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Palazzoli Academy PROGETTAZIONE ILLUMINOTECNICA AVANZATA

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Palazzoli Academy

PROGETTAZIONEILLUMINOTECNICA AVANZATA

1

PROGETTAZIONEILLUMINOTECNICA AVANZATA

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PREMESSA 4

LA LUCE 6

Descrizione del fenomeno 6

Onde elettromagnetiche 7

Propagazione della luce 7

VISIONE 8

Fisiologia dell’occhio 8

Adattamento 10

Accomodamento 10

Convergenza 11

Processo percettivo 12

GRANDEZZE FONDAMENTALI 14

Flusso 14

Intensità 17

Illuminamento 18

Luminanza 18

LEGGI FONDAMENTALI DEL CALCOLO ILLUMINOTECNICO 19

Legge dell’inverso del quadrato 19

Legge fondamentale dell’illuminotecnica per apparecchi ad altezza costante 19

Tabella comparativa delle grandezze radiometriche e fotometriche 20

Fenomeni di riflessione 22

FOTOMETRIA 23

Luxmetro 23

Goniofotometro 24

Sistemi di coordinate 28

Tecniche di misura 30

La Sfera Integratrice o di Ulbricht 31

SPETTROMETRIA 32

Misure spettrali 32

Il corpo nero 34

Temperatura di colore correlata delle sorgenti 34

COLORE 37

Sintesi Additiva e Sottrattiva 38

La percezione dei colori 39

Misura del colore 41

Tinta 41

Luminosità 42

Saturazione 42

Indici di resa cromatica 43

Indici CRI e TM30 44

SORGENTI LUMINOSE 48

Tecnologie e tipi di sorgente 48

Incandescenza 48

Alogene 48

Fluorescenti 49

Lampade a scarica 49

Lampade a scarica agli ioduri metallici 50

Lampade a scarica a vapori di sodio 50

LED 51

Efficacia luminosa 55

APPARECCHI DI ILLUMINAZIONE 56

Apparecchi tradizionali 56

INDICE

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Apparecchi LED 57

Binning 60

File di interscambio 61

Vita media di un apparecchio LED 62

Metodo di classificazione della vita media degli apparecchi LED 66

ILLUMINAZIONE LED E RISPARMIO ENERGETICO 68

Illuminazione degli ambienti industriali 68

Metodo del flusso totale 69

Relamping e retrofit 72

Risparmio energetico 73

Payback time 74

Vantaggi dell’illuminazione LED 75

PROGETTAZIONE ILLUMINOTECNICA 76

Introduzione alla progettazione illuminotecnica 78

Analisi dell’ambiente 80

Analisi dei Compiti Visivi 80

VERIFICA DEI VINCOLI NORMATIVI 81

Industria Alimentare 81

Presenza di atmosfera esplosiva 84

Presenza di pericolo di incendio 86

Protezione dai colpi di pallone 87

Esposizione ad alte temperature 87

Progetto Preliminare 87

Selezione degli Apparecchi 88

Prove di Laboratorio 88

Prova Nebbia Salina 88

Prova del Grado di Protezione IK 89

Prova del Grado di Protezione IP 89

Prova di Durata 90

Prova di Umidità 90

Prova di Riscaldamento 91

Prove Dielettriche, di Resistenza di Isolamento e della Corrente di Contatto 91

Misure sul Goniofotometro 92

Controllo in ingresso delle Sorgenti 93

Prova di Cromaticità degli Apparecchi 93

SISTEMI DI REGOLAZIONE 94

Controllo analogico 1/10V 94

Controllo digitale DALI 94

Controllo digitale DMX 94

Progetto Esecutivo 94

Messa in Opera 95

Manutenzione degli impianti 95

ILLUMINAZIONE DEI LUOGHI DI LAVORO 95

Posti di lavoro in interno 95

Posti di lavoro in esterno 95

Cipriani Profilati: esempio di illuminazione di Interno ed Esterno 109

ILLUMINAZIONE STRADALE 110

Convenzioni per il calcoloilluminotecnico stradale 111

ILLUMINAZIONE SPORTIVA 116

Convenzioni per il calcolo illuminotecnico degli impianti sportivi 117

Esempi di illuminazione di impianti sportivi 118

Piscina Airon Club 118

Bocciodromo Santa Maria 119

Campo da Tennis 120

ILLUMINAZIONE D’EMERGENZA 121

4

LA LUCE È VITA

Quando nasce un bambino si dice che è venu-to alla luce, indicando con questa espressione che una nuova vita è iniziata; nella Bibbia Dio, dopo aver creato il cielo e la terra, disse “sia la luce” e così tutto cominciò.

I bambini, e spesso anche gli adulti, hanno paura del buio e sono subito rassicurati dall’accensio-ne di una lucina: solo con la luce si scacciano le paure, perché prendiamo consapevolezza di noi stessi e dell’ambiente intorno a noi e possiamo intervenire per modificare ciò che ci circonda.

Se non vediamo dobbiamo muoverci a tastoni, non riusciamo a prevenire i pericoli, perché non li avvertiamo in anticipo e, in sostanza, abbia-mo un sacco di difficoltà a proseguire le nostre normali attività. Il buio ci induce al riposo e al sonno, mentre la luce ci sveglia e ci rende attivi. L’uomo ha sempre seguito il ritmo della luce e del buio, del giorno e della notte, dell’attività e del riposo, ma ha anche sempre tentato di prolungare le ore

di luce, le ore attive, le ore in cui fare delle cose, eseguire dei compiti: insomma si è sempre in-gegnato per riuscire a proseguire le sue normali attività anche quando la luce naturale, la luce del sole, non ci riscalda più, oppure quando è oscurata dai fenomeni naturali.

La luce artificiale ha una storia antichissima, è connaturata con le attività umane, perché l’uo-mo ha sempre tentato di rimanere attivo, di con-tinuare a fare cose, vedere gente anche quando il sole è ormai tramontato ma gli rimane la vo-glia di proseguire quello che sta facendo, op-pure perché vuole operare dove la luce del sole non arriva.

Nel sito di Abri Castanet, in Francia, ci sono immagini incise su un blocco calcareo che risal-gono a circa 37000 anni fa in una grotta in cui difficilmente filtra la luce del giorno: il nostro progenitore artista doveva, per forza, disporre di luce artificiale, che gli permettesse di incide-re e dipingere le pareti e la volta della caverna.

PREMESSA

Grotta di Magura

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Lo stesso devono aver fatto gli artisti della grot-ta di Magura, in Bulgaria, circa 8000 anni fa oppure gli artisti sudamericani della Cuevas de las Manos, in Patagonia. E tanti altri nostri anti-chi progenitori. Tutto questo testimonia una vo-lontà di svolgere le attività umane anche dove non arrivava la luce del sole o dopo che il sole era tramontato: testimonia la necessità di luce artificiale, che naturalmente, a quei tempi, non era sicuramente luce elettrica.Da poco più di cento anni noi tendiamo ad iden-tificare la luce artificiale con la luce elettrica, ma se pensiamo alle grandi città Europee della metà del diciannovesimo secolo ci vengono su-bito in mente bellissimi pali in ghisa finemente decorati che servivano per l’illuminazione pub-blica a gas.

A Milano per tutto il ‘700 l’illuminazione pub-blica era quasi solamente quella dei ceri accesi davanti ai tabernacoli e alle immagini sacre agli angoli delle strade. Nel 1788 però in tutta la città c’erano già 1200 lampioni di vari tipi: lumi ad olio e in un secon-do tempo a petrolio. All’imbrunire arrivavano i Lampedée (coloro che si occupano delle lam-pade) con la scala, la perteghetta (la pertica) e la scatola contenente il bricco dell’olio e accen-devano i lampioni. Poi al mattino facevano di nuovo il giro per spegnerli. Nel 1820 i ceri furono sostituiti dalle lampade Argant. Dal 1843 vennero introdotte le lampade a gas gestite da una società belga che aveva il suo gasometro vicino all’attuale Uni-versità Bocconi.

Cuevas de las Manos

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DESCRIZIONE DEL FENOMENO

Per muoverci sicuri di notte, per svolgere le no-stre attività quotidiane, per continuare a produr-re nelle fabbriche abbiamo sempre cercato di illuminare la nostra vita anche dopo il tramonto del sole o dove la luce del sole non poteva arri-vare, con il risultato aggiuntivo di scacciare la paura del buio.

Ora noi identifichiamo la luce artificiale con la luce elettrica, ma basta citare il nome della “no-stra” unità di misura fondamentale per renderci conto che non sempre è stato così: la candela. Il nostro lavoro consiste nel permettere agli al-tri uomini di proseguire le loro attività anche in assenza di sufficiente luce naturale: l’ogget-

to del nostro lavoro è l’uomo, a cui dobbiamo permettere di continuare a vedere anche dove il sole non arriva o quando sta illuminando la vita di altri uomini: i robot non hanno bisogno di vedere per lavorare o fare le altre cose per cui sono programmati.

Al centro del nostro lavoro c’è l’uomo, fin dalla definizione stessa di luce.

Chiamiamo luce la porzione dello spettro elet-tromagnetico compresa tra 380 nm e 780 nm, cioè la zona compresa tra le frequenze che sono in grado di stimolare il sistema visivo umano: lo spettro visibile.

LA LUCE

Spettro visibile a lunghezza d’onda crescente e frequenza decrescente.

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ONDE ELETTROMAGNETICHE

Le frequenze comprese nell’intervallo citato stimolano, con efficacia diversa in funzione della frequenza, i recettori presenti all’interno dell’occhio umano, i coni ed i bastoncelli, e permettono la visione.La relazione tra la velocità della luce nel vuoto c, che è una costante universale, la lunghezza d’onda λ e la frequenza f risulta:

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Lunghezza d’onda e frequenza sono inversa-mente proporzionali.

Se teniamo conto anche del mezzo in cui si pro-paga la luce, indichiamo con n l’indice di ri-frazione del mezzo e con v la velocità effettiva di propagazione della luce, la relazione sopra esposta diventa:

Lunghezze d’onda più elevate corrispondono a frequenze più basse (meno energia).

PROPAGAZIONE DELLA LUCE

È noto sperimentalmente fino dall’antichità che la luce si propaga secondo traiettorie rettilinee per portarsi da un punto A ad un punto B im-mersi nello stesso mezzo otticamente omogeneo.

L’analisi della propagazione della luce si com-plica considerando la natura quantistica della luce che le attribuisce contemporaneamente proprietà ondulatorie e corpuscolari: se il rag-gio che si propaga interagisce con elementi che hanno dimensioni paragonabili alla lunghezza d’onda del raggio in esame la descrizione si complica notevolmente.

Se poi si utilizzasse un approccio relativistico le complicazioni aumenterebbero notevolmente.Ma per i nostri scopi illuminotecnici possiamo considerare che la luce si propaghi su traiettorie rettilinee e valgano in ogni caso le leggi dell’ot-tica geometrica.

Si tratta evidentemente di una semplificazione che è pienamente giustificata dalla natura dei fenomeni che stiamo studiando, che sono limi-tati nello spazio e nel tempo, e non invalida i risultati che otterremo.

c = λ • f

v = λ • f • n

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Va sottolineato che noi non vediamo con gli oc-chi, ma con il lavoro congiunto di occhi e cer-vello: gli occhi sono i sensori, ma è il cervello che ricostruisce le immagini e le interpreta, in funzione degli stimoli trasmessi dagli occhi tra-mite il nervo ottico, delle precedenti esperienze e delle conoscenze acquisite.

Tutti hanno familiarità con le illusioni ottiche, casi in cui la ricostruzione operata dal cervello può trarci in inganno. Dobbiamo pertanto par-tire dall’analisi dell’occhio umano per capire meglio come funziona il processo di visione.

FISIOLOGIA DELL’OCCHIO

Tutti sanno fin da bambini che nell’occhio sono presenti due tipi di recettori: i coni ed i baston-celli.

Coni: sono i fotoricettori responsabili della vi-sione dei colori. Si trovano quasi esclusivamen-te nella fovea, che rappresenta un avvallamento di forma circolare nella parte centrale della re-tina.

Esistono tre tipi di coni, sensibili a tre specifi-che lunghezze d’onda. Tale sensibilità è dovuta alla presenza all’interno di ogni cono di parti-colari proteine, in grado di percepire singole lunghezze d’onda.

Bastoncelli: sono fotoricettori responsabili della visione in bassa luminosità. Sono molto sensibili alla luce, ma non hanno sensibilità al colore. Si trovano in tutta la retina, più diradati nella fovea.

I coni, come detto, sono responsabili della vi-sione a colori ma sono sensibili solo a luci piut-tosto intense; i bastoncelli sono particolarmen-te sensibili a basse intensità di luce, ma non ai colori.

Se il livello di illuminamento è sufficiente pre-vale l’informazione generata dai coni, che è più ricca, comprendendo anche l’informazione sul colore, mentre a bassi livelli di luce continuia-mo a vedere grazie alle informazioni prodotte dai bastoncelli, e quindi non distinguiamo più i colori.

VISIONE

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Di giorno vediamo a colori, utilizziamo la vi-sione fotopica, in cui prevalgono gli stimoli inviati dai coni; di notte vediamo in bianco e nero, visione scotopica, visione regolata dai ba-stoncelli. In generale, per quanto possibile, en-trambi i recettori lavorano insieme ma prevale di volta in volta l’informazione più opportuna.

Naturalmente, nel passaggio da livelli elevati di luminanza a livelli via via più bassi (o vice-versa) si passerà da un tipo di visione all’altro, perdendo (o acquistando) progressivamente la capacità di distinguere i colori: siamo in visione mesopica, quando i due meccanismi di funzio-namento operano insieme, senza che nessuno dei due prevalga.

La rètina è la membrana più interna del bulbo oculare ed è una componente fondamentale per la visione umana essendo formata dalle cellule recettoriali, i coni e i bastoncelli, responsabili di trasformare l’energia luminosa in potenzia-le elettrico, informazione che poi viene inviata – tramite il nervo ottico – al cervello e più in particolare alla corteccia visiva primaria e se-condaria, responsabili della visione e della in-terpretazione della visione. La retina presenta uno spessore variabile da 0,4 mm dietro a 0,1 mm avanti.Nel complesso forma tutto il rivestimento in-terno del bulbo oculare, dal punto di entrata del nervo ottico al margine pupillare dell’iride.

Occhio Umano9

Eritopsina: Sensibile a 560 nm Rossoconi-L con un picco di assorbimento intorno ai 560 nm sensibilità per colore rosso.

Cloropsina: Sensibile a 530 nm Verdeconi-M con un picco di assorbimento intorno ai 530 nm sensibilità per il colore verde.

Cianopsina: Sensibile a 430 nm Bluconi-S con un picco di assorbimento intorno ai 430 nm sensibilità per il colore blu-violetto.

Rodopsina: Sensibile a 500 nmPresente nei bastoncelli è responsabile della visione monocromatica notturna.

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Nella retina sono distinguibili tre regioni:

l’ora serrata: è il limite fra la parte ottica e ciliare della retina localizzata 6–7 mm dietro la cornea;

la papilla ottica: è il punto di convergenza delle fibre nervose per la formazione del nervo ottico ed anche il punto di emergenza dei vasi retinici;

la macula lutea: è una regione leggermente ellittica nel polo posteriore dell’occhio per il cui centro passa l’asse visivo dell’occhio stesso (cioè la direzione dei raggi luminosi); tale cen-tro è noto come fovea, o fovea centralis, ed è la regione della visione distinta e della percezione dei dettagli.

Si tratta della regione con più elevata densità di fotorecettori (in questo caso principalmente i coni). Lo strato dei fotorecettori è costituito da una parte delle cellule recettoriali presenti nell’oc-chio e sensibili alle radiazioni luminose: i coni e i bastoncelli. La principale differenza che si ri-percuote su una diversa capacità funzionale è la presenza di rodopsina nei bastoncelli e di pig-menti sensibili a tre diverse frequenze di onde elettromagnetiche (rosso, blu e verde) nei coni.

Nel complesso i bastoncelli sono circa 110 mi-lioni, mentre i coni 7 milioni circa.

I bastoncelli sono disposti a piccoli gruppi se-parati da un cono nella maggior parte della re-tina. Nelle vicinanze dell’ora serrata si assiste ad una diminuzione del numero di bastoncelli, mentre nella fovea si ha una disposizione parti-colare: fino a 0,25 mm dal suo centro sono pre-senti solo coni; più ci si allontana, più i baston-celli si fanno via via più numerosi (fino anche ad essere 20 volte i coni) a 3–4 mm dal centro.

Gli occhi sono governati da un complesso siste-ma neuromuscolare che permette la sincroniz-zazione dei movimenti durante la visione e una serie di funzioni visive per ottimizzare l’intera-zione con il mondo circostante.

Adattamento: attraverso la variazione dimen-sionale della pupilla, regola la quantità di luce che arriva al cristallino. L’adattamento continuo a diverse condizioni di luce comporta affatica-mento. Richiede un tempo minore passando da una condizione di buio ad una di luce rispetto al passaggio contrario.

Accomodamento: grazie all’azione dei musco-li ciliari viene modificata la forma del cristalli-no per permettere la messa a fuoco a distanze diverse in un tempo medio di circa 0,7s.

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I bambini riescono a mettere a fuoco ogget-ti distanti anche meno di 10 cm. A 45 anni la capacità di adattamento si riduce ed è spesso necessario l’uso di occhiali per vedere a brevi distanze, per esempio durante la lettura.

Convergenza: noi utilizziamo entrambi gli oc-chi per vedere lo stesso oggetto; se si trova a grande distanza le due direzioni di osservazione

saranno quasi parallele, mentre se l’oggetto è vicino gli occhi ruotano verso l’interno e le due direzioni si intersecano sull’oggetto stesso. Il cervello, sintetizzando le due immagini in un’unica visione tridimensionale (visione stere-oscopica), è in grado di valutare la distanza tra osservatore ed oggetto ed in genere di percepire la profondità della scena osservata.

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Bastoncelli Coni

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PROCESSO PERCETTIVO

Naturalmente ciascuno di noi ha una diversa sensibilità e capacità visiva, quindi occorre ri-ferirsi ad un modello condiviso per poter gene-ralizzare i risultati e dare prescrizioni di validità generale.

Nel 1924 a Parigi, furono condotti una serie di esperimenti per valutare la sensibilità dell’oc-chio umano alle varie frequenze e fu determi-nato l’occhio umano medio.Il campione era composto da persone giovani, tra i 23 ed i 24 anni, cioè nell’età corrisponden-te alla massima acuità visiva, perché si voleva valutare la rispondenza di un occhio sano ed in perfetta efficienza, senza inquinare i dati con le risposte di persone invecchiate o affette da patologie; inoltre nel campione c’era una leg-gera prevalenza femminile. Trattandosi di espe-rimenti condotti in Europa, ed in particolare in Francia, il campione era costituito sostanzial-mente da Europei. Quindi, quello che noi chia-miamo occhio umano medio è in realtà l’occhio medio di una giovane Europea.Non sappiamo se altre popolazioni vedano allo stesso modo, ma alcuni esperimenti condotti soprattutto in Asia confermano i dati ottenuti quasi un secolo fa su un campione limitato.

I risultati indicano che la massima sensibilità spettrale si ha in corrispondenza di una lun-ghezza d’onda di 555 nm, corrispondente al giallo verde, decrescendo fino a raggiungere la completa insensibilità sia diminuendo sia au-mentando la lunghezza d’onda. La curva è stata normalizzata in modo che il coefficiente di visibilità sia 1 a 555 nm e poi de-cresca fino a zero al di fuori del convenzionale intervallo che va da 380 nm a 780 nm.

L’esperimento è stato condotto con livelli di luce che permettevano la visione diurna, o foto-pica, cioè con livelli di illuminamento (meglio di luminanza) ai quali prevale la funzionalità dei coni e possiamo vedere a colori.

Quella presentata è la curva di visibilità fotopi-ca, diurna, stabilita da Gibson e Tyndall a Parigi negli anni venti del secolo scorso e adottata nel 1924 dalla CIE (Commission Internationale de l’Eclairage) che è l’organismo scientifico interna-zionale che regola le questioni concernenti la luce.

Normalmente la curva fotopica viene rappre-sentata come indicato nella figura seguente, normalizzata a 1:

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Successivamente è stata determinata anche la curva di visibilità notturna (scotopica), adottata dalla CIE nel 1955.

Curva scotopica (verde) a confronto con la curva fotopica (arancione)

Curva fotopica

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Con elevati livelli di luminanza prevale l’infor-mazione proveniente dai coni e siamo in presen-za della visione fotopica, a colori, tipica del gior-no, mentre a bassi livelli di luminanza abbiamo una visione scotopica, in bianco e nero, notturna.

Nel passaggio tra una modalità e l’altra operia-mo una visione intermedia (mesopica) che mi-scela le due modalità fondamentali a causa della progressiva insensibilità ai vari colori (effetto Purkinje, detto anche effetto campo di girasoli).

Bisogna tener presente che tutti i nostri stru-menti sono tarati sulla curva fotopica (diurna) e tutte le misure che facciamo hanno come riferi-mento quella curva.

Riassumendo, la presenza contemporanea dei due tipi di recettore all’interno dell’occhio ci consente sostanzialmente due tipi di visione, in funzione dei livelli di luce, o meglio, della luminanza presente nella scena che stiamo gua-dando.

Visione Fotopica Diurna superiore a 30 lx

o a 2 cd/m²

Visione Mesopica Transizione tra 0,005 e 30 lx

o tra a 0,001 e 2 cd/m²

Visione Scotopica Notturna inferiore a 0,005 lx

o a 0,001 cd/m²

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Dopo aver indagato la fi siologia dell’occhio possiamo comprendere meglio le grandezze fondamentali dell’illuminotecnica.

FLUSSO

Chiamiamo fl usso luminoso la somma dei pro-dotti della potenza trasportata dalla radiazione elettromagnetica per ciascuna lunghezza d’on-da per il corrispondente valore di visibilità re-lativa.

In termini matematici:

Dove:

Φ = fl usso luminosoK =coeffi ciente di proporzionalità. Nel SI vale 683 lm/WP(λ) = potenza spettrale in WV(λ) = coeffi ciente di visibilitàλ = lunghezza d’onda in nm

In sostanza moltiplichiamo la potenza spettrale per la funzione di sensibilità spettrale dell’oc-chio umano medio e sommiamo i contributi di tutte le frequenze a cui siamo sensibili.

Quello che stiamo facendo è di valutare la ca-pacità della radiazione elettromagnetica con cui interagiamo di stimolare il nostro sistema visi-vo. Il fl usso luminoso rappresenta una misura di quanto la radiazione elettromagnetica che ci colpisce sia in grado di essere vista.

Tramite il coeffi ciente di visibilità trasformia-mo una grandezza fi sica come la potenza spet-trale, la potenza trasportata da una radiazione elettromagnetica di determinata frequenza, in una grandezza che dipende dal recettore, dipen-de dalla capacità dell’uomo di ricevere uno sti-molo da quella potenza.

Stiamo mediando una grandezza fi sica con la capacità umana di recepirla tramite il senso del-la vista.

Se ci colpisce una radiazione ultravioletta o un raggio X, possiamo ammalarci di cancro, ma non vediamo niente.

Se ci colpisce una radiazione infrarossa di ade-guata lunghezza d’onda avvertiamo un senso di caldo, viene stimolato un altro senso, ma co-munque non vediamo niente.

Noi siamo interessati solo alla parte di spettro elettromagnetico in grado di stimolare la nostra vista e teniamo conto della reazione umana alla stimolazione nella defi nizione del fl usso lumi-noso.Al centro del nostro lavoro c’è l’uomo, che per-cepisce la radiazione, la trasforma in segnali elettrici e ricostruisce immagini che lo guidano nelle sue comuni, quotidiane attività.

Il fl usso luminoso si misura in lumen [simbolo lm].

Il valore di K (coeffi ciente di proporzionalità) presente nella formula esposta è 683 lm/W.Il valore 683 è stato scelto in modo che le de-fi nizioni oggi in uso rimangano coerenti con le defi nizioni date in passato quando le cono-scenze scientifi che erano più primitive delle nostre; tuttavia sono secoli che l’uomo studia la luce e occorreva non contraddire le vecchie defi nizioni.Come detto ancora oggi la grandezza fonda-

GRANDEZZE FONDAMENTALI

15

Distanza r

Relazione tra le grandezze fotometriche

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mentale inserita nel Sistema Internazionale è la candela [cd], che già nel nome richiama me-todi e costumi di altri secoli.

683 rappresenta un importante limite teorico per l’illuminotecnica: immaginiamo di avere una radiazione monofrequenza a 555 nm che trasporti un W di potenza.

Poiché il coefficiente di visibilità a 555 nm è pari a 1, ed immaginando di riuscire a trasfor-mare tutta la potenza in flusso luminoso, otte-niamo 683 lm.

La nostra lampadina, cioè l’oggetto in grado di trasformare una potenza, per esempio una po-tenza elettrica, in luce avrà una efficacia di 683 lm/W; per efficacia, in illuminotecnica, si inten-de la capacità di trasformare potenza in potenza luminosa e si misura il lm/W.

In genere con efficacia si intende il rapporto tra

due grandezze omologhe ma non identiche, in questo caso la potenza luminosa (cioè la po-tenza modulata dal coefficiente di visibilità) rapportata alla potenza fornita al sistema, men-tre con efficienza si intende il rapporto tra due grandezze identiche, che risulterà quindi un nu-mero adimensionale; caso classico di efficienza è il rendimento, che è il rapporto tra potenza utilizzata e potenza fornita al sistema.

È facile vedere che 683 è la massima efficacia teorica possibile: qualunque altra onda mono-cromatica (composta da una sola frequenza) avrà efficacia minore, mentre se utilizziamo onde con spettro esteso, che contengano quindi più frequenze, la somma dei vari contributi sarà sempre minore di 683 lm/W.

Per esempio la luce del sole varia tra i 175 lm/W e i 207 lm/W, in funzione delle diverse ore del giorno, mentre uno spettro in cui tutte le frequenze veicolano la stessa potenza ha circa 182 lm/W.

630 lm/WEfficacia teoricamente raggiungilbile nel caso di emissione luminosa monocromatica nel visibile(di potenza radiante pari ad 1 W) concentrata sulla lunghezza d’onda corri-spondente alla massima sensibilità dell’oc-chio umano (luce monocromatica a 555 nm)

182 lm/wEfficacia teoricamente raggiungilbile per una sorgente con distribuzione spettrale costante nell’intero spettro del visibile a pari potenza radiante complessiva (1W)

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Data una sorgente stiamo identificando e se-guendo un singolo raggio che esce dalla sor-gente stessa.Abbiamo definito la candela partendo dal flusso luminoso; in realtà, come abbiamo detto, nel Si-stema Internazionale la candela è la grandezza fondamentale per l’illuminotecnica ed è defini-ta nel seguente modo:

candéla (derivato del latino candela, da cande-re “essere bianco, splendere”): unità di misura fotometrica dell’intensità luminosa, pari all’in-tensità luminosa, in una data direzione, di una sorgente che emette una radiazione monocro-matica di frequenza 5.40*1014 Hz, la cui inten-sità radiante nella stessa direzione è

1/683 W/sr simbolo cd

è fra le unità fondamentali SI e il suo campio-ne italiano è conservato presso INRIM (Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica) di Torino.

Questa definizione, introdotta nel 1979 dalla XVI Conferenza Generale dei Pesi e Misure, ha sostituito quella precedente SI del 1948, secon-do la quale la candela era l’intensità luminosa di 1/60 di cm2 del corpo nero alla temperatura di solidificazione del platino (2042 K), misu-rata perpendicolarmente alla superficie radiante in aria a pressione normale.

La scelta di utilizzare la candela e non il flusso come unità illuminotecnica fondamentale è sta-ta fatta per ragioni pratiche, di riproducibilità in laboratorio: in ogni caso resta valida la relazio-ne tra intensità e flusso che abbiamo descritto precedentemente.

INTENSITÀ

Chiamiamo candela l’unità di misura dell’in-tensità luminosa, cioè, scelta una direzione nello spazio, deriviamo il flusso luminoso Φ rispetto all’angolo solido W centrato su quella direzione.

In sostanza, data una sorgente ed una semiret-ta che parte dalla sorgente, misuriamo il flusso contenuto in un cono centrato su quella semiret-ta e facciamo il rapporto tra il flusso e l’ango-lo solido stesso. Stringendo sempre più il cono identifichiamo l’intensità luminosa nella dire-zione dell’asse del cono.

I = lim = ΔΦ dΦΔΩ dΩΩ > 0

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ILLUMINAMENTO

Definiamo ora l’illuminamento prodotto da una sorgente puntiforme su un punto di una super-ficie. Consideriamo puntiforme una sorgente di dimensioni trascurabili rispetto alla distanza tra la sorgente stessa e la superficie da illuminare: una lampadina appesa al soffitto ha dimensioni trascurabili rispetto al pavimento, considerando la distanza tra pavimento e soffitto.

Definiamo illuminamento su di una superficie prodotto da una sorgente il rapporto tra il flusso proveniente dalla sorgente e incidente su quella superficie e la superficie stessa.

Se la sorgente è puntiforme il flusso è contenu-to in un angolo solido centrato sulla sorgente; restringendo sempre più la superficie fino a far-la collassare in un punto otteniamo l’illumina-mento prodotto da una sorgente puntiforme su un punto di una superficie.In formule:

LUMINANZA

La luminanza rappresenta la sensazione visiva percepita dall’occhio umano se colpito dalla luce direttamente prodotta da una sorgente lu-minosa o riflessa da una superficie; mette in re-lazione l’intensità luminosa con la superficie da cui proviene.

Definizione: la luminanza è data dal rapporto tra l’intensità luminosa I emessa, riflessa o tra-smessa dalla superficie A secondo la direzione di osservazione e l’area apparente della super-ficie stessa.

L’area apparente è la proiezione della superficie A sul piano normale alla direzione dell’intensità.

E = dΦ/dA

dAcosαdIL =

La luminanza dipende dalla posizione dell’os-servatore.Se l’osservatore si sposta verrà raggiunto da una intensità diversa da quella che lo raggiungeva nella posizione precedente e vedrà la superficie emittente sotto un angolo diverso: quindi com-plessivamente la luminanza percepita dall’os-servatore cambierà. La luminanza si misura in candele al metro quadro [cd/m2].L’unità di misura dell’illuminamento è il lux [lx].

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LEGGI FONDAMENTALI DEL CALCOLO ILLUMINOTECNICO

LEGGE DELL’INVERSO DEL QUADRATO

Per sorgenti puntiformi che illuminano punti perpendicolari alla sorgente stessa possiamo scrivere che:

LEGGE FONDAMENTALE DELL’ ILLUMINOTECNICA PER APPA-RECCHI AD ALTEZZA COSTANTE

Se il punto non è perpendicolare alla sorgente ma il raggio incide sulla superfi cie da illumina-re con un angolo α, allora la formula diventa:

Cioè per una sorgente puntiforme che illumina un punto perpendicolare alla sorgente l’illumi-namento è pari alla intensità emessa dalla sor-gente in direzione del punto divisa per l’inverso del quadrato della distanza tra punto e sorgente.

Se la o le sorgenti sono tutte alla stessa distanza (h) dalla superfi cie da illuminare allora la di-stanza tra punto e sorgente è pari a

Si veda lo schema seguente, che illustra i calco-li sopra esposti:

E = I / r2

E = I / r2 * cos(α)

E = I / h2 * cos3(α)

r = h / cos( α )E = I / r2 * cos( α ) = I / (h / cos( α ))2 * cos( α )

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GRANDEZZA RADIOMETRICA FOTOMETRICA

Potenza W lumen [lm]

Potenza su Superfi cie W/ m2 lm/m2 = lux [lx]

Potenza su Angolo Solido W/sr lm/sr = candela [cd]

Potenza su Superfi cie per Angolo Solido W/(m2*sr) lm/(m2*sr) =

lm/sr*1/m2 = cd/m2 [cd/m2]

TABELLA COMPARATIVA DELLE GRANDEZZE RADIOMETRICHEE FOTOMETRICHE

È possibile comparare le grandezze radiome-triche, che esprimono quantità fi siche, con le grandezze fotometriche, che rappresentano le stesse grandezze mediate dal sistema sensoriale umano.

Le prime descrivono fenomeni fi sici, le seconde descrivono gli stessi fenomeni per come sono percepiti dall’uomo.

Posso essere investito da una grande quantità di radiazioni, ma se non sono delle frequenze adeguate non vedrò nulla.

Onda elettromagnetica

Campo magnetico

Campo elettrico

Lunghezza d’onda

Direzione di propagazione

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È possibile instaurare una analogia tra le gran-dezze fotometriche e le grandezze idriche:

Flusso luminosoL’equivalente idrico del fl usso luminoso è dato dalla quantità totale di acqua emessa da una doccia in tutte le direzioni nell’unità di tempo ed è misurata in litri al secondo.

Legge dell’inverso del quadrato

Nel caso di una sorgente puntiforme la dimi-nuzione del livello di illuminamento su una superfi cie varia in relazione al quadrato della distanza dalla fonte: raddoppiando la distanza dalla fonte la superfi cie investita quadruplica ed il livello di illuminamento diviene quindi un quarto.

Il livello d’illuminamento su di una superfi cie è massimo quando i raggi luminosi giungono perpendicolari ad essa e diminuisce proporzio-nalmente al loro angolo d’incidenza.Si ha cioè una diminuzione della capacità di raccolta della radiazione al variare dell’inclina-zione della superfi cie.

Al cinema riusciamo a vedere il fi lm perché lo schermo è perpendicolare ai raggi che arrivano dal proiettore. Se lo schermo fosse parallelo ai raggi la luce scorrerebbe sullo schermo senza esserne intercettata e illuminerebbe la parete di fondo. Allo stesso modo se innaffi assi il giardi-no tenendo il getto parallelo al terreno, l’acqua scorrerebbe sul suolo senza bagnarlo e senza penetrare in profondità con la conseguenza che le piante morirebbero.

Intensità luminosaL’analogia idrica è data dalla quantità di acqua emessa da un singolo ugello della doccia, in un cono angolare di dimensione infi nitesima.

IlluminamentoL’equivalente idrico è dato dalla quantità di ac-qua che cade sulla superfi cie in esame nell’uni-tà di tempo ed è misurata in litri al secondo al metro quadro.

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FENOMENI DI RIFLESSIONE

Quando una superficie è illuminata da un fa-scio di luce, rifletterà parzialmente la luce che la investe secondo regole che dipendono dal materiale che la costituisce e dalla sua finitu-ra. Possiamo classificare le superfici in quattro grandi categorie in relazione alle caratteristiche di riflessione:

Superfici con riflessione speculare.

L’angolo di incidenza è uguale all’angolo di ri-flessione.Tipico comportamento degli specchi.

Superfici con riflessione diffusa.

La luce incidente viene riflessa in tutte le di-rezioni in modo uniforme indipendentemente dall’angolo di incidenza del raggio in arrivo.Tipico comportamento delle superfici amorfe.

Superfici semispeculari.

La luce incidente viene riflessa principalmente in modo speculare ma il raggio riflesso non è ben definito e si manifesta una certa diffusione intorno alla direzione di riflessione principale.Tipico comportamento delle superfici metalli-che lucidate.

Superfici semidiffuse.

La luce incidente viene riflessa in tutte le di-rezioni in modo quasi uniforme perché esiste un angolo prioritario di riflessione in funzione dell’angolo di incidenza del raggio in arrivo.Tipico comportamento degli asfalti.

Se la superficie è diffusiva, vuol dire che segue la legge di Lambert (superfici Lambertiane).Nel modello Lambertiano la luce riflessa varia in funzione del coseno dell’angolo di emissio-ne rispetto alla normale al piano, indipendente-mente dal piano di riemissione.

Supponendo che la massima riemissione sia I, in direzione perpendicolare alla superficie ri-flettente, allora in tutte le altre direzioni

Iθ = I * cos(θ)

ed il solido di riemissione è una sfera.

Si dimostra che se vale la legge di Lambert la luminanza della superficie non dipende dalla posizione dell’osservatore che percepisce una luminanza costante.

In sostanza se guardo uno specchio, ciò che vedo dipende in maniera essenziale dalla mia posizione, ma se guardo un muro imbiancato a calce, quello che vedo non dipende dalla mia posizione, ed anche se mi sposto vedo sempre la stessa cosa.

Se la superficie non è perfettamente Lamber-tiana la luminanza cambia cambiando punto di osservazione.

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Con fotometria indichiamo l’insieme delle tec-niche di misurazione delle grandezze (gran-dezze fotometriche) che caratterizzano la luce: flusso, intensità nelle varie direzioni dello spa-zio, luminanza, etc.

LUXMETRO

Il luxmetro è lo strumento di misura dell’illu-minamento.È composto di solito da una parte fissa (corpo strumento) e una mobile che contiene il sen-sore vero e proprio costituito generalmente da un trasduttore che sotto l’effetto dell’energia lu-minosa reagisce provocando una corrente elet-trica che viene rilevata da un galvanometro la cui scala è tarata in lux.

Il parametro più importante per valutare la pre-cisione dello strumento è la rispondenza alla curva di visibilità e di conseguenza la sensibili-tà del sensore.

FOTOMETRIA

Il luxmetro deve avere una risposta all’energia luminosa quanto più vicina alla curva fotopica di sensibilità relativa V(λ), cioè deve simulare il più possibile l’occhio umano normalizzato dal punto di vista fotometrico.

Questo si realizza impiegando dei filtri in modo tale da ottenere una risposta spettrale il più pos-sibile vicina alla curva V(λ).

L’esposimetro utilizzato in fotografia è un di-spositivo analogo al luxmetro e misura l’illumi-namento della superficie o oggetto che si inten-de fotografare rispetto alle caratteristiche della pellicola o del sensore della macchina fotogra-fica e non rispetto alla curva di visibilità umana.

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GONIOFOTOMETRI

Il goniofotometro è lo strumento usato per la misurazione delle intensità luminose emesse da un apparecchio o da una sorgente luminosa nel-le diverse direzioni dello spazio.

Esistono vari tipi di goniofotometro, ciascuno impiegato in diverse configurazioni per rispon-dere ad esigenze specifiche.

I goniofotometri che ruotano l’apparecchio intorno a due assi perpendicolari tra loro modificano

la normale posizione di funzionamento dell’ap-parecchio durante la misura.Per cercare di mantenere nella posizione di nor-male funzionamento l’apparecchio durante la misura sono state sviluppate macchine e tecni-che di misura specifiche.

Il modo più semplice è di posizionare l’appa-recchio di illuminazione e far ruotare la foto-cellula intorno ad esso; si realizza così il go-niofotometro a testina rotante, che però richiede

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spazi enormi per funzionare correttamente se l’ap-parecchio ha dimensioni elevate.

Negli anni settanta del secolo scorso è stata sviluppata la tecnica di misurare l’immagine dell’apparecchio riflessa in uno specchio: que-sto permette di mantenere l’apparecchio nella normale posizione di funzionamento durante la misura sfruttando il movimento relativo tra apparecchio e specchio. L’apparecchio trasla in direzione verticale e può ruotare intorno al

proprio asse, ma resta comunque nella norma-le posizione di funzionamento durante tutta la misura, anche se ad altezze diverse; in partico-lare resta costante la sua posizione rispetto alla gravità, garantendo la corretta dissipazione ter-mica.

Un’altra possibilità è di tenere l’apparecchio al centro e far ruotare lo specchio intorno all’ap-parecchio che rimane sostanzialmente fermo, semplicemente ruota intorno al proprio asse.

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Questo tipo di goniofotometro è indicato espli-citamente nella norma LM-79 della IES (Illu-minating Engineering Society), che è l’ente normatore Americano, come uno dei due soli tipi di goniofotometro utilizzabile per le misure su apparecchi LED, insieme ai goniofotometri a

testina mobile che abbiamo descritto sopra.Questa prescrizione ha naturalmente dato gran-de popolarità a questo tipo di strumento, anche se è stato poi chiarito che anche i goniofotome-tri a specchio centrale soddisfano le specifiche LM-79.

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L’immagine seguente illustra il principio di fun-zionamento di questo tipo di goniofotometro.

Il sensore vede l’immagine dell’apparecchio nello specchio e non deve invece ricevere luce direttamente dall’apparecchio stesso.

Da notare il setto rotante con foro eccentrico sincrono con i movimenti dello specchio che scherma la luce proveniente dall’apparecchio e la luce parassita che può essere presente nell’ambiente a causa delle residue riflessioni di soffitto, pareti e pavimento.

Setto rotante del Goniofotometro Palazzoli

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SISTEMI DI COORDINATE

Nella fotometria esistono due sistemi di coor-dinate sferiche normalmente usati nella pratica, che coprono campi applicativi complementari.

Il primo sistema, indicato come C-γ (C-gam-ma), viene usato per gli apparecchi per interni e per gli apparecchi stradali e corrisponde al si-stema di meridiani e paralleli che troviamo su un normale mappamondo.

L’apparecchio da misurare viene posto al centro di una sfera ideale di raggio molto più grande delle dimensioni dell’apparecchio stesso, si in-

dividua un asse polo Nord-polo Sud che cor-risponde all’asse perpendicolare alla superfi cie emittente dell’apparecchio e si genera un siste-ma di meridiani, che sono le intersezioni tra i piani passanti per l’asse Nord-Sud e la superfi -cie della sfera, e di paralleli che indicano diver-si gradi di elevazione rispetto all’asse centrale.

Per ogni intersezione tra meridiani e paralleli si effettua una misura. La scelta dei meridiani e dei paralleli determina la maggiore o minore densità dei punti di misura.

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Naturalmente occorre scegliere un meridiano di riferimento, indicato come C0.Il secondo sistema, indicato come V-H, oppure come B-β (B-beta), viene usato per gli appa-recchi da proiezione e corrisponde ad un siste-ma di coordinate sferiche con asse orizzontale (Est-Ovest).

L’apparecchio è posto al centro di una sfera ide-ale di raggio molto più grande delle dimensioni

dell’apparecchio stesso, ma si individua un asse Est-Ovest che determina un sistema di meridia-ni e paralleli ruotati di novanta gradi rispetto al mappamondo. Per ogni intersezione tra meri-diani e paralleli si effettua una misura. La scelta dei meridiani e dei paralleli determina la mag-giore o minore densità dei punti di misura.

Il meridiano di riferimento è generalmente per-pendicolare alla superfi cie emittente.

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TECNICHE DI MISURA

Quando si misura l’emissione di un apparecchio o di una sorgente i dati possono essere esposti in maniera assoluta o relativa. Fino a pochi anni fa la normale tecnica di laboratorio prevedeva di fornire i dati normalizzati a 1000 lm, cioè si fornivano i risultati di misura in candele per ogni 1000 lm di emissione della lampada contenuta nell’apparecchio; si fornivano i dati, cioè, come se la lampada fornisse sempre 1000 lm di flusso.

La fotometria relativa ha il vantaggio che è possibile cambiare lampada semplicemente in-dicando il flusso della nuova lampada, perché si dà per scontato che meccanicamente ed ot-ticamente le lampade che possono essere mon-tate nell’apparecchio si comportano allo stesso modo.

Il parametro che può cambiare è il flusso, ma la fotometria è normalizzata a 1000 lm, per cui basta moltiplicare le candele normalizzate per i kilolumen emessi dalla lampada inserita per ottenere la fotometria assoluta, cioè le candele realmente emesse dall’apparecchio in quella configurazione.

Per effettuare una fotometria relativa si misura il flusso emesso dalla sorgente, si misura la fotometria dell’apparecchio e si normalizzano i dati rendendo la misura indipendente dalla lampada specifica utilizzata.

La tecnica complementare prevede di misurare semplicemente le candele uscenti dall’apparec-chio che contiene quella specifica sorgente. Si dice che è stata effettuata una fotometria asso-luta; in questo caso non è possibile cambiare la lampada, a meno di non conoscere esattamente il flusso della lampada stessa e con tale valore normalizzare la fotometria rendendola relativa.

Nel caso di fotometria relativa, conoscendo esattamente il flusso uscente dalla lampada e quello uscente dall’apparecchio è possibile

calcolare il rendimento dell’apparecchio stesso come rapporto tra i due flussi.

Dove:

η = rendimento luminosoφA = flusso uscente dall’apparecchioφL = flusso uscente dalla lampada

Il rendimento è un numero adimensionale.

In sostanza il rendimento indica quanta parte del flusso fornito dalla lampada riesce ad uscire dall’apparecchio, misura l’efficienza dell’apparecchio.

Con l’avvento dei LED (Light Emitting Diode) diventa problematico cambiare le sorgenti all’interno dell’apparecchio, perché se anche fosse possibile sostituire i singoli LED o le matrici di LED che costituiscono il motore luminoso dell’apparato, la sostituzione influirebbe sui meccanismi di dissipazione del calore, quindi sull’equilibrio termico dell’apparecchio, variandone l’emissione.

Per questa ragione le norme di settore che rego-lano le misure sugli apparecchi LED richiedono fotometrie assolute, in cui non ha più senso par-lare di rendimento luminoso, perché l’apparec-chio influisce in modo sostanziale sull’emissio-ne della sorgente, cambiandone le condizioni termiche.

Diventa quindi importante misurare l’efficacia dell’apparecchio cioè il rapporto tra il flusso emesso dall’apparecchio e la potenza (elettri-ca, trattandosi di luce elettrica) fornita. Le nor-me specificano che occorre valutare la potenza complessiva fornita all’apparato di illuminazio-

η = φA / φL

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ne, tenendo in considerazione anche le perdite all’interno dell’alimentatore o qualunque altra dispersione all’interno dell’apparecchio.

L’efficacia mette in relazione il flusso emesso dall’apparecchio con la potenza complessiva fornita dalla rete elettrica.

Dove:ξ = efficacia luminosaφA = flusso uscente dall’apparecchioW = potenza fornita complessivamente all’apparecchio

L’efficacia si misura in lm/W.

LA SFERA INTEGRATRICE O DI ULBRICHT

Il flusso luminoso di una sorgente può essere calcolato (per integrazione) dalle intensità luminose misurate secondo le diverse direzioni, oppure misurato direttamente attraverso la sfera integratrice o di Ulbricht.

Si tratta di una sfera la cui superficie interna è verniciata con vernice bianca opaca diffondente e non selettiva, che significa che riflette allo stesso modo tutte le frequenze che compongono lo spettro da misurare.La sorgente viene sospesa al centro della sfe-ra. A causa delle continue riflessioni l’illumi-namento di ogni punto della superficie interna della sfera è costante e proporzionale al flusso totale emesso dalla lampada.La misurazione viene effettuata per mezzo

di una cellula fotovoltaica posta dietro una piccola fessura praticata sulla superficie della sfera.

Per evitare che la cellula riceva direttamente i raggi luminosi emessi dalla sorgente, la fotocel-lula è schermata in modo che non veda diretta-mente la sorgente.L’illuminamento E sul sensore è direttamente proporzionale al flusso totale emesso dalla lampada. Dove K è una costante che dipende dalle caratteristiche del sistema e che si determina per taratura, misurando una sorgente campione

che abbia caratteristiche simili alla sorgente in esame e flusso luminoso noto.

ξ = φA / W

φ = k E

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Con il termine spettrometria indichiamo una serie di tecniche per misurare lo spettro della luce emesse da una sorgente o rifl essa da una superfi cie.

Lo strumento usato è lo spettroradiometro, che può essere usato direttamente oppure come ele-mento sensibile di una sfera integratrice o di un goniofotometro.

SPETTROMETRIA

MISURE SPETTRALI

Lo spettro di emissione di una sorgente è la distribuzione di energia in funzione della fre-quenza (o della lunghezza d’onda) e rappresen-ta l’emissione di una sorgente; lo spettro può li-mitarsi al campo del visibile o estendersi anche alle altre frequenze.

Valutare lo spettro di emissione di una lampada all’interno di un progetto permette di verifi care in modo adeguato la qualità della luce prodotta.

Gli spettri possono essere continui, composti da una sequenza ininterrotta di frequenze, oppure a righe, se vengono emesse solo alcune frequenze o solo alcuni campi di frequenza.

I LED normalmente usati per l’illuminazione hanno uno spettro continuo caratterizzato da un picco nel blu, un avvallamento tra blu e verde e da basse emissioni nel rosso.

Il tipo di spettro rappresentato per i LED è quel-lo più comunemente usato, le differenze si gio-cano normalmente sull’altezza del picco blu, in funzione del quale varia la temperatura di colo-re del LED stesso.

Naturalmente si trovano sul mercato anche molte altre soluzioni, corrispondenti a diverse tecnologie per produrre luce.

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TEMPERATURA DI COLORE CORRELATA DELLE SORGENTI

Dato lo spettro di emissione di una sorgente, o di un corpo che emetta luce o di una superficie riflettente, è possibile elaborare i dati spettrali per rappresentare il colore della luce tramite le coordinate cromatiche x,y nel diagramma CIE 1931.

Il bordo a ferro di cavallo del diagramma rap-presenta i colori puri, spettrali, associati ad una singola frequenza; la linea di chiusura inferiore è la cosiddetta linea delle porpore, colori non spettrali, perché non associati a nessuna fre-quenza monocromatica, malgrado siano sul bordo, mentre l’interno del diagramma rappre-senta i colori dati dalla miscelazione dei contri-buti dei colori primari; le porpore sono ottenuti dalla miscelazione del rosso e del violetto spet-trale.

Siamo in presenza di una sintesi additiva: per creare nuovi colori si mescolano, si sommano, altri colori, preferibilmente i colori scelti come primari.Sul diagramma è anche indicato il Locus Plan-ckiano (Black Body Curve), la linea su cui giac-ciono le coordinate cromatiche degli spettri di emissione del corpo nero a varie temperature.

Se una sorgente emette uno spettro con coordi-nate cromatiche che giacciono sul Locus Plan-ckiano possiamo specificare la sua cromaticità mediante la temperatura del corpo nero che emette uno spettro con le stesse coordinate cro-matiche, indicandola come Temperatura di colore.

Se invece le coordinate della sorgente sono in prossimità della Planckiana, ma non esattamen-te sovrapposte, specifichiamo una Temperatura di Colore Correlata (in Inglese Correlated Co-lor Temperature – CCT) cioè la temperatura del punto più vicino del Locus.

Nella figura seguente sono indicati i segmenti che individuano le Temperature di Colore Cor-relate o, in Italiano, isoprossimali.

Nel caso si usi una temperatura correlata è buo-na pratica indicare anche la distanza dal locus, per dare una indicazione di quanto ci scostiamo dall’emissione del corpo nero.

In realtà la temperatura di colore correlata si misura in uno spazio che costituisce una trasfor-mazione dello spazio colore CIE del 1931, adot-tato dalla CIE nel 1960 e ormai abbandonato.

IL CORPO NERO

In fisica un corpo nero è un oggetto ideale che assorbe tutta la radiazione elettromagnetica in-cidente senza rifletterla, ed è perciò detto “nero” secondo l’interpretazione classica del colo-re dei corpi.Assorbendo tutta l’energia incidente, per la leg-ge di conservazione dell’energia il corpo nero re-irradia tutta l’energia assorbita. Si tratta di una idealizzazione fisica, dal momento che in natura non esistono corpi che soddisfano perfettamente tale caratteristica.La radiazione emessa da un corpo nero viene

detta radiazione del corpo nero.Lo spettro di un corpo nero è uno spettro dal-la caratteristica forma a campana, dipendente unicamente dalla sua temperatura T e non dalla materia che lo compone.

Negli esperimenti in laboratorio un corpo nero è costituito da un oggetto cavo mantenuto a temperatura costante le cui pareti emettono e assorbono continuamente radiazioni su tutte le possibili lunghezze d’onda dello spettro elettro-magnetico.

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Diagramma di cromaticità CIE 1931

Diagramma di cromaticità CIE 1931 con indicazione delle isoterme (isoprossimali)

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Per questa ragione la distanza dello spettro in esame dalla Planckiana viene indicata con duv.

La Temperatura di Colore o la Temperatura di Colore Correlata (CCT), espressa in Kelvin [K], è una caratteristica dell’emissione di una sorgente, che viene classificata come fredda o calda in funzione della sua CCT: più la CCT aumenta più la sorgente è considerata fredda, perché la classificazione come fredda o calda di una sorgente si riferisce alla sensazione prodot-ta nell’osservatore e non alla temperatura del corpo nero.Più aumenta la temperatura del corpo nero più au-menta la componente blu nello spettro, generando una sensazione di freddezza nell’osservatore.Ha senso parlare di Temperatura di Colore Cor-

relata (CCT) solo in una fascia ristretta intorno al Locus Planckiano, dove l’emissione è parago-nabile a quella del corpo nero alle varie tempe-rature, o, vedendo la questione da un altro punto di vista, se siamo in presenza di una luce che sia simile ad una emissione nel visibile che conten-ga tutte le frequenze, variamente miscelate: ad una temperatura di colore di 2000 K corrispon-de una prevalenza dell’arancione, a valori di temperatura inferiori corrispondono il rosso e, ancora più in basso, l’infrarosso, non più visi-bile; mentre a temperature superiori ai 2000 K la luce è dapprima gialla, poi bianca, azzurra, violetta e ultravioletta. In pratica usiamo la Temperatura di Colore (eventualmente Correlata) per distinguere le varie tonalità della luce “bianca”.

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Il colore è un mezzo che consente di eserci-tare un influsso diretto sull’anima. Il colore è il tasto, l’occhio il martelletto, l’anima è il pianoforte dalle molte corde.

da Dello spirituale nell’arte, Vassilij Kandinskj

Noi, normalmente, vediamo il mondo a colo-ri ed associamo questa sensazione multiforme ai nostri sentimenti: vedere il mondo in bianco e nero significa non apprezzare le sfumature, dividere ciò che ci circonda in categorie nette, non distinguere le gradazioni. Il colore è gioia, pienezza di vita, completezza di informazione.È possibile dare una misura oggettiva del colore?

COLORE

Ricondurre ciò che sperimentiamo con i nostri sensi a qualcosa di oggettivo, misurabile e sul quale tutti concordano?

Sappiamo rispondere alla domanda di ogni bambino: “il mio amico vede il rosso come lo vedo io?”.Non abbiamo tutte le risposte a queste doman-de, vediamo quello che sappiamo finora.

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SINTESI ADDITIVA E SOTTRATTIVA

Nell’ambito della sintesi dei colori si deve evi-denziare la distinzione tra il caso in cui si som-mano luci e quello in cui si mescolano pigmenti colorati.

Nel primo caso il numero delle componenti cro-matiche che raggiungono l’occhio aumenta, e si parla di sintesi additiva; nel secondo caso, essen-do i pigmenti sostanze assorbenti, il numero del-le componenti cromatiche che raggiungono l’oc-chio diminuisce, e si parla di sintesi sottrattiva.

Nella sintesi additiva l’assenza di luce determina il nero (assenza di colore), mentre nella sintesi sottrattiva l’assenza di pigmento lascia il foglio bianco.

Il modo più semplice per sperimentare la sin-tesi additiva consiste nell’avvicinare l’occhio

allo schermo di una TV a colori sino a distin-guere gli elementi emittenti dello schermo; si potrà notare così come attraverso diverse com-binazioni di blu, verde e rosso si ottengano, alla dovuta distanza, gli altri colori visualizzabili.Viene riportato uno schema di base per la sinte-si additiva; si noti come la somma dei tre colori fondamentali generi il bianco.

Definendo colore complementare quello che si ottiene sottraendo dal bianco il colore dato, si può constatare che i rispettivi colori com-plementari di rosso, verde e blu, e cioè ciano, magenta e giallo, costituiscono una base per la sintesi sottrattiva dei colori.

È riportato uno schema di base per la sintesi sottrattiva; si noti come la somma dei tre colori di base generi il nero.

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LA PERCEZIONE DEI COLORI

Il meccanismo tramite il quale percepiamo i co-lori è schematizzato di seguito:

un oggetto è illuminato da una luce con un proprio spettro, ne riflette una parte che viene percepita dal nostro sistema visivo, in partico-lare eccita i recettori presenti nell’occhio che inviano l’informazione al cervello il quale ri-costruisce l’immagine, determinando forma, posizione, stato di movimento ed anche colore dell’oggetto che stiamo osservando.

Come abbiamo già affermato noi non vediamo con gli occhi, ma tramite il lavoro congiunto di occhi e cervello.

Dal punto di vista fisico possiamo schematiz-zare il processo in questo modo: sono gli stessi passi evidenziati sopra, ma in questo secondo schema sono più evidenti le caratteristiche fi-siche, oggettive, che entrano in gioco e che ci permettono di riprendere una scena con una fo-tocamera e trasmetterle in televisione.

Nel 1942 David MacAdam eseguì un famoso esperimento, indagando quali fossero i limiti entro i quali due colori simili venivano distin-ti da un osservatore. Individuato un punto sul diagramma CIE 1931, e quindi un colore, l’os-servatore vedeva un cerchio diviso a metà: una metà aveva il colore scelto, nell’altra si poteva variare il colore fino a che l’osservatore vedeva un intero cerchio dello stesso colore.

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L’esperimento era ripetuto cambiando il punto di partenza del colore variabile, in modo da rag-giungere il colore obiettivo partendo da colori diversi.

Egli raccolse una mole enorme di dati e pub-blicò i suoi risultati riferiti a 25 punti sul dia-gramma CIE 1931 intorno ai quali individuò delle ellissi all’interno delle quali il colore era indistinguibile.

Più precisamente egli riuscì a dare una elegan-te formulazione matematica ai suoi risultati: le ellissi rappresentavano l’intervallo corri-spondente ad una deviazione standard dei dati sperimentali raccolti e la loro interpretazione afferma semplicemente che il 68% della popo-lazione normovedente non distingue il punto centrale dell’ellissi da tutti gli altri punti. Se tracciassimo l’ellissi corrispondente a 2 deviazioni standard (a due step di MacAdam, come si dice normalmente) attorno allo stesso punto, allora solo il 5% della popolazione non distinguerebbe il punto centrale da tutti gli altri punti e così via.Il punto da sottolineare è che non si distingue il punto centrale da tutti gli altri punti dell’el-lisse (nel caso di 1 step), ma due punti opposti

sul confine dell’ellissi distano in realtà 2 step di MacAdam e sono dunque distinguibili: non vediamo la differenza di tutti i punti dell’ellisse dal suo centro, ma vediamo la differenza tra due punti periferici opposti.

Nella figura, come nell’articolo originale, le el-lissi sono ingrandite di 10 volte.

Quello che si nota subito è che le ellissi diffe-riscono per dimensione ed orientamento nelle varie regioni del diagramma: lo spazio colore CIE 1931 non è uniforme, le differenze percet-tive dipendono dalla posizione in cui siamo, ed anche l’orientazione delle ellissi non è costan-te. Se lo spazio fosse uniforme otterremmo dei cerchi, non delle ellissi, e tutti della stessa di-mensione.Proprio per tentare di rendere uniforme lo spa-zio colore sono state proposte varie trasforma-zioni del diagramma CIE 1931, ma finora il problema dell’uniformità non è stato risolto.

Invece studi successivi al primo articolo di Ma-cAdam hanno generalizzato i suoi risultati, ed oggi noi possiamo calcolare orientazione e dia-metri delle ellissi per ogni punto dello spazio colore.

Example of target on CIE chromaticity chart (x,y)

MacAdam 1-step elipseMacAdam 2-step elipseMacAdam 3-setp elipse (OSI)MacAdam 4-step elipse (ANSI)Examples of lamp chromaticities trying to match target

NOTE: A and B are each 1 sd from the target, but 2 sd from each other

C and D are each 2 sdfrom the target, but 4 sd fromeach other.

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MISURA DEL COLORE

I tre attributi che normalmente diamo al colore degli oggetti sono la tinta (Hue), la luminosità (Lightness) e la saturazione (Chroma); tra pa-rentesi sono riportati i termini inglesi perché la traduzione può variare tra un autore e l’altro, generando confusione.

Questo sistema è stato messo a punto dal profes-sor Munsell all’inizio del XX secolo e adottato negli anni trenta dal Dipartimento dell’Agricol-tura degli Stati Uniti d’America come sistema di colori uffi ciale per le ricerche sul suolo.

Comunemente ci riferiamo ad esso come sistema Munsell, implementato nell’atlante Munsell.

TINTA

Munsell divise ogni cerchio orizzontale in cinque colori principali: rosso, giallo, ver-de, blu e violetto, indicati con le loro iniziali in inglese: R (red), Y (yellow), G (green), B (blue) e P (purple), e in altri cinque colori inter-medi adiacenti ad essi. Ognuna di queste dieci suddivisioni è ulterior-mente suddivisa in 10 sotto divisioni in modo da contare cento tinte diverse.

Due colori, di uguale luminosità e saturazione, che si trovano agli estremi opposti di un dia-metro della circonferenza delle tinte sono det-ti colori complementari e la loro mescolanza additiva genera il grigio della stessa luminosità.

Hue: The perception of relative redness, blueness, greenness, or yellowness of a stimulus.

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SATURAZIONE

La saturazione è misurata radialmente dal centro di ogni settore circolare del sistema di coordinate cilindriche e rappresenta il grado di “purezza” del colore, dove valori più bassi corrispondono a colori più tenui e tendenti al grigio. Si noti che non esiste nel sistema Munsell un limite intrinseco al valore di saturazione, aree differenti dello spazio dei colori hanno diverse coordinate di saturazione massima.Ad esempio i colori gialli chiari hanno valori potenziali di saturazione più alti ad esempio dei violetti chiari, questo a causa della natura dell’occhio umano e della fi sica degli stimoli ottici.

Nel tempo sono stati messi a punto molti siste-mi per descrivere e misurare le caratteristiche cromatiche di una sorgente o di un oggetto, cioè esistono diversi spazi colore che tentano di ren-dere oggettivo, indipendente dall’osservatore specifi co, il dato colorimetrico, in sostanza che tentano di misurare il colore.

Tutti questi sistemi si basano sui meccanismi descritti sopra e la loro evoluzione corrisponde all’approfondimento delle nostre conoscenze.

LUMINOSITÀ

La luminosità varia verticalmente lungo l’as-se verticale delle coordinate cilindriche da un valore minimo di 0 (corrispondente al nero) fi no al valore massimo di 10 (corrispondente al bianco). Tra questi due estremi si trovano tutte le tonalità di grigio.

Lightness: The attribute by which a perceived color is judged to be closer to white than black.

Saturation or Chroma: degree of departure from a gray of equal lightness (or natural gray).

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INDICI DI RESA CROMATICA

Finora abbiamo discusso del colore della luce, della sua Temperatura di Colore Correlata, del colore degli oggetti e dei meccanismi percettivi del colore: ora dobbiamo mettere in relazione tra loro tutti questi aspetti del problema.

Sappiamo che con poca luce non distinguiamo i colori, mentre se aumentiamo la luminosità i grigi tendono al bianco come, in realtà, fanno anche gli altri colori.

Ma come varia la nostra percezione dei colori cambiando la luce che illumina la scena da in-dagare? L’illuminante influenza la nostra per-cezione?

Intuitivamente la risposta è positiva: tutti abbia-mo scelto un maglione all’interno del negozio per scoprire un colore diverso quando l’abbia-mo indossato all’aperto, alla luce del sole. L’immagine illustra la situazione:quello che vediamo come a destra alla luce di un illuminante campione (per esempio la luce del sole o un illuminante codificato) appare come a sinistra sotto un’altra luce.La variazione avviene per il singolo colore, nell’immagine il singolo quadratino, ma noi abbiamo bisogno anche di indici generali che possano rendere ragione complessivamente del fenomeno.

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INDICI CRI E TM30

Il primo indice sviluppato a questo scopo, per rendere ragione di come una luce (un illumi-nante) fa percepire i colori ad un osservatore medio, è il CRI (Color Rendering Index).

Nella sua prima versione l’indice si basava su otto colori non saturi per ciascuno dei quali ve-niva determinato un indice di resa cromatica: la media aritmetica degli otto indici base è Ra, o indice medio (in Inglese average).Questo metodo è stato sviluppato per essere usato con le lampade fl uorescenti, ed è stato calibrato in modo che una particolare lampada avesse indice 50.

Indice 100 signifi ca che il colore è riconosciuto perfettamente, indici più bassi indicano diffi -coltà crescenti nel riconoscere quel particolare colore; questo indice dà indicazione solo della capacità di riconoscere il colore, in particolare l’indice riferito ad un singolo campione (R1, R9 etc.) indica la capacità dell’illuminante di rendere quel colore, mentre Ra dà una indica-zione media sull’intera gamma di colori.

Nel tempo i colori sono diventati 14, ed i Giap-ponesi utilizzano anche un quindicesimo cam-pione che è il colore della pelle media

giapponese; va sottolineato che Ra indica sem-pre la media dei primi otto campioni.

Questo indice dà solo una idea sulla capacità di riconoscere i colori e non risponde a tante altre domande che possiamo farci: per esempio se il colore, pur riconosciuto, ci appare natu-rale, cioè lo vediamo come lo vedremmo alla luce del sole, oppure se ci appare più carico o meno saturo di come lo vedremmo sotto altri il-luminanti. Inoltre l’indice, per come è costruito, soffre di alcune anomalie, la più evidente delle quali è che può diventare negativo e nessuno sa interpretare un valore negativo di tale indice.

Per questa ragione sono stati sviluppati molti altri indici di resa colore, ciascuno dei quali ri-sponde ad una specifi ca domanda. Per esempio esiste anche un indice che si basa sul ricordo che noi abbiamo dei colori di 10 og-getti di uso familiare, che quindi non ha biso-gno di un illuminante campione (il campione è la nostra memoria) e sostanzialmente risponde alla domanda se gli oggetti appaiono con colori naturali.Risulta evidente che un solo indice non è suffi -ciente per caratterizzare completamente la resa

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del colore di una sorgente: in funzione della do-manda a cui risponde lo specifi co indice otte-niamo risultati più o meno buoni, ma per tener conto di tutti gli aspetti della percezione occor-re farsi più domande, avere più indici.In conclusione appare evidente che la defi ni-zione di un solo indice di resa cromatica sia una soluzione troppo semplicistica per un problema assai complicato; ogni applicazio-ne per cui il progettista individua un attributo predominante nell’ambito della “resa croma-tica” esige una metrica appropriata per essere valutato e considerato al meglio nell’ambito del progetto.La pubblicazione IES TM-30 ha introdotto un metodo per la valutazione della resa cromatica in cui si raggruppano sistemi di valutazione già noti, ma organizzati in modo sistematico.

L’assunto base è che un solo indice è insuffi -ciente, quindi si richiedono almeno due indici diversi, il Fidelity Index Rf e il Gamut Index Rg. In più è richiesto di accompagnare i due in-dici base con almeno una forma di rappresenta-zione grafi ca.

Il Fidelity Index indica la fedeltà della resa del colore, la capacità di riconoscere il colore, men-tre il Gamut Index valuta come viene variata l’area coperta dai colori campione illuminando-li con la lampada in esame rispetto all’illumi-nante di riferimento.

TM-30 si basa su 99 campioni e propone anche una grande varietà di indici che possono rispon-dere a domande specifi che.

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Sorgente in esame Colori ricordati

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Fidelity e Gamut Index vengono rappresentati sullo stesso grafico e restano, normalmente, all’interno del triangolo indicato in figura.

Le rappresentazioni grafiche aiutano a capire come è stata modificata la percezione dall’illuminante.

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Eccone un esempio, in cui è indicato anche il corrispondente valore CRI.

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Esistono molte tecnologie per produrre luce tra-mite conversione di potenza elettrica.Esaminiamo le più diffuse.

TECNOLOGIE E TIPI DI SORGENTE

Incandescenza

Un filamento metallico, avvolto di solito a spi-rale, è posto all’interno di un’ampolla di vetro nella quale è praticato il vuoto oppure è immes-so un gas, che mescolandosi con il tungsteno evita l’annerimento del bulbo.

Per abbassare la sublimazione inoltre vengono aggiunti altri gas (azoto o argon) che hanno la funzione di diminuire il distacco delle particelle di tungsteno aumentando la durata.

Applicando agli estremi del filamento una dif-ferenza di potenziale, si genera un campo elet-trico e si ha un passaggio di corrente attraverso il filamento, che dà luogo ad un incremento di temperatura del filamento stesso; esso si com-porta come un corpo nero ad alta temperatura ed emette energia raggiante secondo uno spet-tro di emissione continuo, una porzione del quale nel campo del visibile.

La temperatura di colore è di circa 2900K, il valore dell’indice di resa cromatica è 100. L’ef-ficacia luminosa oscilla tra 9 e 20 lm/W.La durata è di circa 1000 ore.

SORGENTI LUMINOSE

Alogene

Le lampade ad alogeni sono lampade ad incan-descenza caratterizzate dalla presenza nel bul-bo, oltre che del gas inerte, di un alogeno (iodio o bromo) per dar luogo al ciclo rigenerativo del tungsteno.Le particelle di tungsteno, provenienti dal fila-mento interno, si combinano con gli elementi alogeni presenti nel bulbo dando origine agli alogenuri di tungsteno, gas trasparenti che non aderiscono alle pareti interne della sorgente, grazie a dei moti convettivi che tendono a far tornare questi gas nella regione prossima al fi-lamento.

Poiché gli alogenuri di tungsteno sono composti stabili entro un dato intervallo di temperature, spegnendo la lampada avviene la dissociazione.

Il tungsteno ritorna libero depositandosi nuo-vamente sul filamento e lasciando liberi gli elementi alogeni pronti a riprendere il ciclo ad ogni accensione.

Il primo alogeno ad essere utilizzato è stato lo iodio; attualmente si usa spesso un composto del bromo.

La temperatura di colore varia da 2800 a 3100K, il valore dell’indice di resa cromatica è 100. L’efficacia luminosa oscilla tra 20 e 25 lm/W. La durata varia da 2000 a 5000 ore.

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Fluorescenti

Sono costituite da un tubo riempito con mercu-rio e con polveri fluorescenti in grado di con-vertire l’emissione del mercurio (253 nm) nel campo del visibile.

Il materiale fluorescente è caratterizzato da un forte assorbimento degli ultravioletti (dipen-dente dalle dimensioni delle particelle) e da un’elevata efficienza di trasformazione (dipen-dente dalla purezza).

La temperatura di colore subisce variazioni che vanno da 2700 a 6500K, il valore dell’indice di resa cromatica varia tra 60 a 90.

L’efficacia luminosa oscilla tra i 50 ed i 90 lm/W. La durata dipende dalla tipologia e varia da 6000 a 20000 ore.

Lampade a scarica

Una lampada a scarica in gas è costituita da un tubo ermeticamente chiuso. In corrispondenza delle estremità sono posizionati due elettro-di, l’anodo (positivo) e il catodo (negativo). Il tubo contiene un gas che vaporizza quando fra gli elettrodi si innesca il passaggio di corren-te. Il processo che porta all’emissione dipende dall’energia che colpisce gli elettroni del gas.Una volta eccitati, gli elettroni cambiano orbita, ma tendono a tornare alla posizione originaria emettendo onde nel visibile (spettro a righe).

Nel tornare allo stato originario l’elettrone può fermarsi a stati metastabili, dove produce il maggior numero di onde luminose. L’elettrone espulso dall’atomo contribuisce al manteni-mento della scarica urtando altri elettroni nei vari passaggi.

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Lampade a scarica a vapori di sodio

Sono costituite da un tubo di scarica in materia-le ceramico trasparente, resistente alle alte tem-perature e alla aggressività del sodio racchiuso al proprio interno.

La scarica avviene in vapori ad alta temperatura e pressione con una conseguente emissione di luce bianco dorata.

Una volta accesa raggiunge il regime normale di funzionamento dopo circa 5 minuti. Grazie all’elevata effi cacia luminosa viene abbondan-temente utilizzata per illuminare esterni e locali industriali. La temperatura di colore subisce variazioni che vanno da 2000 a 2500K, il valore dell’indice di resa cromatica varia tra 20 e 80. I valori dell’ef-fi cacia luminosa possono superare i 120 lm/W e crescono con la potenza della lampada. La du-rata può raggiungere le 20000 ore.

Lampade a scarica agli ioduri metallici

Il tubo di scarica contiene al proprio interno, ol-tre al mercurio, ioduri di sodio, di tallio e di in-dio. Nelle lampade di recente produzione ven-gono inserite anche terre rare come il disprosio, l’olmio, il tulio e il cesio, che permettono una migliore distribuzione spettrale ed effi cacie lu-minose più elevate. Le lampade ad alogenuri hanno dei tempi di ac-censione e riaccensione piuttosto lunghi. Un’e-voluzione importante riguarda l’introduzione nelle lampade del bruciatore ceramico, che ha notevolmente migliorato le rese cromatiche.

La temperatura di colore subisce variazioni che vanno da 2700 a 6000K, il valore dell’indice di resa cromatica varia tra 65 a 95.

L’effi cacia luminosa oscilla tra gli 80 e gli oltre 95 lm/W al variare della potenza e della tipologia della lampada. La durata è di circa 12000 ore.

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LED

Il LED è un componente elettronico allo stato solido, come un normale transistor o come un circuito integrato. Lo scopo di questo compo-nente elettronico è emettere luce. Essendo un componente allo stato solido, per funzionare deve far parte di un circuito elettronico. L’acronimo LED signifi ca Light Emitting Dio-de, in Italiano diodo che emette Luce.

Il diodo è un componente elettronico unidire-zionale, all’interno del quale la corrente elettri-ca può muoversi solamente dall’anodo verso il catodo, mentre viene bloccato il fl usso di cor-rente inversa dal catodo all’anodo; è un semi-conduttore.

I LED sono stati sviluppati da Nick Holonyak nel 1962, sono costituiti da materiali semicon-duttori, con specifi che proprietà tali da permet-tere la conversione dell’energia elettrica in luce (fotoni), e drogati per modifi care il bilancia-mento tra le cariche positive e quelle negative.Alla base del loro funzionamento c’è una giun-

zione P-N, composta da due zone accostate (una con eccesso di lacune, l’altra con eccesso di elettroni).Il termine giunzione fa riferimento alla sottile area di confi ne tra le due zone.Ai due lati di essa vi è una differenza di po-tenziale; se non è applicata nessuna tensione le cariche positive e quelle negative tenderanno a mischiarsi nella zona confi nante per raggiunge-re l’equilibrio, creando una sottile barriera, im-pedendo così la circolazione di cariche tra una regione e l’altra.

Esempio di applicazione di un diodo LED su substrato metallico.

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La tabella seguente illustra le componenti di emissione tra vari tipi di sorgente luminosa. La tabella è stata pubblicata dal DOE, Department Of Energy del governo degli Stati Uniti, e illustra pienamente l’effi cacia luminosa delle varie tecnologie.

Le lampade incandescenti sono sostanzialmente delle stufette, perché convertono il 92% della potenza fornita in calore, sia direttamente che sotto forma di radiazione infrarossa.

Va meglio con le fl uorescenti, che comunque presentano ancora un elevato calore residuo.

Le lampade a ioduri metallici sono più effi caci nella conversione, ma al prezzo di produrre pericolose componenti ultraviolette.

Nei LED non abbiamo normalmente né infrarosso né ultravioletto e l’effi cacia è ormai attestata sul 25%.

Resta un 75% di calore dissipato, ma la tecnologia è ancora in grande sviluppo e si verifi cano miglioramenti continui, che permettono di prevedere prestazioni sempre migliori nel breve e nel lungo periodo. Riportiamo la previsione del DOE per i prossimi anni.

INCANDESCENT60W

FLUORESCENTtypical linear CW

METAL HALIDE LED

visible light 8% 21% 27% 15-25%

IR 73% 37% 17% 0%

UV 0% 0% 0% 0%

TOTAL RADIANT ENERGY 81% 58% 63% 15-25%

heat (conduction + convection) 19% 42% 37% 75-85%

TOTAL 100% 100% 100% 100%

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Come si vede i LED hanno ormai raggiunto e presto supereranno l’efficacia delle lampade al sodio, che hanno efficacia altissima perché so-stanzialmente emettono luce monocromatica, centrata sulle frequenze con i più alti fattori di visibilità.

I LED invece presentano spettri continui diffusi in quasi tutte le regioni dello spettro visibile, permettendo quindi una resa dei colori molto elevata, mentre le lampade al sodio sotto que-sto aspetto hanno prestazioni largamente insuf-ficienti.

Inoltre le sodio emettono in tutte le direzioni, per cui l’efficacia complessiva dell’apparecchio scende, dovendo scontare anche le perdite do-vute ai sistemi ottici (riflettori) che indirizzano verso l’esterno dell’apparecchio la luce emessa dalla lampadina verso l’interno.

Nei LED l’emissione di luce avviene normal-mente nel semispazio frontale e quindi ci sono meno perdite all’interno dell’apparecchio la cui efficacia cresce rispetto ai modelli che montano lampade tradizionali.

Ciò che conta realmente per il risparmio ener-getico è la luce utile che arriva sul piano da il-luminare, sia il tavolo da lavoro negli ambien-ti interni, il manto stradale nell’illuminazione pubblica o il campo da gioco in quella sportiva, per cui il valore da prendere in considerazione non è semplicemente l’efficacia della sorgente, della lampadina, ma l’efficacia dell’apparec-chio, che con sorgenti LED aumenta.

Di seguito un’altra tabella previsionale del DOE, che risale a qualche tempo fa, in cui sono indicate le efficacie misurate e gli obiettivi di efficacia futura dei vari tipi di LED; finora è stata sostanzialmente rispettata.

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Va notato che gli obiettivi dichiarati per il 2020 e quelli finali sono largamente al di sopra dell’efficacia della luce solare o dell’emissione del corpo nero.

Per ottenere questo risultato occorre concentra-re l’emissione nella parte centrale dello spettro visibile, quindi non partire da 380 nm e non ar-rivare a 780 nm, perché le frequenze più basse e quelle più alte hanno coefficienti di visibilità molto bassi che penalizzano l’efficacia. L’unica soluzione è quindi quella di tagliare le ali, cioè non emettere nel blu profondo e nel rosso pro-fondo.

La maggior parte dei LED che usiamo in illu-minazione hanno una forte componente blu, mentre normalmente faticano ad avere la com-ponente spettrale rossa. Tagliando le ali potre-mo avere efficacie maggiori, ma non sappiamo bene con quali effetti sulla naturalezza della luce: la luce naturale, a cui siamo adattati da millenni, ha uno spettro in cui sono presenti tut-te le frequenze. Abbiamo usato per decenni le lampade fluorescenti che hanno tipici spettri a righe, quindi non spettri continui, ma sappiamo quanto queste lampade possano penalizzare la resa dei colori.

In situazioni particolari abbiamo addirittura usato lampade quasi monofrequenza, come le sodio per l’illuminazione pubblica, ma l’atten-zione era rivolta alla sicurezza della circolazio-ne e nessuno si preoccupava di distinguere il colore dell’auto che ci precedeva.

I LED ci hanno dato grossi vantaggi e grosse possibilità nella resa dei colori, con la possibili-tà aggiuntiva di poter controllare il colore della luce emessa: occorre considerare bene in quali applicazioni possiamo rinunciare ad una parte del comfort visivo per aumentare l’efficacia energetica.

Purtroppo non abbiamo ancora una definizio-ne condivisa e consolidata di naturalezza della luce, anche se sono all’opera alcuni comitati scientifici coordinati dalla CIE, ma sicuramente è un parametro di cui tener conto nelle nostre future valutazioni. La luce artificiale deve avvicinarsi il più pos-sibile alla luce solare, che è il nostro ambiente luminoso naturale.

In alcune situazioni le considerazioni di rispar-mio energetico possono prevalere sulla natu-ralezza dell’illuminazione, ma occorre che sia una scelta consapevole del progettista e non una costrizione tecnologica o politica.una costrizio-ne tecnologica o politica.

Metric 2011 2013 2015 2020 Goal

Cool White(Color-mixed) 135 164 190 235 266

Cool White(Phosphor) 135 157 173 192 199

Warm White(Color-mixed) 97 129 162 224 266

Warm White(Phosphor) 98 126 150 185 199

Notes: 1. Projections for cool white packages assume CCT=4746-7040K, while projections for warm white packages

assume CCT=2580-3710K and CRI=80-90. All efficacy projections assume that packages are measured at 25°C with a drive current density of 35 A/cm2

2. Asymptote for color mixed is 266 lm/W, and for phosphor-converted is 199 lm/W

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EFFICACIA LUMINOSA

Tabella riassuntiva delle efficacie luminose di varie sorgenti:

E della loro vita media:

CategoriaIncandescente 1000

2000/50002000/3000

5000020000

6000/1000010000/12000

2000012000

Alogene Bassa TensioneAlogeneLEDFluorescenti LineariFluorescenti CompatteAlogenuri MetalliciSodio Alta PressioneSodio Bassa Pressione

Vita media in ore

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Gli apparecchi di illuminazione sono lo stru-mento con cui illuminiamo gli ambiti in cui dobbiamo svolgere le nostre attività e rappre-sentano il prodotto tecnologico nel quale met-tiamo in pratica le conoscenze che abbiamo sulla visione e sulle nostre funzioni percettive.

Scopo di un apparecchio di illuminazione è fornire la luce sufficiente per il compito visivo, in modo che tale luce sia fruibile e garantisca il miglior comfort possibile durante lo svolgi-mento dell’attività a cui l’ambiente è preposto.Se fornisco molta luce ma la indirizzo in modo errato rischio di abbagliare l’utente, sparan-dogli raggi luminosi negli occhi e facendolo colpire da fastidiosi riflessi, con il risultato di impedirgli o rendergli difficoltoso il lavoro; se non posso distinguere correttamente i colori o li vedo alterati, patirò una sensazione di disa-gio che diminuisce il mio livello di benessere o, addirittura, mi obbliga a sforzi altrimenti non necessari per svolgere il compito visivo.A parità di prestazione è preferibile l’apparec-chio che consuma meno, cioè che è più efficace nella conversione della potenza a flusso lumi-noso: il risparmio energetico non salvaguarda solo il portafoglio ma anche il pianeta su cui viviamo, preservando risorse per le generazioni future.

APPARECCHI TRADIZIONALI

Gli apparecchi tradizionali sono costituiti da una carcassa strutturale che alloggia le varie parti, tra cui gli apparati elettrici necessari al loro funzionamento, da un’ottica per indirizzare la luce e da una sorgente luminosa (lampadina) che fornisce il flusso di luce ed è sostituibile, perché la sua durata è limitata nel tempo.La lampadina si esaurisce molto prima che l’ap-

APPARECCHI DI ILLUMINAZIONE

parecchio invecchi in modo irreparabile, quindi è quasi sempre prevista, salvo giustificate e rare eccezioni, la possibilità di cambiarla.Inoltre la sorgente, per sua natura, emette in tutte le dire-zioni, non solo verso la parte frontale dell’ap-parecchio, dove normalmente esce la luce; quindi gli apparecchi sono costruiti in modo da recuperare la luce indirizzata verso l’interno dell’apparecchio stesso per rimandarla (riflet-terla) dove serve.Quindi non tutta la luce uscente dalla lampadi-na riuscirà ad uscire dall’apparecchio, una parte di essa rimarrà intrappolata e si disperderà sotto forma di calore, dopo essere stata assorbita dalle varie superfici che compongono l’apparecchio.Anche le dicroiche, che sono lampade direzio-nali, cioè emettono luce in un solo semispazio, in realtà raggiungono questo scopo incorpo-rando nella lampadina un riflettore, cioè una parte di apparecchio.Negli apparecchi tradizionali un parametro im-portante è quindi l’efficienza, talora indicata anche come rendimento luminoso oppure ottico dell’apparecchio, che indica quale percentua-le del flusso fornito dalla lampadina riesce ad uscire dall’apparecchio.È chiaro che questo parametro influenza anche l’efficacia dell’apparecchio, perché determina il flusso uscente dal sistema.Il flusso uscente dalla lampadina è quindi un buon parametro di prestazione, ma non è suffi-ciente per caratterizzare l’apparecchio che con-tiene quella lampadina, perché va pesato con il rendimento.Se una lampadina emette 1000 lm e l’apparec-chio che la contiene ha un rendimento del 65%, facendo una semplice moltiplicazione calcolia-mo che dall’apparecchio escono solo 650 lm. Quindi il flusso utile per il calcolo dell’efficacia è 650 lm, non i 1000 lm della lampadina.

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molto lunghe, ma soprattutto perché il cambio di sorgente richiede la compatibilità elettrica, meccanica e termica con la sorgente (modulo) da sostituire, e tale compatibilità non è assolu-tamente garantita, anche a causa della velocis-sima evoluzione dei LED, che migliorano ra-pidamente le prestazioni ma richiedono anche dissipatori sempre più efficienti ed alimentatori sempre più performanti.

L’emissione dei LED è solo nel semispazio frontale: non viene emessa luce verso l’interno dell’apparecchio, per cui tutta la luce emessa può raggiungere le superfici da illuminare, le zone dove svolgere il compito visivo.Eventualmente la luce emessa va indirizzata tramite sistemi ottici come lenti o parabole, che non devono però recuperare la luce emessa nell’emisfero opposto e dunque ne assorbono molto meno.

La parte di luce assorbita dalle ottiche negli ap-parecchi LED è molto minore che negli appa-recchi tradizionali.Piuttosto è molto importante una corretta dis-sipazione dei moduli all’interno dell’apparec-chio: se i LED non lavorano alla corretta tem-peratura la loro efficacia si riduce drasticamente ed anche la loro vita media si accorcia.

Questa, come detto, è la maggiore difficoltà alla possibilità di sostituzione dei moduli LED negli apparecchi: il nuovo modulo è probabilmente molto più efficace del vecchio, data la rapidis-sima evoluzione tecnologica, ma richiede una dissipazione più efficiente, che il vecchio appa-recchio non può garantire.

D’altra parte i vecchi LED, sui quali era stato progettato l’apparecchio, non sono più sul mer-cato e quindi l’unica possibilità per recuperare il vecchio apparecchio è di cambiare modulo, dissipatore ed alimentatore: sto assemblando un apparecchio nuovo!

APPARECCHI LED

Negli apparecchi LED risulta spesso difficile e sovente impossibile sostituire le sorgenti.

Anche fossero accessibili, non sempre è pos-sibile in pratica la sostituzione, perché occorre che il modulo LED sostitutivo abbia un compor-tamento termico compatibile con il modulo da sostituire, in modo che funzioni correttamente all’interno dell’apparecchio, che è stato proget-tato per dissipare una certa quantità di calore.

Naturalmente diamo per scontata la compatibi-lità elettrica.

Le vite medie dei moduli LED, che ormai co-munemente superano le 60000 ore, suggerisco-no l’inutilità della sostituzione.

Ammesso che un apparecchio funzioni media-mente sull’anno 12 ore al giorno, il che vuol dire che in estate resterà acceso un po’ meno e d’inverno un po’ di più, per 300 giorni all’anno, domeniche e ferie escluse, otteniamo 300*12 = 3600 ore/anno di funzionamento: il modulo andrà sostituito dopo 60000/3600 = 16,6 anni.

A quel punto vale la pena di cambiare l’intero apparecchio, perché anche le altre parti si sa-ranno usurate.

Per completezza di informazione va sottolinea-to che probabilmente ben prima che il modulo abbia problemi, o si spenga proprio, dovremo cambiare l’alimentatore, perché difficilmente gli alimentatori raggiungono durate paragona-bili ai LED.

Per gli apparecchi casalinghi, che hanno tempi di accensione intorno alle 4 ore giornaliere, si calcolano vite medie di 40 anni, che giustifica-no il cambio di apparecchio allo spegnimento dei LED.Riassumendo negli apparecchi LED attualmente non è pratica comune il cambio delle sorgenti, perché le sorgenti hanno vite

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Tecnologicamente non vale la pena di cambiare solo alcune parti dell’apparecchio; è la stessa cosa che succedeva fi no a pochissimi anni fa con i computer e succede sempre con le tecno-logie non ancora mature: l’aggiornamento di una parte del sistema non è tecnicamente soste-nibile e spesso non è sostenibile neanche da un punto di vista economico; è più conveniente la sostituzione.

Quando la tecnologia LED per l’illuminazione sarà matura, ma nessuno sa quando questo av-verrà, avrà senso anche pensare alla “lampadi-na” LED, che possa essere sostituita all’interno dell’apparecchio, insieme all’alimentatore e al dissipatore: per arrivare a questo risultato oc-corre defi nire standard meccanici, elettrici e per i dissipatori termici che garantiscano la piena compatibilità tra il pezzo da sostituire ed il so-stituto.

Se si arriverà a questo risultato avrà, forse, sen-so riconsiderare il rendimento dell’apparecchio LED, inteso come rapporto tra il fl usso emesso dall’apparecchio ed il fl usso emesso dal modulo LED a cui sono garantite le condizioni di fun-zionamento all’interno dell’apparato, soprattut-to le condizioni termiche.

Allo stato attuale parliamo solo di effi cacia de-gli apparecchi LED, intesa come rapporto tra il fl usso emesso dall’apparecchio e la potenza complessiva assorbita per il suo funzionamen-to; naturalmente la valutazione energetica degli apparecchi, ormai imposta non solo dalle leg-gi ma anche dalla attenzione crescente ai temi del risparmio dell’energia e della preservazione delle risorse, ci obbliga a calcolare l’effi cacia anche per gli apparecchi tradizionali.

È chiaro che anche in futuro non sarà possibile prescindere da questo tipo di valutazione: an-che fossimo in condizione di calcolare il rendi-mento degli apparecchi LED, dovremo sempre calcolare l’effi cacia di qualunque tipo di appa-recchio, perché questo è il parametro corretto per valutare l’utilizzo delle risorse energetiche,

per valutare quanta energia viene consumata per illuminare.L’effi cacia dei LED non è molto alta se para-gonata agli altri tipi di sorgente, ma sale molto considerando la direzionalità dell’emissione e le limitate perdite all’interno dell’apparecchio; gli apparecchi LED hanno un’effi cacia molto superiore agli apparecchi tradizionali, anche se paragonati con gli apparecchi con lampade al sodio, che però sono molto penalizzati dalla bassa resa cromatica.

Ormai gli apparecchi LED raggiungono una effi cacia che può raggiungere e superare i 130 lm/W; anche supponendo che la lampada sodio arrivi a 160 lm/W, considerando il rendimento e le perdite nell’alimentatore l’effi cacia dell’ap-parecchio risulta essere: 160*0.7/1.10 = 102 lm/W considerando un rendimento del 70% e un 10% di perdite nell’alimentatore. Quindi ri-sultano circa 102 lm/W a fronte di 130 lm/W per gli apparecchi LED.

Negli apparecchi LED posso scegliere sia la temperatura di colore, anche se per raggiungere temperature di colore basse si penalizza legger-mente l’effi cacia, e soprattutto posso ottenere indici di resa cromatica altissimi: questo è il se-condo grande vantaggio della tecnologia LED rispetto alle altre.

Una volta scelta la tipologia di lampada e co-struitole intorno l’apparecchio, con le tecno-logie tradizionali si aveva a disposizione una scelta limitata di possibilità per variare la CCT o gli indici di resa cromatica; con alcune tec-nologie, per esempio le lampade al sodio, non c’era possibilità di scelta, gli indici di resa cro-matica erano penalizzanti.

Con i LED possiamo realizzare qualunque combinazione di fl usso, CCT e resa cromatica, ottenendo spesso soluzioni ottime per l’appli-cazione di interesse, senza penalizzare nessun aspetto della visione.

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Ultimo ma non meno importante vantaggio dei LED rispetto alle altre tecnologie è la facilità di regolazione dell’emissione in modo conti-nuo ed effi cace. È possibile regolare il fl usso in uscita dagli apparecchi LED praticamente da zero al massimo disponibile realizzando al contempo un reale risparmio energetico, perché dimmerando gli apparecchi il consumo diminu-isce.

Non tutti gli altri tipi di apparecchio possono essere regolati, e la regolazione può infl uire sul-la durata della lampada e non sempre garantisce un corrispondente risparmio di energia; quindi spesso si ricorreva a complicati schemi di ac-censioni separate per garantire i vari livelli di il-luminamento richiesti, penalizzando talvolta le uniformità: ora è possibile regolare l’emissione dell’intero impianto, garantendo uniformità e risparmio energetico.

TIGUA LED

MITO LED

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BINNING

I led vengono prodotti in grandi quantità e ci sono inevitabili piccole differenze nella croma-ticità dell’emissione dei singoli LED, seppure appartenenti allo stesso lotto di produzione.

Quindi vengono selezionati in base alla loro CCT e divisi in gruppi, come vengono divisi i frutti posti in cestini (bin) diversi.

All’interno di ogni cestino i LED avranno ca-ratteristiche simili, in modo che utilizzandoli sullo stesso modulo, all’interno dello stesso ap-parecchio, non siano evidenti le differenze di colore tra i singoli LED.

I criteri usati per la selezione delle sorgenti sono codifi cati nella norma ANSI C78.377, che ha subito l’ultima revisione nel 2017.

Il meccanismo è semplice: si sceglie una tem-peratura di colore, ci si posiziona sul punto del-la Planckiana corrispondente e si sceglie quanti step di MacAdam sono tollerabili per la nostra applicazione; più step si utilizzano, quindi più grandi sono le ellissi corrispondenti, più i LED saranno distinguibili.

Tracciata l’ellissi, nel punto scelto, si tracciano le linee isoprossimali tangenti all’ellissi stessa e si completa il quadrangolo con le linee a di-stanza costante dalla Planckiana sopra e sotto il locus.

Tutti i led che ricadono nel quadrangolo appar-tengono alla stessa selezione.

La norma citata dà indicazioni su come sceglie-re le temperature di colore e la distanza (duv) dal locus Planckiano, ma ogni produttore di LED affi na poi il meccanismo con suddivisioni più raffi nate e puntuali.

Naturalmente più la selezione è stringente, più aumenta il costo del prodotto, esattamente come avviene per la frutta o le uova.

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FILE DI INTERSCAMBIO

Per l’interscambio dei dati fotometrici, i dati che descrivono come un apparecchio di illumi-nazione distribuisce la luce nello spazio, sono utilizzati correntemente solo due formati, en-trambi sviluppati alla fine degli anni 80 del se-colo scorso: il formato Eulumdat ed il formato IESNA LM63.

Il formato Eulumdat (estensione dei files .ldt), che è il più utilizzato in Europa, è stato svilup-pato dal professor Axel Stockmar per alimenta-re i suoi programmi di calcolo illuminotecnico e fu proposto pubblicamente nel 1990.

Si tratta di un formato ASCII, scritto secondo le regole del sistema operativo DOS.

Non ha mai avuto evoluzioni dalla sua nascita ed è ancora usato nella sua forma originale, an-che se è stato proposto un formato Eulumdat/2, che non ha avuto alcuna fortuna, ed è stato fatto, nel 2009, un tentativo per renderlo compatibi-le con la fotometria assoluta; le due evoluzioni proposte non modificavano ané la struttura del file né la quantità di informazioni contenute, e non hanno riscosso alcun seguito.Il formato Eulumdat permette di descrivere solo fotometrie misurate secondo il sistema C-γ e non è possibile utilizzare il sistema V-H; è stato proposto e gestito direttamente dal profes-sor Stockmar, senza l’intervento di nessun Ente normatore o di qualunque altra organizzazione.

Il formato Iesna LM63 (estensione dei files .ies) è stato sviluppato dal sottocomitato Fotometria e dal comitato Computer della Illuminating En-gineering Society of North America (IESNA) nel 1986, ed è stato revisionato nel 1991, nel 1995 e nel 2002.

Anche in questo caso si tratta di un formato ASCII e non ci sono regole chiare per gestire le informazioni in lingue con alfabeti diversi dall’alfabeto latino.

Nel formato IESNA è possibile gestire sia le fotometrie relative sia le fotometrie assolute e sono ammessi sia i sistemi di misura C-γ che V-H.

In entrambi i formati – Eulumdat e IESNA - c’è una sommaria descrizione della “figura lumino-sa” cioè del volume che emette luce all’interno dell’apparecchio di illuminazione o della lam-pada di cui si comunicano i dati.Nell’Eulumdat è possibile schematizzare l’area luminosa come un rettangolo o come un cer-chio, mentre se si tratta di un volume e non di un’area si schematizza con un parallelepipedo e con un cilindro; inoltre sono presenti le proie-zioni del volume luminoso nelle direzioni prin-cipali (in direzione dell’asse X positiva, dell’as-se X negativa e così via).

Nelle varie evoluzioni del formato IESNA la fi-gura luminosa è stata descritta via via sempre meglio, fino a raggiungere un buon grado di so-fisticazione. Nel formato Americano non ci sono le dimen-sioni fisiche dell’apparecchio, invece presenti, seppure schematicamente, nell’Eulumdat: solo che nell’Eulumdat non sono riportate le posi-zioni relative del volume che emette luce rispet-to al baricentro dell’apparecchio, e l’area lumi-nosa è normalmente considerata baricentrica rispetto all’apparecchio stesso.

Nel caso dei bollard, per esempio, l’area lumi-nosa dista da terra la metà dell’altezza del palet-to, e questo è chiaramente sbagliato.

Nel formato Eulumdat le informazioni si susse-guono in modo rigido ed ogni riga ha un preciso significato e deve contenere specifiche informa-zioni.

Non è possibile saltare alcuna riga, e quindi la quantità di informazioni presenti è rigidamente indicata ed immodificabile; non ci sono etichet-te che identifichino i campi e solo la posizione all’interno del file permette l’interpretazione del dato.

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Nel tempo sono stati codificati anche altri file format, come quello sviluppato dalla CIE o dal CEN, ma il meccanismo di costruzione è sem-pre simile al formato IESNA, con l’aggiunta di informazioni più dettagliate o di maggior preci-sione nella descrizione di alcune caratteristiche dell’apparecchio. In ogni caso nessuno di questi formati è stato usato estesamente dall’industria.

Tutti questi formati contengono solo i dati di intensità luminosa dell’emissione dell’apparec-chio o della lampada, con piccole differenze, che abbiamo descritto, sul formato della misura o sul formato dei dati, scarne informazioni sul volume emittente e alcune semplici informa-zioni sul consumo energetico e sulle eventuali lampade presenti nell’apparecchio.

La gestione delle lampade all’interno dell’ap-parecchio presenta molti problemi sia nell’Eu-lumdat, che non prevede lampade di tipo diver-so all’interno dello stesso apparecchio, sia nello IESNA, che non permette di indicare i flussi esatti in caso di lampade diverse.

In entrambi i casi nessuna informazione detta-gliata sui consumi, sull’impegno energetico, né alcuna informazione sullo spettro di emissione, sulla colorimetria, sulle caratteristiche mecca-niche o funzionali dell’apparecchio.

Nei file IESNA di ultima versione, esistono etichette <Label> che identificano alcuni cam-pi ed è quindi possibile invertire alcune righe o aggiungere o togliere qualche informazione, ma il grosso del file è interpretato tramite la po-sizione del dato all’interno del file, come per l’Eulumdat.

In sostanza, in entrambi i casi, c’è un set mini-mo ed un set massimo di informazioni (nell’Eu-lumdat massimo e minimo coincidono) e non è possibile in nessun modo modificare questa struttura.

VITA MEDIA DI UN APPARECCHIO LED

Tutte le lampade subiscono una diminuzione del flusso nel corso della loro vita.

Spesso la riduzione è significativa, ed anche se la lampada si accende ancora non è detto che svolga appieno la sua funzione, perché il flusso emesso è minore del flusso che emetteva all’i-nizio della sua vita, dopo un breve periodo di adattamento.

Per molti tipi di lampada è ragionevole misu-rare il flusso iniziale dopo un periodo variabile tra le cento e le duecento ore di funzionamento, intervallate da cicli di accensione e spegnimen-to per stabilizzare l’emissione.Succede che dopo un considerevole periodo di funzionamento le lampade emettano una per-centuale piuttosto basse del loro flusso iniziale, senza tuttavia esaurirsi.

Come abbiamo visto per gli apparecchi LED occorre utilizzare fotometrie assolute, come prescrivono anche le norme di settore, ma il for-mato Eulumdat non prevede questa possibilità: se si vuole utilizzare il formato Eulumdat per gli apparecchi LED occorre fare in modo che il rendimento dell’apparecchio sia 100% e si uti-lizza come flusso di lampada il flusso uscente dall’apparecchio stesso.

Se invece si utilizza il formato IESNA non ci sono particolari problemi, perché la fotometria assoluta è prevista fin dalla prima versione del formato e il flusso si calcola per integrazione della matrice.

Sono allo studio altri formati di interscambio dati che possano superare i limiti dei formati de-scritti e, soprattutto, che siano formati globali, accettati e usati in tutti i paesi, ma, al momento, non è stato pubblicato alcun nuovo protocollo.

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Quando si scende sotto una percentuale prefi s-sata si ritiene conclusa la vita funzionale della lampada, anche se emette ancora luce.

Nel tempo questa percentuale, che inizialmente era fi ssata al 50% è stata innalzata fi no al 70%.

Il che vuol dire che riteniamo esaurita una lam-pada che emette meno del 70% del suo fl usso iniziale, misurato dopo un periodo di adatta-mento.

Questo meccanismo non vale per tutte le tipolo-gie: le lampade incandescenti, per esempio, au-mentano l’emissione nel tempo, fi no a bruciarsi. Anche i LED, intesi come sorgente, hanno un comportamento analogo: dopo un brevissimo periodo di adattamento (normalmente si accen-dono per un’ora, salvo diversa prescrizione del fabbricante, per verifi carne il funzionamento e lasciar morire quelli difettosi, che sono general-mente in percentuale irrisoria) viene misurato il fl usso iniziale, per poi tenerlo sotto controllo nel tempo.

Succede però che qualche LED muoia prema-turamente e quindi occorre formalizzare un me-todo che tenga conto della riduzione di fl usso e della mortalità dei singoli LED.

Nell’analisi occorre considerare che normal-mente il motore luminoso degli apparecchi è costituito da moduli LED composti da più LED

singoli: nella valutazione del modulo occorre distinguere se il fl usso è diminuito perché è di-minuita l’emissione complessiva oppure perché si sono spenti dei singoli diodi.

Inoltre sappiamo che per i LED il parametro più importante è la temperatura di funzionamento: quindi la vita va valutata alla reale temperatura di funzionamento all’interno dell’apparecchio.

Se poi l’apparecchio costringe i moduli a fun-zionare a temperature più alte, la vita si accor-cerà.

La IESNA ha defi nito nel 2008 uno standard per misurare il decadimento del fl usso delle sorgen-ti luminose LED (IESNA LM-80) e nel 2011 un memorandum con un modello matematico previsionale per estrapolare dai test i dati di de-cadimento (IESNA TM-21).

Lo standard LM-80 richiede almeno 6000 ore di test e vale per i chip e moduli LED ma esclu-de gli apparecchi.

Secondo LM-80 si misura il fl usso luminoso, tensione e corrente ogni 1000 ore almeno, e si effettuano almeno tre diversi set di misure a tre temperature diverse, 55°C, 85°C ed una terza a scelta del produttore; è importante che la terza temperatura sia signifi cativa per il funziona-mento dei LED.

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I dati raccolti mediante lo standard LM-80 ven-gono poi inseriti nel modello matematico defi -nito dal memorandum TM-21 che è stato scritto da 6 produttori mondiali di LED (Philips Lumi-leds, Osram, Nichia, Illumitex, GE, and Cree) e 2 laboratori governativi americani (PNNL, NIST).

Spieghiamo in breve come funziona l’algorit-mo TM-21:

• Il dato medio di fl usso a zero ore viene nor-malizzato a 1.

• Per il calcolo su misure fi no a 6000 ore: dai dati raccolti da 1000 a 6000 ore si estrapola una curva esponenziale col metodo dei mi-nimi quadrati.

• Per il calcolo su misure fi no a 10000 ore: si usano i dati delle ultime 5000 ore per l’e-strapolazione.

• Per il calcolo su misure superiori a 10000 ore: si usa l’ultimo 50% dei dati raccolti.

• Per la defi nizione della vita del LED non si può dichiarare oltre sei volte la durata dei test, ovvero 36000 ore di vita media per 6000 ore di test e 60000 ore per test di 10000 ore, perché l’algoritmo perde di va-lidità.

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Con questi dati è possibile fare previsioni sulla vita media dei LED, indicando il momento in cui il fl usso scenderà sotto una certa percentua-le:

L70 indica una vita (Life) media calcolato con il limite del 70% di fl usso residuo, mentre L90 indicherebbe che il fl usso residuo al momento considerato fi ne vita sia ancora il 90% del fl us-so iniziale.Va sottolineato che tutte le previsioni non pos-sono superare un tempo pari a sei volte il tempo di prova: se le prove sono state effettuate per 6000 ora al massimo possiamo fare previsio-ni per 36000 ore, se il tempo di prova arriva a 10000 ora possiamo spingerci a 60000 ore con la previsione.

Purtroppo nell’ultimo periodo è invalsa l’abitudi-ne di estendere oltre questi limiti le previsioni e si danno vite medie oltre le 100000 ore.

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METODO DI CLASSIFICAZIONE DELLA VITA MEDIA DEGLI APPARECCHI LED

La norma IEC 62717 specifi ca i requisiti pre-stazionali per i moduli e LED e chiarisce come misurare ed interpretare i dati sulla vita dei mo-duli stessi.La vita di un singolo modulo LED è il periodo di tempo durante il quale un modulo LED for-nisce almeno una percentuale prefi ssata x del fl usso luminoso iniziale, in condizioni di prova standard.La fi ne della vita di un singolo modulo LED può essere raggiunta sia in conseguenza di gua-sti graduali che improvvisi.Un brusco spegnimento di un modulo LED è un guasto dell’intero modulo e non necessaria-mente un guasto di singoli pacchetti LED. Un guasto di un singolo pacchetto LED in un mo-dulo LED con più pacchetti di solito contribui-sce alla degradazione generale graduale dell’e-missione luminosa di quel modulo. Il momento in cui l’emissione luminosa del modulo LED diventa inferiore alla percentua-le prefi ssata x è considerato il momento di fi ne vita graduale del modulo LED. La fi gura illustra le modalità di guasto gradua-le e brusco in un apparecchio di illuminazione composto da un singolo modulo LED.

L’intervallo di tempo dopo il quale la porzio-ne percentuale y di una popolazione di moduli LED raggiunge la graduale riduzione della resa luminosa fi no ad una percentuale x è detta vita utile (o vita “By”) ed è espresso come LxBy.

L’emissione luminosa inferiore al fattore di mantenimento del fl usso luminoso x è defi nita spegnimento graduale (parametric failure) per-ché il prodotto produce meno luce ma funziona ancora.

La vita “B10” è il tempo dopo il quale il 10% dei prodotti è sceso gradualmente sotto la soglia prefi ssata. Il tempo dopo cui il 50% dei moduli LED è sotto soglia, la “vita B50”, è chiamata vita utile mediana. La popolazione include solo i moduli LED funzionanti; i moduli non fun-zionanti sono esclusi. Esempio: L70B10 è inte-so come il periodo di tempo durante il quale il

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10% (B10) di una popolazione di moduli LED dello stesso tipo è sceso (gradualmente) sotto il 70% del loro fl usso luminoso iniziale.

Sono normati metodi anche per i guasti improv-visi, ma è richiesto di fornire questi dati a parte, con una metrica separata – la vita “Cz”.

Normalmente le prove vengono effettuate su una popolazione di almeno venti singoli LED; si ammette che i risultati vengano trasferiti al modulo e poi anche all’apparecchio, se l’appa-recchio garantisce che i LED, o meglio i mo-duli LED, funzioneranno alla temperatura a cui sono state effettuate le prove.

In sostanza vengono provati i LED ed i risultati delle prove vengono ereditati dai moduli e dagli apparecchi, purché le temperature di funziona-mento siano quelle delle prove iniziali.

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Gli apparecchi LED sono più efficaci degli apparecchi tradizionali nella conversione di potenza in flusso luminoso; utilizzandoli pos-siamo controllare sia la CCT che le rese croma-tiche ed inoltre possiamo regolare l’emissione con relativa facilità, adattando l’impianto alle reali esigenze di illuminazione, integrando la luce naturale con accensioni regolate ai livelli minimi necessari per garantire il comfort visi-vo, senza spreco di energia.

Ci sono tutte le premesse affinché i LED garan-tiscano una migliore illuminazione associata ad un reale risparmio energetico rispetto alle pre-cedenti soluzioni. Facciamo qualche calcolo.

ILLUMINAZIONE DEGLI AMBIENTI INDUSTRIALI

Gli ambienti industriali sono un caso semplice di calcolo illuminotecnico; occorre garantire una illuminazione sufficientemente uniforme con livelli adatti al compito visivo da svolgere, controllando l’abbagliamento, ma normalmen-te gli ambienti sono regolari, senza particolari complicazioni costruttive e sono spesso assimi-labili a parallelepipedi, eventualmente affiancati.

Spesso è presente una illuminazione di fondo diffusa garantita dagli high bay sodio o ioduri, con apparecchi aggiuntivi direttamente monta-ti sulle macchine o in prossimità dei centri di lavoro, per garantire livelli di illuminazione e rese dei colori più alte in corrispondenza di compiti visivi specifici.La serie di norme EN 12464 specifica i requisiti per queste installazioni, distinguendo tra am-bienti di lavoro al chiuso o all’aperto.

Per le varie tipologie di ambiente sono indicati

ILLUMINAZIONE LED E RISPARMIO ENERGETICO

i livelli medi di illuminamento, le uniformità, gli indici di abbagliamento, l’indice di resa del colore, ed altre prescrizioni particolari, se ne-cessarie.

In queste situazioni l’impianto è dimensionato per fornire una certa potenza e sono normal-mente previste accensioni differenziate per mo-dulare l’impegno di energia in funzione delle ore del giorno e delle stagioni.

L’illuminazione generale, o di fondo, è solita-mente impiegata per molte ore al giorno ed il cambio lampada è una operazione onerosa, che richiede l’intervento di scale, trabattelli o altro, perché normalmente gli apparecchi sono mon-tati molto in alto per non intralciare il lavoro sottostante.

La manutenzione, anche il semplice cambio lampada, richiede un impegno economico si-gnificativo, tenendo conto del tempo necessario per l’intervento e per la sua preparazione: sono consigliati cicli di manutenzione programmata, in modo da minimizzare tempi e costi, anche considerando che dopo un certo tempo di ac-censione le lampade non garantiscono più i li-velli di emissione sufficienti all’illuminazione, anche se non sono esaurite.

È importante conoscere i coefficienti di rifles-sione delle pareti, del soffitto e del pavimento per calcolare anche il contributo di luce riflessa che incrementa significativamente i livelli di il-luminamento sia sui piani dove si svolge l’atti-vità principale, sia sulle superfici circostanti che compongono il campo visivo in cui si opera.

Per una buona visione è indispensabile avere un adeguato livello di illuminamento, il controllo degli abbagliamenti e una buona percezione dei

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colori, ma sono importanti anche l’equilibrio delle luminanze all’interno del campo visivo e il controllo delle ombre.

Se nel campo visivo sono presenti forti diffe-renze di luminanza l’occhio, cambiando linea di vista, anche semplicemente muovendo la te-sta, deve adattarsi continuamente a luminanze diverse, rendendo faticoso il compito visivo: è importante prevedere passaggi graduali tra aree più illuminate, perché sono le aree in cui si svolge il compito, ed aree meno illuminate, perché di passaggio tra un ambiente e l’altro o perché adibite a lavori meno gravosi.

Chi sta su un palco non riesce a vedere in pla-tea, a causa della differenza di illuminamento tra le due zone; ma l’attore svolge il suo compi-to visivo guardando sempre sul palco: sarebbe veramente faticoso se dovesse guardare alter-nativamente sul palco ed in platea, come sareb-be faticoso per lo spettatore guardare il palco e l’ingresso del teatro, a meno di non illuminare uniformemente sia il palco che la platea.

METODO DEL FLUSSO TOTALE

Ipotizziamo di dover illuminare un locale di forma regolare, assimilabile ad un parallele-pipedo, le cui superfici, che sono le pareti, il soffitto ed il pavimento, siano diffusive, cioè seguano la legge di Lambert: la luce viene as-sorbita e riemessa in modo regolare.Questo è il comportamento tipico delle mu-rature finite a calce o gesso, se non lucidate a specchio, ed è il comportamento normale dei materiali da costruzione: non c’è forzatura nel considerare lambertiane le superfici di un inse-diamento industriale.Consideriamo una disposizione regolare degli apparecchi di illuminazione, tutti alla stessa al-

tezza dal pavimento e con fasci non particolar-mente stretti, come avviene regolarmente negli stabilimenti industriali.

In una situazione del genere possiamo pensa-re che l’illuminazione su un piano di lavoro sia determinata da una parte di luce proveniente direttamente dalla lampada e da una parte ri-flessa dalle pareti e dal soffitto, anche dopo più di un rimbalzo; se dopo la prima riflessione la luce non raggiunge il piano di lavoro potrebbe raggiungerlo dopo una seconda o terza o suc-cessiva riflessione.

Dobbiamo calcolare il flusso circolante all’in-terno del locale una volta raggiunto l’equilibrio tra il flusso immesso dall’apparecchio e quello assorbito dalle varie superfici: dobbiamo calco-lare il flusso totale all’interno dell’ambiente.

Il rapporto tra la componente diretta e la com-ponente riflessa che raggiunge il piano di lavo-ro dipende dalla percentuale di luce riflessa dal-le varie superfici (coefficienti di riflessione di pareti, soffitto, pavimento), dalla forma dell’e-missione, perché un fascio stretto manderà una elevata percentuale di luce direttamente sul pia-no di interesse, mentre un fascio largo illumi-nerà maggiormente le pareti, e dalla forma del locale.

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Quindi dobbiamo introdurre un indice di locale, che renda in qualche modo ragione del rapporto tra volume e superficie utile del locale; a secon-da che si intenda realizzare un tipo di illumi-namento diretto o indiretto, l’indice del locale k si calcola con una delle equazioni di seguito riportate:

Illuminamento diretto

Illuminamento indiretto

Dove:

a = lunghezza del locale da illuminare;b = larghezza del locale da illuminare;h = altezza del punto luce rispetto al piano di lavoro;H = altezza del soffitto rispetto al piano di lavoro.

h*(a+b)a* bk =

2*H*(a+b)3* (a*b)k =

Se immaginiamo un supermercato, un grande spazio relativamente basso, illuminato da una disposizione regolare di apparecchi, possiamo ritenere che la maggior parte della luce uscente dalle lampade arrivi direttamente sul piano di lavoro, perché la maggioranza degli apparecchi è lontana dalle pareti e le sole riflessioni utili sono quelle che si innescano tra pavimento e soffitto, mentre se illuminiamo una torre, cioè un locale alto e stretto, la maggior parte della luce arriverà prima sulle pareti che sul piano.

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Tenendo conto della forma dell’emissione dell’apparecchio, quindi della sua fotometria, e in dipendenza dall’indice del locale e dei coef-fi cienti di rifl essione delle varie superfi ci, pos-siamo calcolare quale percentuale di luce rag-giungerà il piano di lavoro una volta stabilito l’equilibrio tra fl usso emesso dagli apparecchi e fl usso assorbito.

Chiamiamo coeffi ciente di utilizzazione dell’ap-parecchio il numero così ottenuto.

L’illuminamento previsto sul piano di lavoro sarà quindi pari a:

Dove:

a = lunghezza del locale da illuminare;b = larghezza del locale da illuminare;n = numero di apparecchi;φ = fl usso dell’apparecchio;cu = coeffi ciente di utilizzazione;cm = coeffi ciente di manutenzione.

a*bn* φ* cu* cmE =

Si è introdotto anche un coeffi ciente di manuten-zione per tener conto del deprezzamento dell’e-missione e della sporcizia che si deposita sulle parti trasparenti e rifl ettenti dell’apparecchio di-minuendo il fl usso utile.

φ*cu*cmE* a* bn =

φ =n*cu*cmE* a* b

Se valgono le ipotesi iniziali, questo metodo permette di calcolare l’illuminamento medio sul piano di lavoro esaminando semplicemente la fotometria dell’apparecchio e tenendo conto dell’indice di locale e dei coeffi cienti di rifl es-sione delle pareti. Utilizzando le formule inverse possiamo calco-lare quanti apparecchi servono per raggiungere un illuminamento prefi ssato, oppure quale deve essere il fl usso di un apparecchio affi nché con un determinato numero di apparecchi si rag-giunga un dato livello di illuminamento.

Il metodo risulta abbastanza preciso se utilizza-to correttamente, mentre i risultati si discostano dal reale se l’ambiente è fortemente irregolare, se gli apparecchi hanno emissioni nettamente asimmetriche o se producono fasci molto con-centrati; in tutti gli altri casi i risultati sono af-fi dabili e possono essere usati per un dimensio-namento di massima degli impianti.

Di seguito un esempio di tabelle di coeffi cienti di utilizzazione, calcolati secondo il protocollo CIBSE TM05.

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RELAMPING E RETROFIT

In molte situazioni esiste già un impianto di il-luminazione realizzato con vecchie tecnologie, ma ancora funzionante.È ragionevole domandarsi se sia possibile sosti-tuire gli apparecchi, o almeno le lampade, con apparati di nuova tecnologia per realizzare un risparmio e contestualmente migliorare la pre-stazione dell’impianto.Volendo utilizzare i LED si presentano due pos-sibilità:

• cambiare le lampadine con nuove lampadi-ne LED meccanicamente ed elettricamente compatibili con le vecchie

• cambiare gli apparecchi con nuovi apparec-chi LED

Nel primo caso si parla di relamping, sostitu-zione della vecchia lampadina con una LED che ha una efficacia più alta, quindi consuma meno ed ha una durata nel tempo maggiore. Qualche volta occorre intervenire marginal-mente sull’apparecchio, per effettuare semplici modifiche al cablaggio, necessarie per poter uti-lizzare i LED.Con questa soluzione si ottiene un limitato ri-sparmio, dovuto all’aumento di flusso e di vita media delle nuove lampadine, ma l’impianto resta sostanzialmente lo stesso. Il relamping è sempre possibile perché la lam-padina LED sostitutiva consuma meno dell’ori-ginale, quindi l’impianto è sicuramente dimen-sionato per una potenza maggiore di quella a cui sarà fatto funzionare dopo la sostituzione.Le stesse considerazioni valgono nel secon-do caso (pratica detta retrofit), se si decide il cambio degli apparecchi, perché gli apparecchi sostitutivi sono più efficienti dei vecchi, quindi l’impegno complessivo di potenza sarà inferio-re a parità di prestazione. Se poi si decidesse di aumentare i livelli di illuminamento forniti dall’impianto, per esempio per ottemperare nuove disposizioni normative che garantiscono maggior sicurezza ai lavoratori, basterà accer-tarsi che la potenza dei nuovi apparecchi non superi quella dei vecchi. Effettuare un retrofit, cioè sostituire gli appa-recchi vecchi senza modificare l’impianto, por-ta senz’altro ad un risparmio energetico, ma

permette anche di utilizzare apparecchi con fa-sci più adatti all’applicazione o il miglioramen-to della resa dei colori o, come abbiamo visto, può consentire anche l’adeguamento normativo dell’impianto, rinunciando ad una parte del ri-sparmio in favore di una maggior sicurezza.Spesso i produttori forniscono soluzioni che facilitano il cambio degli apparecchi, come speciali staffe di aggancio che rendono i nuovi apparecchi anche meccanicamente compatibi-li con i vecchi, oppure sistemi semplificati per elettrificare i nuovi apparecchi.Normalmente gli apparecchi LED sono più compatti dei vecchi apparecchi, permettendo di aumentare lo spazio utile per le aree di lavoro.Sia con il relamping che con il retrofit occorre considerare anche il risparmio economico deri-vante dall’allungamento o dalla scomparsa de-gli interventi di manutenzione: non sarà più ne-cessario cambiare le lampadine (retrofit), o gli intervalli tra un cambio e l’altro saranno molto più lunghi (relamping), con risparmi evidenti.Nel caso di retrofit la vita dei nuovi apparecchi è normalmente superiore alle 60000 ore, quindi dopo tale tempo val la pena di sostituire l’ap-parecchio, anche perché, come abbiamo visto, la sostituzione del modulo LED risulta proble-matica.

Nella pratica quotidiana è consigliabile preve-dere interventi di manutenzione programmata, almeno per verificare lo stato degli apparecchi e per realizzare la pulizia dei medesimi, in modo da mantenere in buona efficienza l’impianto. Naturalmente questo diminuisce leggermente il risparmio immediato, ma garantisce il buon funzionamento dell’installazione e la sua sicu-rezza di esercizio.

I calcoli per effettuare il retrofit vengono spesso effettuati con il metodo del flusso totale, perché si tratta di installazioni regolari, con disposi-zione regolare degli apparecchi, tutti alla stessa altezza, e di cui conosciamo già il numero: dob-biamo solo determinare quale sia il flusso dei nuovi apparecchi per garantire la prestazione che si vuole ottenere. Si veda il paragrafo pre-cedente. In base a questo dato si sceglie l’appa-recchio più adatto e si procede alla sostituzione.

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RISPARMIO ENERGETICO

Come abbiamo visto gli apparecchi LED con-sumano meno degli apparecchi tradizionali a parità di prestazione, hanno bisogno di minor manutenzione, e non richiedono cambi lampada.Possiamo facilmente calcolare il risparmio energetico che si realizza con un intervento di retrofi t: basta moltiplicare la differenza di po-tenza installata per il numero di ore di funziona-mento annuali dell’impianto per determinare il risparmio in kiloWattora per ciascun anno.Se si conoscono le tecnologie usate per la pro-duzione di energia nel Paese di installazione dell’impianto, possiamo calcolare il risparmio in tonnellate di CO2 equivalente.Per esempio in Islanda, dove l’energia elettrica è prodotta quasi interamente da centrali geoter-miche, che non bruciano combustibili fossili ma utilizzano l’energia dei geyser, un risparmio energetico non porta ad una minore emissione di CO2 nell’atmosfera, perché la produzione non comporta emissioni.

Lo stesso vale se l’energia è prodotta da cellule fotovoltaiche o con qualunque altro metodo che non bruci combustibili fossili, nucleare com-preso.Sostituire gli apparecchi di vecchia tecnologia con i nuovi LED comporta dei costi, quantifi -cabili con il prezzo dei nuovi apparecchi, con il costo dell’intervento di sostituzione e lo smalti-mento dei vecchi apparecchi.

Nel periodo di vita dell’impianto diminuiranno, e in qualche caso si annulleranno, i costi di ma-nutenzione, prima presenti, e senz’altro dimi-nuiranno i costi per l’energia.

È lecito domandarsi dopo quanto tempo i ri-sparmi ottenuti ripaghino la spesa sostenuta per la sostituzione degli apparecchi.

Questo è il metodo più semplice per calcolare il Payback time.

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PAYBACK TIME

Se visualizziamo su un grafi co le spese per il nuovo impianto otterremo una linea che parte con il costo iniziale di installazione e poi sale con una pendenza che rappresenta le spese per l’energia e la manutenzione del nuovo impianto.

Se sullo stesso grafi co disegniamo le spese che avrebbe comportato il mantenimento del vec-chio impianto avremo una linea che parte da zero, perchè il vecchio impianto era funzionan-te e non avrebbe richiesto spese, ma con una

pendenza maggiore, per i maggiori costi dell’e-nergia e della manutenzione.Nel punto in cui le due linee si incontrano ab-biamo il cosiddetto payback time, cioè il mo-mento in cui il risparmio dovuto al nuovo im-pianto rispetto alle spese del vecchio pareggia le spese sostenute per il cambio apparecchi. Da quel momento in avanti si otterrà un rispar-mio netto, rimarranno in cassa dei soldi che al-trimenti avremmo speso. Ecco un esempio di calcolo del payback time.

Costo d’esercizio progressivo impianto d’illuminazione 2 turni Confronto costo d’esercizio annuo 2 turni

Costo esercizio impianto tradizionale Costo esercizio impianto Led

OGGI 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15

€ 400.000

€ 350.000

€ 300.000

€ 250.000

€ 200.000

€ 150.000

€ 100.000

€ 50.000

€ 0

€ 50.000

€ 45.000

€ 40.000

€ 35.000

€ 30.000

€ 25.000

€ 20.000

€ 15.000

€ 10.000

€ 5.000

€ 0

Risparmio complessivo 60,2%

pari a € 15.468

Illuminazione tradizionale Illuminazione Led Palazzoli

Costo manutenzione annuo € 2.000,00 € 0,00

Costo energia annuo € 22.360,00 € 8.892,00

*a cui aggiungere le perdite generate dagli ausiliari (circa +30 W)

Illuminazione tradizionale Illuminazione MITO Led

Numero corpi illuminanti 100 pz 100 pz

Potenza corpo illuminante 400 W* 171 W

Potenza complessiva impianto 43 kW 17,1 kW

Costo energia elettrica 0,13 €/kWh 0,13€/kWh

Ore di lavoro 2 turni 4.000 ore 4.000 ore

Consumo complessivo 2 turni 172.000 kWh/annui 68.400 kWh/annui

Saving a 10 anni119.680 €

Saving a 15 anni197.020 €

Payback

Anche l’approccio semplifi cato qui presentato rende ragione del risparmio che si può realizzare con il retrofi t LED, in

termini economici ed ambientali.

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VANTAGGI DELL’ILLUMINAZIONE LED

In conclusione sintetizziamo i vantaggi dell’uso dei LED per illuminazione:

• Maggior effi caciaa parità di potenza impiegata si ottiene un maggior fl usso

• Maggior duratavita media dei moduli 4-5 volte superiore alle precedenti migliori lampadine, che si traduce anche in una minor produzione di rifi uti, non dovendo smaltire le lampadine

• Possibilità di regolazioneè possibile con grande facilità regolare gli impianti, ottenendo un reale risparmio energetico

• Diminuzione della manutenzionegli apparecchi LED non richiedono cambio lampada e necessitano di interventi di manutenzione limitati

• Assenza di UV e IRnella maggior parte dei casi gli apparecchi LED non emettono UV, dannosi per la salute, e non emettono nell’infrarosso, diminuendo il calore irradiato

• Possibilità di scegliere la CCTè possibile scegliere la CCT degli apparecchi con facilità e senza troppo penalizzare l’effi cacia

• Alti indici di resa cromaticaè facile ottenere negli apparecchi alti indici di resa cromatica, benché risulti ancora penalizzato il colore rosso

• Minor impatto ambientalea causa della maggior effi cacia

• Assenza di mercurio e ioduriche comporta di nuovo un minor impatto ambientale ed uno smaltimento più sicuro

• Riciclabilità molto elevata dei componentiche sono trattati come rifi uti elettronici

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Dopo la breve descrizione, svolta nel capito-lo precedente, del metodo del flusso totale per introdurre i concetti di retrofit e relamping, ri-prendiamo in dettaglio l’argomento della pro-gettazione illuminotecnica.

Per progettazione illuminotecnica si intende l’insieme di metodi e tecniche volti ad ottene-re la migliore illuminazione artificiale per am-bienti destinati alle attività umane, siano luoghi di lavoro, costruzioni per lo svago, spazi com-merciali o ambienti casalinghi dove passiamo ore importanti della giornata.

In un ambiente domestico conta maggiormente l’estetica degli apparecchi mentre in un ambien-te industriale le esigenze primarie sono lo svol-gimento del compito visivo assegnato, la sicu-rezza dei lavoratori, il loro benessere; la stessa esigenza si manifesta negli ambienti aperti al pubblico, dove occorre garantire la sicurezza di chi lavora nella struttura, per esempio un ospe-dale o un teatro, il comfort visivo degli operato-ri e degli ospiti o spettatori e, naturalmente, lo svolgimento delle attività per cui l’infrastruttu-ra è stata concepita e costruita: in un ospedale vanno guariti i degenti, in un teatro devono aver luogo spettacoli, sempre nelle migliori condi-zioni di visibilità e di comfort visivo.

Queste considerazioni valgono anche per gli impianti destinati all’illuminazione delle strade e degli spazi pubblici delle nostre città: l’esi-genza primaria è la sicurezza della circolazione, con particolare attenzione alla sicurezza perso-nale dei cittadini nelle zone interdette al traffico veicolare, dove l’illuminazione può essere un efficace deterrente alle azioni criminose.

I metodi di progettazione sono molto diversi in funzione del tipo di strada e della sua destina-zione d’uso: i problemi da affrontare per illumi-nare una strada di scorrimento veloce che viene percorsa per allontanarsi dal centro città utiliz-zando un veicolo motorizzato non sono gli stes-si che fronteggia chi progetta l’illuminazione

PROGETTAZIONE ILLUMINOTECNICA

delle strade del centro destinate allo shopping e vietate al traffico veicolare.Un altro caso importante di progettazione illu-minotecnica riguarda l’illuminazione degli stadi e dei palazzetti dove si svolgono manifestazioni sportive: in questi casi l’attenzione è rivolta in-nanzi tutto al benessere degli atleti, che devono essere in grado di svolgere le loro attività sen-za essere disturbati o abbagliati dall’impianto di illuminazione, poi occorre che gli spettatori presenti siano in grado di apprezzare al meglio i gesti atletici, che sono l’essenza dello sport, ed infine va rivolta molta attenzione alle eventuali riprese televisive che permettono a milioni di telespettatori di partecipare all’evento.

Si intrecciano esigenze diverse, che devono essere tutte soddisfatte, rendendo stimolante e gratificante il lavoro del progettista illumino-tecnico.

Negli ultimi anni è aumentata sempre più l’at-tenzione al risparmio energetico ed ai temi am-bientali, coinvolgendo anche il settore illumi-notecnico nella ricerca della migliore efficienza possibile degli impianti di illuminazione: l’av-vento dell’illuminazione LED ha permesso di aumentare l’efficacia degli apparecchi di il-luminazione mentre la facilità di regolazione dei LED permette di realizzare impianti che si adattano alle diverse condizioni di utilizzo in maniera relativamente semplice, riducendo, quando possibile, la potenza impiegata senza diminuire la sicurezza degli utilizzatori.

Le norme di settore coprono tutti i casi che ab-biamo elencato con prescrizioni ed indicazioni operative che costituiscono la regola dell’arte: in tutta la Comunità Europea le norme sono unificate ed armonizzate, in modo che valgano su tutto il territorio della Comunità, garantendo la stessa sicurezza a tutti i cittadini e le medesi-me prestazioni.

Spesso le norme sono richiamate in leggi statali o in direttive Europee, per cui assumono forza

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di legge, che deve essere rispettata obbligato-riamente; le norme di settore descrivono le re-gole dell’arte, ma sono ad adesione volontaria, non c’è obbligo di rispettarle a meno che non siano richiamate in una legge, che le rafforza rendendole vincolanti.

Essendo state sviluppate dagli esperti del setto-re, è opportuno seguirle per realizzare impian-ti che siano all’avanguardia e che permettano le migliori prestazioni, considerando che nel gruppo di esperti che le elaborano sono normal-mente rappresentati tutti gli attori in gioco: i produttori di apparecchi, i gestori degli impian-ti, i rappresentanti degli utenti, i rappresentanti delle istituzioni e le associazioni di categoria, come l’ordine degli ingegneri o degli architetti.

Nella elaborazione delle norme vengono tenute in considerazione tutte le esigenze delle parti in causa, senza penalizzare alcuna componente e tenendo sempre in primo piano la sicurezza dei fruitori dell’impianto.

Spesso le associazioni di categoria, in ambito sportivo le federazioni, pur tenendo conto delle norme di settore, alla cui stesura hanno gene-ralmente partecipato, integrano le indicazioni normative con prescrizioni specifiche per par-ticolari esigenze; per esempio vengono date in-dicazioni per le riprese televisive a colori e per le riprese televisive che permettono uno slow motion (che in Italia chiamiamo moviola) ad altissima risoluzione, oltre il dettato normativo.

Si capisce facilmente la ragione di queste pre-scrizioni aggiuntive: ci sono esigenze particola-ri per ogni sport, che normalmente non rientra-no nelle prescrizioni generali, e ci sono esigenze legate allo sfruttamento dei diritti di immagi-ne che hanno un peso economico importante; quindi le varie federazioni danno prescrizioni aggiuntive, talvolta legate allo specifico evento: capita sempre che in occasione dei mondiali di calcio la FIFA pubblichi una guida specifica per la costruzione degli stadi che comprende anche

un corposo capitolo per l’illuminazione.Quindi nell’illuminare gli impianti sportivi non è sufficiente seguire le norme di settore ma oc-corre anche tenere presenti i regolamenti delle varie federazioni, spesso differenziati in funzio-ne del livello della competizione: non sempre, per rimanere al calcio, i regolamenti delle fede-razioni nazionali coincidono con il regolamento Uefa (continentale Europeo), che a sua volta è differenziato dal regolamento FIFA (mondiale).

Passeremo in rassegna le norme Europee che si riferiscono ai vari ambiti applicativi, esponendo i concetti generali che guidano la progettazione e tenendo in considerazione il fatto che esistono situazioni particolari che hanno una trattazio-ne specifica, più stringente della prescrizione generale, per soddisfare particolari esigenze, come, per esempio, le aule scolastiche, o le zone a rischio esplosione oppure i reparti dove vengono trattati gli alimenti.

In ambito sportivo, come detto, vanno sempre tenute presenti le prescrizioni generali contenu-te nelle norme, integrandole con le prescrizio-ni delle singole federazioni, mentre per l’illu-minazione pubblica disponiamo di un quadro normativo uniforme su tutto il territorio della Comunità Europea, malgrado alcuni aspetti specifici, come la classificazione delle strade, siano coperti dalle leggi nazionali; complessi-vamente l’illuminazione pubblica rappresenta un esempio di integrazione ben riuscita in am-bito Europeo.

Discorso differente per l’illuminazione di emer-genza, perché il settore è coperto da leggi nazio-nali trattandosi di argomenti che riguardano la sicurezza personale dei cittadini: ciascun Paese ha le sue leggi, ed il lavoro di armonizzazione a livello Europeo risulta molto difficile, perché occorre modificare abitudini consolidate e, so-prattutto, leggi vigenti da molti anni; tuttavia, seppure lentamente, si sta riuscendo a creare un corpo normativo uniforme, che lentamente vie-ne recepito nelle legislazioni dei vari Paesi.

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INTRODUZIONE ALLA PROGETTAZIONE ILLUMINOTECNICA

La realizzazione di un impianto di illumina-zione non può prescindere dalle esigenze degli utilizzatori dello spazio illuminato, che lo fre-quentano per degli scopi precisi: si illumina un ufficio affinché gli impiegati possano svolgere il loro lavoro, come si illumina un capannone industriale affinché i lavoratori possano portare a termine il loro compito senza rischiare di su-bire infortuni.

In primo luogo occorre conoscere approfon-ditamente le necessità di chi deve operare nel luogo da illuminare e formulare una proposta di illuminazione che permetta di eseguire i com-piti specifici previsti in quell’area, nel miglior modo possibile, in piena sicurezza e senza affa-ticare inutilmente gli operatori.

L’impianto deve garantire in primo luogo la sicurezza dei convenuti, deve permettere di svolgere al meglio i compiti visivi assegnati e, nello stesso tempo, assicurare un alto livello di comfort visivo.Spesso i compiti visivi dei vari attori in cau-sa sono contrastanti tra loro ed è compito del progettista il bilanciamento delle esigenze tra le varie parti o, meglio, il soddisfacimento di necessità apparentemente contrastanti. In uno stadio occorre che gli atleti non siano disturba-ti dall’impianto di illuminazione in tutte le fasi del gioco; allo stesso tempo è essenziale che gli spettatori presenti allo stadio possano seguire le azioni che si svolgono sul campo e spesso è indispensabile garantire anche perfette riprese televisive: non deve succedere che l’attaccan-te di una squadra di calcio resti abbagliato se salta guardando in alto per preparare un colpo di testa, ma non deve neanche succedere che la telecamera resti “cieca” se c’è un improvviso lancio lungo sulle fasce laterali.È buona regola che il progettista illuminotecni-co si confronti con gli altri tecnici che parteci-pano alla realizzazione dell’ambiente da illumi-nare, perché l’illuminazione deve integrarsi nel progetto complessivo senza interferire ma, al contrario, armonizzandosi con gli altri impianti ed interagendo con la parte architettonica per valorizzarne alcuni aspetti.

Una buona illuminazione è in grado di dare movimento e profondità al costruito, una scelta illuminotecnica sbagliata rende piatta la visione e non aiuta ad apprezzare i particolari ed a frui-re al meglio degli spazi illuminati.

Un buon progetto illuminotecnico deve dun-que tener conto di una serie di parametri che definiscono le caratteristiche dell’impianto da realizzare:

• i livelli di illuminamento e luminanza• le relative uniformità• l’equilibrio delle luminanze• la limitazione dell’abbagliamento• la valutazione dei contrasti• il colore della luce• la limitazione dell’inquinamento luminoso• l’efficienza energetica dell’illuminazione• l’integrazione dell’impianto con lo spazio

nel quale è inserito• l’economia dell’impianto.

Come già illustrato in precedenza i valori ca-ratteristici di questi parametri si trovano nelle norme illuminotecniche e possono essere ri-chiamati in leggi nazionali od Europee, oppure sono contenuti in raccomandazioni specifiche, come nel caso dei regolamenti delle varie fe-derazioni sportive; nulla, però, impedisce al progettista, una volta ottemperati gli obblighi di legge e soddisfatte le prescrizioni normative, di migliorare ulteriormente l’impianto per au-mentare funzionalità e comfort e per garantire un consistente risparmio energetico.

Va chiarito che per risparmio energetico si in-tende l’ottenimento della stessa prestazione impegnando meno energia: se ristrutturando un impianto esistente il nuovo installato consuma meno energia ma non raggiunge la prestazio-ne del precedente si è ottenuto un risparmio, ma non si è fatto risparmio energetico; un’auto utilitaria consuma meno di una sportiva, ma se riduco le prestazione della spider per farla con-sumare come l’utilitaria spendo meno in ben-zina, ma non realizzo un risparmio a parità di prestazione.

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Il risparmio energetico si ottiene mantenendo le prestazioni della sportiva ma con i consumi della utilitaria; se spegnessimo tutti gli apparec-chi installati lungo le strade delle nostre città risparmieremmo molti soldi per la bolletta elet-trica, non disperderemmo CO2 nell’atmosfera ma i nostri quartieri sarebbero bui, gli incidenti aumenterebbero e, probabilmente, i ladri fe-steggerebbero. Dobbiamo riuscire ad ottenere lo stesso livel-lo di illuminazione consumando meno energia: questo costituisce vero risparmio energetico e si ottiene mandando la luce solo dove serve, evitando di illuminare dove non è utile o addi-rittura è dannoso (l’impianto di illuminazione pubblica non deve illuminare la stanza della si-gnora Maria, che si lamenta perché non riesce a dormire), non disperdendo la luce verso l’alto od oltre le zone dove svolgere il compito visi-vo. Per rimanere all’esempio dell’illuminazio-ne pubblica è inutile illuminare il cielo, oppure

Iter schematico del progetto illuminotecnico

i campi, anzi è dannoso, perché si disturbano inutilmente gli animali selvatici e si crea la tipi-ca “bolla” di luce intorno alle città.Un altro efficace metodo per ottenere un reale risparmio energetico è il controllo dell’impian-to che deve essere regolato in funzione delle diverse esigenze degli utilizzatori e addirittura spento se non utilizzato.Negli uffici, per esempio, sono molto utili i sensori di presenza, che in assenza di personale spengono l’impianto, o i regolatori che pilotano l’illuminazione artificiale in funzione degli illu-minamenti o delle luminanze presenti nell’am-biente per il contributo della luce naturale. Gli apparecchi LED permettono regolazioni puntuali molto efficienti e con variazioni mol-to rapide che si adeguano immediatamente alla nuova situazione permettendo un reale risparmio senza diminuire la prestazione illuminotecnica.Nello schema che segue è sintetizzato l’iter per la realizzazione del progetto di illuminazione.A seguire il dettaglio delle singole fasi.

ANALISI AMBIENTALI

PROGETTO PRELIMINARE

SELEZIONE APPARECCHI

VERIFICA PROGETTO PRELIMINARE

PROGETTO ESECUTIVO

MESSA IN OPERA

MANUTENZIONE

ANALISI COMPITIVISIVI

VERIFICA VINCOLINORMATIVI

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ANALISI DELL’AMBIENTE

Il primo passo per la redazione di un progetto illuminotecnico è la conoscenza del luogo che si deve illuminare: è consigliabile effettuare un sopralluogo sul posto per comprendere l’am-biente e raccogliere le necessarie informazioni. Se non è possibile effettuare la visita in loco occorre comunque procurarsi i dati nel modo più dettagliato possibile, anche con l’ausilio di mezzi audiovisivi.

Gli elementi da conoscere sono:

• le caratteristiche volumetriche – larghez-za, lunghezza e altezza dell’ambiente

• i colori e le riflettanze delle superfici• la presenza di elementi strutturali che in-

fluiscono sulla scelta o il posizionamento degli apparecchi

- Colonne, travi, setti murari negli interni- Tribune, piante nelle aree esterne- Edifici e alberi nelle strade

• La presenza di arredi o macchinari di cui è necessario conoscere:

- Il numero e la dislocazione nello spazio- La forma e le dimensioni- I colori e le finiture delle superfici per valutare l’insorgenza di effetti indesidera-ti sulla visione, come riflessi anomali che possono causare abbagliamento- La presenza di parti in movimento che devono essere illuminate con particolare attenzione per evitare effetti stroboscopici o visioni fantasma.- La frequenza delle modifiche alla dispo-sizione degli arredi per tenerne conto nel-la disposizione degli apparecchi

• la presenza di vie di fuga o uscite di sicu-rezza per l’eventuale studio dell’illumi-nazione di emergenza

• la dislocazione dei punti luce installati nel caso si stia progettando il retrofit dell’im-pianto esistente.

ANALISI DEI COMPITI VISIVI

In fase di progetto dell’illuminazione il compi-to visivo da svolgere viene determinato in base alla destinazione d’uso dell’ambiente in cui si opera. Il compito visivo è la richiesta al sistema visivo di avere una visione adeguata degli oggetti su cui si opera e della scena immediatamente cir-costante compresa nel campo visivo. La CIE (Pubblicazione n.19/2.1, 1981) defini-sce la prestazione visiva come “la velocità e la precisione con cui viene eseguito un dato com-pito visivo” e fornisce metodi per quantificare tale parametro in funzione di alcune variabili. Si tratta dell’attitudine che una persona mani-festa nel reagire quando i dettagli dell’oggetto della visione (compito visivo) entrano nello spazio di osservazione. Ciò dipende essenzialmente dalle capacità visi-ve del soggetto, (intese come acuità visiva, ac-comodazione, regolazione della luce incidente, convergenza dell’asse visivo, motilità oculare, senso cromatico, presenza di difetti visivi, adat-tamento), dalle caratteristiche del compito visi-vo e dalle caratteristiche dell’ambiente.Per poter svolgere un compito visivo con la corretta efficienza funzionale è necessario ri-spettare delle condizioni che garantiscano il do-vuto comfort. Affinché ogni oggetto coinvolto nell’osservazione sia percepito con sufficiente dettaglio dall’osservatore, occorre un livello adeguato di illuminamento, una sufficiente uni-formità di illuminamento, una buona distribu-zione delle luminanze, l’assenza di abbaglia-mento, una corretta direzionalità della luce ed una buona resa cromatica delle sorgenti e degli ambienti.

La prestazione visiva, in altre parole, rappresen-ta la qualità della prestazione del sistema visivo di un osservatore quando i dettagli dell’oggetto della visione (compito visivo) entrano o si spo-stano nel suo spazio di osservazione; natural-mente ci riferiamo ad un soggetto normoveden-te, dando per scontato che eventualmente sia fornito di dispositivi correttivi, insomma, che in caso di necessità, porti gli occhiali. Nessun impianto di illuminazione è in grado di correg-gere i difetti della vista.Per poter svolgere un compito visivo con la cor-

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VERIFICA DEI VINCOLI NORMATIVI

Abbiamo visto come leggi, norme, raccomanda-zioni, prescrizioni coprano quasi tutti gli aspetti della progettazione illuminotecnica; nella trat-tazione dei vari casi applicativi espliciteremo i corrispondenti riferimenti.

Va tenuto presente che in molte situazioni van-no considerate prescrizioni aggiuntive, legate ai particolari ambienti in cui si opera, che sono coperti da norme e leggi specifiche che si som-mano alle prescrizioni generali: per esempio nel caso dell’industria alimentare, in cui è indi-spensabile una attenzione particolare all’igiene ed alla protezione dei prodotti - in nessun caso il panettone deve essere contaminato a causa dei problemi degli apparecchi di illuminazione - oppure in presenza di sostanze potenzialmente esplosive, che richiedono particolare attenzione per le caratteristiche e le temperature superfi-ciali degli apparecchi, oppure ancora in caso di presenza invadente di polveri.

retta efficienza funzionale è necessario consi-derare una serie di parametri per garantire una illuminazione adeguata ed il dovuto comfort:

• luminanza del compito visivo• contrasti di luminanza e di colore tra il

dettaglio e lo sfondo• dimensioni angolari e forma del dettaglio• posizione del dettaglio nel campo visivo• efficienza dell’apparato visivo dell’osser-

vatore• tempo di osservazione

Come abbiamo detto diamo per scontato che l’osservatore abbia una vista nella media, even-tualmente utilizzando occhiali; osserviamo che è molto importante il tempo che è concesso per os-servare la scena ed i dettagli della stessa, perché scene in rapido movimento o in cui occorra in-dividuare oggetti in movimento richiedono una particolare attenzione da parte del progettista.

In questi casi occorre riferirsi alle norme ed ai protocolli specifici; riportiamo alcuni esempi.

INDUSTRIA ALIMENTARE

L’industria alimentare è disciplinata da di-rettive, standard e codici di comportamento che fissano i requisiti minimi che gli appa-recchi devono possedere per garantire la si-curezza e l’igiene dei prodotti:

• Protezione da caduta di scheggeGli apparecchi devono essere infrangibili per evitare che schegge o pezzi di apparec-chio cadano negli alimenti.

Non sono utilizzabili il vetro o la plastica non infrangibile. Le lampade devono essere avvolte da una opportuna protezione.

È necessario suddividere l’ambiente da illumi-nare in zone con compiti visivi diversi, che cor-rispondono alle diverse destinazioni d’uso, in modo che ciascun soggetto abbia l’adeguato il-luminamento e non si sprechi energia dove non serve o addirittura è dannosa, perché in molti casi un’alta concentrazione di luce può essere fastidiosa.

osservare la scena ed i dettagli della stessa per-ché scene in rapido movimento o in cui occorra individuare oggetti in movimento richiedono una particolare attenzione da parte del proget-tista.È necessario suddividere l’ambiente da il-luminare in zone con compiti visivi diversi, che corrispondono alle diverse destinazioni d’uso, in modo che ciascun soggetto abbia l’adegua-to illuminamento e non si sprechi energia dove non serve o addirittura è dannosa, perchè in molti casi un’alta concentrazione di luce può essere fastidiosa.

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MITO LED illumina la Fonte Tavina di Salò (BS)

• Superfici facili da pulire Gli apparecchi devono essere facilmente puli-bili e disinfettabili, per rispondere alle direttive igieniche. Sono fondamentali superfici lisce e chiuse, un elevato grado di protezione IP e l’uti-lizzo di materiali resistenti ai frequenti e intensi processi di pulizia e disinfezione.

• Adattabilità a temperature estremeNei reparti produttivi si raggiungono tempera-ture molto elevate, mentre nei reparti di conser-vazione le temperature scendono sotto zero. Gli apparecchi devono adattarsi all’intera gamma di temperature del ciclo di lavorazione.

• Ispezione visivaSpesso gli alimenti sono sottoposti ad una ispe-zione visiva prima del confezionamento. Gli apparecchi devono garantire alte rese cromati-che per permettere ai lavoratori di eseguire al meglio il loro compito.

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Standard e direttive dell’industria alimentare

Gli standard IFS (Internationa Foold Standard) e BRC (British Retail Consortium) contengono rigorose direttive igieniche che mirano a ga-rantire il massimo livello di qualità e sicurezza nella produzione o nella lavorazione dei generi alimentari.

Requisiti dell’illuminazione previsti dalla versione 6 IFS Food

• 4.9.7.1 Tutte le aree di lavoro devono avere un’illuminazione adeguata.

• 4.9.7.2 Tutti i dispositivi di illuminazione

devono essere protetti da rivestimenti in-frangibili ed installati per minimizzare il rischio di rotture.

Requisiti dell’illuminazione previsti dalla versione 7 BRC

• 4.4.10 Deve essere garantita un’illumina-zione adeguata e sufficiente per la corretta gestione dei processi, le ispezioni dei pro-dotti e le operazioni di pulizia.

• 4.4.11 Laddove rappresentino un rischio

per i prodotti, le lampadine a bulbo e a tubo, comprese quelle integrate in apparati elet-trici insetticidi, devono essere adeguata-mente protette. Laddove non fosse possibile garantie una protezione totale, dovranno essere adottate soluzioni alternative, come schermi di metallo a griglia fine o procedure di monitoraggio.

Direttive

Il regolamento CE 852/2004 prevede che tutte le aziende del comparto alimentare applichino il codice HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Points). Occorre redigere una proce-dura chiaramente definita per individuare, va-lutare ed eliminare gli aspetti della produzione alimentare che costituiscano un pericolo per la salute.

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Presenza di atmosfera esplosiva

In molti processi industriali possono essere rilasciati nell’atmosfera gas o polveri che de-terminano un pericolo di esplosione. Il sistema normativo IEC con la serie di norme IEC 60079 , recepite nella normazione Europea e naziona-le, stabilisce le regole di base per gli impianti elettrici nei luoghi con pericolo di esplosione sia per la presenza di gas che di polveri com-bustibili e detta le regole per la classificazione delle zone e per il livello di sicurezza degli ap-parecchi di illuminazione.

Classificazione delle zone

Gas, vapori e nebbie infiammabili

• Zona 0area in cui è presente in permanenza o per lun-ghi periodi o spesso un’atmosfera potenzial-mente esplosiva.

• Zona 1area in cui durante le normali attività è probabi-le la formazione di un’atmosfera potenzialmen-te esplosiva.

• Zona 2area in cui durante le normali attività non è pro-babile la formazione di un’atmosfera potenzial-mente esplosiva e, qualora si verifichi, sia di breve durata.

Polveri infiammabili

• Zona 20area in cui è presente in permanenza o per lun-ghi periodi o spesso un’atmosfera potenzial-mente esplosiva sotto forma di nube di polvere combustibile nell’aria.

• Zona 21area in cui durante le normali attività è proba-bile la formazione di un’atmosfera potenzial-mente esplosiva sotto forma di nube di polvere combustibile nell’aria.

• Zona 22area in cui durante le normali attività non è pro-babile la formazione di un’atmosfera potenzial-mente esplosiva sotto forma di nube di polvere combustibile nell’aria e, qualora si verifichi, sia di breve durata.

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MITO LED nella versione ATEX illumina i silos del Terminal Rinfuse di Marghera (VE)

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Classificazione degli apparecchi

La classificazione degli apparecchi è contenuta nella direttiva ATEX, in particolare nella diret-tiva 2014/34/UE e mette in relazione il livello di protezione delle apparecchiature con le zone in cui operano classificate come risulta dallo schema precedente.

In Italia, la direttiva ha avuto forza di legge con il decreto del Presidente della Repubblica del 23/03/1998 n. 126. (Regolamento recante nor-me per l’attuazione della direttiva 94/9/CE in materia di apparecchi e sistemi di protezione destinati ad essere utilizzati in atmosfera poten-zialmente esplosiva.)

Direttiva ATEXATEX è il nome convenzionale che raggruppa due direttive dell’Unione europea:

la 2014/34/UE che regolamenta le apparecchia-ture destinate all’impiego in zone a rischio di esplosione; la direttiva si rivolge ai costruttori di attrezzature destinate all’impiego in aree con atmosfere potenzialmente esplosive e prevede l’obbligo di certificazione di questi prodotti; la precedente direttiva 94/9/CE risulta da questa abrogata con effetto decorrente dal 20 aprile 2016;

la 99/92/CE che regolamenta la sicurezza e la salute dei lavoratori in atmosfere esplosive; si applica negli ambienti a rischio di esplosione, dove sono messi in esercizio impianti ed attrez-zature certificate ed è quindi rivolta agli utiliz-zatori.

Il nome deriva dalle parole ATmosphères ed EXplosibles.

PRESENZA DI PERICOLO DI INCENDIO

Le zone a rischio di incendio sono stanze o luo-ghi nei locali soggetti a rischio di incendio cau-sato da

• il tipo di materiali lavorati o stoccati• la lavorazione o lo stoccaggio di materiali

infiammabili• l’accumulo di polvere o simili

Il rischio di incendio esiste in presenza di una quantità pericolosa di materiali altamente in-fiammabili che possono incendiarsi per un au-mento delle temperature di funzionamento delle apparecchiature causato da un guasto.

I sistemi di illuminazione sono costruiti in modo tale da evitare che la polvere o le fibre infiammabili si depositino su di essi in quanti-tà pericolose e causino un accumulo di energia termica; non devono raggiungere le tempera-ture alle quali la polvere o le fibre potrebbero incendiarsi e sono progettati in modo che parti o componenti non possono staccarsi e cadere. Gli apparecchi di illuminazione devono essere protetti da qualsiasi carico meccanico.

La figura sottostante spiega come leggere l’e-tichetta per i prodotti conformi alla direttiva ATEX, secondo le norme della serie IEC 60069.

Esempio di etichetta di prodotto conforme ATEX

Spiegazione dell’etichetta di prodotto conforme ATEX

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PROTEZIONE DAI COLPI DI PALLONE

Le norme della serie DIN VDE 0710-13 preve-dono che gli apparecchi di illuminazione desti-nati alle strutture sportive debbano essere pro-tetti dai colpi di pallone. La palla che colpisce un apparecchio non può danneggiarlo fi no al punto che ne cadano dei pezzi. Nel collaudo eseguito a norma, l’apparecchio di illuminazione deve sopportare 36 colpi di palla lanciata da tre di-rezioni a una velocità massima di 60 chilometri orari. La palla utilizzata è quella da pallamano. Nella scelta dell’apparecchio di illuminazione, la griglia che lo protegge deve avere un reticolo adatto agli sport giocati, in modo che qualunque palla usata sia respinta e non possa rimanere in-castrata nella griglia.

ESPOSIZIONE AD ALTE TEMPERATURE

Nei reparti produttivi di molte aziende si rag-giungono spesso temperature molto elevate. I componenti attivi dell’apparecchio devono es-sere protetti dal surriscaldamento ed in genera-le l’intero apparecchio deve resistere alle tem-perature cui può essere esposto. Sono eseguite prove specifi che per garantire il corretto funzio-namento e la sopravvivenza a lungo termine de-gli apparecchi esposti a temperature ambiente molto elevate.

PROGETTO PRELIMINAREIndividuati i parametri illuminotecnici da sod-disfare nell’ambiente da illuminare secondo le leggi e le norme in vigore e sulla base delle analisi degli spazi e dei compiti visivi occorre scegliere il tipo di illuminazione da realizzare, formulando ed analizzando varie ipotesi pro-gettuali: questa fase costituisce la progettazione preliminare. Sono disponibili diverse tipologie di impianto in funzione della conformazione dell’ambiente da illuminare; la scelta non è uni-voca ed è possibile miscelare varie modalità di installazione in funzione delle necessità:

• Per le aree interne industriali o per il terziario- sospesa di tipo diretto o indiretto- laterale a parete di tipo diretto o indiretto

• Per le aree sportive - su torri faro o pali- sulla sommità delle tribune- sospesa o laterale

• Per le strade- su pali- su tesate- su edifi ci esistenti

La scelta del tipo di installazione condiziona anche la realizzazione delle strutture di soste-gno per gli apparecchi, determinando i costi complessivi di installazione dell’impianto di illuminazione; se già esistono strutture di so-stegno occorre valutare se sa più economico sfruttarle, vincolando così la scelta del tipo di installazione o abbatterle e rifarle per migliora-re il risultato fi nale.

Simbolo da apporre in etichetta

Simbolo da apporre in etichetta

Nei reparti industriali in cui è presente un ri-schio di incendio le superfi ci esterne su cui si possono depositare sostanze infi ammabili come polveri e fi bre non devono superare le tempe-rature specifi cate dalle normative EN 60598-2-24. Durante il normale funzionamento è pre-vista una temperatura massima di 90°C sulle superfi ci orizzontali o al massimo di 115°C in caso di guasto.

Sulle superfi ci verticali non devono essere supe-rati i 150°C. In questo modo, si garantisce che le eventuali polveri o fi bre depositate sull’appa-recchio non possano prendere fuoco. Inoltre, gli apparecchi devono possedere un grado di prote-zione minimo di IP5X per gli ambienti polvero-si oppure di IP4X per gli ambienti con materiali infi ammabili fi ssi.

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SELEZIONE DEGLI APPARECCHI

Le caratteristiche che condizionano la scelta de-gli apparecchi di illuminazione sono:

• la potenza da installare e la classe di isola-mento degli apparecchi

• il grado di protezione IP• il flusso luminoso emesso dagli apparecchi• la distribuzione fotometrica • la limitazione dell’abbagliamento• l’efficacia luminosa• la resa cromatica e temperatura di colore• la vita media e decadimento del flusso degli

apparecchi• particolari vincoli di installazione• la necessità di accessori supplementari che

possono far lievitare i costi dell’impianto• la facilità di manutenzione.

La scelta degli apparecchi di illuminazione per-mette di completare la progettazione prelimina-re di un impianto portando ad una valutazione dell’impegno economico necessario per la mes-sa in opera e il mantenimento, considerando in particolare:

• i costi di installazione: acquisto degli appa-recchi, delle apparecchiature accessorie e realizzazione dell’impianto

• i costi di gestione • gli oneri di manutenzione

I costi di gestione sono costituiti solamente dal consumo di energia elettrica, non essendo più possibile, o conveniente, la sostituzione delle sorgenti negli apparecchi LED.

Potrebbe essere necessario intervenire sugli alimentatori, che hanno normalmente una vita media inferiore a quella dei LED, ma questi possiamo considerarli oneri di manutenzione, al pari della pulizia periodica degli apparecchi stessi.

PROVE DI LABORATORIO

Occorre garantire che i parametri indicati che si riferiscono all’apparecchio siano stati effet-tivamente misurati in laboratori ben attrezzati, sotto sorveglianza di un ente di certificazione o accreditati.

Le prove riguardano anche aspetti non diret-tamente connessi con l’emissione luminosa, come la resistenza agli urti o la resistenza alla corrosione, e forniscono parametri che qualifi-cano gli apparecchi di illuminazione e ne ga-rantiscono la durata e la costanza di prestazione nel tempo.

Vediamo le principali prove a cui devono essere sottoposti gli apparecchi di illuminazione.

Prova Nebbia SalinaVernici ed altre tipologie di trattamenti superfi-ciali di protezione vengono sottoposti a prova per determinarne la resistenza alla corrosione mediante invecchiamento in nebbia salina neu-tra secondo le norme ISO 9227 ed EN 60068-2-11.

Macchina per la prova della Nebbia Salina dei Laboratori Palazzoli

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Macchina per la prova del Grado di Protezione IP dei Laboratori Palazzoli

Macchina per la prova del Grado di Protezione IK dei Laboratori Palazzoli

Prova del Grado di Protezione IK

Si tratta di prove prestazionali che hanno lo scopo di determinare il grado di resistenza de-gli apparecchi agli impatti meccanici esterni. Queste prove sono eseguite in conformità alle norme EN 62262 ed IEC/TR 62696.

Prova del Grado di Protezione IP

Sono prove di sicurezza che hanno lo scopo di verificare il grado di resistenza degli involucri degli apparecchi all’ingresso di acqua e polve-re. Queste prove sono eseguite in conformità al cap. 9 della norma EN 60598-1 utilizzando le apparecchiature di prova descritte dalla norma EN 60529.

Camera termica per la prova di Durata dei Laboratori Palazzoli

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Prova di Durata

Si tratta di una prova di sicurezza che ha lo sco-po di verificare la resistenza degli apparecchi di illuminazione ai riscaldamenti e raffreddamenti ciclici tipici delle condizioni d’uso nel tempo. La prova avviene in un ambiente con climatiz-zazione costante e controllata ad una tempera-tura di 10 °C più alta della massima temperatu-ra di funzionamento dell’apparecchio.

Camera termica per la prova di Umidità dei Laboratori Palazzoli

Prova di Umidità

È una prova di sicurezza che ha lo scopo di verificare che tutti gli apparecchi siano protet-ti contro le condizioni di umidità che possono verificarsi nell’uso normale.

Immediatamente al termine di questa prova, l’ap-parecchio deve superare le prove dielettriche.

Strumentazione per le prove di sicurezza dei Laboratori Palazzoli

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Camera termica per la prova di Riscaldamento dei Laboratori Palazzoli

Prova di Riscaldamento

È una prova di sicurezza che ha lo scopo di verificare se gli apparecchi ed i loro compo-nenti, raggiungono delle temperature critiche nelle peggiori condizioni di lavoro previste sia in condizioni di funzionamento normale che anormale. Gli apparecchi di illuminazione sono sottoposti a questa prova per verificarne la sicu-rezza termica, meccanica ed elettrica secondo quanto specificato nelle norme di prodotto ar-monizzate. Vengono eseguite anche le prove di sicurezza sui moduli LED, secondo la norma di prodotto EN 62031.

I moduli LED vengono generalmente testati come componenti integrati nell’apparecchio di illuminazione. Questo tipo di prove avvengono in ambienti climatizzati a temperatura costante.

Prove Dielettriche, di Resistenza di Isola-mento e della Corrente di Contatto

Queste sono prove che hanno lo scopo di verifi-care la bontà del progetto degli isolamenti elet-trici degli apparecchi di illuminazione, al fine di impedire che un apparecchio possa diventare pericoloso per le persone. La prova di rigidità dielettrica si esegue sottoponendo le sezioni iso-late di un apparecchio a tensioni di prova fino a 3000V e verificando che non avvengano scariche o perdite di isolamento. La prova di resistenza di isolamento sottopone le sezioni isolate di un apparecchio ad una tensione di 500V verificando che la resistenza delle parti in prova sia sufficien-temente alta. Infine si esegue la misura della cor-rente di contatto con un particolare circuito che simula il contatto dell’apparecchio con il corpo umano e misura la corrente elettrica che potreb-be attraversarlo.

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Misure sul Goniofotometro

Si tratta di una prova prestazionale sugli appa-recchi di illuminazione e sulle sorgenti.

Le prestazioni, fl usso luminoso emesso (Φ [lm]), effi cienza (η [lm/W]) e distribuzione dell’inten-sità luminosa, vengono misurate mediante un go-niofotometro a specchio in conformità alle nor-me EN 13032-1, UNI 13032-4, IESNA LM79.

La camera in cui si effettuano queste misure è climatizzata alla temperatura di +25± 1°C e con velocità dell’aria < 0,1 m/s; la strumentazione di misura è corredata di un datalogger con 12 ter-mocoppie che consente di monitorare le tempe-rature interne dell’apparecchio di illuminazione durante le misure fotometriche.

Goniofotometro dei Laboratori Palazzoli

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Controllo in ingresso delle Sorgenti

Si tratta di una prova prestazionale effettuata direttamente sui LED. Flusso e caratteristiche cromatiche (temperatura di colore CCT e indice di resa cromatica CRI) sono misurate con uno strumento portatile; vengono eseguite principal-mente in fase di selezione di nuovi LED oppure per tenere sotto controllo la rispondenza delle forniture alle specifi che di prodotto.

Utilizzo dello Spettroradiometro nei Laboratori Palazzoli

Verifi ca delle forniture in ingresso nei Laboratori Palazzoli

Prova di Cromaticità degli Apparecchi

Si tratta di una prova prestazionale eseguita sugli apparecchi di illuminazione.

Le caratteristiche cromatiche (temperatura di co-lore CCT e indice di resa cromatica CRI) ven-gono misurate mediante uno strumento installa-to sul goniofotometro, per effettuare la prova a temperatura controllata e sfruttando il sistema di posizionamento angolare della macchina.

Viene valutato anche il Color Shift degli Appa-recchi.

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SISTEMI DI REGOLAZIONE

Come detto negli apparecchi LED il flusso uscen-te può essere facilmente variato in funzione delle necessità specifiche ed è quindi preferibile sce-gliere apparecchi che possano essere regolati.

La regolazione degli apparecchi avviene normal-mente tramite un segnale analogico 1/10V oppu-re tramite il protocollo digitale DALI. Quando si devono controllare apparecchi per l’illuminazio-ne scenografica, tipicamente sviluppati con sor-genti LED RGB, si preferisce utilizzare il proto-collo digitale DMX molto più veloce e con una maggiore capacità di controllo perché in grado di gestire molti più indirizzi.

Controllo analogico 1/10VQuesta tecnologia permette la regolazione degli apparecchi d’illuminazione tramite un segnale analogico di tensione compreso tra 1V, corri-spondente al livello di luminosità minimo, e 10V corrispondente al livello di luminosità massimo. L’accensione e lo spegnimento degli apparecchi avvengono agendo sull’alimentazione.

Controllo digitale DALIDALI (Digital Addressable Lighting Interface) è una tecnologia standard basata su un segnale digitale in grado di indirizzare in modo univoco fino a 64 apparecchi collegati su uno stesso bus.Tutti i moduli possono dialogare tra loro in modo bidirezionale in quanto ognuno possiede un in-dirizzo univoco, chiamato short address. Per in-viare un comando contemporaneo a più moduli si utilizza l’indirizzo del gruppo, chiamato group address.

I comandi inviati su un bus DALI possono essere quindi indirizzati ad un singolo modulo, ad un gruppo oppure a tutti i moduli connessi (broa-dcast).

Il protocollo DALI è comunemente utilizzato per il controllo della luce funzionale, dove non è ri-chiesta una particolare velocità di aggiornamen-to di stato delle sorgenti luminose. Tipica appli-cazione è il controllo manuale della luminosità oppure la regolazione automatica in funzione del contributo di luce naturale.

Controllo digitale DMXDMX (Digital MultipleX signal) è una tecnolo-gia digitale standard che permette di gestire fino a 512 indirizzi distinti su uno stesso bus.

Per ogni indirizzo DMX viene impostato un va-lore compreso tra 0 (sorgente spenta) e 255 (sor-gente a livello massimo). La gestione del colore avviene quindi modulando le intensità delle va-rie componenti di colore.

L’elevato numero di indirizzi disponibili, la mol-teplicità di utilizzo degli stessi e la velocità di trasmissione dei dati rendono DMX il protocollo adatto al controllo degli apparecchi d’illumina-zione in applicazioni architettoniche e sceno-grafiche, tipicamente realizzate con apparecchi LED multi sorgente (RGB, RGBW, AWB).

L’architettura di sistema DMX è modulare e sca-labile grazie alla presenza sul mercato di nume-rosi accessori compatibili come amplificatori e diramatori di segnale.

PROGETTO ESECUTIVO

Prima dell’elaborazione del progetto definitivo è necessaria la verifica delle ipotesi progettuali. Occorre verificare, tramite calcoli o simulazio-ni, che le ipotesi progettuali, per esempio quelle sulla distribuzione della luce, sul bilanciamento delle luminanze e sul controllo dell’abbaglia-mento, siano realizzate. Una volta eseguite tali verifiche, si procede con la stesura del progetto esecutivo.

Gli elementi che costituiscono un progetto ese-cutivo completo sono:

• breve relazione sulle scelte progettuali• planimetrie che riportino la posizione degli

apparecchi di illuminazione e la loro altezza di installazione

• schede tecniche degli apparecchi• definizione della potenza e della temperatura

di colore delle sorgenti• definizione dei cicli di manutenzione degli

apparecchi

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ILLUMINAZIONE DEI LUOGHI DI LAVORO

La serie di norme EN 12464, come detto, specifi-ca i requisiti per l’illuminazione dei luoghi di la-voro, distinguendo tra posti di lavoro all’interno degli edifici e posti all’aperto.

POSTI DI LAVORO IN INTERNO

La norma EN 12464-1 tratta dell’illuminazione dei posti di lavoro in interni, specificando i requi-siti minimi in termini di quantità e qualità dell’il-luminazione per la maggior parte dei luoghi di lavoro al chiuso, dando anche raccomandazioni pratiche per ottenere un risultato ottimale.

Come per tutte le norme che qui citeremo, non vengono date soluzioni specifiche, né, in alcun modo, la norma intende limitare la libertà dei progettisti illuminotecnici e la possibilità di spe-rimentare soluzioni innovative, ma, semplice-mente, pone l’accento su alcuni parametri che devono essere soddisfatti per realizzare l’im-pianto in modo conforme allo stato degli studi teorici sui meccanismi percettivi e sulle risposte fisiologiche di chi deve lavorare in quegli am-bienti.

Le norme sono redatte partendo dagli studi scien-tifici sui meccanismi della visione e sulle rispo-ste sensoriali agli stimoli per dare indicazioni sui parametri da tenere in considerazione e sui limiti entro cui devono essere contenuti tali parametri per garantire lo svolgimento del compito visivo assegnato ed il comfort di chi lavora o accede agli ambienti illuminati.

La norma specifica che l’illuminazione può es-sere ottenuta utilizzando la luce naturale oppu-re, in assenza di questa, la luce artificiale o una combinazione di entrambe. Dove è possibile uti-lizzare la luce solare, rispettando le regole sug-gerite dalla norma stessa, non è possibile trovare una soluzione migliore, perché la luce artificiale semplicemente è un sostituto della luce naturale, non sempre alla sua altezza.

• indicazioni relative ai puntamenti• verifiche dei valori di illuminamento• verifiche del controllo dell’abbagliamento• verifiche del controllo dell’inquinamento lu-

minoso negli esterni

• valutazioni economiche relative ai:- costi di acquisto- costi di installazione- costi di gestione- costi di manutenzione

MESSA IN OPERA

La realizzazione di un impianto di illuminazione deve seguire fedelmente il progetto esecutivo: ogni variazione in fase di messa in opera va ri-verificata dal progettista al fine di assicurare che le prestazioni dell’impianto definitivo rispettino i vincoli legali e normativi.

MANUTENZIONE DEGLI IMPIANTI

La manutenzione è un elemento fondamentale per il buon funzionamento di un impianto di il-luminazione e garantisce un appropriato sfrutta-mento delle risorse energetiche.

È compito del progettista stilare un piano di ma-nutenzione che permetta di minimizzare le ma-nutenzioni straordinarie che vanno eseguite in caso di malfunzionamento.

Inoltre una manutenzione programmata permet-te di mantenere costante il livello di prestazione dell’impianto: se i vetri di protezione degli appa-recchi sono insudiciati il livello di illuminamen-to sui compiti visivi diminuisce drasticamente, mentre una pulizia regolare permette il manteni-mento dei valori previsti in fase di progetto e la contestuale verifica dello stato di efficienza degli apparecchi.

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Noi ci siamo evoluti esposti alla luce solare ed i nostri meccanismi percettivi si sono affinati im-mersi in quel contesto, niente può essere meglio per noi della luce del sole.

Ma se la luce del sole non c’è o non arriva nell’ambiente in cui dobbiamo lavorare, allora la sostituiamo con luce artificiale, cercando di otte-nere le migliori condizioni di visibilità e comfort, per garantire il benessere del lavoratore.La norma EN 12464-1 non si applica agli am-bienti esterni, alle miniere sottoterra e non copre l’illuminazione di emergenza, tutti argomenti demandati a norme specifiche.

Fornisce raccomandazioni per la buona pratica dell’illuminazione e si applica ai seguenti con-testi:

• Zone di passaggio all’interno degli edifici

• Attività industriali e commerciali

• Uffici

• Locali di vendita

• Luoghi pubblici di riunione

- Ristoranti e Hotel- Teatri e Cinema- Librerie e Musei- Parcheggi al chiuso- Scuole- Ospedali e case di cura- Aree per mezzi di trasporto- Aeroporti- Stazioni ferroviarie- Stazioni marittime

Viene specificato che per una buona illuminazio-ne non è sufficiente un adeguato livello di illumi-namento ma occorre considerare anche:

• Comfort Visivo affinché i lavoratori abbia-mo una sensazione di benessere; questo pa-rametro contribuisce anche a migliorare la produttività.

• Prestazione Visiva cioè la velocità con cui

si porta a termine il compito visivo anche in circostanze difficili o per lunghi periodi.

• Sicurezza dei lavoratori, che possono opera-re nel miglior modo possibile.

I principali parametri da ottimizzare per ottenere le migliori condizioni di visibilità sono:

• la distribuzione delle luminanze• l’illuminamento• la direzionalità della luce all’interno dell’am-

biente• l’indice di resa cromatica e la temperatura di

colore correlata degli apparecchi• il controllo dell’abbagliamento• il controllo del flicker

Inoltre bisogna tener conto delle caratteristiche intrinseche degli arredi e dei particolari architet-tonici che possono interagire con gli apparecchi di illuminazione determinando situazioni indesi-derate o spiacevoli come la presenza di riflessi abbaglianti o zone sotto o sovra illuminate.

Naturalmente la presenza negli ambienti da illu-minare di persone con difetti visivi o particolari disabilità richiede una analisi specifica delle loro esigenze, per adattare l’impianto alle loro capacità.

Una corretta distribuzione delle luminanze per-mette di aumentare l’acuità visiva (la capacità di distinguere i particolari) favorisce la sensibilità ai contrasti (la capacità di discriminare piccole differenze di luminanza) e aumenta l’efficienza delle funzioni oculari (accomodamento, conver-genza, etc.); in questo modo si diminuisce l’affa-ticamento visivo ed il lavoratore svolge meglio i propri compiti senza subire disturbi riconducibili all’impianto di illuminazione. Un buon bilancia-mento delle luminanze permette di evitare feno-meni di abbagliamento, mentre contrasti troppo elevati affaticano l’occhio e contrasti troppo bas-si non permettono di svolgere al meglio il com-pito visivo e normalmente si traducono in un am-biente piatto e poco stimolante.

Una piccola nota sull’abbagliamento: negli am-bienti interni parliamo di abbagliamento mole-sto, o psicologico, (in inglese discomfort glare)

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cioè di una sensazione di disagio dovuta alla pre-senza dell’impianto di illuminamento. Diamo per scontato che non ci siano fenomeni di luce diretta nell’angolo di visione foveale, che impedirebbero o limiterebbero gravemente il compito visivo, ma semplicemente valutiamo un disagio connesso direttamente con l’impianto di illuminazione.

Nel tempo sono stati proposti molti metodi per valutare questa sensazione di disagio, l’abbaglia-mento molesto, e negli ultimi anni ci si è accor-dati sul parametro UGR (Unifi ed Glare Rating) che valuta l’abbagliamento con una scala da 10 a 30, con minor fastidio per indici bassi e con una scala che procede di 3 in 3: l’occhio umano non è capace di discriminare incrementi di UGR inferiori a 3 unità.

Il valore di UGR dipende dalla disposizione de-gli apparecchi illuminanti, delle caratteristiche dell’ambiente (dimensioni, indici di rifl essio-ne) e del punto di osservazione degli operatori e oscilla, come detto, tra valori da 10 (nessun abbagliamento) a 30 (abbagliamento considere-vole) secondo una scala di 3 unità (10, 13, 16, 19, 22, 25 e 28): più basso è il valore, minore è l’abbagliamento.

UGR tiene conto della luminanza di sfondo (soffi tto, pareti, pavimento) e della somma dell’apporto di ciascun apparecchio collocato nel locale rispetto ad una posizione standard dell’osservatore.

Si calcola con la seguente formula:

Dove

Lb è la luminanza di sfondo;L è la luminanza di ogni apparecchio nella dire-zione dell’occhio dell’osservatore;ω è l’angolo solido delle parti luminose di ogni singolo apparecchio nella direzione dell’occhio dell’osservatore; p è l’indice di posizione di Guth di ogni singolo apparecchio;

Dunque il valore di UGR tiene conto:• della posizione dell’osservatore rispetto

all’impianto• della luminanza del singolo apparecchio• della dimensione dell’installazione e

dell’ambiente• dello sfondo in cui sono collocati i corpi

luminosi

Normalmente, dato un certo apparecchio viene calcolata una tabella dei valori dell’UGR per vari indici di rifl essione del soffi tto, delle pareti e del pavimento, per varie dimensioni del locale e con gli apparecchi disposti in griglie regolari e orientati longitudinalmente o trasversalmente ri-spetto alla direzione di visione dell’osservatore.

Gli apparecchi disposti in griglia sono tutti ugua-li all’apparecchio in esame, cioè si considera una installazione in cui sia presente il solo apparec-chio in esame, con tutti gli esemplari alla stessa altezza, simulando stanze che hanno dimensioni multiple dell’altezza degli apparecchi sopra la posizione degli occhi dell’osservatore e, infi ne, osservatori che guardano dritto davanti a sé lun-go l’asse delle X o delle Y.

Queste tabelle dipendono solo dalle caratteri-stiche di emissione degli apparecchi, e danno risultati convenzionali, perché riferiti a situazio-ni ideali con tutti gli apparecchi uguali ed alla stessa altezza, in stanze regolari di dimensione predefi nita con osservatori fi ssi.

Questi risultati andrebbero verifi cati effettuando il calcolo della reale installazione che viene pro-gettata e con gli osservatori nelle reali posizioni di lavoro e con direzioni di visione reali.

La norma EN 12464, però, quando cita i valori di UGR si riferisce ai valori tabellari e non ai valori risultanti dal calcolo dell’impianto.

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Esempio di tabella UGR

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Per garantire un corretto bilanciamento delle lu-minanze la norma suggerisce i valori più oppor-tuni per i coefficienti di riflessione del soffitto, delle pareti e del pavimento; prescrive i valori minimi di illuminamento che devono essere rag-giunti sulle principali superfici dell’ambiente, ed i valori minimi degli indici di uniformità.

Fattori di riflessione delle superfici

• Soffitto 0,7 – 0,9• Pareti 0,5 – 0,8• Pavimento 0,2 – 0,4• Oggetti 0,2 – 0,7

Illuminamento delle superfici principali

• Em > 50 lx con Uo ≥ 0,10 sulle pareti• Em > 30 lx con Uo ≥ 0,10 sul soffitto

dove Em indica l’illuminamento medio e U0 in-dica l’uniformità generale, che è calcolata come il rapporto tra il valor minimo ed il valor medio di illuminamento.

Vengono anche indicati i valori di riferimento per gli illuminamenti raccomandando di utiliz-zare solo i valori normati per non generare una pletora di situazioni che porterebbero ad una confusione ingovernabile.In un luogo di lavoro si può scegliere tra una prescrizione a 300 lx oppu-re a 500 lx o a 750 lx; è sconsigliato introdurre classi intermedie, per esempio la classe corri-spondente a 400 lx o quella a 600 lx.

Vengono identificate le aree dove svolgere il compito visivo, le aree immediatamente circo-stanti e le aree di sfondo, con precise prescri-zioni per ciascuna di esse: in questo modo vie-ne garantita la corretta distribuzione della luce nell’ambiente illuminato.

Nella figura sottostante l’area del compito vi-sivo è colorata in rosso; l’area circostante, che

circonda l’area dove svolgere il compito con un bordo di almeno mezzo metro di spessore è indicata in blu e lo sfondo, che a sua volta circonda l’area intermedia per almeno 3 metri, in verde.

È chiaro che la presenza di più postazioni di lavoro ravvicinate fa prevalere le aree del com-pito rispetto alle altre e se non è definita la posi-zione delle postazioni di lavoro si può conside-rare l’intera area come sede del compito visivo.

Sono prescritti valori di illuminamento per le aree contigue al compito visivo e per lo sfon-do; la tabella sottostante indica le relazioni tra l’illuminamento dell’are del compito visivo e delle aree circostanti, che non possono essere meno illuminate di quanto indicato; lo sfondo deve avere un valore di illuminamento pari ad un terzo del valore delle aree circostanti.

Area del compito visivo

Aree circostanti

≥ 750 lx 500 lx

500 lx 300 lx

300 lx 200 lx

200 lx 150 lx

150 lx 150 lx

100 lx 100 lx

≤ 50 lx ≤ 50 lx

100

La norma specifica anche il numero e la po-sizione dei punti di calcolo per determinare il valor medio e le uniformità dell’illuminazione, garantendo in questo modo la comparazione dei risultati ottenuti con programmi di calcolo di-versi.

Le griglie di calcolo sui piani di verifica devono approssimare griglie quadrate, con un rapporto tra la lunghezza e la larghezza delle celle che deve essere compreso tra 0.5 e 2.0, cioè una di-mensione può essere al massimo doppia dell’al-tra.

La massima distanza tra due punti di calcolo deve essere

dove

p è la massima distanza tra due punti del la griglia di calcolo e non può essere maggiore di 10 m.d è la dimensione maggiore dell’area di calcolo a meno che il rapporto tra lunghezza ed altezza non sia maggiore o uguale a 2, nel qual caso d è la dimensione minore.

È importante che le distanze tra i punti di cal-colo non coincidano con le interdistanze tra gli apparecchi, in modo che gli apparecchi non si-ano tutti nella stessa posizione relativa rispetto ai punti di calcolo, per garantire la correttezza del calcolo.

Viene utilizzato l’illuminamento cilindrico per descrivere l’illuminamento degli oggetti e dei volti presenti nella scena. L’illuminamento ci-lindrico è approssimabile come la media sui piani verticali che circondano il volto di una persona e va calcolato all’altezza convenziona-le a cui si trovano i volti delle persone: 1.2 m in caso di lavoratori seduti o 1.6 m per operatori in piedi. La norma introduce il concetto di “mo-dellazione”, cioè un indice in grado di descrive-re la capacità di riconoscere i particolari di un

oggetto o di un volto sfruttando i contrasti ed i giochi di luci ed ombre.

Contrasti troppo elevati sono fastidiosi e impe-discono la corretta percezione dei particolari, mentre contrasti troppo blandi appiattiscono la scena, facendoci perdere dettagli.

Come indicatore della modellazione si usa il rapporto tra illuminamento cilindrico e illumi-namento orizzontale nello stesso punto e questo valore deve essere compreso nell’intervallo 0.3 – 0.6.

Sono date prescrizioni per limitare il fenomeno del flicker, lo sfarfallio, che può causare effet-ti indesiderati sui lavoratori, come mal di testa o affaticamento e gli effetti stroboscopici, che sono molto pericolosi perché modificano la percezione delle parti in movimento, facendole apparire più lente del reale fino ad arrivare a

Illuminamento orizzontale

Illuminamento cilindrico

Indice di modellazione

p = 0,2 × 5log10(d)

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vederle ferme, malgrado non lo siano, mettendo in pericolo l’incolumità dei lavoratori.

Sono previste anche prescrizioni per limitare l’abbagliamento diretto ed indiretto e indica-zioni su come ottimizzare l’illuminazione in ambienti dove si lavora con video terminali. In effetti queste ultime prescrizioni sono sempre meno importanti, perché i videoterminali di nuova generazione attenuano di molto gli effet-ti delle riflessioni sia degli apparecchi sia della luce proveniente dalle finestre.

Le immagini sotto illustrano i concetti di ab-bagliamento diretto ed indiretto e suggeriscono come evitarli.

riflesso dell’apparecchio

riflesso della finestra

nessun riflesso

Con i nuovi videoterminali il problema difficil-mente si ripresenta.La norma dà anche indicazioni riguardanti il coefficiente di manutenzione da utilizzare in fase di progetto.Il coefficiente di manutenzione rende ragione del deprezzamento della prestazione dell’im-pianto dovuto all’usura o all’invecchiamento delle parti che contribuiscono all’illuminazione dell’ambiente. Ad impianto nuovo la prestazio-ne sarà migliore che alla fine del periodo tra una manutenzione e l’altra: è necessario che i parametri caratteristici dell’impianto, valori medi ed uniformità, non scendano sotto il limite previsto in fase di progetto in nessun momento della vita dell’impianto. Per questo è molto im-portante che il progettista completi il suo lavoro con un accurato piano di manutenzione al fine di mantenere entro i limiti le prestazioni del si-stema di illuminazione.

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MF = RSMF x LMF x LLMF x LSF

Inoltre una buona manutenzione mantiene ef-fi cienti gli apparati riducendo i consumi ener-getici.Il coeffi ciente di manutenzione dovrà tener conto almeno dei seguenti parametri:

Dove MF è il coeffi ciente di manutenzione totale (Maintenance Factor)

RSMF rende conto del deprezzamento delle caratteristiche di rifl essione delle superfi ci de locale (Room Surface Maintenance Factor)

LMF rende ragione della sporcizia che si depo-sita sugli apparecchi facendo diminuire il fl usso emesso (Luminaire Maintenance Factor)

LLMF rende ragione del deprezzamento del fl usso emesso dalle sorgenti all’interno dell’ap-parecchio (Lamp Lumen Maintenance Factor)

LSF rende ragione dello spegnimento delle sorgenti all’interno dell’apparecchio (Lamp

Survival Factor); negli apparecchi LED gli spe-gnimenti catastrofi ci (parametro C) sono molto rari, per cui si raccomanda di usare 1.0 per que-sto parametro

La norma dà anche indicazioni sull’impatto energetico dell’impianto facendo riferimento al LENI (Lighting Energy Numeric Indicator) descritto nella EN 15193.

Il LENI sostanzialmente indica l’energia utiliz-zata per l’illuminazione per anno e per metro quadrato (in kiloWattora) considerando il reale consumo degli apparecchi.

L’ultima parte della norma è occupata dalle ta-belle con le prescrizioni per le varie tipologie di installazione e per le varie destinazioni d’u-so, con l’indicazione dell’illuminamento medio mantenuto (Em), del massimo valore di UGR ammesso (UGRL), dell’uniformità di illumina-mento (Uo) ed infi ne del valore minimo di Ra consentito. Possono esserci indicazioni aggiun-tive per situazioni specifi che.

Riportiamo un estratto dalle tabelle normative.

UGRL UO

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MITO LED illumina la Icierre Pack di Cazzago San Martino (BS)

POSTI DI LAVORO IN ESTERNO

La norma EN 12464-2 tratta dell’illuminazio-ne dei posti di lavoro in esterno, specificando i requisiti minimi in termini di quantità e qua-lità dell’illuminazione per la maggior parte dei luoghi di lavoro all’aperto, dando anche racco-mandazioni pratiche per ottenere un risultato ottimale. Come per la parte di interni, anche per gli ester-ni valgono le considerazioni svolte sui livelli minimi di illuminamento, sull’equilibrio delle luminanze, sul controllo dell’abbagliamento e sulla resa dei colori.Si utilizzeranno gli stessi parametri usati negli interni, con una aggiunta ed un cambiamento importante che riguarda la valutazione dell’abbagliamento.

L’aggiunta è costituita dal parametro Ud – di-versità - che indica il rapporto tra i valori mini-mo e massimo di illuminamento (o di luminan-za) su una superficie.Il parametro Ud è un importante criterio di qua-lità per le installazioni ferroviarie e in genere dove non è possibile dare criteri di uniformi-tà troppo stringenti: in questi casi si prescrive che il parametro Ud non superi limiti predefini-ti, per esempio 1:8 o simili. In questo modo si garantisce un criterio di uniformità anche dove non è conveniente dare le consuete indicazioni basate sul rapporto medio su massimo, perché sappiamo anticipatamente che si presenteranno forti variazioni di illuminamento (o luminan-za): tramite il parametro Ud si dà un limite al rapporto minimo su massimo.

104

Per l’abbagliamenti invece dobbiamo introdur-re due nuovi concetti, che sono l’abbagliamento debilitante e l’incremento di soglia.

Per abbagliamento debilitante si intende una diminuzione dell’acuità visiva (la capacità di distinguere gli oggetti) dovuta alla presenza dei corpi illuminanti.Diamo una defi nizione matematica del con-trasto, un concetto che abbiamo già incontrato senza defi nirlo esplicitamente.Defi niamo il contrasto C come

Dove

Lo è la luminanza dell’oggetto

Ls è la luminanza dello sfondo contro cui vediamo l’oggetto

Come si capisce il contrasto può essere positivo o negativo in funzione del fatto che l’oggetto sia più luminoso (abbia luminanza maggiore) dello sfondo o viceversa.

L’importante è che ci sia una differenza di lumi-nanza tra oggetto e sfondo, altrimenti l’oggetto non si distingue dal fondo.

Per riconoscere un oggetto dallo sfondo va con-siderato il valore assoluto, il modulo, del con-trasto, che indica quanto l’oggetto si “stacca” dal fondo, indipendentemente dal fatto di ve-derlo con tutti i particolari, se l’oggetto ha lu-minanza maggiore dello sfondo, oppure di ve-derlo in controluce, in silhouette, se l’oggetto è più scuro del fondo.

Se dobbiamo solo riconoscere la presenza di un ostacolo, di un oggetto, anche in presenza di un contrasto negativo siamo in grado di portare a termine il compito visivo, se invece è necessa-rio riconoscere i particolari dell’oggetto dob-biamo avere un contrasto positivo.

In ogni caso, sia con contrasto negativo che positivo, ci sarà un valore di contrasto che co-stituisce la soglia oltre la quale riconosciamo la presenza dell’oggetto; se il contrasto non è suffi ciente può succedere che l’oggetto non si “stacchi” suffi cientemente dal fondo e non riu-sciamo a riconoscerlo.

Oltre la soglia abbiamo consapevolezza della presenza dell’oggetto, per esempio un ostacolo sulla carreggiata mentre guidiamo.

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In presenza di apparecchi di illuminazione, ge-nericamente in presenza di sorgenti di luce, può succedere che le sorgenti indirizzino della luce verso i nostri occhi in visione periferica, oltre il cono della visione foveale.

Se ci arrivasse luce dalle sorgenti direttamente nel cono di 2 gradi intorno alla linea di vista, in visione foveale, sicuramente il nostro occhio tenderebbe ad adattarsi alla luce della sorgente e rimarremmo abbagliati; entrando nell’occhio con un angolo più elevato non percepiamo un impedimento alla visione ma la luce continua a rimbalzare nell’occhio creando un velo di luce che si sovrappone a tutte le immagini che l’oc-chio vede.

Questo velo di luce è descritto, modellato, come una luminanza velante che si sovrappone a tut-to quello che entra nell’occhio: quindi nel cal-colare il contrasto che realmente percepiamo, dobbiamo tener conto anche di tale luminanza velante.

Indichiamo con Cr il contrasto ridotto dalla pre-senza del velo di luce e possiamo scrivere:

Dove Lv è la luminanza velante, che è stata ag-giunta a tutti i termini.

Semplifi cando otteniamo:

Il contrasto quindi si riduce, a causa della pre-senza del velo di luce prodotto dagli apparecchi di illuminazione che illuminano la scena. Gli apparecchi sono indispensabili per illuminare, ma la loro presenza può anche disturbare leg-germente la visione, diminuendo la nostra ca-pacità di discriminare gli oggetti dallo sfondo, diminuendo la nostra acuità visiva, a causa del fatto che il contrasto si riduce.

Chiamiamo questo fenomeno abbagliamento debilitante (disability glare).

Ricordando che avevamo defi nito l’abbaglia-mento molesto (discomfort glare) come una sensazione di disagio connessa alla presenza degli apparecchi di illuminazione, notiamo che l’abbagliamento debilitante riduce la nostra acuità visiva ma non necessariamente produce una sensazione di fastidio.

La luminanza velante, Lv, dipende dall’età dell’osservatore, perché le superfi ci trasparenti dell’occhio, ed in genere l’interno della cavi-tà oculare, invecchiano, diffondendo maggior-mente la luce, facendo così aumentare l’effetto di velo; spesso però si usa una formula sempli-fi cata che non tiene conto dell’età, ma si ipotiz-za che l’osservatore abbia 23 anni, cioè sia nel momento della massima effi cienza visiva.

Un buon indice per l’abbagliamento debilitante è il parametro Ti, incremento di soglia (in Ingle-se Threshold increment) che misura di quanto si deve aumentare, in percentuale, il contrasto di soglia per permettere di distinguere gli og-getti dal fondo in presenza dell’abbagliamento debilitante prodotto dagli apparecchi dell’im-pianto di illuminazione. In sostanza Ti misura di quanto percentualmente dobbiamo aumen-tare il contrasto per compensare l’effetto per-turbante dovuto alla presenza degli apparecchi che mandano luce negli occhi dell’osservatore. Nelle ultime edizioni delle norme internaziona-li e nazionali il parametro Ti viene indicato più correttamente come fTi.

Dove Lv è la luminanza velante dovuta all’ impiantoLi è la luminanza media della superfi cie stradale

tutti i parametri sono calcolati ad impianto nuo-vo, senza tener conto del coeffi ciente di manu-tenzione.

106

Nel 1994 la CIE introdusse un nuovo indice per misurare l’abbagliamento negli spazi esterni e per le installazioni sportive indicandolo come GR (Glare Rating), senza più fare distinzione tra abbagliamento molesto ed abbagliamento debilitante, perché negli spazi aperti risulta più diffi cile distinguere i due fenomeni ed il nuo-vo indice era in grado di tener conto in qualche modo di entrambi. L’indice GR si applica a tutte le situazioni in esterno e per gli impianti sportivi, senza distin-guere tra abbagliamento debilitante e molesto, ma parlando genericamente di abbagliamento.

Dove Lvi è la luminanza velante dovuta all’impianto

Lve è la luminanza velante equivalente dell’ambiente. Se si assume che l’ambiente sia lambertiano può essere calcolata utilizzando l’illuminamento medio orizzontale

L’osservatore convenzionalmente guarda due gradi sotto l’orizzonte.

GR varia tra 10 e 90 e l’abbagliamento diminui-sce al diminuire dell’indice: 90 indica un abba-gliamento veramente fastidioso.

Il parametro GR si usa in tutti gli spazi all’a-perto e per gli impianti sportivi, ma per l’illu-minazione stradale, o illuminazione pubblica, è molto importante l’incremento di soglia al fi ne di garantire la sicurezza della circolazione. Quindi per l’illuminazione delle strade viene usato il parametro fTi, mentre negli spazi aperti si usa GR; se un parcheggio è prospicente la strada occorre valutare l’infl uenza degli appa-recchi che illuminano il parcheggio sul fTi del guidatore che percorre la strada a bordo della sua automobile, e, viceversa, occorre valutare l’incremento di GR nel parcheggio per l’infl us-so degli apparecchi di illuminazione installati sulla strada.

L’illuminazione delle aree esterne comprende i parcheggi, le aree di smistamento e stoccag-gio industriale, i grandi piazzali e svincoli, le aree di servizio, le zone portuali e tutti i luoghi dove è necessario un adeguato livello di illumi-namento per la sicurezza delle persone e delle attività svolte. L’illuminamento orizzontale e verticale sulle varie superfi ci e i relativi para-metri di uniformità devono essere commisurati al compito visivo da svolgere nell’area.

In generale la progettazione deve soddisfare al-cuni parametri fondamentali quali:

• La presenza degli apparecchi e dei sostegni non deve intralciare le attività svolte all’in-terno dell’area.

• La luce deve essere indirizzata solo dove necessario senza creare abbagliamenti.

• Un ostacolo all’interno dell’area deve esse-re visibile da tutte le direzioni.

• Gli apparecchi utilizzati devono garantire la maggiore effi cienza di impianto in rappor-to ai livelli di illuminamento per garantire il risparmio energetico: a tal fi ne può esse-re conveniente l’installazione di sistemi di controllo e regolazione dell’impianto.

• La resa del colore deve essere adeguata al compito visivo.

Occorre fare grande attenzione a non indirizza-re luce dove non serve o addirittura è dannosa, per due buone ragioni: prima di tutto per ragioni di risparmio energetico, perché è inutile illumi-nare dove non serve e costituisce uno spreco di energia, poi perché invadere con la luce prove-niente dall’impianto le proprietà altrui può cau-sare fastidio e generare rimostranze da parte di chi è esposto ad un illuminamento non voluto. Se la signora Maria si trova la stanza da letto illuminata a giorno è probabile che protesti.

Per questo la norma EN 12464-2 defi nisce la luce diffusa e la luce molesta e dà indicazioni per tenerle sotto controllo.Luce diffusa (dispersione luminosa): luce emessa

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da un impianto di illuminazione che cade all’e-sterno dei limiti della proprietà per la quale l’impianto di illuminazione è stato progettato. In Inglese spill light (stray light).

Luce molesta: luce diffusa, che a causa di spe-ciali attributi quantitativi, direzionali o spettrali in un determinato contesto, produce fastidio, disagio, distrazione o una riduzione della capa-cità di vedere informazioni essenziali. In Inglese obstrusive light.

Inoltre è molto importante non indirizzare luce verso l’alto, in direzione del cielo, per evitare il cosiddetto inquinamento luminoso: gli Ame-ricani lo chiamano in realtà sky glow, perché sottolineano che non si tratta di una modifica

permanente dell’ambiente, in quanto per risol-vere la situazione basta spegnere l’impianto.Non tutti sono d’accordo su questo punto, per-ché osservano che la presenza di luce verso l’alto modifica le abitudine della fauna come, per esempio, le rotte delle migrazioni, che non vengono più ripristinate dopo lo spegnimento dell’impianto. In ogni caso per porre termine all’inquinamento luminoso e ai suoi effetti ba-sta spegnere l’impianto, anche se alcune abitu-dini della fauna sono cambiate per sempre.

Nel mondo e in Europa la materia è regolata da leggi, in Italia in particolare da leggi regionali, e quindi le disposizioni in materia di inquina-mento luminoso non sono derogabili, le viola-zioni configurandosi come reati.

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Ed ecco l’effetto dello sky glow visto dal satellite

Riportiamo un esempio di tabella preso dalla norma con l’indicazione delle prescrizioni in termini di Illuminamento medio (Em), uniformità (Uo), indice di abbagliamento massimo GRL e Ra.

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Cipriani Profilati: esempio di illuminazione di interno ed esterno

Cipriani Profilati è un’impresa leader nella pro-duzione di orditure metalliche per cartongesso e controsoffitti ora illuminata dalle serie MITO LED all’interno e TIGUA LED in esterno.È stato eseguito il retrofit dell’impianto, au-mentando i livelli di illuminazione fino a rispet-tare i dettami della serie di norme EN 12464 e dimezzando la potenza impiegata.La scocca in alluminio pressofuso, il diffuso-

re in vetro infrangibile, l’affidabilità dei LED e degli alimentatori garantiscono una manuten-zione molto ridotta.

MITO LED ha uno spessore, compresa la staf-fa, di solo 22 cm. Questo consente l’installazio-ne sopra al carro ponte.

MITO LED illumina il reparto di produzione delle orditure metalliche

TIGUA LED illumina l’esterno dei capannoni industriali

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ILLUMINAZIONE STRADALE

Scopo principale dell’illuminazione strada-le è garantire la sicurezza della circolazione.

Molti studi hanno dimostrato che l’illumina-zione pubblica non è sufficiente a garantire la sicurezza della circolazione motorizzata senza l’apporto dei fari installati sui veicoli, ma è stato anche dimostrato che i fari da soli non sono sufficienti; quindi la sicurezza si raggiunge solo con l’utilizzo contempora-neo dei due sistemi di illuminazione.

In caso di traffico motorizzato la cosa più importante che i sistemi di illuminazione devono garantire è il riconoscimento della presenza sulla carreggiata di un ostacolo pe-ricoloso per la circolazione.L’ostacolo di riferimento è definito come un cubo di 20 centimetri di lato, con superfici lambertiane e coefficiente di riflessione pari a 0.2 (20%): in Italia deroghiamo dalla re-gola generale e si considera un coefficiente di riflessione di 0.1 (10%). Questo cubo è considerato l’ostacolo più piccolo pericolo-so per gli utenti della strada che devono es-sere in grado di riconoscerlo da una distan-za pari ad almeno la loro distanza di arresto alla velocità massima raggiungibile sulla strada in esame.

La distanza di arresto comprende lo spazio percorso nel tempo di reazione, cioè il tem-po che l’autista impiega a capire la situazio-ne e a reagire, e lo spazio percorso durante la frenata fino a fermarsi. È evidente che lo spazio di arresto dipende dalle condizioni della strada, dal fatto che il manto strada-le sia asciutto o bagnato, dalla presenza di salite o discese, dalla presenza di ghiaccio, dalle condizioni del veicolo ed infine dalle condizioni e dall’età del guidatore.

Un guidatore ventenne reagisce molto pri-ma di un sessantenne a parità di tutte le altre condizioni: convenzionalmente il tempo di reazione è stimato in un secondo, tempo ti-pico di un trentenne. Le condizioni dell’au-tomobile sono considerate medie, perché l’obbligo di revisione periodica dei veicoli

dovrebbe garantire l’efficienza degli stessi. Per gli altri parametri sono pubblicate dai ministeri competenti tabelle e grafici tramite i quali de-terminare la distanza di arresto.

Poiché non esiste ancora un corpo normativo condiviso sul Fattore di Visibilità di Oggetti (FVO in Inglese STV – small target visibility) e non c’è accordo neppure sui metodi di calcolo da utilizzare per valutare il riconoscimento di oggetti posti sulla carreggiata, le norme della serie EN 13201 danno prescrizioni in termini di luminanza della carreggiata, di uniformità della luminanza e di controllo dell’abbagliamento: si postula, con buoni riscontri sperimentali, che, se sono sodisfatte le condizioni normative, l’o-stacolo viene riconosciuto da una distanza suf-ficiente. Come detto molte prove sperimentali supportano questo assunto. Dobbiamo valutare la luminanza della carreggiata e delle singole corsie, per ottenere livelli medi adeguati ed una adeguata uniformità.

Nelle installazioni stradali oltre alla classica Uo (Overal Uniformity) calcolata come il rap-porto tra il valore minimo ed il valore medio, si utilizza anche il parametro Ul (uniformità longitudinale – longitudinal uniformity) che rappresenta il rapporto tra minimo e massimo valore di luminanza lungo la linea di vista del guidatore.

Naturalmente viene tenuto sotto controllo an-che l’abbagliamento, in questo caso, come det-to, tramite il parametro fTi.

La serie di norme EN 13201 è composta da cin-que parti che trattano i diversi aspetti del pro-blema:

EN 13201-1 contiene le linee guida sulla sele-zione delle classi di illuminamento; poiché la selezione va fatta sulla base della classificazio-ne delle strade secondo la legislazione nazio-nale, che può essere diversa da Paese a Paese, questa parte si configura come un rapporto tec-nico, che ciascun Paese può adottare o meno.

L’Italia ha scelto di utilizzare un proprio meto-

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do per la selezione delle categorie illuminotec-niche, derivato dalla norma Europea e contenu-to nella norma UNI 11248. In Italia quindi vale la UNI 11248 che imple-menta le indicazioni della EN 13201-1.

EN 13201-2, come la parti successive, è una norma Europea e indica le prestazioni minime che ogni tipo di impianto deve raggiungere per garantire la sicurezza.

EN 13201-3 specifica gli algoritmi di calcolo e le convenzioni che devono essere usati nel cal-colo illuminotecnico di questo tipo di impianti, specificando anche i limiti di validità dei vari parametri considerati.

EN 13201-4 specifica i metodi che devono essere utilizzati per misurare la prestazione dell’impianto una volta realizzato. In sostanza tratta del collaudo degli impianti e specifica i metodi e le tolleranze accettabili.

EN 13201-5 tratta degli indicatori energetici degli impianti. È il primo tentativo normativo di valutare l’impegno energetico degli impianti di illuminazione pubblica, per cercare di tenere sotto controllo i consumi e, possibilmente, ri-durli.

Oltre le prescrizioni normative vanno conside-rate anche le leggi, regionali in assenza di una legge nazionale, che sono state promulgate allo scopo di limitare i consumi e per evitare l’in-quinamento luminoso.

Spesso queste leggi danno indicazioni relative alla interdistanza tra i pali dell’illuminazione pubblica, ponendo un limite minimo per il rap-porto tra interdistanza e altezza del palo (nella maggior parte dei casi 3.7), prescrizioni per il contenimento della luce dispersa verso l’alto (nella maggior parte dei casi indicano un limite di 0.49 cd/klm dalla linea dell’orizzonte in su) ed infine prescrizioni sulla temperatura di colo-re massima utilizzabile per gli apparecchi.

Attualmente in Italia vigono 19 leggi regionali, considerando separatamente la legge della pro-vincia autonoma di Trento e quelle della pro-

vincia autonoma di Bolzano, e solo la regione Sicilia e la regione Calabria non hanno una leg-ge in materia.Le principali finalità delle leggi regionali con-tro la dispersione di luce artificiale verso l’alto sono:

• riduzione dell’inquinamento luminoso e dei consumi.

• riduzione dei fenomeni d’abbagliamento.• tutela dall’inquinamento luminoso dei siti

degli osservatori astronomici professionali e non professionali di rilevanza regionale o provinciale e delle zone circostanti.

• miglioramento della qualità della vita e del-le condizioni di fruizione dei centri urbani e dei beni ambientali.

In assenza di legge si applicala norma UNI 10819.

CONVENZIONI PER IL CALCOLO ILLUMINOTECNICO STRADALE

Per eseguire correttamente un progetto di illu-minazione pubblica occorre analizzare le zone da illuminare, dividerle in parti omogenee e studiare le relazioni tra le varie parti, per ana-lizzare se ci sono esigenze conflittuali in zone contigue o nella zona stessa.

In presenza di conflitti occorre adeguare i livel-li di illuminazione, in modo da soddisfare nel miglior modo possibile le esigenze di tutti gli attori in gioco: l’esempio classico è l’attraver-samento pedonale su una strada adibita al traf-fico motorizzato.

L’automobilista deve vedere per tempo e chia-ramente il pedone che vuole attraversare, men-tre il pedone deve avere una chiara percezio-ne dei veicoli che sopraggiungono e della loro velocità, senza per questo che né il pedone, né l’automobilista siano abbagliati.

L’analisi dei rischi, prevista espressamente sia nella EN 13201-1 che nella UNI 11248 all’in-terno della procedura di selezione della catego-ria illuminotecnica, serve proprio per trovare

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soluzioni adeguate alle situazioni conflittuali.Una volta individuate le aree omogenee su cui effettuare le verifiche illuminotecniche in cia-scuna area vanno individuati i campi di calcolo, cioè le zone dove effettuare i calcoli illumino-tecnici.

Normalmente su una strada l’impianto ha una disposizione regolare di apparecchi e dunque è possibile dividere l’intero tratto stradale in parti in cui si ripete lo stesso schema di illuminazio-ne: tipicamente il campo di calcolo è il tratto di strada tra due pali consecutivi sullo stesso lato della strada. Nel caso di disposizione a quin-conce (alternata) in mezzo ai due pali sullo stes-so lato ce ne sarà uno sul lato opposto.

Il materiale può essere considerato isotropo, ossia le sue proprietà non dipendono dall’o-rientazione, mentre l’angolo di osservazione è considerato fisso a 1 grado sotto l’orizzonte: in questo modo, poiché le tabelle mantengono la loro validità da 0.5 a 1.5 gradi sotto l’orizzonte, e considerando che gli occhi del guidatore sono a 1,5 metri dal suolo, il guidatore guarda davan-ti a sé da 60 a 160 m.

L’altezza di 1.5 per gli occhi del guidatore co-stituisce una media pesata tra le posizione di guida degli automobilisti, dei camionisti etc.; il fatto di considerare isotropo l’asfalto permette di avere simmetria nella definizione dell’angolo tra il piano di visione ed il piano di illuminazio-

Classificata la strada dal punto di vista illumi-notecnico e scelto il campo di calcolo, occorre effettuare, se possibile, i calcoli di luminanza, per poi valutare tutti gli altri parametri. Il punto è che gli asfalti non sono lambertiani, per cui occorre avere a disposizione le tabelle di rifles-sione per gli asfalti, sostanzialmente le BRDF (Bidirectional reflectance distribution function) dell’asfalto posato sulla strada di interesse.

Le BRDF dipendono tipicamente da quattro pa-rametri:

• l’angolo di illuminazione g• l’angolo di osservazione a• l’angolo tra il piano di vista ed il piano di

illuminazione b• l’orientazione del materiale

ne, per cui Beta varierà tra 0° e 180° gradi, sim-metricamente a destra e sinistra; l’eliminazione dell’orientazione del materiale e dell’angolo di osservazione permette di descrivere le caratte-ristiche di riflessione degli asfalti con due soli parametri, l’angolo di incidenza della luce e l’angolo beta.

Tramite una semplice elaborazione matematica i coefficienti di riflessione (ridotti) sono dati in tabelle bidimensionali di interi: le cosiddette R-Table, che descrivono caratteristiche di ri-flessione degli asfalti nelle varie situazioni.

Normalmente in Italia si usa la tabella C2.

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La rappresentazione di una tabella di rifl essione dell’asfalto dà un risultato che si può vedere nella fi gura seguente:

Si nota una direzione preferenziale di rifl essione, davanti all’apparecchio, ed una componente diffusiva piuttosto pronunciata. Ma sicuramente gli asfalti non sono lambertiani. Nella fi gura sottostante sono riportati due esempi di applicazioni di calcolo.

Fatto il calcolo occorre verifi care la rispondenza dell’impianto non solo alle prescrizioni nor-mative ma anche ai vincoli di legge; si riporta un esempio tratto dalle norme dei valori limite per varie classi illuminotecniche.

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TABLE 1 — M LIGHTING CLASSES

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Vengono date prescrizioni per la luminanza me-dia, per l’uniformità, per l’uniformità in caso di strada umida, per l’uniformità longitudinale, per limitare l’abbagliamento debilitante tramite l’incremento di soglia ed infine anche per quan-to riguarda l’illuminazione delle zone limitrofe alla strada (REI).

Quest’ultimo parametro, di cui non abbiamo ancora parlato, indica il rapporto di illumina-mento tra due strisce contigue di uguale lar-ghezza, una immediatamente all’esterno della strada, l’altra sulla carreggiata, lunghe quanto il campo di calcolo.

La larghezza delle strisce è pari alla larghezza della corsia, oppure alla dimensione dello spa-zio libero calpestabile ai lati della strada, se è minore della larghezza della corsia.Si ripete l’operazione per il lato destro ed il lato sinistro della strada e si espone il valore peggio-re, minimo.

Lo scopo di questo parametro è di garantire l’illuminazione anche alle immediate vicinanze

della strada, per migliorare la visione periferi-ca, che aiuta a riconoscere gli ostacoli o i vei-coli che ci vengono incontro, e per individuare possibili invasori della carreggiata (massi o ani-mali) prima che la raggiungano.

Tutti ricordano la prova dell’alce, che attraver-sa la carreggiata all’improvviso: se i bordi sono illuminati individuiamo l’alce prima che arrivi in posizione pericolosa.

In alcuni casi non è possibile calcolare la lumi-nanza della scena, oppure in alcune situazioni è preferibile dare indicazioni in illuminamento, invece che in luminanza, come nel caso di aree di conflitto o aree pedonali; in questi casi ven-gono date prescrizioni in illuminamento even-tualmente arricchite con prescrizioni particolari sugli apparecchi per tentare di dare comunque un criterio per limitare l’abbagliamento. Infatti se non viene calcolata la luminanza non può essere usato il classico parametro dell’in-cremento di soglia per la limitazione dell’abba-gliamento.

TIGUA LED illumina la strada di accesso all’archivio comunale di Brescia

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ILLUMINAZIONE SPORTIVA

Anche per l’illuminazione sportiva il principa-le parametro da considerare è la destinazione d’uso: gli impianti sportivi spaziano dalla pale-stra della scuola di periferia fino ai grandi stadi dove si svolgono competizioni internazionali, ed è naturale considerare soluzioni diverse in funzione delle esigenze che i fruitori della strut-tura manifestano.

In un campo di periferia vanno garantiti i livel-li minimi di illuminazione sia orizzontali che verticali, ma non è necessario avere uniformità molto alte e anche il controllo dell’abbaglia-mento sarà più lasco; in uno stadio per com-petizioni internazionali bisogna garantire livelli di illuminamento sia orizzontali che verticali molto alti per permettere le riprese televisive a colori in alta definizione, con uno stringente controllo della resa dei colori, per non falsare i colori delle maglie ed in genere i colori del-le riprese, nonchè uniformità altissime per non “impallare“ le telecamere, ed un controllo strin-gente dell’abbagliamento per non pregiudicare la visione dei giocatori, degli spettatori e delle telecamere. Inoltre vanno considerati parame-tri aggiuntivi, legati alle particolarità dei vari sport, alle riprese televisive ed alle esigenze degli operatori televisivi: per esempio nel cal-cio occorre tenere sotto controllo il gradiente, la variazione, dell’illuminamento nei vari punti del campo, in modo che le telecamere riescano a seguire i movimenti dei giocatori con grande dettaglio, per esempio nel caso di riprese diret-te sulle gambe dei giocatori e sulla palla: se la variazione di illuminamento fosse repentina la telecamera non riuscirebbe a seguire l’azione.

L’organizzazione Europea degli operatori tele-visivi (EBU) ha anche indicato un parametro per il controllo della resa dei colori per le te-lecamere, formulato ricalcando il calcolo del CRI (Indice di Resa Cromatica) ma con la tele-camera media al posto dell’osservatore umano medio; rispettando i limiti del TLCI (Television Lighting Consistency Index) si garantisce una buona resa dei colori per le immagini trasmesse e la costanza dei colori al cambio di telecamera.

Un’altra variabile importante per le riprese te-levisive, che implica cambiamenti nella realiz-zazione degli impianti di illuminazione, è la dimensione della palla usata nel gioco; è espe-rienza comune non riuscire a seguire la palla guardando una partita di tennis in televisione: occorrono livelli di illuminazione e uniformità altissime per permettere riprese ad alta defini-zione.

Un altro parametro importante, come già ac-cennato, è il flicker: in questo caso si tratta della variazione velocissima del livello di il-luminamento su un piano a causa del modo di funzionamento delle sorgenti e non dello sfar-fallio percepito dall’osservatore umano che ne può avere disturbo. Se queste variazioni sono in fase con le riprese televisive i singoli frame della ripresa sono catturati con illuminazioni molto diverse, pregiudicando lo slow motion, e degradando la qualità delle trasmissioni.

In generale, se sono previste riprese televisive, vanno considerati gli illuminamenti verticali al-meno in direzione opposta alle telecamere e, se sono previste anche riprese dal lato opposto del campo (reverse angle), gli illuminamenti verti-cali devono essere elevati in tutte le direzioni; inoltre è richiesta l’analisi degli illuminamenti in direzione delle telecamere, sia fisse che mobili.

Come si capisce, essendo la trasmissione tele-visiva delle gare una forte fonte di introiti per le federazioni e per le squadre, occorre presta-re grande attenzione alle esigenze delle riprese nell’illuminare gli impianti sportivi.

Anche per gli impianti sportivi all’esterno oc-corre fare grande attenzione alle prescrizioni delle leggi sul risparmio energetico e sulla limi-tazione della dispersione della luce verso l’alto; tutte le leggi sull’inquinamento luminoso trat-tano specificamente le installazioni sportive, e danno prescrizioni per limitare l’illuminazione subito dopo la fine delle gare per garantire sia la limitazione dell’inquinamento sia il risparmio energetico.

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CONVENZIONI PER IL CALCOLO ILLUMINOTECNICO DEGLI IMPIANTI SPORTIVI

La norma di riferimento Europea per l’illumi-nazione degli impianti sportivi e la EN 12193, la cui ultima edizione risale al 2007. Al momen-to della pubblicazione di questo libro la norma è in avanzata fase di revisione, per cui si terrà conto delle nuove disposizioni normative anche se non ancora pubblicate.Probabilmente nei primi mesi del 2019 la nuova versione della norma diverrà operativa.Comunque le indicazioni che qui vengono date hanno validità generale, indipendentemente dalla pubblicazione della norma: per i livel-li prescritti si faccia riferimento alla norma in corso di validità.La norma specifica i dati che devono essere forniti dal progettista per identificare e carat-terizzare gli apparecchi, le sorgenti e l’area da illuminare al fine di poter verificare durante il collaudo, per il quale sono date precise prescri-zioni, la rispondenza tra l’impianto realizzato

Sono poi date indicazioni specifiche per i vari sport. La nuova edizione in preparazione pro-babilmente conterrà indicazioni sul parametro TLCI per le riprese televisive.Come abbiamo già detto occorre sempre rife-rirsi ai regolamenti delle varie federazioni per

e le ipotesi progettuali. Fornisce prescrizioni sulle griglie di calcolo e di verifica e sulle re-lazioni tra le aree principali e le aree circostan-ti, che devono essere considerate nel progetto, per i motivi che abbiamo già esposto: occorre garantire il bilanciamento delle luminanze, il comfort visivo e l’uniformità di illuminamenti e luminanze.Sono date prescrizioni per evitare la disper-sione della luce verso l’alto e la luce molesta (obstrusive light), per evitare cioè di illuminare anche dove non è necessario o dove c’è il ri-schio di disturbare terze persone. Naturalmente vengono date prescrizioni sull’abbagliamento, normalmente utilizzando il parametro GR, e li-mitazione per il flicker.Gli impianti sono divisi in tre categorie, che dipendono dal livello delle competizioni che si svolgono al loro interno, riportate nella tabella sottostante:

Level of competitionLighting class

I II IIIInternational and National X

Regional X X

Local X X X

Training X X

Recreational/School sports (Physical education) X

completare il progetto illuminotecnico di un impianto sportivo, perché la norma EN 12193 necessariamente fornisce indicazioni generiche, mentre i regolamenti completano le prescrizio-ni con indicazioni specifiche che tengono conto delle peculiarità di ciascuno sport.

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ESEMPI DI ILLUMINAZIONE DI IMPIANTI SPORTIVI

PISCINA AIRON CLUB

La Piscina Airon Club di Conversano in pro-vincia di Bari è illuminata con apparecchi della serie TIGUA LED.A causa dell’ambiente umido e ricco di cloro, gli apparecchi di illuminazione per le piscine indoor devono avere degli elevati standard di affidabilità elettrica e di protezione alla corro-sione, al fine di assicurare un servizio duraturo. TGUA LED è realizzato in alluminio pressofu-

so a basso contenuto di rame con trattamento galvanico di passivazione e fluorozirconatura (corrosion proof).

Le staffe di ritenuta del vetro al corpo sono in acciaio INOX. TIGUA LED è dotato di valvo-la anticondensa. Queste caratteristiche lo ren-dono idoneo all’utilizzo nelle piscine e luoghi dall’alto indice corrosivo.

TIGUA LED illumina la piscina Airon Club di Conversano (BA)

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BOCCIODROMO SANTA MARIA

Il bocciodromo Santa Maria presenta

• Area totale di 30.8 m x 17.5 m • Area di calcolo di 28.1 m x 12.81 m che

corrisponde alla zona di gioco.Sono stati utilizzati gli apparecchi MITO LED codice 810080 di Palazzoli che emettono un fl usso 21655 lm, impegnando una potenza di

199.0 W. La temperatura di colore degli appa-recchi è 4000 K.

Norme di riferimento: UNI EN 12193:2007 Tabella: Table A.9 Class IIIValori richiesti di illuminamento orizzontale:Em > 300lxEmin/Em > 0.5

Vediamo anche i rendering sui risultati del calcolo

MITO LED illumina il bocciodromo Santa Maria di Torino

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CAMPO DA TENNIS

Si riporta di seguito un esempio applicativo re-lativo ad un campo da tennis regolamentare al coperto.Prima di tutto è necessario stabilire la classe dell’area in base alla norma EN 12193:

È richiesta una illuminazione che soddisfi i requisiti della Classe III.

MITO LED illumina il campo da tennis del Club di Orzinuovi (BS)

Tabella A.4 Tennis Illuminamento orizzonale

Classe Eh med Eh min/medI 750 0,7II 500 0,7III 300 0,5

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Mito LED con Kit Emergenza

ILLUMINAZIONE D’EMERGENZA

Con l’espressione Illuminazione di emergenza si intende un sistema che garantisce l’illumina-zione anche quando l’alimentazione dalla rete elettrica non è disponibile, a causa di un guasto o per eventi catastrofi ci, come incendi, eventi atmosferici o altro.

Scopo principale dell’illuminazione di emer-genza è garantire l’evacuazione degli ambienti o delle aree interessate dalla mancanza di ali-mentazione in modo ordinato, senza generare panico e guidando le persone fi no ad aree in cui sia garantita la loro sicurezza.

Se non si presentano situazioni di pericolo l’il-luminazione di emergenza può anche servire per continuare le normali attività in caso di in-terruzione dell’alimentazione, seppure, solita-mente, con livelli di illuminazione ridotti.

La norma di riferimento per questo tipo di il-luminazione è la EN 1838 che dà prescrizioni sull’illuminazione delle vie di fuga e delle aree antipanico, dove si raccolgono le persone che stanno abbandonando le aree buie. In queste aree è molto importante attuare tutti gli accor-gimenti per evitare l‘insorgenza di panico, an-che mediante una adeguata illuminazione e una segnaletica chiara e leggibile.Sono poi indicate le caratteristiche che devono avere i segnali di emergenza e le prescrizioni per le aree ad alto rischio, ossia le zone dove si svolgono attività o processi potenzialmente pericolosi.

La norma fornisce prescrizioni generali, uni-formi sul territorio dell’Unione Europea, ma la sicurezza delle persone è tema di legge, per cui esistono molte deviazioni nazionali che dipen-dono dalle legislazione dei singoli Paesi; inol-tre, in quasi tutti i Paesi vigono leggi che rego-lamentano la materia per ambiti particolari, per esempio luoghi pubblici come cinema e teatri, per cui il progettista deve riferirsi non solo alla norma ma anche al corpo legislativo vigente nel Paese dove è ubicato l’impianto. Tigua LED con Kit Emergenza

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