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Propaganda e sport negli anni trenta Gli incontri di calcio tra Italia e Austria Diego Cante Il fascismo utilizzò lo sport, ed in particolare il calcio, dato il suo carattere di massa, come stru- mento di propaganda, veicolo per la formazione del consenso e mezzo d’integrazione interclassi- sta. Lo spettacolo costruito attorno all’evento sportivo divenne l’occasione per far giungere messaggi politico-sociali a un pubblico scarsa- mente allenato all’esercizio della critica. Per que- sto motivo il football venne rigidamente regola- mentato: nacque il campionato di calcio, come noi oggi lo conosciamo e venne creata la Federa- zione italiana gioco calcio (Figc) alla cui guida fu- rono nominati dirigenti di spicco della nomencla- tura fascista; le infrastrutture vennero potenziate per ospitare le masse crescenti di spettatori e nuo- vi stadi furono aperti in tutte le principali città. In tale contesto, un ruolo particolare rivestirono gli incontri internazionali, durante i quali diven- ne agevole veicolare messaggi patriottico-nazio- nalisti. Le partite tra le rappresentative naziona- li di Italia ed Austria e, in misura minore, quelle tra i rispettivi club, non si sottrassero a tale lo- gica. La strumentalizzazione di questi avveni- menti rispecchia chiaramente l’evoluzione delle relazioni diplomatiche tra i due paesi e lo svilup- po delle ingerenze italiane nella politica interna della repubblica austriaca. Attraverso i docu- menti custoditi presso lo Österreichisches Staat- sarchiv di Vienna e l’Archivio storico-diplomati - co del ministero degli Affari esteri di Roma è stato possibile ricostruire, in parte, la vicenda politico-sportiva che vide quali attori i team cal- cistici delle due nazioni confinanti e come registi le rispettive diplomazie, impegnate, soprattutto quella fascista, in un gioco decisamente più va- sto e complesso. Fascism used sport, and football in particular, gi- ven its mass appeal, as a means of propaganda, a vehicle o f consensus and inter-classist integration. The show-machine put up around sport events of - fered the opportunity o f launching political mes- sages to a pubblic with little or no critical attitude. This football underwent strict regulation: a cham- pionship such as we know it today was duly orga- nized, and the FIGC (Federazione italiana gioco calcio) was founded, whose direction was assigned to prominent exponents of the Fascist nomencla- ture: sport facilities were enlarged to hold the growing number o f spectators and new stadiums were built in all o f major cities. Against this background, a special role was played by the international meetings, through which na- tionalist and patriotic messages could be effec- tively spread. The matches opposing the Austrian and Italian national teams and, to a lesser extent, even the respective club teams, did not escape this logic. The instrumental measure o f these events would obviously follow the trend o f Austrian-Ita- lian diplomatic relations, reflecting the mounting o f Italian ingérence into Austrian internal affairs. Drawing on documents held in the Österrei- chisches Staatsarchiv and in the Archivio storico- diplomatico o f the ministero degli Affari esteri, this essay sketches a political story o f the rivalry mastered by the rispective diplomacies, both en- gaged - particularly the fascist one - in a quite broader and more complicated game. 'Italia contemporanea”, settembre 1996, n. 204

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Propaganda e sport negli anni trentaGli incontri di calcio tra Italia e Austria

Diego Cante

Il fascismo utilizzò lo sport, ed in particolare il calcio, dato il suo carattere di massa, come stru­mento di propaganda, veicolo per la formazione del consenso e mezzo d’integrazione interclassi­sta. Lo spettacolo costruito attorno all’evento sportivo divenne l’occasione per far giungere messaggi politico-sociali a un pubblico scarsa­mente allenato all’esercizio della critica. Per que­sto motivo il football venne rigidamente regola­mentato: nacque il campionato di calcio, come noi oggi lo conosciamo e venne creata la Federa­zione italiana gioco calcio (Figc) alla cui guida fu­rono nominati dirigenti di spicco della nomencla­tura fascista; le infrastrutture vennero potenziate per ospitare le masse crescenti di spettatori e nuo­vi stadi furono aperti in tutte le principali città. In tale contesto, un ruolo particolare rivestirono gli incontri internazionali, durante i quali diven­ne agevole veicolare messaggi patriottico-nazio- nalisti. Le partite tra le rappresentative naziona­li di Italia ed Austria e, in misura minore, quelle tra i rispettivi club, non si sottrassero a tale lo­gica. La strumentalizzazione di questi avveni­menti rispecchia chiaramente l’evoluzione delle relazioni diplomatiche tra i due paesi e lo svilup­po delle ingerenze italiane nella politica interna della repubblica austriaca. Attraverso i docu­menti custoditi presso lo Österreichisches Staat­sarchiv di Vienna e l’Archivio storico-diplomati­co del ministero degli Affari esteri di Roma è stato possibile ricostruire, in parte, la vicenda politico-sportiva che vide quali attori i team cal­cistici delle due nazioni confinanti e come registi le rispettive diplomazie, impegnate, soprattutto quella fascista, in un gioco decisamente più va­sto e complesso.

Fascism used sport, and football in particular, gi­ven its mass appeal, as a means o f propaganda, a vehicle o f consensus and inter-classist integration. The show-machine put up around sport events of­

fered the opportunity o f launching political mes­sages to a pubblic with little or no critical attitude. This football underwent strict regulation: a cham­pionship such as we know it today was duly orga­nized, and the FIGC (Federazione italiana gioco calcio) was founded, whose direction was assigned to prominent exponents o f the Fascist nomencla­ture: sport facilities were enlarged to hold the growing number o f spectators and new stadiums were built in all o f major cities.Against this background, a special role was played by the international meetings, through which na­tionalist and patriotic messages could be effec­tively spread. The matches opposing the Austrian and Italian national teams and, to a lesser extent, even the respective club teams, did not escape this logic. The instrumental measure o f these events would obviously follow the trend o f Austrian-Ita- lian diplomatic relations, reflecting the mounting o f Italian ingérence into Austrian internal affairs. Drawing on documents held in the Österrei­chisches Staatsarchiv and in the Archivio storico­diplomatico o f the ministero degli Affari esteri, this essay sketches a political story o f the rivalry mastered by the rispective diplomacies, both en­gaged - particularly the fascist one - in a quite broader and more complicated game.

'Italia contemporanea”, settembre 1996, n. 204

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Il football in Austria e in Italia

Il 12 ottobre 1902 si tenne il primo incontro di football tra rappresentative nazionali. Au­stria e Ungheria giocarono il match a Vienna e la squadra austriaca si impose con il pun­teggio di cinque a zero. Nel 1904 nasceva la Federazione internazionale delle associazioni calcistiche (Fifa). Agli inizi del secolo dunque questo sport1 incominciò ad assumere una di­mensione internazionale. Dalla Gran Breta­gna, sua indubbia terra d’origine, attraverso La Manica, il calcio si diffuse celermente in Europa, e giunse nel 1885 nell’Impero au­stro-ungarico e una decina d’anni più tardi in Italia2.

Evolutosi con caratteristiche sociali diffe­renti (in Gran Bretagna si affermò subito co­me sport popolare mentre in Italia fu, all’ini­zio, un gioco riservato ai ceti più abbienti), il calcio si affermò ben presto come pratica di massa nei principali paesi europei e, prima dello scoppio della grande guerra, erano già

stati inaugurati i principali campionati nazio­nali3. Anche gli incontri internazionali tra club precedettero cronologicamente quelli tra le formazioni nazionali4.

Sia in Italia che in Austria, il calcio si svi­luppò come gioco soprattutto urbano. In particolare nella regione danubiana questo sport conquistò le principali metropoli e “ la diffusione del football [...] coincise con l’ulti­ma stagione felice della cultura mitteleuro­pea. Vienna, Budapest e Praga erano, dopo Parigi, le capitali internazionali degli svaghi e offrivano le condizioni più favorevoli alla diffusione dei giochi sportivi” 5. In Austria, poi, si ebbe uno dei pochi esempi europei di quello che venne denominato “calcio prole­tario” con la nascita del Rapid-Vienna, club sorto nei sobborghi operai della capitale6.

Il football riuscì molto presto ad attirare l’interesse di folle crescenti di spettatori, an­che se non incontrò subito i favori del grande pubblico, conquistato ormai da anni dalle maggiori corse ciclistiche7. La società euro-

1 Lo sport in quanto tale era diventato ormai la mania del nuovo secolo ed aveva vittoriosamente ingaggiato una lotta contro la “ginnastica” . Quest’ultima, nata nella Germania della prima metà dell’Ottocento, aveva avuto, fin dall’inizio, una finalità “essenzialmente militare” (cfr. Stefano Pivato, La bicicletta e il Sol dell’Avvenire. Sport e tempo libero nel socialismo della Belle Epoque, Firenze, Ponte alle Grazie, 1992, pp. 19 sg.) e si era affermato come “baluardo dell’idea nazionale” . Il suo ideatore fu Ludwig Friedrich Jahn, padre fondatore dei Tumen, le associazioni sportive.2 La storiografia italiana sta appena muovendo i primi passi in direzione di un approccio scientifico nei confronti dello sport, finora quasi esclusivamente nelle mani di giornalisti sportivi o di cultori della materia; un primo notevole con­tributo al dibattito in Italia, che permette anche di comprendere le ragioni di tale ritardo, è offerto da un’ancora sparuta “pattuglia” di storici sulle pagine di “Italia contemporanea” 1989, n. 167, pp. 155-175; 1990, n. 179, pp. 341-368. Per avere un quadro più completo della storia del football si vedano comunque: S. Pivato, L ’era dello sport, Firenze, Giunti, 1994; Antonio Papa, Guido Panico, Storia sociale del calcio in Italia, Bologna, Il Mulino, 1993; Antonio Ghirelli, Storia del calcio in Italia, Torino, Einaudi, 1972; Antonio Fugardi, Il calcio dalle origini ad oggi, Rocca San Casciano, Univer­sale Cappelli, 1974. Per una visione statistica generale del fenomeno calcistico italiano può anche essere interessante VAlmanacco illustrato del calcio 1995, voi. 54°, Modena, Panini, 1994.3 In Italia, il primo torneo federale tra club si svolse nel 1898.4 Fu il Genoa che, per primo in Italia, incontrò, nel 1903, il Nizza, mentre la prima sfida calcistica dei futuri azzurri oppose le rappresentative di Francia ed Italia a Milano, il 15 maggio 1910; l’amichevole terminò con il punteggio di 6-2 per gli italiani.5 A. Papa, G. Panico, Storia sociale, cit., p. 27.6 A. Papa, G. Panico, Storia sociale, cit., pp. 27-28.7 II primo Tour de France si tenne nel 1903 e il primo Giro d’Italia nel 1909. La bicicletta fu il primo mezzo meccanico a rivoluzionare i trasporti individuali dell’era industriale e trovò nel corso della sua storia, svariati impieghi, compreso quello bellico. Fu strumento di esclusiva propaganda politica per i “ciclisti rossi” (organizzazione politico-sportiva dei socialisti italiani) e per gli irredentisti italiani che, dalle regioni dell’impero, si inoltravano in territorio italiano per far opera di convincimento tra la popolazione (cfr. S. Pivato, La bicicletta, cit., pp. 135-136 e pp. 143 sg.). Questo nuovo mezzo e le relative competizioni sportive suscitarono un grande interesse di pubblico. Le gare ciclistiche contri-

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pea del Novecento aveva visto un notevole aumento del benessere anche tra le classi me­no abbienti. La stessa industrializzazione, grazie alle esigenze delle moderne tecniche di produzione, se aveva reso raggiungibile per grandi masse di lavoratori l’agognata me­ta del “tempo libero” , aveva tuttavia creato alle classi dirigenti dei paesi capitalisti il pro­blema di riuscire in qualche modo ad assicu­rarsene la gestione8. Presto infatti ci si accor­se che le gare sportive, seguite da un pubblico in continuo aumento, avrebbero potuto tra­sformarsi facilmente in ghiotte occasioni per organizzare il consenso, fungere da val­vola di sfogo delle tensioni sociali, essere mo­tivo di aggregazione nazionale. Un ruolo de­terminante, in un’ottica di tal genere, assun­sero, ovviamente, gli incontri sportivi inter­nazionali.

Delle possibilità di strumentalizzazione degli incontri sportivi a fini politici si resero presto conto i nuclei dirigenti dei primi regi­mi totalitari che si affermarono in Europa dopo la prima guerra mondiale. Ed il primo paese che fece ampio uso dello sport per vei­colare la propaganda politica, costruire il consenso attorno alle nuove-istituzioni, dare al cittadino qualcosa con cui distrarsi dalle

limitazioni della libertà politica ed indivi­duale, attenuare i conflitti di classe ed anche suscitare sentimenti ostili nei confronti di nazioni considerate di volta in volta nemi­che, fu proprio l’Italia fascista di Benito Mussolini.

La nazionale austriaca aveva una prepara­zione tecnica superiore a quella italiana an­che perché il football era giunto nella regione danubiana dieci o vent’anni prima che in Ita­lia9. Le squadre di questa regione avevano perciò ormai affinato una strategia di gioco che, soprattutto dopo la grande guerra, le fe­ce diventare dei pericolosi avversari nelle tra­sferte all’estero e praticamente imbattibili in “casa” 10. Anche i club danubiani si afferma­rono presto nel panorama sportivo europeo restando per anni tra le formazioni più temi­bili11.

Le squadre nazionali iniziarono giocando delle gare amichevoli: il Mondiale non esiste­va ancora12. L’unica occasione ufficiale di in­contro era costituita dalle Olimpiadi13; fu proprio durante i giochi del 1912 che le na­zionali di Austria ed Italia si incontrarono per la prima volta e gli azzurri “dovettero soccombere con mortificante punteggio di fronte ai maestri austriaci” 14. In questa im­

buirono poi decisamente alla nascita della stampa sportiva specializzata la quale, in un non lontano futuro, sarebbe sta­ta conquistata soprattutto dal calcio: nel 1896 appariva, bisettimanale, “La Gazzetta dello sport” che divenne quotidia­no proprio in occasione del Giro d’Italia del 1913.8 “Il lavoratore ha più ore libere, il sistema inventa lo strumento che permette di dare anche al tempo libero una sua funzione nella riproduzione della forza-lavoro”, cfr. Gerhard Vinnai, Il calcio come ideologia, a cura di Valentino Bal- dacci, Bologna, Guaraldi, 1970, p. 16. Per Vinnai ( Il calcio come ideologia, cit., pp. 48-51) lo sport, in particolare il calcio, è in grado di ricostruire con efficacia, durante il tempo libero, un ambiente simile a quello della fabbrica (l’au­tore, a p. 48, confronta le tecniche dell’“allenamento” con quelle del “taylorismo”) e risulta utile quindi alla riprodu­zione della forza-lavoro; ma può anche coinvolgere in tale processo chi non partecipa direttamente al gioco ma ne viene sommerso “senza resistere”.9 S. Pivato, Il football: un fenomeno di frontiera. Il caso del Friuli Venezia Giulia, “Italia contemporanea”, 1991, n. 183, p. 257.10 A. Fugardi, Il calcio, cit., p. 51.11 In particolare il football austriaco potè presto vantare di possedere “gli esponenti più qualificati della scuola danubiana” che, già abbiamo visto, era, con quella inglese, una delle migliori d’Europa (cfr. A. Ghirelli, Storia del calcio, cit., p. 67).12 II primo torneo internazionale non inquadrato nei giochi olimpici fu la Coppa Rimet (dal nome del suo ideatore, Julius Rimet), divenuto poi celebre col nome di Campionato del Mondo.13 La prima Olimpiade moderna si svolse dal 5 al 15 aprile del 1896 in Grecia, ad Atene, ma il football divenne disci­plina ufficiale ai giochi del 1900, cui parteciparono però soltanto tre rappresentative nazionali.14 A. Ghirelli, Storia del calcio, cit., p. 44; la partita terminò 5-1 per l’Austria.

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presa decisamente poco esaltante, gli italiani furono guidati per la prima volta dal com­missario tecnico Vittorio Pozzo, “destinato a legare il proprio nome alle imprese più bril­lanti della Nazionale nel tardo dopoguerra” . Dopo le Olimpiadi del 1912, gli azzurri ed i bianchi si incontrarono ancora tre volte pri­ma dello scoppio del conflitto, ma Punico ri­sultato positivo conseguito dagli italiani fu uno 0-0 strappato a Milano nel gennaio del 1914. La superiorità del gioco austriaco era, e sarebbe rimasta a lungo, indiscutibile. D ’al­tronde, il grande pubblico italiano aveva ap­pena iniziato ad interessarsi a questo nuovo sport. Le stesse autorità non ne favorirono particolarmente lo sviluppo (le partite si te­nevano in stadi destinati principalmente ad altre discipline quali velodromi od ippodro­mi). Fu il fascismo a promuoverne decisa­mente la diffusione, dopo aver compreso tut­te le potenzialità politiche e sociali che una adeguata gestione di questo gioco poteva of­frire.

Il ruolo del calcio nella propaganda fascista

La fascistizzazione dello sport ebbe inizio nel 1925, con la nomina alla presidenza del Co­mitato olimpico nazionale italiano (Coni) di

Landò Ferretti. Egli ricevette il duplice inca­rico di convogliare le energie e gli interessi della gioventù e del pubblico verso le manife­stazioni agonistiche per distrarle dalle lotte politicheIl 15 e, nel contempo, di preparare la popolazione all’attività militare attraverso gli esercizi fisici e un’oculata promozione di alcune discipline sportive16. Nel 1926, alla presidenza della Federazione italiana gioco calcio (Figc) fu nominato il gerarca e podestà di Bologna Leandro Arpinati17, il quale si de­dicò al riordinamento del mondo calcistico nazionale.

Al regime nazionalista di Mussolini era noto il fenomeno di livellamento che il tifo produce nelle diverse classi sociali, trasfor­mando gli spettatori-tifosi in una massa omogenea. Si può sostanzialmente concorda­re con Gerhard Vinnai quando sostiene:

L’adesione regressiva al co llettivo sollecitata dalla reviviscenza di nazionalism o in occasione d ’incontri sportivi internazionali facilita ai do­minanti la trasform azione dei popoli in Gefolg­schaften [masse di seguaci]. Il loro strum ento di com unicazione — legato alla scom parsa della personalità cosciente — , il grido di eccitamento preverbale, può essere ingerito [sic] allo stadio. È appena il caso di ricordare che le prime partite di calcio furono giocate alla vigilia della prim a guerra m ondiale18.

15 A. Fuganti, Il calcio, cit., p. 69.16 Lo sfruttamento delle passioni sportive, anche ad uso più propriamente militare oltre che politico, ha avuto, in tempi recenti, un nuovo sviluppo. Dopo la nascita dei primi gruppi di ultrà nelle principali città europee, il fenomeno del tifo violento ha affrontato una nuova fase evolutiva. Nella ex Jugoslavia infatti, gruppi paramilitari tra i più efferati hanno avuto origine proprio dai club ultrà più importanti. È il caso del leader delle Tigri serbe, Arkan, nome di battaglia che, secondo la tradizione hooligan, si è dato il figlio del generalissimo Razniatovic. Arkan, prima di entrare nel libro paga del governo serbo, era stato infatti uno dei capi degli hooligans della Stella rossa di Belgrado ed aveva contribuito ad or­ganizzare, a partire dalla fine degli anni ottanta, incidenti a sfondo etnico che avevano come palcoscenico gli stadi. In seguito allo scoppio della guerra civile, egli ha potuto mettere al servizio del proprio governo l’esperienza, l’organizzazione e parte del “materiale umano” essoldato ed addestrato, anche a tecniche di guerriglia urbana, negli stadi jugoslavi. Per una breve storia del fenomeno vedi l’articolo di Laura Cortina, Da ultrà a cecchini, “Avvenimenti”, 8 febbraio 1995, p. 12.17 Arpinati fu un appassionato del football; federale di Bologna, già ferroviere anarchico, egli si legò a Mussolini e ri­mase sempre uno squadrista convinto. Passò alla storia del calcio per aver unificato i campionati italiani del Nord e del Sud (A. Ghirelli, Storia del calcio, cit., pp. 91-94); nel maggio del 1933, a causa delle rivalità politiche e personali con il segretario del Partito fascista, nonché Presidente del Coni, Achille Starace, Arpinati fu sostituito con il luogotenente generale della milizia Giorgio Vaccaro. Per una biografia di Arpinati vedi il saggio di Stephen B. Whitaker, Leandro Arpinati anarcoindividualista, fascista, fascista pentito, “ Italia contemporanea” , 1994, n. 196, pp. 471-489.18 G. Vinnai, Il calcio, cit., p. 116.

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L’esigenza principale del fascismo era, innan­zitutto, quella di “ distrarre” i cittadini da quanto avveniva nel paese reale e all’estero, calamitando l’attenzione dell’opinione pub­blica su argomenti politicamente innocui se non addirittura in grado di produrre consen­so19. Lo sport, seguito da un pubblico via via più ampio, divenne dunque uno dei migliori veicoli di aggregazione e produzione del con­senso. Il carattere strumentale dell’interesse fascista per lo sport può trovare conferma in­diretta nello spoglio delle pagine dei quoti­diani dell’epoca20. L’esaltazione delle impre­se sportive veniva infatti spinta ai massimi li­velli soprattutto quando mancavano altre possibilità di “ fare notizia” . Ecco così che le vittorie dei mondiali (Coppa Rimet) del 1934 e del 1938 ebbero una vasta eco, mentre le vicende che, come vedremo, turbarono la partita Italia-Austria del 1937 furono som­merse dalla cronaca del viaggio del duce in Libia e dalla consegna allo stesso della Spada dell’Islam; tutto ciò mentre in Spagna, a Guadalajara, stava volgendo al termine la prima “Caporetto” militare del regime fasci­sta. Poiché l’Austria del 1937 era un paese politicamente amico ed ormai entrato nella sfera d’influenza tedesca, non avrebbe avuto senso, in un’ottica propagandistica, polemiz­zare eccessivamente con Vienna, soprattutto sulle pagine dei quotidiani. L’opposto avven­ne invece a Parigi nel 1938, in occasione della terza Coppa Rimet; infatti, essendo la Fran­

cia allora la meta principale del fuorusciti- smo politico italiano, l’esaltazione di un suc­cesso sportivo “ fascista” fu considerato di primaria importanza.

Per favorire la partecipazione di masse sempre crescenti di pubblico alle manifesta­zioni, la politica sportiva fascista sviluppò un importante piano edilizio. Vennero ri- strutturati, ampliati o costruiti ex novo un notevole numero di impianti; il calcio abban­donò le strutture provvisorie che avevano ospitato i suoi esordi per conquistarsi un suo “spazio vitale”21 e già nel 1922 si manife­stò il primo significativo incremento del pub­blico presente sugli spalti: proprio in occasio­ne dell’incontro Italia-Austria del 15 gen­naio, ben 20.000 persone si recarono al Velo­dromo Sempione di Milano, garantendo un incasso, per l’epoca, di tutto rispetto (207.000 lire)22.

Il massimo sforzo per assicurarsi invece un “ incasso politico” da una manifestazione sportiva fu compiuto dal regime in occasione della Coppa Rimet giocata in Italia nel 1934. Si deve dire che l’operazione fu coronata da un completo successo: non solo la nazionale italiana s’impossessò del trofeo ed il bilancio economico si chiuse con un notevole (ed ina­spettato) attivo, ma anche, e soprattutto, la macchina propagandistica fascista potè rag­giungere con poco sforzo e senza un apparen­te impegno politico, una grande massa di cit­tadini; l’adesione del pubblico fu infatti deci-

19 Per i regimi totalitari fu, ed è ancora, essenziale tenere la massa fuori dalla vita politica. “Le si lasci fare cose prive di importanza, la si lasci urlare per una squadra di calcio.” (cfr. Noam Chomsky, Il potere dei media, Firenze, Vallecchi, 1994, p. 77).20 L’esaltazione del culto della forza e del vigore fisico fornirono miti che entrarono nella tradizione fascista ed ebbero una grande influenza sull’organizzazione delle attività sportive promosse dal regime. Anche in questo caso fu determi­nante il momento propagandistico.21 II 29 maggio 1927 venne inaugurato, alla presenza del re, lo stadio del Littoriale di Bologna, capace di contenere 60.000 persone; si trattava del primo impianto di questo genere sorto per iniziativa pubblica. Voluto da Arpinati, fu il risultato di una lunga serie di interventi governativi volti a dare degli spazi autonomi agli sport più seguiti. In tutte le principali città del paese sorsero nuovi stadi tra i quali è il caso di ricordare il Benito Mussolini, eretto nel tempo record di 180 giorni, a Torino, in luogo del vecchio impianto del 1911 (cfr. A. Papa, G. Panico, Storia sociale, cit., pp. 144-145).22 A. Papa, G. Panico, Storia sociale, cit., p. 125; gli spettatori furono 16.000 secondo l’Almanacco del calcio, cit., p. 470.

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samente superiore al previsto. Lo stesso Mussolini ebbe modo di farsi vedere a tutte le gare e “lasciò circolare singolari fotografie che lo ritraevano alla balaustra della tribuna d’onore dello stadio negli atteggiamenti con­sueti non tanto al duce delle camicie nere, quanto al tifoso”23. Per ottenere il risultato ottimale, gli stadi furono messi a disposizione dietro un corrispettivo molto minore di quel­lo normalmente in uso all’estero; concessioni ferroviarie, facilitazioni agli spettatori, agli arbitri, ai membri del comitato, esenzioni fi­scali per la pubblicità, emissioni di serie spe­ciali di francobolli, concessioni per le riprese cinematografiche e per le trasmissioni radio, nonché istruzioni particolari alla stampa na­zionale affinché desse il necessario risalto alla manifestazione, costituirono la chiave di vol­ta del successo. A coronamento finale dell’o­perazione, Mussolini stesso consegnò i trofei ai vincitori. A titolo di cronaca, ricordiamo che fu ancora un incontro tra Italia ed Au­stria, la semifinale giocata a San Siro a Mila­no, la partita più seguita di tutto il torneo ed anche la più redditizia. L’incasso realizzato in quell’occasione (811.526 lire) superò quel­lo della finale che si disputò a Roma (750.000 lire circa)24.

Il football, come spettacolo popolare, rap­presentò dunque, per il regime fascista, essen­zialmente un veicolo di consenso, un mezzo di integrazione delle masse25 ed uno strumen­to d’esaltazione patriottica in grado di stimo­lare l’orgoglio nazionale. Mussolini, nell’an­niversario della “marcia su Roma”, il 28 ot­tobre 1934, al raduno degli atleti di tutta Ita­lia, al Circo Massimo, cosi si espresse: “Ri­cordatevi che quando combattete oltre i con­fini, ai vostri muscoli e soprattutto al vostro

spirito è affidato in quel momento l’onore e il prestigio sportivo della Nazione”26.

Gli incontri

Gli effetti delle decisioni politiche seguenti la fine del primo conflitto mondiale ebbero ri- percussioni pesanti anche sul mondo del football. Una parte dei vincitori cercò infatti di escludere dalla Fifa le rappresentative na­zionali dei paesi sconfitti. Tra le nazionali escluse sarebbero rientrate anche tutte le squadre delle nuove realtà statuali sorte dalle ceneri del vecchio Impero austro-ungarico. Tutta la scuola danubiana, concorrente di quella inglese, avrebbe subito l’esclusione dalle competizioni internazionali. A questa decisione si opposero innanzitutto i paesi neutrali, Svizzera e Svezia. Per superare que­sto ostacolo, i vincitori cercarono allora di formare una nuova federazione solo tra di lo­ro, ma a questo progetto si oppose ITtalia27. Per reazione, nell’aprile del 1920, tutte le fe­derazioni inglesi aderenti abbandonarono la Fifa, ritirandosi in uno “splendido isolamen­to” 28. Di questa situazione approfittarono proprio le compagini danubiane: le squadre dei club e le nazionali di Austria, Cecoslovac­chia ed Ungheria diventarono le “regine” della scena calcistica.

Il primo incontro del dopoguerra tra Italia ed Austria si tenne a Milano, al Velodromo Sempione, il 15 gennaio 1922. Esso, come ab­biamo visto, segnò la prima impennata nel­l’affluenza di pubblico allo stadio. La partita amichevole, che terminò con un pareggio, ri­sultato pienamente soddisfacente agli occhi dei tecnici italiani, ebbe l’importante effetto

23 A. Ghirelli, Storia del calcio, cit., p. 133.24 A. Ghirelli, Storia del calcio, cit., pp. 132-134.25 Pierre Milza, Il football italiano. Una storia lunga un secolo, “Italia contemporanea”, 1991, n. 183, p. 245.26 A. Ghirelli, Storia del calcio, cit., p. 86.27 Probabilmente non per spirito sportivo, ma per il deteriorarsi dei rapporti con gli alleati a causa delle controversie sorte durante le trattative di pace che furono all’origine, in Italia, del mito della “vittoria mutilata”.28 A. Fugardi, Il calcio, cit., p. 50.

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politico di rompere l’isolamento sportivo au­striaco. La partita successiva, sempre un’ami­chevole, si giocò a Vienna. Anche rincontro giocato all’Hohe Warte il 15 aprile 1923, di fronte ad una folla di 85.000 spettatori, finì con un pareggio senza reti (per la felicità degli azzurri, già soddisfatti di essere usciti indenni dalla capitale austriaca). Ma questa volta, pri­ma della gara, sorsero polemiche di natura po­litica. Il 28 ottobre 1922 i fascisti avevano “marciato su Roma” e Mussolini aveva preso le redini del governo. Il fascismo si stava lan­ciando alla conquista delle istituzioni e ciò non aveva mancato di suscitare apprensioni all’estero. Nella “Vienna rossa” , poi, la situa­zione italiana era seguita con particolare at­tenzione, anche nel timore che l’esempio fasci­sta potesse essere imitato.

L’organo del Partito comunista austriaco “ Die Rothe Fahne” , l’i l aprile 1923 uscì con un articolo nel quale si affermava che duemila fascisti avrebbero voluto recarsi a Vienna per assistere all’incontro, ma anche, e soprattutto, per dimostrare la effettiva “unità di fronte” tra Mussolini ed il cancel­liere federale Seipel, leader dei cristiano-so­ciali. Il breve articolo si concludeva incitando i lavoratori ad ostacolare in ogni modo tali propositi e ricordando come la “coscienza di classe proletaria” dei compagni tedeschi era recentemente riuscita ad impedire ad un gruppo di fascisti di recarsi in visita in Ger-

• 29mania .Il capo della polizia Schober si affrettò a

mettere al corrente della situazione il ministe­ro degli Esteri, riferendo che il 14 aprile sa­rebbero giunti a Vienna i trenta membri della comitiva sportiva italiana (giocatori, tecnici, funzionari e giornalisti) e aggiungendo che la notizia data dal giornale comunista non

aveva ancora trovato conferma in quanto, fi­no a quel momento, nessun altro biglietto era stato venduto ad italiani anche se non si escludeva la possibilità che ciò potesse anco­ra accadere. Tra gli italiani che molto proba­bilmente si sarebbero recati all’Hohe Warte, c’era da annoverare il personale diplomatico dell’ambasciata e parte dei membri della co­munità italiana, in totale circa duecento per­sone. Nel suo rapporto, Schober faceva an­che notare il carattere di revanche che la par­tita aveva rispetto all’incontro di Milano e non mancava di evidenziare che la Figc era stata la prima federazione dell’Intesa a voler incontrare la nazionale austriaca e che essa era un’associazione apolitica. Escludeva quindi ogni possibile collegamento tra que­sto incontro e la situazione politica29 30. Con queste ultime osservazioni, in realtà, Scho­ber assegnava alla partita proprio il carattere politico che il suo rapporto intendeva nega­re; quale altro significato dare infatti all’uso del congiuntivo del verbo essere (sei) riferito al sostantivo Fussballverband (federazione calcio), uso che attribuisce un carattere dubi­tativo all’affermazione di apoliticità della stessa? E ancora, come valutare il giudizio implicitamente positivo sulla rottura del­l’embargo sportivo dell’Intesa? In ogni caso, l’amichevole si concluse senza incidenti (an­che per il risultato di parità che acconten- tò-scontentò tutti) e la comitiva azzurra ri­partì tranquillamente per l’Italia31.

La partita successiva (amichevole) si giocò il 20 gennaio 1924, a Genova, e per gli italiani si risolse in una “ Caporetto” calcistica. Il Wunderteam, guidato dal “ mago” Hugo Meisl, violò per ben quattro volte la rete az­zurra. Le attenzioni di Mussolini erano allo­ra concentrate sulla lotta politica interna e

29 Le notizie riguardanti l’incontro e l’articolo del giornale “Die Rothe Fahne” si trovano in un rapporto dell’11 aprile 1923 indirizzato al ministero degli Esteri austriaco e firmato dal capo della Direzione generale di polizia, Schober, in Österreichisches Staatsarchiv, Vienna, Archiv der Republick, Auswärtige Angelegenheiten, Neues Politisches Archiv (d’ora in poi Ö StA, NPA), Liasse Österreich (d’ora in avanti Li. Ö.) 2/4-1923, K. 224, ZI. 1.074-1-23.10 Rapporto Schober, Vienna 11 aprile 1923, loc. cit.31 Rapporto Schober, Vienna 17 aprile 1923, in Ö StA, NPA, Li. Ö 2/4-1923, K. 224, ZI. 1.138-1-23.

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sulle elezioni (le prime con il nuovo sistema maggioritario, che si tennero nell’aprile del 1924). Egli non aveva ancora consolidato il suo potere e forti, pur se divise, restavano le opposizioni. Inoltre, aveva dovuto ‘metter ordine’ aH’interno dello stesso movimento fa­scista, al fine di renderlo più docile ai suoi vo­leri. Infine, per quanto riguarda la politica estera, egli aveva ottenuto una positiva rica­duta d’immagine dalla stipula, il 27 gennaio 1924, dell’accordo quinquennale d’amicizia con la Jugoslavia, grazie al quale fu risolta la questione di Fiume. In questo contesto, la sconfitta della nazionale italiana a Genova divenne certamente più digeribile per un Mussolini troppo affaccendato per prestare attenzione al football. U n’eco del match di Genova si ritrova in alcuni giornali che ripor­tarono la notizia, peraltro innocente, di una partita che un gruppo di bambini romani aveva giocato nel quartiere di Roma ove ave­va sede l’Ambasciata austriaca, dividendosi in due squadre per imitare rincontro appena conclusosi. Il rapporto dell’ambasciatore al ministro degli Esteri a Vienna considerò co­munque il fatto una ragazzata non degna di essere oggetto di attenzione da parte di un uf­ficio diplomatico32.

Un incidente più significativo si ebbe nel marzo del 1926. Superata la crisi politica cau­sata dal delitto M atteotti, tra il 1925 ed il 1926 Mussolini iniziò la “ fascistizzazione” definitiva dello Stato, eliminando ogni oppo­sizione legale. Questa operazione coinvolse anche le regioni ove forte era la presenza di minoranze nazionali. L’Alto Adige fu dura­

mente colpito dalla politica di italianizzazio­ne imposta dai fascisti. Ciò non mancò di su­scitare proteste in Austria. Nel marzo del 1926, la Federazione del calcio di Vienna, prese nettamente posizione contro un discor­so di Mussolini proprio sulla questione del­l’Alto Adige e si rifiutò di partecipare al con­gresso delle federazioni che avrebbe dovuto tenersi a Roma, nel maggio seguente. Tale presa di posizione suscitò una violenta rea­zione italiana. Il Consiglio della Figc, ormai asservito alla politica fascista, per ritorsione dichiarò “ troncato nel modo più completo ogni rapporto colla suddetta Federazione” e non mancò di ricordare, come se si trattasse di un debito da pagare, “il gesto di gentilezza latina”33 compiuto dalla magnanima Italia consentendo alla sconfitta Austria di giocare con la nazionale italiana neU’immediato do­poguerra. Non ancora soddisfatto, il Consi­glio federale proseguiva

riaffermando la sua fede schiettamente italiana e rigidamente ispirata alle direttive nazionali del go­verno, orgoglio e vanto della patria che ascende, plaude alle parole veramente romane pronunciate da S.E. il Presidente del Consiglio, conclamando anche in nome dello sport la inviolabile italianità dell’Alto Adige e di fronte alle inconcepibili ingiu­rie lanciate dalla federazione austriaca, ingiurie che solo possono trovare una attenuazione nella miseria culturale di chi le ha proferite,

e annunciava la decisione di “ togliere dalla sede federale tutti i gagliardetti che ricorda[- va]no tutti gli incontri internazionali con la squadra d’Austria”34. Del caso dovette occu-

32 Rapporto dell’ambasciatore austriaco al ministro degli Esteri Alfred Grünberger, 23 gennaio 1924, in Ö StA, NPA, Originalberichte der Österreichischen Gesandtschaften und Konsularämter (d’ora in poi Ob, 1921-1923, K. 77 Rom Quirinal, ZI. 11.420-17-24.33 II comunicato della Figc, pubblicato da “Giornale d’Italia” il 26 marzo 1926, è contenuto in un trafiletto allegato al rapporto delfambasciatore austriaco a Roma, indirizzato al cancelliere federale Ramek (Ö StA, NPA, Ob, 1925-1926, K. 77 Rom Quirinal, ZI. 11.678-13-26).

Per quanto tragicamente comiche possano risultare le parole della Figc, non bisogna dimenticare che un simile lin­guaggio costituì una delle basi della propaganda fascista ed ebbe una funzione di primo piano nell’organizzazione del consenso. Per un’analisi del lessico fascista vedi Enzo Golino, Parola di duce. Il linguaggio totalitario del fascismo, Mi­lano, Rizzoli, 1994.

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parsi la legazione austriaca in Italia e l’amba­sciatore di Vienna pensò bene di addossare la responsabilità integrale di quanto era avve­nuto ai socialdemocratici, facendo anche pre­sente alle autorità italiane come molti circoli austriaci avessero immediatamente condan­nato questa commistione ( Vermischung) di politica e sport35.

In ogni caso, tra gli azzurri italiani ed i bianchi austriaci non si tennero incontri fino alla partita di Coppa internazionale giocata a Bologna il 6 novembre 1927. Questa partita (vinta dall’Austria) ed il successivo pareggio nell’amichevole giocata a Roma 1’ 11 novem­bre 1928, allo Stadio nazionale del Partito nazionale fascista, non diedero origine ad in­cidenti di rilievo36.

Il 7 aprile 1929

Nella primavera del 1929 venne giocato, tra le due nazionali, un incontro amichevole che non mancò di suscitare polemiche37. Gli azzurri questa volta uscirono con le ossa rot­te dall’Hohe Warte di Vienna; “il gioco pe­sante degli austriaci, di cui restò vittima so­prattutto Janni, rimpatriato con una gamba spezzata, e un’autorete di Pitto contribuiro­no alla ro tta” 38. Ormai il regime fascista non poteva più accettare sconfitte, neppure in campo sportivo. Men che meno le poteva

digerire se avvenivano ad opera di una picco­la nazione, già battuta nella “partita di Vitto­rio Veneto” , considerata uno Stato di “serie B” e priva quindi del diritto stesso di affron­tare vittoriosamente l’Italia anche sul piano sportivo. Se poi rincontro si chiudeva, come accadde il 7 aprile, con il terribile punteggio di 3-0, ecco che l’orgoglio ferito dei fascisti doveva trovare modo di sfogarsi: la macchi­na propagandistica di Mussolini non poteva permettere che agli italiani venisse in mente un facile raffronto tra l’epilogo della partita di Vienna e la disfatta di Caporetto (certo an­cora viva nella memoria collettiva della po­polazione)!

Fu probabilmente anche per questo che la diplomazia italiana creò un incidente che av­velenò, in parte, la bella vittoria degli austria­ci, la cui superiorità fu riconosciuta da tut­ti39. Il Wunderteam di Meisl travolse gli az­zurri in una partita cominciata all’insegna degli equivoci. Infatti, non è chiaro se per un atto premeditato o a causa di una banale serie di gaffe degli organizzatori, la banda, al momento di suonare i rispettivi inni naziona­li, commise il clamoroso errore di intonare, in luogo della Marcia reale dei Savoia, una qua­lunque canzone italiana ( Santa Lucia, secon­do un giornale italiano40). Anche con le ban­diere si ebbero degli assurdi problemi; il tri­colore italiano fu infatti issato e subito strap­pato dal vento (secondo la versione austria-

35 Ö StA, NPA, Ob, 1925-1926, K. 77 Rom Quirinal, ZI. 11.678-13-26.36 A parte l’assenza di motivazioni per il nascere di contrasti in seguito a queste due partite, è probabile che anche la politica italiana di assistenza ai cristiano-sociali austriaci abbia giocato un ruolo moderatore.37 Su questo incontro esiste un fascicolo specifico contenente i rapporti di polizia e diplomatici, nonché numerosi arti­coli di giornali, in Ö StA, NPA, Liasse Italien (Li. It.), 1/1 1918-1929, K. 583, fascicolo “Länderspiel Österreich-Italien, 7. April 1929; Fahnen Affaire”.38 Cfr. A. Ghirelli, Storia del calcio, cit., p. 101.39 Un quotidiano di partito scrisse infatti che l’Italia era stata battuta seccamente; avevano influito negativamente sulla resa degli azzurri anche il maltempo (ci fu persino una tempesta di neve), il gioco duro degli avversari e la “villanità” del pubblico, ma l’autore dell’articolo non poteva esimersi dal riconoscere la superiorità dei bianchi. Lamentava soltanto l’assenza dal terreno di gioco dello stesso Hugo Meisl (ammalato), il quale, “amico leale e fervido dell’Italia” , avrebbe forse potuto rimediare alle intemperanze avvenute in campo e sugli spalti; cfr. “Il Popolo di Trieste del lunedi” , 8 aprile 1929, p. 6. Anche il segretario generale della Figc, Zanetti, considerò meritata la vittoria dei padroni di casa, ma affermò che gli azzurri avrebbero meritato di segnare almeno una rete; cfr. “Wiener Montagblatt”, 8 aprile 1929, p. 9.40 “Il Piccolo di Trieste”, 10 aprile 1929, p. 3.

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ca), o non fu issato affatto e venne sostituito da una bandiera ungherese, anch’essa trico­lore ma con i colori disposti orizzontalmente (secondo la versione italiana). Salde sulle proprie aste restarono, tra l’irritazione dei fa­scisti presenti, l’odiata bandiera inglese, quel­la austriaca e quella ungherese.

Sembra effettivamente che, sin dall’inizio della partita, il gioco austriaco fosse diventa­to pesante, tanto da far scoppiare liti in cam­po ed accendere gli animi dei tifosi, i quali si scatenarono (almeno secondo le fonti italia­ne) in una serie di insulti e “villanerie” d’ogni sorta, passando da un innocuo “tutti i frutti maccaroni spaghetti”41 ai più offensivi “Schweine und Katzelmacher”42 43. Darsi ri­spettivamente dei maiali (Schweine) doveva essere quasi divenuta una prassi giornalistica del tempo; anche 1’ “ Impero” del 10 aprile usciva con un articolo nel quale (secondo la traduzione fornita dalla stampa viennese) co­si si scriveva:

Was fü r eine Schweinerei ist heute eigentlicht Wien? Eine Schweinerei war es schon immer, aber es hatte wenigstens seine Brötchen, seine Walzer, seine Dir­nen und seinen Galgenkaiser. Aber jetzt? Jetzt ist es nichts als ein häufen Beutelschneider, gemeinster homosexueller und widerwärtigster Zuhälter42,.

Ciò che conta non è quindi il risultato dell’in­

contro ma la violenza con la quale la stampa italiana reagì alla sconfitta e a un incidente (quello della bandiera e dell’inno nazionale) decisamente indegno di tanta attenzione44. Non bisogna dimenticare però che, fin dal 1926, tutta la stampa era ormai asservita al fa­scismo e da esso controllata. Nulla che non avesse ottenuto un preventivo avallo, o non fosse stato direttamente ispirato dal regime, sarebbe mai stato pubblicato da un cosi gran­de numero di testate. La campagna di stampa fu di una violenza incredibile, arrogante ed of­fensiva, e giunse ai livelli più infimi dell’arte giornalistica. Tutte le armi furono usate per insultare l’Austria e i suoi atleti, “colpevoli di una vittoria, sia pure conseguita attraverso fortunose e fortunate vicende”45, mentre ave­va perso una “ben altra partita vinta dieci an­ni or sono dagli italiani quando non due squa­dre soltanto, ma due popoli, con la loro forza e le loro tradizioni, erano l’uno contro l’altro armati”46. La stampa austriaca e, di riflesso, lo stesso governo furono accusati di odio anti­italiano, di aver sfruttato lo sport per fini po­litici (!), di aver tradito la generosa amicizia dellTtalia. Come ricordò il “Giornale d’Ita­lia” : “L’Austria ha avuto frequente bisogno di aiuti; prima fra tutti i paesi, l’Italia genero­samente li ha dati. L’Austria ha bisogno anco­ra di aiuti; ma sarà bene che l’Italia misuri ora

41 “Wiener Montagblatt” , 8 aprile 1929, p. 10.42 Maiali e Katzelmacher, parola di difficile traduzione che paragona gli italiani ai gatti a causa dell’asserita comune consuetudine ad avere una numerosa prole; cfr. la rassegna stampa dei giornali italiani compresi in “Lauderspiel Öster­reich Italien”, Fahnen Affaire, 7. April 1929, loc. cit. a nota 37; tali offese furono in particolare riportate da “Il Resto del Carlino” del 16 aprile e da “La Stampa” del 13.43 “Che porcheria è veramente oggi Vienna? Una schifezza lo è sempre stata, ma almeno aveva i suoi panini, i suoi val­zer, le sue puttanelle ed il suo Kaiser forcaiolo. Ma adesso? Ora non è altro che un covo di tagliaborse, sporchi omo­sessuali e luridi ruffiani” . Si tratta di una traduzione, riportata sulla “Neue Freie Presse, Morgenblatt” dell’ 11 aprile, contenuta nella raccolta di articoli della stampa austriaca allegati ad un rapporto della Cancelleria federale del giorno precedente; cfr. Ö StA, NPA, Li. It., 1/1 1918-1929, K. 583, ZI. 21.524-13-29.44 Un unico incidente di natura decisamente “extrasportiva” avvenne subito dopo la fine della partita e fu provocato da un gruppo di quindici giovani camicie nere che, raggiunto il terreno di gioco, si misero a provocare il pubblico mentre lasciava lo stadio gridando, “evviva Mussolini” e cantando arie fasciste; il pubblico, dapprima meravigliato, reagì infine alla provocazione cercando di superare il cordone della polizia per aggredire i fascisti, senza però riuscirvi; cfr. “Der Montag mit dem Sport-Montag”, edizione speciale, 8 aprile 1929, p. 2.45 “ Il Piccolo di Trieste”, 9 aprile 1929, p. 3.46 Articolo in italiano da il “Popolo d’Italia” del 10 aprile, in Ö StA, NPA, Li. It., loc. cit. a nota 43.

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la sua generosità e faccia valere i suoi diritti della guerra e della vittoria”47. Dopo aver cosi elegantemente ricordato gli esiti del conflitto,10 stesso giornale concludeva l’articolo con la sorda minaccia che l’Italia avrebbe saputo trarre dall’accaduto le “necessarie conclusio­ni” . Ancora più stupidamente minacciose fu­rono poi le parole dell’ “Impero” nei confron­ti dei “barbari” viennesi; secondo il giornale,

11 giorno che arriveremo alla discussione con l’Au­stria, questa discussione durerà solo pochi secondi e la parola l’avranno solo le nostre bombe. Come i vendicatori dell’um anità intera che fin troppo a lungo è stata insultata da quella disgustosa cosa che gli uomini chiamano Austria48.

Nel partecipare alla gara delle offese e delle minacce si segnalò anche “Il Piccolo di Trie­ste” , il quale spiegò l’assenza di “ stile” dei viennesi con la “ troppa birra, troppa fisar­monica e troppa voglia di vivere a buon mer­cato” e che, già che c’era, pensò di attribuire loro una incongrua codardia in battaglia, as­serendo che la loro arma migliore era stata sempre “ il foglio di esonero!” . Da parte di questo giornale, quotidiano di un porto, creato e vissuto soprattutto per volontà au­striaca, non mancò pure il grossolano accen­no alla perdita dello sbocco adriatico da par­te dell’Austria divenuta una repubblica, “da qualche tempo [...] in fregola [...] di provoca­zioni verso l’Italia” , che “[...] ha il suo mare sulle rive del Danubio” . Per non essere da meno dell’ “Impero” , di fronte all’errore nel­l’esecuzione della Marcia reale, i redattori del “Piccolo” si chiedevano infine se Vienna

avrebbe avuto abbastanza spirito per ripetere il gesto ironico di fronte ai 25.000 alpini che nella

stessa ora si raccoglievano in Roma, tra il Colos­seo e il Quirinale, salutati dal Re, benedetti dal Pa­pa e comandati dal Duce49.

In realtà, le scuse degli organizzatori dell’in­contro erano state già ufficialmente rivolte alla nazionale azzurra in occasione del ban­chetto seguito al match. Alla cena si erano ri­fiutati di partecipare i rappresentanti della Figc, ma era intervenuta la squadra, accom­pagnata solamente dall’ingegner Ottorino Barassi, segretario della Federazione italia­na. Gli austriaci si prodigarono in tutti i mo­di per far dimenticare le loro mancanze orga­nizzative ed arrivarono a far suonare “Addio mia bella addio e La Bella gigogin, canti del passato che avrebbero amareggiato gli au­striaci dell’impero ed i socialdemocratici del­la repubblica Viennese”50. La sala della cena fu drappeggiata in bianco rosso e verde e l’or­chestra “mise nel suo programma tutto il re­pertorio italiano possibile ed immaginabi­le”51.

Fu il presidente della Federazione austria­ca, Richard Eberstaller, a fare le scuse uffi­ciali, chiedendo che non fosse male interpre­tata la loro fallace organizzazione. I fascisti, tuttavia, per giustificare i loro attacchi, utiliz­zarono i giornali socialisti austriaci, usciti il giorno successivo all’evento. Il bersaglio pre­diletto fu, come di regola, l’organo dei social- democratici, 1’ “Arbeiter-Zeitung” , il quale aveva, tra l’altro, piaudito ai fischi indirizzati ai fascisti italiani.

L’esagerata ed arrogante reazione italiana all’epilogo della partita non mancò di infasti­dire anche le istituzioni austriache. L’amba­sciatore di Vienna a Roma, Lothar Egger, ri­cevette infatti istruzione di rispondere agli “inqualificabili” attacchi di “alcuni giornali

47 Citazione da “Il Giornale d’Italia”, riportata nell’articolo de “Il Popolo d’Italia” del 10 aprile, in Ò StA, NPA, Li. It., ZI. 21.549-13-29.48 Traduzione in tedesco ripresa dalla “Neue Freie Presse, Morgenblatt”, in Ò StA, NPA, Li. It., ZI. 21.524-13-29.49 “Il Piccolo di Trieste” , 10 aprile 1929, p. 3.50 “Il Piccolo di Trieste” , 9 aprile 1929, p. 3.51 “Il Piccolo di Trieste” , 9 aprile 1929, p. 3.

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italiani” (identificati come gli unici responsa­bili della campagna denigratoria) e di portare a conoscenza delle massime autorità romane la versione austriaca52. Venne ribadito che la bandiera italiana, effettivamente issata, era poi stata strappata dal forte vento e sostituita con un tricolore ungherese53. L’errata esecu­zione della Marcia reale fu addebitata al di­rettore della banda e si fece notare come, a Vienna, già in precedenza fosse stato com­messo lo stesso sbaglio e nessuno si fosse la­m entato54. E interessante notare che, sulla lettera di istruzioni inviata all’ambasciatore austriaco a Roma, le righe che criticavano gli italiani per non aver atteso la fine dell’in­no federale austriaco e per essersi subito di­retti a centro campo con l’intenzione di fare una foto di gruppo risultavano cancellate a mano, mentre si sottolineava la compostezza dei giocatori austriaci di fronte a quello che essi pensavano fosse l’inno italiano. Si faceva anche notare che le scuse per i malintesi orga­nizzativi erano immediatamente succedute all’incontro, già al banchetto d’onore, e che, all’inizio della partita, gli azzurri erano stati calorosamente salutati dal pubblico e che il loro saluto romano era stato seguito da po­chissime proteste.

Per dar maggior peso alle proprie giustifi­cazioni, la Cancelleria federale decise anche di citare fonti straniere che suffragavano l’interpretazione austriaca dei fatti55. Ma, proprio mentre le autorità austriache stava­no preparando l’offensiva diplomatica desti­nata a portare a conoscenza della contropar­te le loro ragioni, giunse a Vienna una co­municazione confidenziale di Egger nella

quale l’ambasciatore riferiva di aver incon­trato il ministro degli Esteri Guariglia, il quale gli aveva comunicato che il caso aveva “perso ogni urgenza” per gli italiani. Tutto il materiale raccolto dalla Cancelleria fede­rale (testimonianze neutrali, articoli della stampa estera e così via) fu dunque acquisito soltanto in via “informativa ed illustrativa” dagli italiani e Guariglia chiese che si occu­passero dell’accaduto soltanto gli organi sportivi competenti. Il ministro italiano ave­va concluso il colloquio con Egger discuten­do della prossima visita a Vienna del mae­stro Toscanini e dell’orchestra della Scala di Milano e augurandosi un esito positivo della manifestazione56. Come mai lo scanda­lo denunciato dagli italiani con toni così du­ri si chiuse tanto celermente? E probabile che, essendo stati raggiunti gli obiettivi di questa operazione, non fosse più politica- mente utile insistere sull’accaduto rischiando di compromettere i rapporti con il governo austriaco. Era stata infatti abilmente nasco­sta e poi sfruttata la sconfitta degli azzurri. Pochi fischi, un inno sbagliato e una bandie­ra ungherese erano riusciti a provocare, gra­zie anche agli articoli della stampa socialista viennese, il pretesto per un attacco al gover­no socialdemocratico della capitale ed a sot­tolineare, presso gli amici del Partito cristia­no-sociale, l’insofferenza italiana per una si­tuazione che vedeva l’amministrazione di Vienna ancora in mano alle sinistre, mentre il governo nazionale era nelle mani dei con­servatori.

Mussolini avrebbe insomma approfittato dell’occasione per concertare un’offensiva,

52 Ò StA, NPA, Li. Italien, 1/1 1918-1929, K. 583, ZI. 21.524-13-295j Rapporto della Bundes-Polizeidirektion in Wien (d’ora in poi BPd W) all’ufficio del cancelliere federale, 11 aprile 1929, in Ó StA, NPA, Li. It„ ZI. 21.545-13-29, p. 2.54 Rapporto BPd W all’ufficio del cancelliere federale, 11 aprile 1929, in Ò StA, NPA, Li. Italien, ZI. 21.538-13-8-29, p. 3.55 Rapporto del Bundeskanzleramt (d’ora in poi BKA) a Egger, 20 aprile 1929, contenente alcune dichiarazioni rilascia­te in tal senso da un arbitro inglese e dal segretario generale della Federazione ungherese del calcio, in Ó StA, NPA, Li. Italien, ZI. 21.708-13-29.56 Nota confidenziale di Egger al cancelliere Ernst Streeruwitz, 8 maggio 1929, in Ò StA, NPA, Li. It., ZI. 22.044-13-29.

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complice tutta la stampa italiana, che mettes­se di fronte gli “amici” cristiano-sociali alla necessità, più volte ribadita, di giungere alla liquidazione del “bubbone” rosso di Vienna. Del fatto non si resero conto gli austriaci, si­curamente non la stampa che molto si mera­vigliò e, con ragione, si indignò per gli attac­chi ingiustificati di parte italiana. Forse l’uni­co a cogliere la situazione fu un giornale tede­sco di Praga, la “Deutsche Presse” , la quale scrisse che nemmeno dopo le undici battaglie dell’Isonzo l’Italia si era permessa di insulta­re così gravemente l’Austria ma allora, conti­nuava l’articolo, “l’Italia non era ancora fa­scista”57.

L’Italia dei titoli mondiali

Nell’autunno del 1929, Vittorio Pozzo assun­se la guida della nazionale. Aveva vissuto molto all’estero, soprattutto in Inghilterra, ed era quindi a conoscenza anche della tecni­ca d’Oltre Manica. “ Il regime fascista indivi­duò in lui l’uomo ideale per deviare nel calcio la carica emotiva delle masse, in quanto egli

stesso fermamente credeva nello sport come in una sorta di mito insieme religioso e pa­triottico”58. Fu lui a guidare il team azzurro in quello che fu 1’ “anno trionfale per il no­stro football: forse il più perentorio e positivo di tutta la storia calcistica”59. Nella carica di commissario unico riuscì a modellare una squadra dagli eccezionali caratteri agonistici. Pozzo assicurò alla nazionale un notevole numero di ottimi giocatori, alcuni dei quali, nonostante il divieto sancito dalla Carta di Viareggio60 del 1926, provenivano dall’este­ro61. Tra i campioni di Pozzo va ricordato Giuseppe Meazza dell’Ambrosiana calcio di Milano62, il quale fu, per anni, uno degli astri del football italiano.

Dopo i fatti del 1929, gli azzurri ed i bian­chi si incontrarono a Milano, il 22 febbraio 1931, in occasione della seconda edizione del­la Coppa internazionale e, per la prima volta, a San Siro, di fronte a circa 45.000 spettatori, la nazionale italiana riuscì a piegare l’ormai mitico avversario. Il pubblico di Milano ‘de­lirante’ per la vittoria degli azzurri, che ave­vano “ rotto l’incantesimo sbaragliando la nazionale bianca che da 19 anni resisteva ai

57 Articolo del 13 aprile 1929, riferito in una rassegna stampa inclusa nel fascicolo sull’incontro citato a nota 37.58 A. Ghirelli, Storia de! calcio, cit., p. 107.59 A. Ghirelli, Storia del calcio, p. 108.60 La Carta di Viareggio regolò l’organizzazione del mondo calcistico italiano ed istituì il campionato unico nazionale. Contemporaneamente il Coni fu messo alle dipendenze del Partito nazionale fascista. Tra l'altro, la Carta stabili le nor­me in fatto di stranieri impedendo l’immigrazione di nuovi sportivi.61 In deroga al divieto, fu concesso a numerosi giocatori sudamericani di entrare in Italia. Ciò fu reso possibile dal fat­to, che molti di essi erano figli di cittadini italiani emigrati in America alla fine dell’Ottocento. Con questo escamotage entrarono nella squadra di Pozzo degli uomini che seppero influire sulla stessa tattica di gioco collocando “l’esperienza italiana, unica al mondo, nel crocevia dei continenti del football” (cfr. A. Papa, G. Panico, Storia sociale, cit., p. 163). Alla vigilia della guerra d’Etiopia, alcuni di essi, tra i quali Enrico Guaita, azzurro di grandi qualità agonistiche, fug­girono dal paese per evitare la chiamata alle armi e l’obbligo di una esplicita adesione al regime, sollevando uno scan­dalo nazionale che venne sfruttato dal fascismo “per rinforzare i toni sciovinistici della sua propaganda nel settore spor­tivo” (cfr. A. Ghirelli, Storia del calcio, cit., p. 145).62 L’Ambrosiana calcio altro non è che L’Internazionale di Milano. II nome originale della squadra fu cambiato dai fascisti forse, come sostiene Gianni Brera, proprio “in odio a Carlo Marx”, durante la corsa alla nazionalizzazione lin­guistica (cfr. Gianni Brera, Storia critica del calcio italiano, Milano, Bompiani, 1975, p. 99). Come l’Inter, anche il Ge­noa fu “italianizzato” in Genova; perfino i cognomi di alcuni giocatori dovettero subire delle modifiche perché fossero accettabili al nuovo clima “romano” della penisola: Gino Colaussi fu il nome assunto, per esempio, dallo “slavo-trie­stino” Colauseig (G. Brera, Storia critica, cit., pp. 164-165). Atleta della triestina e della nazionale, Colaussi mise a se­gno ben quindici goal giocando negli azzurri; alcuni di essi furono determinanti, come ad esempio i due (su quattro) segnati durante la finale della terza edizione della Coppa Rimet, Italia-Ungheria, nel giugno del 1938.

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loro assalti”63, costrinse l’organizzazione a ritardare di diversi minuti la ripresa del gioco dopo il secondo goal; ma nessuno stavolta si sognò di agire per vie diplomatiche. La vitto­ria fu celebrata naturalmente con tutti i fasti propri della macchina propagandistica del regime.

Se l’incubo dell’imbattibilità austriaca era finito, restava ora da espugnare Vienna. Gli azzurri di Pozzo ci provarono l’anno dopo. L’incontro di Coppa internazionale (secondo torneo) si tenne al nuovo stadio del Prater, terreno di gioco di tutte le successive gare tra le due nazionali in Austria, il 20 marzo 1932. Il Wunderteam non deluse però le aspettative degli oltre 60.000 viennesi presen­ti e si aggiudicò l’incontro. Come di consue­to, il saluto romano dei giocatori italiani ven­ne fischiato e dileggiato dal pubblico quan­tunque, secondo le fonti di polizia, le “singo­le” grida di scherno furono subito sommerse dall’entusiasmo della folla per l’entrata in campo del Wunderteam. La stessa scena si ri­petè alla fine dell’incontro, al momento del commiato dal pubblico, quando, come d’abi­tudine, gli azzurri levarono il braccio nel sa­luto fascista. Ma, anche in questa occasione, il pubblico non si unì ai fischi e agli insulti le­vatisi da una parte della tifoseria64. Il silenzio della diplomazia italiana di fronte a questi episodi può essere in parte spiegato conside­rando i mutamenti che stavano maturando nella politica. Nel settembre del 1932 Musso­lini assunse nuovamente il ministero degli Esteri in luogo di Dino Grandi ed il triestino Fulvio Suvich fu nominato sottosegretario. La politica estera fascista divenne, da allora, più ardita. La rinascita della potenza germa­nica rese più movimentata la situazione euro­

pea e Mussolini cercò di trarne dei vantaggi. I problemi maggiori nelle relazioni con Berli­no, e con i nazisti dal 1933 in poi, sarebbero però stati chiaramente l’Alto Adige e la que­stione austriaca. Per questo motivo, forse, in occasione della sconfitta del Prater del 1932, nonostante i fischi e gli insulti guadagnati dal saluto romano, la diplomazia italiana non proferì verbo.

Nel 1934 gli azzurri ed i bianchi si incon­trarono due volte, sempre in Italia. La prima partita vide gli uomini di Meisl travolgere gli italiani allo stadio Benito Mussolini di Tori­no. LT1 febbraio, davanti a 54.000 spettato­ri, la nazionale italiana perse la quinta gara del terzo torneo di Coppa internazionale. Ma il 1934 fu anche l’anno del primo titolo mondiale azzurro. Venne conquistato a Ro­ma, contro la Cecoslovacchia, dopo “ due ore di epica lotta”65, il 10 giugno. La partita più seguita fu però la semifinale di Milano, giocata a San Siro il 3 giugno, contro l’Au­stria di Meisl. Grazie ad una rete del sudame­ricano Guaita, gli italiani si aggiudicarono la finale. Fu lo stesso allenatore dei bianchi a definire “equo” il risultato66. Anche se in­dubbio fu il valore dei giocatori italiani, non mancò chi accusò gli arbitri di aver favo­rito gli azzurri per facilitarne la vittoria67; che fosse vero o meno, il sospetto generato dal fa­scismo aveva, in parte, avvelenato il torneo.

La fine di un mito

Dopo gli allori della Coppa Rimet, che ave­vano consacrato il football italiano come uno dei migliori del mondo, per Pozzo e com­pagni venne anche il momento di espugnare il

63 “Il Popolo di Trieste del lunedi”, 23 febbraio 1931, p. 5.64 Questo almeno era il contenuto del rapporto della Direzione di polizia, teso a sminuire sia la portata degli incidenti (“esagerate” vengono infatti definite le notizie apparse su alcuni quotidiani), sia a controbattere le accuse della stampa viennese riguardo la gestione del traffico.65 “Il Popolo di Trieste del lunedi”, 4 giugno 1934, p. 5.66 “Il Popolo di Trieste del lunedì”, 4 giugno 1934, p. 5.67 G. Brera, Storia critica, cit., p. 162.

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Prater. L’incontro tra italiani e austriaci fu fissato per il 17 febbraio del 1935. Gli orga­nizzatori però non si resero subito conto che la partita di Coppa internazionale si sa­rebbe svolta proprio nelFanniversario della guerra civile del 1934. D’altronde, in un an­no, la stessa situazione internazionale era molto mutata. Infatti, l’influenza tedesca sta­va crescendo in tutta l’Europa dell’Est ed in Austria i nazisti, dopo il tentativo di golpe, ove aveva trovato la morte il neodittatore Dollfuß, stavano potenziando la rete illegale e sfruttavano ogni occasione propizia a fini propagandistici. Mussolini, che era stato il principale fautore di una indipendenza au­striaca sotto la protezione italiana, si stava rendendo conto dell’impossibilità di reggere la concorrenza tedesca nella regione danu­biana e presto avrebbe rivolto le sue attenzio­ni all’Africa, abbandonando Vienna nelle mani naziste. Ad un anno esatto dalla rivolta del 1934, la situazione interna dell’Austria era ancora instabile. Non solo i socialisti e i nazisti, entrambi posti fuori legge, si erano riorganizzati illegalmente, ma tra i due movi­menti clandestini vi erano stati anche dei con­tatti al fine di rendere più difficile la vita al re­gime. La partita di calcio contro l’Italia di Mussolini (che nel 1934, in occasione del fal­lito putsch aveva mobilitato le truppe al con­fine con l’Austria per significare con chiarez­za a Berlino le proprie intenzioni) avrebbe fa­cilmente potuto trasformarsi in un momento propagandistico per le opposizioni illegali.

Memori dei precedenti, le autorità di poli­zia della capitale sconsigliarono la Cancelle­

ria di far tenere rincontro proprio nei giorni della rivolta dell’anno prima. La partita, in Italia, era stata oggetto di grande pubblicità e a Vienna erano attesi diversi treni speciali carichi di tifosi per i quali si sarebbe dovuta avere “una attenzione del tutto particolare” , preparando la kermesse sportiva con “parti­colare accuratezza” onde evitare ogni possi­bile disordine. Il rapporto della Direzione di polizia ribadiva anche il pericolo della dif­fusione di un certo “nervosismo” causato dal timore di manifestazioni politiche organizza­te da comunisti e socialisti. Sulla scorta di queste osservazioni, le autorità di polizia consigliavano dunque di posticipare rincon­tro di almeno una settimana, evitando, su ri­chiesta esplicita della Bundes-Polizeidirek- tion, di motivare la decisione con esigenze politiche o di ordine pubblico che avrebbero rese manifeste le preoccupazioni del regime. Il suggerimento della polizia venne recepito prontamente e la data della partita fu sposta­ta di più di un mese, al 25 marzo68.

Nonostante i timori della polizia, non fu dalla sinistra dello schieramente politico ille­gale che vennero i problemi, ma dalla destra. Infatti, con l’approssimarsi della partita, i rapporti in arrivo al Bundeskanzleramt espri­mevano sempre più insistentemente il timore che i nazisti stessero preparando delle mani­festazioni antiitaliane in occasione della par­tita. Lo scopo sarebbe stato quello di mettere in difficoltà il governo di fronte all’alleato fa­scista piuttosto che di attaccare direttamente il regime di Mussolini69.

La partita fu vinta dalla nazionale italiana

68 II rapporto della BPdW alla Direzione generale di pubblica sicurezza della Cancelleria del 27 gennaio 1935, che sug­geriva di posticipare la manifestazione sportiva, porta, in calce la notizia del rinvio del match al 27 marzo 1936; la cifra indicante l’anno è verosimilmente un errore di trascrizione, mentre è probabile che la data del giorno esatto sia stata mutata successivamente per esigenze contingenti (cfr. Ó StA Archiv der Republick Inneres (d’ora in poi Inneres), BICA, ZI. 307.042-35/22/Wien, G.D. 1-2).69 Rapporto della Direzione generale di pubblica sicurezza al BKA del 21 marzo (Ò StA, Inneres, BICA, ZI. 318.263-35/ 22/Wien, G.D. 1-2) in cui si raccomanda anche la massima attenzione nella vendita di biglietti al pubblico che si pre­vedeva proveniente perfino dall’Ungheria con dei treni speciali e presente in massa al Prater. In questa relazione si fa già menzione dell’acquisto di migliaia di biglietti da parte nei nazionalsocialisti. All’inizio si parla di circa seimila, ma, come vedremo, nei rapporti successivi il numero dei ticket aumenta; è probabile, viste le scarse manifestazioni avvenute all’in-

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con 2-0. Per la prima volta, gli italiani usciva­no vittoriosi da Vienna. La vittoria servì a fu­gare i dubbi che erano stati sollevati sugli ar­bitri del recente campionato mondiale e sancì definitivamente la supremazia del football italiano in Europa70. Non ci furono incidenti. I timori delle forze dell’ordine vennero pro­babilmente fugati anche dalla notevole pre­stazione della squadra italiana. La nazionale azzurra fu, come di regola, fischiata all’entra­ta in campo71 e durante Fintervallo tra il pri­mo ed il secondo tempo vennero fischiati an­che alcuni ufficiali delle Heimwehren, ma gli arresti si limitarono a sei persone. In realtà le apprensioni della polizia si basavano su una serie di rapporti, decisamente preoccupanti, dai quali risultava che i nazisti delle SA, ille­gali in Austria, avevano comprato ben dieci- dodicimila biglietti per organizzare una con­testazione della nazionale italiana e dei diri­genti del governo di Vienna presenti allo sta­dio. I soldi sarebbero stati inviati da Berlino. Per meglio orchestrare l’operazione, i nazisti si sarebbero perfino collegati con l’opposi­zione di sinistra72. Gli informatori riferivano poi che gli agitatori avevano l’intenzione di approntare dei razzi fuori dallo stadio per far comparire, nel bel mezzo della partita, una grande bandiera con la svastica; pallon­cini con la croce uncinata sarebbero stati fatti volare nei dintorni del Prater e l’intonazione dell’inno nazionale tedesco avrebbe dovuto sovrastare le note di quello federale; il lancio

di bicchieri di birra e di oggetti vari, il grido “Heil Hitler” al momento del saluto romano degli italiani, gli insulti contro la squadra az­zurra e la resistenza passiva alle forze dell’or­dine avevano infine il compito di rovinare completamente rincontro e gettare discredito su tutto il regime austrofascista. In previsio­ne degli incidenti, la polizia viennese control­lò accuratamente la vendita dei biglietti e non mancò di sottolineare la probabile presenza attiva, nella capitale, di diecimila nazisti. Le forze dell’ordine si servirono di ogni mezzo d’informazione disponibile per evitare che la partita di calcio si trasformasse in una di­mostrazione politica; è interessante, a questo proposito, un rapporto del 23 marzo, che ri­ferisce il racconto di un informatore, gestore di un’osteria, al quale un cliente aveva rac­contato come egli stesso sarebbe stato mem­bro di un gruppo incaricato del lancio di uo­va marce durante la partita, uova preventiva­mente nascoste in alcune casse in un bosco nelle immediate vicinanze di Vienna e che, in parte, sarebbero state poi portate in città da alcuni contadini del Naschmakt (il merca­to ortofrutticolo più importante della capita­le)73. Più impressione fece certamente la rela­zione proveniente dalla direzione del servizio informazioni del Vaterländische Front (Fronte patriottico, il partito unico del regi­me). Il rapporto riferiva infatti che, a parte le migliaia di biglietti cadute in mano naziste, tre membri “radicali” del fronte erano riusci-

terno dello stadio, che tali cifre siano state o gonfiate dagli informatori per enfatizzare il fenomeno oppure dagli stessi nazisti al fine di mettere in difficoltà i servizi di sicurezza, o aumentate dalla polizia per giustificare un eventuale falli­mento della propria gestione dell’ordine pubblico e sottolineare la gravità della situazione.70 Almeno per quanto riguardava le squadre iscritte alla Fifa; non bisogna infatti dimenticare che il calcio inglese viveva in isolamento dalla fine della grande guerra.71 Così viene riferito nel rapporto del Landesgendarmeriekommando carinziano del 28 marzo, indirizzato al vice can­celliere Fürst Starhenberg, il quale ricopriva anche la carica di Oberste Sportführer Österreichs [capo supremo dello sport austriaco]. Secondo il racconto della polizia di Klagenfurt, alcuni italiani di ritorno da Vienna avevano raccontato che anche Starhenberg era stato fischiato al suo apparire nella tribuna (Ö StA, Inneres, BKA, ZI. 332.152-35/22/Wien, G.D. 1-2).'2 Relazione BPd W, 22 marzo 1935, contenuta nel rapporto della Direzione generale di pubblica sicurezza del BKA del 27 marzo, in Ö StA, Inneres, BKA, ZI. 321.134-35/22/Wien, G.D. 1-2.73 Rapporto riguardante la testimonianza del Kellner Rudolf Freidinger [proprietario della trattoria Bratwurstglöckl che confermava anche l’acquisto di alcune migliaia di biglietti, loc. cit. a nota 72.

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ti ad avere la possibilità di accedere alla tri­buna d’onore. Il confidente, “ben informa­to” , riteneva probabile che essi facessero par­te di un gruppo terroristico (Terrorgruppe) ed avessero intenzione di far esplodere un “mortaretto” sulla tribuna. Alfapparire de­gli ospiti d ’onore, i nazisti avrebbero fatto poi scendere su di loro una pioggia di corian­doli con la croce uncinata. Scopo dichiarato della dimostrazione, secondo l’informatore, era quello di rendere chiaro agli italiani che una “significativa maggioranza della popola­zione austriaca” voleva le dimissioni del go­verno e l’instaurazione di un regime nazio­nalsocialista74.

Per organizzare meglio il servizio d’ordi­ne, la Direzione generale di pubblica sicurez­za diramò un’ordinanza nella quale si preve­deva innanzitutto la possibilità di arresti in massa di nazisti e simpatizzanti di questi ul­timi da concentrare nell’Anhalterlager di Wollersdorf. La polizia ebbe anche il compi­to di eseguire controlli massicci dentro e fuo­ri lo stadio già dal giorno prima della partita e di scaglionare un migliaio di agenti all’in­terno dell’impianto sportivo. Inoltre, essa doveva assicurare la protezione del centinaio di spettatori, “persone di fiducia” del Water- làndische Front, che avevano ricevuto un bi­glietto omaggio dal partito. Fu ordinato il sequestro di tutti i bicchieri di birra e delle bottiglie; il rinfresco venne ammesso solo ai buffet autorizzati e fu stabilita la dislocazio­ne di un gran numero di agenti in borghese nei dintorni del Prater con compiti di sorve­glianza “discreta” . Infine, si decise di garan­tire la sicurezza dei tifosi italiani su tutto il territorio austriaco75; perciò il Bundeskanz­

leramt diramò una disposizione ai direttori della sicurezza (Sicherheitsdirektoren) di tutti i Länder interessati dal passaggio del treno speciale italiano affinché ne assicurassero la protezione76.

Passata la grande paura, il 27 marzo, il fa­scicolo della Direzione generale di pubblica sicurezza del Bundeskanzleramt considerava la questione chiusa e prendeva atto del fatto che erano state arrestate solo sei persone, du­rante l’intervallo della partita, a causa dei fi­schi da loro rivolti alfindirizzo di alcuni uffi­ciali della milizia patriottica. La partita era trascorsa “senza particolari incidenti”77. La squadra di Pozzo (“gli atleti di Mussolini” , i “campioni temprati alla scuola e nell’incan­descente clima dello sport fascista”) riuscì a cogliere “il più luminoso successo della sua gloriosa carriera”78. Il mito delfimbattibilità dei bianchi sul proprio terreno di gioco era fi­nalmente caduto, anche se quella fu l’ultima vittoria strappata in casa agli austriaci prima della seconda guerra mondiale.

Gli ultimi incontri e la rissa del 21 marzo 1937

Il 5 maggio 1936 Badoglio entrava in Addis Abeba. La guerra coloniale contro l’Etiopia, iniziata in ottobre, si concluse a pochi giorni di distanza dall’amichevole tra Italia e Au­stria, che venne giocata a Roma il 17 dello stesso mese, allo Stadio nazionale del Pnf, di fronte a 20.000 spettatori ed alla presenza del duce, di donna Rachele Mussolini, di Ga­leazzo Ciano, di Maria di Savoia, di Fulvio Suvich e del principe Starhenberg. La guerra

74 Rapporto del Leiter des Informationsdienstes im Generalsekretariat der V.F. al BKA, ufficio del Segretario di Stato, 21 marzo, loc. cit. a nota 12.75 Amtsnotiz, 22 marzo, loc. cit. a nota 72.76 Amtsnotiz, 23 marzo, indirizzata ai Sicherheitsdirektoren di Carinzia, Stiria Austria inferiore e Vienna, loc. cit. a nota 72.77 Relazione della Direzione generale di pubblica sicurezza, 27 marzo 1935, loc. cit. cit. a nota 72.78 “Il Popolo di Trieste del lunedi”, 25 marzo 1935, p. 5; si tratta dell’incontro della terza Coppa internazionale, giocata dinnanzi a 60.000 spettatori.

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d ’Etiopia segnò l’apogeo della carriera di Mussolini e un grande successo della propa­ganda interna, che seppe ben orchestrare la campagna volta a creare un vasto consenso attorno al leader del fascismo, duce di una nazione “proletaria” sottoposta alle sanzioni economiche e circondata solo da nemici. La partita con i bianchi di Meisl doveva, oltre al resto, servire da corollario alla vittoria co­loniale del fascismo, soprattutto di fronte al­la Società delle nazioni. L’Austria cercava forse di restituire il favore ricevuto da Roma quando la nazionale azzurra, unica squadra dell’Intesa, aveva rotto l’isolamento calcisti­co imposto a Vienna dagli alleati. Ora tocca­va al Wunderteam rompere l’embargo. Senza particolari colpi di scena od imprevisti r in ­contro terminò pari, soddisfacendo le attese di tutti79.

L’Europa dimenticò l’Etiopia con sor­prendente velocità e l’Italia potè presentarsi in piena forma alle Olimpiadi di Berlino del 1936. Anche in questo caso gli azzurri e i bianchi dovettero affrontarsi. La sfida ebbe luogo il 15 agosto 1936, nell’Olympia Sta- dion della capitale del Terzo Reich, davanti alla immensa folla di 90.000 persone (per la maggior parte a favore del team di Meisl). La nazionale olimpionica, che era composta in gran parte da elementi nuovi e giovanissi­mi, riuscì a battere l’Austria ai tempi supple­mentari, aggiudicandosi il titolo. Questa fu l’ultima occasione nella quale Pozzo ed il “mago” Meisl si trovarono l’uno di fronte al­l’altro. Hugo Meisl morì infatti poco dopo e forse fu una fortuna per lui, ebreo, uscire di

scena prima che il suo paese scegliesse di uni­re i propri destini a quelli della Germania na­zista ed iniziasse la feroce persecuzione anti­semita.

L’apoteosi del calcio fascista si celebrò tut­tavia nel 1938 in Francia, in occasione della terza Coppa Rimet. La Francia, terra dell’e­silio politico antifascista, era considerata una fortezza difficile da espugnare. Il saluto romano degli azzurri fu accompagnato, so­prattutto allo stadio di Marsiglia, da salve di fischi ed insulti. La Marcia reale e Giovi­nezza furono coperti dalle migliaia di voci dei fuorusciti80. Nonostante l’opposizione politica dei tifosi italiani, gli azzurri arrivaro­no alla finale e sconfissero l’Ungheria allo Stade des Colombes di Parigi. Con questa vittoria sportiva, politica e propagandistica, il 19 giugno 1938, il football italiano raggiun­se l’apice della sua parabola.

Prima del secondo titolo mondiale, l’Italia incontrò ancora una volta la nazionale au­striaca. Fu l’ultima partita prima dell’Ansch- luB e, quasi una profezia nefasta, la festa sportiva si concluse nel peggiore dei modi. Dopo l’Etiopia, l’impegno militare fascista si era rivolto alla Spagna, dove un corpo di spedizione di “volontari” fu inviato a com­battere al fianco dei ribelli franchisti. L’Au­stria, dal canto suo, era ormai “fascistizza­ta”; le artiglierie delle forze conservatrici ave­vano smesso da tempo di bombardare le case popolari dove, nel 1934, si era accesa l’ultima battaglia in difesa della democrazia. Ufficial­mente, i rapporti tra Austria ed Italia erano considerati buoni, ma in realtà Vienna stava

79 Secondo un rapporto della federazione austriaca, la partita ebbe in primo luogo lo scopo di dimostrare pubblicamen­te 1’esistenza di rapporti amichevoli tra i due paesi. Un pubblico “fanatico” sostenne gli azzurri in quella che in esso viene definita una “lotta drammatica” . Al momento della seconda rete austriaca (1-2), scoppiò un “tumulto violento” . Il guardalinee cercò di annullare il punto, ma l’arbitro decise di convalidare il goal, mentre il pubblico si dava al lancio di oggetti in campo. Anche in questo caso, nessuno, in Austria, fece una questione diplomatica. Il fatto venne relegato nel novero degli avvenimenti sportivi (cfr. il rapporto della Österreichischer Fußball-Bund del marzo 1937, scritto in occasione degli incidenti avvenuti al Prater, il 21 marzo 1937, durante e dopo una partita con l’Italia, allegato al fasci­colo “Österreich und Italien, österreichisch-italienisches Länder-Fußballmatch, Wien”, in Ö StA, NPA, Li. It., 1/1 K. 584, ZI. 37.368-13-37.80 G. Brera, Storia critica, cit., pp. 160-164.

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tranquillamente per sprofondare nel gorgo nazista con buona pace di Mussolini. Fu pro­prio in questa situazione che a qualcuno ven­ne in mente di fare della partita di Coppa in­ternazionale un’occasione per ridare fiato al­le relazioni tra le due nazioni e magari di­strarre il pubblico italiano dalle navi piene di caduti che rientravano dalla Spagna. E fu un disastro. Il 21 marzo 1937 si trasformò per gli italiani in una vera e propria “Capo- retto” . La partita iniziò subito male. Il pub­blico del Prater, famoso per la sua partigiane-

• • 81 . > ria e intemperanza , era già stato innervosi­to dal ritardo del calcio d’inizio e dal maltem­po che imperversava a Vienna. Un tipico marzo viennese: freddo polare, un diluvio universale ed un vento da far concorrenza al­la bora; questo almeno dovette certamente essere il pensiero dei 105 triestini giunti per assistere all’incontro con i “torpedoni”, capi­tanati dal barone Albori81 82.

Con notevole ritardo l’arbitro svedese Ols- son fece entrare le squadre in campo; come tradizione del Prater, i giocatori italiani furo­no accolti, soprattutto al momento del saluto romano, dai consueti fischi della frangia me­no sportiva, o forse più politicizzata, degli ol­tre 50.000 spettatori tuttavia nessuno, nem­meno l’ambasciatore italiano, vi prestò parti­colare attenzione. Dopo la prima mezz’ora, trascorsa in tutta tranquillità, iniziarono gli scontri. Anche a causa del maltempo e della incapacità dell’arbitro (almeno cosi recitano le fonti, sia italiane sia austriache, ansiose di trovare qualcuno a cui affibbiare tutta la

responsabilità degli eventi), il gioco diventò durissimo. Gli azzurri, noti per il loro agoni­smo che spesso travalicava le regole, attacca­rono con violenza gli austriaci che, passati in vantaggio al 40° minuto, risposero con altret­tanta foga segnando una rete. Un minuto do­po il goal, venne ferito Italiano Corsi. Per ri­picca, il giocatore del Bologna Andreolo de­cise di punire l’autore della rete, Jerusalem, e lo atterrò con un calcio, costringendolo così a ritirarsi ai bordi del campo. Ripresosi in pochi minuti, l’austriaco pensò bene di vendi­carsi sul primo italiano che gli capitò a tiro e assestò un bel calcio al romano Serantoni, il quale non era nemmeno in possesso di palla. Sette minuti dopo il suo goal, Jerusalem riu­sci dunque a guadagnarsi il cartellino rosso ed abbandonò il terreno di gioco accompa­gnato dal boato della folla. Nel secondo tem­po, nonostante le minacce dell’arbitro di so­spendere rincontro, si riaccese una vera e propria battaglia campale che coinvolse tutti: giocatori, arbitro, panchine e spettatori. Il pubblico italiano, circondato dai tifosi del Prater, fu fatto oggetto di insulti d’ogni gene­re cui rispose, nella migliore tradizioine fasci­sta, con provocazioni sempre più arroganti ed offensive.

Al 63° minuto, come se non bastasse il dilu­vio che imperversava sullo stadio, arrivò la se­conda doccia fredda per gli azzurri. Il triestino Colaussi commise fallo in area di rigore e Stroh infilò la porta italiana dagli undici me­tri: si stava profilando la disfatta. Ma la batta­glia non finì così e non si smise di contare i fe-

81 I tifosi viennesi non erano “duri” solo con gli italiani. Un rapporto della Direzione generale di pubblica sicurezza del 16 maggio 1930 denunciava il comportamento del pubblico “difficile” delI’Hohe Warte, il quale, in occasione dell’in­contro con la nazionale inglese del 14 maggio, aveva creato una tale confusione da costringere l’arbitro ad iniziare la partita prima che giungessero allo stadio il cancelliere Schober, il presidente della repubblica Miklas e le altre persona­lità del regime che, giunte cinque minuti dopo il calcio d’inizio, si guadagnarono una bella dose di fischi (cfr. Ó StA, NPA, Li. Ó. K. 224, ZI. 27.236-13-30).82 La vicenda dei triestini divenne oggetto dell’interesse degli uffici esteri e delle ambasciate di entrambi i paesi; cfr. il fascicolo sugli incidenti redatto dalla Cancelleria il 9 aprile 1937, in Ò StA, NPA, Li. It., 1/1 K. 584, ZI. 37.850-13-37 (contenente varie testimanianze sull’accaduto) ed in Archivio storico del ministero degli Affari esteri, Direzione generale degli affari politici (d’ora in poi ASMAE, Affari politici), 31-35, pacco 48, 1937 - Austria, fase. 4, “Partita di calcio Ita- lia-Austria (manifestazioni anti-italiane)” . In questi fascicoli si trova anche la descrizione dell’incontro.

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riti. Anche Olivieri, il portiere azzurro, venne atterrato in area, nonostante fossero gli italia­ni a caricare con maggior violenza. Alla fine, dopo un fallo di Colaussi ai danni di Stroh, l’arbitro, la cui pazienza era stata messa a du­ra prova, abbandonò il campo rifiutandosi di far continuare la partita. Per la prima volta nella storia del calcio, un incontro internazio­nale veniva sospeso prima del fischio finale.

Non era ancora tutto. Mentre i giocatori austriaci salutavano gli spettatori acclamanti, una parte della tifoseria del Prater si diresse verso i “torpedoni” italiani in procinto di par­tire e fu proprio il gruppo dei triestini del ba­rone Albori a riportare i danni maggiori83. Al­bori non era certo uomo di temperamento tie­pido: egli era già stato fermato dalla polizia durante rincontro perché, inviperito dai com­menti di un avversario, si era girato e gli aveva rifilato un pugno prima di essere a sua volta ferito dalle ombrellate di una tranquilla signo­ra viennese. All’uscita dal commissariato dello stadio, era poi stato insultato tanto dal poli­ziotto che lo accompagnava quanto dalla folla che gli si era fatta intorno minacciosa. Ferito nell’onore e nel fisico, il barone si mise alla te­sta del centinaio di triestini e cercò di raggiun­gere gli autobus. Messe in salvo le bandiere

nazionali da un violento attacco austriaco, il plotone di Albori potè guadagnare la fuga. Ma il “nemico” li aspettava al varco. Gli auto­bus italiani infatti furono attaccati da una fol­la di “facinorosi spettatori, evidentemente di origine social-comunista”84. Gli aggressori si accanirono contro quei fascisti doppiamente traditori dell’Impero in quanto italiani ed in quanto triestini. Tra sputi, sassi, insulti e salu­ti a pugno chiuso, gli italiani riuscirono a fug­gire dal Prater scortati dalla polizia, portando con loro 16 feriti85.

Notevole fu l’eco della partita sulla stam­pa internazionale86. I disordini furono inter­pretati, forse non senza esagerare, come una imponente manifestazione antifascista; a ciò finì per credere lo stesso Mussolini, che si in­furiò terribilmente con i “camerati” austria­ci provocando un inutile strascico diploma­tico87. Forse il duce, nel reagire alla partita, si fece prendere dal nervosismo, proprio co­me era accaduto all’arbitro Olsson, perché in quegli stessi giorni un’altra e ben più gra­ve “Caporetto” , militare stavolta, si era ab­battuta sul regime. La battaglia di Guadala­jara, in Spagna, si era infatti risolta in un di­sastro per i fascisti italiani88. Ma era ormai l’intera situazione internazionale ad essere

83 A dire il vero i tifosi azzurri si erano fatti notare già prima dell’inizio della partita quando, dai bus che li trasferirono dalla stazione allo stadio, si divertirono ad insultare a gesti i cittadini viennesi (cfr. Ò StA, NPA, Li. It., 1/1 K. 584, ZI. 37.850-13-37).84 Telespresso dell’ambasciatore Salata al regio ministero Affari esteri, 25 marzo 1937, in ASMAE, Affari politici, 31- 35, pacco 48, 1937 - Austria, fase. 4.85 II “cosiddetto Barone Albori”, ritornato a Trieste, scrisse una lunga lettera di protesta per l’accaduto, che indirizzò all’ambasciatore italiano a Vienna Salata ed a diverse autorità austriache, denunciando il comportamento delle forze dell’ordine che non avrebbero saputo difendere la sua comitiva dagli assalti dei tifosi avversari (cfr. Ó StA, NPA, Li. It. 1/1 K. 584, ZI. 38.230-13-37).86 Questi alcuni titoli del 22 marzo 1937 in una rassegna del ministero per la Stampa e la Propaganda in ASMAE, Affari politici, loc. cit. a nota 84, Londra, 22 marzo 1937): il “Times”: / calciatori italiani fischiati a Vienna, il “News Chronicle”: La polizia protegge i calciatori italiani-, il “Daily Express” : Gli austriaci chiamano porci gli italiani, il “Man­chester Guardian”: L'importanza politica degli incidenti di Vienna.87 Non furono confermate le voci secondo le quali il pubblico avrebbe in gran parte salutato col pugno chiuso gli az­zurri inneggiando a Matteotti, all’Abissinia ed alla Spagna (Ó StA, NPA, Ob, 1936-1938, K. 86, Rom Quirinal, ZI. 37.633-13-37). La stampa di sinistra gonfiò sicuramente la portata politica dell’avvenimento asserendo che l’intero sta­dio si era accanito contro i fascisti (cfr. il telespresso riservato del ministero degli Esteri, 12 aprile 1937, in ASMAE, Affari politici, 31-35, pacco 48, 1937 - Austria, fase. 4).88 La partita fu paragonata alla battaglia di Guadalajara dall’avvocato viennese Valentin Gelber, già socialista, in un opuscolo stampato in circa cinquecento esemplari. Il libretto, dal titolo Die Schlacht von Guadalajara im Wiener Stadion,

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in subbuglio; quella del 1937 fu l’ultima par­tita giocata dell’Italia con l’Austria, che ces­sò di essere indipendente l’anno successivo. Presto d’altronde l’Europa sarebbe stata sconvolta da una rissa ben più grave di quel­le del Prater. Mussolini e Ciano interpreta­rono l’accaduto come un segno del ristagno dei rapporti tra i due paesi, anche se entram­be le diplomazie gettarono abbondantemen­te acqua sul fuoco, utilizzando a questo sco­po la stampa89. La Federazione decise di far ripetere rincontro, ma la nazionale austria­ca, giustamente irritata dallo scippo della vittoria, rifiutò con sdegno di giocare. La quarta edizione della Coppa internazionale fu così annullata.

Un ultimo incidente legato al mondo del football si verificò in occasione dell’incontro Genova-Admira, valido per l’undicesima edizione della Mitropa Cup (la Coppa Euro­pa centrale), il 4 luglio 1937, al Prater. Si trattò solo di una sfida tra club, ma lo svol­gimento dei fatti è significativo. L’ambascia­tore italiano, Francesco Salata, presente allo stadio, diede un resoconto (abbastanza) obiettivo dell’accaduto90. La squadra italia­na era stata accolta in campo dai “calorosi applausi” del pubblico “per la prima volta senza fischi o grida ostili. Per tutta la durata del primo tempo gli spettatori [avevano] so­vente sottolineato con applausi le azioni più brillanti del Genova” . Ma, dopo che la squa­dra italiana era passata in vantaggio per la seconda volta, quasi allo scadere del tempo

regolamentare, l’arbitro assegnò un calcio di rigore all’Admira. Prima che partisse il ti­ro dagli undici metri, i giocatori delle due squadre iniziarono ad insultarsi e a spinto­narsi, fino ad arrivare alla rissa. Il “genova- no” Morselli riportò perfino la frattura tri­pla della mandibola a causa di un pugno ri­cevuto al volto. “Solo in presenza della suac­cennata colluttazione” — continua Salata — il pubblico si abbandonò a “fischi e a grida di disapprovazione contro l’arbitro ed i no­stri giocatori” . Il risultato fu che entrambe le squadre furono, in seguito, sospese dal tor­neo e che Mussolini si inferocì a tal punto da proibire l’incontro di ritorno (prima appunto del suo annullamento). Stavolta, al danno se­guì la beffa. I giocatori dell’Admira partiro­no infatti per l’Italia senza sapere della so­spensione. Solo una volta giunti a Klagen- furt, essi ne furono informati, ma venne dato loro l’ordine di raggiungere comunque Vene­zia, nella speranza si trovasse un accomoda­mento che rendesse possibile il match. Nulla valse però a far cambiare idea al duce91. Gli austriaci, in Italia a spese proprie, ricevettero dal portiere dell’albergo ove avevano trovato alloggio, un ultimatum che imponeva loro di lasciare il paese entro ventiquattro ore; si trattava di un ordine recato a mano su di un foglietto trascritto dal portiere stesso su disposizione di un non meglio identificato messo della questura il quale nemmeno ave­va lasciato copia del documento. Così il capi­tano dei bianchi Winkler fu costretto a tor-

fu poi venduto nelle librerie senza incorrere nella censura (cfr. il rapporto del BKA, in Ò StA, NPA, Li. It., 1/1 K. 584, ZI. 39.760-13-33).89 La misura del diverso atteggiamento dei giornali italiani rispetto ai fatti del 1929 è data da un articolo de “Il Corriere della sera” (23 marzo 1937, p. 4) il quale affermava che “un incontro di calcio andato a male non è la fine del mondo. Ed oggi par di vedere nel cielo di Vienna i colori dell’arcobaleno”.90 Relazione di Salata al ministero degli Esteri, Vienna 9 luglio 1937, in ASMAE, Affari politici, 31-35, pacco 48, 1937 - Austria, fase. 4.91 Dell’atto formale di sospensione fu incaricato il questore di Genova il quale, a causa delle gravi condizioni del gio­catore del Genova Morselli, per motivi di ordine pubblico, annullò la gara (cfr. Relazione di Salata da Vienna con al­legata la traduzione della lettera del capitano Winkler, in ASMAE, Affari politici, 31-35, pacco 48, 1937 - Austria, fase. 4; il testo originale in tedesco è in Ò StA, NPA, Li. It., 1/1 K. 584, ZI. 41.675-13-37. La traduzione è abbastanza fedele. È interessante notare come sia scomparsa però, nel testo italiano, l’affermazione di Winkler secondo il quale “Il Duce, negli ultimi tempi, deve essere di cattivo umore”).

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nare a Vienna dove potè dare libero sfogo al­la sua ira presso la Federazione austriaca. Ne conseguì la rottura temporanea di ogni con­tatto sportivo tra i due paesi. Significativo fu l’intervento personale di Mussolini. Il suo “no” , segnato a mano con un tratto obliquo su tutte le richieste di intercessione, notato dall’ambasciatore austriaco92 a Roma, impe­dì la ripresa delle relazioni fino a novembre. Solo in autunno, infatti, Starace fece sapere di aver sottoposto a Mussolini l’idea di uno scambio di rappresentative sportive tra le due nazioni e di progettare, per la fine del­l’inverno, un incontro di calcio a Vienna tra le due nazionali93. Questa volta, ad impe­dire il ristabilirsi di normali relazioni non fu­rono né un arbitro nervoso né un pubblico irascibile: ci pensarono i nazisti.

Conclusioni

La strumentalizzazione dello sport e del foot­ball in particolare, da parte della politica e della propaganda non è dunque una novità94. Nemmeno la violenza sugli spalti degli stadi fu inventata di recente ma nacque con il cal­cio stesso95. I regimi totalitari (ma non solo essi) enfatizzarono questo sfruttamento fino ad abusarne. L’Italia del fascismo fu uno dei paesi ove maggiormente si sviluppò que­sto rapporto di dipendenza diretta e scoperta dello sport dalla politica.

Complici della situazione di dipendenza dalla politica furono certamente anche gli ambienti sportivi. L’esaltazione mussolinia- na del vigore fisico e delle virtù nazionali, nonché l’impulso dato a queste attività, fece­ro avvicinare molti atleti al regime. Inoltre, con la “fascistizzazione” dello sport, “i diri­genti delle società” furono “ben lieti di sot­trarre i bilanci al controllo dell’opinione pub­blica”96; invece, la speranza che essi coltiva­rono di mantenere indipendente la loro atti­vità dalle direttive governative fu spesso solo una pia illusione97.

L’ideologia fascista aveva alcuni dei suoi capisaldi nell’esaltazione della forza, della violenza, dell’aggressività, tipica di una cul­tura maschile che attribuisce a tali “virtù” di stampo “guerriero” una valenza positiva. Essa inneggiava al nazionalismo territoriale, linguistico ed etnico, dividendo il mondo in “amici” e “nemici” ; creava parole d’ordine e simboli, facilmente riconoscibili, attorno e per mezzo dei quali produrre ed organizzare il consenso.

Molti gruppi ultrà del moderno teppi­smo calcistico hanno preso a modello pro­prio quelle ideologie, il nazismo ed il fasci­smo, che esaltavano gli stessi valori in cui essi credono e che sono invece stigmatizzati dalla maggioranza della popolazione98. Ec­co così che le bande di ultrà e di skin si so­no munite di bandiere, hanno eletto la “ curva” del loro stadio a “ territorio” e

92 Ö StA, NPA, Ob, 1936-1938, K. 86, Rom Quirinal, ZI. 42.640-13-37.93 Ö StA, NPA, Li. lt., 1/1 K. 584, ZI. 45.419-13-37.94 L’ultimo caso macroscopico è costituito dal tentativo di strumentalizzazione neonazista da parte di gruppi di hooli- gans britannici e skin tedeschi dell’incontro Inghilterra-Germania del 20 aprile 1994. La partita fu sospesa per timore di incidenti (nonostante la prevista presenza di quattromila agenti e seicento soldati delle truppe di frontiera) perché la data dell’incontro cadeva nel 105° anniversario della nascita di Hitler (cfr. “Il Manifesto”, 7 aprile 1994, p. 10).95 Un’interessante analisi della violenza in rapporto alle attività sportive quale fenomeno sociale è offerta dall’opera di Norbert Elias, Eric Duming, Sport e aggressività, la ricerca di eccitamento nel "loisir", Bologna, Il Mulino, 1989.96 A. Ghirelli, Storia del calcio, cit., p. 86.97 Come interpretare altrimenti la speranza del segretario generale dell’Oberste Führung der Österreichischen Sport- und Turnfront di Vienna il quale, il 14 luglio 1937, a proposito della vicenda dell’Admira, scriveva al cancelliere federale augurandosi che lo sport potesse mantenere la sua indipendenza dalla politica (Ö StA, NPA, Li. It., 1/1 K. 584, ZI. 41.675-13-37).98 Cfr. Paolo Petrucci, Dietro gli ultrà che uccidono, “Avvenimenti” , 15 febbraio 1995, p. 12.

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considerano le altre tifoserie alla stregua di nazioni con le quali è possibile allearsi o com battere". Esse hanno trasformato lo scontro verbale e fisico con l’avversario nel momento centrale della partita, rinuncian­do, spesso, perfino a seguire lo svolgimento del gioco sul campo. Se in passato alcuni gruppi ultrà avevano preso in prestito solo i simboli e le espressioni verbali del fascismo e del nazismo, allo scopo anche di distin­guersi dalla folla dei tifosi ed incutere timore al prossimo, da qualche anno alcuni di essi sono caduti in mano a organizzazioni di estrema destra le quali, facendo leva sulle analogie comportamentali più che politiche, cercano di reclutare al loro interno nuove le­ve da avviare verso forme di violenza quali le aggressioni agli extracomunitari99 100. Molte bande ultrà e skin101 si sono cosi trasformate in una sorta di braccio violento dei movi­menti di destra che mantengono, in tal mo­do, una rispettabilità ufficiale di fronte all’o­pinione pubblica.

Le gare hanno da sempre eccitato gli animi degli spettatori. Le pulsioni del pubblico fu­rono, e sono tuttora, sfruttate, in particolar modo nei sistemi totalitari, a fini prettamente politici; lo furono tanto più nei paesi retti da regimi che ponevano l’accento sulla forza, il vigore, l’agonismo e l’aggressività. Per que­sto, a mio avviso, è possibile rintracciare un filo rosso che, almeno per quanto riguarda il mondo del football italiano, congiunge le esperienze delle violenze sportive del primo dopoguerra a quelle odierne. Tale continuità non si riscontra tanto in una presunta evolu­zione del carattere del tifo, quanto piuttosto nella riscoperta periodica di “valori” comuni sia a determinate ideologie politiche sia ad

una visione eccessivamente agonistica ed ag­gressiva della competizione sportiva, che po­ne la “vittoria” sul “nemico” come obiettivo primario. Questa interpretazione dell’attività sportiva può facilmente associarsi ad una ideologia di tipo fascista. Se ciò avviene in uno stato totalitario, la violenza, più o meno tollerata ma spesso sapientemente diretta, di­viene strumento politico del regime. L’osmosi tra idelogia politica e spirito smodatamente agonistico rende possibile la creazione di uno strumento, relativamente duttile, alterna­tivo a quelli ufficiali dello stato, pronto ad es­sere, di volta in volta, veicolo di produzione del consenso, valvola di sfogo di pulsioni, vi­vaio di aggressività permanente da incanalare nella direzione desiderata. Non credo sia un caso che lo stesso Leandro Arpinati, camicia nera e feroce squadrista, poi sottosegretario agli Interni di Mussolini, sia stato chiamato alla dirigenza della Figc.

La carica di aggressività propria dell’i­deologia fascista ebbe modo di esprimersi nel mondo del calcio attraverso la tecnica di gioco dei calciatori (che diventò più bel­licosa e “virile”), per mezzo del tifo (spesso organizzato dal Pnf stesso, almeno per le trasferte nazionali) e tramite la stampa, an­cella del regime nello sfruttamento politico del football. Il calcio, come tutta la società italiana, dovette sottomettersi alle nuove leggi dello stato totalitario, anche se non ne fu pesantemente condizionato. Negli in­contri tra Italia ed Austria, l’ombra della politica mussoliniana gravò invece sempre sullo svolgimento dello spettacolo, che ne soffri. Dopo la fine della guerra, le due na­zionali tornarono ad incontrarsi nel dicem­bre del 1946, a Milano. Fu ancora la squa-

99 Per un’analisi del fenomeno ultrà e della violenza negli stadi vedi Antonio Roversi, Calcio, tifo e violenza. Il teppismo calcistico in Italia, Bologna, Il Mulino, 1995; interessante è anche il contributo di Antonio Gambino, La società in cam­po: appunti sulla violenza negli stadi, “Il Mulino”, 1995, n. 2, pp. 277-284.100 A. Roversi, Calcio, tifo e violenza. Il teppismo calcistico in Italia, cit., pp. 63-64.101 II tifo aggressivo non è che uno dei campi in cui si esplica l’attività di queste formazioni, anch’esse ormai quasi mo­nopolio politico esclusivo dell’estrema destra. Per uno sguardo sul mondo skin vedi Alessandra Castellani, Senza chioma né legge. Skins italiani, Roma, Manifestolibri, 1994.

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dra di Pozzo, rimasto significativamente in carica, a prevalere. Gli azzurri dovettero at­tendere però il 1962 per riuscire ad espu-

gnare per la seconda volta, e dopo ben ven- tidue anni, lo stadio del Prater.

Diego Cante

Diego Cante. Laureato in storia contemporanea presso l’Università degli Studi di Trieste con una tesi sull’emigrazione politica a Vienna, si è occupato della presenza italiana in Austria tra le due guerre mon­diali; collabora con l’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giu­lia e con il periodico “Qualestoria” .

ISTITUTO NAZIONALE PER LA STORIA DEL MOVIMENTO DI LIBERAZIONE IN ITALIA

Mario Giovana, Dalla parte del re. Conservazione, 'piemontesità', 'sabaudismo' nel voto referendario del 2 giugno 1946, Milano, Angeli, 1996 (collana Insmli).

Il 2 giugno 1946, al referendum istituzionale, proprio il Piemonte, le cui popolazioni si erano distinte per aver dato un consistente sostegno alla lotta contro la Rsi e per la liberazione del paese dall’occupazione tedesca, si colloca all’ultimo posto tra le regioni del Nord per il consenso dato alla repubblica.Il volume di Giovana indaga alcune delle cause di questo rilevante pronunciamento filomonarchico, prendendo in esame quegli aspetti della cultura diffusa nella regione che facevano perno sull'esaltazione di presunti specifici caratteri della popolazione (‘sabau­dismo’). L'autore si muove con cognizione di causa all’interno di questo variegato e complesso universo culturale, evidenziandone differenziazioni, soluzioni di continuità e fratture. I diversi approcci e percorsi di cui esso si sostanzia (dal pensiero espresso nelle omelie dei vescovi, a quello dei due noti esponenti della ‘piemontesità monarchica’ Gramegna e Burzio) hanno tuttavia come comune denominatore (espresso o no) la paura del “salto nel buio” con cui l’ipotesi istituzionale repubblicana viene identificata.Un discorso a parte viene fatto su Luigi Einaudi, dal quale la scelta monarchico- costituzionale viene sostenuta sulla base di una visione articolata dei problemi del paese e di un serrato ragionare sulle condizioni in cui esso si trova all’indomani della guerra, pur nel quadro di una visione ammirata della storia e del ruolo, nel corso dei secoli, dei Savoia, la cui compromissione col fascismo considera come una vergognosa parentesi.

Indice: 1. I depositi di una fedeltà; 2. La repubblica da esorcizzare, 3. La monarchia di monsignor Grassi; 4. Una crociata per la conservazione; 5. La tradizione; 6. Un monarchico col “cappello in testa” : Luigi Einaudi; Conclusione.