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Propaganda e sport negli anni trentaGli incontri di calcio tra Italia e Austria
Diego Cante
Il fascismo utilizzò lo sport, ed in particolare il calcio, dato il suo carattere di massa, come strumento di propaganda, veicolo per la formazione del consenso e mezzo d’integrazione interclassista. Lo spettacolo costruito attorno all’evento sportivo divenne l’occasione per far giungere messaggi politico-sociali a un pubblico scarsamente allenato all’esercizio della critica. Per questo motivo il football venne rigidamente regolamentato: nacque il campionato di calcio, come noi oggi lo conosciamo e venne creata la Federazione italiana gioco calcio (Figc) alla cui guida furono nominati dirigenti di spicco della nomenclatura fascista; le infrastrutture vennero potenziate per ospitare le masse crescenti di spettatori e nuovi stadi furono aperti in tutte le principali città. In tale contesto, un ruolo particolare rivestirono gli incontri internazionali, durante i quali divenne agevole veicolare messaggi patriottico-nazio- nalisti. Le partite tra le rappresentative nazionali di Italia ed Austria e, in misura minore, quelle tra i rispettivi club, non si sottrassero a tale logica. La strumentalizzazione di questi avvenimenti rispecchia chiaramente l’evoluzione delle relazioni diplomatiche tra i due paesi e lo sviluppo delle ingerenze italiane nella politica interna della repubblica austriaca. Attraverso i documenti custoditi presso lo Österreichisches Staatsarchiv di Vienna e l’Archivio storico-diplomatico del ministero degli Affari esteri di Roma è stato possibile ricostruire, in parte, la vicenda politico-sportiva che vide quali attori i team calcistici delle due nazioni confinanti e come registi le rispettive diplomazie, impegnate, soprattutto quella fascista, in un gioco decisamente più vasto e complesso.
Fascism used sport, and football in particular, given its mass appeal, as a means o f propaganda, a vehicle o f consensus and inter-classist integration. The show-machine put up around sport events of
fered the opportunity o f launching political messages to a pubblic with little or no critical attitude. This football underwent strict regulation: a championship such as we know it today was duly organized, and the FIGC (Federazione italiana gioco calcio) was founded, whose direction was assigned to prominent exponents o f the Fascist nomenclature: sport facilities were enlarged to hold the growing number o f spectators and new stadiums were built in all o f major cities.Against this background, a special role was played by the international meetings, through which nationalist and patriotic messages could be effectively spread. The matches opposing the Austrian and Italian national teams and, to a lesser extent, even the respective club teams, did not escape this logic. The instrumental measure o f these events would obviously follow the trend o f Austrian-Ita- lian diplomatic relations, reflecting the mounting o f Italian ingérence into Austrian internal affairs. Drawing on documents held in the Österreichisches Staatsarchiv and in the Archivio storicodiplomatico o f the ministero degli Affari esteri, this essay sketches a political story o f the rivalry mastered by the rispective diplomacies, both engaged - particularly the fascist one - in a quite broader and more complicated game.
'Italia contemporanea”, settembre 1996, n. 204
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Il football in Austria e in Italia
Il 12 ottobre 1902 si tenne il primo incontro di football tra rappresentative nazionali. Austria e Ungheria giocarono il match a Vienna e la squadra austriaca si impose con il punteggio di cinque a zero. Nel 1904 nasceva la Federazione internazionale delle associazioni calcistiche (Fifa). Agli inizi del secolo dunque questo sport1 incominciò ad assumere una dimensione internazionale. Dalla Gran Bretagna, sua indubbia terra d’origine, attraverso La Manica, il calcio si diffuse celermente in Europa, e giunse nel 1885 nell’Impero austro-ungarico e una decina d’anni più tardi in Italia2.
Evolutosi con caratteristiche sociali differenti (in Gran Bretagna si affermò subito come sport popolare mentre in Italia fu, all’inizio, un gioco riservato ai ceti più abbienti), il calcio si affermò ben presto come pratica di massa nei principali paesi europei e, prima dello scoppio della grande guerra, erano già
stati inaugurati i principali campionati nazionali3. Anche gli incontri internazionali tra club precedettero cronologicamente quelli tra le formazioni nazionali4.
Sia in Italia che in Austria, il calcio si sviluppò come gioco soprattutto urbano. In particolare nella regione danubiana questo sport conquistò le principali metropoli e “ la diffusione del football [...] coincise con l’ultima stagione felice della cultura mitteleuropea. Vienna, Budapest e Praga erano, dopo Parigi, le capitali internazionali degli svaghi e offrivano le condizioni più favorevoli alla diffusione dei giochi sportivi” 5. In Austria, poi, si ebbe uno dei pochi esempi europei di quello che venne denominato “calcio proletario” con la nascita del Rapid-Vienna, club sorto nei sobborghi operai della capitale6.
Il football riuscì molto presto ad attirare l’interesse di folle crescenti di spettatori, anche se non incontrò subito i favori del grande pubblico, conquistato ormai da anni dalle maggiori corse ciclistiche7. La società euro-
1 Lo sport in quanto tale era diventato ormai la mania del nuovo secolo ed aveva vittoriosamente ingaggiato una lotta contro la “ginnastica” . Quest’ultima, nata nella Germania della prima metà dell’Ottocento, aveva avuto, fin dall’inizio, una finalità “essenzialmente militare” (cfr. Stefano Pivato, La bicicletta e il Sol dell’Avvenire. Sport e tempo libero nel socialismo della Belle Epoque, Firenze, Ponte alle Grazie, 1992, pp. 19 sg.) e si era affermato come “baluardo dell’idea nazionale” . Il suo ideatore fu Ludwig Friedrich Jahn, padre fondatore dei Tumen, le associazioni sportive.2 La storiografia italiana sta appena muovendo i primi passi in direzione di un approccio scientifico nei confronti dello sport, finora quasi esclusivamente nelle mani di giornalisti sportivi o di cultori della materia; un primo notevole contributo al dibattito in Italia, che permette anche di comprendere le ragioni di tale ritardo, è offerto da un’ancora sparuta “pattuglia” di storici sulle pagine di “Italia contemporanea” 1989, n. 167, pp. 155-175; 1990, n. 179, pp. 341-368. Per avere un quadro più completo della storia del football si vedano comunque: S. Pivato, L ’era dello sport, Firenze, Giunti, 1994; Antonio Papa, Guido Panico, Storia sociale del calcio in Italia, Bologna, Il Mulino, 1993; Antonio Ghirelli, Storia del calcio in Italia, Torino, Einaudi, 1972; Antonio Fugardi, Il calcio dalle origini ad oggi, Rocca San Casciano, Universale Cappelli, 1974. Per una visione statistica generale del fenomeno calcistico italiano può anche essere interessante VAlmanacco illustrato del calcio 1995, voi. 54°, Modena, Panini, 1994.3 In Italia, il primo torneo federale tra club si svolse nel 1898.4 Fu il Genoa che, per primo in Italia, incontrò, nel 1903, il Nizza, mentre la prima sfida calcistica dei futuri azzurri oppose le rappresentative di Francia ed Italia a Milano, il 15 maggio 1910; l’amichevole terminò con il punteggio di 6-2 per gli italiani.5 A. Papa, G. Panico, Storia sociale, cit., p. 27.6 A. Papa, G. Panico, Storia sociale, cit., pp. 27-28.7 II primo Tour de France si tenne nel 1903 e il primo Giro d’Italia nel 1909. La bicicletta fu il primo mezzo meccanico a rivoluzionare i trasporti individuali dell’era industriale e trovò nel corso della sua storia, svariati impieghi, compreso quello bellico. Fu strumento di esclusiva propaganda politica per i “ciclisti rossi” (organizzazione politico-sportiva dei socialisti italiani) e per gli irredentisti italiani che, dalle regioni dell’impero, si inoltravano in territorio italiano per far opera di convincimento tra la popolazione (cfr. S. Pivato, La bicicletta, cit., pp. 135-136 e pp. 143 sg.). Questo nuovo mezzo e le relative competizioni sportive suscitarono un grande interesse di pubblico. Le gare ciclistiche contri-
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pea del Novecento aveva visto un notevole aumento del benessere anche tra le classi meno abbienti. La stessa industrializzazione, grazie alle esigenze delle moderne tecniche di produzione, se aveva reso raggiungibile per grandi masse di lavoratori l’agognata meta del “tempo libero” , aveva tuttavia creato alle classi dirigenti dei paesi capitalisti il problema di riuscire in qualche modo ad assicurarsene la gestione8. Presto infatti ci si accorse che le gare sportive, seguite da un pubblico in continuo aumento, avrebbero potuto trasformarsi facilmente in ghiotte occasioni per organizzare il consenso, fungere da valvola di sfogo delle tensioni sociali, essere motivo di aggregazione nazionale. Un ruolo determinante, in un’ottica di tal genere, assunsero, ovviamente, gli incontri sportivi internazionali.
Delle possibilità di strumentalizzazione degli incontri sportivi a fini politici si resero presto conto i nuclei dirigenti dei primi regimi totalitari che si affermarono in Europa dopo la prima guerra mondiale. Ed il primo paese che fece ampio uso dello sport per veicolare la propaganda politica, costruire il consenso attorno alle nuove-istituzioni, dare al cittadino qualcosa con cui distrarsi dalle
limitazioni della libertà politica ed individuale, attenuare i conflitti di classe ed anche suscitare sentimenti ostili nei confronti di nazioni considerate di volta in volta nemiche, fu proprio l’Italia fascista di Benito Mussolini.
La nazionale austriaca aveva una preparazione tecnica superiore a quella italiana anche perché il football era giunto nella regione danubiana dieci o vent’anni prima che in Italia9. Le squadre di questa regione avevano perciò ormai affinato una strategia di gioco che, soprattutto dopo la grande guerra, le fece diventare dei pericolosi avversari nelle trasferte all’estero e praticamente imbattibili in “casa” 10. Anche i club danubiani si affermarono presto nel panorama sportivo europeo restando per anni tra le formazioni più temibili11.
Le squadre nazionali iniziarono giocando delle gare amichevoli: il Mondiale non esisteva ancora12. L’unica occasione ufficiale di incontro era costituita dalle Olimpiadi13; fu proprio durante i giochi del 1912 che le nazionali di Austria ed Italia si incontrarono per la prima volta e gli azzurri “dovettero soccombere con mortificante punteggio di fronte ai maestri austriaci” 14. In questa im
buirono poi decisamente alla nascita della stampa sportiva specializzata la quale, in un non lontano futuro, sarebbe stata conquistata soprattutto dal calcio: nel 1896 appariva, bisettimanale, “La Gazzetta dello sport” che divenne quotidiano proprio in occasione del Giro d’Italia del 1913.8 “Il lavoratore ha più ore libere, il sistema inventa lo strumento che permette di dare anche al tempo libero una sua funzione nella riproduzione della forza-lavoro”, cfr. Gerhard Vinnai, Il calcio come ideologia, a cura di Valentino Bal- dacci, Bologna, Guaraldi, 1970, p. 16. Per Vinnai ( Il calcio come ideologia, cit., pp. 48-51) lo sport, in particolare il calcio, è in grado di ricostruire con efficacia, durante il tempo libero, un ambiente simile a quello della fabbrica (l’autore, a p. 48, confronta le tecniche dell’“allenamento” con quelle del “taylorismo”) e risulta utile quindi alla riproduzione della forza-lavoro; ma può anche coinvolgere in tale processo chi non partecipa direttamente al gioco ma ne viene sommerso “senza resistere”.9 S. Pivato, Il football: un fenomeno di frontiera. Il caso del Friuli Venezia Giulia, “Italia contemporanea”, 1991, n. 183, p. 257.10 A. Fugardi, Il calcio, cit., p. 51.11 In particolare il football austriaco potè presto vantare di possedere “gli esponenti più qualificati della scuola danubiana” che, già abbiamo visto, era, con quella inglese, una delle migliori d’Europa (cfr. A. Ghirelli, Storia del calcio, cit., p. 67).12 II primo torneo internazionale non inquadrato nei giochi olimpici fu la Coppa Rimet (dal nome del suo ideatore, Julius Rimet), divenuto poi celebre col nome di Campionato del Mondo.13 La prima Olimpiade moderna si svolse dal 5 al 15 aprile del 1896 in Grecia, ad Atene, ma il football divenne disciplina ufficiale ai giochi del 1900, cui parteciparono però soltanto tre rappresentative nazionali.14 A. Ghirelli, Storia del calcio, cit., p. 44; la partita terminò 5-1 per l’Austria.
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presa decisamente poco esaltante, gli italiani furono guidati per la prima volta dal commissario tecnico Vittorio Pozzo, “destinato a legare il proprio nome alle imprese più brillanti della Nazionale nel tardo dopoguerra” . Dopo le Olimpiadi del 1912, gli azzurri ed i bianchi si incontrarono ancora tre volte prima dello scoppio del conflitto, ma Punico risultato positivo conseguito dagli italiani fu uno 0-0 strappato a Milano nel gennaio del 1914. La superiorità del gioco austriaco era, e sarebbe rimasta a lungo, indiscutibile. D ’altronde, il grande pubblico italiano aveva appena iniziato ad interessarsi a questo nuovo sport. Le stesse autorità non ne favorirono particolarmente lo sviluppo (le partite si tenevano in stadi destinati principalmente ad altre discipline quali velodromi od ippodromi). Fu il fascismo a promuoverne decisamente la diffusione, dopo aver compreso tutte le potenzialità politiche e sociali che una adeguata gestione di questo gioco poteva offrire.
Il ruolo del calcio nella propaganda fascista
La fascistizzazione dello sport ebbe inizio nel 1925, con la nomina alla presidenza del Comitato olimpico nazionale italiano (Coni) di
Landò Ferretti. Egli ricevette il duplice incarico di convogliare le energie e gli interessi della gioventù e del pubblico verso le manifestazioni agonistiche per distrarle dalle lotte politicheIl 15 e, nel contempo, di preparare la popolazione all’attività militare attraverso gli esercizi fisici e un’oculata promozione di alcune discipline sportive16. Nel 1926, alla presidenza della Federazione italiana gioco calcio (Figc) fu nominato il gerarca e podestà di Bologna Leandro Arpinati17, il quale si dedicò al riordinamento del mondo calcistico nazionale.
Al regime nazionalista di Mussolini era noto il fenomeno di livellamento che il tifo produce nelle diverse classi sociali, trasformando gli spettatori-tifosi in una massa omogenea. Si può sostanzialmente concordare con Gerhard Vinnai quando sostiene:
L’adesione regressiva al co llettivo sollecitata dalla reviviscenza di nazionalism o in occasione d ’incontri sportivi internazionali facilita ai dominanti la trasform azione dei popoli in Gefolgschaften [masse di seguaci]. Il loro strum ento di com unicazione — legato alla scom parsa della personalità cosciente — , il grido di eccitamento preverbale, può essere ingerito [sic] allo stadio. È appena il caso di ricordare che le prime partite di calcio furono giocate alla vigilia della prim a guerra m ondiale18.
15 A. Fuganti, Il calcio, cit., p. 69.16 Lo sfruttamento delle passioni sportive, anche ad uso più propriamente militare oltre che politico, ha avuto, in tempi recenti, un nuovo sviluppo. Dopo la nascita dei primi gruppi di ultrà nelle principali città europee, il fenomeno del tifo violento ha affrontato una nuova fase evolutiva. Nella ex Jugoslavia infatti, gruppi paramilitari tra i più efferati hanno avuto origine proprio dai club ultrà più importanti. È il caso del leader delle Tigri serbe, Arkan, nome di battaglia che, secondo la tradizione hooligan, si è dato il figlio del generalissimo Razniatovic. Arkan, prima di entrare nel libro paga del governo serbo, era stato infatti uno dei capi degli hooligans della Stella rossa di Belgrado ed aveva contribuito ad organizzare, a partire dalla fine degli anni ottanta, incidenti a sfondo etnico che avevano come palcoscenico gli stadi. In seguito allo scoppio della guerra civile, egli ha potuto mettere al servizio del proprio governo l’esperienza, l’organizzazione e parte del “materiale umano” essoldato ed addestrato, anche a tecniche di guerriglia urbana, negli stadi jugoslavi. Per una breve storia del fenomeno vedi l’articolo di Laura Cortina, Da ultrà a cecchini, “Avvenimenti”, 8 febbraio 1995, p. 12.17 Arpinati fu un appassionato del football; federale di Bologna, già ferroviere anarchico, egli si legò a Mussolini e rimase sempre uno squadrista convinto. Passò alla storia del calcio per aver unificato i campionati italiani del Nord e del Sud (A. Ghirelli, Storia del calcio, cit., pp. 91-94); nel maggio del 1933, a causa delle rivalità politiche e personali con il segretario del Partito fascista, nonché Presidente del Coni, Achille Starace, Arpinati fu sostituito con il luogotenente generale della milizia Giorgio Vaccaro. Per una biografia di Arpinati vedi il saggio di Stephen B. Whitaker, Leandro Arpinati anarcoindividualista, fascista, fascista pentito, “ Italia contemporanea” , 1994, n. 196, pp. 471-489.18 G. Vinnai, Il calcio, cit., p. 116.
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L’esigenza principale del fascismo era, innanzitutto, quella di “ distrarre” i cittadini da quanto avveniva nel paese reale e all’estero, calamitando l’attenzione dell’opinione pubblica su argomenti politicamente innocui se non addirittura in grado di produrre consenso19. Lo sport, seguito da un pubblico via via più ampio, divenne dunque uno dei migliori veicoli di aggregazione e produzione del consenso. Il carattere strumentale dell’interesse fascista per lo sport può trovare conferma indiretta nello spoglio delle pagine dei quotidiani dell’epoca20. L’esaltazione delle imprese sportive veniva infatti spinta ai massimi livelli soprattutto quando mancavano altre possibilità di “ fare notizia” . Ecco così che le vittorie dei mondiali (Coppa Rimet) del 1934 e del 1938 ebbero una vasta eco, mentre le vicende che, come vedremo, turbarono la partita Italia-Austria del 1937 furono sommerse dalla cronaca del viaggio del duce in Libia e dalla consegna allo stesso della Spada dell’Islam; tutto ciò mentre in Spagna, a Guadalajara, stava volgendo al termine la prima “Caporetto” militare del regime fascista. Poiché l’Austria del 1937 era un paese politicamente amico ed ormai entrato nella sfera d’influenza tedesca, non avrebbe avuto senso, in un’ottica propagandistica, polemizzare eccessivamente con Vienna, soprattutto sulle pagine dei quotidiani. L’opposto avvenne invece a Parigi nel 1938, in occasione della terza Coppa Rimet; infatti, essendo la Fran
cia allora la meta principale del fuorusciti- smo politico italiano, l’esaltazione di un successo sportivo “ fascista” fu considerato di primaria importanza.
Per favorire la partecipazione di masse sempre crescenti di pubblico alle manifestazioni, la politica sportiva fascista sviluppò un importante piano edilizio. Vennero ri- strutturati, ampliati o costruiti ex novo un notevole numero di impianti; il calcio abbandonò le strutture provvisorie che avevano ospitato i suoi esordi per conquistarsi un suo “spazio vitale”21 e già nel 1922 si manifestò il primo significativo incremento del pubblico presente sugli spalti: proprio in occasione dell’incontro Italia-Austria del 15 gennaio, ben 20.000 persone si recarono al Velodromo Sempione di Milano, garantendo un incasso, per l’epoca, di tutto rispetto (207.000 lire)22.
Il massimo sforzo per assicurarsi invece un “ incasso politico” da una manifestazione sportiva fu compiuto dal regime in occasione della Coppa Rimet giocata in Italia nel 1934. Si deve dire che l’operazione fu coronata da un completo successo: non solo la nazionale italiana s’impossessò del trofeo ed il bilancio economico si chiuse con un notevole (ed inaspettato) attivo, ma anche, e soprattutto, la macchina propagandistica fascista potè raggiungere con poco sforzo e senza un apparente impegno politico, una grande massa di cittadini; l’adesione del pubblico fu infatti deci-
19 Per i regimi totalitari fu, ed è ancora, essenziale tenere la massa fuori dalla vita politica. “Le si lasci fare cose prive di importanza, la si lasci urlare per una squadra di calcio.” (cfr. Noam Chomsky, Il potere dei media, Firenze, Vallecchi, 1994, p. 77).20 L’esaltazione del culto della forza e del vigore fisico fornirono miti che entrarono nella tradizione fascista ed ebbero una grande influenza sull’organizzazione delle attività sportive promosse dal regime. Anche in questo caso fu determinante il momento propagandistico.21 II 29 maggio 1927 venne inaugurato, alla presenza del re, lo stadio del Littoriale di Bologna, capace di contenere 60.000 persone; si trattava del primo impianto di questo genere sorto per iniziativa pubblica. Voluto da Arpinati, fu il risultato di una lunga serie di interventi governativi volti a dare degli spazi autonomi agli sport più seguiti. In tutte le principali città del paese sorsero nuovi stadi tra i quali è il caso di ricordare il Benito Mussolini, eretto nel tempo record di 180 giorni, a Torino, in luogo del vecchio impianto del 1911 (cfr. A. Papa, G. Panico, Storia sociale, cit., pp. 144-145).22 A. Papa, G. Panico, Storia sociale, cit., p. 125; gli spettatori furono 16.000 secondo l’Almanacco del calcio, cit., p. 470.
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samente superiore al previsto. Lo stesso Mussolini ebbe modo di farsi vedere a tutte le gare e “lasciò circolare singolari fotografie che lo ritraevano alla balaustra della tribuna d’onore dello stadio negli atteggiamenti consueti non tanto al duce delle camicie nere, quanto al tifoso”23. Per ottenere il risultato ottimale, gli stadi furono messi a disposizione dietro un corrispettivo molto minore di quello normalmente in uso all’estero; concessioni ferroviarie, facilitazioni agli spettatori, agli arbitri, ai membri del comitato, esenzioni fiscali per la pubblicità, emissioni di serie speciali di francobolli, concessioni per le riprese cinematografiche e per le trasmissioni radio, nonché istruzioni particolari alla stampa nazionale affinché desse il necessario risalto alla manifestazione, costituirono la chiave di volta del successo. A coronamento finale dell’operazione, Mussolini stesso consegnò i trofei ai vincitori. A titolo di cronaca, ricordiamo che fu ancora un incontro tra Italia ed Austria, la semifinale giocata a San Siro a Milano, la partita più seguita di tutto il torneo ed anche la più redditizia. L’incasso realizzato in quell’occasione (811.526 lire) superò quello della finale che si disputò a Roma (750.000 lire circa)24.
Il football, come spettacolo popolare, rappresentò dunque, per il regime fascista, essenzialmente un veicolo di consenso, un mezzo di integrazione delle masse25 ed uno strumento d’esaltazione patriottica in grado di stimolare l’orgoglio nazionale. Mussolini, nell’anniversario della “marcia su Roma”, il 28 ottobre 1934, al raduno degli atleti di tutta Italia, al Circo Massimo, cosi si espresse: “Ricordatevi che quando combattete oltre i confini, ai vostri muscoli e soprattutto al vostro
spirito è affidato in quel momento l’onore e il prestigio sportivo della Nazione”26.
Gli incontri
Gli effetti delle decisioni politiche seguenti la fine del primo conflitto mondiale ebbero ri- percussioni pesanti anche sul mondo del football. Una parte dei vincitori cercò infatti di escludere dalla Fifa le rappresentative nazionali dei paesi sconfitti. Tra le nazionali escluse sarebbero rientrate anche tutte le squadre delle nuove realtà statuali sorte dalle ceneri del vecchio Impero austro-ungarico. Tutta la scuola danubiana, concorrente di quella inglese, avrebbe subito l’esclusione dalle competizioni internazionali. A questa decisione si opposero innanzitutto i paesi neutrali, Svizzera e Svezia. Per superare questo ostacolo, i vincitori cercarono allora di formare una nuova federazione solo tra di loro, ma a questo progetto si oppose ITtalia27. Per reazione, nell’aprile del 1920, tutte le federazioni inglesi aderenti abbandonarono la Fifa, ritirandosi in uno “splendido isolamento” 28. Di questa situazione approfittarono proprio le compagini danubiane: le squadre dei club e le nazionali di Austria, Cecoslovacchia ed Ungheria diventarono le “regine” della scena calcistica.
Il primo incontro del dopoguerra tra Italia ed Austria si tenne a Milano, al Velodromo Sempione, il 15 gennaio 1922. Esso, come abbiamo visto, segnò la prima impennata nell’affluenza di pubblico allo stadio. La partita amichevole, che terminò con un pareggio, risultato pienamente soddisfacente agli occhi dei tecnici italiani, ebbe l’importante effetto
23 A. Ghirelli, Storia del calcio, cit., p. 133.24 A. Ghirelli, Storia del calcio, cit., pp. 132-134.25 Pierre Milza, Il football italiano. Una storia lunga un secolo, “Italia contemporanea”, 1991, n. 183, p. 245.26 A. Ghirelli, Storia del calcio, cit., p. 86.27 Probabilmente non per spirito sportivo, ma per il deteriorarsi dei rapporti con gli alleati a causa delle controversie sorte durante le trattative di pace che furono all’origine, in Italia, del mito della “vittoria mutilata”.28 A. Fugardi, Il calcio, cit., p. 50.
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politico di rompere l’isolamento sportivo austriaco. La partita successiva, sempre un’amichevole, si giocò a Vienna. Anche rincontro giocato all’Hohe Warte il 15 aprile 1923, di fronte ad una folla di 85.000 spettatori, finì con un pareggio senza reti (per la felicità degli azzurri, già soddisfatti di essere usciti indenni dalla capitale austriaca). Ma questa volta, prima della gara, sorsero polemiche di natura politica. Il 28 ottobre 1922 i fascisti avevano “marciato su Roma” e Mussolini aveva preso le redini del governo. Il fascismo si stava lanciando alla conquista delle istituzioni e ciò non aveva mancato di suscitare apprensioni all’estero. Nella “Vienna rossa” , poi, la situazione italiana era seguita con particolare attenzione, anche nel timore che l’esempio fascista potesse essere imitato.
L’organo del Partito comunista austriaco “ Die Rothe Fahne” , l’i l aprile 1923 uscì con un articolo nel quale si affermava che duemila fascisti avrebbero voluto recarsi a Vienna per assistere all’incontro, ma anche, e soprattutto, per dimostrare la effettiva “unità di fronte” tra Mussolini ed il cancelliere federale Seipel, leader dei cristiano-sociali. Il breve articolo si concludeva incitando i lavoratori ad ostacolare in ogni modo tali propositi e ricordando come la “coscienza di classe proletaria” dei compagni tedeschi era recentemente riuscita ad impedire ad un gruppo di fascisti di recarsi in visita in Ger-
• 29mania .Il capo della polizia Schober si affrettò a
mettere al corrente della situazione il ministero degli Esteri, riferendo che il 14 aprile sarebbero giunti a Vienna i trenta membri della comitiva sportiva italiana (giocatori, tecnici, funzionari e giornalisti) e aggiungendo che la notizia data dal giornale comunista non
aveva ancora trovato conferma in quanto, fino a quel momento, nessun altro biglietto era stato venduto ad italiani anche se non si escludeva la possibilità che ciò potesse ancora accadere. Tra gli italiani che molto probabilmente si sarebbero recati all’Hohe Warte, c’era da annoverare il personale diplomatico dell’ambasciata e parte dei membri della comunità italiana, in totale circa duecento persone. Nel suo rapporto, Schober faceva anche notare il carattere di revanche che la partita aveva rispetto all’incontro di Milano e non mancava di evidenziare che la Figc era stata la prima federazione dell’Intesa a voler incontrare la nazionale austriaca e che essa era un’associazione apolitica. Escludeva quindi ogni possibile collegamento tra questo incontro e la situazione politica29 30. Con queste ultime osservazioni, in realtà, Schober assegnava alla partita proprio il carattere politico che il suo rapporto intendeva negare; quale altro significato dare infatti all’uso del congiuntivo del verbo essere (sei) riferito al sostantivo Fussballverband (federazione calcio), uso che attribuisce un carattere dubitativo all’affermazione di apoliticità della stessa? E ancora, come valutare il giudizio implicitamente positivo sulla rottura dell’embargo sportivo dell’Intesa? In ogni caso, l’amichevole si concluse senza incidenti (anche per il risultato di parità che acconten- tò-scontentò tutti) e la comitiva azzurra ripartì tranquillamente per l’Italia31.
La partita successiva (amichevole) si giocò il 20 gennaio 1924, a Genova, e per gli italiani si risolse in una “ Caporetto” calcistica. Il Wunderteam, guidato dal “ mago” Hugo Meisl, violò per ben quattro volte la rete azzurra. Le attenzioni di Mussolini erano allora concentrate sulla lotta politica interna e
29 Le notizie riguardanti l’incontro e l’articolo del giornale “Die Rothe Fahne” si trovano in un rapporto dell’11 aprile 1923 indirizzato al ministero degli Esteri austriaco e firmato dal capo della Direzione generale di polizia, Schober, in Österreichisches Staatsarchiv, Vienna, Archiv der Republick, Auswärtige Angelegenheiten, Neues Politisches Archiv (d’ora in poi Ö StA, NPA), Liasse Österreich (d’ora in avanti Li. Ö.) 2/4-1923, K. 224, ZI. 1.074-1-23.10 Rapporto Schober, Vienna 11 aprile 1923, loc. cit.31 Rapporto Schober, Vienna 17 aprile 1923, in Ö StA, NPA, Li. Ö 2/4-1923, K. 224, ZI. 1.138-1-23.
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sulle elezioni (le prime con il nuovo sistema maggioritario, che si tennero nell’aprile del 1924). Egli non aveva ancora consolidato il suo potere e forti, pur se divise, restavano le opposizioni. Inoltre, aveva dovuto ‘metter ordine’ aH’interno dello stesso movimento fascista, al fine di renderlo più docile ai suoi voleri. Infine, per quanto riguarda la politica estera, egli aveva ottenuto una positiva ricaduta d’immagine dalla stipula, il 27 gennaio 1924, dell’accordo quinquennale d’amicizia con la Jugoslavia, grazie al quale fu risolta la questione di Fiume. In questo contesto, la sconfitta della nazionale italiana a Genova divenne certamente più digeribile per un Mussolini troppo affaccendato per prestare attenzione al football. U n’eco del match di Genova si ritrova in alcuni giornali che riportarono la notizia, peraltro innocente, di una partita che un gruppo di bambini romani aveva giocato nel quartiere di Roma ove aveva sede l’Ambasciata austriaca, dividendosi in due squadre per imitare rincontro appena conclusosi. Il rapporto dell’ambasciatore al ministro degli Esteri a Vienna considerò comunque il fatto una ragazzata non degna di essere oggetto di attenzione da parte di un ufficio diplomatico32.
Un incidente più significativo si ebbe nel marzo del 1926. Superata la crisi politica causata dal delitto M atteotti, tra il 1925 ed il 1926 Mussolini iniziò la “ fascistizzazione” definitiva dello Stato, eliminando ogni opposizione legale. Questa operazione coinvolse anche le regioni ove forte era la presenza di minoranze nazionali. L’Alto Adige fu dura
mente colpito dalla politica di italianizzazione imposta dai fascisti. Ciò non mancò di suscitare proteste in Austria. Nel marzo del 1926, la Federazione del calcio di Vienna, prese nettamente posizione contro un discorso di Mussolini proprio sulla questione dell’Alto Adige e si rifiutò di partecipare al congresso delle federazioni che avrebbe dovuto tenersi a Roma, nel maggio seguente. Tale presa di posizione suscitò una violenta reazione italiana. Il Consiglio della Figc, ormai asservito alla politica fascista, per ritorsione dichiarò “ troncato nel modo più completo ogni rapporto colla suddetta Federazione” e non mancò di ricordare, come se si trattasse di un debito da pagare, “il gesto di gentilezza latina”33 compiuto dalla magnanima Italia consentendo alla sconfitta Austria di giocare con la nazionale italiana neU’immediato dopoguerra. Non ancora soddisfatto, il Consiglio federale proseguiva
riaffermando la sua fede schiettamente italiana e rigidamente ispirata alle direttive nazionali del governo, orgoglio e vanto della patria che ascende, plaude alle parole veramente romane pronunciate da S.E. il Presidente del Consiglio, conclamando anche in nome dello sport la inviolabile italianità dell’Alto Adige e di fronte alle inconcepibili ingiurie lanciate dalla federazione austriaca, ingiurie che solo possono trovare una attenuazione nella miseria culturale di chi le ha proferite,
e annunciava la decisione di “ togliere dalla sede federale tutti i gagliardetti che ricorda[- va]no tutti gli incontri internazionali con la squadra d’Austria”34. Del caso dovette occu-
32 Rapporto dell’ambasciatore austriaco al ministro degli Esteri Alfred Grünberger, 23 gennaio 1924, in Ö StA, NPA, Originalberichte der Österreichischen Gesandtschaften und Konsularämter (d’ora in poi Ob, 1921-1923, K. 77 Rom Quirinal, ZI. 11.420-17-24.33 II comunicato della Figc, pubblicato da “Giornale d’Italia” il 26 marzo 1926, è contenuto in un trafiletto allegato al rapporto delfambasciatore austriaco a Roma, indirizzato al cancelliere federale Ramek (Ö StA, NPA, Ob, 1925-1926, K. 77 Rom Quirinal, ZI. 11.678-13-26).
Per quanto tragicamente comiche possano risultare le parole della Figc, non bisogna dimenticare che un simile linguaggio costituì una delle basi della propaganda fascista ed ebbe una funzione di primo piano nell’organizzazione del consenso. Per un’analisi del lessico fascista vedi Enzo Golino, Parola di duce. Il linguaggio totalitario del fascismo, Milano, Rizzoli, 1994.
Propaganda e sport negli anni trenta 529
parsi la legazione austriaca in Italia e l’ambasciatore di Vienna pensò bene di addossare la responsabilità integrale di quanto era avvenuto ai socialdemocratici, facendo anche presente alle autorità italiane come molti circoli austriaci avessero immediatamente condannato questa commistione ( Vermischung) di politica e sport35.
In ogni caso, tra gli azzurri italiani ed i bianchi austriaci non si tennero incontri fino alla partita di Coppa internazionale giocata a Bologna il 6 novembre 1927. Questa partita (vinta dall’Austria) ed il successivo pareggio nell’amichevole giocata a Roma 1’ 11 novembre 1928, allo Stadio nazionale del Partito nazionale fascista, non diedero origine ad incidenti di rilievo36.
Il 7 aprile 1929
Nella primavera del 1929 venne giocato, tra le due nazionali, un incontro amichevole che non mancò di suscitare polemiche37. Gli azzurri questa volta uscirono con le ossa rotte dall’Hohe Warte di Vienna; “il gioco pesante degli austriaci, di cui restò vittima soprattutto Janni, rimpatriato con una gamba spezzata, e un’autorete di Pitto contribuirono alla ro tta” 38. Ormai il regime fascista non poteva più accettare sconfitte, neppure in campo sportivo. Men che meno le poteva
digerire se avvenivano ad opera di una piccola nazione, già battuta nella “partita di Vittorio Veneto” , considerata uno Stato di “serie B” e priva quindi del diritto stesso di affrontare vittoriosamente l’Italia anche sul piano sportivo. Se poi rincontro si chiudeva, come accadde il 7 aprile, con il terribile punteggio di 3-0, ecco che l’orgoglio ferito dei fascisti doveva trovare modo di sfogarsi: la macchina propagandistica di Mussolini non poteva permettere che agli italiani venisse in mente un facile raffronto tra l’epilogo della partita di Vienna e la disfatta di Caporetto (certo ancora viva nella memoria collettiva della popolazione)!
Fu probabilmente anche per questo che la diplomazia italiana creò un incidente che avvelenò, in parte, la bella vittoria degli austriaci, la cui superiorità fu riconosciuta da tutti39. Il Wunderteam di Meisl travolse gli azzurri in una partita cominciata all’insegna degli equivoci. Infatti, non è chiaro se per un atto premeditato o a causa di una banale serie di gaffe degli organizzatori, la banda, al momento di suonare i rispettivi inni nazionali, commise il clamoroso errore di intonare, in luogo della Marcia reale dei Savoia, una qualunque canzone italiana ( Santa Lucia, secondo un giornale italiano40). Anche con le bandiere si ebbero degli assurdi problemi; il tricolore italiano fu infatti issato e subito strappato dal vento (secondo la versione austria-
35 Ö StA, NPA, Ob, 1925-1926, K. 77 Rom Quirinal, ZI. 11.678-13-26.36 A parte l’assenza di motivazioni per il nascere di contrasti in seguito a queste due partite, è probabile che anche la politica italiana di assistenza ai cristiano-sociali austriaci abbia giocato un ruolo moderatore.37 Su questo incontro esiste un fascicolo specifico contenente i rapporti di polizia e diplomatici, nonché numerosi articoli di giornali, in Ö StA, NPA, Liasse Italien (Li. It.), 1/1 1918-1929, K. 583, fascicolo “Länderspiel Österreich-Italien, 7. April 1929; Fahnen Affaire”.38 Cfr. A. Ghirelli, Storia del calcio, cit., p. 101.39 Un quotidiano di partito scrisse infatti che l’Italia era stata battuta seccamente; avevano influito negativamente sulla resa degli azzurri anche il maltempo (ci fu persino una tempesta di neve), il gioco duro degli avversari e la “villanità” del pubblico, ma l’autore dell’articolo non poteva esimersi dal riconoscere la superiorità dei bianchi. Lamentava soltanto l’assenza dal terreno di gioco dello stesso Hugo Meisl (ammalato), il quale, “amico leale e fervido dell’Italia” , avrebbe forse potuto rimediare alle intemperanze avvenute in campo e sugli spalti; cfr. “Il Popolo di Trieste del lunedi” , 8 aprile 1929, p. 6. Anche il segretario generale della Figc, Zanetti, considerò meritata la vittoria dei padroni di casa, ma affermò che gli azzurri avrebbero meritato di segnare almeno una rete; cfr. “Wiener Montagblatt”, 8 aprile 1929, p. 9.40 “Il Piccolo di Trieste”, 10 aprile 1929, p. 3.
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ca), o non fu issato affatto e venne sostituito da una bandiera ungherese, anch’essa tricolore ma con i colori disposti orizzontalmente (secondo la versione italiana). Salde sulle proprie aste restarono, tra l’irritazione dei fascisti presenti, l’odiata bandiera inglese, quella austriaca e quella ungherese.
Sembra effettivamente che, sin dall’inizio della partita, il gioco austriaco fosse diventato pesante, tanto da far scoppiare liti in campo ed accendere gli animi dei tifosi, i quali si scatenarono (almeno secondo le fonti italiane) in una serie di insulti e “villanerie” d’ogni sorta, passando da un innocuo “tutti i frutti maccaroni spaghetti”41 ai più offensivi “Schweine und Katzelmacher”42 43. Darsi rispettivamente dei maiali (Schweine) doveva essere quasi divenuta una prassi giornalistica del tempo; anche 1’ “ Impero” del 10 aprile usciva con un articolo nel quale (secondo la traduzione fornita dalla stampa viennese) cosi si scriveva:
Was fü r eine Schweinerei ist heute eigentlicht Wien? Eine Schweinerei war es schon immer, aber es hatte wenigstens seine Brötchen, seine Walzer, seine Dirnen und seinen Galgenkaiser. Aber jetzt? Jetzt ist es nichts als ein häufen Beutelschneider, gemeinster homosexueller und widerwärtigster Zuhälter42,.
Ciò che conta non è quindi il risultato dell’in
contro ma la violenza con la quale la stampa italiana reagì alla sconfitta e a un incidente (quello della bandiera e dell’inno nazionale) decisamente indegno di tanta attenzione44. Non bisogna dimenticare però che, fin dal 1926, tutta la stampa era ormai asservita al fascismo e da esso controllata. Nulla che non avesse ottenuto un preventivo avallo, o non fosse stato direttamente ispirato dal regime, sarebbe mai stato pubblicato da un cosi grande numero di testate. La campagna di stampa fu di una violenza incredibile, arrogante ed offensiva, e giunse ai livelli più infimi dell’arte giornalistica. Tutte le armi furono usate per insultare l’Austria e i suoi atleti, “colpevoli di una vittoria, sia pure conseguita attraverso fortunose e fortunate vicende”45, mentre aveva perso una “ben altra partita vinta dieci anni or sono dagli italiani quando non due squadre soltanto, ma due popoli, con la loro forza e le loro tradizioni, erano l’uno contro l’altro armati”46. La stampa austriaca e, di riflesso, lo stesso governo furono accusati di odio antiitaliano, di aver sfruttato lo sport per fini politici (!), di aver tradito la generosa amicizia dellTtalia. Come ricordò il “Giornale d’Italia” : “L’Austria ha avuto frequente bisogno di aiuti; prima fra tutti i paesi, l’Italia generosamente li ha dati. L’Austria ha bisogno ancora di aiuti; ma sarà bene che l’Italia misuri ora
41 “Wiener Montagblatt” , 8 aprile 1929, p. 10.42 Maiali e Katzelmacher, parola di difficile traduzione che paragona gli italiani ai gatti a causa dell’asserita comune consuetudine ad avere una numerosa prole; cfr. la rassegna stampa dei giornali italiani compresi in “Lauderspiel Österreich Italien”, Fahnen Affaire, 7. April 1929, loc. cit. a nota 37; tali offese furono in particolare riportate da “Il Resto del Carlino” del 16 aprile e da “La Stampa” del 13.43 “Che porcheria è veramente oggi Vienna? Una schifezza lo è sempre stata, ma almeno aveva i suoi panini, i suoi valzer, le sue puttanelle ed il suo Kaiser forcaiolo. Ma adesso? Ora non è altro che un covo di tagliaborse, sporchi omosessuali e luridi ruffiani” . Si tratta di una traduzione, riportata sulla “Neue Freie Presse, Morgenblatt” dell’ 11 aprile, contenuta nella raccolta di articoli della stampa austriaca allegati ad un rapporto della Cancelleria federale del giorno precedente; cfr. Ö StA, NPA, Li. It., 1/1 1918-1929, K. 583, ZI. 21.524-13-29.44 Un unico incidente di natura decisamente “extrasportiva” avvenne subito dopo la fine della partita e fu provocato da un gruppo di quindici giovani camicie nere che, raggiunto il terreno di gioco, si misero a provocare il pubblico mentre lasciava lo stadio gridando, “evviva Mussolini” e cantando arie fasciste; il pubblico, dapprima meravigliato, reagì infine alla provocazione cercando di superare il cordone della polizia per aggredire i fascisti, senza però riuscirvi; cfr. “Der Montag mit dem Sport-Montag”, edizione speciale, 8 aprile 1929, p. 2.45 “ Il Piccolo di Trieste”, 9 aprile 1929, p. 3.46 Articolo in italiano da il “Popolo d’Italia” del 10 aprile, in Ö StA, NPA, Li. It., loc. cit. a nota 43.
Propaganda e sport negli anni trenta 531
la sua generosità e faccia valere i suoi diritti della guerra e della vittoria”47. Dopo aver cosi elegantemente ricordato gli esiti del conflitto,10 stesso giornale concludeva l’articolo con la sorda minaccia che l’Italia avrebbe saputo trarre dall’accaduto le “necessarie conclusioni” . Ancora più stupidamente minacciose furono poi le parole dell’ “Impero” nei confronti dei “barbari” viennesi; secondo il giornale,
11 giorno che arriveremo alla discussione con l’Austria, questa discussione durerà solo pochi secondi e la parola l’avranno solo le nostre bombe. Come i vendicatori dell’um anità intera che fin troppo a lungo è stata insultata da quella disgustosa cosa che gli uomini chiamano Austria48.
Nel partecipare alla gara delle offese e delle minacce si segnalò anche “Il Piccolo di Trieste” , il quale spiegò l’assenza di “ stile” dei viennesi con la “ troppa birra, troppa fisarmonica e troppa voglia di vivere a buon mercato” e che, già che c’era, pensò di attribuire loro una incongrua codardia in battaglia, asserendo che la loro arma migliore era stata sempre “ il foglio di esonero!” . Da parte di questo giornale, quotidiano di un porto, creato e vissuto soprattutto per volontà austriaca, non mancò pure il grossolano accenno alla perdita dello sbocco adriatico da parte dell’Austria divenuta una repubblica, “da qualche tempo [...] in fregola [...] di provocazioni verso l’Italia” , che “[...] ha il suo mare sulle rive del Danubio” . Per non essere da meno dell’ “Impero” , di fronte all’errore nell’esecuzione della Marcia reale, i redattori del “Piccolo” si chiedevano infine se Vienna
avrebbe avuto abbastanza spirito per ripetere il gesto ironico di fronte ai 25.000 alpini che nella
stessa ora si raccoglievano in Roma, tra il Colosseo e il Quirinale, salutati dal Re, benedetti dal Papa e comandati dal Duce49.
In realtà, le scuse degli organizzatori dell’incontro erano state già ufficialmente rivolte alla nazionale azzurra in occasione del banchetto seguito al match. Alla cena si erano rifiutati di partecipare i rappresentanti della Figc, ma era intervenuta la squadra, accompagnata solamente dall’ingegner Ottorino Barassi, segretario della Federazione italiana. Gli austriaci si prodigarono in tutti i modi per far dimenticare le loro mancanze organizzative ed arrivarono a far suonare “Addio mia bella addio e La Bella gigogin, canti del passato che avrebbero amareggiato gli austriaci dell’impero ed i socialdemocratici della repubblica Viennese”50. La sala della cena fu drappeggiata in bianco rosso e verde e l’orchestra “mise nel suo programma tutto il repertorio italiano possibile ed immaginabile”51.
Fu il presidente della Federazione austriaca, Richard Eberstaller, a fare le scuse ufficiali, chiedendo che non fosse male interpretata la loro fallace organizzazione. I fascisti, tuttavia, per giustificare i loro attacchi, utilizzarono i giornali socialisti austriaci, usciti il giorno successivo all’evento. Il bersaglio prediletto fu, come di regola, l’organo dei social- democratici, 1’ “Arbeiter-Zeitung” , il quale aveva, tra l’altro, piaudito ai fischi indirizzati ai fascisti italiani.
L’esagerata ed arrogante reazione italiana all’epilogo della partita non mancò di infastidire anche le istituzioni austriache. L’ambasciatore di Vienna a Roma, Lothar Egger, ricevette infatti istruzione di rispondere agli “inqualificabili” attacchi di “alcuni giornali
47 Citazione da “Il Giornale d’Italia”, riportata nell’articolo de “Il Popolo d’Italia” del 10 aprile, in Ò StA, NPA, Li. It., ZI. 21.549-13-29.48 Traduzione in tedesco ripresa dalla “Neue Freie Presse, Morgenblatt”, in Ò StA, NPA, Li. It., ZI. 21.524-13-29.49 “Il Piccolo di Trieste” , 10 aprile 1929, p. 3.50 “Il Piccolo di Trieste” , 9 aprile 1929, p. 3.51 “Il Piccolo di Trieste” , 9 aprile 1929, p. 3.
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italiani” (identificati come gli unici responsabili della campagna denigratoria) e di portare a conoscenza delle massime autorità romane la versione austriaca52. Venne ribadito che la bandiera italiana, effettivamente issata, era poi stata strappata dal forte vento e sostituita con un tricolore ungherese53. L’errata esecuzione della Marcia reale fu addebitata al direttore della banda e si fece notare come, a Vienna, già in precedenza fosse stato commesso lo stesso sbaglio e nessuno si fosse lam entato54. E interessante notare che, sulla lettera di istruzioni inviata all’ambasciatore austriaco a Roma, le righe che criticavano gli italiani per non aver atteso la fine dell’inno federale austriaco e per essersi subito diretti a centro campo con l’intenzione di fare una foto di gruppo risultavano cancellate a mano, mentre si sottolineava la compostezza dei giocatori austriaci di fronte a quello che essi pensavano fosse l’inno italiano. Si faceva anche notare che le scuse per i malintesi organizzativi erano immediatamente succedute all’incontro, già al banchetto d’onore, e che, all’inizio della partita, gli azzurri erano stati calorosamente salutati dal pubblico e che il loro saluto romano era stato seguito da pochissime proteste.
Per dar maggior peso alle proprie giustificazioni, la Cancelleria federale decise anche di citare fonti straniere che suffragavano l’interpretazione austriaca dei fatti55. Ma, proprio mentre le autorità austriache stavano preparando l’offensiva diplomatica destinata a portare a conoscenza della controparte le loro ragioni, giunse a Vienna una comunicazione confidenziale di Egger nella
quale l’ambasciatore riferiva di aver incontrato il ministro degli Esteri Guariglia, il quale gli aveva comunicato che il caso aveva “perso ogni urgenza” per gli italiani. Tutto il materiale raccolto dalla Cancelleria federale (testimonianze neutrali, articoli della stampa estera e così via) fu dunque acquisito soltanto in via “informativa ed illustrativa” dagli italiani e Guariglia chiese che si occupassero dell’accaduto soltanto gli organi sportivi competenti. Il ministro italiano aveva concluso il colloquio con Egger discutendo della prossima visita a Vienna del maestro Toscanini e dell’orchestra della Scala di Milano e augurandosi un esito positivo della manifestazione56. Come mai lo scandalo denunciato dagli italiani con toni così duri si chiuse tanto celermente? E probabile che, essendo stati raggiunti gli obiettivi di questa operazione, non fosse più politica- mente utile insistere sull’accaduto rischiando di compromettere i rapporti con il governo austriaco. Era stata infatti abilmente nascosta e poi sfruttata la sconfitta degli azzurri. Pochi fischi, un inno sbagliato e una bandiera ungherese erano riusciti a provocare, grazie anche agli articoli della stampa socialista viennese, il pretesto per un attacco al governo socialdemocratico della capitale ed a sottolineare, presso gli amici del Partito cristiano-sociale, l’insofferenza italiana per una situazione che vedeva l’amministrazione di Vienna ancora in mano alle sinistre, mentre il governo nazionale era nelle mani dei conservatori.
Mussolini avrebbe insomma approfittato dell’occasione per concertare un’offensiva,
52 Ò StA, NPA, Li. Italien, 1/1 1918-1929, K. 583, ZI. 21.524-13-295j Rapporto della Bundes-Polizeidirektion in Wien (d’ora in poi BPd W) all’ufficio del cancelliere federale, 11 aprile 1929, in Ó StA, NPA, Li. It„ ZI. 21.545-13-29, p. 2.54 Rapporto BPd W all’ufficio del cancelliere federale, 11 aprile 1929, in Ò StA, NPA, Li. Italien, ZI. 21.538-13-8-29, p. 3.55 Rapporto del Bundeskanzleramt (d’ora in poi BKA) a Egger, 20 aprile 1929, contenente alcune dichiarazioni rilasciate in tal senso da un arbitro inglese e dal segretario generale della Federazione ungherese del calcio, in Ó StA, NPA, Li. Italien, ZI. 21.708-13-29.56 Nota confidenziale di Egger al cancelliere Ernst Streeruwitz, 8 maggio 1929, in Ò StA, NPA, Li. It., ZI. 22.044-13-29.
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complice tutta la stampa italiana, che mettesse di fronte gli “amici” cristiano-sociali alla necessità, più volte ribadita, di giungere alla liquidazione del “bubbone” rosso di Vienna. Del fatto non si resero conto gli austriaci, sicuramente non la stampa che molto si meravigliò e, con ragione, si indignò per gli attacchi ingiustificati di parte italiana. Forse l’unico a cogliere la situazione fu un giornale tedesco di Praga, la “Deutsche Presse” , la quale scrisse che nemmeno dopo le undici battaglie dell’Isonzo l’Italia si era permessa di insultare così gravemente l’Austria ma allora, continuava l’articolo, “l’Italia non era ancora fascista”57.
L’Italia dei titoli mondiali
Nell’autunno del 1929, Vittorio Pozzo assunse la guida della nazionale. Aveva vissuto molto all’estero, soprattutto in Inghilterra, ed era quindi a conoscenza anche della tecnica d’Oltre Manica. “ Il regime fascista individuò in lui l’uomo ideale per deviare nel calcio la carica emotiva delle masse, in quanto egli
stesso fermamente credeva nello sport come in una sorta di mito insieme religioso e patriottico”58. Fu lui a guidare il team azzurro in quello che fu 1’ “anno trionfale per il nostro football: forse il più perentorio e positivo di tutta la storia calcistica”59. Nella carica di commissario unico riuscì a modellare una squadra dagli eccezionali caratteri agonistici. Pozzo assicurò alla nazionale un notevole numero di ottimi giocatori, alcuni dei quali, nonostante il divieto sancito dalla Carta di Viareggio60 del 1926, provenivano dall’estero61. Tra i campioni di Pozzo va ricordato Giuseppe Meazza dell’Ambrosiana calcio di Milano62, il quale fu, per anni, uno degli astri del football italiano.
Dopo i fatti del 1929, gli azzurri ed i bianchi si incontrarono a Milano, il 22 febbraio 1931, in occasione della seconda edizione della Coppa internazionale e, per la prima volta, a San Siro, di fronte a circa 45.000 spettatori, la nazionale italiana riuscì a piegare l’ormai mitico avversario. Il pubblico di Milano ‘delirante’ per la vittoria degli azzurri, che avevano “ rotto l’incantesimo sbaragliando la nazionale bianca che da 19 anni resisteva ai
57 Articolo del 13 aprile 1929, riferito in una rassegna stampa inclusa nel fascicolo sull’incontro citato a nota 37.58 A. Ghirelli, Storia de! calcio, cit., p. 107.59 A. Ghirelli, Storia del calcio, p. 108.60 La Carta di Viareggio regolò l’organizzazione del mondo calcistico italiano ed istituì il campionato unico nazionale. Contemporaneamente il Coni fu messo alle dipendenze del Partito nazionale fascista. Tra l'altro, la Carta stabili le norme in fatto di stranieri impedendo l’immigrazione di nuovi sportivi.61 In deroga al divieto, fu concesso a numerosi giocatori sudamericani di entrare in Italia. Ciò fu reso possibile dal fatto, che molti di essi erano figli di cittadini italiani emigrati in America alla fine dell’Ottocento. Con questo escamotage entrarono nella squadra di Pozzo degli uomini che seppero influire sulla stessa tattica di gioco collocando “l’esperienza italiana, unica al mondo, nel crocevia dei continenti del football” (cfr. A. Papa, G. Panico, Storia sociale, cit., p. 163). Alla vigilia della guerra d’Etiopia, alcuni di essi, tra i quali Enrico Guaita, azzurro di grandi qualità agonistiche, fuggirono dal paese per evitare la chiamata alle armi e l’obbligo di una esplicita adesione al regime, sollevando uno scandalo nazionale che venne sfruttato dal fascismo “per rinforzare i toni sciovinistici della sua propaganda nel settore sportivo” (cfr. A. Ghirelli, Storia del calcio, cit., p. 145).62 L’Ambrosiana calcio altro non è che L’Internazionale di Milano. II nome originale della squadra fu cambiato dai fascisti forse, come sostiene Gianni Brera, proprio “in odio a Carlo Marx”, durante la corsa alla nazionalizzazione linguistica (cfr. Gianni Brera, Storia critica del calcio italiano, Milano, Bompiani, 1975, p. 99). Come l’Inter, anche il Genoa fu “italianizzato” in Genova; perfino i cognomi di alcuni giocatori dovettero subire delle modifiche perché fossero accettabili al nuovo clima “romano” della penisola: Gino Colaussi fu il nome assunto, per esempio, dallo “slavo-triestino” Colauseig (G. Brera, Storia critica, cit., pp. 164-165). Atleta della triestina e della nazionale, Colaussi mise a segno ben quindici goal giocando negli azzurri; alcuni di essi furono determinanti, come ad esempio i due (su quattro) segnati durante la finale della terza edizione della Coppa Rimet, Italia-Ungheria, nel giugno del 1938.
534 Diego Cante
loro assalti”63, costrinse l’organizzazione a ritardare di diversi minuti la ripresa del gioco dopo il secondo goal; ma nessuno stavolta si sognò di agire per vie diplomatiche. La vittoria fu celebrata naturalmente con tutti i fasti propri della macchina propagandistica del regime.
Se l’incubo dell’imbattibilità austriaca era finito, restava ora da espugnare Vienna. Gli azzurri di Pozzo ci provarono l’anno dopo. L’incontro di Coppa internazionale (secondo torneo) si tenne al nuovo stadio del Prater, terreno di gioco di tutte le successive gare tra le due nazionali in Austria, il 20 marzo 1932. Il Wunderteam non deluse però le aspettative degli oltre 60.000 viennesi presenti e si aggiudicò l’incontro. Come di consueto, il saluto romano dei giocatori italiani venne fischiato e dileggiato dal pubblico quantunque, secondo le fonti di polizia, le “singole” grida di scherno furono subito sommerse dall’entusiasmo della folla per l’entrata in campo del Wunderteam. La stessa scena si ripetè alla fine dell’incontro, al momento del commiato dal pubblico, quando, come d’abitudine, gli azzurri levarono il braccio nel saluto fascista. Ma, anche in questa occasione, il pubblico non si unì ai fischi e agli insulti levatisi da una parte della tifoseria64. Il silenzio della diplomazia italiana di fronte a questi episodi può essere in parte spiegato considerando i mutamenti che stavano maturando nella politica. Nel settembre del 1932 Mussolini assunse nuovamente il ministero degli Esteri in luogo di Dino Grandi ed il triestino Fulvio Suvich fu nominato sottosegretario. La politica estera fascista divenne, da allora, più ardita. La rinascita della potenza germanica rese più movimentata la situazione euro
pea e Mussolini cercò di trarne dei vantaggi. I problemi maggiori nelle relazioni con Berlino, e con i nazisti dal 1933 in poi, sarebbero però stati chiaramente l’Alto Adige e la questione austriaca. Per questo motivo, forse, in occasione della sconfitta del Prater del 1932, nonostante i fischi e gli insulti guadagnati dal saluto romano, la diplomazia italiana non proferì verbo.
Nel 1934 gli azzurri ed i bianchi si incontrarono due volte, sempre in Italia. La prima partita vide gli uomini di Meisl travolgere gli italiani allo stadio Benito Mussolini di Torino. LT1 febbraio, davanti a 54.000 spettatori, la nazionale italiana perse la quinta gara del terzo torneo di Coppa internazionale. Ma il 1934 fu anche l’anno del primo titolo mondiale azzurro. Venne conquistato a Roma, contro la Cecoslovacchia, dopo “ due ore di epica lotta”65, il 10 giugno. La partita più seguita fu però la semifinale di Milano, giocata a San Siro il 3 giugno, contro l’Austria di Meisl. Grazie ad una rete del sudamericano Guaita, gli italiani si aggiudicarono la finale. Fu lo stesso allenatore dei bianchi a definire “equo” il risultato66. Anche se indubbio fu il valore dei giocatori italiani, non mancò chi accusò gli arbitri di aver favorito gli azzurri per facilitarne la vittoria67; che fosse vero o meno, il sospetto generato dal fascismo aveva, in parte, avvelenato il torneo.
La fine di un mito
Dopo gli allori della Coppa Rimet, che avevano consacrato il football italiano come uno dei migliori del mondo, per Pozzo e compagni venne anche il momento di espugnare il
63 “Il Popolo di Trieste del lunedi”, 23 febbraio 1931, p. 5.64 Questo almeno era il contenuto del rapporto della Direzione di polizia, teso a sminuire sia la portata degli incidenti (“esagerate” vengono infatti definite le notizie apparse su alcuni quotidiani), sia a controbattere le accuse della stampa viennese riguardo la gestione del traffico.65 “Il Popolo di Trieste del lunedi”, 4 giugno 1934, p. 5.66 “Il Popolo di Trieste del lunedì”, 4 giugno 1934, p. 5.67 G. Brera, Storia critica, cit., p. 162.
Propaganda e sport negli anni trenta 535
Prater. L’incontro tra italiani e austriaci fu fissato per il 17 febbraio del 1935. Gli organizzatori però non si resero subito conto che la partita di Coppa internazionale si sarebbe svolta proprio nelFanniversario della guerra civile del 1934. D’altronde, in un anno, la stessa situazione internazionale era molto mutata. Infatti, l’influenza tedesca stava crescendo in tutta l’Europa dell’Est ed in Austria i nazisti, dopo il tentativo di golpe, ove aveva trovato la morte il neodittatore Dollfuß, stavano potenziando la rete illegale e sfruttavano ogni occasione propizia a fini propagandistici. Mussolini, che era stato il principale fautore di una indipendenza austriaca sotto la protezione italiana, si stava rendendo conto dell’impossibilità di reggere la concorrenza tedesca nella regione danubiana e presto avrebbe rivolto le sue attenzioni all’Africa, abbandonando Vienna nelle mani naziste. Ad un anno esatto dalla rivolta del 1934, la situazione interna dell’Austria era ancora instabile. Non solo i socialisti e i nazisti, entrambi posti fuori legge, si erano riorganizzati illegalmente, ma tra i due movimenti clandestini vi erano stati anche dei contatti al fine di rendere più difficile la vita al regime. La partita di calcio contro l’Italia di Mussolini (che nel 1934, in occasione del fallito putsch aveva mobilitato le truppe al confine con l’Austria per significare con chiarezza a Berlino le proprie intenzioni) avrebbe facilmente potuto trasformarsi in un momento propagandistico per le opposizioni illegali.
Memori dei precedenti, le autorità di polizia della capitale sconsigliarono la Cancelle
ria di far tenere rincontro proprio nei giorni della rivolta dell’anno prima. La partita, in Italia, era stata oggetto di grande pubblicità e a Vienna erano attesi diversi treni speciali carichi di tifosi per i quali si sarebbe dovuta avere “una attenzione del tutto particolare” , preparando la kermesse sportiva con “particolare accuratezza” onde evitare ogni possibile disordine. Il rapporto della Direzione di polizia ribadiva anche il pericolo della diffusione di un certo “nervosismo” causato dal timore di manifestazioni politiche organizzate da comunisti e socialisti. Sulla scorta di queste osservazioni, le autorità di polizia consigliavano dunque di posticipare rincontro di almeno una settimana, evitando, su richiesta esplicita della Bundes-Polizeidirek- tion, di motivare la decisione con esigenze politiche o di ordine pubblico che avrebbero rese manifeste le preoccupazioni del regime. Il suggerimento della polizia venne recepito prontamente e la data della partita fu spostata di più di un mese, al 25 marzo68.
Nonostante i timori della polizia, non fu dalla sinistra dello schieramente politico illegale che vennero i problemi, ma dalla destra. Infatti, con l’approssimarsi della partita, i rapporti in arrivo al Bundeskanzleramt esprimevano sempre più insistentemente il timore che i nazisti stessero preparando delle manifestazioni antiitaliane in occasione della partita. Lo scopo sarebbe stato quello di mettere in difficoltà il governo di fronte all’alleato fascista piuttosto che di attaccare direttamente il regime di Mussolini69.
La partita fu vinta dalla nazionale italiana
68 II rapporto della BPdW alla Direzione generale di pubblica sicurezza della Cancelleria del 27 gennaio 1935, che suggeriva di posticipare la manifestazione sportiva, porta, in calce la notizia del rinvio del match al 27 marzo 1936; la cifra indicante l’anno è verosimilmente un errore di trascrizione, mentre è probabile che la data del giorno esatto sia stata mutata successivamente per esigenze contingenti (cfr. Ó StA Archiv der Republick Inneres (d’ora in poi Inneres), BICA, ZI. 307.042-35/22/Wien, G.D. 1-2).69 Rapporto della Direzione generale di pubblica sicurezza al BKA del 21 marzo (Ò StA, Inneres, BICA, ZI. 318.263-35/ 22/Wien, G.D. 1-2) in cui si raccomanda anche la massima attenzione nella vendita di biglietti al pubblico che si prevedeva proveniente perfino dall’Ungheria con dei treni speciali e presente in massa al Prater. In questa relazione si fa già menzione dell’acquisto di migliaia di biglietti da parte nei nazionalsocialisti. All’inizio si parla di circa seimila, ma, come vedremo, nei rapporti successivi il numero dei ticket aumenta; è probabile, viste le scarse manifestazioni avvenute all’in-
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con 2-0. Per la prima volta, gli italiani uscivano vittoriosi da Vienna. La vittoria servì a fugare i dubbi che erano stati sollevati sugli arbitri del recente campionato mondiale e sancì definitivamente la supremazia del football italiano in Europa70. Non ci furono incidenti. I timori delle forze dell’ordine vennero probabilmente fugati anche dalla notevole prestazione della squadra italiana. La nazionale azzurra fu, come di regola, fischiata all’entrata in campo71 e durante Fintervallo tra il primo ed il secondo tempo vennero fischiati anche alcuni ufficiali delle Heimwehren, ma gli arresti si limitarono a sei persone. In realtà le apprensioni della polizia si basavano su una serie di rapporti, decisamente preoccupanti, dai quali risultava che i nazisti delle SA, illegali in Austria, avevano comprato ben dieci- dodicimila biglietti per organizzare una contestazione della nazionale italiana e dei dirigenti del governo di Vienna presenti allo stadio. I soldi sarebbero stati inviati da Berlino. Per meglio orchestrare l’operazione, i nazisti si sarebbero perfino collegati con l’opposizione di sinistra72. Gli informatori riferivano poi che gli agitatori avevano l’intenzione di approntare dei razzi fuori dallo stadio per far comparire, nel bel mezzo della partita, una grande bandiera con la svastica; palloncini con la croce uncinata sarebbero stati fatti volare nei dintorni del Prater e l’intonazione dell’inno nazionale tedesco avrebbe dovuto sovrastare le note di quello federale; il lancio
di bicchieri di birra e di oggetti vari, il grido “Heil Hitler” al momento del saluto romano degli italiani, gli insulti contro la squadra azzurra e la resistenza passiva alle forze dell’ordine avevano infine il compito di rovinare completamente rincontro e gettare discredito su tutto il regime austrofascista. In previsione degli incidenti, la polizia viennese controllò accuratamente la vendita dei biglietti e non mancò di sottolineare la probabile presenza attiva, nella capitale, di diecimila nazisti. Le forze dell’ordine si servirono di ogni mezzo d’informazione disponibile per evitare che la partita di calcio si trasformasse in una dimostrazione politica; è interessante, a questo proposito, un rapporto del 23 marzo, che riferisce il racconto di un informatore, gestore di un’osteria, al quale un cliente aveva raccontato come egli stesso sarebbe stato membro di un gruppo incaricato del lancio di uova marce durante la partita, uova preventivamente nascoste in alcune casse in un bosco nelle immediate vicinanze di Vienna e che, in parte, sarebbero state poi portate in città da alcuni contadini del Naschmakt (il mercato ortofrutticolo più importante della capitale)73. Più impressione fece certamente la relazione proveniente dalla direzione del servizio informazioni del Vaterländische Front (Fronte patriottico, il partito unico del regime). Il rapporto riferiva infatti che, a parte le migliaia di biglietti cadute in mano naziste, tre membri “radicali” del fronte erano riusci-
terno dello stadio, che tali cifre siano state o gonfiate dagli informatori per enfatizzare il fenomeno oppure dagli stessi nazisti al fine di mettere in difficoltà i servizi di sicurezza, o aumentate dalla polizia per giustificare un eventuale fallimento della propria gestione dell’ordine pubblico e sottolineare la gravità della situazione.70 Almeno per quanto riguardava le squadre iscritte alla Fifa; non bisogna infatti dimenticare che il calcio inglese viveva in isolamento dalla fine della grande guerra.71 Così viene riferito nel rapporto del Landesgendarmeriekommando carinziano del 28 marzo, indirizzato al vice cancelliere Fürst Starhenberg, il quale ricopriva anche la carica di Oberste Sportführer Österreichs [capo supremo dello sport austriaco]. Secondo il racconto della polizia di Klagenfurt, alcuni italiani di ritorno da Vienna avevano raccontato che anche Starhenberg era stato fischiato al suo apparire nella tribuna (Ö StA, Inneres, BKA, ZI. 332.152-35/22/Wien, G.D. 1-2).'2 Relazione BPd W, 22 marzo 1935, contenuta nel rapporto della Direzione generale di pubblica sicurezza del BKA del 27 marzo, in Ö StA, Inneres, BKA, ZI. 321.134-35/22/Wien, G.D. 1-2.73 Rapporto riguardante la testimonianza del Kellner Rudolf Freidinger [proprietario della trattoria Bratwurstglöckl che confermava anche l’acquisto di alcune migliaia di biglietti, loc. cit. a nota 72.
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ti ad avere la possibilità di accedere alla tribuna d’onore. Il confidente, “ben informato” , riteneva probabile che essi facessero parte di un gruppo terroristico (Terrorgruppe) ed avessero intenzione di far esplodere un “mortaretto” sulla tribuna. Alfapparire degli ospiti d ’onore, i nazisti avrebbero fatto poi scendere su di loro una pioggia di coriandoli con la croce uncinata. Scopo dichiarato della dimostrazione, secondo l’informatore, era quello di rendere chiaro agli italiani che una “significativa maggioranza della popolazione austriaca” voleva le dimissioni del governo e l’instaurazione di un regime nazionalsocialista74.
Per organizzare meglio il servizio d’ordine, la Direzione generale di pubblica sicurezza diramò un’ordinanza nella quale si prevedeva innanzitutto la possibilità di arresti in massa di nazisti e simpatizzanti di questi ultimi da concentrare nell’Anhalterlager di Wollersdorf. La polizia ebbe anche il compito di eseguire controlli massicci dentro e fuori lo stadio già dal giorno prima della partita e di scaglionare un migliaio di agenti all’interno dell’impianto sportivo. Inoltre, essa doveva assicurare la protezione del centinaio di spettatori, “persone di fiducia” del Water- làndische Front, che avevano ricevuto un biglietto omaggio dal partito. Fu ordinato il sequestro di tutti i bicchieri di birra e delle bottiglie; il rinfresco venne ammesso solo ai buffet autorizzati e fu stabilita la dislocazione di un gran numero di agenti in borghese nei dintorni del Prater con compiti di sorveglianza “discreta” . Infine, si decise di garantire la sicurezza dei tifosi italiani su tutto il territorio austriaco75; perciò il Bundeskanz
leramt diramò una disposizione ai direttori della sicurezza (Sicherheitsdirektoren) di tutti i Länder interessati dal passaggio del treno speciale italiano affinché ne assicurassero la protezione76.
Passata la grande paura, il 27 marzo, il fascicolo della Direzione generale di pubblica sicurezza del Bundeskanzleramt considerava la questione chiusa e prendeva atto del fatto che erano state arrestate solo sei persone, durante l’intervallo della partita, a causa dei fischi da loro rivolti alfindirizzo di alcuni ufficiali della milizia patriottica. La partita era trascorsa “senza particolari incidenti”77. La squadra di Pozzo (“gli atleti di Mussolini” , i “campioni temprati alla scuola e nell’incandescente clima dello sport fascista”) riuscì a cogliere “il più luminoso successo della sua gloriosa carriera”78. Il mito delfimbattibilità dei bianchi sul proprio terreno di gioco era finalmente caduto, anche se quella fu l’ultima vittoria strappata in casa agli austriaci prima della seconda guerra mondiale.
Gli ultimi incontri e la rissa del 21 marzo 1937
Il 5 maggio 1936 Badoglio entrava in Addis Abeba. La guerra coloniale contro l’Etiopia, iniziata in ottobre, si concluse a pochi giorni di distanza dall’amichevole tra Italia e Austria, che venne giocata a Roma il 17 dello stesso mese, allo Stadio nazionale del Pnf, di fronte a 20.000 spettatori ed alla presenza del duce, di donna Rachele Mussolini, di Galeazzo Ciano, di Maria di Savoia, di Fulvio Suvich e del principe Starhenberg. La guerra
74 Rapporto del Leiter des Informationsdienstes im Generalsekretariat der V.F. al BKA, ufficio del Segretario di Stato, 21 marzo, loc. cit. a nota 12.75 Amtsnotiz, 22 marzo, loc. cit. a nota 72.76 Amtsnotiz, 23 marzo, indirizzata ai Sicherheitsdirektoren di Carinzia, Stiria Austria inferiore e Vienna, loc. cit. a nota 72.77 Relazione della Direzione generale di pubblica sicurezza, 27 marzo 1935, loc. cit. cit. a nota 72.78 “Il Popolo di Trieste del lunedi”, 25 marzo 1935, p. 5; si tratta dell’incontro della terza Coppa internazionale, giocata dinnanzi a 60.000 spettatori.
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d ’Etiopia segnò l’apogeo della carriera di Mussolini e un grande successo della propaganda interna, che seppe ben orchestrare la campagna volta a creare un vasto consenso attorno al leader del fascismo, duce di una nazione “proletaria” sottoposta alle sanzioni economiche e circondata solo da nemici. La partita con i bianchi di Meisl doveva, oltre al resto, servire da corollario alla vittoria coloniale del fascismo, soprattutto di fronte alla Società delle nazioni. L’Austria cercava forse di restituire il favore ricevuto da Roma quando la nazionale azzurra, unica squadra dell’Intesa, aveva rotto l’isolamento calcistico imposto a Vienna dagli alleati. Ora toccava al Wunderteam rompere l’embargo. Senza particolari colpi di scena od imprevisti r in contro terminò pari, soddisfacendo le attese di tutti79.
L’Europa dimenticò l’Etiopia con sorprendente velocità e l’Italia potè presentarsi in piena forma alle Olimpiadi di Berlino del 1936. Anche in questo caso gli azzurri e i bianchi dovettero affrontarsi. La sfida ebbe luogo il 15 agosto 1936, nell’Olympia Sta- dion della capitale del Terzo Reich, davanti alla immensa folla di 90.000 persone (per la maggior parte a favore del team di Meisl). La nazionale olimpionica, che era composta in gran parte da elementi nuovi e giovanissimi, riuscì a battere l’Austria ai tempi supplementari, aggiudicandosi il titolo. Questa fu l’ultima occasione nella quale Pozzo ed il “mago” Meisl si trovarono l’uno di fronte all’altro. Hugo Meisl morì infatti poco dopo e forse fu una fortuna per lui, ebreo, uscire di
scena prima che il suo paese scegliesse di unire i propri destini a quelli della Germania nazista ed iniziasse la feroce persecuzione antisemita.
L’apoteosi del calcio fascista si celebrò tuttavia nel 1938 in Francia, in occasione della terza Coppa Rimet. La Francia, terra dell’esilio politico antifascista, era considerata una fortezza difficile da espugnare. Il saluto romano degli azzurri fu accompagnato, soprattutto allo stadio di Marsiglia, da salve di fischi ed insulti. La Marcia reale e Giovinezza furono coperti dalle migliaia di voci dei fuorusciti80. Nonostante l’opposizione politica dei tifosi italiani, gli azzurri arrivarono alla finale e sconfissero l’Ungheria allo Stade des Colombes di Parigi. Con questa vittoria sportiva, politica e propagandistica, il 19 giugno 1938, il football italiano raggiunse l’apice della sua parabola.
Prima del secondo titolo mondiale, l’Italia incontrò ancora una volta la nazionale austriaca. Fu l’ultima partita prima dell’Ansch- luB e, quasi una profezia nefasta, la festa sportiva si concluse nel peggiore dei modi. Dopo l’Etiopia, l’impegno militare fascista si era rivolto alla Spagna, dove un corpo di spedizione di “volontari” fu inviato a combattere al fianco dei ribelli franchisti. L’Austria, dal canto suo, era ormai “fascistizzata”; le artiglierie delle forze conservatrici avevano smesso da tempo di bombardare le case popolari dove, nel 1934, si era accesa l’ultima battaglia in difesa della democrazia. Ufficialmente, i rapporti tra Austria ed Italia erano considerati buoni, ma in realtà Vienna stava
79 Secondo un rapporto della federazione austriaca, la partita ebbe in primo luogo lo scopo di dimostrare pubblicamente 1’esistenza di rapporti amichevoli tra i due paesi. Un pubblico “fanatico” sostenne gli azzurri in quella che in esso viene definita una “lotta drammatica” . Al momento della seconda rete austriaca (1-2), scoppiò un “tumulto violento” . Il guardalinee cercò di annullare il punto, ma l’arbitro decise di convalidare il goal, mentre il pubblico si dava al lancio di oggetti in campo. Anche in questo caso, nessuno, in Austria, fece una questione diplomatica. Il fatto venne relegato nel novero degli avvenimenti sportivi (cfr. il rapporto della Österreichischer Fußball-Bund del marzo 1937, scritto in occasione degli incidenti avvenuti al Prater, il 21 marzo 1937, durante e dopo una partita con l’Italia, allegato al fascicolo “Österreich und Italien, österreichisch-italienisches Länder-Fußballmatch, Wien”, in Ö StA, NPA, Li. It., 1/1 K. 584, ZI. 37.368-13-37.80 G. Brera, Storia critica, cit., pp. 160-164.
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tranquillamente per sprofondare nel gorgo nazista con buona pace di Mussolini. Fu proprio in questa situazione che a qualcuno venne in mente di fare della partita di Coppa internazionale un’occasione per ridare fiato alle relazioni tra le due nazioni e magari distrarre il pubblico italiano dalle navi piene di caduti che rientravano dalla Spagna. E fu un disastro. Il 21 marzo 1937 si trasformò per gli italiani in una vera e propria “Capo- retto” . La partita iniziò subito male. Il pubblico del Prater, famoso per la sua partigiane-
• • 81 . > ria e intemperanza , era già stato innervosito dal ritardo del calcio d’inizio e dal maltempo che imperversava a Vienna. Un tipico marzo viennese: freddo polare, un diluvio universale ed un vento da far concorrenza alla bora; questo almeno dovette certamente essere il pensiero dei 105 triestini giunti per assistere all’incontro con i “torpedoni”, capitanati dal barone Albori81 82.
Con notevole ritardo l’arbitro svedese Ols- son fece entrare le squadre in campo; come tradizione del Prater, i giocatori italiani furono accolti, soprattutto al momento del saluto romano, dai consueti fischi della frangia meno sportiva, o forse più politicizzata, degli oltre 50.000 spettatori tuttavia nessuno, nemmeno l’ambasciatore italiano, vi prestò particolare attenzione. Dopo la prima mezz’ora, trascorsa in tutta tranquillità, iniziarono gli scontri. Anche a causa del maltempo e della incapacità dell’arbitro (almeno cosi recitano le fonti, sia italiane sia austriache, ansiose di trovare qualcuno a cui affibbiare tutta la
responsabilità degli eventi), il gioco diventò durissimo. Gli azzurri, noti per il loro agonismo che spesso travalicava le regole, attaccarono con violenza gli austriaci che, passati in vantaggio al 40° minuto, risposero con altrettanta foga segnando una rete. Un minuto dopo il goal, venne ferito Italiano Corsi. Per ripicca, il giocatore del Bologna Andreolo decise di punire l’autore della rete, Jerusalem, e lo atterrò con un calcio, costringendolo così a ritirarsi ai bordi del campo. Ripresosi in pochi minuti, l’austriaco pensò bene di vendicarsi sul primo italiano che gli capitò a tiro e assestò un bel calcio al romano Serantoni, il quale non era nemmeno in possesso di palla. Sette minuti dopo il suo goal, Jerusalem riusci dunque a guadagnarsi il cartellino rosso ed abbandonò il terreno di gioco accompagnato dal boato della folla. Nel secondo tempo, nonostante le minacce dell’arbitro di sospendere rincontro, si riaccese una vera e propria battaglia campale che coinvolse tutti: giocatori, arbitro, panchine e spettatori. Il pubblico italiano, circondato dai tifosi del Prater, fu fatto oggetto di insulti d’ogni genere cui rispose, nella migliore tradizioine fascista, con provocazioni sempre più arroganti ed offensive.
Al 63° minuto, come se non bastasse il diluvio che imperversava sullo stadio, arrivò la seconda doccia fredda per gli azzurri. Il triestino Colaussi commise fallo in area di rigore e Stroh infilò la porta italiana dagli undici metri: si stava profilando la disfatta. Ma la battaglia non finì così e non si smise di contare i fe-
81 I tifosi viennesi non erano “duri” solo con gli italiani. Un rapporto della Direzione generale di pubblica sicurezza del 16 maggio 1930 denunciava il comportamento del pubblico “difficile” delI’Hohe Warte, il quale, in occasione dell’incontro con la nazionale inglese del 14 maggio, aveva creato una tale confusione da costringere l’arbitro ad iniziare la partita prima che giungessero allo stadio il cancelliere Schober, il presidente della repubblica Miklas e le altre personalità del regime che, giunte cinque minuti dopo il calcio d’inizio, si guadagnarono una bella dose di fischi (cfr. Ó StA, NPA, Li. Ó. K. 224, ZI. 27.236-13-30).82 La vicenda dei triestini divenne oggetto dell’interesse degli uffici esteri e delle ambasciate di entrambi i paesi; cfr. il fascicolo sugli incidenti redatto dalla Cancelleria il 9 aprile 1937, in Ò StA, NPA, Li. It., 1/1 K. 584, ZI. 37.850-13-37 (contenente varie testimanianze sull’accaduto) ed in Archivio storico del ministero degli Affari esteri, Direzione generale degli affari politici (d’ora in poi ASMAE, Affari politici), 31-35, pacco 48, 1937 - Austria, fase. 4, “Partita di calcio Ita- lia-Austria (manifestazioni anti-italiane)” . In questi fascicoli si trova anche la descrizione dell’incontro.
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riti. Anche Olivieri, il portiere azzurro, venne atterrato in area, nonostante fossero gli italiani a caricare con maggior violenza. Alla fine, dopo un fallo di Colaussi ai danni di Stroh, l’arbitro, la cui pazienza era stata messa a dura prova, abbandonò il campo rifiutandosi di far continuare la partita. Per la prima volta nella storia del calcio, un incontro internazionale veniva sospeso prima del fischio finale.
Non era ancora tutto. Mentre i giocatori austriaci salutavano gli spettatori acclamanti, una parte della tifoseria del Prater si diresse verso i “torpedoni” italiani in procinto di partire e fu proprio il gruppo dei triestini del barone Albori a riportare i danni maggiori83. Albori non era certo uomo di temperamento tiepido: egli era già stato fermato dalla polizia durante rincontro perché, inviperito dai commenti di un avversario, si era girato e gli aveva rifilato un pugno prima di essere a sua volta ferito dalle ombrellate di una tranquilla signora viennese. All’uscita dal commissariato dello stadio, era poi stato insultato tanto dal poliziotto che lo accompagnava quanto dalla folla che gli si era fatta intorno minacciosa. Ferito nell’onore e nel fisico, il barone si mise alla testa del centinaio di triestini e cercò di raggiungere gli autobus. Messe in salvo le bandiere
nazionali da un violento attacco austriaco, il plotone di Albori potè guadagnare la fuga. Ma il “nemico” li aspettava al varco. Gli autobus italiani infatti furono attaccati da una folla di “facinorosi spettatori, evidentemente di origine social-comunista”84. Gli aggressori si accanirono contro quei fascisti doppiamente traditori dell’Impero in quanto italiani ed in quanto triestini. Tra sputi, sassi, insulti e saluti a pugno chiuso, gli italiani riuscirono a fuggire dal Prater scortati dalla polizia, portando con loro 16 feriti85.
Notevole fu l’eco della partita sulla stampa internazionale86. I disordini furono interpretati, forse non senza esagerare, come una imponente manifestazione antifascista; a ciò finì per credere lo stesso Mussolini, che si infuriò terribilmente con i “camerati” austriaci provocando un inutile strascico diplomatico87. Forse il duce, nel reagire alla partita, si fece prendere dal nervosismo, proprio come era accaduto all’arbitro Olsson, perché in quegli stessi giorni un’altra e ben più grave “Caporetto” , militare stavolta, si era abbattuta sul regime. La battaglia di Guadalajara, in Spagna, si era infatti risolta in un disastro per i fascisti italiani88. Ma era ormai l’intera situazione internazionale ad essere
83 A dire il vero i tifosi azzurri si erano fatti notare già prima dell’inizio della partita quando, dai bus che li trasferirono dalla stazione allo stadio, si divertirono ad insultare a gesti i cittadini viennesi (cfr. Ò StA, NPA, Li. It., 1/1 K. 584, ZI. 37.850-13-37).84 Telespresso dell’ambasciatore Salata al regio ministero Affari esteri, 25 marzo 1937, in ASMAE, Affari politici, 31- 35, pacco 48, 1937 - Austria, fase. 4.85 II “cosiddetto Barone Albori”, ritornato a Trieste, scrisse una lunga lettera di protesta per l’accaduto, che indirizzò all’ambasciatore italiano a Vienna Salata ed a diverse autorità austriache, denunciando il comportamento delle forze dell’ordine che non avrebbero saputo difendere la sua comitiva dagli assalti dei tifosi avversari (cfr. Ó StA, NPA, Li. It. 1/1 K. 584, ZI. 38.230-13-37).86 Questi alcuni titoli del 22 marzo 1937 in una rassegna del ministero per la Stampa e la Propaganda in ASMAE, Affari politici, loc. cit. a nota 84, Londra, 22 marzo 1937): il “Times”: / calciatori italiani fischiati a Vienna, il “News Chronicle”: La polizia protegge i calciatori italiani-, il “Daily Express” : Gli austriaci chiamano porci gli italiani, il “Manchester Guardian”: L'importanza politica degli incidenti di Vienna.87 Non furono confermate le voci secondo le quali il pubblico avrebbe in gran parte salutato col pugno chiuso gli azzurri inneggiando a Matteotti, all’Abissinia ed alla Spagna (Ó StA, NPA, Ob, 1936-1938, K. 86, Rom Quirinal, ZI. 37.633-13-37). La stampa di sinistra gonfiò sicuramente la portata politica dell’avvenimento asserendo che l’intero stadio si era accanito contro i fascisti (cfr. il telespresso riservato del ministero degli Esteri, 12 aprile 1937, in ASMAE, Affari politici, 31-35, pacco 48, 1937 - Austria, fase. 4).88 La partita fu paragonata alla battaglia di Guadalajara dall’avvocato viennese Valentin Gelber, già socialista, in un opuscolo stampato in circa cinquecento esemplari. Il libretto, dal titolo Die Schlacht von Guadalajara im Wiener Stadion,
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in subbuglio; quella del 1937 fu l’ultima partita giocata dell’Italia con l’Austria, che cessò di essere indipendente l’anno successivo. Presto d’altronde l’Europa sarebbe stata sconvolta da una rissa ben più grave di quelle del Prater. Mussolini e Ciano interpretarono l’accaduto come un segno del ristagno dei rapporti tra i due paesi, anche se entrambe le diplomazie gettarono abbondantemente acqua sul fuoco, utilizzando a questo scopo la stampa89. La Federazione decise di far ripetere rincontro, ma la nazionale austriaca, giustamente irritata dallo scippo della vittoria, rifiutò con sdegno di giocare. La quarta edizione della Coppa internazionale fu così annullata.
Un ultimo incidente legato al mondo del football si verificò in occasione dell’incontro Genova-Admira, valido per l’undicesima edizione della Mitropa Cup (la Coppa Europa centrale), il 4 luglio 1937, al Prater. Si trattò solo di una sfida tra club, ma lo svolgimento dei fatti è significativo. L’ambasciatore italiano, Francesco Salata, presente allo stadio, diede un resoconto (abbastanza) obiettivo dell’accaduto90. La squadra italiana era stata accolta in campo dai “calorosi applausi” del pubblico “per la prima volta senza fischi o grida ostili. Per tutta la durata del primo tempo gli spettatori [avevano] sovente sottolineato con applausi le azioni più brillanti del Genova” . Ma, dopo che la squadra italiana era passata in vantaggio per la seconda volta, quasi allo scadere del tempo
regolamentare, l’arbitro assegnò un calcio di rigore all’Admira. Prima che partisse il tiro dagli undici metri, i giocatori delle due squadre iniziarono ad insultarsi e a spintonarsi, fino ad arrivare alla rissa. Il “genova- no” Morselli riportò perfino la frattura tripla della mandibola a causa di un pugno ricevuto al volto. “Solo in presenza della suaccennata colluttazione” — continua Salata — il pubblico si abbandonò a “fischi e a grida di disapprovazione contro l’arbitro ed i nostri giocatori” . Il risultato fu che entrambe le squadre furono, in seguito, sospese dal torneo e che Mussolini si inferocì a tal punto da proibire l’incontro di ritorno (prima appunto del suo annullamento). Stavolta, al danno seguì la beffa. I giocatori dell’Admira partirono infatti per l’Italia senza sapere della sospensione. Solo una volta giunti a Klagen- furt, essi ne furono informati, ma venne dato loro l’ordine di raggiungere comunque Venezia, nella speranza si trovasse un accomodamento che rendesse possibile il match. Nulla valse però a far cambiare idea al duce91. Gli austriaci, in Italia a spese proprie, ricevettero dal portiere dell’albergo ove avevano trovato alloggio, un ultimatum che imponeva loro di lasciare il paese entro ventiquattro ore; si trattava di un ordine recato a mano su di un foglietto trascritto dal portiere stesso su disposizione di un non meglio identificato messo della questura il quale nemmeno aveva lasciato copia del documento. Così il capitano dei bianchi Winkler fu costretto a tor-
fu poi venduto nelle librerie senza incorrere nella censura (cfr. il rapporto del BKA, in Ò StA, NPA, Li. It., 1/1 K. 584, ZI. 39.760-13-33).89 La misura del diverso atteggiamento dei giornali italiani rispetto ai fatti del 1929 è data da un articolo de “Il Corriere della sera” (23 marzo 1937, p. 4) il quale affermava che “un incontro di calcio andato a male non è la fine del mondo. Ed oggi par di vedere nel cielo di Vienna i colori dell’arcobaleno”.90 Relazione di Salata al ministero degli Esteri, Vienna 9 luglio 1937, in ASMAE, Affari politici, 31-35, pacco 48, 1937 - Austria, fase. 4.91 Dell’atto formale di sospensione fu incaricato il questore di Genova il quale, a causa delle gravi condizioni del giocatore del Genova Morselli, per motivi di ordine pubblico, annullò la gara (cfr. Relazione di Salata da Vienna con allegata la traduzione della lettera del capitano Winkler, in ASMAE, Affari politici, 31-35, pacco 48, 1937 - Austria, fase. 4; il testo originale in tedesco è in Ò StA, NPA, Li. It., 1/1 K. 584, ZI. 41.675-13-37. La traduzione è abbastanza fedele. È interessante notare come sia scomparsa però, nel testo italiano, l’affermazione di Winkler secondo il quale “Il Duce, negli ultimi tempi, deve essere di cattivo umore”).
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nare a Vienna dove potè dare libero sfogo alla sua ira presso la Federazione austriaca. Ne conseguì la rottura temporanea di ogni contatto sportivo tra i due paesi. Significativo fu l’intervento personale di Mussolini. Il suo “no” , segnato a mano con un tratto obliquo su tutte le richieste di intercessione, notato dall’ambasciatore austriaco92 a Roma, impedì la ripresa delle relazioni fino a novembre. Solo in autunno, infatti, Starace fece sapere di aver sottoposto a Mussolini l’idea di uno scambio di rappresentative sportive tra le due nazioni e di progettare, per la fine dell’inverno, un incontro di calcio a Vienna tra le due nazionali93. Questa volta, ad impedire il ristabilirsi di normali relazioni non furono né un arbitro nervoso né un pubblico irascibile: ci pensarono i nazisti.
Conclusioni
La strumentalizzazione dello sport e del football in particolare, da parte della politica e della propaganda non è dunque una novità94. Nemmeno la violenza sugli spalti degli stadi fu inventata di recente ma nacque con il calcio stesso95. I regimi totalitari (ma non solo essi) enfatizzarono questo sfruttamento fino ad abusarne. L’Italia del fascismo fu uno dei paesi ove maggiormente si sviluppò questo rapporto di dipendenza diretta e scoperta dello sport dalla politica.
Complici della situazione di dipendenza dalla politica furono certamente anche gli ambienti sportivi. L’esaltazione mussolinia- na del vigore fisico e delle virtù nazionali, nonché l’impulso dato a queste attività, fecero avvicinare molti atleti al regime. Inoltre, con la “fascistizzazione” dello sport, “i dirigenti delle società” furono “ben lieti di sottrarre i bilanci al controllo dell’opinione pubblica”96; invece, la speranza che essi coltivarono di mantenere indipendente la loro attività dalle direttive governative fu spesso solo una pia illusione97.
L’ideologia fascista aveva alcuni dei suoi capisaldi nell’esaltazione della forza, della violenza, dell’aggressività, tipica di una cultura maschile che attribuisce a tali “virtù” di stampo “guerriero” una valenza positiva. Essa inneggiava al nazionalismo territoriale, linguistico ed etnico, dividendo il mondo in “amici” e “nemici” ; creava parole d’ordine e simboli, facilmente riconoscibili, attorno e per mezzo dei quali produrre ed organizzare il consenso.
Molti gruppi ultrà del moderno teppismo calcistico hanno preso a modello proprio quelle ideologie, il nazismo ed il fascismo, che esaltavano gli stessi valori in cui essi credono e che sono invece stigmatizzati dalla maggioranza della popolazione98. Ecco così che le bande di ultrà e di skin si sono munite di bandiere, hanno eletto la “ curva” del loro stadio a “ territorio” e
92 Ö StA, NPA, Ob, 1936-1938, K. 86, Rom Quirinal, ZI. 42.640-13-37.93 Ö StA, NPA, Li. lt., 1/1 K. 584, ZI. 45.419-13-37.94 L’ultimo caso macroscopico è costituito dal tentativo di strumentalizzazione neonazista da parte di gruppi di hooli- gans britannici e skin tedeschi dell’incontro Inghilterra-Germania del 20 aprile 1994. La partita fu sospesa per timore di incidenti (nonostante la prevista presenza di quattromila agenti e seicento soldati delle truppe di frontiera) perché la data dell’incontro cadeva nel 105° anniversario della nascita di Hitler (cfr. “Il Manifesto”, 7 aprile 1994, p. 10).95 Un’interessante analisi della violenza in rapporto alle attività sportive quale fenomeno sociale è offerta dall’opera di Norbert Elias, Eric Duming, Sport e aggressività, la ricerca di eccitamento nel "loisir", Bologna, Il Mulino, 1989.96 A. Ghirelli, Storia del calcio, cit., p. 86.97 Come interpretare altrimenti la speranza del segretario generale dell’Oberste Führung der Österreichischen Sport- und Turnfront di Vienna il quale, il 14 luglio 1937, a proposito della vicenda dell’Admira, scriveva al cancelliere federale augurandosi che lo sport potesse mantenere la sua indipendenza dalla politica (Ö StA, NPA, Li. It., 1/1 K. 584, ZI. 41.675-13-37).98 Cfr. Paolo Petrucci, Dietro gli ultrà che uccidono, “Avvenimenti” , 15 febbraio 1995, p. 12.
Propaganda e sport negli anni trenta 543
considerano le altre tifoserie alla stregua di nazioni con le quali è possibile allearsi o com battere". Esse hanno trasformato lo scontro verbale e fisico con l’avversario nel momento centrale della partita, rinunciando, spesso, perfino a seguire lo svolgimento del gioco sul campo. Se in passato alcuni gruppi ultrà avevano preso in prestito solo i simboli e le espressioni verbali del fascismo e del nazismo, allo scopo anche di distinguersi dalla folla dei tifosi ed incutere timore al prossimo, da qualche anno alcuni di essi sono caduti in mano a organizzazioni di estrema destra le quali, facendo leva sulle analogie comportamentali più che politiche, cercano di reclutare al loro interno nuove leve da avviare verso forme di violenza quali le aggressioni agli extracomunitari99 100. Molte bande ultrà e skin101 si sono cosi trasformate in una sorta di braccio violento dei movimenti di destra che mantengono, in tal modo, una rispettabilità ufficiale di fronte all’opinione pubblica.
Le gare hanno da sempre eccitato gli animi degli spettatori. Le pulsioni del pubblico furono, e sono tuttora, sfruttate, in particolar modo nei sistemi totalitari, a fini prettamente politici; lo furono tanto più nei paesi retti da regimi che ponevano l’accento sulla forza, il vigore, l’agonismo e l’aggressività. Per questo, a mio avviso, è possibile rintracciare un filo rosso che, almeno per quanto riguarda il mondo del football italiano, congiunge le esperienze delle violenze sportive del primo dopoguerra a quelle odierne. Tale continuità non si riscontra tanto in una presunta evoluzione del carattere del tifo, quanto piuttosto nella riscoperta periodica di “valori” comuni sia a determinate ideologie politiche sia ad
una visione eccessivamente agonistica ed aggressiva della competizione sportiva, che pone la “vittoria” sul “nemico” come obiettivo primario. Questa interpretazione dell’attività sportiva può facilmente associarsi ad una ideologia di tipo fascista. Se ciò avviene in uno stato totalitario, la violenza, più o meno tollerata ma spesso sapientemente diretta, diviene strumento politico del regime. L’osmosi tra idelogia politica e spirito smodatamente agonistico rende possibile la creazione di uno strumento, relativamente duttile, alternativo a quelli ufficiali dello stato, pronto ad essere, di volta in volta, veicolo di produzione del consenso, valvola di sfogo di pulsioni, vivaio di aggressività permanente da incanalare nella direzione desiderata. Non credo sia un caso che lo stesso Leandro Arpinati, camicia nera e feroce squadrista, poi sottosegretario agli Interni di Mussolini, sia stato chiamato alla dirigenza della Figc.
La carica di aggressività propria dell’ideologia fascista ebbe modo di esprimersi nel mondo del calcio attraverso la tecnica di gioco dei calciatori (che diventò più bellicosa e “virile”), per mezzo del tifo (spesso organizzato dal Pnf stesso, almeno per le trasferte nazionali) e tramite la stampa, ancella del regime nello sfruttamento politico del football. Il calcio, come tutta la società italiana, dovette sottomettersi alle nuove leggi dello stato totalitario, anche se non ne fu pesantemente condizionato. Negli incontri tra Italia ed Austria, l’ombra della politica mussoliniana gravò invece sempre sullo svolgimento dello spettacolo, che ne soffri. Dopo la fine della guerra, le due nazionali tornarono ad incontrarsi nel dicembre del 1946, a Milano. Fu ancora la squa-
99 Per un’analisi del fenomeno ultrà e della violenza negli stadi vedi Antonio Roversi, Calcio, tifo e violenza. Il teppismo calcistico in Italia, Bologna, Il Mulino, 1995; interessante è anche il contributo di Antonio Gambino, La società in campo: appunti sulla violenza negli stadi, “Il Mulino”, 1995, n. 2, pp. 277-284.100 A. Roversi, Calcio, tifo e violenza. Il teppismo calcistico in Italia, cit., pp. 63-64.101 II tifo aggressivo non è che uno dei campi in cui si esplica l’attività di queste formazioni, anch’esse ormai quasi monopolio politico esclusivo dell’estrema destra. Per uno sguardo sul mondo skin vedi Alessandra Castellani, Senza chioma né legge. Skins italiani, Roma, Manifestolibri, 1994.
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dra di Pozzo, rimasto significativamente in carica, a prevalere. Gli azzurri dovettero attendere però il 1962 per riuscire ad espu-
gnare per la seconda volta, e dopo ben ven- tidue anni, lo stadio del Prater.
Diego Cante
Diego Cante. Laureato in storia contemporanea presso l’Università degli Studi di Trieste con una tesi sull’emigrazione politica a Vienna, si è occupato della presenza italiana in Austria tra le due guerre mondiali; collabora con l’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia e con il periodico “Qualestoria” .
ISTITUTO NAZIONALE PER LA STORIA DEL MOVIMENTO DI LIBERAZIONE IN ITALIA
Mario Giovana, Dalla parte del re. Conservazione, 'piemontesità', 'sabaudismo' nel voto referendario del 2 giugno 1946, Milano, Angeli, 1996 (collana Insmli).
Il 2 giugno 1946, al referendum istituzionale, proprio il Piemonte, le cui popolazioni si erano distinte per aver dato un consistente sostegno alla lotta contro la Rsi e per la liberazione del paese dall’occupazione tedesca, si colloca all’ultimo posto tra le regioni del Nord per il consenso dato alla repubblica.Il volume di Giovana indaga alcune delle cause di questo rilevante pronunciamento filomonarchico, prendendo in esame quegli aspetti della cultura diffusa nella regione che facevano perno sull'esaltazione di presunti specifici caratteri della popolazione (‘sabaudismo’). L'autore si muove con cognizione di causa all’interno di questo variegato e complesso universo culturale, evidenziandone differenziazioni, soluzioni di continuità e fratture. I diversi approcci e percorsi di cui esso si sostanzia (dal pensiero espresso nelle omelie dei vescovi, a quello dei due noti esponenti della ‘piemontesità monarchica’ Gramegna e Burzio) hanno tuttavia come comune denominatore (espresso o no) la paura del “salto nel buio” con cui l’ipotesi istituzionale repubblicana viene identificata.Un discorso a parte viene fatto su Luigi Einaudi, dal quale la scelta monarchico- costituzionale viene sostenuta sulla base di una visione articolata dei problemi del paese e di un serrato ragionare sulle condizioni in cui esso si trova all’indomani della guerra, pur nel quadro di una visione ammirata della storia e del ruolo, nel corso dei secoli, dei Savoia, la cui compromissione col fascismo considera come una vergognosa parentesi.
Indice: 1. I depositi di una fedeltà; 2. La repubblica da esorcizzare, 3. La monarchia di monsignor Grassi; 4. Una crociata per la conservazione; 5. La tradizione; 6. Un monarchico col “cappello in testa” : Luigi Einaudi; Conclusione.