predestinati (estratto free) roberta mura

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Estratto gratuito del romanzo: titolo: Predestinati; autore: Roberta Mura; http://robertamura.wordpress.com/ Facebook: https://www.facebook.com/pages/Roberta-Mura-Autrice-di-Predestinati/199710246787460

TRANSCRIPT

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ROBERTA MURA

PREDESTINATI

Romanzo

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Ai miei angeli.

Il vostro battito d’ali

è la mia forza.

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Capitolo 1 “Elisabeth”

Intorno a me l’ambiente era coperto da uno strato di densa nebbia che m’impediva di vedere chiaramente e, come una cupola, l’oscurità m’intrappolava al suo interno. L’aria sembrava quasi avere un peso. Intorno a me, tutto taceva.

Mi trovavo in giardino, nel retro di casa mia, quando udii qualcosa: era una palla che, balzando, giungeva verso di me. Una palla rossa. Mi chinai per prenderla e le mie mani le passarono attraverso. Non era reale.

Il battito del mio cuore crebbe quando sentii la risata di un bimbo che riecheggiò nella cupola buia, le quali pareti si stringevano sempre di più, soffocandomi al suo interno. L’oscurità mi avvolse completamente, mentre regnava il silenzio. Riuscivo a sentire, oltre la cupola, le note deboli della mia canzone preferita, così cercai di andare incontro a quella melodia rassicurante che, come il vento scosta le nere nubi dalla luce, mi rasserenava.

<<Ahi!>>. Cascai dal letto e mi trovai arrotolata nelle coperte come un salame. Mi divincolai e disattivai la sveglia del cellulare. La canzone era sempre la stessa: Come tu mi vuoi.

Erano le sei del mattino e la mia giornata era cominciata. Dovevo prepararmi per andare a scuola.

Oggi, fortunatamente, avrei trascorso una giornata diversa. La mia giornata tipo era: scuola, casa e qualche volta un’uscita in paese con le mie amiche.

Assieme ad alcune compagne di classe, avevo deciso di scappare all’ultima ora di lezione, per andare all’apertura del nuovo luna-park. Era necessario essere tra le prime davanti al cancello perché ci sarebbe stata una lunga fila.

Per andare a scuola, l’unico mezzo economico era il treno. Il vecchio e lento locomotore. La stazione non era molto distante da casa, ma quei quindici minuti di camminata preferivo trascorrerli a letto. La via che dovevo percorrere a piedi era molto inquietante quando non ero in compagnia.

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Le mie amiche, come sempre, erano sedute nella panchina al centro della piazzola, vicino ai binari del treno.

Il treno aveva spaccato il minuto e giunse in stazione emettendo dei suoni fastidiosi. Cominciò la fila per occupare il posto. Io e le mie amiche salivamo sempre nel secondo vagone verso la destinazione, il motivo mi era sconosciuto ma era sempre stato così per tutti i ragazzi di Donori. Era per abitudine, o forse una sorta di possessione del vagone.

All’entrata, il vagone si presentava con un piccolissimo terrazzino. Una porta introduceva all’interno: due file di coppie di sedili occupavano la stretta vettura, i sedili erano rossi e di qualche pelle dalla provenienza sconosciuta. Ci sedemmo in due per ogni coppia di sedili, per appoggiare i piedi e stare semplicemente più comode.

Il treno partì. C’era chi ascoltava della musica per non sentire il fracasso del treno, chi parlava in continuazione e chi si addormentava. Io preferivo ascoltare musica, indossai subito le cuffie e accesi il mio i-pod blu scuro. Voltai lo sguardo all’esterno fissando il vuoto.

Trascorsa un’ora di viaggio, dopo aver preso anche la metropolitana, arrivai a Cagliari. Scesi dalla metro assonnata e strizzando gli occhi per la luce improvvisa. Salutai le mie amiche e imboccai la strada verso la scuola. Mi aspettava una strigliata per il ritardo, come quasi ogni giorno.

Il nome della mia antica scuola era Martino Pietri, aveva un aspetto vecchio nonostante la struttura fosse solidissima. Noi studenti non potevamo entrare dall’ingresso principale ed eravamo costretti a fare il giro dell’istituto per entrare dal cortile esterno. Questa deviazione mi causava spesso altri minuti di ritardo e i professori, di conseguenza, se la prendevano con me. Il cortile m’incuteva malinconia, tante volte avevo utilizzato il termine “prigione”. L’aspetto trasmetteva tristezza, disciplina e serietà: il suolo era ricoperto dal cemento e le finestre del primo piano che si affacciavano nel cortile erano sbarrate. C’era uno spesso e alto muro che divideva la mia scuola dalla questura, questo terminava in altezza con rovi di filo spinato, come se noi alunni decidessimo di dedicarci al free-climbing. A dare un poco di vita al carcere, c’erano un campo da basket e pallavolo.

Giunta nel cortile, svoltai nella porticina grigia e attraversai il lungo andito. Diedi uno sguardo alla bacheca quasi disinteressata, non c’era

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niente che mi aveva incuriosito quest’anno. Questa volta non mi ero iscritta a nessuna attività extra scolastica.

Contai i gradini che facevo ogni giorno per giungere al secondo piano: sessantaquattro. Non avevo più fiato e, dopo aver svoltato a sinistra, bussai alla porta della mia classe. Erano le otto e mezzo, ovviamente era chiusa.

<<Buongiorno>>, dissi a bassa voce, dirigendomi al mio posto. <<Un po’ di puntualità, Elisabeth>>, disse una voce rauca che

proveniva dalla cattedra. I professori mi rimproveravano ogni giorno per lo stesso motivo.

Decisi di non rispondere al richiamo del professore, non potevo mettere a rischio la mia condotta. Avevo già qualche problema per via delle fughe dalla classe durante le lezioni.

Il mio banco era il secondo a destra, non troppo esposta ma neanche nascosta. Era una posizione perfetta.

La mia compagna di banco, Eleonora, mi accolse con un sorriso. Era una ragazza magra, di altezza media, aveva i capelli neri e corti, gli occhi castani e piccoli. Era molto dolce e fragile, non era curiosa o pettegola. Era una compagna di banco perfetta.

Un’altra mia cara compagna di classe, che mi era sempre stata accanto, era Jessica e si trovava nel banco davanti al mio. Jessica era una ragazza solare, timida ma socievole. Col passare del tempo era cambiata parecchio, non solo caratterialmente come succede durante la crescita, quando l’avevo conosciuta era molto robusta, ora aveva almeno quindici chili in meno.

Al termine della lezione, che non avevo seguito, il professore di geografia ci diede dei compiti. Mi alzai dal posto e mi diressi nell’altra bancata, accanto alla finestra, lì c’erano alcune compagne che non erano in grado di stare sedute neanche per un’ora.

<<Usciamo?>>, Giada m’implorò. Assecondai il desiderio di Giada e, prima dell’arrivo del professore,

sgattaiolammo lungo le scale sino al triste cortile. Conoscevo Giada da solo due anni e già l'adoravo. Era sempre

disponibile, in ogni momento. Spesso si divertiva a pizzicarmi le guance, le piacevano perché erano morbide. Era una ragazza alta e magra, coi capelli biondi e gli occhi grandi, coperti da occhiali da vista alla moda.

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<<Ti hanno preso di mira per i ritardi>>. Giada si riferì al mio problema con la puntualità.

<<Evidentemente sì!>>. Ormai, già da un anno i professori mi accusavano per i ritardi dovuti

ai mezzi di trasporto. “Siete in quarta e dovete essere più responsabili”, dicevano i professori. Non potevo di certo svegliarmi alle cinque per andare a scuola. Non riuscivano a capire che ogni mattina il mio treno partiva alle sette, e io arrivavo a Cagliari in ritardo a causa degli orari dei mezzi pubblici.

<<Dai, ormai è quasi finita!>>, provò a rincuorarmi Giada, tirando un sospiro di sollievo. Terminare l’anno significava liberarsi di un grosso fardello.

<<Dovremo tornare in classe, di corsa>>, disse Giada, improvvisamente ansiosa.

Il preside aveva appena parcheggiato l’auto e stava entrando nell’istituto. Succedeva spesso di scappare e trovarselo improvvisamente di fronte. Solitamente, quando accadeva questo, scappavamo divertiti e un po’ intimoriti dallo sguardo serio e baffuto del dirigente scolastico. Con il suo tono autoritario, la voce un po' attutita dai grossi baffi, ci dava del lei e ci chiamava ragionieri, signori.

<<Finalmente!>>, urlò Giada. Il cancello del lunapark stava per aprirsi. Aspettavo ansiosa, con le

mie amiche, mentre la folla ci pressava come sottilette. Giada ed Eleonora trovavano la situazione divertente, perché accanto a loro c’erano due ragazzi molto carini, Jessica accanto a me rideva per la situazione insolita.

Il cancello si aprì del tutto e finalmente cominciai a respirare. Le persone in attesa corsero verso i nuovi giochi di coraggio, noi invece entrammo caute per gustarci ogni singolo momento.

<<Andiamo a mangiare qualcosa?>>, domandò Eleonora. Lei e Giada decisero di gustarsi un hotdog. Jessica e io optammo per qualcosa di più digeribile.

<<Andiamo a prenderci un gelato Jessi?>>, proposi. Jessica, sollevata dal controllo sulle calorie riacquisito, mi seguì verso

il chiosco dei gelati. <<Io voglio una coppa con limone e fragola>>.

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<<Anche per me>>. Jessica condivideva i miei gusti. Pagammo e tornammo dalle altre ragazze, verso la panchina, che già

addentavano il loro panino. Il profumo dell’hotdog di Giada mi parve invitante, ma decisi di ignorare l’olfatto. Dopo un solo morso, la nausea avrebbe avuto il sopravvento.

Il gelato fu di mio gradimento e, finito il pranzo, decidemmo di consultare la piantina del luogo per scegliere la nostra prima attività.

<<Che ne dite del “tagadà”?>>, intervenne Jessica. La guardai male, era ciò che più detestavo. Avevo fatto quel gioco un anno fa con lei, era stata veramente una tortura. L’unico divertimento per me era stato il momento in cui Jessica aveva fatto esplodere una bottiglietta d’acqua che portava dentro la borsa.

<<Io ho un’idea migliore, perché non aspettiamo un po’? Abbiamo appena mangiato>>, chiese Giada.

Mi accomodai nuovamente nella panchina a gambe incrociate, tra Eleonora e Giada, Jessica si era seduta sopra il suo zainetto, sul marciapiede.

<<Okay, allora parliamo>>, propose Jessica. L’idea di Jessica non mi piaceva perché l’argomento delle nostre

discussioni erano i ragazzi. Ero sempre stata sfortunata, le mie storie non duravano più di due mesi e si concludevano sempre con un cuore spezzato.

<<Elisabeth, parlaci della tua ultima fiamma>>, disse Jessica, con un sorrisetto stampato in faccia.

Sapevo che alla fine avrei dovuto affrontare questo argomento. L’ultima storia mi aveva sconvolto. Avevo preferito mettere la parola

fine, per evitare complicazioni. Avevo paura di soffrire ancora, anche se ero giovane, sentirmi usata mi devastava. Ero ancora giovane per il vero amore, ma sino a questo momento e con le poche esperienze avute, avevo imparato già qualcosa.

Amare significa stare bene con il proprio compagno, pensare sempre a lui e voler trascorrere ogni giorno insieme. Sentirsi sciocchi è normale, perché esternare i propri sentimenti a volte può essere imbarazzante.

Quando andavo a un appuntamento, la sola attesa di cinque minuti era snervante. Sentivo una sorta di dolore allo stomaco e il cuore batteva con intensità. Un fenomeno comunemente chiamato farfalle nello stomaco.

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<<La tua faccia dice tutto, Ely>>, intervenne Eleonora, aiutandomi a stroncare la discussione sulla mia ultima storia. La ringraziai con un sorriso.

Giada puntò lo sguardo tra la folla, era incantata. <<Guardate quel ragazzo!>>, esclamò. Guardai nella direzione indicata da Giada e scorsi una sagoma con la

carnagione chiara. Fu un secondo, ma nella mia testa trascorse almeno un'ora. Un

bagliore bianco mi aveva accecato, impedendomi di vedere e pensare. Il cuore aveva battuto con tanta intensità, come se avessi incrociato la morte.

<<Stai tremando, Beth>>, mi disse Jessica, preoccupata. Sussultai al suono della sua voce, non capivo ancora cosa stava

accadendo. Mi sentivo strana. <<Carino!>>, farfugliai. Non conoscevo quel ragazzo. Non fu il suo aspetto la causa della mia

agitazione. Furono le sensazioni intense e improvvise, senza un motivo preciso, a turbarmi. Non sapevo se avrei dovuto trascurare tutto oppure riflettere. Il mio intuito e le sensazioni, spesso i sogni, mi suggerivano sempre qualcosa di importante. Era come possedere una sorta di sesto senso.

Jessica si alzò dal suo posto e si stiracchiò. <<Sentite, io non ce la faccio più a stare seduta, mi sento il sedere

piatto. Andiamo a fare un giro>>. Ci alzammo tutte e decidemmo di fare una passeggiata. Adoravo

vincere dei pupazzi, così provai quasi tutti i giochi: la pesca dei cigni, il gioco dei tappi e le buste a sorpresa. Terminati i giochi, passeggiai con una famiglia di pupazzi in braccio e una scimmia sulle spalle. Ero stata fortunata.

Provammo anche qualche gioco di coraggio, che io detestavo, e giurai che quella sarebbe stata l’ultima volta.

Giada propose di visitare le ultime novità del lunapark: restavano gli assaggi gratuiti e le mini foto adesive. Ci piombammo sugli assaggi e poi verso la cabina delle foto adesive. Non sapevo come, ma entrammo tutte dentro la stretta cabina e, dopo tante facce strane e doloranti per lo spazio ristretto, scegliemmo le foto migliori e le stampammo.

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Adoravo trascorrere il tempo con le mie compagne di classe, loro erano le uniche con cui mi trovavo bene, le uniche ad assecondare i miei momenti di pazzia e, infine, le uniche a volersi divertire.

La tripla specchiera del bagno rifletteva la mia immagine sorridente. I

miei capelli erano castano scuro con dei riflessi color mogano, gli occhi erano grandi, castani e profondi. Il mio sguardo comunicava tante cose. Le labbra erano colorate da un leggero lucidalabbra rosa con i glitter. Le storsi quando notai il mio colorito biancastro, ormai era tempo di scoprirsi e qui in Sardegna essere chiari di carnagione durante l’estate non era normale.

La camicetta gialla s’intonava con i jeans neri. Avrei dovuto mettere dei tacchi, nel mio gruppo ormai era una legge: “Di Sabato ci si veste eleganti, i tacchi non devono mancare”.

Spruzzai uno dei miei profumi preferiti, Vanille Noir, prima di raggiungere l’auto con le mie amiche.

Questa sera saremo andate a mangiare una pizza in ristorante. Alla guida c’era Valentina, una ragazza elegante e divertente, i boccoli castani le ricadevano sulla schiena, gli occhi castani in questo momento erano concentrati sulla guida.

Giunte in ristorante, ci trovammo un buon tavolo e attendemmo il cameriere per l’ordinazione.

Il cameriere si presentò al nostro tavolo. <<Prego>>. <<Vegetariana>>, disse Valentina, indecisa perché voleva cambiare

sempre. Alessia sceglieva sempre la stessa: <<Rucola e grana>>. <<Panna e salsiccia>>, disse Camilla, sicura perché non cambiava

mai. <<Margherita>>, disse Giulia. <<Vegetariana>>, dissi io. Una valeva l’altra per me. <<Io voglio una margherita>>, disse Marta, che non amava gli

esperimenti culinari. <<Da bere cosa vi porto?>>, ci chiese il cameriere, impaziente. <<Coca Cola>>, disse Valentina, sapendo che quasi tutte saremo

state d’accordo.

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<<Acqua per me>>, disse Marta. Il cameriere tornò, dopo circa dieci minuti, con le nostre pizze

fumanti. <<Buon appetito>>, ci augurò Valentina prima di tuffarsi nella sua

pizza. <<Brindiamo?>>, propose Giulia, euforica. <<A cosa?>>, le domandai curiosa. <<Brindiamo per Alessia che oggi non esce col suo ragazzo, ma è

con noi!>>. Alzammo i bicchieri per brindare, divertite. Alessia trascorreva poco

tempo assieme a noi, ma quando decidevamo di organizzare qualcosa lei c’era sempre. Era una ragazza della mia età, una diciassettenne, magra e di altezza media. I suoi capelli naturali erano mossi, ma li lisciava sempre perfettamente, gli occhi erano castani e aveva un sorriso largo.

La fase pizza era la più divertente delle nostre serate, dopo di che ci dirigevamo in piazza del comune, dove stavano tutti perché c’era più vita, a parlare sino al momento in cui decidevamo di tornare a casa a dormire. Se non si organizzava un evento particolare, le nostre serate non potevano essere tanto divertenti. Non potevo lamentarmi però, il tempo trascorso con loro era indimenticabile, indifferentemente dal luogo in cui lo trascorrevamo.

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Capitolo 2 “Chris”

Ero solo, era meglio così. Neanche un anno era passato da quel

giorno e invece mi pareva una vita. Non capivo il senso della mia esistenza, se questa avrebbe messo a rischio quella altrui e soprattutto se avrei dovuto trascorrerla in solitudine. Passarla in isolamento sarebbe la scelta giusta oppure, meno sofferente, sarebbe stato porre fine a tutto.

La mia immagine si rifletteva sulla superficie dell’acqua. Mi trovavo sopra uno scoglio e la mia vista acuta mi permetteva di ammirare il mio riflesso. Il mio aspetto, solo ciò mi dava soddisfazione, ma come potevo esserne felice quando la mia natura era malvagia?

La mia bellezza non aveva senso. I capelli neri, corti e un po’ arruffati, gli occhi blu come il ghiaccio, la pelle bianca, il corpo freddo e duro, non erano di alcuna importanza per me.

<<Chris, vuoi smetterla di tormentarti?>>. Gabriel sembrava quasi infastidito dai miei atteggiamenti, continuava a dirmi di pensare solo al compito che il destino mi aveva affidato.

<<Lasciami solo>>, lo minacciai. Gabriel non rispose e svanì. Mi aveva raccontato una storia molto interessante, un po’ folle, che

riguardava me e una fragile umana. La storia era di grande importanza poiché riguardava il destino dell’umanità. Il mio tormento più grande era avvicinarmi a quella ragazza, come potevo io frequentare un’umana? Le avrei fatto del male e di questo ero sicuro.

Odiavo me stesso più di ogni altra cosa, non ero abbastanza forte per il mio compito. Avrei voluto provare ad avvicinarmi a lei, ma allontanandomi da qui avrei sentito ancora l’odore del sangue degli umani. Non volevo fare una strage, dovevo isolarmi per non ferire nessuno.

Scossi la testa, disgustato da me stesso. Se nel “periodo della scelta” avessi deciso di essere malvagio, adesso

non avrei tormenti interiori e potrei vivere la mia esistenza senza una coscienza, felice di essere un vampiro.

Tornarono tra i miei pensieri quei sette giorni che mai, nella mia esistenza, avrei voluto rivivere. Mi ero rifugiato qui, alla “Sella del

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Diavolo”, dove tutti i vampiri appena nati, con un’anima molto forte, stazionano.

Il primo giorno ero terrorizzato da ciò che mi era accaduto e non pensavo a nutrirmi. Temevo che il vampiro responsabile della mia trasformazione mi attaccasse ancora, e non mi accorgevo nemmeno della mia trasformazione. La paura sovrastava ogni cosa, ancora non avevo capito che stavo diventando un vampiro. Il mio corpo mutava nelle sue potenzialità, ma la mia anima era sempre la stessa. La mia forza, la velocità, la vista e i sensi aumentavano e si potenziavano. Il mio viso diventava disumano e di una bellezza quasi angelica.

Fu dopo il terzo giorno, che cominciai a provare delle sensazioni diverse e che temevo. La zona pullulava di animali selvatici e il loro odore, il profumo del loro sangue, faceva nascere in me un nuovo istinto. Ciò che desideravo era nutrirmi del loro sangue. Non osavo neanche immaginare cosa avrei fatto se in questo posto ci fosse stato un umano. La tentazione di nutrirmi di sangue umano superava ogni limite, solo il disgusto verso me stesso mi consentiva di stare in questo luogo disabitato e temuto.

Eppure, qualcuno s'inoltrò nel mio rifugio, accadde il sesto giorno. Era un uomo, un temerario probabilmente, perché questo luogo era temuto dagli umani. Non conoscevo bene le loro paure, ma sicuramente il solo istinto di sopravvivenza bastava a fermarli. L’umano stava scalando la vetta e il suo profumo mi aveva colpito come uno schiaffo. Il mio lato animalesco mi spingeva verso di lui, la mia anima invece tentava invano di frenarmi. La mia coscienza mi torturava, ma io pensavo già a delle giustificazioni da dare a me stesso. Mentre mi avvicinavo alla preda, qualcuno era arrivato prima di me e tagliò la corda che teneva l'umano in bilico tra me e il mare.

L’uomo si salvò cadendo in acqua e così anche la mia anima. Ancora non ero certo di chi avesse salvato la mia anima, ma dopo l’accaduto un piccolo vampiro mi parlò. Mi aveva spiegato tutto: la natura che odiavo, il mio destino e soprattutto che avrei dovuto cercare una certa ragazza, perchè attendere avrebbe messo a rischio la sua vita.

In quel momento non avevo dato molta importanza alle parole di Gabriel. Non appena aveva accennato a una relazione con un’umana mi ero chiuso a riccio, sapevo di non essere in grado di sostenere una prova così ardua. Mi aveva consigliato di cercare la mia famiglia, perché

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avrei potuto salvare la mia esistenza dalla solitudine in questo modo. I miei famigliari mi avrebbero dato il sostegno e la forza necessaria per intraprendere il mio compito. Non sapevo che i miei genitori erano diventati dei vampiri. La notizia della loro morte e rinascita mi aveva ferito, perché anche loro erano esseri dannati come me.

Scostai il viso dall’acqua e decisi di risalire in cima allo strapiombo. Con le mie nuove abilità mi arrampicai e in pochi secondi fui in cima.

Gabriel spuntò al mio fianco. <<Vedo che ti sei deciso>>, mi disse. La sua capacità di leggere nel pensiero era irritante. <<Sì>>, ammisi. <<Vuoi che ti porti dai tuoi genitori>>, mi domandò, raggiante per

via della mia decisione. Non avevo alcun ricordo dei miei genitori, erano morti poco dopo la

mia nascita, sicuramente per proteggermi. <<Mi guideresti?>>, chiesi a Gabriel. <<Andiamo>>, disse lui, pronto alla folle corsa. Una cosa che amavo della mia trasformazione, l’unica, era che potevo

correre molto velocemente. Il vento in faccia durante la corsa mi faceva sentire libero. Possedevo l’agilità di un ghepardo e la grazia di un delfino.

Lontani dal mio rifugio, il profumo del sangue umano cominciò a tormentarmi. Ma c’era qualcosa che combatteva il mio istinto: la mia anima che, dopo il periodo della scelta, poteva controllarmi agendo sui sentimenti umani che ancora potevo provare.

Eravamo lontani dal mare, arrivammo alla base di una montagna. Gabriel si fermò e lo imitai. Ci trovavamo in una radura in mezzo a un bosco.

Accanto a noi, improvvisamente, si materializzarono cinque vampiri. <<Ciao Gabriel!>>, disse una donna, dall’età umana di circa

ventisette anni. <<Ciao, c’è una novità. Vi lascio soli>>, disse lui, prima di

scomparire e lasciarmi in mezzo a cinque vampiri sconosciuti. Provai un po’ di imbarazzo, il silenzio pesava e io non sapevo cosa

dire. <<Sono Chris>>, azzardai. Gli occhi della misteriosa donna luccicarono.

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Un vampiro poteva piangere? Bastò un secondo, trascorso a guardarci negli occhi, per realizzare

tutto. Avvertii un forte legame con quella donna, mentre guardavo i suoi occhi sentivo qualcosa che mai avevo provato: il legame tra madre e figlio.

Dopo un secondo, mia madre si lanciò tra le mie braccia e mi abbracciò forte, sconvolgendomi col suo amore materno.

Adesso non mi sentivo più solo. La mia esistenza cominciava un poco ad acquisire un senso.

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Capitolo 3 “Una famiglia e strani legami”

Il cielo era ancora macchiato dall’oscurità della notte. Una situazione a cui mi sarei dovuto abituare presto, perché non potevo ammirare la luce del giorno.

Mia madre, Ambra, aveva dei bellissimi capelli lunghi e castani, le onde che produceva la sua chioma cadevano elegantemente sulla schiena. Gli occhi erano verdi e così belli che mai mi sarei stancato di guardarli. Era magra e alta, quasi statuaria, sembrava una modella. Tra gli umani non sarebbe passata inosservata.

Mio padre era alto e muscoloso, anche lui era bellissimo. Avrebbe suscitato invidia in qualsiasi umano per la sua bellezza. I suoi capelli erano corti e biondo cenere, qualche ciuffo gli ricadeva sul viso. Il suo nome era Adriano e dimostrava ventinove anni. Quella era l’età in cui aveva perso la vita.

<<Ehi fratellino, io sono Holly!>>. Una ragazza molto allegra mi abbracciò, come se mi conoscesse da sempre. Dimostrava circa vent’anni. I capelli erano biondi, lunghi e lisci, arrivavano poco più giù delle spalle, gli occhi mi colpirono come lame affilate: il colore era castano con delle sfumature dorate.

Holly mi diede un bacio sulla guancia e, raggiante, fece spazio al resto del gruppo.

<<Io sono Thomas>>. Un altro vampiro si avvicinò e mi strinse la mano, poi mi diede una pacca sulla spalla e ricambiai con un sorriso. Thomas era un poco più basso rispetto agli altri, ma anche lui aveva un corpo muscoloso, anche se non abbondantemente. Gli occhi castani erano divertiti e sinceri, i capelli erano corti e a spazzola.

Infine, si avvicinò l’ultimo e timido vampiro. <<Sono Stefano, piacere>>. I suoi occhi blu mi guardarono intimiditi e allo stesso tempo felici. Il suo corpo, leggermente muscoloso, si tese verso di me per stringermi la mano.

Fissai ogni membro della mia nuova famiglia. Ora tutto sarebbe cambiato, stavolta i miei tormenti interiori mi avrebbero dato un po’ di pace.

<<Chris, sembri affamato>>, intuì mio padre.

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Il pensiero del sapore del sangue tornò a torturarmi. Evitavo di nutrirmi, perché detestavo ciò che ero diventato, ma non potevo rinnegare il mio istinto.

<<Sì, ho sete>>. Li guardai nuovamente tutti, formavano una specie di curva: i miei

genitori stavano alle estremità, i miei fratelli all’interno e Holly al centro. Mi guardarono sorridenti e probabilmente eccitati dall’idea della caccia. L’inseguimento di una preda, per loro, che avevano accettato la loro condizione, era eccitante e divertente. Desideravo sentirmi libero come loro, forse un giorno ci sarei riuscito, ma in ogni caso la caccia mi disgustava.

Mia madre si avvicinò a me, con uno sguardo dolce. <<Tesoro ti abituerai, è stata dura per tutti>>.

Come tutte le madri, lei aveva notato subito la mia frustrazione. Le sue parole mi confortarono e, improvvisamente, tutta la negatività che mi portavo addosso scomparve.

<<Grazie>>, risposi. Mi sentivo bene e leggero, come se fossi sotto l’effetto di un incantesimo.

<<Bene, andiamo?>>, chiese mio padre. <<Sì>>, farfugliai. Ci guardammo tutti in faccia, alcuni sguardi erano divertiti. Qualcosa di strano stava prendendo possesso della mia mente. Mi

sentivo stimolato dalla caccia. La mia famiglia svanì nell’arco di un secondo. Ognuno cercava la sua

innocente preda mentre io, per la prima volta, mi divertivo durante la ricerca. Corsi velocemente tra le grandi e secolari querce, e decisi subito di salire in cima a un albero per attaccare dall’alto la mia preda.

Stavo diventando anche strategico, cos’altro mi sarebbe accaduto? Cominciai a sentire dei profumi invitanti, allora indirizzai il mio fiuto

verso il più gradevole. Il mio istinto prese il sopravvento e mi lanciai da quel ramo. La mia preda dormiva, non sarebbe stato divertente attaccarla, ma improvvisamente questa si svegliò. Il mio sguardo s'illuminò di piacere quando i miei denti affondarono nel suo collo. Il sapore per me era nuovo, perché nel mio rifugio dovevo accontentarmi di piccole bestie.

Quando la preda si accasciò al suolo, mi buttai sopra di essa e bevetti sino all’ultima goccia.

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Mi sollevai dal suolo e sospirai. Holly apparve improvvisamente accanto a me, con gli abiti sporchi di

fango. <<Era il primo?>>, mi domandò, ancora su di giri. <<Sì>>, risposi, mentre gustavo ancora il sapore. <<In quel postaccio non potevi trovare niente di simile>>, disse

ridacchiando, <<torniamo dagli altri>>. Corremmo molto velocemente, più di prima, forse perché il sangue

aveva aumentato le nostre forze. Il resto del gruppo si trovava di nuovo al punto iniziale. Considerando

le espressioni dei loro visi e l’aspetto dei loro vestiti, avevano attaccato qualche grosso animale.

Mio padre fece un passo verso di me. <<Chris devi sapere che non possiamo sempre nutrirci del sangue di

alcuni animali, come quello che hai attaccato tu in questo momento, anche se mi piacerebbe tanto>>, disse, poi fece una pausa, evidentemente pensava al buon sapore che avevo appena sperimentato. <<Possiamo farlo poche volte, solo in luoghi dove ci sono molti animali di quel genere. Questo fa parte delle regole per proteggere la nostra identità>>.

Feci una smorfia, avevo parecchia confusione in testa. La sensazione di eccitazione e di divertimento quasi si dissolse, non

capivo cosa avesse potuto scatenare quell'istinto che solo venti minuti fa mi disgustava.

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Mi svegliai improvvisamente, colta da sensazioni strane e spaventose.

Mi sollevai sui gomiti e mi sedetti a gambe incrociate sul letto. Mi passai una mano sul viso, angosciata da ciò che avevo provato. Non ricordavo bene il sogno che avevo fatto, ma di certo quello non lo era. Avevo provato un senso di frustrazione molto forte, in seguito mi ero sentita incredibilmente libera e appagata. Infine, quella frustrazione mi aveva nuovamente colpito, come un lampo in ciel sereno.

Cominciavo a dubitare della mia salute mentale, ma dal momento che durante certe ore della notte più che ragionare vaneggiavo, mi sdraiai nuovamente e mi rifugiai sotto le coperte in cerca di un sonno sereno.

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Ero con la mia famiglia e non potevo essere più felice. Ci trovavamo in una zona situata dopo l’uscita di Donori, un piccolo

paese. Qui aveva vissuto Gabriel, quando ancora era in vita. Dopo una salita, circondata da aceri ed eucalipti, si estendeva una distesa altrettanto ricoperta da numerosi alberi che proteggevano qualcosa: la casa della mia famiglia. Il cielo cominciava a schiarirsi, ma la strada che ci portava nella loro casa era protetta da grossi alberi che impedivano ai raggi del sole di penetrare.

La mia famiglia aveva parecchia cura della sua casa. Una veranda fiorita introduceva all’ingresso, una grande porta in legno, forse era castagno.

<<Benvenuto a casa>>, mi disse mio padre. La sua frase mi colpì. Avevo diritto a una casa? Da sempre avevo sognato di vivere con la mia famiglia. Adesso che mi trovavo con loro era tutto così strano: gesti d’affetto,

accoglienza. Non riuscivo a spiegarmi perché loro facessero tutto questo per me.

Mia madre si avvicinò a me, prendendomi le mani tra le sue. <<Sei molto confuso, mi dispiace se non hai mai provato questi

sentimenti e queste sensazioni a causa della nostra morte. Non riesci a darti una spiegazione, ma tu sei nostro figlio, il nostro figlio naturale, e finalmente sei tornato da noi. Voglio recuperare il tempo che ho perso e desidero che tu stia sempre con noi>>, mi disse lei, con sentimento.

Non ero in grado in questo momento di rispondere all'affetto che mi dava mia madre, allora, privo di parole, l'abbracciai. La strinsi affettuosamente tra le mie braccia, desideroso di sentire che il suo amore era concreto. Volevo dimostrarle che io ricambiavo.

Lei mi guardò dolcemente e mi accarezzò il viso. <<Benvenuto a casa>>. Compresi che questa frase significava qualcos’altro: benvenuto in

famiglia. Perciò la ripetei guardando negli occhi mia madre, felice di averne compreso il significato. Non era la loro casa, era la nostra casa e lo sarebbe sempre stata.

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---- Adoravo la domenica, potevo rilassarmi e pensare a me stessa. Sapevo

però che non sarei riuscita a rilassarmi, perché le sensazioni che avevo provato questa notte mi avevano turbato.

Bussarono alla porta. Mi alzai dalla poltrona e andai ad aprire. Un viso sorridente e conosciuto mi corse incontro, abbracciandomi felice.

<<Viola! Che ci fa qui?>>, domandai incredula, fissando la mia amica.

<<Non si saluta?>>. La sorpresa ebbe il sopravvento sulla buona educazione. Viola era una ragazza molto vivace e solare, il suo umore poteva

contagiare chiunque le stesse intorno. Era alta e magra, i suoi capelli erano neri e un po’ scalati, sino alle spalle. Gli occhi erano castani, grandi e profondi, il suo sorriso era molto largo. Non la vedevo da quando frequentavamo la stessa classe, in un'altra scuola. Forse erano trascorsi quattro anni.

<<Ciao>>, le dissi abbracciandola. Chiara, la mia migliore amica, stava dietro Viola. <<E a me non mi saluti?>>, domandò lei, fingendo di essersi offesa. <<Ciao>>, la salutai non meno allegra. Chiara era la mia migliore amica da una vita. Il suo viso era molto

chiaro e rosato, gli occhi erano castani, grandi e allungati. I capelli, biondo cenere e mossi, le coprivano la schiena. Era una ragazza molto sensibile e dolce.

Feci accomodare le mie amiche in soggiorno e poi mi sedetti accanto a loro.

<<Che hai fatto tutto questo tempo?>>, mi domandò Viola, prima che potessi farle la stessa domanda.

<<Sono successe tante di quelle cose! Ma farti un riassunto di questi quattro anni è difficile!>>.

<<Ho capito, hai perso il conto dei ragazzi con cui sei uscita>>, scherzò.

Un piccolo brontolio mi ricordò che dovevo fare ancora colazione. <<Vi andrebbe un cappuccino?>>, domandai. Chiara sgranò gli occhi, poi diede una gomitata a Viola.

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<<Adesso te lo chiederà ogni volta che verrà a Donori>>, scherzò per provocare Viola.

Viola soffocò una risata e si voltò verso di lei. <<Sei cattiva!>>, le disse. Dopo due secondi si misero a ridere

entrambe. <<Allora?>>. Mi alzai e le guardai interrogativa. <<Volentieri Ely!>>. Questa fu la risposta di Viola. <<Grazie, anche io>>, Chiara acconsentì tranquillamente. Superai il bancone che separava la cucina dal soggiorno e attivai la

macchinetta del caffè. <<Ely vuoi una mano?>>, mi chiese Viola. <<No, state comode>>, risposi. Riempii le tazze col cappuccino e mi preparai a servire la colazione. <<Sedetevi nel tavolo, altrimenti sporcate tutto!>>. Viola mi prese subito la tazza dalle mani. <<Ti adoro!>>, mi disse, assaggiando la schiuma col cucchiaino. Risi e poi mi accomodai accanto alle mie amiche. <<Tu che hai fatto invece tutto questo tempo?>>, domandai a Viola. Lei scostò le labbra dalla tazza del cappuccino, stimolata da un

ricordo. <<Sto uscendo con un ragazzo, è bellissimo, si chiama Daniel. Ha gli

occhi azzurri, poi è muscoloso>>, fece una pausa per sospirare, <<e ha un sedere…divino>>.

Scambiai un’occhiata divertita con Chiara. <<Se vuoi ti racconto come l’ho conosciuto, è un modo molto

inconsueto>>. Viola mi fissò imbarazzata e divertita, in attesa di una risposta. <<Dimmi>>. Già sorridevo. Viola avrebbe potuto raccontarmi qualsiasi cosa. Certe

cose, solo a lei potevano capitare. Quando frequentavamo la stessa scuola, se la perdevo di vista per soli

dieci minuti, aveva già una storia divertente e particolare da raccontarmi.

<<Stavo andando in bagno>>, Viola cominciò il suo racconto ridendo sotto i baffi, <<e lui era nascosto nel bagno delle ragazze per fumare, perché da noi non hanno messo le telecamere. Io stavo

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entrando a fare un bisognino e canticchiavo: Ma ‘ndo vai, se la banana non ce l’hai>.

Interruppi Viola con una risata fragorosa, lei era in grado di fare ciò che si sentiva, incurante della presenza delle altre persone. Posai il cappuccino sul tavolo, per non farlo uscire dai bordi della tazza.

<<Fammi continuare>>, mi disse lei, fulminandomi con lo sguardo. <<Come finisco il mio bisognino mi trovo il tipo davanti che canta:

ce l’ho qui, te la farò vedere!>>. La interruppi nuovamente ridendo, quel ragazzo non era molto fine. Lo sguardo di Viola diventò sognante e proseguì il suo racconto: <<Non è finita, trovandomelo di fronte ho sbattuto il gomito nella

porta…e allora per farsi perdonare mi ha dato appuntamento il giorno dopo per un cappuccino al bar, ovviamente ha offerto lui>>.

<<Che storia divertente, sono contenta per te>>. <<Sono poche le persone che conoscono il nostro primo incontro, è

imbarazzante>>, ammise Viola. <<Di cosa dovresti vergognarti? Sei felice!>>. Viola sorrise, abbassando lo sguardo, poi lo risollevò felice e disse: <<Stiamo insieme da quattro mesi>>. <<Io e Marco stiamo insieme da tre anni!>>, Chiara annunciò il suo

anniversario, passato da qualche mese. Non era una novità, lei era fidanzata seriamente.

----

Entrai nella casa della mia famiglia, da oggi anche la mia. Uno

stanzone ampio dal soffitto alto mi mise a disagio. Non ero abituato perché la casa della nonna era semplice, piccola. Di fronte a me c’era un cammino grande, in marmo scuro, in cima a esso, un quadro che ritraeva qualcuno mostrava tutta la sua bellezza.

Noi vampiri non sentivamo il bisogno di sederci e rilassarci, ma evidentemente la mia famiglia riteneva normale comportarsi come gli umani.

Mi sedetti in una poltrona, accanto a due divani, in fondo alla stanza. I miei genitori si accomodarono nel divano alla mia destra, di fronte all’altro divano occupato da Holly, Stefano e Thomas.

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Sentivo che mai mi sarei adattato a questo stile di vita. Quest’atmosfera serena e famigliare non avrebbe mutato la mia opinione sulla dieta a base di sangue, continuavo a ripudiare la mia identità.

Mio padre si schiarì la voce, poi puntò lo sguardo verso di me. <<Ora che fai parte della nostra famiglia, devi sapere alcune cose>>. <<Nessuno in casa si nutre di sangue umano, nemmeno un morso,

noi non li attacchiamo perché abbiamo una coscienza e dobbiamo convivere con loro>>, mi avvisò, con tono autoritario.

Il suo avviso non mi turbò, ma la convivenza con gli umani cominciò a preoccuparmi.

<<La tua anima è molto forte, non avrai problemi>>, mi disse premuroso. <<Conosci già la regola stabilita sugli animali domestici, perciò passiamo ad altro. Come sai, noi vampiri non possiamo comparire al sole, quindi cerca di non trovarti mai in situazioni a rischio>>.

Stefano e Thomas si sfregavano le mani, divertiti. Ero curioso di scoprire cosa li eccitava, ma dovevo imparare a fare buon uso del mio potere.

<<E adesso, dopo essermi raccomandato, è il momento di darti il tuo regalo di benvenuto>>, disse entusiasta mio padre, e allora compresi l'eccitazione dei miei fratelli.

Holly, Stefano e Thomas scattarono in piedi, divertiti. I miei genitori si alzarono all’unisono e mi portarono fuori dalla stanza. Mio padre aprì il portone di un garage grande garage e restai letteralmente a bocca aperta: sei auto meravigliose sostavano all’interno del garage. Ero elettrizzato.

Thomas mi lanciò un paio di chiavi, poi si avvicinò a me. <<Permetti un regalo, tanto ne ho un’altra>>. Non volevo illudermi, ma mi era sembrato di aver appena ricevuto in

regalo un'automobile molto costosa. Non credevo a ciò che stava accadendo, c’erano auto lussuose che mai avevo creduto di poter vedere, figuriamoci guidarle. Erano sei: un’Audi TT bianca, due Maserati, una Mitsubishi Eclipse rossa, un Bmw x6 e infine una Luxus ls 600h, il massimo della tecnologia.

Thomas mi condusse verso la Maserati nera, ancora non credevo ai miei occhi.

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<<Mi stai regalando la Maserati? Io non ci credo…grazie >>, balbettai, incantato all’auto.

<<Di niente>>, rispose lui, senza dare troppa importanza al dono. Ricordai qualcosa che pose un ostacolo tra me e quell’auto

meravigliosa, rattristandomi. <<Non posso avere questa macchina>>, dissi abbattuto, poi mi

voltai verso i miei famigliari. <<Io non ho la patente>>. Ci fu una risata di gruppo fragorosa. Holly si piegò sul pavimento per

frenare la risata e dopo pochi secondi riuscì a parlare: <<Se gli agenti controllassero le nostre patenti rimarrebbero un po’

sorpresi>>. Thomas mi diede una pacca sulle spalle, comprensivo. <<Tranquillo,

stasera ti porto in un posto e sistemiamo tutto>>, mi disse. Adesso ero ancora più confuso. <<Perché non la provi?>>. Non avevo mai guidato e questo non m’incoraggiava a farlo. <<Non preoccuparti, la nostra mente è molto più sviluppata di quella

umana, se dovesse esserci qualche vigile te ne accorgeresti in tempo>>, intervenne Stefano.

<<Non so guidare>>, ammisi imbarazzato. Thomas rise fragorosamente e poi si avvicinò a me. Saltando mi diede

una pacca sulle spalle e mi spinse verso l’auto. <<Non c’è niente che noi vampiri non sappiamo fare!>>, disse

euforico. <<Avanti sali>>. Mi spinse con la forza verso l’auto e mi aprì anche la portiera.

Stare all’interno di quell’auto era eccitante quasi quanto possederla. Questo bastò a incoraggiarmi.

Thomas, seduto al mio fianco, sorrideva divertito. <<Forse è meglio che vi spostiate da lì>>, disse al resto del gruppo,

poi prese un telecomando piccolino da una tasca e spinse un bottone. Il cancello del giardino interno si aprì.

Infilai le chiavi e diedi vita alla Maserati. La capacità della mia mente, di elaborare qualsiasi cosa in poco tempo, mi avrebbe reso capace di guidare senza combinare guai, correre senza andare a sbattere o investire qualche pedone.

Cominciavo a divertirmi. Scambiai uno sguardo divertito con Thomas e feci ruggire il motore.

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<<Vedo che cominci a capire>>, disse lui, elettrizzato quanto me. Non c’era niente di meglio che darmi il benvenuto a casa in questo

modo. Partii sgommando. Eccitato dalla guida, andavo veloce nelle curve

strette e ricoperte di alberi. La mia vista acuta e rapida me lo consentiva. Entrai nelle vie del paese di Donori, era divertente correre in tutte

quelle stradine strette. Sbucai in una piazza, dove c’era parecchia gente. Tutti ci guardarono curiosi.

Non avrei mai immaginato che, incontrando la mia famiglia, sarei cambiato in questo modo. Ero divertito dalle mie capacità, ora le apprezzavo. Ero un vampiro e, forse, ero felice di ciò che ero. Erano i miei poteri a rendermi felice.

Avevo solo bisogno di vedere tutto da un altro punto di vista. <<Allora, ti stai divertendo?>>. Thomas conosceva già la risposta. <<Tu cosa pensi?>>, lo guardai raggiante. <<Penso che il mio regalo sia stupendo>>, rispose, mentre

accarezzava lo sportello. <<Possiamo andare nel posto di cui mi hai parlato?>>, gli domandai

incuriosito. <<Va bene>>, rispose lui, <<ma devo guidare io>>. Thomas mi squadrò, divertito dalla mia espressione delusa. Non

volevo cedergli il volante. <<D’accordo>>, mi arresi. Ci scambiammo di posto senza scendere dall’auto. Thomas fece

ruggire l’automobile prima di svoltare verso l’uscita del paese e poi si incupì.

<<Capisco come ti sentivi. Non ho avuto la fortuna di conoscere la tua famiglia così presto. Ero confuso, assetato, mi vergognavo di me stesso. Vivevo in solitudine spostandomi da un posto all’altro>>.

<<A quanti anni sei stato trasformato?>>, gli domandai. <<Ventuno>>. <<E quanto tempo è passato?>>, gli domandai preoccupato. <<Trent’anni>>, rispose. <<Ho incontrato la tua famiglia

quattordici anni fa. Si sono mostrati molto gentili e premurosi, Holly stava già con loro. Stranamente mi fidai subito e dopo due giorni decisi di accettare l'invito e vivere con loro. Ciò che mi spinse a riflettere fu il loro stile di vita, loro stavano tra gli umani e sentivo che per me sarebbe

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stato impossibile. Ora adoro quello che sono e il nostro stile di vita>>, concluse con un sorriso raggiante, poi frenò l’auto perché eravamo giunti a destinazione.

Thomas mi condusse lungo un sentiero, verso un’abitazione modesta. Non appena fummo accanto all’ingresso, qualcuno ci aprì. Una segretaria era accomodata dietro una scrivania e ci guardò. Mi voltai verso di lei e annusai l’aria, senza farmi notare: era umana.

L’istinto prese il possesso del mio corpo, strinsi forte i pugni cercando di resistere, ma quel profumo mi stava facendo perdere il controllo. Desideravo affondare i denti nel suo collo, bere il suo sangue. Immaginavo il suo sapore.

Qualcuno improvvisamente si materializzò davanti alla segretaria, a fare da scudo. Istintivamente ringhiai, fissando il vampiro che proteggeva quella donna.

Thomas mi bloccò cingendomi il busto e mi portò fuori dall’ufficio, benché scalciassi come un animale. La sua forza disumana era superiore alla mia, così riuscì a tenermi a freno.

<<Respira>>, mi ordinò. <<Perché mi hai portato fuori?>>, gli domandai furioso. <<Non pensavo che ci fossero umani, è colpa mia>>, si scusò.

<<Stai qua fuori e non combinare danni, io vado dentro a risolvere tutto>>.

Thomas mi lasciò solo, a lottare contro il senso di colpa. La reazione alla presenza di un mortale mi aveva sconvolto, non ero ancora in grado di frequentare gli umani. Quel profumo aveva risvegliato l’istinto che dovevo far tacere, ma in questo luogo non avrei potuto cacciare, non era il mio territorio. La zona era stata marcata da un solo vampiro: quello che si trovava all’interno dell’ufficio.

Thomas tornò presto e mi guardò raggiante. <<Ha chiuso un occhio solo perché gli ho detto che era il primo

umano che vedevi dopo la trasformazione>>. Tirai un sospiro di sollievo. <<Ora guido io>>, gli dissi mentre correvo verso l’auto. <<Prego>>. Thomas era divertito dal mio entusiasmo per la guida. Si

sedette al mio fianco, accanto al posto di guida, e mi lanciò una busta grande e gialla.

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<<La tua patente, carta d’identità e codice fiscale>>, mi disse sollevato.

<<Come ha fatto, in così poco tempo, a fare tutte queste cose?>>, domandai sconvolto, fissando i miei documenti falsi.

<<Ricorda, noi vampiri sappiamo fare tutto e velocemente>>, disse con orgoglio.

Risi e decisi di non fare altre domande.

---- Pedalare mi faceva sentire libera e lontana dal caos. Lontana dalla

gente, amavo perdermi nel mio mondo. Sognavo di allontanarmi dalla realtà, vivere fuori dalle regole e dagli schemi della vita umana.

Sostai nella mia zona segreta, in un piccolo angolo di campagna: un rivolo d’acqua scendeva a sinistra della stradina sabbiosa, gli aceri nascondevano questa zona piccola e accogliente.

Saltai il rio e mi sedetti alla base di un tronco. Poco fa, avevo provato una sensazione molto intensa e strana, ancora

una volta. Era come se qualcosa si fosse impossessato del mio corpo. Ciò che mi aveva terrorizzato di più fu ciò che avevo visto. Avevo guardato le mie mani e, in quell’attimo, le avevo viste piene di sangue.

----

Mia madre, seduta accanto a me, decise di raccontarmi tutto ciò che

accadde quando lei e mio padre sparirono. <<Dopo la tua nascita e il caos scatenato dalla natura, l’ospedale era

quasi distrutto. Io e tuo padre siamo scappati con te tra le braccia. Un bambino ci convinse ad affidarti a lui, perché sarebbe stata l'unica possibilità per salvarti. Forse ci incantò, perché gli credemmo subito, ma fu un bene. Quel bambino era Gabriel e voleva salvare la tua vita>>.

Mamma soffriva mentre mi raccontava l’accaduto, i suoi occhi erano leggermente macchiati di rosso. <<Non volevamo abbandonarti Chris, ma fummo attaccati da un vampiro. Quel tenero bimbo tornò con te tra le sue braccia e ci disse che l’unica possibilità per salvarci e rivederti

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sarebbe stata la trasformazione. Così, per proteggerti e continuare ad amarti, Gabriel ci trasformò>>.

<<Capisci ora, Chris? Non volevamo rischiare di mettere in pericolo la tua vita, di conseguenza decidemmo di aspettare e rivederti quando saremo stati pronti>>.

Mia madre mi guardò, in attesa di una risposta, tormentata dal senso di colpa.

<<Non mi avreste mai fatto del male, ma siete stati prudenti e lo apprezzo>>, la consolai.

Lei sorrise, sollevata, e poi continuò: <<Dopo sei mesi decidemmo di civilizzarci, forse per far passare il

tempo, per non rendere la nostra esistenza monotona. Fu allora che scoprimmo l’esistenza di Adam, un vampiro dalle origini inglesi, che si occupava di creare documenti per consentire anche a noi di vivere civilmente. Decidemmo di trasferirci qui e, con l’aiuto di Adam, tutto andò bene>>.

<<Infondo, la storia ha un lieto fine>>, ammisi. Mamma sorrise. <<Sì, tu sei qui con noi, anche se avrei preferito che

tu avessi ancora il dono della vita>>.

<<Ѐ andata così>>, dissi intristito. <<Fratellone>>, mi chiamò Holly. <<Hai qualche abilità speciale?

Dei poteri particolari?>>. La domanda mi confuse, non capivo cosa intendesse per abilità

speciale. <<Scusami, forse spiegandoti le nostre abilità sapresti dirci qual è la

tua. Non so darti una spiegazione precisa del mio dono. Posso spingere chi è sotto il mio potere ad agire come voglio >>, mi disse orgogliosa.

Strabuzzai gli occhi. <<Tutti noi abbiamo dei poteri>>, intervenne mio padre,

<<dipende dalla forza e dall’età del vampiro che ci ha trasformati. Holly manovra la mente, perciò il vampiro che l’ha trasformata è molto forte, io e tua madre non abbiamo alcun potere, o forse non l’abbiamo ancora scoperto>>.

<<Io sposto gli oggetti con la mente>>, intervenne il timido Stefano. <<Io posso fare dei viaggi extracorporei. Mi stacco dal mio corpo e, a

velocità sorprendente, volo dove desidero. È una tecnica molto difficile,

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che devo imparare bene a utilizzare perché è rischiosa>>, disse Thomas

Ero senza parole, queste erano davvero abilità strabilianti. Mi vergognavo di chiedere se la mia lo fosse, ma mi feci coraggio. <<Voi siete capaci di leggere nel pensiero?>>, chiesi, studiando ogni volto.

<<Eh, sinceramente mi piacerebbe!>>, disse Thomas. <<A chi non piacerebbe?>>, intervenne mio padre. <<Allora dovrebbe essere la mia abilità speciale>>, dissi orgoglioso,

felice di possedere anch'io qualcosa di speciale. <<E posso parlare con le altre menti>>, aggiunsi.

Non credevo nella forza di questo potere, l’avevo sempre sottovalutato.

<<Fantastico Chris, ti raccomando di usare questo tuo potere correttamente>>, mi avviso mio padre.

<<Lo farò>>, promisi. <<Vieni>>, disse mia madre alzandosi, <<ti mostro la tua stanza>>. <<Vengo anch’io>>, disse Holly. Nell’arco di un secondo arrivammo in cima alle scale, davanti a una

porta in legno scuro. Varcammo quella porta: la stanza non era ancora arredata, segno della non presenza di qualcuno. La mia camera era grande e quadrata, le pareti erano rivestite da una tinta blu chiaro a macchie, il pavimento era bianco.

<<Allora>>, disse Holly, pensierosa, poi mi superò e mi guardò raggiante, come se un’idea molto divertente le fosse appena venuta in mente.

<<Ora andiamo a fare shopping>>. Thomas le lanciò un'occhiataccia e poi disse: <<Non ancora, non è ancora pronto a stare tra gli umani>>. <<Ah>>. Holly si fece triste e pensierosa. <<Quando sarà pronto, faremo una prova>>, disse Thomas. <<Allora caro fratellino>>, disse Holly avvicinandosi, il mio viso era

a pochi centimetri dal suo. Mi fissava dolcemente, con un’espressione da cucciolo.

<<Mi affidi l’arredamento della tua stanza?>>, mi pregò. Non riuscii a non ridere. <<Va bene>>, risposi.

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<<Dimmi un po’ cosa ti piace, cosa vorresti nella tua stanza, fammi una lista>>.

Era raggiante, ma era troppo curiosa e in questo momento non sapevo rispondere alle sue domande.

<<Holly, lascialo respirare>>, Thomas s’intromise e Holly ringhiò furiosa.

Risi. Infondo era bello stare con i propri simili. Avrei vissuto pacificamente, non sarei più stato un mostro e un giorno avrei potuto frequentare anche gli umani.

La mia esistenza ora non mi sembrava più così noiosa. Lentamente, stavo realizzando che molto presto sarei stato pronto per la più difficile delle prove: affrontare il destino che mi era stato riservato.

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Capitolo 4 “Segnali”

Tra i banchi di scuola, quando avevo altro per la testa, pensavo

continuamente all’uscita. Era difficile ascoltare un discorso più duraturo di un minuto e mezzo, specialmente se si trattava di materie noiose, quando la mia testa si ostinava ad ascoltare solamente i pensieri. Non potevo pensare ad altro, al di fuori di ciò che mi stava accadendo in questi giorni: i miei sogni non facevano altro che incutermi timori e tormentarmi. Ormai non riuscivo a pensare ad altro.

La campana suonò annunciando la lezione successiva, educazione fisica.

Ultimamente non ero al top dell’energia. <<Andiamo>>, m’incoraggiò Jessica. <<Pensavo di scappare>>, dissi scoraggiata mentre ci dirigevamo

verso lo spogliatoio. <<Cosa ti sta succedendo? >>, mi domandò lei. <<Non lo so>>, ammisi. Entrammo nello spogliatoio e indossammo la divisa da pallavolo.

Amavo questo sport e forse giocando mi sarei ripresa. <<Possiamo andare?>>, mi chiese Jessica impaziente. <<Sì>>, risposi svogliata. Il resto della classe era già nel cortile della scuola, le mie compagne

chiacchieravano animatamente. Il professore ci chiamò per nome e creò delle coppie per fare gli esercizi di riscaldamento. Ero in coppia con Giada durante l’allenamento. Gli esercizi di riscaldamento consistevano nel passarci la palla facendola rimbalzare al suolo, prima con due mani, poi con la destra e poi con la sinistra. Non erano esercizi molto impegnativi e, grazie al contatto con la palla, i miei pensieri negativi cominciarono a svanire.

Terminato il riscaldamento, il professore ci chiamò per formare le due squadre e, in quell'attimo, una strana sensazione mi bloccò. Avvertii un calore molto acceso sul corpo, che quasi mi soffocava, mentre il battito cardiaco accelerava e la vista si annebbiava. Vedevo delle persone avvicinarsi, sentivo le loro voci diventare sempre più deboli. Le orecchie fischiavano intensamente, nascondendo il suono delle voci,

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mentre la nebbiolina si faceva sempre più fitta oscurando completamente la vista e privandomi dei sensi.

----

Per la prima volta, dopo la mia trasformazione, avevo sentito il mio

corpo emanare calore. Mi ero agitato, non era normale. Holly e Thomas mi fissarono preoccupati. <<Chris che ti succede?>>, la voce di Holly era calorosa e

preoccupata. Superai via Sonnino e andai verso Via Roma, allora le strane

sensazioni svanirono. <<Niente, non preoccuparti>>. Decisi di sorvolare sull'accaduto, per il momento. I vetri oscurati dell’auto impedivano al sole di sfiorare la nostra pelle.

Parcheggiai l’auto in Via Roma e spensi il motore. <<Allora vi aspetto qui?>>, mi rivolsi ai miei fratelli. Holly aveva deciso di occuparsi dell’arredamento della mia stanza,

non immaginavo ancora di cosa fosse capace. <<Io sto con Chris, non posso lasciarlo solo>>, disse Thomas. Compresi subito la preoccupazione di Thomas, non era necessario

leggerlo nella sua mente: Via Roma era una delle strade più note per lo shopping, pullulava di gente e l’odore del sangue era molto intenso.

Stavo iniziando ad acquisire un controllo nei confronti dei miei istinti. Nutrendomi allo stesso modo della mia famiglia, potevo tranquillamente garantire agli umani una vita tranquilla.

<<Ricordo ancora il tuo primo giorno assieme a noi. Eri preoccupato, quasi paranoico, invece dopo qualche settimana riesci già a stare calmo all’interno di un’auto, con centinaia di persone che passano di fronte a te, ignari del pericolo>>, rise.

Mi guardai intorno e respirai profondamente, percependo il profumo di ogni singolo umano.

<<Sono stupito quanto te, ma sono consapevole che questo dipenda dall’equilibrio che si è creato, grazie a voi. L’unico problema è che in questo momento ho sete>>.

Thomas mi fissò comprensivo, anche lui aveva sete.

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<<Cosa ti è successo poco fa? Ho sentito la tua pelle e….scottava>>, Thomas s’incupì, ma il ritorno di Holly interruppe la discussione sul nascere.

Non riuscivo a credere ai miei occhi. Non avevo mai pensato di assistere a qualcosa di simile, e di cose incredibili ne avevo viste. Holly cominciò a scaricare ciò che aveva acquistato, dietro di lei c’era una fila composta da circa dieci commessi che l’aiutavano a trasportare gli acquisti. Era una scena incredibile e, in un certo senso, comica.

Una volta terminato di scaricare la merce, probabilmente anche degli abiti, Holly salì in macchina e si accomodò nei sedili posteriori. Thomas rideva sotto i baffi, io invece ero senza parole.

Avviai subito la Maserati e guidai sino a casa. Non fiatai durante il viaggio, avevo bisogno di nutrirmi, mi bruciava la gola.

----

La strada che dovevo percorrere era buia, come sempre m’incuteva

paura. Ai bordi della strada, gli alberi erano alti e coprivano i lampioni. Il silenzio era angosciante, si poteva udire solamente lo squittio dei pipistrelli annidati nei rami dei grossi alberi. Aumentai il passo, volevo fuggire da questo strano silenzio.

“Pipistrelli”, pensai terrorizzata. La notte scorsa, la mia mente aveva elaborato il seguito del sogno che

da giorni mi tormentava: camminavo in un bosco, ricoperto da alberi altissimi e c’era qualcosa che luccicava nel buio della notte. La luna era nascosta dagli alberi, il buio poteva celare qualsiasi cosa. Mentre tentavo di orientarmi, qualcosa era arrivato nuovamente balzando verso di me. Era ancora quella palla rossa e stavolta si era fermata ai miei piedi. Riuscii a prenderla, ma non con le mani, la tenevo in sospeso a pochi centimetri dal mio viso, con la forza della mente, porgendo il palmo della mano verso l’alto;

Non ero ancora giunta all’entrata del paese, quando provai uno strano fastidio allo stomaco, sicuramente dovuto all’ansia. Un vento gelido mi sfiorò il collo, troppo freddo per il mese di maggio.

Dopo pochi secondi, un’altra folata di vento freddo mi attraversò il corpo e si concluse con un rumore sordo, come lo schianto di una roccia. Preda delle mie stesse paure, persi il controllo e cominciai a

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correre verso le prime luci del paese. Mi sedetti in una panchina per calmarmi, lontano dal buio. Ero sconvolta e terrorizzata perchè non capivo ciò che stava succedendo.

Il cellulare squillò, lo presi dalla borsa e aprii lo sportellino con le mani tremanti. Era Giulia, dopo quattro squilli risposi.

<<Dove sei finita? Sempre in ritardo eh?>>, disse lei. <<Sto…>>, mi bloccai per via di un singhiozzo. <<Cosa succede? Dove sei?>>, la voce di Giulia era strozzata dalla

paura. <<All’entrata>>, balbettai.

----

La foresta a un tratto mi parve spaventosa. Quelle improvvise paure svanirono immediatamente, ma potevo sentire ancora il corpo tremare.

<<Li hai fatti scappare Chris!>>, mi rimproverò Thomas. <<Che t’importa, puoi prenderlo lo stesso>>, risposi agitato. La sete faceva ardere ancora la mia gola, ma il terrore che avevo

appena avvertito ostacolava la mia concentrazione. <<Ti decidi?>>, mi chiese Thomas. <<Arrivo>>, risposi. Feci un respiro profondo e con un balzo attaccai la mia preda.

---- <<Piccola calmati, non è successo nulla>>, disse Giulia con un tono

di voce dolce e premuroso. Le avevo raccontato solo una piccola versione di ciò che mi

tormentava ultimamente. Non potevo farle un resoconto di ciò che era accaduto in questo mese, inoltre non mi avrebbe mai creduto. Tenermi tutto dentro, senza avere la possibilità di essere compresa, peggiorava la situazione. Dovevo solo aspettare, non sapevo cosa, ma un giorno l’avrei scoperto.

Il barista del nostro locale preferito portò una Coca cola al nostro tavolo.

<<Ecco a voi>>. <<Grazie>>, risposi.

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Secondo le mie amiche avevo bisogno di zuccheri, il pallore nel mio viso suggeriva questo.

<<Secondo me hai bisogno veramente di divertirti, ultimamente non hai una bella cera>>, intervenne Marta.

<<Forse>>, ammisi. Bevetti un piccolo sorso di Coca cola, era parecchio frizzante. Giulia, davanti a me, mi fissava di sottecchi, come se stesse

elaborando qualcosa. <<Che si fa allora?>>, intervenne Marta. Giulia si voltò verso di lei e le fece cenno di aspettare. <<Pensavo di

organizzare qualcosa per divertirci>>, disse mentre fissava il tavolino. <<Non sono certa che mi lascino la casa>>, fece una smorfia, <<altrimenti… >>.

<<Giulia!>>. Marta le diede uno scossone perché stava blaterando. <<Oh scusate, pensavo a voce alta, vero?>>, chiese Giulia, poi ci

fissò imbarazzata. Bevetti avida dalla cannuccia e fissai le mie amiche. <<Peccato che

non abbiamo ancora la macchina>>, sbottai. Giulia parve illuminarsi. <<Ma certo!>>, disse euforica. <<Cosa?>>, intervenne Marta. <<Andiamo in discoteca>>, annunciò Giulia. Marta, realista come me, si voltò con uno sguardo di rimprovero

verso Giulia. <<Come ci andiamo? Non farci illudere>>. <<Non è un problema, sto pensando a quante persone sono

necessarie per divertirci>>, disse Giulia. <<Poche ma buone>>, azzardai. <<Volete la limousine o preferite andare in taxi?>>, chiese Giulia,

conoscendo già la risposta. Sussultammo e allo stesso tempo ci avvicinammo tutte al centro del

tavolo, formavamo una specie di cerchio. <<Scherzi?>>. <<Per niente!>>, mi confermò Giulia. <<Non devi sprecare tutti quei soldi, ci possiamo far accompagnare

da qualcuno>>, intervenne Marta. <<Neanche per idea!>>, sbottò Giulia, <<mia è l’idea e mia è

l’organizzazione>>.

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Era inutile ribattere con Giulia perciò, nonostante l’idea fosse veramente invidiabile, acconsentimmo nascondendo l’euforia.

<<Grazie, grazie, grazie, grazie, grazie!>>, esplosi e per poco non soffocai Giulia con un abbraccio.

<<Ci vuole un brindisi!>>, suggerì Marta, <<Brindiamo a….>>, disse prima di essere interrotta da Giulia.

<<Senza bicchiere?>>, disse lei. Ci avvicinammo euforiche al bancone, pronte a ordinare un alcolico,

poi tornammo ai tavoli con i nostri drink. <<Alla nostra serata in limu!>>, urlò Giulia euforica. Il nostro entusiasmo attirò l’attenzione degli altri ragazzi, ci

guardavano tutti. <<Giochiamo a biliardino?>>, propose Marta. <<Subito>>, accettai. Ci recammo nella stanza dei giochi, e a noi si unì a noi anche un’altra

amica, Veronica. Concentrata nel gioco, dimenticai le mie preoccupazioni. Quando mi divertivo con le mie amiche non c’era preoccupazione al mondo che potesse turbarmi.

----

<<Dobbiamo sbrigarci>>, Gabriel si fece serio, ma il suo aspetto,

per via della sua età fisica, mi divertiva. <<Chris sii serio>>, disse lui, senza nascondere un sorriso. Alzai le mani in segno di resa. Gabriel sospirò. <<Devi darti una mossa Chris, non posso più

pensare a lei ventiquattr’ore al giorno>>. <<Ti ringrazio Gabriel, fai quello che dovrei fare io, ma non credo di

essere ancora in grado di occuparmi di lei>>, ammisi. <<Non puoi tirarti indietro>>, mi avvisò. Sapevo che era compito mio proteggere quella ragazza, ma non ero

ancora in grado di avvicinarmi a lei. <<Chris, sarà una breve sofferenza, una volta che ti sarai abituato

non ci sarà più alcun problema>>. <<Potrebbe essere giunto il momento di fare quella prova!>>,

intervenne Holly, scandendo bene la parola.

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Mi voltai verso mia sorella, furioso. <<Cosa avresti in mente?>>, dissi, quasi sibilando.

<<Tranquillo, un’uscita a sorpresa>>. Sospirai rassegnato, non c’era modo di liberarmi dalle grinfie di mia

sorella. Gabriel si schiarì la voce, per attirare la mia attenzione. <<Se non ti presenterai a lei presto, mi farò vivo io. Forse è il caso

che l’avvisi>>, aggiunse minaccioso. Se avessi avuto un cuore vivo, nell’udire le parole di Gabriel mi

sarebbe uscito dal torace. Non capivo ancora il motivo, ma quando Gabriel parlava di lei, provavo delle strane sensazioni: calore, dolore allo stomaco, agitazione, paura. Erano delle sensazioni alquanto strane per un vampiro. Volevo andare da lei, ma la paura di farle del male mi frenava.

<<Non riesci a deciderti, ma non possiamo ritardare ancora il vostro incontro. Saprai quando avvicinarti perché ti chiamerò io>>, stabilì.

Il giorno dell’incontro oramai era quasi fissato nella mente di Gabriel. Sarei stato pronto per il compito che il destino mi aveva affidato?

Dovevo esserlo. Era un compito rischioso, la vita di quella ragazza sarebbe stata sempre in pericolo al mio fianco. Se lei non fosse sopravvissuta al nostro incontro, io non avrei potuto portare a termine il nostro compito. E con la nostra sconfitta, sarebbe giunto il caos.

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Mi svegliai, ancora una volta agitata. Gli anelli della catena che mi

avrebbero portato a destinazione, scorrevano con rapidità. Il sogno che avevo appena fatto, mi aveva spaventato più degli altri: ero in bagno, la tripla specchiera rifletteva la mia immagine. Era buio e lentamente le luci aumentavano d’intensità. Il mio riflesso, a causa della lentezza delle luci ancora basse, sembrava pallido e già avevo cominciato ad angosciarmi. Quando le luci avevano raggiunto il massimo dell’intensità, il mio riflesso era diventato bianco come la neve. La mia espressione era terrorizzata, ma nello specchio le mie labbra si erano tese in un sorriso fiero per la bellezza della nuova immagine. Avevo soffocato un grido, lo specchio invece mostrava un sorriso inquietante, bellissimo, che si era aperto scoprendo dei canini leggermente lunghi;

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Abbracciai le gambe, sdraiata nel mio letto in posizione fetale. Era chiaro, ciò che mi stava cercando non era molto distante da me.

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Capitolo 5 “Il tuono decisivo”

<<Adoro il venerdì, la palestra è quasi deserta>>, disse Chiara, un po’ affannata mentre pedalava nella cyclette accanto a me.

<<Non ci avevo fatto caso>>. Chiara scosse la testa e poi si illuminò. <<A chi brucia di più nei restanti tre minuti!>>, mi sfidò. <<Perfetto>>, dissi. Pedalavo veloce senza sentire un accenno di fatica, ero allenata. Cercai

di liberare la mente e assaporare quel lieve divertimento. Chiara sbuffò, rallentò e poi disse: <<Oh, basta. Hai vinto tu>>. <<Mancano trenta secondi, approfittane!>>, le dissi ridendo. <<Capirai!>>. Si arrese. I trenta secondi passarono e, come mi aveva anticipato Chiara, vinsi la

sfida. Ci spostammo verso le attrezzature più complesse. Ci sedemmo

ognuna su un attrezzo di cui non ricordavo il nome, e a stento come si utilizzava, per allenare qualche muscolo sconosciuto.

<<Cosa devi fare domani?>>, mi chiese Chiara, interrogativa. <<Ho assemblea, non so ancora se andare a scuola o no>>, risposi. Sbuffai mentre flettevo le braccia, mancava ancora una serie. Chiara si

guardò intorno e si sedette comodamente sull’attrezzatura. Decisi di non imitarla.

<<Ho assemblea pure io, però vado ugualmente ed esco un po’ con Viola, il problema è che si è aggiunta una persona non molto gradevole>>.

Mi guardò di sottecchi, per farmi capire chi era la persona sgradevole e io capii al volo. Mi alzai e andai a prendere i pesetti, ancora una volta. Mi avvicinai allo specchio e Chiara mi seguì con i pesi.

<<Dicevo…vieni anche tu domani?>>, m’implorò. Il suo invito mi spaventava, la presenza del terzo elemento del gruppo

non era molto gradita anche da parte mia. <<Hai paura di lei?>>. Ora era lei a ridere sotto i baffi. <<No, ma i suoi influssi negativi non mi farebbero bene>>, dissi io.

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<<Indossa qualcosa di verde>>, mi disse divertita. Sbuffai e cambiai esercizio. <<Ti hanno mai detto quanto sei

simpatica?>>. <<Sì, tutti!>>, scherzò lei. <<Non puoi lasciarci sole con lei!>>, mi accusò mentre cercava

ancora di convincermi. <<Ora ho delle belle aspettative>>. <<Simpatica>>, disse ironica.

<<Ѐ la prima volta che me lo dicono>>. <<Allora?>>. Si voltò verso di me, quasi pregandomi. <<Okay>>. Le avrei detto di sì sin dall’inizio, ma era troppo divertente. Dopo gli addominali, srotolammo due tappetini per fare stretching. <<Devo essere presente durante l'appello, quindi dobbiamo prendere

il treno delle otto meno un quarto>>. Il preside dell’istituto chiedeva agli insegnanti di fare l’appello alla

prima ora durante le assemblee, poi tutti gli alunni potevano decidere se partecipare alla riunione o andare via. La richiesta della presenza come giornata scolastica era inutile, chi non voleva partecipare doveva in ogni caso essere presente per l’appello, altrimenti sarebbe risultato assente.

<<Va bene>>, acconsentii e cercai di rilassarmi allo stesso modo dei miei muscoli.

Viola mi abbracciò con esuberanza e, sorpresa, disse: <<Chiara non me l’aveva detto che ci saresti stata anche tu>>. Chiara sbuffò, infastidita. <<Sta arrivando>>, disse a bassa voce. <<Ciao ragazze!>>. Ecco l’ultima arrivata: Cristiana. <<Oh, che sorpresa!>>, aggiunse lei, poi mi fissò intensamente

mentre studiava il mio abbigliamento. <<Ciao>>, salutai educatamente. Cristiana era una ragazza semplice e poco simpatica, anche se credeva

di esserlo. Portava i capelli biondi legati in cima alla testa che scuoteva per far ondulare la coda, imitando i graziosi movimenti della chioma di un cavallo. Gli occhi erano grandi e castani, il naso un po’ grosso e le labbra fini.

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<<Carini gli stivali, molto deliziosi>>, mi disse lei. Sospirai angosciata, questi stivali avrebbero avuto vita breve. Viola si schiarì la voce per attirare la nostra attenzione. <<Io avrei

fame, se non vi dispiace preferirei andare a fare colazione che c’è un cappuccino che mi aspetta>>.

<<Okay, non sei l’unica affamata>>, risposi mentre mi massaggiavo la pancia.

Andammo in un locale non molto distante dalla scuola. Ordinammo la colazione e aspettammo affamate il ritorno della cameriera. Ero seduta vicino a Chiara, in un tavolino quadrato da quattro posti, Viola e Cristiana erano sedute di fronte a noi.

Finalmente il cameriere arrivò e i nostri stomaci si rilassarono. Versai il dolcificante nel cappuccino e decisi di fare qualche domanda

a Cristiana. <<Come va con i ragazzi?>>, le chiesi, fingendo un’estrema

curiosità. L’ombra di un sorriso divertito comparve sotto il naso di Viola e

Chiara.

<<Divinamente>>, rispose lei. <<Ho un bel ragazzo, ha un anno in più di me e abita vicino a Dolianova, quindi non è distante e possiamo vederci spesso>>, aggiunse.

<<Falle vedere una foto!>>, disse Viola, improvvisamente interessata alla conversazione, poi scosse il braccio di Cristiana e le fece cadere un po’ di cappuccino nei jeans.

<<Grazie Viola>>, disse Cristiana, furiosa, mentre ci guardava ridere senza controllo.

<<Comunque, questo è il mio ragazzo>>, mi disse imbarazzata mentre mi porgeva una fototessera.

Osservai la piccola foto e avvertii addosso lo sguardo pesante di Cristiana, che attendeva un giudizio sul suo ragazzo. Allo stesso tempo, percepivo il divertimento di Chiara e Viola.

Respirai profondamente e mentii. <<Eh, però, è proprio un bel ragazzo!>>, esclamai con troppo

entusiasmo. Viola corse in bagno perchè non riusciva più a trattenere le risate.

Potevo sentire la sua risata fragorosa che proveniva dal bagno. <<Ma che ha Viola?>>, mi chiese lei.

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<<Ah, lascia stare, ha messo lo zucchero di canna al posto del dolcificante e le è venuta la nausea>>.

Non ero brava a mentire e questa bugia era ridicola. Ci trattenemmo nel locale per qualche ora, era un’abitudine per la

maggior parte degli studenti di questo istituto, come per Chiara e Viola. Si trattenevano nello stesso locale nei giorni di assemblea, oppure curiosavano in qualche piccolo negozio, perché del resto non c’era nient’altro da fare.

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La situazione era cambiata in poco tempo, mi ero civilizzato, di

conseguenza non consideravo più la mia esistenza tanto malvagia. Vivere in una casa e non uccidere nessuno era già sufficiente per tenere a bada la mia premurosa coscienza. Del resto, non dovevo farmi una colpa di ciò che ero, perché non ero stato io a volerlo e malgrado le dure sofferenze riuscivo a essere buono.

Il momento che gravava nella mia esistenza, a partire dalla nascita, era arrivato. Ormai mancava poco.

Questa sera, forse, ci sarebbe stata la prova che mia sorella aveva avuto premura di organizzare per me. Se l’avrei superata, avrei potuto finalmente incontrare la ragazza del mio destino.

Ciò di cui Gabriel parlava mi spaventava, ma allo stesso tempo m’incantava. Avrei provato un amore tanto grande da impazzire, diceva lui, un amore che mi avrebbe legato a lei per sempre, un fuoco che mi avrebbe divorato nella sua assenza giorno per giorno.

Avevo paura, sapevo che anche solo sfiorando le sue mani, tutto avrebbe avuto inizio. Ma aveva già avuto inizio: provavo già delle strane emozioni che un vampiro non poteva percepire. Ne avevo parlato con Gabriel, lui mi aveva spiegato che questi sentimenti erano originati dal nostro legame, anche se non avrei mai sfiorato la sua pelle, il destino ci avrebbe unito, maneggiando i suoi fili invisibili sui nostri capi.

Ero preoccupato per lei. Che cosa avrebbe potuto sentire una fragile umana, avvertendo le mie sensazioni che per lei erano surreali? L’avrebbero portata sull’orlo della pazzia, sicuramente.

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Demetrio, il nostro pericoloso nemico, già una volta aveva provato ad attaccare lei, Gabriel fortunatamente era stato presente in quel momento.

<<Tieni!>>, mi ordinò Holly, poi spalancò la porta della mia stanza e lanciò degli abiti che si posarono perfettamente sul mio letto. Che precisione!

<<Ma i vampiri possono entrare nelle stanze degli altri senza essere invitati?>>, le domandai, infastidito dall’intrusione nella mia privacy.

Udii la sua dolce risata scatenata dal mio dubbio. <<Qui siamo tutti vampiri, mi dispiace>>, rispose lei. Sbuffai. Non sapevo se questa parte della leggenda fosse vera, ma

avevo capito che in questa casa chiunque sarebbe entrato nella mia stanza.

Guardai il soffitto azzurro mentre ero sdraiato nel letto. Non avevo bisogno di riposare, ma volevo sfruttare il mobilio della stanza, selezionato da Holly con cura.

Esauriti i pensieri, cominciai ad annoiarmi. Sentivo della musica e due paia di piedi che si muovevano insieme con ritmo: i miei genitori ballavano. Accanto alla mia stanza, Holly era ancora occupata, sentivo sbattere le ante degli armadi, il rumore era assordante. Forse stava scegliendo degli abiti per la prova, oppure si stava già preparando. Non mi ero accorto dello scorrere del tempo. Scattai dal letto e corsi in soggiorno dai miei genitori, in preda all’agitazione. Mia madre interruppe quella danza divertente per rassicurarmi. <<Stai tranquillo tesoro, non farai del male a nessuno>>, disse lei.

<<Devo farcela, per lei>>. La ragazza era ancora “lei”, il suo nome ancora non lo conoscevo. <<Sono sicuro che grazie a Thomas e Stefano non avrai alcuna

possibilità di fare del male a qualcuno!>>, aggiunse mio padre. Una risata fragorosa giunse dal piano superiore, Thomas era sicuro

delle sue potenzialità. <<Tranquillo, hai ancora un giorno di tempo>>, mi rassicurò

Stefano. Sospirai, avevo ancora un giorno. Avrei potuto leggere la mente di

Holly per scoprire le sue intenzioni, ma i problemi sarebbero diventati due: il primo riguardava la mente impenetrabile di mia sorella, il

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secondo la possibilità di scelta, perché sarei scappato se solo avessi saputo.

Il mio potere era un peso certe volte, avrei preferito leggere il futuro. In quel caso avrei saputo l’esito della prova, prima di fare danni.

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<<Finalmente! Prego>>, disse Giulia mentre mi accoglieva nella sua

villa. Entrai in un ampio salone e andai verso le mie amiche che stavano

sedute nel divano. <<Tieni, grazie>>, dissi a Marta, restituendole i soldi che aveva

anticipato per la pizza. Mi accomodai nel divano in attesa del porta-pizza. Le mie amiche

erano arrivate prima di me, come sempre ero in ritardo e mi ci volle un po’ di tempo per afferrare l’argomento della loro discussione.

<<A te non mette i brividi?>>, mi chiese Chiara, mentre parlavano di un omicidio misterioso avvenuto nei pressi di Donori.

<<Sì>>, risposi assente, mimando un brivido. <<Perché non parliamo di qualcosa di più allegro>>, proposi.

<<Concordo con Beth!>>, disse Marta con entusiasmo. Lei non amava i racconti dell’orrore e qualsiasi cosa ci si avvicinasse.

<<Le pizze sono arrivate!>>, ci avvisò Giulia mentre pagava il ragazzo delle consegne. Marta e Chiara andarono ad aiutarla a portare le pizze in sala da pranzo.

Ci accomodammo tutte nel tavolo, al centro della sala, occupammo solo cinque posti. Presi subito una fetta tra le mani e l’addentai. Tra amiche, nessuno si preoccupava di tagliare la pizza a fettine per mangiarla col coltello e la forchetta, si sarebbe sfreddata. Giulia poggiò la fetta che stava addentando, ricordandosi immediatamente del motivo della riunione.

<<La Ely’s night?>>, chiese con entusiasmo. <<Idee?>>. Non riuscii a trattenere le risate. <<Potevate evitare di dare il mio nome a una serata>>, dissi mentre

ancora ridevo. <<No, è perfetto>>. Giulia sorrise divertita. <<Dove andiamo?>>, chiese Veronica.

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<<Pensavo di andare allo “Chic palace”, l’hanno aperto da poco e vi posso giurare che è un sogno>>, disse Giulia, il viso teso in un’espressione sognante, ma non aveva pensato che un posto del genere era fatto solo per le sue tasche e quelle di Chiara.

<<Ehm>>, Marta si schiarì la voce. <<Come ci entriamo scusa?>>. Giulia comprese al volo la nostra preoccupazione. <<Siete in lista con me e non pagate niente>>, disse, orgogliosa delle

sue conoscenze. Terminata la pizza, decidemmo cosa fare durante questa serata

piovosa. <<Guardiamo un film?>>, domandò Giulia, mentre riordinava il

tavolo. <<Che genere?>>, domandai. <<Vampiri?>>, propose lei, facendomi sprofondare nuovamente nei

pensieri angoscianti che affollavano la mia testa. Un tuono mi risvegliò dalle riflessioni e la luce mancò. Marta urlò

dallo spavento e si raggomitolò nel divano accanto a me. <<State calme, ora vado ad attaccare la corrente>>, ci rassicurò

Giulia che aveva il controllo della situazione. Portai le ginocchia al petto e ci poggiai la testa sopra, chiudendo gli

occhi. Avvertii accanto a me la presenza delle mie amiche e mi concentrai su di loro per non sentirmi isolata nel buio. Un altro tuono mi fece sobbalzare, strinsi con più forza le braccia attorno alle gambe.

Cominciai a canticchiare una canzone rilassante e finalmente mi tranquillizzai. Sentivo qualcuno ridacchiare, allora aprii gli occhi per controllare. Sollevai il viso dalle ginocchia e, con la vista un po’offuscata, mi guardai intorno. La luce era tornata e le mie amiche erano incantate a uno spettacolo insolito: me.

Imbarazzata, decisi di partecipare alla risata di gruppo. <<Attenzione! Elisabeth sta uscendo fuori di testa!>>, annunciò

Chiara, in piedi sul divano, mentre fingeva di usare un megafono. <<Domani ci incontriamo in piazza del comune, puntuali mi

raccomando>>, disse Giulia, per cambiare discorso. <<A che ora?>>, le chiesi, emozionata per l’indomani. <<Venti e trenta>>, rispose lei. <<La limousine non ha il conto dei

chilometri come il taxi, ma il tempo per divertirci sì, perciò mi

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raccomando…puntuali>>, aggiunse lanciandomi un’occhiataccia. Giulia conosceva bene il mio problema con l’orologio.

<<Ehm>>, Marta si schiarì la voce. <<Ci presti anche il vestito oppure è compresa una serata di shopping nei negozi di alta moda?>>.

Ridemmo per la battuta un po’ speranzosa di Marta, Giulia invece la fulminò con lo sguardo.

Le mie amiche avevano scelto il dvd da guardare quando io stavo canticchiando da sola. Giulia, dopo aver messo il dvd nel lettore, tornò a sedersi. Partirono i titoli di coda, era un film comico con Massimo Boldi che non avevo ancora visto: Natale a Miami. Mi scordai tutte le preoccupazioni che vagavano nei miei pensieri, il film era davvero divertente.

Finito il film, il padre di Marta venne a prenderla per accompagnarla a casa e mi offrì un passaggio. Salutai il resto del gruppo e m’incamminai verso l’auto. Non appena uscii dalla villa di Giulia, mi accorsi che il tuono aveva provocato qualcosa di grave. L’acqua scorreva nella strada e tronchi d'albero intralciavano il traffico. Era mai possibile in un periodo quasi estivo tale disastro?

Non avevo mai visto niente di simile, sembrava che la natura si fosse scatenata.

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<<L’avrà sentito certamente>>, disse Gabriel con un tono di

preoccupazione.

<<Non voglio che soffra, basta>>. Mi alzai dal divano e gli ringhiai contro. Non volevo che lei soffrisse ancora. La data dell’incontro si

stava avvicinando e la natura manifestava il caos per metterci fretta. Avrebbe scatenato la sua forza sino al momento del nostro incontro.

<<Dopo la prova ci sarà l’incontro, così è deciso>>, stabilì Gabriel. Un tuono riecheggiò nell’ampia sala. <<Quando?>>, chiesi, agitato per la sorpresa. <<La notte successiva>>.

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Un altro tuono, molto rumoroso stavolta, fece vibrare i vetri e poi cedette il posto a un silenzio tombale. La pioggia era cessata e anche il temporale.

La data fissata da Gabriel era quella decisiva. Era stato stabilito e ora tutto avrebbe avuto inizio. Mi chiesi se il nostro nemico fosse all’oscuro dei segnali della natura. Se lo avesse saputo, avrebbe tentato di recuperare il tempo perduto attaccando lei.

Gabriel mi fissò con gli occhi sbarrati: aveva ascoltato i miei pensieri. <<La terrò d’occhio, ho bisogno del vostro aiuto>>. <<Noi siamo con te!>>, disse Thomas, pronto a una nuova sfida. <<Non mi diverto da parecchio tempo>>, aggiunse Stefano. <<Spero che il divertimento non riguardi la protezione di lei o dopo

potrei divertirmi io con voi>>, ringhiai, poi mi alzai e corsi fuori dalla porta, veloce e agile come solo un vampiro poteva essere.

Le gocce d’acqua mi sfioravano il viso, ma non erano sufficienti per calmare la mia agitazione. Ero furioso. Desideravo essere io il suo protettore, ma gli altri mi avrebbero impedito di avvicinarmi a lei. La rabbia mi accecava.

Un cavallo si trovava nel nostro giardino, purtroppo oramai avevo perso il controllo. Distavo dieci metri da lui, balzai e lo attaccai immediatamente.

Avevo placato un poco la mia furia, perciò tornai a casa sporco di fango, acqua e sangue. Era vietato attaccare animali di questo genere, perciò nascosi ai miei famigliari l’oggetto della mia caccia.

Salii di sopra, mi lavai e poi indossai qualcosa di comodo. Guardai verso l’esterno, il sole stava sorgendo e il cielo si rischiarava lentamente assumendo sfumature di azzurro, arancione e rosa.

Mia sorella cominciò a gridare furiosa, istintivamente scattai dal letto ponendomi in posizione di difesa. In meno di un secondo, scesi le scale per piazzarmi davanti a lei, pronto a difenderla. Ringhiai per avvisare il nemico, ma in casa non c’era nessun altro vampiro. Tutti erano stranamente tranquilli. Sospirai e mi voltai verso Holly.

<<Perché hai urlato?>>, le chiesi confuso. Mi guardai intorno: Holly aveva frantumato i vetri delle finestre e i

vasi con la sua voce. Mia madre la guardava furiosa, Thomas e Stefano invece sghignazzavano.

<<Chi…>>, s’interruppe sibilando, <<chi ha osato?>>, domandò.

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<<Qualcuno questa notte ha bevuto un cocktail di cavallo purosangue!>>, disse furiosa e poi ringhiò ancora una volta.

Deglutii e mi chiesi da quanto tempo possedesse quel cavallo tanto delizioso. Thomas e Stefano avevano capito che ero io il colpevole, lo capivo dalle loro occhiate.

<<Se nessuno sputa il rospo continuo a urlare!>>, ci minacciò lei. Mi schiarii la voce e mi nascosi dietro il divano. <<Era nel posto sbagliato al momento sbagliato>>, dissi con

nervosismo. <<Cioè, per lui era il momento e il posto sbagliato>>, aggiunsi.

Thomas riprese a ridere mentre Stefano corse dietro Holly per bloccarla. Lei mi avrebbe attaccato e non avrei avuto scampo.

<<Da te non me lo sarei mai aspettata>>, disse delusa, tentando con ostinata determinazione di liberarsi dalla morsa ferrea di Stefano. <<Lasciami andare!>>, ringhiò.

<<Dai smettetela, Holly per favore non urlare più>>, disse mia madre. <<Posso far portare ora i vetri nuovi?>>, chiese per sicurezza.

<<Sì>>, ringhiò Holly. <<Scusami Holly>>, balbettai. Cercai di avvicinarmi, ma la tigre infuriata feriva l’aria, era ancora

pericolosa. Dopo qualche secondo sospirò e abbandonò le braccia in segno di resa.

<<Questa te la lascio passare ma mi devi un favore>>. Sbiancai. Forse sarebbe stato meglio lasciare che non mi perdonasse.

Thomas, che aveva capito subito il mio pensiero, rincominciò a ridere. Stefano allentò la presa e Holly cascò a terra sbattendo il sedere e provocando un rumore molto forte.

Mio padre arrivò di corsa in casa col nuovo mobilio, nell’arco di tre minuti i vetri tornarono integri al loro posto e dei vasi di cristallo sostituirono quelli rotti. Non era sicuro tenere oggetti fragili in casa, Holly era come un elefante in una gioielleria.

Risi tra me e me, divertito dalla situazione, ma l’agitazione per l’incontro tornò a divorarmi. La sua assenza mi faceva soffrire, non ero più in grado di aspettare.

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Non riuscivo più a trovare una spiegazione naturale, ogni strano evento che si era verificato non aveva avuto una logica. Provavo spesso delle sensazioni molto strane e inspiegabili, e una di queste mi turbava più delle altre. Era come se dovessi aspettare qualcuno, una persona importante per me. Era qualcuno che mi stava cercando, ne ero sicura.

<<Ciao>>, salutai mia madre scendendo dall’auto. <<Buona giornata>>, rispose dolcemente lei. <<Grazie, anche a te>>. Le sorrisi. L’evento atmosferico aveva causato vari danni, di conseguenza le

ferrovie erano bloccate. Era l’ultimo giorno di scuola e, anche se le corse del treno erano state sospese, non potevo assentarmi. Non potevo abbandonare le mie care compagne di classe oggi.

Salii le scale lentamente, raggiunsi l’ultimo gradino e sbuffai. Entrai in classe, la professoressa Manca di geografia era già presente. I miei compagni non erano al loro posto, era scontato che l’ultimo giorno ci sarebbe stato disordine. Mi sedetti al mio posto, accanto a me c’era Eleonora, di fronte e con le sedie voltate verso il mio banco c’erano Jessica e Giada.

<<Ciao>>, salutai le mie compagne con un sorriso raggiante, poi posai la borsa semivuota nel banco e mi sfilai la felpa, in classe c’era caldo.

Le mie compagne mi accolsero con entusiasmo, poi tornarono all’argomento triste delle loro discussioni. L’evento della scorsa notte aveva causato dei danni anche a Cagliari.

<<Un po’ di silenzio per cortesia>>, ci rimproverò la professoressa. <<Non ha senso fare lezione oggi, ma non c’è bisogno di fare tutto questo caos>>, concluse distrattamente mentre sfogliava il giornale.

Una mia compagna intervenne: <<Prof ha visto che disastro stanotte?>>. Domanda sciocca. <<Sì, pensavo appunto di parlare di questo oggi>>. La mia compagna sorrise, orgogliosa per via delle attenzioni ricevute

dall’insegnante. Scossi la testa, schifata. <<Ho portato qualche giornale, a quanto pare ciò che è successo

stanotte è accaduto anche altrove, anche in maniera più devastante>>, annunciò preoccupata la professoressa.

Sussultai e mi alzai di fretta per prendere un giornale dalla cattedra.

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<<Ely, stai bene?>>, mi chiese lei. <<Sì>>. Risposta automatica. <<Non devi preoccuparti, sarai promossa sicuramente>>, mi disse

premurosa, convinta che quella fosse la mia preoccupazione. <<Sono solo un po’ preoccupata per ciò che sta succedendo>>,

confessai. <<Certo, ma ormai è passato>>, disse lei. <<Lei è convinta che non riaccadrà niente di simile? Il mio paese era

devastato>>, alzai il tono di voce, preoccupata. Avevo capito che tutto era collegato. Gli eventi atmosferici erano la manifestazione di un evento che presto sarebbe accaduto.

La professoressa mi consegnò un giornale. Non avrei trovato la risposta che cercavo, ma solo altre fonti di preoccupazione. Cosa sarebbe accaduto ora?

Tornai al mio posto e cominciai a leggere il quotidiano, mentre le mie amiche mi guardavano ansiose. Dopo pochi minuti passai il giornale a Eleonora, non c’era nulla che già non sapessi in quei brevi articoli.

La campanella della seconda ora suonò, annunciando le due terribili ore di storia, ma a sorpresa entrò la bidella in classe per informarci dell’assenza del professore. Per poco non ci alzammo a fare la ola. Uscimmo tutti dalla classe, camminando verso il cortile. Io e le mie compagne più care ci sistemammo nei gradini della scala antincendio.

<<Festeggiamo l’ultimo giorno?>>, chiese Giada. <<Spero che nei festeggiamenti non rientrino cibi con troppe

calorie>>, disse Jessica, preoccupata per la sua dieta. Alzai gli occhi al cielo, la sua determinazione sulla dieta, presente in

gran parte nei momenti di compagnia, era fastidiosa. Mi avvicinai al chiosco con Giada e presi una busta di patatine e una

Coca Cola. Aprii il sacchetto di patatine che sgranocchiai durante la passeggiata nel cortile.

<<Che sole!>>. Come sempre, starnutii quattro o cinque volte. Le mie amiche risero, io dicevo sempre che ero allergica al sole.

<<Che prof c’è adesso?>>, chiese Jessica. <<Albani>>, risposi. <<Uffa>>, si lamentò Giada. <<Non ho voglia di fare lezione, figurati ginnastica>>, si lamentò

pure Jessica.

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<<Jessy, sai quante calorie potresti sottrarre al tuo calcolo giornaliero se facessi educazione fisica?>>, la rimproverai e tutte risero, ad eccezione di Jessica che scosse la testa.

<<Quest’estate dobbiamo vederci tutte, mi raccomando>>, ci avvisò lei.

<<Certo, andiamo al mare>>, disse Giada con entusiasmo. La campanella che annunciava la fine della ricreazione suonò e

tornammo in classe frettolosamente. Veronica sbucò da dietro la porta e mi fece sobbalzare, a volte sembrava una pazza, ma era troppo divertente e buona. Si avvicinò al nostro banco e allungò un braccio verso Giada.

<<Mi fai i grattini?>>, chiese Veronica, facendo un’espressione da cucciolo, ma fu interrotta dall’arrivo del professore.

<<Buongiorno>>, disse lui. Veronica sbuffò e corse verso il professore. <<Ciao proffe!>>, disse con tono divertito, poi gli toccò la testa

pelata, scherzando sulla sua calvizia. Veronica era una ragazza molto divertente, era capace di fare qualsiasi

cosa senza preoccuparsi delle conseguenze. Le due ore successive passarono presto, purtroppo il professore

dell’ultima ora decise di fare lezione per tormentarci sino all’ultimo minuto. Ci portò in laboratorio a fare qualche esercizio al computer, ma ci lasciò gli ultimi dieci minuti di lezione per i saluti. Abbandonai la mia postazione al computer e corsi verso Giada, l’abbracciai e le promisi un’uscita insieme durante l’estate. Andai a salutare Jessica ed Eleonora e le abbracciai con forza. Certe situazioni mi commuovevano, perciò provai a impedire alle lacrime di scendere giù. L'anno scolastico finalmente era finito, le mie care compagne mi sarebbero mancate tantissimo.

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Continua…

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