prof. ssa simona martini · mia attenzione, un negozio molto ... ma la domanda che mi faccio io...
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L’altra città: ai margini La vita preziosa che l’indifferenza nasconde
Prof. ssa Simona Martini
www.goccediarmonia.altervista.org
Testi scritti dagli alunni della classe IIB Istituto
Comprensivo «Via Giacomo Matteotti 11» Cave
l’altracittà
La nostra città: i monumenti, i palazzi, le strade, le
persone.
Ma la conosciamo realmente?
Conosciamo l’altro punto di vista sul mondo?
Il punto di vista di coloro che stanno sotto i nostri
occhi, ma che comunque non vediamo?
Abbiamo mai provato a mettere le loro scarpe e a
cercare di capire cosa dicono i loro occhi?
Conosciamo veramente la nostra città?
Lucrezia
EMPATIA
Io mi riconosco in te
due specchi che si riflettono all’infinito
le mie mani nelle tue mani
i miei occhi nei tuoi occhi
ti parlo
ti ascolto
ti penso
ma non ti giudico
DUE ANIME FUSE INSIEME
Diego
Mimma
Mi affacciai, decine e decine di persone attraversavano la strada. Nessuno
guardava negli occhi l’altro, ognuno sembrava crearsi una propria cupola, un proprio
mondo, un proprio riparo. Era tutto così strano visto da quel tombino guardando
fuori...ma pensandoci era meglio lì sotto; fuori c’era di tutto: sì, ricchezza ma allo
stesso tempo povertà, un mondo enorme ma anche minuscolo. Un negozio colpì la
mia attenzione, un negozio molto grande, forse il triplo della mia casa; da lì uscivano
ed entravano decine e decine di persone; nessuno pensava di fare un regalo all’altro
ma ognuno pensava a se stesso, sembrava di vedere delle serpi che più avevano e
più volevano! Ero sconvolta a pensare che Elias e i suoi compagni non potevano
nemmeno avere un pezzetto di pane e loro...beh! Tutto quel lusso a cosa gli serviva,
a sentirsi ancora più soli di quello che già erano? A cercare di colmare un vuoto
causato dalla mancanza di compagnia? Volevo solo dire a loro di guardarmi in
faccia, di non ignorarmi, che io esistevo, che non ero un fantasma, volevo solo un
attimo della loro attenzione; sapevo che non mi volevano ascoltare perché gli
sembravo diversa, ma a parer mio così non era, perché eravamo tutti uguali anche
se loro più ricchi e io più povera, volevo dirgli che vivevo in un luogo chiamato Terra,
un mondo enorme...ma anche minuscolo.
Anna
Sono quiSono qui, sono qui
non mi vedi vero?
ti sembro inutile, un oggetto
sono qui,
ancora non mi vedi?
io ti vedo.
Non sono tua schiava,
non mi trovo sotto i tuoi piedi;
hai paura della povertà;
io no, perché affronto la mia vita,
non vorrei mai stare al tuo posto;
sei povero mi spiace per te non hai nessuno,
ancora non mi vedi?
Sono sempre qui.
Non sono un fantasma, sono umana, come te;
Vivo sulla Terra, la conosci?
Spero di sì perché ci vivi anche tu.
Se ti serve un supporto io sono qui.
Sono qui, adesso mi vedi?
Anna
Laggiù,
in mezzo al niente
chiede una sigaretta
una moneta
una barretta di cioccolato
una benedizione.
Laggiù,
in mezzo al niente
sperando di vincere la lotteria
è lì che vive un ragazzo
anzi uomo e padre
che fu cacciato di casa
per un gioco di troppo.
Alexandro
Shana
Io sono Shana. Una ragazza che è arrivata qui molto tempo fa e che conosce la
lingua italiana molto bene. Sì, è vero che il tempo fa cambiare le cose, ma a volte mi
sento come un alieno che è appena atterrato su un mondo dove non può stare, solo
perché è diverso; è brutto sentirsi così. Ancora oggi alcune persone mi puntano gli
occhi come se mi volessero domandare mille cose, ma la domanda che mi faccio io
è: che cosa ho di diverso?
Beh, ho un altro modo di vestirmi, professo un’altra religione, ho altre tradizioni ma
questo non mi permette di sentirmi strana o diversa.
Io penso che il mondo sia fatto di persone che ti giudicano dall’esterno senza
impegnarsi a conoscerti veramente, ma anche di persone che ti vogliono bene per
come sei e non per come appari.
Una persona a cui tengo molto è Jamila, lei ha vissuto la mia stessa storia e io la
vedo come qualcuno su cui posso contare per sfogarmi, per piangere, per ridere.
Se guardo il mondo con i miei occhi, o forse con il cuore, penso che questo sia un
mondo pieno di gradini da salire ma anche da scendere perché da sempre dopo il male
viene il bene, dopo la pioggia ritorna il sole, dopo la notte torna il giorno.
Mi piace il mondo in cui vivo perché si può sempre ripartire anche da zero, come ho
fatto io che ho ribaltato tutta la mia vita ma non i ricordi perché quelli non voglio
cancellarli!
L’altalena dell’istituto mi ricorda tutto l’imbarazzo che provai il primo giorno di scuola, la
prima volta che entrai in quel luogo: tutti gli occhi erano puntati su di me e su Jamila.
Ma anche questi sono ricordi e non bisogna eliminarli perché ci fanno crescere.
Vicino a me sull’altalena c’è Jamila che mangia le verdure, come me, ma lei con il cus
cus e io invece all’olio.
Intorno a noi c’è qualche gruppetto di ragazze e ragazzi che parlano tra di loro, tutti gli
altri invece sono dentro la mensa a mangiare. A me non piace mangiare nella mensa
visto che non c’è il cibo che mi interessa.
Martina
Caro diario, 24 novembre 2017
qualche settimana fa sono andata con i miei genitori a fare una passeggiata a Roma, già a
Roma una città magnifica ricca di turisti tutto l’anno.
Ma quello che mi ha colpito di più sono loro, lì per terra, non so se tu li vedi come me, non so
se tu li vedi tristi, scoraggiati, non so se a te fanno piangere il cuore: a me sì.
Vedere loro lì per terra con uno straccio per coperta e uno scatolone per casa mi ha fatto
pensare molto. Perché nel nostro mondo devono esserci ancora queste persone? Perché
proprio a Roma la capitale d’Italia ci sono persone sotto l’acqua, grandine o sole che
dormono o cercano di dormire? Chissà perché sono ridotti a vivere così. Chissà perché
ciascuno di noi non gli dà una mano. Alcuni non hanno il coraggio, ad altri fanno schifo, altri
non se ne accorgono neanche, non si accorgono che stanno soffrendo.
Può essere davvero possibile? Forse sì.
Con affetto.
Martina
Rinchiusa in un cubo,
il mio cubo
mi protegge
dagli occhi neri.
Diversa da tutti,
da chi mi guardava,
diversa in tutto.
Occhi puntati su di me,
sguardo attento
maligno delle persone.
Martina
Andai in giro a vedere qualcosa di nuovo. Le strade
erano vuote, tirava tanto vento e passava a malapena
qualche macchina. Il cielo era sereno e l’aria era
fredda. In fondo al marciapiede c’era una panchina;
allora andai a sedermi lì. Poi, mi misi a pensare.
Come ho fatto a diventare così, senza una casa, senza
qualcuno che mi consola?!
Le persone mi guardano in modo strano e io non mi
sento a mio agio. Sono triste, isolato dal mondo, non
conosco nessuno; a volte penso come potrei essere
in un altro mondo. Con me ho solo il mio violino, una
cosa importante per me. Quando mi sento solo mi
metto lì e inizio a suonare il mio violino.
Mihaela
ero lì
a guardare la strada
il cielo sereno
l’aria fresca
in questa giornata
sono libero
felice, gioioso
cosa mi succede?
fino ad ora
non ho mai provato quest’emozione
la gente mi guardava
ma con occhi diversi.
Mihaela
Sguardi
E’ calda, la vita, quando
lenta lenta e calma
fa vibrare il cuore.
E sfiora l’aria dentro i polmoni,
e sfiora i pensieri.
Poi sempre fantasticando fra le parole,
torna giù, nel cuore.
In attesa che la sua cara vicina venga a bussare,
ma senza paura anche se temuta da molti.
Ma prima di andare si cerca il respiro della gente, non
lo sguardo di chi non vede.
Giulia
Carlo Alberto
Vivi in una casa normale. Vai a fare la spesa, passeggi, giochi con i tuoi animali e
anche se non hai i soldi sei felice di stare. Ti bastano le persone. Anzi, i cuori di
persone o animali che siano. A me bastava stare col mio fidanzato. Vivi una vita
normale fino a che la prima persona che ti procurava ossigeno ti dice: “Siediti, ti
devo parlare”.
Da lì mi è crollato tutto addosso.
Lunghe, orrendi notti trascorse all’ospedale a guardare i segni del mostro. E a
piangere, facendo finta di ridere, perché se l’amore ti lascia non puoi fare a meno di
piangere. Ma no, non è finita lì.
Quando ti rendi conto che sei solo, totalmente intendo.
Allora sì che sei povero.
E ancora di più quando rientri nello stesso ospedale in cui hai perso un pezzo della
tua esistenza, con i cerchi viola intorno agli occhi e il viso pallido.
Poi quando torni a casa e aspetti le risposte dei controlli, te ne stai lì, sulla solita poltrona.
Come ora d’altronde, a pensare. Però l’AIDS ti cambia anche in meglio.
Se all’inizio vorresti spaccare tutto, muri, vetri, specchi, mobili e il tuo cuore. Se all’inizio hai
paura di piangere perché farebbe troppo male e cerchi di resistere. Beh, se all’inizio fai questo,
poi ti abbandoni totalmente alle emozioni, ti sfoghi e ti accorgi della bellezza delle cose che ti
stanno attorno. Non hai più paura di morire. Tanto può anche non far male. Poi se credi o no,
non importa. Alcuni dicono che “la morte è comunque la più bella delle avventure”.
La mia unica preoccupazione è a chi lasciare Carletto e Albertino. Bisogna trovare qualcuno
che li ami. L’ideale sarebbe un bambino.
Io li porto a spasso tutti i giorni, poi quando torno a casa gli do da mangiare e mi metto a
scrivere.
Eh già, scrivo poesie e storie fantastiche. Mi piace da morire.
Ma nessuno lo sa, neanche Joseph, con cui gioco a scacchi. Lui è l’unica persona che mi
considera. Gli altri mi ignorano e non sanno che esisto.
Ma a me non importa, mi basta vivere l’infinito poco che mi resta.
Giulia
Empatia
Empatia,
mettersi nei panni degli altri
guardare attraverso occhi
che non conosci veramente.
Provare gioia se annusa un fiore
tristezza se piange
l’ empatia lega persone
vicine, lontane, lontanissime.
Empatia
diventare l’ altro, provando ciò che
sente, ascoltando ciò che ha udito.
Empatia
una maschera, un filo, un vestito se tenuto
da chi piange e da chi lo ascolta.
Flavio R.
l’ altracittà: storia di Pablo che guarda da un vicolo
Mi ero ritrovato per caso in quel buio, angusto e isolato vicolo di quel
quartiere.
Quello spazio era invisibile agli occhi altrui ma io da lì vedevo molta gente
passare senza neanche voltarsi. Quella mattina ero andato in quel vicolo
per stare solo e per pensare a come avrei potuto migliorare la mia capanna
ormai quasi perfetta, pensavo ai miei fratelli che stavano continuando il
lavoro da soli aspettandomi per sapere se avevo trovato cibo, ma purtroppo
neanche oggi avremmo fatto un pranzo decente, come tutte le altre
persone normali. Questo giorno è stato orribile, mi sono tagliato a una
gamba e ho peggiorato la situazione versando sulla ferita dell’ alcol.
Ripensavo a quell’ estate in cui ho conosciuto Miriam, la mia prima
fidanzata e lei mi tornava in mente sempre, quando ascoltavo la nostra
canzone, ormai non la vedevo da anni, Miriam.
Ascoltavo musica dal mio stereo rubato e intanto vedevo gente passare:
grandi, piccoli, ricchi e poveri. Da lì potevo immaginare storie sui passanti
anche se li vedevo per un solo instante, era il mio passatempo. Nessuno mi
guardava, nessuno si accorgeva che io ero lì eppure ero solo a un metro
da loro, o forse no.
Flavio R.
Buio, stretto, solo
è quel vicolo inquieto
lasciato ai margini
insieme a quelli che lo abitano.
Così lungo che quando arriva la fine
sembra che i pesanti muri
come due gocce d'acqua ti cadano addosso.
E poi ad un certo punto
iniziano a passare le prime persone.
Veloci, vanno come treni
senza fermarsi a guardare dietro di sè
con occhi diversi dai tuoi
scartando la superficialità.
Grande, irrequieta e stanca è là mente
di chi non è visto
e rimpiange il proprio passato.
Ripensando a persone che hai amato
ma che non rivedrai più.
Ascoltando una triste melodia
di ciò che non è tuo.
Questo è il buio vicolo della città.
Flavio R.
Il mondo da un vicolo della strada, si vede in modo diverso. Io comunque continuo
la mia noiosissima vita sempre così ,come due anni fa, forse tre, e credo che non
cambierà mai. Continuo ogni mattina a svegliare i miei fratelli e cercare di ricavare
qualcosa dalla spazzatura. Insomma, niente di buono. Mentre lo faccio mi sento a
disagio perché la gente mi guarda con compassione, talmente tanta che non vorrei
esistere. Durante la mattinata mi ritrovo con i miei amici perché non vado a scuola,
un posto che alcuni definiscono per bambini normali. La notte la passo spesso sotto
una coperta e sotto il vento freddo, immaginandomi un fuoco con cui scaldarmi.
Insomma, il mondo, dal mio piccolo vicolo, sembra più grande ed egoista ma allo
stesso tempo più ricco. Dove la gente è tanto ricca e tanto povera, c'è chi vince c'è
chi perde. Ma io non ho bisogno di tanto denaro perché la vera ricchezza è
l’amicizia, su quella puoi contare veramente.
Alessandro
Non so se vi è mai capitato di chiudervi in una stanza con solo un letto,
una sedia, una finestra e un libro, anzi, un diario, un diario di guerra
dove poter rivivere tutte le emozioni della gioventù, io ci vivo da ben
dieci anni, la mia famiglia mi ha abbandonato qui, perché ero troppo
vecchio e nessuno aveva tempo di occuparsi di me tranne una persona,
Peppino. Peppino è il mio nipotino, ha dieci anni ma è responsabile
come uno di venti. Io il giorno guardo solo dalla finestra e vedo le teste
delle persone o dei clown che si esibiscono nella piazza per far divertire
i bambini e fanno divertire anche me, anche se non servono molto
perché poi ripenso che sono solo e mi viene da piangere, mi sento
abbandonato e capisco che sono diverso da tutti, non esco mai
dalla mia stanza tranne quando c’è Peppino che mi accompagna a
giocare a carte e a ballare e lui mi fa capire anche che vivere affacciato
alla finestra può essere molto divertente. La sera io vado a dormire
guardando il sole tramontare e con la tristezza che mi perseguita,
pensando che ogni giorno che passa si avvicina la mia fine …
Davide
Guardare tutto da un'altra prospettiva
una finestra
un vicolo
un cassonetto dei rifiuti.
Nei piccoli occhi che vedono tutto.
Guardo intorno ma nessuno guarda me
Tutti vedono il bello,
ma io vedo solo persone e oggetti
senza senso.
Vedo tutto da un'altra prospettiva.
Una prospettiva nel buio e nell'oscurità.
Alessandro Mi sento solo anche al centro di una piazza,
ma sono ancora qui,
non ho un lavoro,
ma sono ancora qui,
vivo facendo elemosina,
ma sono ancora qui,
anche se a volte preferirei non esserci.
Giacomo
Come ogni giorno,
niente di buono;
come ogni giorno,
buio totale;
come ogni giorno,
cercando di fuggire
dagli sguardi furtivi,
sperando un giorno,
di uscire da quest’eterna oscurità
Giacomo
Ciao, sono Salvatore, il classico nonnino accompagnato dal nipote ma non ovunque,
Peppino il nipote preferito, anche l’ unico, viene a trovarmi al centro anziani. Quando
sono solo a casa e piove, le gocce cancellano la speranza e arriva solo tristezza e
solitudine; mia moglie sola lassù che mi guarda perplessa; la mia casa piena di
ricordi, foto tristi che mi osservano come se fossi un alieno venuto da non so dove;
la puzza di vecchio ma non di morto che mi ricorda che io sono ancora qui, in questa
casa da solo. Al centro anziani la mia speranza è lì davanti a me, ma non è la
soluzione dei miei problemi, ma è Peppino il motivo per cui sono ancora qui davanti a
voi, con lui, la mia speranza, la mia vita. Vedo tutto, tutto dalla mia finestra, ancora
piove e la puzza di vecchio si sente ancora di più.
Gabriele I.
E Salvatore,
ancora qui
suo nipote lo culla,
lo abbraccia.
Piccole grandi mani di padre
ragione per continuare
a vivere
ragione per continuare
ad amare il mondo,
Piove,
Il volto di lei
in ogni goccia
di disperazione.
Gabriele I.
L’altra città
Perché non posso?
Perché non posso guardare il mondo dalla mia piccola finestra?
La gente che si rovina, che si sgretola pian piano; non voglio uscire, ho paura di
diventare come loro, tra gente, droga, soldi, terrore.
E poi ci sono io, né con né contro di loro, io che non voglio essere come loro gli uni
contro gli altri.
Non mi conoscono, non esisto per loro; ma loro esistono per me; conosco tutti, ma
tutti non conoscono me, come uno spirito abbandonato al suo destino; eppure io
sono qui, davanti a te.
Io sono come voi, una persona, anche se un po’ scolorita, ma pur sempre una
persona; io sono come voi, ma non come il vostro modo di essere.
Non mi vedete? Io vi vedo, bene, troppo bene, così bene da vedere le peggiori parti
di voi ; voi invece non mi vedete e non mi conoscete per niente.
Maria Chiara
Viorel
Viorel è un ragazzo di dodici anni che ogni mattina deve alzarsi molto prima
dei genitori per poi svegliare i suoi fratelli più piccoli che dopo dovrà
accompagnare a scuola.
I genitori lavorano sia il giorno che la notte: il padre fa l'imbianchino e la
madre lavora in un ristorante come cameriera.
Viorel all'uscita di scuola va a prendere i fratellini e poi li fa pranzare
comprando loro un pezzo di pizza ciascuno.
Dopo la scuola i fratellini passano il pomeriggio giocando in un parco vicino
casa dove ci sono anche rifiuti tra cui molti pneumatici e tanti topi.
Viorel pian piano cominciò ad imparare il mestiere del
meccanico, inizialmente cambiando solo le ruote alle macchine.
Quella di Viorel è una famiglia molto povera, Infatti la loro cena è molto
misera tanto che Viorel si sbriga a preparare i fratellini per mandarli subito a
letto.
Gabriele T.
Rumore
Silenzio
Di tutto
Di niente
La paura sale
troppo lentamente,
troppo velocemente;
parte da lì,
da uno di quegli ingannevoli posti.
Il loro mondo,
ma anche il mio.
Quanto vorrei scendere e urlare,
essere libera,
Troppo libera?
La mia speranza
che mi tenta.
Persone,
parole che si sgretolano, che muoiono pian piano e
non se ne accorgono.
Maria Chiara
Ed eccomi qui sola in un vicolo scuro della strada, senza mio figlio e senza la mia
famiglia. E io sono ancora qui a pensare a tutto quello che ho fatto, mi domando e
chiedo PERCHÉ? Perché ho fatto tutto questo? Perché non potevo starmene al mio
posto e fare buone azioni. Adesso avrei potuto essere a casa con mio figlio, avere un
marito, una famiglia, un buon lavoro. Invece nella vita ho sbagliato tutto. Non ho più
niente, mi sono fatta togliere anche la cosa più preziosa per me, dicevano che non
ero in grado di occuparmi di Luchino e forse non avevano neanche torto. Non voglio
parlare di quello che faccio per guadagnarmi un po' di soldi. Non vorrei, ma sono
costretta. Sono costretta per avere ciò di cui il mio corpo ha bisogno. Farei di tutto
per smettere, per cambiare il mio modo di vivere e godermi tutto ciò di cui la vita
prima di iniziare tutto questo mi aveva offerto.
Ora ho cominciato a prendere in mano la mia vita, il primo passo: farmi aiutare.
Anche lui chiaramente mi ha spronato a cambiare la mia vita, perché altrimenti
sarebbe stata molto breve. Ma che fare? Ormai tutto quello che ho fatto finora era
diventata una parte di me. Non posso fare a meno di drogarmi e di conseguenza
di spacciare. Sono consapevole che continuare a spacciare significherebbe
rovinare altri giovani, come in passato hanno fatto con me. Neanche la droga mi
porterà molto lontano, improvvisamente, la mia vita potrebbe rompersi in mille
pezzi e questa è l’ultima cosa che vorrei, perché questo significherebbe anche non
rivedere mai più mio figlio. Il mio unico desiderio sarebbe quello di trovare un
luogo o un qualcuno che potesse aiutarmi a riprendere la mia vita così com’ era,
liberarmi dalle mie dipendenze che fanno di me una cattiva persona e riprendere a
godere le gioie che mi sono fatta togliere. Ci vorrà tempo, ma io continuerò a
sperarci e sono certa che tutto questo un giorno si avvererà.
Angelica
Venerdì scorso a scuola insieme ai miei compagni e alla professoressa abbiamo affrontato un argomento
molto toccante e significativo per me e sicuramente anche per i miei compagni di classe. Questo argomento
riguardava uno dei problemi più attuali nel mondo: quello dei senzatetto. Loro come dice la parola non hanno
una famiglia su cui contare. A tutti nella vita è capitato di vederli, abbandonati in un angolo: che sia la stazione
del treno, in un vicolo scuro, la piazza di una città un pò riparata e in molti altri posti dove trovano riparo. Sono
soli con un cartello che racconta in poche parole la loro storia e un bicchiere che vorrebbero vedere piano
piano riempirsi almeno per comprarsi un panino e una bottiglietta di acqua, ma non sempre questo accade.
Sicuramente per trovarsi in quelle condizioni hanno per forza sbagliato qualcosa, magari qualcuno aveva
anche un lavoro e quindi un buono stipendio ma è stati solo tanto sfortunato. Quando vado alla Stazione di
Roma Termini per andare dal dentista, ad esempio, sono lì, a guardare persone che si possono permettere
qualsiasi cosa, e poi magari si guardano dentro e pensano a tutti gli errori commessi che li hanno portati a
perdere tutto anche la loro famiglia, o forse una famiglia ce l’hanno ma non ci possono contare perché anche
loro gli hanno voltato le spalle e non sono preoccupati di quella che è la loro vita e il dolore che provano.
Inoltre la prof ci ha fatto vedere anche alcuni filmati, anche questi molto toccanti. Uno
di questi era bellissimo, uno dei filmati che ti arriva dritto al cuore, ti fa venire i brividi.
Faceva vedere che persone ricche o comunque benestanti, si mettevano nei panni
dei barboni, scambiandosi le scarpe ad esempio. Sarebbe molto bello fare questo
gesto anche con i miei compagni di classe, mettersi nei loro panni perché solo cosi
riusciremmo a capire quello che gli altri sentono.
A me personalmente è piaciuta molto questa lezione, perché per un attimo mi sono
immedesimata nei panni dei senzatetto, ho provato ad immaginare, cosa sia potuto
accadere nella loro vita per finire in mezzo ad una strada e perdere tutto.
Angelica
La giornata di Ivan
La mia giornata inizia con il suono dei clacson che suonando all’unisono mi annunciano che con
la tarda mattina è arrivata anche l’ora di punta.
Apro gli occhi con il sapore del vino ancora in bocca e la testa pesante; mi alzo un po’ a fatica da
quello che dovrebbe essere il mio letto: una scatola aperta buttata per terra, giusto per non
sentire il freddo del marciapiede.
Afferrò il mio violino, è grazie a lui che non sono ancora morto di fame, e mi avvio verso la
piazza.
Oggi c’è molta gente, meglio così, almeno potrò mangiare di più di un semplice pacchetto di
cracker comprati al bar.
Prendo il violino e inizio a suonare, così, in mezzo a tutti. Suono sempre la stessa melodia di cui
rubai lo spartito tempo fa da un negozio di strumenti. Non ne so il titolo ma adoro suonarla
perché mi riempie di gioia.
Dopo quasi tre ore nessuno. Nessuno si permette anche solo di guardarmi negli occhi.
Lascio la piazza e mi avvio verso il mio ristorante preferito, ma ovviamente non
per prendere un tavolo, costa troppo.
Dalla porta sul retro, Pietro, un giovane cuoco, mi dà ogni tanto un boccone.
Purtroppo oggi il ristorante è chiuso.
Inizio a vagare per le stradine della città quando a un certo punto noto un call
center. Faccio un numero che conosco bene.
pronto
Sentendo la voce di mia figlia il cuore mi salta in gola e non riesco a
rispondere. Abbasso la cornetta come ogni volta.
Ormai è sera e le luci dei lampioni illuminano la via. Decido di fare una cosa che
non no mai fatto: con l'acqua della fontana lavo la camicia sporca e con le mani
sistemo i capelli arruffati.
Scendo in piazza, inizio a suonare sempre la stessa melodia. Solo che ora le
persone mi guardano, mi applaudono ma soprattutto mi sorridono.
Lucrezia
Empatia
Venerdì scorso (24 Novembre 2017), a scuola, con la professoressa Martini, abbiamo affrontato una lezione “particolare”.
Abbiamo parlato di un tema molto importante.
Così lontano, così vicino. Così reale, così invisibile.
Sono quelli che chiamiamo “barboni”, “senzatetto” o altre cose così.
Quando passiamo, passiamo e basta. Magari gettiamo una monetina. Però decidiamo di starcene zitti. Fermi.
Qualcuno, forse, pensa: “Chissà che farà poi…” oppure “Chissà cosa si prova…” o ancora “Poveraccio che dorme per
strada…”. Poi ce ne torniamo ai nostri problemi, alle nostre famiglie, ai nostri amici. Ci sembra poco. Per noi è sempre poco.
Ma in realtà non lo è.
E poi c’è quella cosa che molti chiamano “CUORE”, che ti fa accorgere di chi ti sta attorno.
Per accorgersene basta il cuore. Per aiutare c’è bisogno dell’”EMPATIA”.
“EMPATIA” non è solo un’emozione che ti fa immaginare il vissuto della gente.
“EMPATIA” è una cosa che ti fa condividere un pezzo di vita di qualcun’ altro, con qualcun’ altro.
Ti avvicini piano piano a quel qualcuno e sincronizzi il battito cardiaco, i nervi, e allora tutto si trasforma.
Inizi a ridere, scherzare, soffrire, piangere, ad arrabbiarti, a scappare dalle bombe, a rannicchiarti in un cartone, a respirare
solo fisicamente, a pensare alla famiglia che non hai più, ad avere fame, a capire, a pensare, a consolare.
Inizi a sentire la puzza delle cose che cerchi nell’immondizia, la puzza dell’asfalto, ma anche la puzza di te stesso.
Impari a tornare a casa: quello spazietto tra i cassonetti e la panchina, dove però non puoi stare, se no ti cacciano.
Così a scuola abbiamo imparato a metterci nei panni degli altri.
Come in un luogo dove la gente si scambiava le scarpe. Puoi capitare nelle scarpe di un milionario, o in quelle di un barbone.
Stavamo per fare la stessa cosa in classe, ma alcuni non hanno voluto. Peccato.
A me sarebbe piaciuto, mettermi nei panni di un mio amico.
Giulia
Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in
dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di
coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in
spirito di fratellanza.
Articolo 1 della Dichiarazione dei Diritti Umani (1948)
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti
inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle
formazioni sociali ove si svolge la sua personalita`, e
richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di
solidarieta` politica, economica e sociale.
Articolo 2 della Costituzione della Repubblica Italiana
(1947)