè senza alcuna fatturazione di chi fornisce i materiali o costruisce gli immobili. Vengono così sottratte alle casse dello Stato ingenti risorse e l’assenza di fatturazioni, insieme al ricorso a manodopera irregolare, causa anche seri contraccolpi sul mercato legale dal momento che le imprese oneste subiscono la concorrenza sleale di quelle che lavorano nel circuito dell’abusivismo. Le stime rielaborate da Legambiente41 e dal Cresme parlano di 30.821 costruzioni abusive realizzate nel 2002, per una superficie totale di oltre 4.200.000 metri quadri, un valore stimato in 2.102 milioni di Euro e un incremento del 9 per cento rispetto al 2001. Una crescita motivata con il doppio legame esistente fra abusivismo edilizio, demolizioni delle costruzioni abusive e opportunità di condono: un rapporto di proporzionalità inversa lega l’andamento delle costruzioni illegali alle loro effettive demolizioni e alla rappresentazione e risonanza mediatica data a tali abbattimenti; un legame di proporzionalità diretta, invece, lega l’abusivismo edilizio alle ipotesi, anche solo ventilate, di condono. Esattamente come è avvenuto a partire dalla metà del 2001, quando, le promesse di condono edilizio hanno bruscamente invertito la tendenza alla diminuzione dell’illecito; un trend già riscontrato in occasione del condono del 1985 (230.000 costruzioni abusive nell’83-’84) e di quello del 1993 (con uno strascico “record” di oltre 80.000 abitazioni abusivamente edificate nel ’94)42.

Anche in questo settore spiccano i dati relativi alle regioni a tradizionale presenza mafiosa dove sono censiti il 55 per cento degli illeciti, per un totale di 16.914 opere illegali. E se le costruzioni abusive sembrano comunque rappresentare una costante strutturale del Bel Paese - stimate in 28.276 nel 2001, 28.938 nel 2000, 33.571 nel 1999 e 232.000 nel quinquennio 1994-1998 - bisogna tuttavia rilevare come in certe situazioni, l’abusivismo edilizio in Italia sia, per certi versi, un vero e proprio fenomeno sociale in grado di ricondurre a regione geograficamente omogenea svariate aree dell’intero territorio nazionale. È per questo motivo che appare molto difficile da contrastare e che non può essere affrontato in maniera tout court repressiva. Le distinzioni operate fra l’abusivismo edilizio detto “di necessità” e quello definito “speculativo”, sono, da questo punto di vista, interessanti. Nell’analisi di Legambiente43, il primo tipo è identificato come un fenomeno tipico della ricostruzione post-bellica, motivato dall’assenza di piani regolatori e protrattosi, soprattutto nel meridione, fin’oltre gli anni Sessanta e Settanta; un fenomeno che, dopo i condoni del 1985 e del 1994, avrebbe dovuto risultare, almeno teoricamente, privo di ogni ragione di esistere esclusa, appunto, quella di mero carattere speculativo. E in effetti quello odierno, è individuato come “nuovo abusivismo” e consiste soprattutto nella costruzione di case e ville, quando non interi complessi turistici e alberghieri, in zone di elevato valore naturalistico e paesaggistico; dalle coste, ai parchi alle aree protette, ovunque si possano spuntare ingenti opportunità di arricchimento e, con il turismo, anche delle occasioni di riciclaggio.

In riferimento al condizionamento degli appalti e delle opere pubbliche, infine, la legge italiana è molto chiara dal momento che l’articolo “416 bis” del Codice di procedura penale riguardante l’associazione per delinquere di stampo mafioso afferma che «… l’acquisizione e la gestione o il controllo di attività, concessioni, appalti e servizi pubblici» è uno degli obiettivi privilegiati delle mafie. Presenza e operato dei clan nelle grandi opere pubbliche sono, in effetti, storicamente accertati e giudiziariamente comprovati, così come è dimostrato che la gestione mafiosa delle opere produce: 1) distorsioni al mercato e alla concorrenza, 2) costi di realizzazione

40 Cfr. Osservatorio nazionale ambiente legalità, « Ecomafia » Cd rom realizzato da Legambiente, Cora, Regione Calabria, 2002, p. 355-359 41 LEGAMBIENTE 2003, op. cit. 42 Cfr. Osservatorio nazionale ambiente legalità 2002, op. cit. pp. 355-359 43Cfr. Osservatorio nazionale ambiente legalità 2002, op. cit. p. 50

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straordinariamente più elevati per la società e incertezza riguardo al completamento finale dell’opera, 3) qualità scadente dei lavori realizzati con materiali mediocri o addirittura impropri, 4) danni ambientali, naturali e paesaggistici.

• IL CICLO DEI RIFIUTI E L’“ECO-MAFIA”

Il ciclo dei rifiuti, infine, è un po’ l’icona della criminalità ambientale, in grado di mettere in

luce l’operato delle “ecomafie”. Una problematica, quella dello smaltimento criminale dei rifiuti, che rispetto alle tre precedenti è ancor meglio recepita criticamente dall’opinione pubblica. Forse perché, anche culturalmente, il rifiuto è immediatamente individuabile come inquinante e poi perché tutti siamo consci di produrre rifiuti, anche se nessuno di noi sa bene dove vengano portati i suoi scarti.

Come consigliano diverse riflessioni44 immaginiamo i rifiuti come entità materiali che, al termine della filiera produttiva, hanno perso le qualità che le rendevano desiderabili e dunque scambiabili. Diventati superflui, e sgradevoli, essi sono sempre stati accantonati e scaricati nell’unico spazio in fondo possibile: l’ecosistema terra. E quest’ultimo, facendo ciò che gli viene “omeostaticamente” naturale, ha sempre riciclato tutto grazie ai suoi meccanismi di riequilibrio. Negli ultimi due secoli, tuttavia, il rapporto fra l’ecosistema terrestre e i rifiuti umani è stato investito da tre vere e proprie rivoluzioni. 1) Una quantitativa e legata all’aumento degli scarti, verosimilmente proporzionale all’aumento delle produzioni, determinato dalla rivoluzione industriale. 2) Una qualitativa e collegata alla rivoluzione tecnologica, chimica e fisica: ciò che viene creato artificialmente rischia di non poter essere riciclato naturalmente (o di poterlo essere solo in prospettive temporali nell’ordine delle centinaia o migliaia di anni come nel caso delle scorie nucleari). 3) E una globalizzata, contemporaneamente qualitativa e quantitativa: nel XX secolo l’intensità dell’azione antropica sull’ambiente si è decuplicata per la combinazione del raddoppio della popolazione mondiale - avvenuto fra il 1950 e il 1990 - e la quintuplicazione della quantità di energia media a disposizione di ciascun individuo.

Per farla breve, dall’attuale sistema di produzione e consumo italiano escono ogni anno circa 108 milioni di tonnellate di rifiuti delle quali 28 milioni di rifiuti solidi urbani e 80 milioni di rifiuti speciali pericolosi e non. Gli impianti di smaltimento termico ricevono circa il 6,6 per cento di tali scarti, un altro 15,4 per cento viene recuperato e riciclato mentre il restante 78 per cento è destinato alla discarica. Sennonché una porzione consistente del totale non viene smaltita correttamente e la situazione ha raggiunto proporzioni tali da portare alla creazione, nel 1995, di un’apposita Commissione parlamentare d’inchiesta alla quale ci rifaremo ampliamente nella trattazione dell’argomento. Secondo le stime che la stessa Commissione ha divulgato nel marzo del 200145, non si conosce la destinazione finale di smaltimento di almeno 35 milioni di tonnellate di rifiuti soprattutto speciali (circa il 30 per cento del totale), per un mercato illegale di 7.750 milioni di Euro e un danno erariale stimato in 1.000 milioni di Euro.

Le strategie nazionali di trattamento dei rifiuti sono incentrate sull’utilizzo di discariche pubbliche. E a questo proposito il quadro tracciato dal Corpo Forestale dello Stato nel novembre 2002 è preoccupante. Le discariche autorizzate recensite sono 1.420 contro 4.866 discariche abusive che si estendono su una superficie totale di 19 milioni di metri quadrati. Il 12 per cento di tali discariche illegali ricade entro zone protette e il 70 per cento in aree sottoposte a vincoli pubblici di varia natura, la maggior parte a causa di dissesti idrogeologici. Puglia e Lombardia sono le regioni che contano il maggior numero di discariche illecite: 599 e 534 rispettivamente. Il Veneto, invece, vanta la maggior superficie occupata abusivamente con più di 5 milioni di metri quadrati, precedendo la Puglia con 4. Un terzo di tali discariche è ancora in funzione, solo una su cinque è stata o è in via di bonifica e ben 775 sono state catalogate come “pericolose”. 44 ISENBURG T. Legale/illegale; una geografia, Ed. Punto rosso, 2000 - MAINARDI R. Geografia generale, Nis, 1995 - VIALE G. Un

mondo usa e getta, Feltrinelli, 1994. 45 COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA SUL CICLO DEI RIFIUTI E SULLE ATTIVITÀ ILLECITE AD ESSO CONNESSE XIII Legislatura, Relazione finale al Parlamento, Relatore Massimo Scalia, XXIII n. 63, 28 marzo 2001.

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CENSIMENTO DISCARICHE 2002

DISCARICHE LEGALI 1.420

DISCARICHE ILLEGALI 4.866

SUPERFICIE TOTALE DISCARICHE ILLEGALI 19 millions m2

DISCARICHE ILLEGALI IN ATTIVITÀ 1.654 - soit le 34 %

DISCARICHE ILLEGALI BONIFICATE 1.020 - soit le 21 %

DISCARICHE ILLEGALI ALTAMENTE PERICOLOSE 705 - soit le15 %

DISCARICHE ILLEGALI IN ZONE PROTETTE 12 % du total

DISCAICHE ILLEGALI IN AREE SOTTOPOSTE A VINCOLO PUBBLICO 70 % du total Fonte : Corpo Forestale dello Stato

Dal lavoro svolto dalla Commissione fra il 1996 e il 200146 spiccano le tre seguenti riflessioni:

1) Nonostante il passo avanti compiuto con il Decreto Ronchi del 1997, la normativa italiana in materia di rifiuti risulta ancora disomogenea, inappropriata ad affrontare i traffici criminali che si sono ormai consolidati e improntata all’emergenzialità. 2) La natura contravvenzionale del reato (la materia è disciplinata amministrativamente e la legislazione penale sanziona, blandamente, solo la rottura del “patto fiduciario” fra il privato e la pubblica amministrazione) non consente alla magistratura e alle forze dell’ordine di utilizzare gli strumenti investigativi e repressivi consentiti, invece, per il contrasto della criminalità organizzata (l’associazione per delinquere, per la sua natura delittuosa, non può essere contestata rispetto a sanzioni amministrative o reati contravvenzionali). Quasi sempre, in definitiva, l’azione di contrasto è resa possibile non già perché oggetto d’indagine sia il traffico o lo smaltimento illecito di rifiuti, bensì perché le operazioni finanziarie che stanno a monte o a valle dell’illecito configurano fattispecie delittuose. 3) Le modalità e gli attori. Si possono individuare tre categorie di soggetti protagonisti del ciclo dei rifiuti: esse sono a) le organizzazioni criminali, sia di stampo mafioso, sia nate e progettate ad hoc per il business dei rifiuti. b) Le imprese economiche fra le quali, paradossalmente, diverse anche a partecipazione statale; c) Gli ufficiali della Pubblica Amministrazione il cui operato non è sempre limpido: «Si passa dai comportamenti disinvolti o di mera compiacenza […] ai casi in cui l’attività è pesantemente condizionata dalla forte carica intimidatoria che promana dalle organizzazioni criminali operanti sul territorio, sino alle ipotesi di vere e proprie attività corruttive»47. Anche le modalità sono classificabili in tre macro tipologie: a) l’abbandono abusivo in cave abusive - a riempire dal punto di vista dell’orizzonte i veri e propri vuoti aperti nel territorio dal ciclo del cemento, e a formare, così, un vero e proprio sistema territoriale di autopoiesi criminale -. b) Il declassamento amministrativo, fittizio e illegale, a un livello di pericolosità inferiore a quello reale, seguito dallo smaltimento secondo le normative vigenti. c) Il declassamento fittizio e il riciclo illegale, ad esempio, nelle pavimentazioni stradali o nell’edilizia civile.

Più lo scarto è inquinante per l’ambiente, più - ragionevolmente - il suo trattamento di inertizzazione è costoso e amministrativamente complesso, più - concettualmente - diventa insostenibile la contraddizione, intrinseca al modello produttivo, per la quale ingenti cifre dovrebbero essere spese per qualche cosa che non sembra aver più nessun valore economico. In questa rappresentazione «L’organizzazione criminale offre un efficiente servizio alternativo che abbatte i costi e garantisce la continuità nello smaltimento dei rifiuti poiché assicura il superamento di qualsiasi ostacolo burocratico e consente l’immediato deflusso degli scarti di produzione senza

46 Cfr. COMMISSIONE SUL CICLO DEI RIFIUTI XIII Legislatura, Relazione finale al Parlamento, 2001, op. cit. 47 COMMISSIONE SUL CICLO DEI RIFIUTI XIII Legislatura, Relazione finale al Parlamento, 2001, op. cit. pag. 51

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andare troppo per il sottile nel rispetto della normativa vigente»48.Alla luce della citata convenzione Onu, quindi, e per determinati aspetti, l’occultamento di rifiuti non è stato un delitto grave almeno fino alla citata legge n° 93 - 2001 che sanziona con pene da uno a sei anni «… chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa o comunque gestisce abusivamente ingenti quantità di rifiuti […] Se si tratta di rifiuti ad alta radioattività si applica la pena della reclusione da tre a otto anni». Qualcosa è cambianto, però, ed è naturale che nel Rapporto Ecomafia del 2003 Legambiente dedichi ampio spazio proprio a vagliare i risultati ottenuti grazie all’articolo 53 bis nel contrasto all’ecomafia dei rifiuti. Tra febbraio 2002 e gennaio 2003 ecco i risultati: 8 le inchieste, 49 le ordinanze di custodia cautelare, 177 le persone denunciate, 36 le società coinvolte di volta in volta dalla produzione al trasporto allo smaltimento, 12 le regioni interessate (Calabria, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Sicilia, Toscana, Umbria e Veneto) e qualche milione le tonnellate immaginabili per quantificare i rifiuti smaltiti illegalmente.

Quattro le constatazioni fondamentali, in congruenza con le conclusione della Commissione parlamentare: 1) praticamente su tutto il territorio nazionale operano organizzazioni criminali propriamente dette - non necessariamente di stampo mafioso - che si occupano dello smaltimento illegale di rifiuti, facendo di una o più maglie della filiera il proprio concreto impegno professionale. 2) I rifiuti oggetto di traffici appartengono a tipologie estremamente differenti: scorie derivanti dalla metallurgia termica dell’alluminio, fanghi conciari, polveri di abbattimento fumi (derivanti spesso da industrie siderurgiche), trasformatori con oli contaminati da Pcb, reflui liquidi contaminati, ma anche rifiuti e terre provenienti da attività di bonifica49. 3) «… la grande fantasia delle attività di smaltimento illegale:fanghi industriali altamente contaminati diventano fertilizzati utilizzati in aziende agricole; polveri di abbattimento fumi, particolarmente tossiche, finiscono nelle fornaci in cui si producono laterizi o nei cementifici; residui di fonderia vengono smaltiti, illegalmente, nelle fondamenta di cantieri edili; rifiuti speciali e pericolosi vengono “trasformati” in innocui rifiuti urbani da avviare a impianti di incenerimento; rifiuti prodotti in Campania vengono “inviati” formalmente in impianti autorizzati in Abruzzo, dove ne viene fatto figurare l’avvenuto smaltimento a prezzi di mercato ma in realtà finiscono in discariche abusive della stessa Campania, con relative compensazioni economiche in nero tra le società coinvolte nei traffici; rifiuti pericolosi che vengono miscelati illegalmente oppure occultati sul fondo di fusti che contengono sostanze apparentemente “innocue”»50. 4) I danni causati all’ambiente e i rischi presenti e futuri non sono ipotizzabili.

3 POTERI ILLEGALI E TERRITORI A RISCHIO: CASI CONCRETI E VICENDE PARADIGMATICHE

• DAL SACCO DEI SITI ARCHEOLOGICI AL TRAFFICO INTERNAZIONALE DI OPERE D’ARTE

Nel corso dell’Operazione “Pandora”, condotta dal comando Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale, vengono arrestate 37 persone e sequestrati beni per circa 35 milioni di Euro. Emerge così un network criminale con ramificazioni nazionali e transnazionali, che merita di essere sommariamente descritto in quanto caso esemplare di criminalità rivolta verso i beni culturali. I reperti archeologici provenienti da Puglia, Calabria, Sicilia, Campania, Lazio e Lombardia sono raccolti in un magazzino situato proprio in quest’ultima regione, a Brescia. Nel deposito, in effetti, si ritrovano circa 36 mila monete di epoche comprese fra il V sec. a. C. e il II d. C., 922 reperti archeologici in bronzo e ferro, 236 reperti in ceramica e tre metal detector. E proprio la tecnologia a disposizione dell’organizzazione è uno dei punti più interessanti dell’inchiesta. Dalle indagini, 48 COMMISSIONE SUL CICLO DEI RIFIUTI XIII Legislatura, Relazione finale al Parlamento, 2001, op. cit. pag. 49 49 Cfr. LEGAMBIENTE 2003, op. cit. p. 30. 50 LEGAMBIENTE, 2003, op. cit. pp.30-31

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infatti, risulta che anche tecnici e ingegneri stranieri hanno raggiunto, in diverse occasioni, le località di scavo per mettere a punto i più moderni mezzi tecnici fra i quali anche le cosiddette “brande”: apparecchiature militari che consentono di radiografare il terreno fino a 5 metri di profondità. Tanto che, a Pompei, è stata portata alla luce un’intera villa ignota agli archeologi.

Tre le figura principali emerse dall’inchiesta: 1) quella, classica, del tombarolo rappresentativa della cosiddetta bassa manovalanza criminale; 2) quella del ricettatore, altrettanto classica e che comprende facoltosi imprenditori, gioiellieri e antiquari pronti a comprare e rivendere la mercanzia; 3) quella, più interessante dal punto di vista della ricerca, del committente-ricettatore. Due personaggi residenti in Svizzera, uno dei quali di origine siciliana, fungevano infatti da referenti per diverse organizzazioni criminali, ricevevano dal magazzino di Brescia il patrimonio depredato e lo indirizzavano verso i collezionisti di tutto il mondo, o direttamente o per il tramite di ulteriori filiere criminali. A quanto risulta dalle analisi del Ministero dell’Interno51 sull’internazionalizzazione delle filiere criminali dell’archeomafia, le rotte dei traffici illeciti di opere d’arte privilegiano la Svizzera, la Germania, il Belgio, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti ed il Giappone. I principali nodi commerciali sembrano essere la città di Londra (sede di importanti case d’asta) dove si realizzano le vendite più importanti e, come visto, la Svizzera laddove, a un passo dall’Italia, si trovano collezionisti interessati alla mercanzia, componenti delle organizzazioni criminali italiane che fungono da punto di riferimento e un sistema bancario dalle note caratteristiche.

• INFRASTRUTTURE E PIANIFICAZIONE TERRITORIALE: ALTA VELOCITÀ, BASSA LEGALITÀ

Per quanto riguarda il ciclo del cemento, e proseguendo nella ricerca di vicende a loro modo paradigmatiche, concentriamo l’attenzione su di un caso che, da anni e a cicli mediatici ricorrenti, sta letteralmente attraversando da Sud a Nord l’intero Paese: il treno ad alta velocità (T.A.V.). Una delle più grandi opere pubbliche del dopoguerra dall’indiscutibile utilità nazionale ma dagli altrettanto innegabili impatto ambientale e interesse criminale. La storia giudiziaria del treno ad alta velocità affonda le sue radici nei primi anni Novanta quando, nel pieno della buffera di Tangentopoli e Mani pulite, i giudici di Perugia ereditano da quelli di La Spezia l’inchiesta denominata “Tangentopoli 2”. Un'inchiesta nata in maniera pirotecnica con 56 imputati per corruzione e finanziamento illecito ai partiti, (alcuni all’epoca molto noti come il banchiere Pierfrancesco Pacini Battaglia e l’amministratore delle Ferrovie Lorenzo Necci) e conclusasi in maniera oscura, con un maldestro tentativo di coinvolgere l’allora eroe di Mani pulite, Antonio Di Pietro, uscitone con il pieno proscioglimento ma con l’immagine forse irrimediabilmente segnata52.

Solo qualche anno dopo, fra il 1996 e il 1997, lo scenario e gli attori mutano radicalmente. Due tronconi successivi di un’inchiesta condotta dalla Procura di Napoli disvelano un reticolo criminale composto da politici locali, imprenditori e personaggi legati a quei gruppi camorristici che, come gli Zagaria e i Mariniello, sono presenti sia nel casertano che nel napoletano. I reati contestati vanno dal concorso esterno in associazione mafiosa alla tentata estorsione. E cosa significhino nella pratica tali termini lo spiega con molta chiarezza Fabrizio Feo sulle pagine del mensile “Narcomafie”: «Ai Carabinieri sotto mentite spoglie sia i politici che i camorristi promettono “tranquillità” per i cantieri [della tratta Roma Napoli del TAV, nda], in cambio chiedono subappalti da concedere a imprese amiche. Le imprese avrebbero poi provveduto a pagare tangenti pari al tre per cento dell’importo dei lavori ricevuti, “all’uno e all’altro stato” (sono le parole pronunciate da uno degli imputati durante una conversazione registrata)»53. Un sistema di infiltrazione collaudato del quale riferisce con dovizia di particolari anche la Commissione parlamentare antimafia sia nella relazione sulla Campania (’98)54 che in quella conclusiva (2001)55;

51 Ministero dell’Interno, Rapporto sullo stato della sicurezza, presentato al Parlamento dal Ministro Bianco il 9 febbraio 2001 52 Cfr. BARBACETTO G. – PORTANOVA M. Bandiera Ros la trionferà, « DIARIO », Milano, 15/11/2002. 53 FEO Fabrizio, T.A.V. il ritorno di tangentopoli, in «NARCOMAFIE», luglio agosto 1999, p. 36. 54 COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA SUL FENOMENO DELLA MAFIA E DELLE ALTRE ASSOCIAZIONI CRIMINALI SIMILARI XIII Legislatura Relazione sulla criminalità organizzata in Campania, relatore Sen. Lombardi Satriani - doc. XXIII, n. 46, 24 ottobre 2000. pp. 31-40 e 59-80

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un sistema al quale, tuttavia, non si arriva a porre rimedio visto e che, puntualmente, ritorna in cronaca; come quando, a maggio del 2001, nell’ambito dei controlli per gli appalti sull’Alta velocità la Dia e i Carabinieri hanno sequestrato beni per 10 milioni di Euro a un’impresa di movimento terra appartenente a Antonio e Pasquale Zagara, fratelli del capoclan Michele, da anni latitante.

Nel giugno del 1999, ancora. Nell’ambito dell’“Operazione Portici” della Procura di Roma vengono firmate nove ordinanze di custodia cautelare e una decina di misure interdittive per reati quali associazione per delinquere, abuso di ufficio, rivelazioni di segreti d’ufficio, truffa, false comunicazioni bancarie e frode in pubbliche forniture. Fra i destinatari delle ordinanze compaiono l’allora Ispettore generale del Ministero del Tesoro, un manager di punta di uno dei più importanti gruppi bancari del Paese (la Banca di Roma), l’ingegnere capo di una delle società (Icla, gruppo Pafi) fra le capofila dei lavori per l’alta velocità sul tratto Roma - Napoli, l’allora Presidente della giunta regionale della Regione Campania e l’assessore regionale al personale. «Secondo gli investigatori alti funzionari dello Stato, manager degli Istituti di credito, imprenditori, faccendieri e politici, avrebbero costituito un’associazione per delinquere in grado di modificare leggi dello Stato, di far erogare da importanti Istituti di credito prestiti per centinaia di miliardi senza garanzia […] meccanismo che consentiva ad imprese della Camorra di conquistare subappalti nei lavori di costruzione della linea ad Alta velocità sul tratto Roma - Napoli»56.

L’ultima magistratura a intervenire è quella di Firenze. Il 23 giugno 2001 sequestra per tre mesi una trentina fra cave, cantieri e discariche sulla tratta appenninica Bologna - Firenze: una delle più delicate dell’intero asse di comunicazione Nord Sud. Un caso forse ancora troppo recente per essere letto correttamente del quale, però, si possono almeno di delineare i tre attori principali. Essi sono: 1) Legambiente e l’Agenzia regionale protezione ambiente Toscana (Arpat), che denunciano reiteratamente una scorretta modalità di smaltimento dei fanghi, degli scarti di roccia e delle acque provenienti dalle operazioni di perforamento (73 chilometri su 78 della tratta sono progettati in galleria). 2) Cavet, il consorzio incaricato di costruire il collegamento del quale sono parte integrante importanti aziende tra cui la Fiat. 3) Il Governo che, con la Legge 443 del 21 dicembre 2001 (art. 17), declassa di fatto «… le terre e rocce da scavo, anche di gallerie …» che quindi «… non costituiscono rifiuti e sono perciò escluse dall’ambito di applicazione del decreto legislativo 22/97, anche quando contaminate, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione …». E proprio il governo è diventato, a partire dalla XIV Legislatura, un attore duplice e del tutto particolare visto che il Guardasigilli alle Infrastrutture Pietro Lunardi è altresì titolare di un’impresa di progettazione, la Rocksoil, che esegue lavori per lo stesso governo e proprio nell’ambito dei trafori e delle gallerie.

• IL CLAN DEI CASALESI E IL TERRITORIO E DELL’ECOMAFIA

Rispetto a quella delle altre mafie italiane, l’organizzazione della Camorra è definita

“pulviscolare”57 per il grande numero di clan, spesso auto–referenziati, e per l’assenza di una commissione di vertice, in grado di coordinare l’attività dei vari gruppi. Ciò si traduce in un’elevata fluidità degli equilibri malavitosi e in un’alta conflittualità fra i diversi sodalizi. L’assenza di gerarchie consolidate porta i diversi clan ad agire con modalità gangsteristiche e a fare un uso della violenza spropositato. La Camorra, oltretutto, è impegnata, molto più che le altre mafie italiane, in un gran numero di diverse attività che vanno da quelle più tipiche del fenomeno mafioso - estorsioni e usura, condizionamento degli appalti, smaltimento illegale dei rifiuti, frodi e contrabbando - a qualunque altra illecita tipologia di arricchimento come le scommesse clandestine, lo spaccio al dettaglio di stupefacenti, la prostituzione, la contraffazione o le rapine58. Nell’attuale configurazione geopolitica dello spazio criminale camorristico emergono due blocchi principali: l’alleanza di 55 COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA SUL FENOMENO DELLA MAFIA E DELLE ALTRE ASSOCIAZIONI CRIMINALI SIMILARI XIII Legislatura Relazione conclusiva, relatore, On. Giuseppe Lumia - doc. XXIII, n. 57, 6 marzo 2001. pp.50-61 56 FEO Fabrizio, T.A.V. il ritorno di tangentopoli, in «NARCOMAFIE», luglio agosto 1999, p. 37 57 Cfr. VIOLANTE L. Non è la piovra, Einaudi, 1994 58 Cfr. OMICRON 2001, op. cit., p. 149.

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Secondigliano, nella quale si riconoscono numerosi clan napoletani come i Mallardo, i Contini, i Licciardi, i Bocchetti e i Lo Russo, e il clan dei Casalesi che comprende, fra le altre, le famiglie Schiavone, Bidognetti, Bardellino, Iovine, Esposito, Di Lorenzo, Parreca, Apicella e Papa.

Nel passato, spiega la commissione parlamentare antimafia, il clan dei Casalesi «… ha conosciuto un abnorme sviluppo, conseguenza evidente di un difetto di attenzione almeno parzialmente spiegabile con le ampie connivenze che il clan era riuscito a creare negli ambienti della locale politica, delle forze dell’ordine e della stessa magistratura». Negli anni Novanta dall’epicentro di Casal di Principe e San Cipriano - e dalla zona criminale esclusiva di Caserta – il sodalizio si è consolidato in tutto il casertano e nel basso Lazio, ma vanta significative influenze anche nel resto della Campania e considerevoli proiezioni internazionali. E oggi può essere ragionevolmente rappresentato come il paradigma dell’Ecomafia, dal momento che le attività spaziano dalla gestione professionale dei combattimenti fra cani, e relative scommesse, - clan Bidognetti e Schiavone59 - alla speculazione edilizia, - clan Apicella, Bardellino, Di Lorenzo-Esposito, Iovine, Papa, Schiamone, Zagaria - all’infiltrazione (come visto) degli appalti, - Bardellino, Belforte, Bidognetti, Cantiello, Iovine, La Torre, Schiavone, Zagaria – ai rifiuti: il vero e proprio crimine caratterizzante del clan. Secondo la Commissione sul traffico di rifiuti «… le informazioni (…) mostrano un sensibile incremento di tali attività illecite, al punto che oggi il territorio campano sembra essere saturo e si registra quel fenomeno per cui i rifiuti vengono smaltiti illegalmente in altre regioni, come il Lazio,la Basilicata e soprattutto l ’Abruzzo»60.

Nel Documento sui traffici illeciti e le ecomafie61 la Commissione riprende le risultanze investigative dell’inchiesta denominata “Eco” condotta, nel 1997, dalla Procura di Napoli. L’indagine, resa possibile solo dalla ricostruzione degli ingenti flussi finanziari derivanti dalle attività illecite, porta alla luce un network criminale che, fra il giugno del 1994 e lo stesso mese del 1997, ha movimentato 11 mila tonnellate di rifiuti soprattutto pericolosi. Di esso hanno fatto parte almeno 101 individui (imputati) nonché 13 società commerciali, 21 società di trasporto, 9 aziende produttrici degli scarti illecitamente occultati, 6 centri di stoccaggio intermedi e 8 società di smaltimento rifiuti. Ma c’è un’altra e ben più attuale inchiesta: la prima nel cui ambito vengono formalmente contestati reati inerenti alla citata legge sul traffico illecito di rifiuti. È l’Operazione “Cassiopea” condotta dal Pubblico ministero della Procura di Santa Maria Capua Vetere, Donato Ceglie. Allo stato attuale, il procedimento risulta bloccato presso il Tribunale del riesame - pur ritenendo fondato l’impianto accusatorio, il Gip ha rinvenuto problemi di competenza territoriale - ma la descrizione che ne offre l’esperto locale Raffaele Sardo merita di essere brevemente ripresa. «Sono 98 le persone indagate con l’accusa di associazione per delinquere, disastro ambientale, avvelenamento di acque. Nella maggior parte dei casi imprenditori settentrionali - in particolare veneti e piemontesi - del settore ambientale, ma anche faccendieri e mediatori vari, che, attraverso l’organizzazione, hanno smaltito illegalmente nella Provincia di Caserta un milione di tonnellate di rifiuti solo negli ultimi quattro anni attuando un piano criminale per svelare il quale ci sono voluti quasi mille giorni di indagini. (…) Attraverso un “giro di bolle”, i rifiuti viaggiavano sulla carta e venivano “ripuliti” della loro pericolosità a ogni passaggio di mano. Spacciati quasi sempre per fertilizzanti, finivano nelle campagne della provincia di Caserta, dove venivano abbandonati alla rinfusa, oppure scaricati nel fiume Volturno o mescolati nei sottofondi stradali. Casal de Principe, Santa Maria la Fossa, Castelvolturno e Villa Literno sono le zone più colpite, (…). Qui, secondo la ricostruzione degli inquirenti, sono stati versati e seppelliti cadmio, zinco, scarti di vernici, fanghi da depuratori, plastiche varie, arsenico, prodotti delle acciaierie, piombo e altro ancora».62

• UN NETWORK (CRIMINALE?) POSTMODERNO NEGLI SPACCATI DELLA COMMISSIONE

PARLAMENTARE 59 Cfr. LEGAMBIENTE, 2002, op. cit. pp. 31-40 60 COMMISSIONE SUL CICLO DEI RIFIUTI XIII Legislatura, Relazione finale al Parlamento, 2001, op. cit. pag. 48 61 COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA SUL CICLO DEI RIFIUTI E SULLE ATTIVITÀ ILLECITE AD ESSO CONNESSE XIII Legislatura Documento sui traffici illeciti e le ecomafie, Pres. Massimo Scalia 25 ottobre 2000 XXIII n. 47, p. 26 62 SARDO Raffaele, Se l’ecomafia ha un volto normale, in «NARCOMAFIE», marzo 2002, p. 39.

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I documenti istituzionali mettono in evidenza un caso particolare che si dipana a livello

globale attraversando in maniera surreale le barriere dello spazio, del tempo e - chi può dirlo? - della legge. Differenti network internazionali apparentemente imperniati su di un attore postmoderno e delocalizzato che, negli spaccati offerti dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sui traffici internazionali di rifiuti, assume le sembianze di tal Giorgio Comerio. Il suo nome compare la prima volta quando la Procura di Lecce scopre il “Progetto Urano”, un piano attuato per lo smaltimento illegale, in alcune zone del Sahara, di rifiuti tossico-nocivi e radioattivi provenienti dall’Europa. Nell’inchiesta sono coinvolti elementi istituzionali di diversi governi europei ed extra europei, esponenti della criminalità organizzata e «… personaggi spregiudicati …» fra i quali un certo Giorgio Comerio definito «… faccendiere italiano al centro di una serie di vicende legate alla Somalia e all’illecita gestione degli aiuti del Fai (oggi direzione generale per la cooperazione e lo sviluppo)»63.

Una seconda volta nell’inchiesta avviata, nel 1994, dalla Procura di Reggio Calabria che «… vede in un ruolo chiave Giorgio Comerio…», indicato questa volta come «… un personaggio in contatto con noti trafficanti di armi e coinvolto anche nella fabbricazione di telemine destinate a diversi paesi …»64. Oggetto delle indagini sono una serie di affondamenti sospetti di navi a perdere - le cosiddette “carrette del mare” - impiegate per l’inabissamento di rifiuti radioattivi nel Mediterraneo e nei tratti di mare antistanti la Somalia, la Guinea e la Sierra Leone. Il caso è, però, molto più complesso. Da un lato gli affondamenti sospetti sarebbero, solo in Italia, almeno 39 fra il 1975 e il 1995, i dati delle compagnie assicurative confermerebbero tali sospetti e altrettanto dicasi per alcuni indizi rinvenuti presso il Comerio stesso e presso alcuni dei suoi più stretti collaboratori. Dall’altro lato, tuttavia, e benché alcuni procedimenti si siano conclusi con la condanna di alcuni imputati per truffa ai danni delle assicurazioni, i relitti non sono mai stati rinvenuti né, tanto meno, è stato possibile accertare il loro carico.

Una terza e quarta volta, ancora, nell’ambito delle indagini tuttora in corso presso le Procure di Asti e Milano e relative alle cosiddette “nuove rotte dei traffici internazionali”. Dalla documentazioni che la Commissione ha acquisito in merito all’inchiesta di Asti risulta che il «… noto faccendiere di cui si è detto sopra …»65 avrebbe ottenuto una concessione per l’esportazione di rifiuti in una località della Somalia. Titolare di una ditta di trasporti e in stretto contatto con Faduma Aidid - figlia del generale uomo forte di Mogadiscio, accreditata come diplomatica in Italia durante il regime di Sia Barre ed infine espulsa fra il ’99 e il 2000 dal territorio nazionale - il “faccendiere” avrebbe seguito lo smaltimento di ingenti quantità di rifiuti pericolosi e radioattivi in territorio somalo. Tanto che «… la cosiddetta strada dei pozzi, chiamata da tutti in Somalia strada della cooperazione, in quanto costruita con i soldi della cooperazione italiana, è una strada che non va e non viene da nessuna parte, perché unisce tre discariche abusive gigantesche considerate tra le più grandi del mondo …»66. Dalla documentazione relativa all’inchiesta milanese, infine, traspaiono traffici e metodologie molto simili in direzione però del Mozambico. Lì i locali Ministeri dell’Ambiente e del Bilancio hanno accordato a due società italiane la possibilità di costruire un complesso industriale per lo smaltimento di ogni tipo di rifiuti e hanno concesso, a tal fine, un terreno di 150 ettari in località Boane. L’impianto di smaltimento, naturalmente, non è mai stato realizzato e in località Boane si trova solo una enorme discarica a cielo aperto a evidente vantaggio dell’organizzazione che ha predisposto l’illecito network. Tale organizzazione «… si avvale di società di copertura, tra le quali ricompare una delle società al centro dell’indagine della Procura di Asti …» e in essa un ruolo chiave spetta a «… un noto faccendiere italiano contattato proprio perché già protagonista di spedizioni di rifiuti verso l’Africa (…) nonché coinvolto nel già citato “Progetto Urano”»67.

63 COMMISSIONE SUL CICLO DEI RIFIUTI XIII Legislatura, Documento sui traffici illeciti e le ecomafie, 2000, op. cit. p. 61 64 COMMISSIONE SUL CICLO DEI RIFIUTI XIII Legislatura, Documento sui traffici illeciti e le ecomafie, 2000, op. cit. p. 62 65 COMMISSIONE SUL CICLO DEI RIFIUTI XIII Legislatura, Documento sui traffici illeciti e le ecomafie, 2000, op. cit. p. 65 66 COMMISSIONE SUL CICLO DEI RIFIUTI XIII Legislatura, Documento sui traffici illeciti e le ecomafie, 2000, op. cit. p. 66 67 COMMISSIONE SUL CICLO DEI RIFIUTI XIII Legislatura, Documento sui traffici illeciti e le ecomafie, 2000, op. cit. p. 69

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Alla legittima e spontanea domanda, ma chi è costui? non esiste evidentemente una risposta. Risposta che, a ben vedere, neanche interessa la presente riflessione. E non esistono, è bene sottolinearlo, sentenze di condanna, benché la Commissione sottolinei che «… gli elementi evidenziati sembrano davvero troppo numerosi e troppo concordanti, almeno su taluni aspetti fondamentali del fenomeno illegale, perché essi - al di là del giudizio di responsabilità penale e di ciò che esso richiede - possano ritenersi frutto di mera fantasia o di un allarmismo che si alimenta di fantasmi»68. Una vera e propria narrazione degna del miglior Fleming, insomma, nella quale il traffico di rifiuti risulta uno degli snodi criminali assieme al riciclaggio e all’investimento di denaro sporco e al traffico di armi e materiale bellico. Una trama non priva di colpi di scena nella quale sono più d’uno gli elementi che «… fanno ritenere che alcune di queste operazioni siano gestite, coordinate o comunque conosciute da apparati governativi»69.

4 CONCLUSIONI

La questione ambientale - che in un sistema chiuso come quello terrestre comprende

inevitabilmente anche la crisi sociale a cui si è accennato - necessita di concrete risoluzioni etiche a livello globale e di sempre più efficaci interventi operativi a scala regionale finalizzati a «… ridure lo scarto fra l’equilibrio ecologico e l’equilibrio economico»70. È quanto sottolineato anche dalla professoressa Maria Tinacci Mossello che, con lungimiranza, mette anche in guardia dallo sviluppo del cosiddetto business ecologico: «… un settore che sta registrando aumenti di occupazione e di investimenti, ma che potrebbe assumere un ruolo pericoloso qualora ne derivasse una filosofia di noncuranza nei confronti della produzione di guasti ambientali, che un apposito settore produttivo sarebbe delegato a riparare»71. In una tale ottica, dunque, la nozione di criminalità ambientale, ma anche quella di criminalità, necessitano di un solido fondamento concettuale e di nuove definizioni e paradigmi interpretativi forti, a consentirne un’interpretazione lucida e tempestiva.

La criminalità ambientale trova la sua origine anche nell’illegalità diffusa sul territorio e, a sua volta, contribuisce a rafforzare una vera e propria cultura dell’illegalità, come si è visto in particolare nel caso dei cicli del cemento e dei rifiuti. Come emerso dalle vicende prese in considerazione, il settore della criminalità ambientale è anche quello in cui il comportamento criminale si confronta, si integra e interloquisce in maniera necessaria e più visibile con i poteri legali dello Stato, centrali e locali.

Ed è per questo che, discutendo - e ascoltando - di “cittadinanza” e “sicurezza” con il professor Roberto Moro del Centum72 di Milano si costatava la necessità di individuare i punti di rottura della soglia legalità / illegalità dei sistema territoriale di scala “superiore” per poter poi intendere nella loro reale portata le implicazioni politiche e territoriali alla scala geografica “inferiore”. Ancora una volta quello italiano si dimostra un laboratorio adeguato. In Italia in effetti: 1) quattro regioni sfuggono globalmente al controllo dello Stato; 2) le leggi facilitano legalmente il riciclo di capitali frutto di azioni illegali; 3) più del 25 per cento del Pil sfugge al controllo delle istituzioni legittime; 4) il 10 per cento dei parlamentari eletti è stato o è coinvolto in vicende giudiziarie penali; 5) si è cristallizzato un conflitto fra il potere esecutivo e il potere giudiziario.

Dati strutturali che, rapportati all’imbricamento fra poteri legali e poteri illegali e all’ampiezza dei fenomeni criminali, in special modo ambientali, inducono a ripensare alla definizione tradizionale di criminalità e quindi di organizzazione criminale con le sue eventuali implicazioni internazionali. Una ri-definizione che si fondi non solo, o non tanto, su basi giuridiche ma soprattutto su basi politico-morali. E che muova privilegiando il concetto di cittadinanza oltre a

68 COMMISSIONE SUL CICLO DEI RIFIUTI XIII Legislatura, Relazione finale al Parlamento, 2001, op. cit. pag. 56 69 COMMISSIONE SUL CICLO DEI RIFIUTI XIII Legislatura, Documento sui traffici illeciti e le ecomafie, 2000, op. cit. p. 69 70 TINACCI MOSSELLO M. Sviluppo sostenibile: alcune implicazioni politiche e territoriali, in LEONE U. (a cura di) Le vie dell’ambiente tra geografia, politica ed economia, «GEOTEMA» 3, Agi, set.-dic. 1995, p. 42. 71 TINACCI MOSSELLO M. Sviluppo sostenibile: alcune implicazioni politiche e territoriali, in LEONE U. op. cit. p. 43 72 www.centum.org

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quello di sicurezza, intendendosi per cittadinanza l’identità e la dignità conferite all’individuo dalle leggi di un centro di potere legalmente costituito.

Tale identità si materializza, oggi e ancora, nel sistema di garanzie offerte dal modello statuale democratico. E se non si fa appello a questo concetto di diritto di cittadinanza, come visibile fondazione del potere legalmente costituito, non sembra proprio possibile (in materia ambientale ma forse non solo in questa) definire la criminalità come organizzazione nel suo rapporto con il territorio nelle differenti scale geografiche, perché viene a cadere ogni confine fra legale e illegale nell’esercizio stesso del potere sul territorio.

A questo scopo si può provare a intendere la criminalità come un’associazione di persone fondata su valori alternativi ai principi e diritti di cittadinanza che pone in essere organizzazioni di fatto il cui scopo è il perseguimento del profitto in deroga alla (o indipendentemente dai vincoli della) legalità statuale, nonché la costruzione di centri autonomi e permanenti di potere interlocutori / concorrenti ai poteri dello stato legalmente costituito. Una definizione che delimita la criminalità, non solo in funzione della capacità di reprimere o di garantire la sicurezza da parte del potere costituito, ma anche in relazione alla capacità di affermare i diritti e i principi di cittadinanza i quali, a loro volta, generano la capacità di contrastare il crimine e garantire sicurezza.

Un’interpretazione che, adeguatamente approfondita, consente forse di dare fondamento anche a un modello geopolitico dei centri di potere criminale, perché permette di localizzare la cultura della criminalità a livello territoriale (locale, nazionale, internazionale) in funzione: 1) della forza o della debolezza degli Stati di diritto legalmente costituiti - Stati forti di diritto, Stati deboli di diritto - e 2) della loro maggiore o minore capacità di promuovere e perseguire non una semplice crescita economica circoscritta ed elitaria, ma un vero e proprio “sviluppo sostenibile” - Stati forti di sviluppo, Stati forti di crescita -.

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