~primavera~ · il termine primavera nasce dall’unione delle parole primus, cioè primo e ver, che...

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~PrimaVera~ La rinascita nelle opere di nove artisti delle Valli del Noce

Comune di Sanzeno

Provincia Autonoma di Trento Comunità della Val di Non

Con il sostegno di:

~PrimaVera~La rinascita nelle opere di nove artisti delle Valli del Noce

201713 MAGGIO – 18 GIUGNO

CURATELA E COORDINAMENTOPer il Centro Culturale d’AnauniaLucia Barison

PARTNER DEL CENTRO CULTURALE D’ANAUNIAProvincia Autonoma di TrentoComunità della Val di NonComune di SanzenoAssociazione Culturale G. B. LampiConsorzio BIM dell’AdigeAzienda per il Turismo della Val di Non

ORARI E APERTURA DELLA MOSTRA E DELLE DIMOREDal venerdì alla domenica dalle 15.00 alle 19.00

ARTISTI E DIMOREDomenica 28 maggio dalle 16.00 alle 18.00 gli artisti saranno presenti nelle dimore. Visite guidate nelle dimore a rotazione la domenica dalle 16.00 alle 18.00Casa de Gentili (14/05)Casa Campia (21/05), Casa da Marta (4/06), Palazzo Morenberg (11/06), Palazzo Endrici (18/06)

CON IL SOSTEGNO DIMelinda

PALAZZI STORICI COINVOLTICasa de Gentili - SanzenoCasa da Marta – CoredoCasa Campia – Revò Palazzo Morenberg – SarnonicoPalazzo Endrici – Don

SAGGI DEL CATALOGOPietro MarsilliMarcello NeblGiusi Campisi & Alessandra Benacchio

IMMAGINI - SAGGIPer la gentile concessione di utilizzo delle immagini per i saggi del catalogo si ringrazia:MART - Archivio Fotografico e MediatecaITAS AssicurazioniLuciano Zanoni - ArtistaWurmkos

DESCRIZIONI DELLE DIMOREA cura delle amministrazioni comunali delle dimore e del Centro Culturale d’Anaunia

ARTISTIFederico SeppiDavid Aaron AngeliGiorgio ContaFelix LalùLuca MarignoniRomina ZanonBruno FantelliAlessia CarliElisa Zeni

BIOGRAFIE DEGLI ARTISTIA cura degli artisti

IMMAGINI DELLE OPEREA cura degli artisti

COMUNICAZIONE E GRAFICACentro Culturale d’Anaunia

GRAFICA CATALOGOCinzia Morandi

PER INFO:www.centroculturaledanaunia.it Facebook/Centro Culturale d’Anaunia [email protected]

Primavera: la rinascita nelle opere di 9 artisti delle Valli del Noce nasce con il duplice obbiettivo di far conoscere e rendere fruibili, in maniera coordinata, anche attraverso l’impiego di persone inserite nell’intervento 19 e di volon-tari, le dimore gentilizie ed alcuni palazzi storici della Val di Non (Casa da Marta a Coredo, Casa Campia a Revò, Casa de Gentili a Sanzeno, Palazzo Morenberg a Sarnonico e Palazzo Endrici a Don), nonché di dare visibilità e valorizzare il lavoro ed il talento di giovani artisti delle Valli del Noce che costituiscono un importante patrimonio culturale presente e futuro (Federico Seppi, Romina Zanon, Bruno Fantelli, Elisa Zeni, Luca Marignoni, Felix Lalù, Alessia Carli, David Aaron Angeli, Giorgio Conta).Grazie alla disponibilità e sensibilità delle Amministrazioni Comunali coinvolte (Predaia, Sanzeno, Revò, Sarnonico, Amblar-Don), al sostegno della Comunità della Val di Non, della Provincia Autonoma di Trento, del B.I.M. dell’Adige, dell’Azienda per il Turismo Val di Non, delle Casse Rurali e di Melinda, nonché all’attività di organizzazione e coor-dinamento del Centro Culturale d’Anaunia, si è quindi realizzata una mostra diffusa sul territorio che unisce storia e contemporaneità in un connubio di sicuro interesse.Con l’augurio che il pubblico possa apprezzare quanto proposto, un grazie a tutti i soggetti che hanno creduto in questo progetto ed hanno fattivamente collaborato alla sua realizzazione.

Fabrizio BorzagaAssessore alla cultura della Comunità della Val di Non

Il termine primavera nasce dall’unione delle parole primus, cioè primo e ver, che deriva dalla radice sanscrita vas, che significa “splendere, illuminare, ardere”. È la stagione in cui la natura rinasce e sboccia dopo il torpore ed il fred-do invernale, il clima è più mite, gemme e nuovi fiori si schiudono e l’erba si infoltisce. Una stagione che con il tempo è diventata sinonimo di altri importanti significati quali la rinascita, la fertilità, l’età giovanile intesa come la prima e la più bella stagione della vita, il periodo iniziale nell’esistenza di uno stato o di una nazione, e per metonimia, un anno di vita di una persona. Delle quattro stagioni questa è quella che, nei secoli, ha ispirato di più gli artisti.“Primavera” è il titolo della mostra ideata e promossa dal Centro Culturale d’Anaunia Casa de Gentili che ha inter-rogato nove giovani artisti contemporanei delle Valli del Noce (Val di Non e Val di Sole) sul molteplice significato racchiuso nella stagione della rinascita per antonomasia. Attraverso la sensibilità di questi artisti è stato possibile disegnare un vero e proprio fil rouge tra cinque delle dimore storiche che la Val di Non può vantare quale patrimonio di inestimabile valore storico, artistico e sociale che i partner del Centro Culturale d’Anaunia – Provincia Autonoma di Trento, Comunità della Val di Non, Comune di Sanzeno, Associazione Culturale G. B. Lampi, BIM dell’Adige e Azienda per il Turismo Val di Non - da anni si impegnano a valorizzare con iniziative a carattere sovraccomunale come questa “mostra d’arte diffusa” su gran parte del territorio della Val di Non.Un percorso a tappe tra i palazzi più antichi e suggestivi della valle, una “caccia al tesoro” tra le splendide opere di artisti contemporanei che hanno messo in mostra la loro intima visione della tematica rigeneratrice della stagione dell’Inizio.Una mostra che può essere visitata a tappe o tutta d’un fiato raggiungendo cinque dimore storiche di questo per-corso espositivo “diffuso”: Casa de Gentili a Sanzeno, Casa da Marta a Coredo, Casa Campia a Revò, Palazzo Morenberg a Sarnonico e Palazzo Endrici a Don. Catalogo alla mano (il “catalogo/guida” può essere ritirato in ogni dimora e presso ApT Val di Non) inizia la caccia al tesoro in Val di Non. Ogni dimora è uno scrigno prezioso di perle rare: nove artisti delle valli del Noce custoditi – per un mese – nel patrimonio storico, artistico e architettonico, secolare, della valle.Nell’ambita sede espositiva di Casa de Gentili, presso il comune di Sanzeno, l’artista noneso Federico Seppi esporrà con i due solandri (oriundi della Val di Sole) Giorgio Conta e David Aaron Angeli. La costante ricerca di riappropriazione fisica degli elementi originari della natura di Seppi convivrà, per un mese, con la rigidità della ma-teria dei calchi in gesso e l’attenzione nel cogliere dettagli intimi del soggetto ritratto di Conta e le creazioni derivanti da un ricco immaginario di simboli, colori, figure zoomorfe e antropomorfe, sacre, profane e totemiche di Angeli. Proseguendo, a Casa da Marta (distante da Casa de Gentili 9 minuti e 7 km di macchina), Felix Lalù animerà il piano nobile della trifora dello storico palazzo di Coredo attraverso la sua poetica ironica e iconoclasta, spesso mistificatoria, ideata per suscitare domande… più che dare risposte.Proseguendo, Palazzo Morenberg a Sarnonico (13 minuti e 9,7 km da Sanzeno) ospiterà le opere del terzo artista solandro, Bruno Fantelli, invitato dalla Val di Non ad esporre con Alessia Carli. La visione della natura tutt’altro che cupa di Fantelli si alternerà - tra boiserie e affreschi di notevole pregio e fattura - con la ricerca artistica della Carli incentrata sul concetto di rovesciamento. A sei minuti di macchina (6 minuti 3,7 km) da Sarnonico, Don accoglierà le tele di Elisa Zeni a piano terra del “Palazzo del Vescovo Endrici” visitabile tutto, eccezionalmente, per l’occasione. Le opere della Zeni hanno origine da un rapporto contemplativo ed empatico con la Natura, in particolare con l’Acqua attraverso la quale l’artista riflette il fluire dei propri pensieri, i moti, i turbamenti dell’inconscio.Il percorso può concludersi, o iniziare a seconda del punto di partenza di questo piccolo grande viaggio di scoperta della Val di Non, a Revò dove, a Casa Campia (10 minuti 6,5 km da Casa de Gentili oppure 21 minuti 14.6 km da Sarnonico), Luca Marignoni e Romina Zanon si inseriranno degli ampi spazi della dimora con installazioni e opere fotografiche. La poetica di contrapposizione e dualità del primo dialogherà con la fotografia della seconda concepita non come strumento di documentazione e registrazione del reale, bensì di narrazione e costruzione di racconti visivi che, insieme, sveleranno gli scorci più suggestivi del palazzo revodano.Un totale di solamente circa 30 chilometri separa, o unisce, le dimore storiche della Val di Non raggiungibili anche a piedi intraprendendo, ad esempio, il suggestivo percorso del Cammino Jacopeo d’Anaunia. L’auspicio è che, catalogo alla mano, il viaggio abbia inizio. Da dove e come non importa. Coredo, Sanzeno, Revò, Sarnonico e Don sono raggiungibili da ogni dove e tra loro, altre splendide risorse artistiche e naturalistiche (canyon, forre, eremi e chiese) possono rendere il tragitto ancora più entusiasmante e stimolante di quanto, ne siamo certi, non lo sia già.

Centro Culturale d’Anaunia Casa de Gentili - Sanzeno

Pietro MarsilliMarcello NeblGiusi Campisi & Alessandra Benacchio

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Casa de Gentili29

Saluto Assessore alla CulturaStoria della dimoraArtisti: Federico Seppi Giorgio Conta David Aaron Angeli

Casa Campia59

Saluto Assessore alla CulturaStoria della dimoraArtisti:Luca MarignoniRomina Zanon

Sommario

Saggi introduttivi

Sanzeno

Revò

Palazzo Morenberg 95Saluto Assessore alla Cultura

Storia della dimoraArtisti:

Bruno Fantelli Alessia Carli

Palazzo Endrici 117Saluto Assessore alla Cultura

Storia della dimoraArtista:

Elisa Zeni

Casa da Marta 81Saluto Assessore alla Cultura

Storia della dimoraArtista:

Felix Lalù

Coredo

Sarnonico

Don

~Saggi~Pietro MarsilliMarcello Nebl

Giusi Campisi & Alessandra Benacchio

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~Immagini della~Primavera~Pietro Marsilli

l risveglio della natura dopo il buio dell’inverno ha costantemente affascinato gli artisti. Conquistati dai colori, dalla nuova luce e dal verde intenso delle foglie, in molti hanno celebrato questo momento come una festa capace di arricchire l’animo umano di buoni sentimenti. Volutamente assai diversificate, sono state qui scelte alcune decine di immagini della Primavera afferenti alla pittura occidentale in tutta la sua ampiezza. Si tratta, ovvio, di un ambito temporale e spaziale di riferimento che sarebbe troppo ampio da indagare, ma qui si ha solo l’intenzione di, attraverso tali testimonianze, esplorare o, piuttosto, saggiare la variegata fortuna di tale tematica in alcune della miriade delle sue sfaccettature.Quella che viene considerata la prima testimonianza iconografica della Primavera è il piccolo affresco, conosciuto anche col nome di Flora, conservato nel Museo archeologico nazionale di Napoli. Risale a circa la metà del I secolo d.C., all’inizio dell’età imperiale romana, e proviene da un cubicolo della raffi-natissima Villa Arianna nell’antica Stabiae (l’attuale Castellammare di Stabia), città che venne distrutta

insieme a Pompei ed Ercolano durante l’eruzione del Vesuvio il 24 agosto del 79. Su un fondo verde acqua, si tratta di una leggiadra figura femminile stante, colta di spalle, scalza, elegantemente drappeggiata, è intenta con la destra a raccogliere un fiore da un cespo mentre con la sinistra regge e stringe a sé una cornucopia. È forse il primo tenta-tivo di impersonificazione legato alle stagioni e alle divinità ad esse associate.La cosiddetta Domus dei Tappeti di Pietra si trova in pieno centro a Ravenna, all’interno della settecentesca chiesa di Santa Eufemia, a circa tre metri sotto il livello stradale. Inaugurata nel 2002, costituisce uno dei più importanti siti archeologici italiani scoperti negli ultimi decenni. Dell’originario edificio privato di età imperiale romana estrema, metà del V secolo d.C., sono rimasti numerosi ambienti pavimentati con mosaici policromi e marmi decorati con elementi geometrici, floreali e figurativi. Più unica che rara la Danza dei Geni delle Quattro Stagioni che mostra i quattro Geni, chiaramente caratterizzati dalle acconciature e dalle fogge e colori dei vestiti, danzare un girotondo al ritmo melo-dico di un flauto di Pan suonato da un quinto personaggio, un musico. La Primavera è vista come la stagione della natura, del rifiorimento e delle rinascite. I suoi colori, corroborati dall’aria nuova dopo il letargo invernale, segnano un risveglio che sfocerà nell’estate.Emblema della Primavera è internazionalmente considerato l’omonimo grande dipinto di Sandro Botticelli (1445-1510), datato tra il 1477 e il 1478, ma per altri Autori del 1482, conservato alla Galleria degli Uffizi a Firenze. Ca-polavoro dell’artista, è uno dei più famosi dipinti di tutto il Rinascimento. In esso si ritrovano ancora come soggetto prediletto le divinità pagane. Il suo straordinario fascino è legato anche all’aura di mistero che circonda l’opera, il cui significato più profondo non è forse ancora stato completamente svelato. Come altri grandi capolavori del Rinascimento, la Primavera sottende diversi modi interpretativi e livelli di lettura. Quantomeno tre, che peraltro non si escludono l’un l’altro: uno mitologico, legato ai soggetti rappresentati; uno filosofico, legato all’accademia neopla-tonica; uno storico-dinastico, legato alle vicende contemporanee e alla gratificazione del committente, Lorenzo de’ Medici, e della sua famiglia.Flora è un dipinto a olio su tela di Tiziano Vecellio databile al 1515 circa conservato alla Galleria degli Uffizi di Firen-ze. Una donna dalla bellezza ideale è ritratta a mezza figura, vestita di un’ampia camicia bianca pieghettata che le ricade dalla spalla sinistra, scoprendole quasi interamente un seno. Si tratta di un genere di largo successo in area veneziana derivato dal prototipo della Laura di Giorgione. Con una mano tiene il mantello rosato, che evidenzia l’in-carnato nudo soprastante, con l’altra una manciata di foglie e fiori. L’opera dovette godere di un notevole successo fin dalla sua creazione, figurando in numerose incisioni cinquecentesche. Nel 1824 l’allora direttore della Galleria degli Uffizi fu costretto a porre la regola per cui non vi potessero stare davanti più di quattro copisti per volta, con turni di attesa che si allungarono di mesi.Dopo un secolo dalla Primavera di Botticelli troviamo ancora diversi autori fortemente legati alla committenza nobilia-

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re; è il caso di Giuseppe Arcimboldo (1526-1593), che a Vienna divenne pittore di corte del principe Massimiliano II d’Asburgo. Fra le sue opere più celebri sono proprio le allegorie delle quattro stagioni. La Primavera (una versione a Vienna, Kunsthistorisches Museum, e un’altra a Madrid, Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, entrambe ad olio su tavola del 1563), come la maggior parte dei dipinti dell’Arcimboldo è una sorta di testa composta da diversi elementi collegati metaforicamente al soggetto rappresentato, in modo da desublimare il ritratto stesso; nel caso della Primavera, il ritratto raffigura una donna composta da una grande varietà di fiori.Ancora più interessante, sempre di Arcimboldo, L’imperatore Rodolfo II come Vertumno, del 1590/1591, olio su tavola, Castello di Skokloster, Håbo, Stoccolma). Vertumno, chiamato anche Vertunno (in latino Vertumnus o Vortu-mnus), era una divinità romana di origine etrusca che impersonificava il concetto stesso del mutamento, in specifico del mutamento di stagione e presiedeva alla maturazione dei frutti. Era, a qualche titolo, protettore della vegetazione e, più particolarmente, degli alberi da frutto. Gli si attribuiva il dono di trasformarsi in tutte le forme che voleva. Il suo nome deriva dalla stessa radice indoeuropea del verbo latino vĕrtere (girare, cambiare).Del secolo successivo ricordiamo un pittore amante dei fiori tanto, addirittura, da essere spesso ricordato come Mario de’ fiori: il romano Mario Nuzzi (1603-1673). Ben noti un suo Autoritratto con valletto e fiori ove si presenta all’opera e una Primavera dipinta a quattro mani col romano Filippo Luzi (1623-1694), del 1659, conservata ad Aric-

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cia in Palazzo Chigi, oltre a dozzine di Vaso di fiori. Dell’olandese Rembrandt (1606-1669), ancora legato alle personificazioni e alle divinità, abbiamo due diversi dipinti raffiguranti lo stesso soggetto, Saskia in veste di Flora. La versione del 1634 è conservata a San Pietroburgo, presso il Museo dell’Ermitage. Dal fondo scuro della tela emerge una giovane donna, ritratta di tre quarti. Il suo vestito è confezio-nato con del prezioso tessuto color verde fieno, di raso a tinta unica e un corpetto damascato con ampie maniche color marroncino, arricchito da ricami. I suoi folti e lunghi capelli sono agghindati con dei fiori primaverili che rivestono anche lo scettro che tiene nella mano destra; con la sinistra tiene sollevato un lembo della sua veste. Il capo è leggermente reclinato e gli occhi perduti nel vuoto. Viene raffigurata nei panni di Flora, dea dei fiori e della primavera, che a quel tempo in Olanda era stata assunta come protettrice delle prostitute, ma che in questo dipinto deve essere letta come protettrice della maternità. Corrisponde a un disegno conservato a Berlino su cui compare la scritta “Questo è il ritratto di mia moglie eseguito quando aveva 21 anni, il giorno dopo le nostre nozze, l’8 giugno 1633”. Nel 1635 il pittore olandese rappresenta di nuovo la dea romana della primavera e della fertilità utilizzando ancora come modella sua moglie che però, emblematicamente, è qui colta in modo assai vistoso in dolce attesa: aspetta il loro primo figlio, Rumbartus. Si tratta di un’opera conservata a Londra alla National Gallery. L’impostazione della figura richiama quella della già ricor-data Flora di Tiziano, che in quegli anni si trovava ad Amsterdam: Rembrandt ebbe dunque modo di vederla dal vero.

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Di tema prettamente allegorico è anche L’Allegoria della Primavera (Milano, Collezione d’arte della Fondazione Cari-plo) eseguita da Bartolomeo Guidobono (1654-1709) nel 1705 in qualità di pittore di corte dei Savoia. Stimolato dagli esempi del Rococò francese, il sacerdote savonese arricchisce i suoi soggetti di dettagli eleganti e di una leggerezza compositiva che prelude al trionfo del Rococò in Italia. Proprio questa cura compositiva, l’insistenza nella descrizione dei dettagli e il soggetto trattato in maniera così accattivante, fanno di questo dipinto uno fra i suoi capolavori, in cui sembra cogliersi, nello sguardo malinconico della dea, la consapevolezza di una felicità fugace, di una vita destinata ad avviarsi, lungo la prospettiva del viale alberato, ad un finale dall’esito indefinito.Alla generazione successiva appartiene la pittrice veneziana Rosalba Carriera (1673-1757) della quale sono noti al riguardo un acquarello di Flora (Monaco, Bayerisches Nationalmuseum) e almeno due pastelli di Primavera (a Di-gione, Musée des Beaux Arts e a Dublino, National Gallery of Ireland). Le raffigurazioni si limitano sempre a giovani donne colte a mezzo busto, eteree, rese con colori pastello e sguardi trasognati.Il Trionfo di Flora di Giambattista Tiepolo (1696-1770) è un piccolo olio su tela, databile al 1743 circa, conservato al M. H. de Young Memorial Museum (Fine Arts Museums) di San Francisco. La freschezza di questa raffigurazione mitologica è assai più raffinata di quella di altri dipinti del maestro veneziano coevi. Probabilmente influirono, posi-tivamente, al riguardo le intromissioni del conte Francesco Algarotti, con i suoi eruditi orientamenti e il suo delicato senso estetico – un po’ francesizzante, che aveva commissionato a Tiepolo l’opera per il conte Heinrich von Brühl, il quale l’acquistò, con altre, per Augusto III Wettin re di Polonia e principe elettore di Sassonia.Il Rococò francese ebbe in Jean-Honoré Fragonard (1732-1806) il massimo esponente. I suoi dipinti sono caratte-rizzati da un particolare uso della luce la cui rarefazione viene utilizzata per rendere la leggerezza di alcuni elementi, come i panneggi o le bianche acconciature femminili. Per il suo stesso stile di dipingere e per i soggetti e i luoghi scelti, molte opere di Fragonard ricordano l’atmosfera primaverile. Quella dichiaratamente dedicata alla stagione floreale è Primavera, del 1748, nota anche come Due putti con quaderno di musica, di proprietà privata a New York. Di Francisco Goya (1746-1828) è conosciuto un ritratto femminile quale Primavera, ma al nostro tema afferisce an-che, ed è molto più famoso, Le fioraie, il festoso olio su tela del 1786-1787 conservato al museo del Prado a Madrid. Goya ritrae la primavera con grande spigliatezza iconografica, raffigurando una ragazza genuflessa che porge un fiore bianco alla donna al centro, la quale a sua volta tiene una bambina per mano. Dietro di lei vi è un uomo che, sorridendo, poggia un dito sulle sue labbra, pregando lo spettatore di non rivelare la sua presenza alla donna che le sta innanzi, alla quale fra pochi attimi offrirà un leprotto bianco, animale tradizionalmente associato alla fecondità e alla primavera. (Volendone proporre un esempio storico ricordiamo il leprotto bianco insistentemente presente nel mese di Aprile affrescato da Francesco del Cossa nel 1470 nel ciclo di Palazzo Schifanoia a Ferrara). Passa un secolo: Primavera, “Jeanne de Marsy”, del 1881, è un piccolo olio su tela conservato a New York nella collezione Harry Payne Bingham, del francese Edouard Manet. Di gusto, da un certo punto di vista, un po’ rétro, mostra una bella, giovane donna elegantemente vestita di bianco écru, con l’ombrellino sulla sua spalla sinistra e i lunghi guanti gialli ben calzati, è una vera e propria allegoria della stagione dei fiori. È ampiamente acquisito come, in un XIX secolo denso di avanzamenti e resistenze, operano diverse personalità artistiche che contribuiscono appunto a definire la complessa e articolata visione, in specifico, degli ultimi decenni del secolo. Una di queste fu proprio Edouard Manet, che mai aderì in pieno all’Impressionismo ma che per molti versi ne fu certamente un precursore. Geniale innovatore, al contempo fu legato, come in questa tela, a una pittura tradizionalmente romantica. Un’attenzione alla natura primaverile maggiore di quanto mai si era visto è quella ad essa rivolta da Alfred Sisley (1839-1899); suo, fra i tanti, Primavera vicino a Parigi. Meli in fiore, del 1879, dove l’artista impressionista ci descrive perfettamente il paesaggio e i colori della natura e l’uomo lo si percepisce soltanto perché in lontananza c’è una

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piccola abitazione.Con lui i tanti maestri riconducibili all’Impressionismo, movimento che più di ogni altro nella sua pittura “en plein air” descrive al meglio la stagione primaverile e i suoi topoi, primi fra tutti Renoir e Monet.Di Auguste Renoir (1841-1919), nello specifico sono da ricordare alcuni olio su tela di soggetto primaverile conservati nell’ex palazzo del collezionista d’arte Oskar Reinhart a Winterthur, in Svizzera.Il parigino Claude Monet (1840-1926) ha una produzione vastissima. Diverse opere rendono l’idea di come l’uomo possa essere sì soggetto del dipinto ma a condizione di fondersi con la natura tanto da perdersi in essa. Così Prima-vera, del 1886, in cui le due sagome sedute nel prato si confondono con gli alberi in fiori che li sovrastano. Ancora, Campi in Primavera, del 1887, in cui le figure sembrano emergere dal mare d’erba che le circonda. Di sensazioni simili, di abbandono totale alla natura, di connubio uomo-natura, è sicuramente pure Campo di fiori, del 1872 (Bal-timora, The Walters Art Museum), nel quale Monet rappresenta una giovane donna distesa in un prato fiorito. Le pennellate così evanescenti in alcuni punti e decise in altri ci fanno sentire parte stessa del momento raccontato.Nel diciannovesimo secolo la rappresentazione della Primavera cambia radicalmente. Non solo in Francia ma in tutta Europa le divinità non sono più al centro dell’attenzione degli artisti. Anche i diversi tentativi di impersonifica-zione vengono abbandonati, per prediligere soggetti legati alla vita quotidiana e quasi sempre campestri, immersi in un paesaggio così intenso da esprimere addirittura una tensione dinamica. Soprattutto, ma non solo, in virtù della rivoluzione impressionista.Arthur Hacker (1858-1919), è un pittore classico inglese che nel 1870 dipinge Les fleurs du printemps, raccontando la primavera con una scena bucolica; vi è ancora, come più volte nel passato, la presenza di una giovane donna, anche qui intenta a raccogliere fiori, ma l’attenzione ora si sposta sulla natura e sulle sensazioni che essa ci lascia. Per certi versi vicina alla rappresentazione di Hacker è quella del fiorentino Francesco Gioli (1846-1922) che nel 1879 dipinge la Primavera raccontandocela con la voce di una giovane donna che scambia i suoi pensieri con due fanciulli distesi in un prato fiorito. In pieno stile macchiaiolo, qui Gioli ci descrive nei minimi dettagli il paesaggio e le diverse varietà di fiori che circondano i personaggi.Simile all’impostazione colta nelle opere di Hacker e di Gioli è quella ravvisabile in opere dell’inglese Walter Crane (1845-1915), uno dei pionieri del Liberty, noto principalmente per le sue illustrazioni di libri per l’infanzia. La sua Primavera (1883) è molto vicina alle due appena citate: anche Crane sceglie di rappresentare una giovane donna che raccoglie fiori in un prato (inusitatamente ampio) e anche qui l’interesse per l’elemento floreale è molto forte.Nel tentativo, peraltro riuscito, di aggiornarsi e allinearsi alle istanze più innovative della “nuova” pittura venuta clamorosamente alla luce il 15 aprile 1874 nell’ atelier di Félix Nadar al n° 35 di Boulevard des Capucines, è chiaro che questi autori presentano ancora qualche reminescenza del passato. Quella che poneva al centro l’acritica im-pressione retinica fu però una stagione breve. Grande erede critico dell’Impressionismo è l’olandese Vincent Van Gogh (1853-1890). Il suo modo di raccontare la realtà, la sua voglia di mostrare il colore e la natura in tutta la sua forza prorompente lo rendono uno dei pittori più adatti a descrivere le emozioni e la stagione primaverile. Del 1887 è La pesca in primavera, il ponte di Clichy, qui la primavera oltre che dal titolo la si coglie dai colori della natura e dalla serenità della scena. Ancora più tradizionalmente primaverile potrebbe sembrare la Veduta di Arles con fiori in primo piano, del 1888. Qui il pittore olandese dà enorme rilievo ai fiori che sono in primo piano ma continua a raccontarci nei minimi dettagli anche tutti gli elementi del paesaggio e i rapidi passaggi di colore. Ai giaggioli violacei in primo piano fanno da con-trappunto i gialli ranuncoli; in tal modo l’accostamento dei complementari esalta i valori di luminosità del dipinto. Il medesimo effetto è cercato affogando i tetti rossi delle ultime case del paese nel verde degli alberi degli orti. Il cielo,

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luminosissimo, è frutto della sovrapposizione del celeste, del verde acqua e del violetto.Ulteriore dipinto di Van Gogh che ci racconta la primavera è Ramo di mandorlo fiorito, del febbraio 1890. Questa tela fu un regalo che lo stesso pittore fece al fratello Theo e alla moglie Johanna per la nascita del loro figlio, e dunque suo nipote, il suo primo nipote, nato il 31 gennaio 1890 e chiamato Vincent Willem come lui. Quale simbolo di vita, Van Gogh scelse i rami del mandorlo, uno dei primi alberi in fiore che, nella soleggiata Provenza dove all’epoca risiedeva, in quel febbraio annunciava l’imminente primavera. È uno dei tanti dipinti di Van Gogh che si concentrano su un unico tipo di fiore e analizzano con attenzione la sua armonia e come sempre il suo valore cromatico; l’opera è la rappresentazione di un ramo di mandorlo fiorito, dai petali bianchi, quasi perlacei, che si stagliano in un cielo blu, dalle sfumature turchesi.Dello stesso periodo, ma molto diverso dal postimpressionismo di Van Gogh, è il puntinismo del parigino George Seurat. La sua Veduta alla grande Jatte in primavera, del 1887, è ancora legata al vedutismo impressionista ma è molto più statica e serena. Molti sono ancora i tratti in comune con i vicini impressionisti; come il cromatismo ricco di infinite variazioni tonali che rende chiara e limpida l’atmosfera.Perfettamente coeva pure la vasta produzione dell’olandese Lawrence Alma-Tadema (1836-1912), che però abban-dona la natura e l’atmosfera olandese e francese e ritorna ad un classicismo quasi decadentista, a cui appartengono le opere mature che rappresentano scene di vita nell’antichità immaginarie quanto convincentemente credibili e languide. I suoi quadri sono stati definiti come una sorta galleria di oggetti archeologici perfettamente delineati, in sintonia con quella che era la cultura antiquaria e collezionista dell’epoca. Ricchi di reminescenze romantiche, sono spesso caratterizzati da una particolare luce, dall’atmosfera indolente e da soggetti preferibilmente femminili,

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così Promesse di primavera, o Fiori di primavera, del 1890. In Primavera (o più precisamente “Cerealia” nell’antica Roma), del 1894, il suo tocco “antico” è quanto mai evidente, l’antichità viene ammantata da uno sguardo edonistico e nostalgico; qui in particolare ritroviamo al massimo grado la minuzia e la ricercatezza del pittore nella resa dei materiali: oggetti preziosi e ricercati insieme a stoffe raffinate di cui riesce a rendere la consistenza e la qualità con incontestabile e sorprendente virtuosismo.La processione “fiorita” raccontata da Alma-Tadema è per certi versi simile a quella descritta dall’inglese Charles Daniel Ward (1872-1935) nell’Avanzare della Primavera, il grande olio su tela esposto alla Royal Academy di Londra, del 1905. Per questo dipinto sembra che il pittore si sia ispirato alla poesia pastorale di Virgilio, il grande scrittore romano della seconda metà del I secolo a.C., Publio Virgilio Marone autore delle Georgiche. Dopo un inverno grigio e triste, i fiori colorati, distribuiti dalle ninfe dei prati, portano un’allegria contagiosa. Una dolce musica nel vento, suo-nata dal piffero del giovane pastorello, apre il corteo delle fanciulle che procedono a piedi scalzi nell’erba e con fiori di lavanda tra i capelli. Anche l’amore sta per sbocciare in questo nuovo giorno che porterà l’avanzare della Primavera. Nel corso di tutto il XIX secolo il fiorire della borghesia urbana determinò una crescita mai vista prima di domanda di qua-dri da arredamento realizzati in abbondanza da autori accademici spesso, allora, molto apprezzati e quotati. Quello della Primavera fu uno dei temi più amati. In specifico sul finire dell’Ottocento la produzione aumentò, tutt’altro che univoca e uniforme, anche attraverso, da parte di diversi autori, recuperi e riproposte di temi e modalità che, erroneamente, si sa-rebbero creduti tramontatati e inattuali, e addirittura, in talune opere, la presenza di qualche tratto compositivo ingenuo.Anche se in modo telegrafico ricordiamone i principali. Il tedesco Franz Xaver Winterhalter (1805-1873) autore fra

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l’altro di Primavera. I preraffaelliti inglesi Sophie Gengembre Anderson (1823-1903) con Tempo di lillà, John Eve-rett Millais (1829-1896) con Meli in fiore, e John Collier (1850-1934) con Primavera. William Adolphe Bouguereau, francese appartenente alla cosiddetta corrente dell’Accademismo (1825- 1905), ha dipinto Primavera; Il ritorno della primavera (1886), Sogno di Primavera e Brezza primaverile. Lo svizzero di Basilea Arnold Böcklin (1827-1901), gran viaggiatore, è autore fra l’altro di Sera di primavera realizzata nel 1879 e conservata nel Museum of Fine Arts di Budapest, ma anche di Inno di primavera e di Sera di primavera. Merson Luc Olivier (1846-1920) ha dipinto Il risveglio di primavera; un altro francese, James Jacques Joseph Tissot (1836-1902) è autore di un’altra Primavera. Anche gli statunitensi all’epoca si affacciano, e prepotentemente, alla scena internazionale: primi Daniel Ridgway Knight (1839-1924) autore di Fioritura primaverile, William Merritt Chase (1849-1916) autore di Fiori di primavera, James Jebusa Shannon (1862-1923) autore di In primavera, Leon Kroll (1884-1974) autore di Primavera. Quasi tutte “primaverili” le tele di John William Waterhouse (1849-1917), di origine inglese, che amava dipingere giovani donne, emanatrici di freschezza e fascino. L’austriaco Hans Zaztka (1859-1945) è l’autore di Primavera e di Amore prima-verile. Da non dimenticare l’importantissimo artista “K.u.k.” maestro riconosciuto dell’Art Nouveau il boemo Alphonse Maria Mucha (1860-1939): è autore di Spirito di Primavera ma wanche, fra l’altro, della “primaverile” serie delle Pietre Preziose, in specifico Topazio, Rubino e Ametista. Lo svizzero ticinese Giovanni Giacometti (1868-1966) è l’autore di Primavera. Il russo Victor Borisov Musatov (1870-1905) è l’autore di Primavera; il suo conterraneo Kazimir Malevich (1878-1935) di due Primavera, del 1904 e del 1905. L’ungherese Ignac Ujvary (1880-1927) ha dipinto La sagra della primavera. Il polacco Konstanty Mackiewicz (1894-1985) Primavera.Fra gli italiani ricordiamo il napoletano Consalvo Carelli (1818-1900) e la sua Allegoria di primavera; il ferrarese Gaetano Previati (1852-1920), massimo rappresentante della corrente del Divisionismo italiano, e il suo Nel prato; il trentino (di origine) Giovanni Segantini (1858-1999) autore fra l’altro di Primavera sulle Alpi (Raffigurazione della Primavera) (1897), New York, French & Company, L.L.C.; il fiorentino capofila dell’arte “Déco” Galileo Chini (1873-1956), autore fra l’altro di La primavera classica (1914) conservata a Montecatini presso l’ Accademia d’Arte Dino Scalabrino.Per finire, menzioniamo un altro trentino, Umberto Moggioli (1886-1919), con, del 1912, Primavera: impressione, del 1913, Primavera (1916) e, del 1919, suo testamento artistico e spirituale, Idillio di primavera.

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a primavera è per noi il segno più chiaro dell’esistenza di un risveglio, di una rinascita, di un rinnovamen-to. Questa limpida sensazione, che ci avvince di anno in anno in un tripudio di fiori, di colori temperati dalla luminosità dei raggi di un sole sempre più amico, è da sempre ben impiantata nell’animo degli artisti. Tutta la natura partecipa a un processo generativo, rappresentato sin dalle epoche preistoriche tramite immagini simboliche o attraverso la forza germinale del fiore.Il desiderio, quasi sacro e intimamente riconoscente, di rappresentazione della Primavera ha pervaso anche l’arte trentina del Novecento. Gran parte dei protagonisti della nostra scena artistica hanno voluto rendere omaggio a questa stagione, come già fece nel 1543 Marcello Fogolino nel Palazzo Assessorile di Cles, con la primavera sotto le sembianze di una donna fiorente reggente una corona di fiori e affiancata da Cupido, classica raffigurazione virginale e leggiadra richiamante Talia, una delle tre Grazie.La fioritura, la rinascita, la bellezza, la

femminilità, l’amore, il piacere, riassunti mirabil-mente in maniera sincronica nell’affresco in Pa-lazzo Assessorile, sono anche i temi affrontati da alcuni artisti trentini del Novecento, così vicini per vocazione a una natura cristallina e prorompente.La primavera, sgargiante e suadente, è spesso soggetto degli artisti trentini che esponevano attor-no al 1913 a Cà Pesaro.Il grande Umberto Moggioli (1886-1919), durante gli anni veneziani, dipinge paesaggi di toccante lirismo, fatti di luce e di vorticose tonalità caricate d’azzurro; proprio nel 1913 dipinge Primavera a Mazzorbo, un imponente olio su tela nel quale il centro simbolico della composizione è la figura di una donna nell’atto di allattare, poggiata ad un albero in fiore. Qui Moggioli decanta la vita che si rigenera attraverso la maternità e l’atto di allattare, quasi memore delle rappresentazioni tardomedioe-vali delle “Madonne del Latte” così spesso rappre-sentate sulle pareti delle chiesette di montagna. Lo stesso Moggioli, nel 1918, omaggia nuovamente la stagione della rinascita con una celebre opera ad olio dal titolo Primavera: in un’atmosfera luminosa e intima, teneramente domestica e carica d’affetto, la moglie e la figlioletta dell’artista sono intente a curare le piante all’interno del proprio giardino.Anche un amico di Umberto Moggioli, Roberto Mar-cello “IRAS” Baldessari (1894-1965), proprio duran-te gli anni di frequentazione veneziana, si confronta con la primavera ed i suoi contrasti. Lo fa nel 1915

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U. Moggioli, Primavera, olio su tela, 175,5x105,5 cm - 1918 (MART)

~La Primavera nell’arte trentina del Novecento~Marcello Nebl

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rappresentando un glicine in fiore, appeso con la forza dei suoi colori sgargianti ai muri di case veneziane cupamen-te affacciate su un canale. L’ombra incombente della parte inferiore del quadro contrasta con la luce che colpisce dall’alto il glicine fiorito, la vita che esplode al richiamo del sole.Attilio Lasta (1886-1975), che incontrò nel 1913 a Venezia Moggioli, Baldessari e Garbari, ci lascia nel 1919 un’o-pera dallo slancio divisionista, figlio dell’attrazione per il tocco segantiniano propria di quella fase poetica dell’artista. Primavera alle Casote di Castellano è un’opera estremamente descrittiva, lontana dall’espressionismo di Moggioli o dal simbolismo di Garbari, nella quale un gruppo di case rustiche è attorniata da grandi ciliegi fioriti che fanno da sentinelle. Lo stesso tema si ritrova anche in un piccolo quadro del 1925, Primavera a palazzo Lodron, nel quale At-tilio Lasta dipinge però con rapidità, con slancio quasi espressionista, lontano dal limpido realismo delle note nature morte del suo ultimo periodo.

Fra gli artisti di Cà Pesaro, il perginese Tullio Garbari (1892-1931) è grande protagonista. Dopo esposizioni importantissime con Umberto Boccioni e Carlo Carrà smette di dipingere per diversi anni dedicandosi all’ap-profondimento filosofico e storico, con particolare atten-zione alla ricerca sulle origini delle popolazioni trentine. Ritorna alle esposizioni nel 1927 e proprio in quell’anno dipinge l’opera Primavera (Le tre grazie) nella quale sono forti i riferimenti all’arte popolare e i contenuti sim-bolici e religiosi sviluppati negli ultimi anni di studio. Svi-luppa il tema in diversi formati, cercando di perfezionare il suo desiderio di immediatezza e semplicità formale pur mantenendo la volontà di significati alti: la triade garbariana, come scrive Fiorenzo Degasperi, “discende da una linea femminile, legata strettamente alla fertilità, alla madre terra, alla rigenerazione”.Una primavera fatta del colore dei fiori, della luminosità piena di speranza di pomeriggi assolati, si ritrova a metà Novecento anche in opere di altri grandi trentini, come nell’olio Primavera a Bosentino di Luigi Bonazza (1887-1965), in Primavera del pittore e architetto Gigiotti Zanini (1893-1962) o in Paesaggio primaverile di Dario Wolf (1901-1971).Nelle opere di Bonazza e Wolf, rispettivamente del 1944 e del 1952, i denominatori comuni sono la pennellata ra-pida e incisiva e i colori tersi e tenui. Entrambe i maestri, come ricorda Bruno Passamani, hanno la “luce come entità spirituale e meta della propria arte”. Qui la rap-presentazione primaverile è probabilmente un pretesto per descrivere emozioni cromatiche, per giocare con gli azzurri e i verdi intensissimi, contrastati da tocchi di gial-lo e arancione.

T. Garbari, Allegoria della Primavera (Le tre Grazie), olio su cartone, 46,5x32,5 cm - 1928 ca.

(Collezione ITAS Assicurazioni)

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Nel 1950 lo stesso Luigi Bonazza, all’interno della de-corazione della sua casa di Trento iniziata nel 1932, rappresenta ad affresco e graffito la Primavera, nella classica iconografia: una affascinante figura femminile, ignuda e florida, è immersa nei colori dei fiori. L’insieme è estremamente decorativo, memore dell’importante esperienza dell’autore trentino nella ricerca Jugendstil. Negli anni Settanta un protagonista trentino dell’arte internazionale, lo scultore roveretano Fausto Melotti (1901-1986), si confronta con il fascino rigeneratore del-la primavera. Melotti crea opere e installazioni eleganti, mosse da ritmi musicali, una mirabile sintesi tra razio-nalismo e lirismo metafisico. Nel 1974, all’interno della serie dei suoi teatrini polimaterici, crea Primavera, una quinta teatrale in terracotta dipinta, ottone e tessuto. Qui Fausto Melotti libera la propria fantasia in maniera po-etica e minimale: nella piccola camera delle meraviglie in terracotta dipinta di bianco candido, l’artista schizza a matita la Primavera del Botticelli all’interno di una costru-zione armonica e di geometrismo lirico. La primavera è evidentemente gioco, spensieratezza, allegria accentua-ta da leggeri tocchi di pennellate verdi, blu, rosse e gialle. Questa non è l’unica opera di Fausto Melotti dedicata alla stagione della rinascita. Nel 1982 crea l’installazio-ne in ottone Scherzi di primavera: anche qui domina il lirismo, l’essenzialità e la pulizia, un sentimento atavico di sacralità. L’ultimo quarto del Novecento vede molti artisti trentini rappresentare la primavera, autori più legati al medium artistico tradizionale, ovvero quello pittorico. Da ricordare in questo ampio contesto le opere di Remo Wolf, Paolo Vallorz, Silvano Nebl, Luciano Zanoni e Renato Pancheri. Nel 1978 Remo Wolf (1912-2009), pittore ma soprattutto incisore di fama, dedica un grande trittico su tavola alle quattro stagioni; la primavera, rappresentata nel primo pannello, viene resa con la caratteristica pennellata rapida ed espressionista, materica e vivace. L’iconografia è classica con la primavera rappresentata sotto forma di donna, seduta su un tronco, con in mano un fiore ed attorniata da mazzi di tulipani. Il cielo luminoso e i colori caldi ricordano la volontà di Remo Wolf di rendere una pittura ‘mediterranea’, in contrasto con i toni nordici delle opere ad incisione.Del 1985 è la tela di Paolo Vallorz (1931) Melo Canada in fiore di primavera: pennellate rapide e larghe, a spatola, deli-neano lo stagliarsi scultoreo, fortemente chiaroscurato, della porzione di albero rappresentata. Il tronco nero contrasta con il giallo tarassaco nel prato di fondo e soprattutto con i fiori rosa del melo, generatori di frutti e carichi di futuro.La rappresentazione realista e non simbolica della primavera, ma comunque pregna di forza ed al contempo soave si ha con l’amico conterraneo di Vallorz, il fabbro scultore Luciano Zanoni che negli anni crea diversi alberi di melo in fiore esaltando la vitalità delle proprie vallate. Ne è esempio l’opera del 1990 in ferro battuto Albero di mele Palma

L. Zanoni, Albero di mele Palma d’oro con innesti,ferro battuto, 135x140x228 cm - 1990

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Per approfondimenti sulle opere citate nel testo:AAVV, Il melo; Coltura e cultura, Milano, 2008.AAVV, Dario Wolf, catalogo della mostra, Trento, 1998.AAVV, Silvano Nebl. Ostinata melodia di Bellezza, catalogo della mostra, Sanzeno, 2016Degasperi F. - Nebl M., Il Colore del Sacro, dell’Anima, della tecnologia, catalogo della mostra, Milano, 2006 Festi R., Le mele nell’arte di Paolo Vallorz e Luciano Zanoni, catalogo della mostra, Trento, 2005Francescotti R., Remo Wolf. Il paesaggio trentino, catalogo della mostra, Trento, 2002Nicoletti G., Sette+Sette. Dilatazioni, catalogo della mostra, Trento, 2003Postinger C.A., La collezione ITAS. Profilo, Trento, 2002.Scudiero M., Renato Pancheri - Le quattro stagioni, catalogo della mostra, Trento, 2003Scudiero M., Arte Trentina del ‘900; 1900-1950, catalogo della mostra, Trento, 2000Scudiero M., Arte Trentina del ‘900; 1950-1975, catalogo della mostra, Trento, 2001Scudiero M., Arte Trentina del ‘900; 1975-2000, catalogo della mostra, Trento, 2003

d’oro con innesti, una scultura di oltre due metri d’altezza che non è solo opera d’arte ma anche immagine di una tradizione colturale, di una cultura contadina antica che si sta perdendo.I meli in fiore, simbolo della primavera nelle valli del Noce, è tema affrontato spesso anche dal neodivisionista Silva-no Nebl (1934-1991), amico di Vallorz e Zanoni, che negli oli Meli in fiore del 1983 e Passeggiata tra i fiori del 1989, come nel pastello dallo stesso titolo del 1990, decanta l’amore per la natura e per la propria terra, senza mediazioni e senza retorica. Nella serie di opere intitolata Ciclo vitale, Nebl rappresenta in maniera più intimista il periodo prima-verile tramite la farfalla ed il fiore, in particolare il fiore del tarassaco che con la sua rotondità è un mandala naturale, è la ruota del cosmo in continuo incedere: qui la fioritura simboleggia la nascita e la giovinezza dell’uomo, la farfalla l’effimero ma anche la trasportatrice del polline e quindi della fecondità.Nel corso degli anni Novanta, Renato Pancheri (1911-2010) dedica diverse opere alle quattro stagioni ed in par-ticolare dedica due grandi oli su tela alla primavera: Colori di primavera del 1993 e Primavera in fiore del 1996. Qui esprime la sua volontà di creare forme-colore, movimenti musicali fatti di cromie sgargianti che si rincorrono in maniera dinamica per darci la sensazione di una natura viva, in continua trasformazione e della rinascita perenne della primavera.

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~Natura sociale~Giusi Campisi & Alessandra Benacchio

a primavera è associata generalmente al rinnovamento della natura, ai miti della vegetazione e alla rina-scita della terra, per estensione è il simbolo della natura stessa e della sua potenza generatrice.Nel tempo attuale, segnato dalla crisi ambientale e dall’esaurimento delle risorse,affrontare il tema della natura è centrale per diffondere la consapevolezza della finitudine del pianeta e la necessaria presa di coscienza delle questioni ambientali ed ecologiche.È possibile trovare un pensiero ecologico anche in molte pratiche artistiche, e l’arte stessa ha contribuito a diffonderlo e ampliarlo a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso.L’artista tedesco Joseph Beuys, ad esempio, fu uno dei fondatori del movimento Verde in Germania, nazione che per prima trovò momenti di coesione politica intorno alle idee ecologiche.Proprio dall’istanza di diffondere la sensibilità verso la natura nacque una delle sue opere più interessanti,

una grande scultura ecologica: 7000 querce, un’operazione iniziata a Kassel nel 1982, quando Beuys piantò il primo albero sulla Friedrichsplatz, davanti al Museum Fridericianum e che terminò dopo la sua morte con la messa a dimora dell’ultima quercia nel 1987.A partire dal 1972, Beuys lavorò anche in Italia, a Bolognano in provincia di Pescara, con un progetto di ripristino della biodiversità creando la Piantagione Paradise composta da settemila alberi, e dando vita all’Istituto per la Rina-scita dell’Agricoltura.In quegli stessi anni, mentre il modello di sviluppo industriale e capitalista lasciava irrisolte le questioni che le crisi economiche e sociali avevano fatto emergere, altri artisti incrociano le loro pratiche con il mondo agricolo realiz-zando diversi progetti: da The Farm (San Francisco USA,1974) di Bonnie Ora Sherk alla Malpartida (Càceres Spa-gna,1976) di Wolf Vostell fino alla fattoria sperimentale Agricola Cornelia (Roma,1973) di Baruchello.Il tema del ritorno alla natura si diffonde e interessa anche altri fenomeni come la Land art in America e l’Arte povera in Italia, che si sviluppano a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta.Per entrambi i movimenti la Natura rappresenta una condizione mitica originaria contrapposta alla Cultura, una polarizzazione che non permette di trovare forme di azione produttiva e neppure di rivendicazione politica della terra, come accade invece per le esperienze “pre-ecologiche” di cui un esempio è l’opera di Beuys.Queste fanno proprie forme di pratiche attive che rappresentano il punto d’origine di una genealogia che giunge fino alle esperienze d’arte attuali, come rileva Marco Scotini, curatore del PAV Parco Arte Vivente: “Gli artisti che ho chiamato pre-ecologici sviluppano […] la coscienza di una natura fortemente socializzata: l’orto urbano, l’agricolturaspontanea nella città, la presa di coscienza della sostenibilità anticipano varie ricerche artistiche contemporanee”2.A fare da ponte tra le esperienze artistiche storiche e le attuali e a proporre una riflessione critica, c’è il centro-opera fondato e diretto da Piero Gilardi a Torino nel 2008, con l’obiettivo di creare un “incubatore” di coscienza ecologica,

1 Mirella Bandini, 2002, 1972 Arte povera a Torino, Umberto Allemandi & C. Editore. Intervista all’artista Giuseppe Penone.2 Giorgia Marino, 2015 “Earthrise”, arte ed ecologia: intervista a Marco Scotini.

Aivable at www.greenews.info/rubriche/earthrise-arte -ecologia-intervista- marco- scotini- 20151113/

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“Il mio nonno paterno faceva già degli splendidi lavori d’arte.Eccone alcuni: strada scavata nella roccia per 500 m…;

rimozione e interramento di grandi massi per adibireun terreno a prato; innesti di circa 1500 alberi…”

Giuseppe Penone1

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La passione del grano, 2016/17 di Wurmkos, Parco Arte Vivente Torino. Courtesy Wurmkos

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dove l’arte è intesa come esperienza creativa e comunicativa in progress e l’ecologia come problema politico e culturale. Il PAV Parco Arte Vivente, istituzione artistica pubblica, è stato realizzato in un’area urbana ex-industriale di circa 23.000 mq. e comprende un sito espositivo all’aria aperta, un territorio verde in continua evoluzione, e un museo interattivo, luogo di esperienze di laboratorio, in cui il campo d’indagine è l’Arte del vivente, che include la Bioarte, la Biotech Art, l’Arte transgenica e l’Arte ecologica.Il parco ospita diversi interventi permanenti tra cui Jardin Mandala (2010) dell’architetto del paesaggio Gilles Clém-ent, noto per aver teorizzato il “Terzo paesaggio”; molti altri sono progetti in progress, come La passione del grano di Wurmkos, azione pubblica e collaborativa che consiste nella semina del grano - avvenuta nel novembre del 2016 - e nella raccolta e nella legatura con una speciale tecnica durante il mese di giugno 2017, a cui sarà affiancata una mostra di materiali d’archivio etnografici e artistici.La passione del grano riprende un gesto antico e basilare che accomuna diverse culture attingendo alla memoria storica delle comunità rurali, come un’altra installazione relazionale presente nel parco del PAV del Collettivo Terra Terra: Focolare (2012). L’opera è un forno comunitario urbano costruito in terra cruda secondo tecniche tradizionali, che rappresenta il cuore di una cucina aperta sul parco e in dialogo con esso, con un pergolato di rampicanti a dise-gnarne il tetto e aiuole di aromi il perimetro3.Immaginare la costruzione di un forno e la semina del grano all’interno di un’area museale significa mettere in crisi il concetto di museo tradizionale, e contemporaneamente privilegiare le pratiche artistiche in progress e relazionali, capaci di entrare nel flusso dei movimenti ecologici e delle comunità sociali più attive, una via che il fondatore del PAV, Piero Gilardi, indica come la più praticabile per sfuggire all’omologazione del pensiero e alla manipolazione delle metafore artistiche ambientaliste e biocentriche4.La cultura ecologica contemporanea si è formata e diffusa grazie al contributo di molti artisti che hanno collaborato alla costruzione di una coscienza ambientale legata ai sistemi politici ed economici per un approccio alla società ricostruttivo, comunitario ed etico, perché, come ci ricorda Murray Bookchin “l’ecologia, o è sociale o non è”.

3 Collettivo terra terra, 2012, Focolare. Aivable at focolaretorino.blogspot.it4 Piero Gilardi, 2016, La mia biopolitica, a cura di T.Trini, Giampaolo Prearo Editore

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~Casa de Gentili~Sanzeno

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Saluto Assessore

Nel punto di confluenza tra alta e bassa Val di Non sorge Casa de Gentili, dimora gentilizia del Cinquecento appar-tenuta ad una delle più importanti famiglie della nobiltà rurale del tempo. La dimora oggi di proprietà del Comune di Sanzeno, è sede del “Centro Culturale d’Anaunia” ed anche della “Val di Non Multimediale” centro di informazione turistico-culturale al servizio di tutta la Valle. La sua maestosa bellezza è un intreccio fra antico e moderno, da un lato il piano nobile con gli ampi saloni costellati di delicate tempere e preziosi stucchi, oggi sede di mostre, esposizioni ed eventi culturali; dall’altro, al piano terra, un percorso multimediale e interattivo, vera e propria “Vetrina” delle principali caratteristiche turistico culturali della Val di Non, al cui interno si trova anche uno spazio dedicato alla “Sentieristica” dove si possono apprezzare e conoscere i percorsi ed i sentieri percorribili in tutta la valle. Casa de Gentil è un palazzo che si è sempre distinto per la sua versatilità e duttilità, sorprendendo in ogni occasione sia chi vi ha orga-nizzato degli eventi, sia chi lo ha potuto visitare. Infatti gli ampi saloni che si aprono all’ultimo piano illuminati, spaziosi e comunicanti l’uno con l’altro, disegnano delle prospettive architettoniche che consentono di ospitare vari generi artistici, da quello moderno a quello più contemporaneo. In questa meravigliosa cornice si inseriscono pertanto molto bene le opere contemporanee, innovative ed anche un po’ provocatorie dei tre giovani artisti David Aaron Angeli, Federico Seppi e Giorgio Conta, selezionati per impreziosire le stanze e i saloni di Casa de Gentili durante la mostra “Primavera”. Mostra dall’importante significato, in primis per l’opera di scouting che il Centro Culturale d’Anaunia si è proposto di fare valorizzando dei giovani artisti locali, poi per il carattere sovraccomunale del percorso, ed infine per il raggiungimento di un importante traguardo cioè quello di fare rete e sistema tra diversi Comuni e dimore gentilizie, portando contemporaneamente la mostra in diverse residenze storiche della nostra valle (Casa Campia, Casa da Marta, Palazzo Morenberg, Palazzo Endrici e Casa de Gentili) in occasione, anche, dell’iniziativa provinciale “Palazzi Aperti”. L’Amministrazione di Sanzeno è quindi molto lieta di ospitare all’interno di Casa de Gentili la mostra “Prima-vera” per continuare a perseguire l’intento di valorizzazione degli artisti trentini, ed in particolare della valorizzazione del Territorio attraverso la promozione culturale.

Serena CicoliniAssessore alla Cultura Comune di Sanzeno

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~Casa de Gentili~

asa de Gentili, splendido palazzo cinquecen-tesco sede del Centro Culturale d’Anaunia e di proprietà del Comune di Sanzeno, si erge nella piazza centrale del paese all’imbocco della strada che porta al suggestivo eremo santuario di San Romedio. Assieme ai nu-merosi castelli e palazzi nobiliari dislocati su tutto il territorio della Val di Non, la dimora si distingue nettamente dall’edilizia contadina

più povera e semplice. La famiglia de Gentili faceva par-te della nobiltà rurale e cioè di diversa estrazione rispet-to ai grandi casati che hanno dato il nome alle splendide strutture medievali fortificate della Val di Non come, ad esempio, i Thun. I nobili rurali, detti anche gentili (da “gentiles”), esenti o nobili privilegiati, formatisi come classe sociale tra il 1200 e il 1500, abitavano nei centri abitati in abitazioni che si distinguevano da quelle comu-ni, più umili e dimesse, per la ricercatezza dei particolari architettonici e la presenza di elementi decorativi. Essi avevano diritto di stemma ed erano esentati dall’obbli-go di versare le tasse comunali. Il prefisso “de” serviva inizialmente per indicare le persone che appartenevano ad una determinata famiglia del paese e fu solo con l’av-vento della nobiltà che assunse il significato di apparte-nenza ad un’unica e specifica famiglia, indicando la sua posizione privilegiata in confronto alle altre, con diritto di trasmissione del titolo ai figli.Casa de Gentili è caratterizzata da un assetto compatto riconducibile al periodo tardo-rinascimentale e gli spa-zi si sviluppano su tre piani: il piano terra, alcuni locali seminterrati, il primo piano (abitato sino al 1996) e il secondo piano. Verso est, in direzione della chiesa di Santa Maria, la proprietà comprende un giardino cinto da mura posto su due livelli differenti collegati da alcuni

scalini. Il sistema costruttivo è quello tradizionale della zona, con murature a volte in pietra con malta di calce spenta. Le strutture orizzontali sono di tipo misto, il tetto è a capriate interamente di legno. La distribuzione in-terna presenta una tipologia rintracciabile anche in altri palazzi nobiliari della Val di Non: salone centrale di di-stribuzione delle varie stanze, volte a botte e a crociera al piano terra, locali rifiniti con decorazioni a tempera e stucco ai piani superiori. La facciata presenta una serie di elementi architettonici fortemente connotanti quali l’ingresso principale con arco a tutto sesto in pietra e portone in legno intarsiato su cui è scolpito lo stemma di famiglia, il poggiolo in pietra con porta e finestre ad arco a tutto sesto e colonnine lavorate al primo piano e la trifora al secondo piano con stipiti a lesene e colon-nine. Al primo piano le finestre sono protette lungo tre facciate da pregevoli inferriate in ferro battuto e poco più sopra, dipinti sull’intonaco, si possono osservare dei rosoni decorativi mentre gli spigoli dell’edificio sono valorizzati da finte pietre angolari incise nell’intonaco. I rapporti economici e culturali che i de Gentili intratte-nevano con l’Alto Adige si possono ravvisare nelle so-miglianze tra le inferriate del palazzo di Sanzeno con quelle di alcuni edifici di Egna e San Michele d’Appiano. Nell’inferriata posta sopra il portone d’ingresso, sono distinguibili le iniziali G.G.C.G. verosimilmente riferibili a Giovanni Giorgio Giuseppe Capitano a Livinallongo vissuto tra il 1740 e il 1782: estremi cronologici entro cui inserire l’epoca di realizzazione dei manufatti in ferro. Del resto, anche il grappolo a vite e il pampino sono tipici dell’Alto Adige: zona in cui veniva praticata la col-tura delle piante da vino. L’esterno di Casa de Gentili si presenta come un grande e unico blocco mentre al suo interno la distribuzione dei locali è articolata e in alcuni

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punti complessa: risultato di trasformazioni e adatta-menti succedutisi nel tempo. Al primo piano, dove oggi è collocato l’ufficio operativo del Centro Culturale d’Anaunia, è presente una boise-rie in legno chiamata la “stua”, tipico ambiente trentino rivestito sulle pareti con pannelli di legno, variamente intarsiati, incisi e intagliati. Più avanti è presente un fo-colare molto grande, il cosiddetto “foglar”. Percorrendo le ripide scale che portano al secondo piano si giunge nell’ambiente di maggiori dimensioni e pregio nelle de-corazioni, il “salone degli stucchi”, luogo deputato alla rappresentanza e caratterizzato da un pavimento in assi di legno con intarsi a forma di stella. Lungo le pa-reti corre un fregio in stucco a rilievo con medaglioni lavorati a volute interrotto negli angoli da quattro putti, dolci e paffute personificazioni delle stagioni. Il putto della Primavera è avvolto da fiori dalla corolla dorata, quello dell’Estate impugna una falce – anch’essa dorata – con una mano, mentre con l’altra sorregge un cespo di grano e l’angelo dell’Inverno, invece, è avvolto da un mantello. Lungo il lato ovest della stanza il fregio viene interrotto al centro dallo stemma dei de Gentili modella-to in gesso. Al centro del soffitto, all’interno di un grande medaglione decorato a rilievo, sporge un quinto putto alato colto nell’atto di suonare uno strumento (verosimil-mente una tromba o un corno) andato perso. Nel locale utilizzato come cucina si trova un vecchio focolare do-tato di cappa. Oltre al focolare è presente un lavandi-no ricavato nel muro e una bifora su cui sono ancora montati gli antichi moduli esagonali di vetro uniti da filetti di piombo che, nell’insieme, compongono un elegante disegno geometrico. Il locale che si incontra appena sa-lito lo scalone principale presenta delle caratteristiche strutturali, come il cancelletto in ferro battuto, riferibili

ad un’antica cappella la cui presenza, all’interno delle dimore gentilizie, era abbastanza diffusa.All’interno del palazzo è conservata ed esposta la qua-dreria de Gentili (di proprietà del BIM dell’Adige).La data più significativa per la datazione della dimora è senza dubbio quella del 1569, incisa nell’intonaco della parete dell’ultimo locale a nord del palazzo.Le date 1673 e 1694 sono invece scolpite rispettivamen-te sulla chiave dell’arco del portale ad est e su quella dell’entrata principale verso la piazza, mentre quella del 1777 - anno in cui è stato compiuto un rifacimento totale o parziale della copertura - è incisa in numeri romani su due delle travi del tetto che fuoriescono agli angoli della casa verso la piazza.

~Wegher S., Palazzo de Gentili tra architettura ed arte, in Anaunion. Antologia di Studi, 2004.

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~Federico Seppi~

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~Biografia~

Federico SeppiMentre l’uomo tenta di conoscere l’Universo incontra se stesso.

Nato a Trento nel 1990, la sua vocazione per l’arte contemporanea si manifesta precocemente conseguendo, dopo gli studi all’Istituto d’Arte Alessandro Vittoria di Trento, il diploma in “Pittu-ra” presso l’Accademia di Belle Arti a Venezia dove tuttora è impegnato nella frequentazione di un Master di “Scultura”.Nel 2015 risiede a Cardiff (UK) dove si confronta con una realtà internazionale approfonden-do gli studi presso la Cardiff Metropolitan University.Attraverso le sue opere egli ridefinisce l’universo naturale attraverso una costante riappropriazione fisica degli elementi originari: a ciascun elemento l’artista attribuisce una valenza simbolica ed un significato spirituale. L’in-contro tra spiritualità e scienza, oriente e occidente, natura e artificio, è ben visibile nei suoi lavori. Affascinato dalla filosofia orientale e dalla fisica quantistica, unisce queste due poetiche che diventano elemento creativo. La ricerca artistica di Seppi presenta una sperimentazione continua sui materiali volta ad avvicinare le persone al mondo della natura e a contribuire alla costruzione di una coscienza collettiva che faccia propria una posizione anti antropocentrica.

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RINASCITA DEL NUDO CORPOPerformance

2014Courtesy dell’artista

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VALLI SOSPESELegno, argento 50x50x15 cm - 2016Courtesy dell’artista

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FONTE DI PROPAGAZIONELegno, rame

2016 Courtesy dell’artista

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21 PUNTI DI PROPAGAZIONETecnica mista, argento 200x200 cm - 2017Courtesy dell’artista

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MATERIAParticolare

Legno, argento120x70x15 cm - 2016

Courtesy dell’artista

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~Giorgio Conta~

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~Biografia~

Giorgio ContaNato nel 1978, Giorgio Conta cresce in un ambiente stimolante. Fin da giovanissimo entra in contatto con vari personaggi della cultura, tra cui l’amico di famiglia il pianista Arturo Benedetti Michelangeli. Dopo il liceo, frequenta la scuola di scultura a Ortisei, dedicandosi anche al disegno e alla pittura. Alterna l’attività di scultore a quella di pittore e approfondisce il tema del sacro partecipando e collaborando al master per l’adeguamento liturgico e la progettazione degli edifici per il culto a Trento nel 2006. Realizza opere monumentali e partecipa a varie mostre personali e collettive. Prende parte alle mostre “Tesori d’Italia” - su invito e a cura di Vittorio Sgarbi per Expo 2015 - e “Da Giotto a de Chirico” al MuSa di Salò sempre su invito del critico d’arte. Nel 2016 partecipa alle fiere Context Art Miami e Contemporary Istanbul con la Galleria Liquid Art System.Di lui hanno scritto Pu ci Avati, Valerio Dehò, Luigi Marsiglia, Massimiliano Castellani, Renzo Francescotti e Paolo Levi. Collabora con la galleria Liquid Art System a Positano, Capri, Londra, Istanbul.Le sue opere scultoree giocano sulla rigidità della materia e ricercano uno stile interpretativo nel gesto, prestando la massima attenzione nel cogliere dettagli intimi del soggetto ritratto.Piegature, fori e contrasti amplificano la scorrevolezza delle figure esaltandone l’espressività, mettendo in evidenza dettagli che delineano “metonimie reali“.La celebrazione della figura si compie attraverso delicati equilibri compositivi: se da un lato alcuni dettagli sono perfettamente modellati, altre zone risultano quasi abbandonate in uno stato di forma potenziale. Il suo è un tentativo di raggiungere una soglia, un equilibrio tra gesto e forma, tra naturalismo e non iconicità, che si traduce in un linguaggio artistico frammentario, stimolante per il fruitore.

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ENIGMALegno

114x35x43 cm - 2016Courtesy by Liquid Art System

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EQUILIBRIGesso patinato90x40x30 cm - 2017Courtesy dell’artista

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INSIEMEGesso e legno

90x40x25 cm - 2015Courtesy by Liquid Art System

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GUARDANDO OLTREGesso 75X30X35 cm - 2016Courtesy dell’artista

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BUSTO DI DONNALegno

80x47x45 cm - 2016Courtesy by Liquid Art System

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~David Aaron Angeli~

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~Biografia~

David Aaron AngeliNato a Santiago (Cile) nel 1982, vive e lavora a Dimaro Folgarida, in Trentino. Dopo gli studi in Oreficeria all’Istituto d’Arte Alessandro Vittoria di Trento, prosegue diploman-dosi all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano nel 2006. Collabora dal 2012 con il Mart - Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto come artista mediatore nella progettazione e conduzione di laboratori creativi. Lavora con Studio d’Arte Raffaelli e Cellar Contemporary di Trento.La sua ricerca è espressa dal disegno su carta e dalla scultura. Carte disegnate a tecnica mista e ritagliate danno forma a grandi installazioni a parete o si presentano in forma di quadri. Le creazioni derivano da un ricco immaginario che vede la presenza di simboli, il selvatico, il colore, figure zoomorfe e antropomorfe, rivisitazione di pose e oggetti del Sacro. La cera d’api è la materia prima della scultura, talvolta dipinta ad olio o con inchiostri e accosta-ta ad altri materiali come legno, metallo, vetro, carte. Questa materia energetica della natura è elemento centrale del lavoro: ribadisce e rinnova, nel suo essere un materiale primario, naturale, portatore di un senso di solidità e assieme di transitorietà, le dinamiche stesse della sua ricerca, la volontà di suggerire una dimensione spirituale che trascenda quella oggettiva.

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ALAMBICCHIInchiostro di china, acciaio, legno, cera e vetro

15x7x7 cm - 2012/2013Courtesy dell’artista

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ALAMBICCO 3Particolare

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GERMINAZIONIInchiostro di china su carta

32x12 cm - 2017Courtesy Cellar Contemporary

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CONUS ELAPHUSLegno, ferro, acciaio e cera 210x124x80 cm - 2011 Courtesy dell’artista

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NASCE DALLE MANIInchiostro di china su carta

17x12 cm - Serie da 12 pezzi - 2015Courtesy dell’artista

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~Casa Campia~Revò

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Saluto Assessore

Casa Campia rappresenta per la Comunità di Revò un cuore vivo e pulsante sia per la sua posizione nel centro stori-co del paese, sia per la linfa culturale che da essa si propaga e che nutre i suoi abitanti. Tra le più antiche residenze del paese, la Campia si presenta in tutta la sua eleganza con torrette cuspidate, loggette sovrapposte che guardano a meridione con un ampio sguardo sull’intera valle. I suoi spazi interni sono da molti anni luogo di incontro per i nu-merosi fruitori di eventi e visitatori delle diverse mostre che qui vengono organizzate nel corso dell’anno, finalizzate sì a conoscere meglio la nostra storia, o ad apprezzare l’opera di artisti del passato o viventi, ma anche per valorizzare il palazzo stesso che conserva intatti al suo interno gli ambienti che furono un tempo gli spazi di vita dei nobili Maffei. Tale famiglia, nella storia stessa del paese, giocò un ruolo non indifferente; dalla famiglia uscirono infatti personaggi di un certo calibro sul fronte politico, militare e scientifico. Nonostante la maestosità dei suoi interni Casa Campia si presta ad essere anche dimora della contemporaneità, senza scontri né tensioni tra stili. Anche in questa occasione speciale, che si propone di creare una connessione fisica tra le dimore storiche della Val di Non, il palazzo ben si presta ad esporre le opere di due giovani artisti: Luca Marignoni e Romina Zanon. Essi si esprimono attraverso tecniche e materiali diversi e sono la dimostrazione vivente di come l’arte continui ad essere viva e sempre in ricerca, pronta a sperimentarsi ogni istante con la realtà. Non è la prima volta che l’arte contemporanea si incontra qui faccia a faccia con le decorazioni, le stube, gli stucchi, le stufe e gli affreschi tramandatici dal tempo che fuori scorre inesorabile nella vita di ciascuno, ma dentro sembra essersi fermato per sempre. Per chi volesse misurarsi con il presente ma con un piede nella storia la mostra “PrimaVera” saprà senza dubbio regalare una curiosa emozione e risvegliare il nostro senso di piacere.

Alessandro RigattiAssessore alla Cultura, Volontariato e TurismoComune di Revò

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~Casa Campia~

asa Campia è certamente una delle dimore gentilizie più interessanti delle Valli del Noce e s’inserisce in un contesto di pregevoli resi-denze nobiliari che a Revò annovera anche Casa Betta, Casa Ferrari, Casa Thun-Mar-tini e i due palazzotti dei conti d’Arsio. Lo stile dell’edificio è mutuato dall’architettura tardo-rinascimentale dell’Oltradige, carat-terizzata dalla giustapposizione di ariose

logge sovrapposte e di eleganti torricelle. La pianta dell’edificio non presenta un carattere unita-rio: il suo assetto attuale è infatti il risultato di successivi interventi di ampliamento e restauro, documentati da una serie di date che si rincorrono qua e là in diversi punti della struttura. L’indicazione cronologica più arre-trata è costituita dalla data 1669 apposta sulla chiave d’arco del portale d’ingresso settentrionale, unitamente alla sigla “P.M.”, da sciogliere in “Pietro Maffei”. Il com-mittente, figlio di Jacopo, era nato a Revò il 28 aprile 1621 ed era stato avviato alla professione notarile: un ritratto di gruppo già conservato nella quadreria di Casa Campia lo raffigura insieme alla moglie e ai figli. Non è chiaro se la data 1669 si debba riferire all’erezione dell’edificio dalle fondamenta o se invece Pietro Maffei si sia limitato a restaurare e ampliare una dimora pree-sistente, che la tradizione assegna alla nobile famiglia de Campi di Cles, donde il nome Campia. Certo è che i lavori proseguirono alacremente nel decennio succes-sivo: nel 1671 venne ultimata la torricella, come attesta la data apposta sulla meridiana, mentre due anni dopo vennero decorate le pareti del salone al secondo piano. Grandi lavori vennero eseguiti anche nel corso del XVIII secolo: nel 1736 fu ricostruito il portale della facciata a sud-est, mentre tre anni dopo venne rifatto almeno in parte il tetto, come testimonia la data incisa sulla trave

del sottogronda, visibile dalla loggia che si apre sulla facciata di sud-ovest. Nel 1765 s’intrapresero nuovi lavori alla torricella, coronata dall’inconfondibile tetto cuspidato. La data 1789 è infine incisa nel colossale pilastro ottagonale che sorregge l’avvolto delle cantine. Al piano superiore gli ambienti sono organizzati ai lati di un ampio “portego” voltato, che corre da un lato all’altro dell’edificio fino alla loggia: oltre alle cucine e ad altri ambienti di servizio, su questo piano si trova il cosid-detto vòut de fer, destinato alla custodia del tesoro di famiglia, che prende il nome da un’antica porta blindata tuttora in uso. Nel salone è ospitato il grande albero ge-nealogico da poco tornato tra le mura di Casa Campia. In corrispondenza dell’angolo meridionale dell’edificio è collocato uno degli ambienti più interessanti della di-mora, una stube foderata in legno e riscaldata da una magnifica stufa a torre in maiolica. Si tratta di un tipico manufatto anaune, opera di artigiani di Sfruz, datato 1753 e decorato a monocromo celeste con le raffigu-razioni allegoriche dei mesi, delle stagioni e dei quattro continenti allora conosciuti, alternati a telamoni, cane-stri di frutta, colonnine tortili e mascheroni. Anche il secondo piano dell’edificio si articola intorno a un salone longitudinale centrale, le cui pareti recano una decorazione pittorica a finti cortinaggi drappeggiati datata 1673 decorati da rose, uno dei simboli che cam-peggiano nello stemma della famiglia Maffei. A destra e a sinistra si aprono numerose stanze con volte a cane-stro, tra cui si segnalano la biblioteca, rivestita da una boiserie settecentesca, e la cappella privata, ricavata all’interno dell’abitazione nel 1788 e anch’essa riarreda-ta solo di recente. Ospita oggi parte dell’originale altare settecentesco in finto marmo policromo e una pala raf-figurante San Giuseppe, attribuibile al pittore Matthias Lamp sulla base del confronto con l’analogo dipinto col-

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locato sull’altare laterale sinistro della chiesa di Santa Maria a Revò. Sopra l’ingresso della cappella corre la scritta “OFFERETIS HOLOCAUSTUM DOMINO”, cita-zione scritturale tratta dal Libro dei Numeri, XXIX. Nonostante la continuità nella proprietà dell’edificio, i Maffei, soprattutto nel XX secolo, non ne furono gli unici inquilini. Nei primi anni del 900, il nobile de Maffei lasciò le sue proprietà in eredità ai quattro figli: palazzo Maffei a Revò, una casa a Trento, una a Gargazzone e, infine, la Casa Campia. Quest’ultima andò all’unica figlia femmina, Maria, che, intorno agli anni ‘30, ne diventò l’unica proprietaria. Nonostante ciò, nei primi anni, Maria Maffei non vi abitò, preferendole l’ospitalità del fratello Giovanni nel vicino palazzo Maffei. La casa rimase inabitata fin quando, nei primi anni ‘30, il dottor Keller, farmacista presso la Farmacia dei de Maffei a Cles, prese in gestione la farmacia comunale di Revò, dove si trasferì e vi rimase per diversi anni, fino agli inizi degli anni ‘40, in affitto presso il secondo piano di Casa Campia. Una volta morto il fratello, Maria Maffei decise di lasciare palazzo Maffei per trasferirsi alla Campia. Vennero quindi effettuati dei lavori di ristrutturazione e di ammodernamento, in particolar modo al primo piano, dove la nobildonna decise di abitare. Fu in tale occasio-ne che propose alle care amiche di famiglia, signorine Rigatti oriunde di Revò, di venire ad abitare al secondo piano della Campia, così da godere di una costante ed amichevole compagnia. Le signorine Rigatti, Rosella, Mariola e Luisa erano figlie del prof. Bartolomeo Rigatti e della nobildonna Anna de Stanchina di Livo. Tutte e tre professoresse in pensione, accettarono tale propo-sta e si trasferirono al secondo piano della Campia con la mamma, dove abitarono diversi decenni, fino alla loro morte. Ancora oggi nelle vecchie famiglie della valle di Non si tramanda il ricordo delle lunghe ed agguerrite

partite di canasta che venivano organizzate in quegli anni alla Campia da Maria Maffei e degli amici Bolego, Cortivo (de Manincor di Banco), de Pretis. Negli anni settanta, venuta a mancare Maria Maffei, celibe e sen-za figli, per volontà testamentaria la proprietà dell’edi-ficio passò al fratello ing. Giacomo, che non la abitò mai e la lasciò al figlio adottivo, il quale la cedette al Comune di Revò nel 1989. Poco dopo iniziarono i lavori di restauro, diretti dall’ar-chitetto Michelangelo Lupo e conclusisi nel 1998. Oggi Casa Campia è sede di importanti eventi culturali, e non solo, che annoverano mostre, convegni e concerti di ogni sorta. Durante l’estate in particolare, Casa Campia e il suo splendido giardino sono aperti al pubblico per far ammirare al visitatore i suoi spazi che profumano ancora delle tradizioni e dei fasti di un tempo, oltre che per conoscere e approfondire i temi delle mostre di vol-ta in volta proposte.

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~Luca Marignoni~

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~Biografia~

Luca MarignoniNato a Cles (Trento) nel 1989, vive e lavora tra Predaia (TN) in Val di Non e Venezia dove, nel 2017, si è diplomato presso l’Accademia di Belle Arti - indirizzo scultura.La sua poetica si concentra su contrapposizioni e dualità, quali: la vita, la morte; la luce e il buio; il pieno e il vuoto; il tempo e l’eterno.Trascorre dei periodi in montagna lavorando in malga come pastore, momenti che ritiene indispensabili per lo sviluppo del proprio lavoro.Predilige materiali inconsueti per la realizzazione delle sue opere d’arte.

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SENZA TITOLO Foto Polaroid

8,5x5,5 cm - 2014 Courtesy dell’artista

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REMINESCENZEDettaglioPelle forata 220x180 cm - 2016 Courtesy dell’artista

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REMINESCENZETrascrizione

Dettaglio - Pelle forata

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MERCURIOPelle forata 160x90 cm - 2015Courtesy dell’artista

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NESSUNO SE NE VA MAI VERAMENTE Pietra

11x29x11 cm - 2014 Courtesy dell’artista

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~Romina Zanon~

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~Biografia~

Romina ZanonArtista visiva nata nel 1988 a Cles (TN), dopo la laurea in Scienze dei Beni Culturali presso l’Università di Trento, prosegue gli studi in Scienze dello Spettacolo e Produzioni Multimediali presso l’Università di Padova. Utilizza la fotografia, il video e il disegno per realizzare progetti artistici e di comunicazione, collaborando con diversi enti nazionali ed internazionali.Nel corso degli anni frequenta masterclasses con Franco Piavoli, Fabio Moscatelli, Blutch e Lorenzo Mattotti. I suoi progetti artistici hanno ottenuto vari riconoscimenti in ambito na-zionale, tra cui: la partecipazione alla 70° Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia con il film “La Montagna Infranta” di cui ha curato la sceneggiatura iniziale e i disegni delle animazioni; la Medaglia di Rappresentanza del Presidente della Repubblica (2013) per il film “La Montagna Infranta”; il primo premio del contest fotografico “inAbsentia” (2015 - PLS Magazine) per il progetto “La presenza acuta dell’assenza”; la menzione speciale della giuria al concorso internazionale ”Scene da una fotografia” (Roma, 2016). Dal 2017 è contributor di PLS Magazine, piattaforma digitale dedicata alla fotografia. Nella sua poetica la fotografia non è concepita come strumento di documentazione e registra-zione del reale, bensì di narrazione e costruzione di racconti visivi. Le sue serie fotografiche sospendono la linea narrativa del reportage classico a favore di una logica espressiva che cerca di evocare il racconto attraverso la concertazione di svariate figure visive: ritratto, sim-bolo, metafora e natura morta si amalgamano in un unico mosaico policromo. Le immagini non guardano alla realtà con la distanza critica dell’osservazione documentaristica, ma puntano ad un intimo lirismo poetico che indaga principalmente i temi dell’identità, della memoria privata e collettiva, del vissuto quotidiano e familiare.“23 gennaio 1971” vuole evocare la silenziosa intimità di un toccante amore familiare: l’affetto che unisce i suoi genitori da quarantasei anni. Il loro percorso di vita è evocato attraverso la combinazione di raffigurazioni e metafore visive che compenetrano l’una nell’altra armonica-mente, restituendoci la sensazione di una perpetua rinascita del sentimento d’amore nella natura e nell’universo.

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23 GENNAIO 1971 Serie (7-24) - Fotografia digitale

2017Courtesy dell’artista

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23 GENNAIO 1971Serie (8-24) - Fotografia digitale2017 Courtesy dell’artista

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23 GENNAIO 1971 Serie (9-24) - Fotografia digitale

2017Courtesy dell’artista

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23 GENNAIO 1971Serie (10-24) - Fotografia digitale2017Courtesy dell’artista

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23 GENNAIO 1971 Serie (11-24) - Fotografia digitale

2017Courtesy dell’artista

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~Casa da Marta~Coredo

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Saluto Assessore

Casa Marta, o com’é più corretto dire Casa da Marta, non é solo una dimora ricca di storia e memoria di un popolo laborioso e dall’animo nobile, ma un simbolo, un’icona, un’immagine identificativa, un punto di riferimento importante della realtà culturale non solo coredana, ma dell’intera Comunità di Predaia. L’obiettivo é quello di valorizzare la bellezza architettonica della dimora, rustica e artistica allo stesso tempo e di far conoscere ai visitatori la storia e la vita degli abitanti di questo splendido edificio secolare. L’incontro con l’arte contemporanea del Progetto di Mostra diffusa “Primavera” vuol rappresentare un ponte, un continuum di espressioni artistiche nostrane: la struttura ospita in quest’occasione le opere dell’avvincente e geniale artista noneso Felix Lalù.Nel nostro edificio abbiamo la fortuna di ospitare anche due realtà di musei permanenti, che per l’iniziativa rimar-ranno aperte nei medesimi giorni e orari, grazie al prezioso e instancabile aiuto dei nostri appassionati volontari. Ricordiamo a pian terreno il Museo Etnografico della Cultura Contadina D’Anaunia, una ricca e preziosa collezione di oggetti e memoria fotografica della vita quotidiana e delle attività agrosilvopastorali che si svolgevano in Valle di Non prima della coltivazione delle mele. Al primo piano troviamo il Museo dei Costumi Folcloristici, nato a seguito delle attività svolte dall’Associazione Culturale Trentino Mondialfolk: una raccolta di costumi, ornamenti, strumenti musicali e oggetti caratteristici di diverse culture ed etnie provenienti da tutto il mondo.Tanti ed interessanti sono motivi per passare in Predaia e visitare la nostra “Casa Da Marta”.

Elisa ChiniAssessore alla Cultura, Associazioni, Sanità Comune di Predaia

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i proprietà del Comune di Predaia, la dimora sorge nel centro storico del paese di Core-do, poco distante dalla chiesa parrocchiale di Santa Croce.Nel 1779, in seguito al matrimonio tra Marta Pezzini oriunda del Paese di Amblar e An-tonio Rizzardi di Coredo, divenuto dopo la famiglia Coredo proprietario della dimora, l’edificio un tempo indicato come “Casa Co-

reda” modificò il suo nome in “Casa da Marta”. L’edificio fu ampliato e rinnovato tra il secondo e terzo decennio del XVI secolo con l’inserimento di particolari propri dello stile rinascimentale. La facciata è ingentilita e ca-ratterizzata da un delicato equilibrio di monofore con stipiti a lesena diversamente lavorati e l’apertura di una trifora al secondo piano. Al terzo piano si aprono dei fori di piccole dimensioni, la cui funzione di piccionaie è suggerita dagli affreschi limitrofi con motivo a piccioni.Gli affreschi che caratterizzano soprattutto la parte alta dell’edificio, offrono alcuni significativi spunti di lettura circa l’evoluzione architettonica della facciata. L’intona-co affrescato inciso a bugnato conservatosi nel registro superiore della facciata, rammenta all’osservatore l’ori-ginario tetto a capanna rimosso e sostituito, nel 1724, con una copertura a quattro falde realizzato allo scopo di permettere l’areazione del sottotetto per il deposito del foraggio. Nello stesso periodo venne realizzato an-che il grande fienile sul lato ovest con struttura intera-mente in legno di larice. Interventi, questi, che segnaro-no il passaggio di Casa da Marta da residenza signorile a casa contadina.Dal 1995 al 1998, Casa da Marta è stata oggetto di im-portanti interventi di restauro grazie anche al sostegno

finanziario della Provincia Autonoma di Trento. Ospita periodicamente mostre ed eventi culturali ed è sede, dal 2011, del Museo Etnografico della Cultura Contadi-na d’Anaunia e del Museo dei Costumi Popolari fondato nel 2000.Il Museo Etnografico è un’esposizione permanente di oggetti di vita quotidiana, attrezzi di lavoro agricolo e artigianale di un tempo, un punto d’incontro culturale e intergenerazionale a testimonianza di un’epoca pas-sata nonché scrigno delle tradizioni e dei costumi della gente anaune. Il percorso espositivo ricostruisce gli ambienti principali della casa di abitazione (la “stua”, la cucina, i vari laboratori artigiani e contadini, sezioni de-dicate alla religione, alla migrazione, etc...). Al secondo piano, il Museo dei Costumi Popolari custodisce costu-mi tradizionali, utensili, strumenti ed ornamenti popolari e folkloristici provenienti dai più disparati angoli della terra. L’esposizione conta più di sessanta costumi provenienti da stati e nazioni diversissimi tra loro e permette dun-que, al visitatore, di conoscere più a fondo le diverse culture e usanze del mondo.

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~Casa da Marta~

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~Felix Lalù~

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~Biografia~

Felix LalùFelix Lalù nasce nel 1980 e cresce respirando l’aria pura della Val di Non. Ha sempre avuto poca immaginazione, ma molte idee. Laureato in psicologia con una tesi sul rapporto tra uomini e giochi, autodidatta in tutto, è marito (di Francesca), padre (di Anita), educatore (con ragazzi e disagio mentale), cantautore (con Felix Lalù), cantante (con Ananda Mida), musicista (con La Spuma Per El Bocia), autore (per il gruppo musicale The Bastard Sons of Dioniso), illustratore per t-shirt e stampe che serigrafa in garage. Tiene un blog sul “paparismo” spinto (Anita QuattroEver) e crea video usando video di Youtube. Fa disegni coi pennarelli, murales nelle case e dipinge. La sua poetica è ironica e iconoclasta, spesso mistificatoria. Suscitare domande, più che dare risposte, è da sempre il fulcro del suo creare. Applica ad ogni ambito il concetto dell’autolimita-zione e interpreta la tecnica con severa semplicità: suona un basso a due corde, una chitarra a tre corde, registra dischi a casa con un microfono da ufficio, non usa parole più lunghe di quat-tro sillabe (se non necessario), usa pochi colori e non li mescola mai, non acquista i supporti poiché dipinge solo su materiali di recupero (preferibilmente trafugati) e sue vecchie opere. Non investe e da vecchio vorrebbe giocare a bocce con gli anziani nei parchi. Le opere contenute in questo catalogo fanno parte di un nuovo progetto chiamato TETTE DAL FUTURO, un’esposizione scientifica e pop sull’evoluzione del seno dalla lontana preistoria al futuro prossimo.

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TETTE DAL MONDO Acrilico e pennarello indelebile su pannelli di legno

e vecchia finestra68x68 cm - 2017

Courtesy dell’artista

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TETTE/TORRI GEMELLETritticoAcrilico e pennarello indelebile su portine di legno vecchio, compensato e tagliere di legno 24x28 cm, 96x35 cm e 96x35 cm - 2017 Courtesy dell’artista

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TETTE/SORT Acrilico e pennarello indelebile

su vecchia antina di legno47x65 cm - 2017

Courtesy dell’artista

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TETTE/BOSCOAcrilico e pennarello indelebile su testiera di letto di ospedale 44x80 cm - 2017 Courtesy dell’artista

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CIAO! SIAMO LE TETTE DAL FUTURO

Acrilico e pennarello indelebile su vecchio orinatoio di legno

74x57 cm - 2017Courtesy dell’artista

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~Palazzo Morenberg~Sarnonico

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Saluto Assessore

A Sarnonico, nel cuore dell’Alta Val di Non, tra gli edifici del centro storico che si aprono intorno alla piazza, appare improvvisamente Palazzo Morenberg. Un luogo di raffinata compostezza, che all’elegante stile architettonico unisce la ricercatezza del dettaglio e del richiamo simbolico. Dalle sue mura di antica nobiltà, la dimora evoca dolcemente i fasti rinascimentali e li combina al fascino della storia e dei suoi aneddoti. Storia che oggi rivive nelle preziose decorazioni che il tempo clemente ha fatto giungere a noi e che si riscopre negli sguardi curiosi dei visitatori che si accostano per ascoltarne un sussurro di mistero.Ora le sue sale si aprono per accogliere la freschezza e il talento di due giovani artisti, Bruno Fantelli e Alessia Carli, le cui opere trovano nel Palazzo non una mera quinta teatrale ma una cornice capace di esaltarne l’espressività e portata artistica. Un progetto di mostra diffusa che conduce il visitatore ad un’inaspettata duplice scoperta in cui, grazie all’arte e alla sua dimensione senza tempo, la bellezza e vivacità di Palazzo Morenberg rifioriscono in una nuova Primavera.

Emanuela AbramSindaco e Assessore alla Cultura e IstruzioneComune di Sarnonico

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~Palazzo Morenberg~

alazzo Morenberg domina la piazza centra-le del paese. L’aspetto attuale è frutto della rielaborazione in chiave rinascimentale del preesistente edificio di stampo gotico acqui-stato nel 1554 dai Morenberg (famiglia no-bile che si insediò a Sarnonico tra il XVI e il XVIII secolo). Carlo, in particolare, decise di farne la sua residenza personale, non prima però di averne rivisto l’assetto architettonico e figurativo secondo i nuovi dettami uma-

nistici. Per questo si affidò alle maestranze lombarde e alla figura del maestro Silvestro del Gallo, buon co-noscitore della cultura e dei trattatati rinascimentali. La facciata principale fu quindi riorganizzata secondo una precisa griglia di composizione: i fori sono disposti in maniera simmetrica rispetto all’asse centrale disegnato dalle splendide bifore sovrapposte. Il lato sud fu arric-chito da una meridiana, dipinta secondo il sistema delle ore francesi e incorniciata da un potente impianto sce-nografico di contorno. Dopo una serie di passaggi di proprietà ad altre famiglie nobili d’Anaunia, fra cui i Genetti di Dambel (il cui stem-ma è raffigurato sopra la porta d’ingresso) ed i Martini di Revò, il Palazzo fu sede della canonica dal 1766 al 1990, anno in cui il Comune lo acquistò per adibirlo a sede istituzionale. Nel 1990 hanno avuto inizio i lavori di ristrutturazione, cui sono seguiti dal 1994 al 2002 i lavori di restauro del ciclo decorativo degli interni, che hanno riportato gli affreschi al loro antico splendore.Gli interni di Palazzo Morenberg rispettano le logiche distributive tipiche della casa rinascimentale: al piano terra gli avvolti con la cantina e le stalle, al primo piano la sala mediana e gli spazi adibiti ai negotia (ossia gli affari), al secondo piano i luoghi dedicati agli otia (ossia al riposo e ai piaceri intellettuali).

IL PRIMO PIANO: LUOGO DEI NEGOTIARiccamente adorno di eleganti decori, il salone cen-trale richiama il potente status della famiglia: le pareti dipinte a bande verticali dalle tinte ocra, rossa e bianca, ricordano i colori araldici dei Morenberg. Simboli della nobiltà sono anche gli oggetti, dipinti a trompe l’oeil (“in-ganna l’occhio”), disposti sopra una finta cornice e che simboleggiano la levatura culturale: tra gli altri, un qua-drato magico, una tavola alchemica, una clessidra, uno spartito musicale, una mandola, un astrolabio e un map-pamondo. Accanto alla bifora, un gatto accucciato e una scimmietta che mangia un frutto. La fascia superiore riporta incorniciati da una corona di alloro gli stemmi dei casati nobiliari con cui i Morenberg avevano intrecciato importanti relazioni (tra cui i Lagenmantel di Termeno e i Caldes), dominati dallo stemma con cimiero, elmo e svolazzi dei Morenberg-Giovo.La stanza dei melograni e delle meleLa parte inferiore delle pareti è dipinta con un motivo a bande policrome verticali che richiama la sala degli stemmi, mentre nella parte alta, anche qui poggiati a trompe l’oeil, sono raffigurati diversi frutti: mele rosse e cotogne, melograni e zucche. Sullo sfondo sono dipin-ti dei sottili arbusti stilizzati con foglie, mentre il motivo fitomorfo viene ripreso nelle decorazioni dei listelli che separano le travature.La stubeCompletamente rivestita in legno di cirmolo verniciato con soffitto a cassettoni, la stube si caratterizza per le importanti decorazioni riservate alle due porte di acces-so: con timpano, decorato a motivo floreale, sorretto da due lesene scanalate con alti basamenti e capitelli di ordine dorico. Di interessante realizzazione anche i due armadi che ne compongono l’arredo interno, entrambi esempio di

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sapiente artigianato locale. Questa era la stanza proba-bilmente adibita agli scambi commerciali. IL SECONDO PIANO: LUOGO DEGLI OTIALa sala dei levrieriIl salone centrale del secondo piano è illuminato da due bifore collocate su pareti opposte, che conferiscono so-lennità all’ambiente. Entrambe sono arricchite da sedili laterali in pietra. Alle pareti sono raffigurate scene di caccia in cui il levriero, simbolo araldico della famiglia, ricorre più volte intervallato dalla rappresentazione di animali selvatici: una volpe, lepri, cinghiali e un orso. Curiosa presenza quella dell’elefante.La stanza delle figlieLe due porte della stanza sono incorniciate da un finto apparato architettonico. L’architrave che sormonta le aperture è sostenuto da lesene decorate con figure uma-ne: in esse sono forse rintracciabili i volti dei committenti, i proprietari Carlo Morenberg, la consorte e le due figlie. Riprendendo lo stesso motivo, gli architravi delle finestre sono sostenuti l’uno da due telamoni e l’altro da due ca-riatidi. Si tratta certamente di una stanza dedicata alla famiglia che, forse non a caso, si trova in corrispondenza con la sala dei melograni e delle mele posta al piano inferiore, simbolo di abbondanza e prosperità. La sala delle VirtùLa stube del secondo piano è un esempio d’incontro di due tradizioni, quella nordica e quella tridentina. Si presenta interamente rivestita di legno di cirmolo con lesene che, poggianti su di un alto basamento, sorreg-gono un cornicione dentellato. Il registro superiore è de-corato con delle tele raffiguranti temi di moda all’epoca: le Virtù teologali, le Virtù cardinali, la Virtù minore della Pazienza, l’allegoria della Fortuna e i personaggi biblici di Giuditta e Salomè. In corrispondenza delle finestre la decorazione figurata si interrompe per lasciare il posto

alla decorazione araldica: oltre allo stemma dei Moren-berg-Giovo, sono ripresi quelli degli Jelspergher e dei Concini Ritschenegg. Entrambe le raffigurazioni riporta-no in basso la data 1588, che richiama il periodo di ese-cuzione del ciclo decorativo. Di preziosa fattura la stufa a olle con sagoma a torre, proveniente probabilmente dalla fornace di Sfruz e datata 1643. Le due entrate sono decorate con portali monumentali che, insieme al soffitto caratterizzato da cassettoni a specchi ottogonali e croci d’ispirazione veneta, chiude l’imponente appara-to ligneo della stube.La sala della GiustiziaLa stanza prende il nome dalla decorazione posta sopra l’architrave della porta d’ingresso, che raffigura due figu-re femminili interpretabili come l’allegoria della Giustizia (che regge la bilancia e la spada) e della Prudenza (che tiene in mano uno specchio). L’artista che ha dipinto questo piano aveva una cultura diversa rispetto a quello del primo, certamente rivolta all’ambito nordico e vicina probabilmente alla scuola dell’artista Bartolomeo Dill.Il sottotettoIl Palazzo termina con il sottotetto: si tratta di una stan-za unica, senza mura divisorie, molto alta, che crea un imponente vuoto. A quel tempo poteva essere utilizzato come fienile e granaio, al pari delle case rurali. Se così fosse stato, però, la presenza di finestre sarebbe stata necessaria e questo suggerisce l’ipotesi che il sottotetto fosse in origine munito di piccole aperture, collocate in corrispondenza delle finestre dei piani inferiori.

~Tevini K., Palazzo Morenberg, 2006.

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~Bruno Fantelli~

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~Biografia~

Bruno FantelliOriginario della Val di Sole nasce a Cles nel 1996. Si diploma presso il Liceo Artistico Alessan-dro Vittoria di Trento nel 2015 ed ora frequenta il secondo anno di pittura presso l’Accademia di Belle Arti a Venezia. Egli propone una visione della natura tutt’altro che cupa: fil rouge di tutta la sua opera. Attra-verso l’uso del più tradizionale medium artistico, la pittura, egli conduce una costante ricerca nell’evoluzione, nella stesura, nella scelta dei pigmenti e rivela tutta la sua dedizione e il suo legame più intimo con la forza creatrice quale è la natura in cui lui stesso è nato e cresciuto. Nelle stratificazioni di colori brillanti, macchie di blu si trasformano in acque sgargianti di fiumi e mari e il rosso prende forma in un cielo incandescente. Sbucano dalle chiazze di colore un airone con piume screziate, arbusti, vegetazione dalle ombre innaturali e dai contorni netti. La natura comincia a muoversi davanti ai nostri occhi, pulsante di vita. Essa appare come una visione psichedelica dove il cielo, gli alberi, l’acqua vengono animati da forze sconosciute, incontrollabili, dove i colori si presentano del tutto sconnessi dalla realtà come la conosciamo. Il termine di derivazione greca “psichedelica” vuole condurre all’ampliamento della nostra vi-sione di realtà e indurci a gioire di un mondo privo di connessioni logiche e prestabilite. I paesaggi primordiali di Fantelli divengono sogno e richiamano gli stessi luoghi primitivi amati dalla nicchia dei pittori Naϊf come Henri Rousseau e Antonio Liguabue i quali fanno della loro arte pura spontaneità, favorendo un linguaggio immediato e ingenuo come ci suggerisce il nome stesso di questa cerchia. Dello stesso avviso sono gli espressionisti tedeschi Ernst Kirchner o Edvard Munch e l’analogo gruppo francese dei Fauves con Henri Matisse e Andrè Derain, per i quali la natura primitiva è la più vera e istintiva rappresentabile, privilegiando nella pittura e nella scultura un ”espressione” feroce e impulsiva in grado di rispecchiare l’universale grido d’angoscia scaturiti dalle tenebre dell’animo umano. Le opere esposte da Fantelli non sono che un viaggio che ha compiuto e sta compiendo, fisico quanto simbolico, attraverso il quale egli diviene il più critico interrogatore di se stesso nell’assidua ricerca della sua identità. Allo stesso tempo queste divengono il suo inno alla sacralità della vita, il suo più fiducioso augurio affinché la natura e tutti coloro che la abitano proseguano il loro ciclo di rinascita e proliferazione.

Giulia Parisi

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PAPPAGALLOOlio su tavola

11,5x13,5 cm - 2017Courtesy dell’artista

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PAESAGGIO CON FUNGO Olio su tavola 15x16 cm - 2017 Courtesy dell’artista

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RISVEGLIO ABBAGLIANTEOlio su tavola

15x22,5 cm - 2017Courtesy dell’artista

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PESCIOLINI ROSAOlio su tavola 17x10 cm - 2017 Courtesy dell’artista

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SENZA TITOLOOlio su tavola

17x23 cm - 2017Courtesy dell’artista

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~Alessia Carli~

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~Biografia~

Alessia CarliNata a Trento nel 1976, Alessia Carli è capovolta. Laureata in Sociologia a Trento frequenta successivamente un Master in “ Group Processes and Intergroup Relations” a Canterbury, Kent, UK. Vive e lavora a Cles. Dal 2006 espone in numerose personali e collettive, fa parte della FIDA (Federazione Italiana degli artisti Tren-to) cura mostre ed eventi, collabora con numerosi artisti ed insegna arte in inglese. Sul suo antico tavolo da disegno si possono incontrare buste postali, meravigliosi pezzi di carta, ex voto, colori di ogni specie, vecchi pennelli, sassi da ogni dove, timbri, pesci, ed alcuni oggetti improbabili. Più di ogni altra cosa ama l’odore delle buste da lettera, dell’inchiostro e l’olio di semi di lino. La sua ricerca artistica è incentrata sul concetto di rovesciamento. Affascinata dalla figura umana, esplora l’idea del corpo come possibile estensione della mente e come mezzo di cono-scenza del mondo. Proprio attraverso la messinscena del suo mondo capovolto e la costante rappresentazione di sé stessa interpreta la contemporaneità. Le sue donne capovolte testi-moniano femminilità primordiali la cui forza potente ed estetica si coniuga con le aspettative legate ai ruoli, la vulnerabilità e la profonda naturalità degli eventi umani.Nella serie FLOWERS, i volti, delineati a china con tratti spontanei, a volte precisi, a volte sbavati, si incontrano con il tratto grossolano di richiamo infantile dei pastelli ad olio dei fiori per celebrare il paradosso dell’esibizione intima del sé che oscilla tra oscenità e delicatezza, pudore e sfacciataggine, piacere e disturbo, caducità e immutabilità in un quasi completo ciclo di intimità e alienazione.

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FLOWER 4 - IRISChina e pastelli ad olio su busta

40X30 cm - 2017Courtesy dell’artista

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FLOWER 5 - RANUNCULUS BULBOSUSChina e pastelli ad olio su busta40x30 cm - 2017 Courtesy dell’artista

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FLOWER 7 - VIOLA ODORATA China e pastelli ad olio su busta

40x30 cm - 2017Courtesy dell’artista

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FLOWER 8 - CAMPANULA PERSICIFOLIAChina e pastelli ad olio su busta40X30 cm - 2017Courtesy dell’artista

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FLOWER 11 - ORTENSIA HYDRANGEA China e pastelli ad olio su busta

40x30 cm - 2017 Courtesy dell’artista

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~Palazzo Endrici~Don

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Saluto Assessore

Palazzo Endrici e la casa natale di mons. Celestino Endrici, ultimo Principe Vescovo di Trento, grande personaggio che ebbe il coraggio di difendere i principi di libertà per il suo popolo. E’ uno dei più significativi edifici monumentali del nucleo antico di Don, ricco di storia, costruito all’inizio del XVII secolo, che conserva tutto l’arredo originale e permette di apprezzare sia la biblioteca che la quadreria ritrattistica. L’obiettivo é quello di valorizzare la bellezza architettonica della nobile residenza e di far conoscere ai visitatori la storia della personalità illustre che vi ha dimorato.L’incontro con l’arte contemporanea del progetto di mostra “Primavera”, iniziativa estesa ad altre dimore storiche della Val di Non, vuole dare l’occasione alla giovane artista Elisa Zeni di vedere esposte le proprie opere in ambienti conservati nella loro integrità di struttura e arredo.Tanti ed interessanti sono i motivi per passare a Don a visitare e apprezzare il “Palazzetto Endrici”.

Bruna PellegriniVice Sindaco e Assessore alla Cultura Comune di Amblar-Don

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el centro storico del paese di Don, frazio-ne del Comune di Amblar-Don, si erge la dimora fatta costruire agli inizi del XVIII secolo dagli Endrici, famiglia originaria del paese di Rallo, oggi frazione del Comune di Ville d’Anaunia. La data 1720 incisa sulla facciata sopra la lapide marmorea posta a ricordo del Vescovo Celestino Endrici che ivi dimorò, attesta la conclusione dei lavori di questa fabbrica.

La facciata ovest, leggermente incurvata, si adatta pro-babilmente all’andamento in pianta delle unità edilizie che gli Endrici unirono per ottenere un volume archi-tettonico sufficientemente ampio e consono al loro ran-go. La facciata si caratterizza per l’inserimento di due portali in pietra rossa trentina. Sopra l’entrata principale campeggia un affresco settecentesco raffigurante la Vergine in gloria tra gli angeli e i santi Brigida, Rome-dio, Antonio da Padova, Antonio Abate e Floriano. Nella cornice dell’affresco un’iscrizione latina recita “SU-SCIPE VIRGO DEI GENITRIX PIA EXPOSCENTIUM VOTA”. Sul battente destro del portale ligneo lo stem-ma in rilievo della famiglia Endrici (inquartato: al primo alla sbarra d’argento in campo di rosso ed in quarto alla sbarra d’argento in campo d’azzurro; al secondo troncato in alto di azzurro al giglio d’oro, in basso d’oro pieno; al terzo d’oro al leone di rosso volto a sinistra) affianca quello vescovile posto sul battente di sinistra. Quando il palazzo divenne la sede estiva del Vescovo di Trento Celestino Endrici, uno degli ambienti a piano terra fu adibito e trasformato in cappella dipingendo le pareti con una decorazione a finte pietre squadrate e una volta a botte unghiata ornata con un cielo stellato

arricchito da stemmi vescovili. Il piano superiore si rag-giunge percorrendo una scala accessibile dal portone centrale, illuminata da una finestra che conserva an-cora il serramento originale settecentesco a sei spec-chiature.Al secondo piano il corridoio permette l’ingresso a sei ambienti disposti dirimpetto a due a due dove si con-serva ancora, pressoché intatto, l’arredo ottocentesco, alcuni mobili settecenteschi, un bellissimo trumeau di epoca Maria Teresa (1760) in noce e radica filettato, compendi in stile Carlo X e Biedermeier, cassapanche scolpite e ritratti del Vescovo Celestino Endrici di cui me-rita menzione quello realizzato nel 1909 dall’artista Gio-vanni Battista Chiocchetti (Moena 1843 - Trento 1917).

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~Palazzo Endrici~

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~Elisa Zeni~

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~Biografia~

Elisa ZeniNata a Trento nel 1980, vive e lavora a Spormaggiore, in Trentino. Nel 1999 si diploma all’Istituto d’Arte Alessandro Vittoria di Trento. Durante questi studi, attra-verso attività di tirocinio si avvicina al mondo del restauro, iniziando una collaborazione che prosegue fino al 2005. Nello stesso periodo conclude il corso di laurea in Scienze dei Beni Culturali presso l’Università di Trento. Con il 2006 inizia un percorso di ricerca espressiva che la porta ad esporre le proprie opere in numerose mostre personali e collettive. Nel 2009 entra a far parte dell’Associazione di artisti trentini “La Cerchia”. Dal 2010 collabora con il Museo Castello del Buonconsiglio (TN) come educatrice museale. È la pittura, in particolare l’olio su tela o tavola e l’acquerello, il mezzo espressivo con il quale l’artista dà forma al proprio percorso artistico interiore e simbolico. Le sue opere hanno origine da un rapporto contemplativo ed empatico con la Natura, in particolare con l’Acqua: l’artista riflette, nell’essere Acqua che scorre, il fluire dei propri pensieri, i moti, i turbamenti dell’incon-scio. Un’Acqua che muta, rinnova, si mescola alla Terra in una sorta di rituale di purificazione fino a generare nuovi elementi fitomorfi e floreali.

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SULLE ONDE Olio su tavola

80x80 cm - 2016Courtesy dell’artista

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APNEAOlio su tela 80x80 cm - 2017 Courtesy dell’artista

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GENESI Olio su tela

80x80 cm - 2017 Courtesy dell’artista

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SOSPESAOlio su tela 80x80 cm - 2016 Courtesy dell’artista

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FIORI DEL NOCE Olio su tela

100x120 cm - 2009Courtesy dell’artista

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~Elenco mostre~PERSONALI & COLLETTIVE

FEDERICO SEPPI2017WAITING ROOM, Centro di psicoanalisi Jonas, Trento2016ENGINEERS OF THE IMMAGINATION, Arcade Gallery, Cardiff (UK)HAPPENING “STORM”, Cardiff Bay (UK)GREEN PULSE, MUSE, TrentoOPERA PERMANENTE “LACRIMA”, Sentieri dell’arte, Caprino veroneseARDDANGOSFA O ARDDANGOSFEYDD, The Roath Park, Cardiff (UK)2015 NATURE, ARTE E ECOLOGIA, Galleria Civica, TrentoCOLLETTIVA, ABITI DEL MALE, Este (PD)IDEATORE, meeting di arte natura “Tracce di passaggio”, Ruffrè - Mendola (TN)OPERA PERMANENTE “MAGMATICA”, Villa Agnedo2014 COLLETTIVA, Magazzini del sale, VeneziaOPERA PERMANENTE “INTRECCIO”, Lago Ruffrè - Mendola (TN)2013 IN RISONANZA, MART, RoveretoOPEN 16, Venezia2012 COLLETTIVA, Alabasto, Logrono, (Spagna)HOMUS PARK, International meeting arte natura, Pordenone (TN)

GIORGIO CONTA2016 CONTEXT ART MIAMI, Miami, Stati Uniti, Presentato dalla galleria Liquid Art System2016 CONTEMPOTARY ISTANBUL, Istanbul, Turchia, Presentato dalla galleria Liquid Art System2016 DA GIOTTO A DE CHIRICO, Collettiva di scultura su invito di Vittorio Sgarbi MUSA (Museo Arte Contemporanea Salò), Salò (BS)

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2015 IL TESORO D’ITALIA, Padiglione Eataly, a cura di Vittorio Sgarbi, EXPO 2015, Milano 2015 LA MUSICA NELLE OPERE DI GIORGIO CONTA, Villa Filippini, Besana in Brianza 2015 MILANO SCULTURA - STEP ART FAIR, Fabbrica del Vapore, Milano su, invito di Valerio Dehò2013/14 MOSTRA PERSONALE, Palazzo Trentini, Trento,Presentazione Renzo Francescotti e Pietro Marsilli2013 , LIVIO E GIORGIO CONTA - “OPERE SACRE”, Villa Filippini, Besana in Brianza, Presentazione di Luigi Marsiglia2012 Mostra collettiva , Galleria Ponte Rosso, Milano 2010 JAZZ IN MOSTRA, Mostra personale, Palazzo Assessorile e Galleria D’arte Fedrizzi, Cles (TN), Presentazione di Luigi Marsiglia e Massimiliano Castellani2010 JAZZ SESSION, Mostra personale, Villa Ghirlanda, Cinisello Balsamo (MI), A cura di Luigi Marsiglia e Massimiliano Castellani2010 OLTRE L’ORIZZONTE, Centro D’Arte Contemporanea Cavalese, Palazzo Firmian, Cavalese (TN)2008 LA MONTAGNA INCANTATA, Trento Film Festival Della Montagna , Palazzo Trentini, Trento, Presentazione di Luigi Marsiglia2008 Mostra collettiva, Villa Ormond, Sanremo2007 TERRA, Mostra personale, Palazzo Conti Martini, Mezzocorona (TN)2005 OPERE DI LIVIO E GIORGIO CONTA, Alla Sosta Dell’ Imperatore, Folgarida (TN), presentazione di Fiorenzo Degasperi2004 Mostra collettiva e asta condotta da Christie’, Cantine Rotari, Mezzocorona (TN), presentazione a cura di Philippe Daverio 2003 Mostra personale - Sala degli Artisti, Teatro Comunale, Malè (TN)2000DESSЁNIES DAL VIF, Mostra collettiva, Kreis fϋr Kunst und Kultur, Ortisei (BZ)

DAVID AARON ANGELI2017 EUROPA PREVIEW, Studio d’Arte Raffaelli, TrentoARTE FIERA, con Studio d’Arte Raffaelli, Bologna2016 ART VERONA con Studio d’Arte Raffaelli, VeronaARTE FORTE con Studio d’Arte Raffaelli, Forte Belvedere, Lavarone (TN)DER BLITZ 2016, Fluidi, MAG, Riva del Garda (TN)2015/’16 NATURE, Galleria Civica, Trento2014VIII BIENNALE GIOVANI con Studio d’Arte Raffaelli, MAM, Mantova2013

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IN RISONANZA, Mart, Rovereto2012 LINES ON LIMIT, Hofburg, Innsbruck, Austria2011 CONUS ELAPHUS, Fondazione Galleria Civica, Trento

LUCA MARIGNONI2016LUCI SORGENTI, Mostra collettiva, Museo Civico S. Antonio, Cascia (PG)2015TACCO QUINDICI, Mostra collettiva, Palazzo Assessorile, Cles (TN)2014PETRE D’ ACQUA SIMPOSIO DEL GRANITO a cura di Paolo Dolzan, Villa Agnedo Val Sugana (TN)2014LA RUOTA GIRA simposio d’arte a cura di Paolo Dolzan, Mulino Stenico (TN)2013IN RISONANZA mostra collettiva , MART Museo Di Arte Moderna e Cotemporanea, Rovereto (TN)2012CHE COSA VEDI?, Mostra collettiva, Casa Marta, Coredo (TN)

ROMINA ZANON2017LA PRESENZA ACUTA DELL’ASSENZA, Loomen Studio, RomaLA PRESENZA ACUTA DELL’ASSENZA, Centro Culturale Italiano, Cluj - NapocaL’ALTRO SGUARDO, Mostra collettiva, Villa Belvedere, Acireale (CT)2016IL SOFFIO ARMONICO, Palazzo Assessorile, Cles (TN)SINERESI, Dorfkirche, St. Moritz, Svizzera2014LA MONTAGNA INFRANTA/EPIPHANEIA, Pala Arrex, JesoloEPIPHANEIA, Castel Caldes, Caldes (TN)2013LA MONTAGNA INFRANTA, Teatro di Ponte Nelle Alpi, BellunoLA MONTAGNA INFRANTA, 70° Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia

FELIX LALÙ2017TRENTINO BRAND NEW, Azione collettiva, Centrale Fies, Dro (TN)2016ANANDA MIDA - ANODNATIUS (Album - GoDown Records, Savignano sul Rubicone, FC)FELIX LALÙ - COLTELLATE D’AFFETTO (Album - La Ostia Registrazioni, Val di Non, tn/Riff Records, Bolzano/DreaminGorilla Records, Savona)2015LA SPUMA PER EL BOCIA - S/T (Album - La Ostia Registrazioni, Val di Non, TN)2014PERCORSI D’ANAUNIA (Libretto - La Ostia Pubblicazioni, Val di Non, tn/Flamingo, Cles, TN)2013IN RISONANZA, MART, Esposizione collettiva, Rovereto (TN)ARTE SACRA PER NON FREQUENTANTI, Mostra personale, Nastro Say Yes, Milano 2012CHE COSA VEDI?, Esposizione collettiva, Casa Marta, Coredo, (TN)

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ARTE SACRA PER NON FREQUENTANTI, Esposizione personale performativa, Spazio Coop, Coredo, (TN) SAN ROMEDIO A MANETTA, (Libretto illustrato - La Ostia Pubblicazioni, Val di Non, TN)2011LA MACELLERIA DELL’ARTE, Esposizione personale performativa, Spazio Ex Elementari, Coredo, (TN) LA PICCOLA ORCHESTRA FELIX LALÙ – È COSA BUONA E GIUSTA (Album - La Ostia Registrazioni, Val di Non, TN)2010FELIX LALÙ TORNA A DIPINGERE, MA SOLO PER SOLDI, Mostra personale, SpaziOff, Trento 2009OLTRE IL MURO, Esposizione collettiva, Palazzo Assessorile, Cles (TN)BASTAROCK: L’UNDERGROUND TRENTINO DEI THE BASTARD SONS OF DIONISO (Libro - Zandonai Editore, Rovereto, TN)LA PICCOLA ORCHESTRA FELIX LALÙ - EL SE SENTIVA SOUL (Album - La Ostia Registrazioni, Val di Non, tn)2006-2009LE PECORE NERE IN MOSTRA, Esposizione collettiva, Ex Caseificio, Monclassico, tn/Chili Rafting, Croviana (TN) 2006FELIX LALÙ - BRACCIA STRAPATE ALL’AGRICOLTÙ (Ep - La Ostia Registrazioni, Val di Non, TN)

BRUNO FANTELLI2016 LUOGHI SILENZIOSI, Dimaro (TN)2015FIGURA, Spazio Ottone, Malè (TN)2015TRACCE DI PASSAGGIO, Ruffrè (TN)

ALESSIA CARLI2016VART TALENT 2016, Scenografie, Centro culturale S Chiara, TrentoDADA 100 (FIDA), Casa degli artisti, Tenno, Trento e Galleria Civica, Bolzano2015PAR AVION, Palazzo della Vicinia, Mezzocorona, Trento2014MERRY CHRISTMAS (FIDA), Galleria Civica, BolzanoLA SECONDA VITA, Casa de Gentili, Sanzeno (TN)2013IN RISONANZA. MART, Rovereto (TN)VERONA ART FAIR , Spazio Independents - My home galleryMELAMORFOSI (FIDA), Casa De Gentili, Sanzeno (TN)LAKE AND THE CITY. 3° collettiva FIDA, Torre Mirana, Trento2012NATURA LIBERA (FIDA), Palazzo Libera, Villa Lagarina (TN)NON SI VA MAI COSÌ LONTANO... FIDA, Grand Hotel (TN)2011EQUIPE SHOW 2, Spazio Equipe 5, Mezzolombardo (TN)2010LOVE 6,9-4,7, Palazzo Conti Martini, Mezzocorona (TN)APPUNTI DI VIAGGIO (FIDA), Tridentum Romana di Palazzo Lodron(TN)ARTE IN FIERA (Galleria Ufofabrik), 12° Mostra mercato di Reggio Emilia (BO)EQUIPE TEST 10, Galleria Ufofabrik, Moena (TN)EQUIPE SHOW 1, Spazio Equipe 5, Mezzolombardo (TN)

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2009MY DESIRE OF ATTACHMENT, Circolo Culturale Bertold Brecht, MilanoOLTRE IL MURO, Palazzo Assessorile, Cles e Casa Marta, Coredo (TN)TO S-WEAR. 05 Giornata del contemporaneo, CRAM, Mezzocorona (TN)OFFICINA DELL’AUTONOMIA, Fondazione Museo Storico (Galleria bianca), Trento2008INALBERAZIONI, Canina Mori Colli Zugna, Mori (TN)SAOL NA SAOL, Palazzo Vicinia- Mezzocorona (TN)INCORPORE, Sala Maier, Pergine Valsugana (TN) 2007EU COMO UN FREIXO INFRAUMANIZZAZIONI, Sala Maier, Pergine Valsugana (TN)GIALLO GIRALUNE,Studio d’arte Andromeda, TrentoE SI CREÒ LA DONNA, Galleria Sekanina, FerraraARTinMOTION project 2007 PERFORMANCE, Universidanza, Provincia Autonoma di Trento2006TERRA DI VERDE E DI PORPORA, Palazzo Conti Martini, Mezzocorona (TN)2004ROOTS AND SNOWFLAKES Galway Art Festival, Galway, Ireland

ELISA ZENI2016ACQUA E MISTERO con Pierluigi Negriolli, Galleria d’Arte Moderna Fogolino, Trento IMMAGINE AL PLURALE, Collettiva La Cerchia, Rocca Sforzesca, in collaborazione con il Comune di Dozza (BO)2014DI TERRA E DI ACQUA, Palazzo della Vicinia, Mezzocorona (TN)2012ACQUA. GLI OCCHI TRASPARENTI DELLA TERRA E DELL’ANIMA, SPAZIO KLIEN, Borgo Valsugana e Castel Ivano, Ivano Fracena (TN)2011EN EL NOMBRE DE VILLON, Collettiva La Cerchia, Sala Marta Colvin - Pinacoteca dell’Universitad de Concepción Santiago (Chile)2008PERCORSI DELL’ANIMA, Parco Naturale Adamello Brenta, Sant’Antonio di Mavignola (TN)2007TRA MONTAGNE E NUVOLE, Sosat. Trento2007CROMOEMOZIONI - IL GIALLO, Collettiva Giralune, Studio d’Arte Andromeda, Trento

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ITINERARI

daCasa da Marta - COREDOaCasa de Gentili - SANZENO9 min (7,0 km)tramite Strada Provinciale 7/SP7 e Via Rezia/Strada Statale 43d/SS43Dir

daCasa Campia - REVÒaPalazzo Morenberg - SARNONICO 21 min (14,1 km)tramite SP24

daCasa Campia - REVÒaCasa de Gentili - SANZENO10 min (6,5 km)tramite SP74

daPalazzo Morenberg - SARNONICO aPalazzo Endrici - DON6 min (3,7 km)tramite Via Roma e Strada Provinciale 26/SP26

daCasa de Gentili - SANZENOaPalazzo Morenberg - SARNONICO15 min (9,7 km)tramite Strada Statale 43d/SS43Dir

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