psicologia applicata alla professione - … · propri campi, i limiti della classica visione...

136
PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE DIRIGENTE ASSISTENZA INFERMIERISTICA ROBERTO BIANCAT

Upload: doantruc

Post on 12-Oct-2018

227 views

Category:

Documents


1 download

TRANSCRIPT

Page 1: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

PSICOLOGIA APPLICATA ALLA

PROFESSIONE

DIRIGENTE ASSISTENZA INFERMIERISTICA ROBERTO BIANCAT

Page 2: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

IN QUESTA MALEDETTA QUANTO BENEDETTA LOTTA CONTRO IL CANCRO FRA TANTI PIANTI E POCHI SORRISI FRA TANTE SCONFITTE E POCHE VITTORIE IO ASSIDUAMENTE CONTINUO A CREDERE NELLA GRANDE TERAPEUTICITA’ DELL'ESSERE UOMO CHE POI AMBISCE A DIVENIRE OPERATORE

Page 3: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

- Introduzione: In questo mio lavoro tenterò di ricostruire una "Nuova immagine dell'Uomo" dal punto di vista della salute e malattia, lasciando alle spalle i concetti scientifici classici e seguendo l'onda di sposta-mento del pensiero attuale delle scienze in generale. Quello che ho assistito e sto assistendo nella scienza può essere così sintetizzato: ogni disciplina si sta rivalutando e sta studiando i modi per cercare di creare dei ponti con altre discipline per poter risolvere problemi complessi, problemi che hanno una natura prevalentemente pluridi-sciplinare. Un primo cambiamento in questa direzione è avvenuto nel campo della fisica, contribuendo così a modificare la nostra visione del mondo intero. Ad esempio la teoria della Meccanica Quantistica e tutte le sue teorie complementari, le quali s’impongono di limitare l'indagine scientifica all'interpretazione dei dati osservati senza il preventivo condizionamento del "principio di causalità", stanno diventando obsolete per effetto di una nuova teoria emergente, più completa e con maggiori capacità esplicative: La Teoria Ondulatoria del Campo. Tale teoria dimostra, all'interno di un unico modello, in una sequenza strettamente causale e non casuale, i legami e le interazioni delle particelle elementari nel contesto dell'Universo. Richiamando così al tavolo della discussione non solo i fisici, ma anche filosofi, teologi, sociologi, biologi, chimici, antropologi, etc.. Da ciò emerge un nuovo quadro, nel quale il tutto e anche la vita degli esseri umani mi appare più chiara, così come chiara mi appare la presenza della Mano Ordinatrice. Un’evoluzione culturale attesa da qualche tempo. Se l'uomo e la natura, una volta indagati, mi apparivano incomprensibili, ciò non era imputabile alle loro proprietà, bensì ad un difetto fondamentale dei metodi scientifici che adottavo e che molti continuano a adottare ancora oggi. Un ulteriore contributo lo dobbiamo ad Einstein che, con le sue teorie, ha cambiato drasticamente le nostre concezioni sullo spazio e sul tempo: lo spazio non è tridimensionale e il tempo non è un'entità separata; entrambi sono intima-mente e inseparabilmente interconnessi e formano un continuum quadridimensionale detto spa-zio-tempo, il quale contiene la radiazione, la materia, il campo, il vuoto, la vita e tutti noi. In quest'unica entità si descrivono e sono compresi i fenomeni così come avvengono nella realtà, seguendoli passo passo in un percorso deterministico.

Page 4: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Ritengo opportuno mettere in evidenza il fatto che questa teoria non intende essere speculativa. La sua scoperta è dovuta completamente e unicamente al desiderio di adattare, quanto meglio sia possibile, le teorie fisiche, ma anche chimiche, biologiche, sociali ai fenomeni osservati. Non si tratta di un atto rivoluzionario distruttivo, ma dell'evoluzione naturale nei secoli della ricerca, anche se poi scopro che già nel libro dell'Apocalisse si parlava del tempo non in termini quantitativi bensì in termini qualitativi, non in termini catastrofici, ma in termini di speranza. Poiché non è facile per nessuno abbandonare certe convinzioni, considerate fino ad oggi fondamentali sullo spazio, sul tempo e sul movimento, devo ammettere che non è facile mutare il nostro modo di pensare. I concetti di spazio e tempo sono indispensabili per la descrizione dei fenomeni naturali poiché una loro modificazione implica un mutamento dell'intera impalcatura usata per descrivere la natura. La più importante conseguenza di questo mutamento culturale è la realizzazione che la massa non è altro che una forma d’energia. Lo sviluppo dello studio sistemico, l'unificazione di spazio e tempo, l'equivalenza di massa ed ener-gia, hanno avuto una profonda influenza sulla mia visione della realtà obbligandomi così ad oltrepassare i confini delle mie concezioni classiche, elementaristiche e riduzionistiche. I modelli d’energia del mondo subatomico formano le stabili strutture atomiche e molecolari, che a loro volta formano la materia conferendole la sua apparenza solida macroscopica, facendoci così credere che sia costituita da qualche sostanza materiale. La nozione di sostanza è utile, ma a livello atomico non ha più senso. Gli atomi sono costituiti da particelle e queste particelle non sono formate da alcun materiale solido. Quando i fisici le esaminano, non vedono alcuna sostanza, osservano invece parti dinamiche che mutano continuamente l'una nell'altra: una continua danza d’energia. Interazioni d’energia che ci mostrano finalmente il modello dell'atomo "totalmente causale" per mezzo del quale si descrivono i fenomeni com’effettivamente avvengono nella realtà. Già nell'antichità, i nostri padri erano convinti che la materia fosse il contenitore dell'energia. L'idea forza è che la Natura non può essere solo ridotta ad unità elementari, ma deve essere com-presa interamente attraverso l'auto-congruenza. Quest'idea cosmica costituisce un radicale abbandono dello spirito della ricerca tradizionale, che era stato sempre legato alla ricerca dei "costituenti fondamentali". Le punte più avanzate che questa filosofia non solo abbandonano l'idea degli elementi fondamenta-li, ma respingono qualsiasi entità fondamentale. Ne consegue che l'Universo è concettualizzato come una rete d’eventi interconnessi. Nessuna delle proprietà di questa rete è fondamentale, ma tutte hanno origine dalla proprietà delle altre parti, così come l'uomo trova se stesso nella comunione interpersonale. Questa filosofia è stata abbracciata da molti altri scienziati, molti dei quali stanno oltrepassando, nei propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo.

Page 5: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Da ciò deriva che l'interpretazione diretta di coordinate dello spazio e del tempo, con risultati di misura effettuabili solo per mezzo di metri e d’orologi, non regge più. I ricercatori, per superare i modelli classici, dovranno ora andare oltre l'approccio meccanicistico e riduzionista, come hanno fatto i fisici al fine di sviluppare visioni olistiche ed ecologiche. Ecco quindi come la ricerca del campo unificato d’Einstein, l'interpretazione ondulatoria di de Broglie e di Schödinger e i parametri di Bohm hanno cominciato a cambiare il nostro modo di pensare: io non penso più il mondo in termini newtoniani, nonostante il gran riconoscimento che riservo a Newton, ma penso in modo più olistico, più interattivo e questo unifica la mia visione del mondo. Il grande sogno d’Einstein era quello d’elaborare una teoria della fisica che fosse unificata, che comprendesse tutte le forze, in tutti i vari livelli esistenti nella natura. Forse il suo sogno è realtà. La teoria e i principi sopra delineati influiscono anche il modo di concepire l'uomo, la vita e la morte, il benessere e la sofferenza, la salute e la malattia. Testimonianze di ciò s’iniziano a trovare già nel lavoro di Florence Nightingale, nella sua "visione ecologica" della salute, per poi apprezzare sempre più crescenti risultati negli studi d’altre filosofe del Nursing, come "la visione olistica" di Martha Roger. Questo movimento verso una sintesi è stato avviato anche nell'ambito della Scienza Biomedica-Comportamentale, in questo modo si potranno avere nuovi collegamenti tra le varie scienze. Un esempio di questo "incrociarsi" tra scienze biomediche e scienze psicologiche-sociali è dato dal-la "psicofisiologia" e dalla "sociobiologia". Sempre più si trovano collegamenti anche fra tre discipline diverse come nel caso della "socio-psi-co-fisiologia", della "psico-neuro-endocrinologia", della "psico-neuro-immunologia" e del Nursing: discipline queste che hanno tutto un proprio corpo specifico di conoscenze, frutto dell'interconnessione di più scienze. Quindi, a mio avviso, questo movimento verso un’integrazione tra le scienze biomediche e le scien-ze comportamentali, nella salute e nella malattia, nell'adattamento e nel disadattamento, sembra essere un fatto ormai assodato. Sono rivolto alla scoperta di un uomo non com’entità a se stante, ma facente parte di sistemi superiori. Nel 1977, presso l'Università di Yale fu indetta una conferenza finanziata da vari Istituti Nazionali per la Salute cui parteciparono famosi scienziati del campo biomedico e del campo comportamenta-le al fine di poter cogliere eventuali ponti di collegamento. Proprio da quella conferenza nasceva un nuovo indirizzo della medicina che sarà poi denominata Medicina Comportamentale. Da allora gli studi si sono moltiplicati ed i risultati ottenuti nell'applicazione terapeutica sono innumerevoli. Si può tranquillamente affermare che ormai l'era della concezione riduzionistica che ha guidato lo sviluppo della medicina e che ha finito per portarla alla attuale configurazione delle discipline me-diche stia tramontando.

Page 6: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel libro "psicologia di base per il nursing", editrice Rosini (FI), è la ricostruzione di una "Nuova Immagine dell'Uomo". Questo sarà un lavoro, dapprima, d’Unificazione dell'Aspetto Biologico dell'Uomo, attualmente re-so "automatizzato" e "deprivato" del suo apparato psichico dalla concezione riduzionistica-elementaristica, poi sarà un lavoro d’integrazione psicologico-cognitivo-emozionale con l'aspetto relazionale-comportamentale dell'uomo, in un ambiente fisico-sociale-culturale. Jacque Cousteau si è immerso per tutta la sua carriera nei mari per capire nel mondo sommerso anche la vita dei pesci: come nascono, si nutrono, amoreggiano, migrano, combattono, etc. La scienza medica, invece, per capire l'uomo si è limitata a sezionare un ammasso biologico in decomposizione, il cadavere, creando per ogni pezzo anatomico una disciplina diversa e autonoma. Se anche Jack avesse adottato il medesimo metodo di studio avrebbe potuto limitarsi a comprare al supermercato i filetti di merluzzo surgelati analizzandoli poi al microscopio. Dirigente dell’Assistenza Infermieristica Bianacat Roberto

CAPITOLO PRIMO

CONCEZIONE SISTEMICA DELL'UOMO

1.1. L'attuale aspetto biologico-medico dell'uomo.

Page 7: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

La qualità dell'assistenza infermieristica, quale espressione dell'interazione fra due o più persone, dipende da vari fattori, uno dei quali, fra i prioritari, è il concetto che ogni infermiere ha dell'altro ovvero di colui che ci accingiamo ad assistere o di colui che ci deve assistere. Consciamente ed inconsciamente il nostro comportamento, nell'esercizio professionale, tende ad essere influenzato da giudizi e pregiudizi, in modo tale da porci in relazione interpersonale con gli altri, a volte, in termini pregiudizievoli e quindi non sempre con la stessa dedizione e professionalità richiesta. Da quanto esposto si può facilmente comprendere come talvolta il supremo valore dell'essenza della vita e la comprensione del bisogno altrui passi in secondo piano, specie quando vi è un’interferenza fuorviante, come ad esempio se la persona da assistere non partecipa ai modelli di condotta comunemente standardizzati dalla nostra comunità d’appartenenza. Esempi se ne possono trovare a migliaia anche nelle intolleranze tra nord e sud. Intolleranze che apparentemente nascono ad una certa età, ma che in realtà spesso sono trasmesse, in forma di cultura, già dai genitori ai figli. Non è solo la provenienza o i differenti costumi ad essere causa di pregiudizi, per esempio, anche chi è disadattato rientra in una "categoria" di persone non sempre accettate. Così come i "difettati fisici" o quelli che dipendono dalla società, come: "senzatetto", "buoni a nulla", "barboni", "poveri" e “mendicanti, usando un lessico popolare, possono essere mal accettati. Inoltre per effetto del proprio comportamento sono etichettati gli alcolisti, prostitute, omosessuali, bisessuali, tossicodipendenti, ladri, oppure gli appartenenti a religioni diverse. Potremo ancora aggiungere alla lista le persone anziane e i moribondi, etc.. Il medesimo uomo che chiede aiuto al mondo della Sanità riceve premure diverse secondo l’ospedale o meglio dell'istituzione e della cultura che lo accoglie: Stati Uniti o Cina, Londra o Atene, Bergamo o Catanzaro. Le differenze però si possono notare non solo tra continenti o tra stati, ma anche tra diverse città di un medesimo Stato ed anche, con meno intensità, tra due chirurgie del medesimo ospedale o tra più utenti della stessa stanza. Ognuno di noi quindi, secondo il concetto che ha dell'uomo che ha di fronte, si modulerà in modi diversi, non personalizzati all'utente, ma a se stessi. A questo punto una domanda sorge spontanea: L'Uomo non è dunque sempre uguale nei diritti e nei doveri? Diventa opportuno a questo punto domandarsi ulteriormente: "chi è l'uomo? come lo vediamo?" Purtroppo non mi risulta che le facoltà umanistiche, così come Medicina o Scienze Infermieristiche, includano nel proprio piano di studi la materia "l'Uomo", Antropologia. Io credo che l'Etica e la Deontologia, così come sono insegnate oggi, non siano sufficienti a farci comprendere chi sia veramente l'uomo e il valore della vita. A sostegno di ciò riflettiamo insieme, attraverso un breve excursus storico, su come si è giunti al-l'attuale concezione biologico-medica dell'uomo, cioè a quella visione appresa dapprima nei banchi di scuola e alla quale successivamente molti fanno riferimento nel loro lavoro quotidiano e in particolare modo nelle loro relazioni interpersonali con gli utenti. L'indirizzo riduzionista-scompositivo e classificatorio, rifacendosi alla concezione cartesiana del-l'uomo, ha portato, iniziando dall'anatomia, alla divisione dello scibile medico in diverse discipline. L'Anatomia è stata la prima disciplina medica ad avere una codificazione basata su criteri sufficien-temente rigorosi. Tali criteri sono stati dettati quasi automaticamente dal procedimento tecnico im-piegato per lo studio; procedimento che è consistito nell'indagare sulla costituzione corporea tramite la sua scomposizione in parti. Da tale tecnica né deriva la conclusione che il corpo umano ha una struttura discontinua, caratteriz-zata dalla presenza di parti sufficientemente delimitate, con caratteri morfologici specifici e verosi-milmente funzionali.

Page 8: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Queste parti sono state definite "organi" e proprio dalla scomposizione in "organi" è derivato il qua-dro generale della costruzione corporea basato sulla identificazione della sede e dei rapporti degli elementi organici. Lo sviluppo successivo dell'anatomia ha sempre seguito questo indirizzo, fino al momento in cui, in base alle nuove concezioni tecniche e scientifiche dell'epoca esso si è svolto in due direzioni: 1) La prima ha cercato di rispondere alla necessità di catalogare ed inquadrare i numerosissimi or-

gani del corpo umano, secondo criteri scientifici. Oltre a ciò è stato attribuito un nome in latino o in greco e non in gergo popolare ad ogni pezzo della macchina corporea. Le persone in questo modo hanno perso il dominio sul proprio corpo, vale a dire la possibilità di prevenzione e d’auto cura.

Questa direzione si è evoluta in epoca moderna, dopo molti tentativi, nel principio secondo il quale gli organi possono essere riuniti in "complessi", definiti "Apparati Organici". Tutto ciò è stato compiuto in base al criterio della partecipazione di questi organi allo svolgimento delle funzioni generali dell'organismo, quali la digestione, la riproduzione, la circolazione, etc. 2) La seconda direzione di sviluppo ha cercato di rispondere alla necessità di conoscere l'intima or-

ganizzazione dei singoli organi, dapprima in campo microscopico e successivamente in quello ultrastrutturale.

Anche in tali ordini di grandezza gli studi hanno verificato il principio della struttura discontinua. Infatti, gli organi sono costituiti dalla organizzazione spaziale dei tessuti, diversi per struttura e fun-zioni, le cui proprietà spiegano quelle dell'organo che essi compongono. I tessuti, a loro volta, sono composti da "unità elementari" che costituiscono le cellule fra le quali possono essere interposte sostanze intercellulari. Le cellule, presentano un’organizzazione complessa nella quale vengono riconosciute "particelle" distinte definite "organuli endocellulari". Ne consegue che l'organizzazione generale corporea appare espressa da successivi livelli organizza-tivi definiti "gerarchie strutturali corporee" che si estendono, per successivi ordini di grandezza, dall'Unità Corporea sino alle Macromolecole. Si deve riconoscere un merito a questo indirizzo, e cioè quello di aver apportato ordine nella com-plessa materia anatomica, permettendo in questo modo un logico raggruppamento delle conoscenze sulle strutture dei diversi ordini di grandezza. Per contro però la scomposizione degli apparati, e la loro illustrazione è così dominante che ben po-co rilievo è dato ad una "risintesi" conclusiva, la quale, dopo l'analisi scompositiva dovrebbe ricondurre ad una visione generale dell'Unità Corporea. Ancor più deviante è stato il fatto che dalla scomposizione si è passati a studiare le funzioni, utiliz-zando per tali indagini, i principi della fisica e della chimica dell'epoca, già applicati per l'analisi del funzionamento delle macchine costruite dall'uomo. La regola "ogni pezzo esercita una funzione" se può essere valida per le macchine, non può essere trasferita alla "macchina animale", nella quale i rapporti "struttura-funzione" sono assai più compli-cati. L'ipotesi originaria che "un organo eserciti un'unica funzione" non corrisponde alla realtà. Uno stesso organo esercita più funzioni. Ma l'anatomia e l'istologia non forniscono informazioni sufficienti per consentire una previsione completa delle funzioni di un organo. La morfologia del fegato, la sua doppia circolazione, i suoi rapporti con le vie biliari, fanno logica-mente pensare che l'organo sia implicato nel processo della digestione, ma non sono assolutamente in grado di fornire informazioni sulle numerosissime operazioni chimiche che il fegato sa e deve compiere in sede di metabolismo intermedio.

Page 9: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Possiamo aggiungere ancora, che dalla pura indagine atomica non risulta evidente il fatto che una funzione richieda la cooperazione di due o più apparati organici. E' il caso, ad esempio, della circolazione sanguigna, il cui flusso nel settore arterioso è affidato alla forza di contrazione del cuore, mentre quello di ritorno nel settore venoso è affidato, per gli arti, al-la contrazione dei muscoli scheletrici, e nelle grosse vene alla pressione negativa nel cavo pleurico provocata prevalentemente dalla contrazione del diaframma. In conclusione, la fisiologia ha dimostrato che la "macchina umana" è oltremodo più complessa di quanto si era ritenuto in base alla pura indagine anatomica. Nel campo della Patologia, l'analisi storica mostra uno sviluppo concettuale parallelo a quello del-l'Anatomia. Con il termine "malattia" nel diciottesimo secolo s’intendeva un "complesso di sintomi" e pertanto era giustificato stabilirne la sede e la causa localizzandola nell'organo che all'autopsia si mostrava maggiormente alterato. Successivamente, e questo è stato un passo importante, il termine malattia è stato impiegato per in-dicare una "condizione fisiopatologica" della quale i sintomi rappresentano solo un epifenomeno. In questa concezione l'alterazione anatomica diviene la "conseguenza" e non più la causa. Pertanto la causa va ricercata in stimoli fisici-chimici-microbici-virali ecc. provenienti dall'ambien-te esterno o in modificazioni del genotipo o della sua trascrizione, o in un'alterazione della meccani-ca dello sviluppo verificatasi in periodo embrionale o fetale. Nonostante questo progresso la clinica ha continuato per lungo tempo a riferirsi soprattutto alla ana-tomia patologica. Quindi per molto tempo si sono considerate le malattie come "eventi" di carattere accidentale, postulando così implicitamente l'esistenza di due stati contrapposti: lo stato di salute e lo stato di malattia. Nonostante si concettualizzi la malattia come una "condizione fisiologica anormale", la concezione di salute, intesa come "condizione fisiologica normale", non sembra essere consona poiché la normalità fisiologica è un caso limite irraggiungibile. Ogni organismo in salute è sempre in un "equilibrio fisiologico" tra una situazione limite astratta di normalità, salute assoluta, e una situazione di deviazione patologica o malattia, i cui valori qualitati-vi e quantitativi vengono stabiliti convenzionalmente sia dalla cultura, dalla classe sociale d’appartenenza ecc., sia tenendo conto di certi parametri scientifici, (vedasi per esempio la differenza tra i livelli limiti accettabili del colesterolo tra i paesi dell'Europa e tra questi e gli Stati Uniti). 1.2. Concezione unitaria dell'aspetto biologico dell'uomo. Dall'analisi storica del sapere medico, che ho fatto poc'anzi sono emersi due aspetti importanti: 1) che la scomposizione degli apparati è stata così dominante da non lasciar spazio ad una "risinte-

si" conclusiva, perciò è venuta a mancare una visione generale dell'Unità Corporea e ancor meno dell'Essere Umano;

2) dalla scomposizione si è passati a studiare le funzioni utilizzando per tali indagini i principi della fisica e della chimica che si applicano per l'analisi del funzionamento delle macchine.

Il principio che ha guidato questa impostazione era: la conoscenza dei fenomeni del mondo inorga-nico a - b - c è sufficiente per comprendere i fenomeni del mondo organico, dell'organismo umano.

Adottando questo principio si erano semplicemente dimenticati due punti basilari: 1) anche la fisica non procede per addizione d’informazioni cumulative poiché ulteriori nuove sco-

perte conducono sempre ad un completo rimaneggiamento delle conoscenze precedenti;

Page 10: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

2) anche in fisica i tentativi di riduzione del complesso al semplice mettono a capo a "sintesi" in cui l'inferiore è arricchito dal superiore, per questo risaltano "strutture d'insieme" che si oppongono al concetto di "elemento unitario".

Tutta una serie di studi recenti (relativamente recenti) in fisiologia e biologia hanno portato ad una conclusione: da un punto di vista generale la vita organismica può essere considerata come "un in-sieme di molte situazioni fisiologiche in equilibrio dinamico ed interagenti tra loro". Esempi di queste situazioni in equilibrio dinamico sono: la temperatura corporea, la concentrazione di glucosio nel sangue, la stessa "struttura funzione" della materia vivente, ed un'infinità di altre. Quindi l'organismo può essere considerato come un "Sistema di una molteplicità di stati stazionari interagenti fra loro". (Con stato stazionario s’intende il mantenimento di un parametro a livello co-stante entro una certa tolleranza di variabilità). La temperatura corporea dell'uomo oscilla normalmente entro limiti ristretti perché la quantità di calore prodotto è uguale alla quantità di calore eliminato. La concentrazione di glucosio nel sangue (glicemia) si mantiene costante entro limiti d’oscillazione modesti perché la quantità di glucosio che di continuo abbandona il sangue è uguale alla quantità di glucosio che continuamente vi è immessa. Struttura e funzione della materia vivente sì mantengono costanti perché le molecole che incessan-temente sono distrutte sono continuamente sostituite da molecole identiche a quelle andate perdute. L'Organismo Vivente, inteso appunto come Sistema Fisico-Chimico, può mantenere in equilibrio permanente il proprio ambiente interno, quindi in un processo autoregolativo, grazie ad una coordi-nazione dei vari stati stazionari mantenuti tali ciascuno da propri meccanismi automatici di regola-zione. Tali meccanismi sono chiamati omeostatici. Il termine omeostasi dovuto a Cannon, fin dal 1929 indicava la costanza di una funzione organica come risultato dell'intervento di fattori regolatori capaci di mantenere la funzione stessa ad un de-terminato livello. Oggi al termine omeostasi si attribuisce un significato assai più ampio, considerando l'omeostasi stessa come una caratteristica di tutti gli organismi viventi. Ogni essere vivente può essere considerato difatti un "sistema aperto" capace di scambiare materia ed energia con il mondo vivente e non vivente intorno a lui, in continua evoluzione, ma al contempo stesso in continuo equilibrio dinamico (o stato stazionario) grazie a meccanismi automa-tici di regolazione detti appunto omeostatici, mentre con omeostasi s’indica il loro complesso. Poiché le condizioni dell'ambiente sono mutevoli, è necessario che i meccanismi omeostatici pos-siedano un certo grado d’elasticità tale da assicurare che l'equilibrio dinamico del "sistema aperto" non oscilli oltre i limiti che farebbero perdere a quest'ultimo il carattere di stazionarietà. Il mantenimento dell'equilibrio dinamico del sistema al livello più idoneo alla sopravvivenza, rap-presenta la salute del sistema stesso. I meccanismi omeostatici pur avendo carattere automatico ed essendo stati selezionati durante l'evo-luzione della specie, in quanto vantaggiosi per la sopravvivenza della specie stessa, non sono tuttavia meccanismi capaci di adattarsi a situazioni particolari o troppo rapide che si verifichino in un individuo. Per il fatto che sono variamente collegati ed integrati fra loro, è inevitabile che il cattivo funziona-mento di uno di essi sbilanci il funzionamento di altri. Ad esempio nel caso di certe malattie, come quelle geneticamente determinate, (emoglobinopatie, eritroenzimopatie) un meccanismo omeostatico può essere messo permanentemente in condizioni di funzionare male, o al limite di non funzionare affatto perché è assente o deficiente un fattore (enzi-ma, ormone, recettore) necessario per il suo funzionamento. Ora il blocco geneticamente determinato di un meccanismo omeostatico può sbilanciare a sua volta

Page 11: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

con un processo a "cascata" altri meccanismi omeostatici, la cui alterazione è quindi puramente fun-zionale, dipendendo unicamente dal modificato livello d’equilibrio del meccanismo geneticamente compromesso. Nel caso di malattie acquisite si possono verificare situazioni diverse: lo stimolo patologico può bloccare un meccanismo omeostatico, impedendo il mantenimento di un equilibrio, oppure senza bloccarlo, può apportare in difetto o in eccesso il suo livello d’equilibrio con conseguente modifica-zione funzionale degli altri equilibri omeostatici. Mi sono dilungato un po' su questi concetti perché mi preme far osservare com’essi ci consentono primariamente di recuperare l'Unità Funzionale Biologica dell'intero Organismo, che viene ora con-cepito come Sistema Autoregolativo "risultante" da una gerarchia di sottosistemi omeostatici inter-dipendenti, e secondariamente, grazie ad essi, di consolidare i fenomeni patologici sotto una prospettiva diversa da quell’abituale, e cioè di valutarli come processi quali risultati dello spostamento di uno o più equilibri omeostatici. 1.3. Concezione d’Unità Biologica, Psicologica, Sociale Comportamentale dell'Uomo. La Biologia e la Medicina hanno per lungo tempo considerato oggetto di studio l'aspetto "somatico" dell'organismo, in altri termini hanno studiato il corpo ed il suo funzionamento. Il concetto di "Sistema Autoregolativo", esaminato nel paragrafo precedente, quale "gerarchia di sottosistemi omeostatici" è un concetto che rimane ancora circoscritto entro i confini del soma. Ma diverse osservazioni mediche, da tempo, hanno sottolineato l'importanza del Comportamento dell'Organismo stesso, sul proprio stato di salute malattia. Di là da certe osservazioni abbastanza immediate di come particolari comportamenti siano correlati allo stato di salute e malattia, ciò che m’interessa capire è se tutto il comportamento in generale sia legato in qualche modo alla biologia dell'organismo. Gli studi in tal senso hanno preso l'avvio proprio dai meccanismi omeostatici e dai parametri che es-si mantengono costanti. E' stato trovato che ci sono costanti rigide e costanti meno rigide. Mentre un piccolo cambiamento delle costanti rigide mette in moto apparati d’autoregolazione che debbono assicurare il ritorno, quasi immediato, delle costanti al livello iniziale, nel caso delle co-stanti meno rigide gli apparati d’autoregolazione possono non farle rientrare nella norma per un pe-riodo abbastanza lungo. Ciò comporta significative modificazioni nell'attività vitale dell'organismo e costituisce lo stimolo ad un’attività intensa diretta all'ambiente esterno, finalizzata alla conservazione o dell'individuo o della specie o del gruppo secondo il tipo di costante non in equilibrio. Le possibilità di compenso, attraverso meccanismi interni, non sono illimitate, ragion perciò all'in-terno dell'organismo si prospetta immediatamente il ricorso all'ambiente esterno, sorge cioè la rela-tiva Motivazione. Il cambiamento di qualche costante ematica importantissima è alla base della formazione di un de-terminato bisogno dell'organismo e quindi è alla base del relativo Comportamento motivato, che si esplica nell'ambiente esterno. Ma nell'ambiente esterno la meta, cioè la soddisfazione del bisogno non è immediata, anzi spesso va ricercata. Nasce così un processo d’interazione tra Organismo e Ambiente esterno svolto alla ricerca dell'og-getto di soddisfazione per il proprio bisogno. In questo comportamento di ricerca l'organismo apprende nuovi modelli d’interazione più fruttuosi, più redditizi.

Page 12: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Ma l'aver appreso nuovi modelli d’interazione significa aver modificato qualcosa dentro di sé, del proprio ambiente interno, in funzione dell'ambiente esterno. Questo è l'Adattamento. L'Adattamento quindi è l'integrazione del "Sistema Organismo" nel "Sistema Ambiente". Questo processo d’integrazione trova la sua primaria energia motrice nel sistema biologico. Per l'Organismo Umano, l'ambiente è primariamente Ambiente Sociale ed i processi d’adattamento sono funzione, contemporanea, dell'individuo e dell'ambiente sociale. Individuo e Ambiente Sociale costituiscono un unico Sistema nel funzionamento del quale interagi-scono, tra i diversi sottosistemi, processi contemporaneamente d’omeostasi interna e processi di comportamento motivato e d’apprendimento. Per meglio comprendere questi ultimi concetti è opportuno introdurre alcuni principi della Teoria dei Sistemi. La Teoria dei Sistemi è applicabile a qualsiasi struttura dell'Universo, da un pianeta ad una parti-cella subatomica. Per Sistema dobbiamo intendere un insieme di "oggetti" e di "relazioni" tra gli oggetti ed i loro at-tributi, in tal modo gli oggetti vengono ad essere le componenti o le parti del sistema, gli attributi sono le proprietà degli oggetti e le relazioni tengono insieme il sistema. Esiste la distinzione tra "sistemi chiusi" e "sistemi aperti". Per sistema chiuso s’intende un sistema in cui non c'è nessuna immissione o emissione d’energia in nessuna delle sue forme. I sistemi aperti, così come ogni organismo vivente, rappresentano un sistema aperto, scambiano materia, energie ed informazioni con il loro ambiente. Studi recenti sembrano però dimostrare la non validità della distinzione tra sistemi chiusi ed aperti. Nella teoria dei Sistemi quindi, un organismo vivente, un corpo sociale, ecc. non sono l'aggregazione di parti elementari, sono piuttosto una gerarchia integrata di sottoinsiemi autonomi, costituiti a loro volta da sottoinsiemi e così via. Le Unità Funzionali ad ogni livello della gerarchia sono, per così dire, a due facce; esse agiscono come totalità quando sono rivolte verso il basso e come parti quando sono rivolte verso l'alto. Questo concetto permette di collocare il sistema "persona umana" (che a sua volta è costituito da una gerarchia di sottosistemi) in un Sistema più vasto come la Famiglia. A sua volta il Sistema Famiglia può essere collocato in un Sistema ancora superiore, la Comunità e cosi via. Ciò che riveste grandissima importanza in questa concettualizzazione sono le proprietà dei Sistemi quali la Totalità, la Trasformazione, l'Autoregolazione. Per i fini che mi sono proposto ora mi è sufficiente focalizzare la nostra attenzione sulla Totalità. Per questa proprietà, ogni elemento del Sistema è in un rapporto tale con gli altri elementi che lo costituiscono che, un qualunque cambiamento in una parte, causa un cambiamento in tutte le parti e in tutto il Sistema. Questo concetto, come si ricorderà, l’ho già trattato a proposito dei processi omeostatici dell'organismo. Ora se consideriamo l'organismo umano come un Sistema integrato in un Sistema Superiore quale l'Ambiente Sociale, lo stesso organismo rappresenta un elemento del Super Sistema Sociale che a sua volta interagisce con altri elementi. Un qualunque cambiamento nel Sistema Super Sociale, così come negli altri sistemi superiori, causa inevitabilmente cambiamenti nell'organismo umano. In questo modo comincia a farsi luce e diventa perciò comprensibile il perché il comportamento dell'organismo, inteso come interazione adattiva nell'Ambiente, abbia un'influenza sullo stato di sa-lute-malattia. L'Essere Somatico Biologico s’integra nell'Ambiente Fisico Sociale formando un livello supe-riore di Sistema Bio-Psico-Sociale.

Page 13: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Questo processo d’integrazione è reso possibile per la presenza di una particolare struttura inserita nel soma dell'organismo, la quale ha assunto, nella storia filogenetica, le funzioni di controllo del processo organico da un lato, e dall'altro, le funzioni d’integrazione e coordinamento di tutti i processi omeostatici del soma con l'ambiente. Tale struttura è rappresentata dall'Encefalo. L'Encefalo è costituito da una massa di cellule nervose, tra loro collegate secondo modalità, che permettono di realizzare certe funzioni sviluppatesi nel tempo secondo uno schema gerarchico di successione. Si suppone che il livello di sviluppo successivo si sia integrato con quello precedente mantenendo una unità di funzione; Sembra che il tempo abbia ritmato questo sviluppo rendendo possibile l'integrazione e la specializ-zazione d’alcune zone encefaliche. Queste zone, tuttavia, oltre al loro ruolo principale assumevano anche quello di favorire il collega-mento dell'una con l'altra, diventando dunque un insieme di parti specializzate ma allo stesso tempo integrate. Da ciò deriva che anche l'Encefalo si presenta come un Sistema Complesso ed organizzato in modo tale che le strutture più recenti nella scala filogenetica vengono a costituire il risultato dell’integra-zione delle totalità precedenti, le quali, a seguito di ciò, diventano unità per la nuova funzione. In base a questi assunti si può comprendere come l'encefalo, da un lato sia il regolatore del mondo biologico dell'organismo, dall'altro lato entra in rapporto con il mondo esterno, il mondo extrasoma-tico e ambientale dell'organismo stesso. Come regolatore del Mondo Biologico dell'organismo, l'encefalo è un Sistema Completo, una Totalità, e in quanto in rapporto con l'ambiente esterno ridiventa Unità. Un'unità che si rapporta ad un'altra unità ed anche quest'ultima forse è il risultato di una complessità non minore dell'altra. In questa dialettica reciprocamente influenzabile tra encefalo ed ambiente, l'encefalo permette la so-pravvivenza del singolo e della specie. Vi è dunque un'interrelazione tra uomo e ambiente e tra gli uomini fra loro e l'ambiente stesso. Si tratta di un rapporto dialettico che rende possibile una reciproca trasformabilità. L'Uomo all'interno del gruppo, è in grado di modificare l'ambiente sia in senso fisico, ma soprattut-to come contenuto culturale e storico. L'ambiente a sua volta si presenta come uno stimolo "plastico" per l'encefalo umano. Si vengono ad avere così due diverse forme di selezione evoluzionistica: 1) la grande selezione che ha premesso la sopravvivenza della specie umana con caratteri che assi-

curano un adattamento alle condizioni geologicoatmosferiche del pianeta Terra; 2) una piccola selezione che permette, seppure in misura minore, eventuali modificazioni adattive

tra strutture encefaliche ed ambiente storico-culturale. Entrambe queste modalità contribuiscono all'esistenza e alla sua qualità. Grazie a queste nuove conoscenze possiamo meglio comprendere come, nell'interazione tra Sistema Encefalico e Sistema Ambientale Sociale possa risiedere anche la sede di patologia psicosomatica e psichiatrica. L'attenzione rivolta alla dinamica tra Sistema Encefalico e Sistema Ambientale Sociale, intesi entrambi come elementi di un Sistema Superiore, muta la concezione tradizionale di malattia che derivava dalla percezione di sintomi staticamente definiti e isolati dalla situazione operativa d’Encefalo Ambiente. Va superata dunque la convinzione che le funzioni e la fisiopatologia dell'Organismo umano siano da studiare solo all'interno, vale a dire dentro i confini dell'organismo stesso, e ancor meno su un tavolo anatomico.

Page 14: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

L'Organismo Umano interagisce con l'Ambiente attraverso moduli comportamentali ancora una vol-ta integrati in una gerarchia che filogeneticamente è mossa da bisogni che vanno da quelli comuni con le altre specie fino a quelli tipici della specie umana e quindi alla cultura. Un primo tentativo volto alla concettualizzazione di una teoria sulla gerarchia dei bisogni è stato compiuto da Maslow. Egli sostiene che nell'uomo sia presente una serie di bisogni d’umanizzazione e complessità diversa, e inoltre secondo tale teoria un bisogno gerarchicamente superiore si manifesta solo quando quello immediatamente inferiore è in fase di soddisfacimento. I bisogni possono venire così classificati: Stadio 1 - Bisogni fisiologici: fame, sete, bisogno d’aria, ecc. Stadio 2 - Bisogno di sicurezza che porta alla ricerca di stabilità, familiarità, protezione contro la

paura. Stadio 3 - Bisogno d’autorità e di potere, che serve a difendersi dalla paura d’essere oggetto di

altri. Stadio 4 - Bisogno d’appartenenza ad un gruppo, di avere un posto sociale e di non essere

esclusi. Stadio 5 - Bisogno d’essere stimati. Stadio dei metabisogni: bisogno d’autostima e bisogno d’autorealizzazione (creatività, autonomia,

moralità, humour, sublimazione intellettuale). In seguito alla mancata realizzazione dei bisogni si riscontrano i comportamenti di frustrazione, di conflitto e d’aggressività, in altri termini, i comportamenti emozionali negativi che, a lungo andare, determinano ripercussioni sui sistemi neurovegetativo, endocrino ed immunitario. Questi ultimi vanno a costituire la reattività del terreno biologico, fino a giungere, con chiara sintomatologia ai segni di uno stato di squilibrio e l'instaurarsi del livello di malattia. In conclusione, da quanto esposto, emerge che il punto di vista sistemico ci permette di comprende-re meglio la natura ed i suoi fenomeni, l'Uomo ed il suo comportamento, i suoi stati di salute-ma-lattia così come d’adattamento e disadattamento. L'Uomo, complesso sistema naturale, può essere rappresentato all'interno di una gerarchia di sistemi naturali in un continuum che va dalle particelle subatomiche alle biosfere. In esso possiamo indivi-duare delle integrazioni sempre più complesse che, in ordine di complessità, definiamo: Atomi, Mo-lecole, Organuli, Cellule, Tessuti, Organi, Sistemi dell'Organismo, Essere Umano, Famiglia, Comunità, SubCultura, Cultura, Società, Popolo, Nazione, Specie Umana, Biosfera. Diventa pura astrazione il fatto di estrapolare l'Uomo dal sistema entro cui è integrato, di studiarlo nei suoi elementi costitutivi e nei suoi comportamenti non considerando i rapporti relazionali e le relative funzioni emergenti da questi rapporti sia verso il Biologico sia verso il Sociale. Alla luce di quanto appena detto, tutto il mondo degli operatori sanitari, figli della Facoltà di Medicina e Chirurgia, potranno ampliare le loro vedute, spostando l'attenzione dalla malattia alla salute considerando, pertanto, l'organismo umano con aspetti fisici e psicologici interconnessi e mettendo in relazione le condizioni generali di questo Sistema con il suo ambiente fisico, emotivo e sociale. Questo cambiamento dovrà essere accompagnato da sforzi sia nell'ambito dell'educazione che della politica sanitaria. Tutto ciò permetterà agli individui di diventare responsabili della propria salute, anziché delegare tale responsabilità al medico e alle medicine. In modo simile, gli psicologi e gli infermieri dovranno andare oltre il campo della psicologia classi-ca per raggiungere una più profonda comprensione della psiche umana.

Page 15: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Essi dovranno obbligatoriamente considerare l'intero organismo, congiuntamente ai medici in una vera logica multidisciplinare, come un sistema dinamico che coinvolge processi fisici e psicologici interdipendenti: un sistema che rappresenta una totalità che a sua volta è costituita da più ampi si-stemi interagenti secondo dimensioni fisiche-sociali-culturali e cosmiche. Le prime implicazioni specifiche di questo orientamento di pensiero nel campo della medicina sono quelle di aver ridefinito i concetti di salute e malattia. Il concetto di salute non può che essere una descrizione di un "giusto funzionamento" del Sistema Vita nelle sue fondamentali caratteristiche di Totalità - Trasformazione - Autoregolazione. In questo modo la salute viene ad essere quello "stato d’equilibrio dinamico" caratterizzato da un corretto funzionamento di tutta la gerarchia di sistemi naturali dell'uomo. Salute intesa come: stare bene con se stessi, stare bene con gli altri, vivere in simbiosi con l'ambiente ed essere in pace con Dio. Come abbiamo potuto notare, questa gerarchia di sistemi naturali dell'Uomo include tutti i sistemi automatici dell'organismo integrandosi nel Sistema Famiglia e nel Sistema Specie Umana. Il concetto di "stato d’equilibrio dinamico" implica una condizione che non è assoluta, finale, ma è una condizione relativa legata ad un contesto fisiologico - psicologico - sociale specifico in cui si trova inserito quel dato organismo. Oltre a ciò il concetto di "equilibrio dinamico" implica un "processo evolutivo" verso delle mete che risultano essere gerarchizzate, partendo dalle mete di sopravvivenza individuale, di gruppo e di specie, salendo verso mete sempre superiori in accordo con quanto Maslow ha individuato nella sua gerarchia dei bisogni. Il concetto di "equilibrio dinamico" in un processo evolutivo verso mete superiori è di capitale im-portanza per differenziare il concetto di salute-malattia. Infatti, se la "salute" rappresenta uno stato d’equilibrio dinamico proprio di un processo evolutivo di un Sistema che si autoregola e s’integra, la "malattia" rappresenterà uno stato di "disequilibrio di-namico in un processo involutivo". Pertanto, la malattia può essere definita come una "disregolazione" della gerarchia di sistemi natu-rali dell'uomo che si determina per un non corretto funzionamento dei sistemi stessi. Concludo, riassumendo i punti fondamentali su cui si basa il Modello Regolativo di Salute-Malat-tia: 1) Considera l'organismo come Unità, Sistema "Bio-Psico-Sociale". 2) Enfatizza i meccanismi di feedback intraorganici e tra Organismo ed Ambiente. 3) Individua, nella Salute-Malattia, processi Biologici, Psicologici e Relazionali. 4) Concepisce i processi morbosi come "Disregolazione" o "Involuzione", cioè come il venire meno

di processi autoregolativi che garantiscono l'adattamento e la conservazione della salute.

Dirigente dell’Assistenza Infermieristica Biancat Roberto

Page 16: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

CAPITOLO SECONDO

CONCETTI E DEFINIZIONI DI SALUTE - MALATTIA: LORO IMPLICAZIONI.

2.1. Introduzione. Il problema della salute si pone in un ambiente ben più ampio di quello prettamente individuale, cui l'approccio biomedico ha da sempre fatto riferimento. I fenomeni della salute e della malattia non riguardano, infatti, esclusivamente l'individuo estraniato dalla società, posto in un "vuoto sociale e mentale", bensì l'individuo che vive ed interagisce in un determinato ambiente storico, culturale e sociale caratterizzato da stili di vita, opinioni, credenze, conoscenze, comportamenti e attese che sono sue. Tale insieme di valori ha indubbiamente un peso non indifferente nel determinare tanto i processi di salute quanto quelli di malattia. Appare chiaro quindi che per affrontare il complesso tema della salute-malattia, accanto alle conoscenze scientifiche e biomediche vanno affiancate anche conoscenze riguardo a scienze umanistiche quali la sociologia, la psicologia sociale, la psicologia clinica e la biologia comportamentale all'interno di un'ottica che tenda a considerare in modo sistemico i contributi, a livello conoscitivo, apportati da ciascuna disciplina. Una tale considerazione e` giustificata dalla constatazione che le opinioni, le credenze, le conoscenze, le attese ed inoltre i comportamenti di un dato momento storico-culturale e di una data società non sembrano sorgere spontaneamente e liberamente, ma pare che siano la risultante di lotte e contrasti fra classi sociali. Il problema della salute e della malattia si configura pertanto come un problema principalmente politico-sociale, come un processo dinamico il cui equilibrio appare funzionale alla classe al potere. Gli avvenimenti nel campo della sanità negli ultimi venticinque anni di storia del nostro paese possono rappresentare un buon esempio di quanto appena affermato. Negli anni '70 si sono succedute numerose nuove esperienze in ambito sociosanitario. Queste hanno rappresentato altrettante tappe di quel processo di trasformazione strutturale, organizzativo e culturale che ha poi trovato un equilibrio nell'istituzione del Servizio Sanitario Nazionale nel 1978. L'Istituzione dei consultori familiari, della prevenzione per le tossicomanie, della Legge sull’interruzione volontaria della gravidanza, della Legge sulla deospedalizzazione dell'assistenza psichiatrica, ecc. costituiscono non tanto delle formulazioni giuridiche isolate o astratte, che tentano di regolare il comportamento sanitario, quanto piuttosto delle tappe, dovute a nuove azioni sociosanitarie, frutto di un processo legato ad una mutazione sociale. Ogni tappa è il frutto di lunghe e accese discussioni e conflitti tra le parti sociali. In passato e per molto tempo, la salute dei cittadini è stata spesso un problema lontano dalla possibilità di conquista sociale, ora invece sembra essere divento un problema alla cui soluzione partecipa l'intera società, seppure attraverso conflitti tra varie parti sociali, maggioranze e minoranze. Questi conflitti, che noi potremo considerare a favore di un "progetto sociale" della salute, non si pongono solo l'obiettivo di dare una soluzione ai bisogni contingenti della

Page 17: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

popolazione, ma si prefigurano anche come un tentativo di trovare una concezione diversa della salute stessa, intesa come bene individuale e collettivo. Ad ogni definizione di salute corrisponde, infatti, un modo diverso di considerarla e di valutarla rispetto ad altri valori umani, di operare per ottenerla o mantenerla, di impostare e organizzare gli interventi, non solo sul piano sanitario, ma anche su quello delle relazioni interpersonali, all'interno della comunità. Tutto il settore dell'assistenza infermieristica perciò è coinvolto attivamente in questo processo. Il desiderio e il tentativo di dotarsi di una chiara definizione su una concezione diversa di salute, cui corrisponda un modello operativo razionale, derivano quindi non solo da esigenze culturali, ma anche dal bisogno di conquistare un bene individuale e sociale. Possiamo affermare quindi che sembra essere in atto un ampio processo di rinnovamento culturale sul modo di considerare la salute, processo che ha avuto origini e tappe più o meno lontane nel tempo. 2.2. Cenni storici del processo di definizione di salute-malattia. Nell'immaginario popolare la salute viene ancora oggi concepita sostanzialmente come "mancanza di malattia", vale a dire come "assenza di sintomi". Culturalmente perciò si tende a considerare la salute e la malattia come fenomeni naturali dell'individuo: essi sono intesi come visibili, palpabili, misurabili e di segno opposto. Oltre a ciò c'è la convinzione che esista una netta e naturale separazione fra questi due stati. Per comprendere appieno il significato di quanto detto sopra è necessario spiegare cosa s’intende con il termine "naturale". In campo scientifico è considerato "naturale" tutto ciò che appartiene (oggetti, cose e fenomeni) al mondo delle Entità Fisiche, tutto ciò che è tangibile, quantizzabile con misure e osservabile (Darwin). Lo studio delle Entità Fisiche ha dominato spesso le indagini in ambito scientifico. Le Entità Mentali, appartenendo ad un ordine completamente diverso e che potremmo definire "immateriale", sembrano essere state invece scarso oggetto di studio poiché maggiore attenzione è stata data a ciò che è fisicamente rilevabile. La caratteristica fondamentale delle Entità Fisiche è "l'oggettività". L'uomo ha formato e fondato tutta la sua esperienza scientifica sull’oggettività del mondo, un mondo costituito d’oggetti, di cose materiali. Il pensiero occidentale, in conformità a questa radicata esperienza, ha gettato pertanto le fondamenta della propria scienza facendola poggiare su tre principi cardine: 1) Tutto ciò che esiste è fisicamente caratterizzabile: questo è il Mondo della Natura e tutto vi

rientra. 2) Le Entità Fisiche che costituiscono la Natura hanno solo "interazioni casuali". 3) Le "interazioni casuali" sono determinate da leggi fisiche, che sono quindi leggi della natura. "Naturale" quindi è tutto ciò che esiste nel mondo della natura, vale a dire tutto ciò che è fisicamente caratterizzabile e può avere solo "interazioni casuali" determinate da leggi fisiche. Le leggi fisiche sono pertanto "leggi naturali". Affermare che la malattia è un fenomeno "naturale" (malattia culturalmente intesa come "presenza di sintomo"), equivale a dire che il sintomo (rilevato soggettivamente) è sempre determinato da interazioni casuali tra entità fisiche. Questo concetto di salute-malattia, fondato sull’assenza o presenza di sintomi e considerato come fatto naturale, appare tuttavia come un concetto alquanto riduttivo e fuorviante.

Page 18: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

E' riduttivo poiché non comprende numerosissime situazioni caratterizzate da disturbi microscopici o latenti, non facilmente individuabili all'osservazione. Oltre a ciò, è riduttivo giacché non prende in considerazione tutti quei casi in cui processi disfunzionali e organico-patologici non sono percepibili o soggettivamente non percepiti dal soggetto stesso. E' inoltre fuorviante poiché considera l'uomo come un'entità puramente fisica che può avere solo interazioni di tipo casuale e fisicalistico, restringendo cosi il campo dei processi eziopatogenetici alle interazioni del corpo con l'ambiente fisico-naturale. L'uomo invece non è un’entità puramente fisica bensì un'Entità Bio-Psico-Sociale, egli quindi non deve essere concepito solo come un'entità "naturale", nel senso che culturalmente è inteso, ma anche come un'Entità "Psico-Sociologica". Al fine di non ostacolare sul piano operativo gli interventi di tipo preventivo e curativo, è importante quindi uscire dalle ristrettezze concettuali legate alla definizione popolare del concetto di salute-malattia. Perché si è arrivati a condizionare culturalmente l'idea di salute, intesa come l'assenza di sintomi, e l'idea di malattia, intesa come presenza di sintomi, ed inoltre il fatto che entrambe sono concepite come fenomeni naturali? Alla base di tutto ciò sembra esserci una concezione filosofica che fin dall'inizio ha dato l'impronta allo sviluppo del processo storico di definizione del concetto di salute-malattia. La concezione filosofica dualistica di Cartesio. Cartesio, filosofo francese del XVII° secolo, considerava l'uomo come una dualità, formato cioè da una "macchina corporea" ben funzionante, e dall'anima, entità non corporea, situata all'interno del cervello. Questa concezione filosofica sembrò influenzare gran parte dello sviluppo del pensiero scientifico successivo. Anche la scienza medica subì, infatti, gli influssi di questa corrente di pensiero e ciò si rifletteva nel fatto che essa identificava la salute con il "buon funzionamento della macchina corporea" mentre, per contro, la malattia era considerata alla stregua di "cattivo funzionamento" e, conseguentemente, i sintomi come i segnali di questo cattivo funzionamento. L'assenza di sintomi era considerata perciò come indice di buon funzionamento e quindi di salute. Gli scienziati e i medici dei secoli successivi, condizionati da questo schema di pensiero dualistico, nel tentativo di capire il "funzionamento della macchina corporea", hanno isolato e separato l'uomo dal suo ambiente; hanno separato il corpo dalla mente e hanno "smontato pezzo per pezzo" tutta la "macchina", cioè "frammentato" tutto il corpo, dividendo sistema funzionale da sistema funzionale, organo da organo, tessuto da tessuto, spingendo tale suddivisione fino a livello atomico. Come gli scienziati ricercavano "la verità" nella parte più piccola della materia, l'atomo, così tutti i ricercatori erano ispirati dal medesimo metodo di ricerca. In questo processo storico, di "smembramento", si è andata perdendo di vista l'osservazione del funzionamento dell'unità globale dell'uomo nel suo contesto integrato di corpo-mente-ambiente e questo vale per tutti gli esseri viventi dell'universo. L'osservazione dell'uomo nel suo complesso, rispettivamente d’unità mente-corpo che interagisce in un ambiente, veniva sempre più ristretta ai sistemi funzionali che costituiscono il suo corpo, successivamente agli organi, poi alla cellula, ed infine alla biochimica cellulare. Da questi studi, che tendevano verso un processo di "frammentazione" dell'uomo, ebbero origine le tradizionali teorie sulle "cause di malattia". Queste teorie, tuttavia, si concentravano su una singola dimensione della persona, la dimensione corporea, fisica, e non sul suo intero essere, inteso come unione della componente fisica e della componente (non-corporea) psicologica; queste teorie perciò si caratterizzavano per il fatto di avere una visione di tipo prettamente naturalistico poiché

Page 19: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

consideravano la malattia come un fatto naturale perché prodotto da fattori oggettuali: fisici, chimici, biochimici. Dalle varie teorie sulle cause di malattia sono stati poi derivati vari concetti di malattia e di salute. Ancor oggi queste teorie, che potremmo considerare limitative, continuano ad influenzare la medicina moderna, "frammentando" di conseguenza anche l'assistenza infermieristica. A tal proposito potrebbe essere utile citare, con brevi cenni, alcune di queste teorie, che sembrano condizionare fortemente ancora oggi l’attività di molti operatori sanitari: 1 - Il concetto Anatomo-Patologico di malattia. Con questo concetto si sottolinea l'importanza di un solo sistema o di un solo organo nello studio della malattia. I ricercatori, a seguito dei loro studi, lungo un percorso di frazionamento del corpo avvenuto sul tavolo anatomico, credettero che fosse solo un organo ad avere alterazioni patologiche. Gli studi si concentrarono così sempre più profondamente sui singoli organi, ricercando le cause di malattia in quel particolare organo colpito. Il frutto ultimo di questo concetto anatomo-patologico fu la proliferazione delle specializzazioni della medicina: lo studio di un organo era identificato con una specializzazione medica e questa, a sua volta, col reparto ospedaliero legato alla specializzazione stessa e in altre parole, in ultima analisi, all'organo considerato. 2 - Il concetto Singola causa - Singolo effetto. Un altro concetto, che ha influenzato ed influenza tuttora la medicina, è quello che considera la malattia come il risultato di un singolo agente etiologico. Identificata la causa o individuato l'agente etiologico ed eliminandolo si sarebbe perciò vinto la malattia. Esempi di questo concetto sono: a) la "Teoria dei germi" di Pasteur; b) la "Teoria della deficienza chimica". Nella prima teoria i medici speravano, che una volta scoperti ed eliminati dal corpo i pericolosi microrganismi, si potesse così sgominare per sempre la malattia. Si comprese poi che una tale soluzione risultava semplicistica. La teoria dei germi, mentre risolve solo in parte il problema delle malattie infettive, non si può, infatti, applicare agli schemi delle malattie croniche non infettive. Ad ogni modo, è opportuno far notare che le malattie infettive sono influenzate sia dai microrganismi sia dal nostro sistema immunitario. Noi possiamo, infatti, iniettare la stessa carica batterica in un gruppo di più persone e notare che qualcuno non si ammalerà, mentre gli altri individui si ammaleranno in forme diverse. Le cause che portano alle carenze immunitarie sono diverse, fra queste lo stress gioca un ruolo importante. La teoria della deficienza chimica ipotizza invece che una deficienza enzimatica o un sistema biochimico danneggiato possano provocare la malattia. Anche questa concezione non tiene conto dei fattori ambientali ed emotivi, ma si basa unicamente su quelli chimici e molecolari. 3 - Il concetto d’agente malattia esterno all'uomo. Un altro concetto, molto radicato nell'opinione comune, è che i fattori che causano la malattia siano principalmente esterni all'uomo. La malattia è considerata come un "invasore" - qualcosa che entra nel nostro corpo, supposto sano - proveniente dal mondo esterno. Tutt'oggi noi diciamo ancora "ho preso un virus", oppure diciamo "sono stato contaminato da materiale infetto" o anche "ho respirato dei pollini" oppure "ho mangiato un alimento che mi ha fatto male". Questa terminologia sembra riflettere una concezione di malattia intesa come conseguenza di un "invasore" che entra nel nostro corpo e che proviene dal mondo esterno. Questa concezione porta ad aspettarci e a pretendere che i farmaci o determinati trattamenti guariscano del

Page 20: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

tutto la nostra malattia, che il chirurgo, "asportando dal nostro corpo" l'organo ammalato risolva, in questo modo, definitivamente il disturbo. Questa concezione risulta rassicurante psicologicamente tanto per il malato, il quale proietta cosi' all'esterno, deresponsabilizzandosi, la causa della propria malattia, quanto per il medico, che pensa di poter individuare le cause di malattia su un fattore esterno e quindi di osservarlo, studiarlo e combatterlo. Per contro, essa appare estremamente limitante poiché rende il malato "spettatore passivo" - quindi "paziente" - impossibilitato a gestire la propria salute e a collaborare, nella condizione di salute-malattia, con gli operatori sanitari in una logica di self-care. Allo stesso tempo questa concezione: a) riduce il campo di ricerca allo scienziato medico, b) esclude la dimensione umana dell'utente dalle indagini mediche, c) influenza l'organizzazione assistenziale e l'intervento medico, d) ha ripercussioni nel campo dell'assistenza infermieristica, poiché tende a distogliere le attenzioni dall'Uomo indirizzandole verso l'organo o la malattia oppure le prestazioni. Il rischio quindi è di ridurre il ruolo delle infermiere esclusivamente all'esecuzione di tecniche di un intervento assistenziale su un "corpo" ammalato. Queste e molte altre teorie sviluppatesi nel corso della ricerca medica risultano pertanto "unifattoriali" e nessuna da sola sembra poter rispondere in modo esauriente alle domande sulle cause scatenanti la malattia. Inoltre esse considerano la malattia unicamente come fenomeno naturale centrato sul corpo, estrapolandolo dal contesto socio-ambientale in cui esso è inserito. Per noi infermieri e per tutti i teorici del nursing tutto ciò appare negativo ed inaccettabile. La funzione latente del concetto salute-malattia nella nostra cultura industriale. In tempi più recenti queste concezioni sembrano essere diventate strumento della organizzazione sociale del lavoro. Nella fase d’avvio all'industrializzazione moderna, la necessità di controllo e coordinamento della popolazione hanno portato ad una divisione netta di competenze sul problema della salute e della malattia (fenomeni della vita che riteniamo inscindibili) affidando la malattia alla medicina ed alla scienza, mentre la salute all'organizzazione della sanità territoriale e all'organizzazione del lavoro, non considerando così la salute e la malattia come facenti parte di un tutt'uno. La salute della popolazione è diventato successivamente un obiettivo da raggiungere. La salute in questo modo viene considerata scissa dalla malattia e dalla vita, assumendo valore in sé, facendo perciò apparire la vita senza salute come una vita priva di dignità, proprio perché l'unica dignità che viene riconosciuta è quella allo stato di salute, intesa in termini di produttività ed esteriorità. Secondo questa concezione, la malattia non fa ormai più parte del processo della vita perché diventa un male individuale da individuare e debellare. Tale operazione viene affidata al medico e allo stabilimento ospedaliero. Il fatto che la malattia venga isolata nella sfera di competenza medica comporta l'identificazione della salute come "norma assoluta" e conseguentemente la malattia come un fatto abnorme rispetto alla vita. Questa, tuttavia, risulta come una norma culturale e non come una realtà assoluta. Il proporre la salute come positività assoluta, senza la quale non esiste la vita, equivale a proporre la malattia come negatività assoluta che non deve esistere, ecco perché, ad esempio, gli handicappati sono troppo spesso considerati un peso sociale, così come troppo spesso essi non hanno gli stessi diritti e attenzioni di chi produce. La costruzione di case di riposo o di centri per handicappati può essere considerata a volte, quindi, nell'ottica di una necessità di ghettizzazione in un mondo che "non deve essere disturbato". La norma, che nel campo della medicina stabilisce la salute, sembra

Page 21: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

coincidere allora con la norma che struttura un'organizzazione sociale fondata principalmente sulla produzione e sul profitto. La salute viene così a coincidere con il grado d’efficienza richiesto. A stabilire la separazione fra salute e malattia perciò non sembra essere più il grado di sofferenza dell'uomo, bensì la sua capacità di rispondere alle aspettative di un'organizzazione sociale basata sull'efficienza produttiva, sulla competitività, sul potere e sulla bellezza. La salute, in questa società industriale e postindustiale, risulta determinata quindi dalla produttività e dall'esteriorità: coloro che contano sono gli uomini che "non osano chiedere mai", che usano profumi "all'arroganza", gli uomini cosiddetti "forti". Può capitare allora che una persona quando viene, per esempio, dimessa dal reparto di cardiologia non identifichi più il suo vero problema con l'attività cardiocircolatoria, ma con il fatto di sentirsi un "mezzo uomo", perché la convalescenza gli avrebbe tolto le caratteristiche di "vero uomo" stabilite dalla società. Una tale mentalità sembra purtroppo aver invaso non solo il campo sanitario, ma anche molti altri settori della vita di un individuo. La tendenza è, infatti, quella di privilegiare l'aspetto esteriore a scapito dei valori fondamentali di una persona. Così capita, a volte, che una donna o un uomo scelga il proprio partner in base all'esteriorità, per poi scoprire durante la convivenza che l'incomprensione di coppia, dovuta spesso ad incompatibilità caratteriali, è una questione ben più preminente. Anche in questo caso, non è l'insieme dei valori profondi che vengono evidenziati e considerati importanti, bensì l'immagine. Un ulteriore esempio di ciò sono le persone che scrutano il mercato nella attesa del prossimo "status simbol" da esternare. Donne modello "barbie", pubblicità che dicono a chiare note che, se non sei fisicamente perfetta, se non usi determinati prodotti non sei una donna. Dovremmo quindi pensare che le donne che non corrispondono a questa immagine e che magari vivono una vita umile e di privazioni non siano donne di tutto rispetto? Altro esempio di quanto appena affermato è rappresentato dall'anziano mendicante che spesso è considerato un relitto, dall'uomo di colore, considerato spesso una sottospecie d’uomo, e dall'handicappato, che spesso non viene addirittura neanche considerato (fintanto che "all'indifferente" non capita una situazione diversa dalla "normalità": per esempio la nascita di un figlio handicappato). Oggigiorno sembra che solo poche persone nell'incontro con l'altro valutino il vero valore della vita. Questi esempi sono stati riportati perché anche noi prima d’essere operatori sanitari siamo stati "creati", "costruiti", dalla nostra società e cioè dalla medesima cultura descritta sopra. Quindi anche noi, nell'esercizio della nostra professione, siamo soggetti a rischio, nell'interazione interpersonale con l'ammalato, di essere sopraffatti dal concetto di salute acquisito dalla nostra società. Può capitare, infatti, che, se l'ammalato è giovane e magari persona che suscita interesse, il giro della visita sia un pellegrinaggio da copione. Se invece l'ammalato fosse un anziano emiplegico, piagato, mal odorante, cronico o morente, non vedremmo sicuramente lo stesso scenario appena descritto. La scienza medica ha seguito fino ai nostri giorni una traiettoria che si è in un certo senso "staccata" dall'uomo, pur occupandosi delle sue malattie e del suo corpo. Essa si è appropriata del corpo dell'uomo, lo ha "sezionato", "separato", "diviso" secondo gli organi malati assegnandoli a sfere specializzate, cosicché ciascun organo ha il suo reparto e la sua specialità. L'ospedale è diventato perciò un "corpo gigante" in cui ad ogni reparto corrisponde un organo: il reparto del cuore (cardiologia), del rene (nefrologia), dei polmoni (pneumologia), delle ossa (ortopedia), degli occhi (oculistica), del naso-bocca (otorinolaringoiatria), ecc. Questa separazione del corpo dall'uomo, che la scienza medica ha fatto fino ai nostri giorni, sembra coincidere con la concezione stessa che l'organizzazione sociale ha dell'uomo: un uomo espropriato

Page 22: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

del proprio corpo in funzione della sua produttività. Se alcuni tumori, oggi sempre più in aumento, sono prodotti dal grado d’inquinamento dei luoghi di lavoro e della vita quotidiana, la risposta della medicina è la cura farmacologica (nonostante gli scarsissimi risultati e la grande tossicità), mentre in realtà, se essa non fosse alleata all'organizzazione sociale e del lavoro, la sua risposta dovrebbe essere anche un intervento contro l'inquinamento. Appare evidente come la scienza medica, come del resto tutta la scienza in generale, si sia venuta a strutturare come una branca del sistema economico dal quale le è stato commissionato parte del controllo della vita sociale. Il sistema economico ha bisogno di una scienza che curi i malati in modo che la malattia appaia sempre come un fenomeno "naturale", e sia sempre vissuta come fenomeno "individuale" e di cui deve sempre risultare individuale anche la causa. L'uomo malato diventa il semplice portatore di una sindrome da analizzare mentre il suo essere uomo, e cioè una persona con un particolare modo di vivere il mondo, il proprio corpo, la propria vita e la propria malattia, viene automaticamente escluso dal campo d’indagine e di cura. Ciò che interessa alla medicina sembra quindi essere la malattia, considerata alla stregua di un oggetto, che diventa tanto più comprensibile quanto più viene isolata dal corpo stesso in cui essa si manifesta. In quest'ottica il problema dell'uomo malato scompare, non esiste, come sembra non esistere il problema del suo rapporto con la propria malattia, con il proprio corpo, con se stesso, con la propria famiglia, con il proprio lavoro e con Dio. La partecipazione soggettiva alla malattia, il dominio dell'uomo sul proprio corpo, l'identificazione stessa dell'uomo con il proprio corpo e con se stesso, vengono spesso "scotomizzati". Come abbiamo detto precedentemente la separazione fra corpo e mente è il fondamento della ricerca scientifica di tipo naturalistico. La ricerca medica- scientifica parte dal corpo, come oggetto di sua competenza, ma agisce come se la soggettività di questo corpo fosse altrove. Così, spesso l'unico rapporto che rimane possibile è quello tra medico e malattia (intesa com'entità separata dall'uomo malato), e la cura, all'interno di quest'ottica, non potrà che essere orientata verso una sindrome, un organo, una disfunzione e pertanto raramente verso l'uomo che vive nella sua totalità caratterizzata dalla componente somatica, psichica, sociale e spirituale. Contemporaneamente, anche all'interno delle famiglie sembra essersi verificato un grave fenomeno generalizzato. Esse sembrano, infatti, aver tendenzialmente perso alcune loro funzioni: - la funzione economica - la funzione biologico-riproduttiva (tendono, infatti, sempre meno a procreare) - la funzione educativa (che viene delegata quasi completamente alla scuola e al tempo pieno) - la funzione socializzante (delegata, quando è possibile, ai genitori materni e/o paterni) - la funzione politica (totalmente delegata a chi fa politica) - la funzione religiosa (da molti dimenticata, da altri delegata all'ora facoltativa di religione) - la funzione ricreativa (sembra che ci si diverta solo con le organizzazioni turistiche) - la funzione assistenziale (nascita, senilità, morte sono troppo spesso delegate ad istituzioni socio-

sanitarie). Fra queste funzioni quella su cui in questo testo ci interessa maggiormente soffermarci è la funzione assistenziale. Culturalmente oggi, la salute e la malattia sembrano essere considerati fenomeni naturali ed opposti: il primo desiderabile e molto perseguibile, il secondo deprecabile e da evitarsi con ogni mezzo. Questa netta separazione tra i due fenomeni, ritenuti esclusivamente d’ordine naturale, può considerarsi un fatto culturale, funzionale soprattutto all'organizzazione sociale del lavoro.

Page 23: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Se potessimo guardare i fenomeni della vita con occhi liberi dalle lenti deformanti imposteci dalla nostra cultura, ci accorgeremmo che sia nel mondo vegetale sia in quello animale, e pertanto anche nel sistema della specie umana, esiste la vita e la morte: esistono forme diverse d’esistenza della vita, cioè forme diverse del dispiegarsi della vita stessa e forme diverse di morte, avvolte dal mistero e dall'incomprensibilità. Queste realtà misteriose, a seconda delle epoche, furono chiamate: "volere degli Dei" oppure "destino", "natura misteriosa" o "fatalità". I rimedi empirici per i mali e le sofferenze della vita rientravano ancora nello stesso ordine misterioso delle cose e ogni forma vivente cercava di curarsi per proprio conto, facendo appello, secondo i casi, agli Dei, alla natura, ai propri cari ecc. Ogni forma d’esistenza di vita, le relative cure, e la morte avevano pertanto un carattere sacro, un significato metafisico e soprannaturale e venivano quindi vissute nella totale accettazione degli eventi. Tutte le forme d’esistenza della vita (sofferenza, cura, morte) venivano quindi pienamente accettate poiché facenti parte della globalità dell'esistenza d’ogni singolo individuo, membro della famiglia e della comunità. Oggi la vita e la morte sembrano aver perso il loro carattere sacro, si sono disciolte dalla globalità dell'esistenza, hanno assunto un diverso significato: con vita s’identifica la salute, con morte s’identifica la malattia. Oggi, al posto della vita nella globalità della sua esistenza, è progettato e perseguito uno stato di salute, ed è invece ricercato e combattuto lo stato di malattia. In questa scissione della globalità dell'esistenza della Vita, anche quando talvolta la malattia è vinta, è ancora la Vita stessa a svuotarsi di significato. Precedentemente ho più volte accennato al fatto che oggi, culturalmente, lo stato di salute ha assunto il valore di norma assoluta: in altre parole vita significa "star bene", vita significa "salute". Ma se in realtà, come abbiamo visto, esistono forme diverse d’esistenze di vita, con gradi diversi di sofferenza fisica, psicologica e morale, come si fa a sapere effettivamente quando si sta bene e quando invece si è ammalati? Quando lo chiediamo al medico, detentore di un sapere discriminante, ci sentiamo spesso dire: "Stia tranquillo, non si preoccupi! tutto è normale"! Ma ciò che è "normale" non è una cosa ovvia e scontata come generalmente si crede. Per definire ciò che è normale bisogna, infatti, sempre far riferimento ad una norma. La norma è la regola. Può essere regola di funzionamento, se riferita al funzionamento di una macchina o di un organismo, o regola di comportamento, se riferita al comportamento di un organismo. In medicina il problema di "normale" o "anormale", e quindi di salute o di malattia, è di centrale importanza. Non dimentichiamo che definire una certa condizione di un individuo come “normale” o "anormale" comporta delle conseguenze. Si comprende allora quale importanza possa avere, per chi deve stabilire se si trova di fronte ad un caso di malattia o no, definire le norme di riferimento. Il problema non è semplice, perché esistono due tipi di norme diverse: a) Norme Costitutive o di Funzionamento. Esse sono considerate anche come norme naturali. Si riferiscono al funzionamento e cioè alla corretta esecuzione di una funzione, che può essere meccanica, chimica, biologica, ecc. Le norme costitutive, quando sono riferite agli organismi viventi, sono intese come "leggi naturali di funzionamento fisiologico dell'organismo". Sono leggi scientifiche, perché sono spiegate dalle scienze biologiche e mediche, secondo la causalità fisicalista, e hanno un carattere di stretto determinismo. b) Norme Prescrittive.

Page 24: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Sono norme sociali. Si riferiscono a leggi che regolano il comportamento degli organismi viventi nell'interazione sociale. Oggi, più che in passato, queste norme sono soggette a modificazioni continue poiché sono determinate da un’intensa interazione sociale, economica e culturale. Queste norme non hanno il carattere di scientificità, nel senso generale che abbiamo dato a questo termine, giacché non hanno una causalità di tipo fisicalista e non sono quindi strettamente deterministiche. Tenere ben distinti questi due tipi di norme è molto importante, sia per evitare confusioni involontarie, sia per comprendere le mistificazioni intenzionali che si sono fatte nel campo della salute e della malattia. L'aver assolutizzato il concetto di salute al posto del significato di vita attraverso la separazione tra salute e malattia, l'aver localizzato unicamente nel corpo dell'individuo la malattia e le sue cause, è un esempio di sostituzione del tipo di norma, e cioè è voler far passare per legge di natura, con carattere quindi d’immutabilità, una norma di tipo prescrittivo propria invece del sistema socio-politico. Si vuole rilevare con ciò come nel concetto che oggi possediamo di salute e di malattia, ci sia stata una sovrapposizione di norme costitutive e di norme prescrittive. Salute e malattia non sono solo degli "stati naturali dell'organismo", che seguono rigide leggi biologiche e che sono autonomi rispetto al sistema sociale in cui si manifestano. La partecipazione al sistema sociale è, infatti, rilevante per lo stato di malattia, per la sua eziologia e per le condizioni di successo della terapia stessa. 2.3. Definizione di Salute dell'O.M.S. La Costituzione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.) ha studiato e messo appunto una definizione di salute largamente diffusa ed accettata. Tale definizione afferma che: "La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale, sociale, e non solo l'assenza di malattia". E' una definizione che ha avuto molte lodi per aver incluso assieme al benessere fisico anche l'aspetto psicologico e sociale di una persona. E' anche però una definizione vaga per la sua omnicomprensività ed è inoltre utopica perché non potrà mai essere raggiunto uno stato di salute così definito; pertanto essa è una definizione che "crea malattia". Il merito che si può attribuire a questa definizione è legato al tentativo di superamento della rigida dicotomia cartesiana tra mente e corpo e al tentativo (mal riuscito per quanto riguarda l'aspetto operativo) di prendere in considerazione il contesto socio-ambientale. Altro merito è legato al fatto che la salute è giustamente ricollocata nell'ampio contesto della vita umana. Ma facciamo ora alcune considerazioni sulla sopracitata definizione: a) è una definizione vaga perché la salute sarebbe concepita come uno stato di benessere totale che emerge da uno stato di benessere fisico, mentale e sociale. b) il benessere fisico non è qualcosa di stabile, ma legato a processi biologici che variano nell'arco della giornata, del mese e addirittura degli anni. c) la percezione transitoria di uno stato fisico è influenzata inoltre dalla struttura cognitiva dell'individuo (conoscenze, credenze, aspettative, immagini inerenti a ciò che prova), la quale, a sua volta, è determinata dalla sua cultura interiorizzata. d) il benessere mentale è un equilibrio complesso tra emozioni positive, motivazioni non eccessive in assenza d’emozioni negative. E' uno stato molto labile perché emozioni e motivazioni d’ogni genere vanno e vengono continuamente.

Page 25: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

e) il benessere sociale è legato alle emozioni sociali positive, alla soddisfazione di bisogni e alla realizzazione di motivazioni sociali tra le quali quelle economiche giocano un ruolo di primo piano nel nostro sistema socioeconomico. La risultante di questi aspetti di benessere dovrebbe porre l'individuo su un piano di salute. Il termine "completo", data l'enorme quantità di fattori in gioco, implica uno stato limite di perfezione, che comporta sempre maggiori aspettative e richieste, le quali però non potranno mai essere soddisfatte dalla società. Ecco quindi che questa definizione non risulta socialmente adatta e genera pertanto "malattia". 2.4. Il concetto sistemico di salute-malattia. Attualmente si osserva lo sforzo da parte d’alcune correnti di pensiero di arrivare ad un concetto di salute-malattia che si rifaccia alla Teoria dei Sistemi. Questo tentativo rappresenta un nuovo approccio per la comprensione dei fenomeni dell'uomo e dell'universo. Attraverso l'analisi che abbiamo fatto sopra, si è potuto evidenziare quali sono le difficoltà che sorgono nella ricerca di una definizione di salute-malattia che sia la più appropriata possibile per l'uomo oggi. Queste difficoltà si possono così sintetizzare: 1) rigida assunzione di un modello bio-medico centrato sulla valutazione di sintomi e di segni

obiettivi d’alterato funzionamento fisico; tale modello è imperniato su un concetto implicito di causalità lineare.

2) come conseguenza si avrebbe un’incapacità di integrare altri aspetti meno impliciti del disagio dell'organismo (si veda la definizione dell'O.M.S.).

3) non è evidenziato il fatto che coloro che sono legittimamente chiamati a definire la salute e la malattia non dovrebbero essere solo il medico o la persona che ha cercato aiuto, ma anche la comunità più ampia d’appartenenza.

In sostanza, si vuole sottolineare il fatto che una definizione unicamente bio-medica di salute e di malattia non sembra poter abbracciare una situazione assai più complessa, caratterizzata da diversi elementi più o meno interagenti tra loro che sono: a) una disfunzione o un alterato funzionamento del corpo.

C'è qui però la necessità di avere dei parametri di confronto, cioè delle norme naturali che ci permettano di misurare il grado di scostamento.

b) un senso di malessere, disagio, sconforto. Sono le modalità soggettive di "sentire di non star bene". Ansia, dolore, nausea, senso d’estraniazione sono alcune sensazioni che si possono provare in assenza di cause osservabili. Per contro, disordini organici possono essere presenti senza arrecare disagio esplicito.

c) la condizione di "essere ammalato", con o senza riferimento ai precedenti elementi di disfunzione e di percezione di disagio, è una condizione che ha una sua precisa connotazione, un suo preciso valore sociale. "Essere ammalato" rappresenta una nuova entità sociale che il soggetto acquisisce, e può accettare o no, in un processo d’interazione sociale assai complesso, fatto di contrasti, negoziazioni e compromessi con le persone significative del suo ambiente quali ad esempio, il medico, gli amici, i familiari, ecc.

I primi due elementi - l'alterato funzionamento del fisico e il disagio percepito soggettivamente - si riferiscono allo stato dell'individuo e ci danno informazioni in tal senso, mentre il terzo elemento - l'etichetta "essere ammalato" - si riferisce al nuovo rapporto di quell’individuo con la società, e ci consente quindi di capire come lui si esprimerà nel suo nuovo ruolo.

Page 26: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Chi occupa la posizione d’ammalato è legittimato socialmente a chiedere aiuto nelle forme definite dal gruppo sociale cui egli appartiene. Si comprende bene allora come il tipo d’appartenenza sociale e culturale del soggetto venga ad assumere un peso determinante. Società diverse o gruppi sociali particolari possono avere concezioni assai differenti sulle modalità di "essere ammalato" e sull'importanza di certi sintomi. E' dall'interazione di tutti questi elementi, concepiti come facenti parte di un sistema, che si può comprendere lo stato di malattia. A questo punto è opportuno richiamare, se pur brevemente e in modo succinto, quanto è già stato esposto nel primo capitolo riguardo alla concezione sistemica dell'uomo o, più in generale, all'approccio sistemico alla comprensione dei fenomeni dell'universo. L. von Bertalanffy definì il "sistema" come un complesso costituito da elementi in interazione. Il sistema dunque è costituito da più elementi, vale a dire unità del sistema, che a loro volta possono costituire dei sistemi ancora più piccoli, che definiamo sottosistemi, i quali s'influenzano reciprocamente all'interno del sistema costituente. Ciò che emerge come risultato di questo reciproco influenzamento, e quindi ciò che è osservabile come conseguenza di quest’interazione fra gli elementi costitutivi, è ciò che è definito la "funzione del sistema". La funzione del sistema è comprensibile in quanto si esprime attraverso il comportamento del sistema stesso, che è osservabile. Il concetto di sistema può essere applicato a tutto ciò che esiste nell'universo, dall'atomo alla molecola, all'organismo unicellulare, all'animale, all'uomo, alla famiglia, alla società, alla nazione fino al super sistema Universo. In questa visione, l'uomo viene dunque considerato come un sistema, i cui elementi costitutivi sono rappresentati da delle gerarchie, a complessità decrescente, di sottosistemi integrati. La complessità decresce man mano che si considerano sottosistemi sempre più piccoli fino ad arrivare ai sottosistemi subatomici. Il concetto di gerarchia di sottosistemi integrati può essere compreso considerando quanto segue: un sottosistema con la sua funzione specifica entra com’elemento, come unità costitutiva, di un sistema superiore. La sua funzione sarà subordinata alla nuova funzione emergente del sistema cui ora appartiene. Già Einstein nel tentativo di rompere l'atomo, alla ricerca frenetica della "verità" scoprì che la materia è costituita da una "danza d’energia" seguendo la stessa legge dell'immensamente grande: l'Universo. Dall'immensamente piccolo, l'atomo, all'immensamente grande, l'universo, esistono tutta una serie di trasformazioni determinate dall'associazione d’atomi, associazioni che non sono casuali, caotiche, ma sono ordinate, causali, nel cosmo. La stessa legge fisica che regola le energie dell'atomo regola anche le energie dell'universo. In questo processo di complessità crescente, partendo dall'atomo, ci accorgiamo subito che per esempio l'unione di un atomo d’ossigeno con due atomi d’idrogeno formano una molecola d’acqua, e mentre i primi sono gas e comburenti con svariate funzioni, la molecola ottenuta può essere un liquido, un gas o un solido, essa è ignifuga con funzioni diverse rispetto agli atomi presi singolarmente. La molecola d'acqua è dunque maggiore della somma delle sue parti. La stessa cosa dicasi per gli esseri viventi, nei quali la cellula è sicuramente maggiore della somma delle sue parti, così il tessuto rispetto alla cellula, così l'organo rispetto al tessuto, così l'apparato rispetto l'organo, così l'essere umano rispetto ai suoi organi e alla sua mente, così la famiglia rispetto all'uomo, così la comunità rispetto alla famiglia. Tutta una concatenazione di sistemi sempre superiori fino ad arrivare all'intero universo. Ogni sistema superiore è influente sul sistema direttamente inferiore, influenza che diminuisce, ma non si perde, man mano che un sovrasistema si distanzia gerarchicamente da un sottosistema. Per esempio, la famiglia e la comunità hanno una funzione fondamentale sull’identità, sulla personalità, sulla cultura e sulla salute dell'uomo che ne fa parte integrante. Ma anche la Luna,

Page 27: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

seppur gerarchicamente più lontana, può avere sulla vita dell'uomo o della natura una determinata influenza, come dimostrano diversi studi riportati in bibliografia. L'uomo quindi non può capire la sua vita e quindi la sua salute, la sua felicità, la sua malattia e la sua sofferenza se è svincolato dalla sua famiglia e dal suo ambiente, così come dall'analisi dei suoi sottosistemi. Facciamo un altro esempio. Il sistema cellula epatica con tutte le sue funzioni diventa elemento costitutivo ed interagisce con altre cellule epatiche del sistema fegato e la sua funzione si subordina alla funzione del fegato come organo. Il sistema fegato a sua volta diventa elemento costitutivo ed interagisce con altri elementi di un sistema superiore: il Sistema Digestivo. Questo, infatti, è costituito da vari elementi: la bocca, lo stomaco, l'intestino, ecc. La funzione del Sistema Fegato si subordina alla funzione del sistema superiore cui appartiene, in altre parole alla funzione del Sistema Gastrointestinale e così via. Ciò che è essenziale comprendere in questa concezione è l'idea che le funzioni via via più complesse che si sono sviluppate nell'evoluzione della materia, dai sistemi sub atomi al sistema uomo, non sono dovute al costituirsi di qualcosa di sempre nuovo, staccato ed indipendente da ciò che esisteva prima della sua comparsa, ma ad un processo d’integrazione crescente dei sistemi esistenti. Un nuovo sistema si realizza anche nell'acquisizione di un solo ulteriore sottosistema identico a quelli presenti. Si vengono ad avere così interazioni più complesse nel sistema e quindi l'emergere di una specifica e nuova funzione. Un sistema e la relativa sua funzione possono diventare elemento costitutivo di un sistema superiore con elementi diversi. Emergerà allora una nuova funzione diversa e più complessa. L'originaria funzione del sistema, che è entrato com’elemento costitutivo del nuovo sistema, perde, nella nuova totalità, l'importanza individuale entrando a far parte di quella della collettività. Le leggi brevemente esposte, circa la formazione di gerarchie integrate di sistemi, valgono quindi universalmente tanto per i sistemi biologici quanto per i sistemi sociali. Questa concettualizzazione ci permette di leggere gradi diversi di complessità dei fenomeni, senza la quale si ritornerebbe ad un elementarismo incapace di spiegare la complessità stessa. Ma ritorniamo ora al concetto di Sistema Uomo. Questo sistema non vive isolato, staccato da ciò che lo circonda, ma al contrario esso appare strettamente inserito, integrato, in un ambiente fisico e in un ambiente sociale. L'ambiente fisico è costituito da tutto ciò che di fisico e di geografico lo circonda. Per l'uomo industrializzato, oggi buona parte dell'ambiente fisico che lo circonda è un suo prodotto: le città in cui vive con autostrade, negozi, grattacieli, fabbriche, automobili, aeroplani, case, ville, arredi, elettrodomestici, computer, ecc. Il Sistema Uomo s’integra ed interagisce continuamente con il Sistema Ambientale Fisico. Questo sistema ambientale fisico cambia continuamente e richiede sempre nuovi adattamenti, e quindi cambiamenti, al Sistema Uomo. Esso, infatti, costituisce un Sistema Superiore rispetto al singolo sistema Uomo cosicché quest'ultimo si trova forzatamente inserito in un sistema superiore cui è costretto a adattarsi. Analogamente a quanto avviene nei processi d’interazione tra il Sistema Uomo e il Sistema Ambiente Fisico, anche nell'interazione tra Sistema Uomo e Sistema Ambiente Sociale si verifica un'integrazione. Nel Sistema Sociale si possono individuare alcuni sottosistemi: il Sistema Culturale, che comprende usi, costumi, religione, ecc. e il Sistema Economico Politico, che comprende strati sociali, gruppi di potere, divisione del lavoro, gruppi di distribuzione di reddito, ecc. E' importante tenere presente quanto abbiamo detto precedentemente circa la subordinazione delle funzioni dei sistemi. Facendo riferimento a quanto detto sopra se ne deduce che anche a questo

Page 28: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

livello d’analisi le funzioni del singolo Sistema Uomo, inteso com’essere individuale, perdono d’importanza e risultano asservite a quelle che sono le funzioni del Sistema Politico-Economico. Queste nuove funzioni non sono mai rivolte verso il singolo Sistema Uomo e alla sua finalità come singola individualità ma, al contrario, agiscono in modo da subordinare a loro le funzioni del singolo Sistema Uomo. Così in questo processo d’adattamento l'uomo è costretto a modificarsi come Sistema all'interno di un continuo processo d’interazione e di cambiamenti. L'uomo è, ad ogni modo, non solo creato ma anche "creatore", perché attraverso i suoi processi cognitivi apporta, elabora e collabora per un’evoluzione della specie umana. Il Sistema Politico-Economico, infatti, non è statico, immutabile, ma si trova in un continuo processo dinamico d’interazione tra i vari sottosistemi. Le leggi che regolano questi processi di cambiamento sono le leggi d’autoregolazione e di trasformazione dei sistemi in generale. In base a questa concezione sistemica della società e dell'universo, studiare l'uomo estraendolo dal sistema sociale in cui è inserito, rompendo ogni legame storico dei processi di trasformazione attraverso cui egli è passato e attraverso cui sì egli ha costituito la sua attuale funzione psichica, non considerare inoltre gli adattamenti e modificazioni della sua gerarchia dei sottosistemi biologici di cui oggi è costituito, può considerarsi un grossolano errore. Per contro, nella concezione sistemica, l'uomo ci appare come un Sistema Bio-Psico-Sociale in equilibrio dinamico tra forze che lo spingono ad assolvere le funzioni del sistema sociale cui appartiene e forze che richiedono adattamenti dei suoi sottosistemi biologici e relative modificazioni delle sue funzioni psichiche. E' in questo tipo d’equilibrio dinamico che deve essere letto lo stato di salute e di malattia, lo stato di normalità psicologica e di devianza o di malattia mentale. Schematicamente il Sistema Uomo, considerato come totalità bio-psico-sociale, lo possiamo rappresentare come un triangolo equilatero. Un triangolo equilatero è tale fintanto, e solamente fintanto che, interagiscono contemporaneamente i tre lati uguali secondo una data relazione spaziale (formazione di tre angoli uguali). Non esiste triangolo equilatero al di fuori di questa condizione. Analogamente, il Sistema Uomo è comprensibile, solo e soltanto se, si considera contemporaneamente l'interazione simultanea di tre sottosistemi che lo costituiscono: 1.) Il sistema Biologico. Costituito da tutta la gerarchia dei sottosistemi biologici di cui l'uomo è composto. 2.) Il Sistema Cognitivo-Emozionale. Composto dalle funzioni psichiche, cognitive ed emozionali che si sono costituite nel processo d’integrazione al Sistema Superiore (sistema socio-ambientale) cui ora appartiene. 3.) Il Sistema Comportamentale. Rappresentato dalle interazioni attuali con i sistemi in cui l'uomo si trova integrato (Sistema Ambientale e Sistema Sociale). Il Sistema Uomo, e gli stati di salute-malattia non sono comprensibili al di fuori di questa simultanea e continua interazione nel tempo dei tre sistemi di cui egli è composto: il Sistema Biologico, il Sistema Cognitivo-Emozionale e il sistema Comportamentale. Ad un certo livello della gerarchia dei sottosistemi dell'Universo, in uno di questi sottosistemi, compare, emergendo dalla "Totalità", il fenomeno che chiamiamo Vita. La vita si caratterizza come fenomeno d'autoconservazione, di tipo ciclico, nell'individuo e di tipo continuo nella specie; questo processo corrisponde all'autoregolazione del sistema. La vita si caratterizza ancora come fenomeno d’adattamento all'ambiente, il quale a sua volta corrisponde all'autoregolazione in un processo d’equilibrio dinamico del sistema.

Page 29: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Per ultimo, la vita si manifesta anche com’evoluzione e progresso; questo fenomeno corrisponde alla trasformazione del Sistema che s’integra in Sistemi sempre superiori. In ultima analisi, il sistema in cui compare la vita è un sistema in equilibrio dinamico in un processo di trasformazione continuo. Questo sistema si chiama Organismo Vivente. La salute di un Organismo è quindi uno stato d’equilibrio dinamico in un processo di trasformazione evolutiva, e pertanto d’integrazione in sistemi sempre superiori. I sistemi superiori dell'uomo, inteso come singolo individuo, sono la famiglia, il gruppo, la comunità, la società e la specie. La specie umana, è pertanto un sistema superiore rispetto al Sistema Uomo. La specie come sistema ha i suoi meccanismi d’autoregolazione e di trasformazione. Le motivazioni di sopravvivenza della specie non sono altro che dei meccanismi d’autoregolazione del Sistema. Questi meccanismi a volte possono agire contro l'interesse del singolo individuo, perché agiscono primariamente nell'interesse del Sistema Specie. Il concetto di "stato d’equilibrio dinamico" implica una condizione che non è assoluta (come nel caso di definizione di salute data dall'O.M.S.) ma è una condizione relativa, in cui interagiscono elementi fisiologici, psicologici e sociali specifici del contesto in cui si considera l'organismo. In generale, il concetto d’equilibrio dinamico presuppone l'esistenza di un processo evolutivo verso delle mete. Il Sistema Organismo evolverà nelle sue componenti psicologiche-fisiologiche-sociali verso mete superiori, superando le mete di sopravvivenza individuale, di gruppo e della specie. Tentare di inquadrare la salute all'interno di una concettualizzazione sistemica, considerandola pertanto come un equilibrio dinamico in un processo evolutivo più ampio, può essere un modo per aiutarci ad intendere conseguentemente la malattia come "stato di disequilibrio" in un processo involutivo, non più d’integrazione con sistemi superiori, ma di dissoluzione del sistema d’appartenenza. La malattia sarebbe concepita dunque come la rottura di un equilibrio, una disregolazione degli aspetti psicologici, fisici e sociali dell'uomo. In base a queste definizioni sistemiche di salute-malattia, la causalità lineare di malattia non può più essere sostenuta. Si dovrà parlare piuttosto di causalità circolare in cui interagiscono un insieme di molti fattori. 2.5. La tendenza psicosomatica in medicina. Il concetto di stress. Nella concezione sistemica l'organismo è considerato un "sistema" in cui interagiscono tre aspetti distinti e il risultato di quest’interazione è l'emergere di una Totalità, di un’Unità inscindibile che chiamiamo Unità Bio-Psico-Sociale. E' proprio all'interno dell'interazione degli aspetti biologici, psicologici e sociali, all'interno processo d’adattamento o di superamento di determinate situazioni particolari, che compare un particolare fenomeno chiamato Stress. Tuttavia, ancora prima che si venisse consolidando il concetto sistemico dell'organismo, il termine stress è stato usato in modi diversi e talvolta impropri. Alcuni di questi sono ancora presenti nella terminologia comune e creano a volte confusione anche in campo scientifico. Pertanto vale la pena vedere, anche se brevemente, come storicamente è stato usato il termine "stress" sia nella concezione comune popolare che in campo più propriamente medico.

Page 30: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

In medicina Cannon aveva usato il termine "stress" essenzialmente con il significato di stimolo nocivo. Per Cannon il livello critico di stress non era altro che il massimo livello di stimolazione sopportabile dai meccanismi di compenso fisiologici. Quindi il termine stress, sempre secondo Cannon, riguarda genericamente un ampio spettro di stimoli che agiscono sull'individuo e che possono provenire sia dall'ambiente esterno sia da quello interno. Nel linguaggio comune popolare si dice: "sono stressato" oppure "sono in conflitto", "ho passato un brutto periodo", "sono in crisi", "non ne vengo fuori", "non ce la faccio più". Sono tutti modi di dire che sottendono il concetto di uno stimolo nocivo. Anche in medicina, il termine stress non tiene conto delle reazioni dell'organismo, ma si riferisce solo allo stimolo cui è conferita potenzialità patogena. A volte il termine "stress" è stato usato dagli studiosi nell’accezione di una "situazione complessa di stimolo-risposta" dell'organismo. In questa definizione quindi è stata presa in considerazione contemporaneamente una stimolazione intensa o prolungata e la relativa serie di reazioni dell'organismo, sia di tipo fisiologico sia psicologico. Queste reazioni dell'organismo rappresentano la sua resistenza e difesa contro le forze che vogliono mutare le sue condizioni omeostatiche precedenti. Infine lo stress è stato considerato anche come la "reazione fisiologica e psicologica" dell'organismo a tutta una serie di stimoli di natura fisica, biologica, sociale e psicologica. Tale reazione però assume carattere di "situazione quasi patogena". Nel linguaggio comune si dice, infatti, spesso "sono stressato", come a voler dire "sono in una situazione di quasi malattia". Il primo studioso ad affrontare lo studio dello stress a livello scientifico fu Selye (1936). Per Selye lo stress è una risposta dell'organismo ai vari stimoli sia di tipo endogeno sia di tipo esogeno. Tuttavia, l'importanza degli studi di Selye sta principalmente nel fatto di aver introdotto il concetto di stress all'interno di una teoria dello sviluppo della persona, della salute-malattia. La definizione di stress secondo Selye è la seguente: "la risposta non specifica dell'organismo ad ogni richiesta effettuata su di esso". Ciò che produce stress è chiamato stressor. La risposta biologica, essendo la medesima per tutti gli stressor, è quindi definita "aspecifica". Sono esempi di stressor: esposizione al caldo, esposizione al freddo, gradi alti d’umidità, sforzi muscolari, attività sessuale, shock anafilattico, situazioni emozionali, conflitti coniugali, un’infezione, il primo giorno d’asilo, etc. Gli stimoli "stressanti" possono essere pertanto di tipo sociale, psicologico, biologico, atmosferico, batterico, morale, radioattivo, sessuale, termico, etc. Senza stress non si può vivere, e si può aggiungere che lo stress è il prezzo che un individuo deve pagare per poter "raggiungere", "eliminare", "adattarsi a", "sfuggire", "difendersi da", e "superare" un qualcosa. In quest'ottica, lo stress potrebbe essere considerato dunque come un fatto positivo, senza di esso la vita risulterebbe, infatti, insopportabile ed improduttiva. Tuttavia, lo sforzo che un individuo compie quando è sotto stress deve essere equilibrato, non deve vale a dire superare certi limiti, paragonabili a dei "livelli di guardia", altrimenti lo stress positivo, o eustress, diventa dannoso, diventa in pratica distress, con conseguente esplosione di vere e proprie malattie. Stress = risposta aspecifica dell'organismo ad ogni richiesta operata su di esso. Quando gli stressor agiscono con particolare intensità e per tempi lunghi, l'organismo, che è si trova in una condizione continua di risposta aspecifica fisiologica, va incontro a delle modificazioni di tipo anatomo-funzionale con conseguente crollo di tutte le difese immunitarie. Nei suoi studi, Selye, aveva notato che queste modificazioni anatomo-funzionali consistevano in: 1) atrofia del timo e delle ghiandole linfatiche. 2) ipertrofia delle ghiandole surrenali.

Page 31: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

3) ulcere nella mucosa gastrica. Questo quadro fu definito da Selye stesso come "Sindrome generale d’adattamento " (G.A.S.). La Sindrome Generale d’Adattamento si sviluppa, quando gli stressor persistono per lungo tempo, attraverso tre fasi successive: a) Fase d’allarme.

In una prima fase si hanno essenzialmente modificazioni di carattere biochimico e ormonale. b) Fase di resistenza.

In questa seconda fase l'organismo si organizza in senso difensivo da un punto di vista anatomo-funzionale.

c) Fase d’esaurimento. In questa terza fase l'organismo aggrava lo squilibrio manifestando somatizzazioni e segni d’immunosoppressione con conseguente crollo delle difese e incapacità di adattarsi ulteriormente agli stressor.

Riassumendo, secondo gli studi di Selye, lo stress non è una condizione patologica dell'organismo (anche se in alcune circostanze può produrre patologia), ma, al contrario, è considerata una reazione fisiologicamente utile in quanto risulta adattiva. Tuttavia essa può diventare patogena se lo stressor agisce con particolare intensità e per periodi piuttosto lunghi, in quanto l'individuo può non riuscire a adattarsi ad esso o ad eliminarlo. I punti fondamentali della concezione di stress secondo Selye sono quindi i seguenti: a) lo stress è una reazione fisiologica dell'organismo quando esso è sollecitato da stressor di varia natura; b) esso è di tipo aspecifico e con carattere fondamentalmente attivo; c) esso è inoltre di tipo endocrino (investe quindi la sfera biologica). Questi tre punti si sono dimostrati assai utili per costruire una teoria sulla genesi delle malattie somatiche che si è rivelata più completa della teoria anatomo-patologica e della teoria di causa specifica, in quanto essa tiene conto prevalentemente delle cause aspecifiche di malattia. Lungo questa prospettiva, la patogenesi di molte malattie somatiche è vista come pluricausale, più vicina pertanto ad una causalità circolare che lineare. A grandi linee, si può affermare che la malattia sembra essere prodotta da una predisposizione del terreno biologico, di carattere aspecifico, derivante da cause eterogenee, e da fattori più specifici propri della malattia in questione. Quindi lo stress si comporterebbe, in condizioni particolari, come un "induttore aspecifico" della malattia il quale a sua volta agirebbe in associazione con fattori specifici. Successivamente agli studi di Selye il problema dello stress fu affrontato da Mason. Le questioni considerate erano costituite da stimoli assai diversi, quali gli stimoli fisici, psicologici oppure sociali, che tuttavia inducevano nell'organismo sempre una medesima reazione aspecifica. Mason formulò l'ipotesi che la reazione dell'organismo fosse sempre mediata da un'attivazione di tipo emozionale. Poiché sono gli stimoli psicosociali i più suscettibili ad indurre delle reazioni emozionali dirette, Mason pensò di fare delle prove separando gli stimoli psicosociali (i più direttamente emotigeni) dagli stimoli fisici (i meno direttamente emotigeni) e operando solo con i primi. Egli constatò ancora una volta, a conferma di quanto aveva trovato Selye, che la reazione dell'individuo consisteva sempre nell'attivazione dell'asse ipotalamo-ipofisi-corticosurrene e nell'attivazione della midollare del surrene, però, questa volta, con la presenza costante anche di un'attivazione emozionale. In base ai risultati emersi da questi studi Mason giunse alla conclusione che tra i vari stressor e la risposta dell'organismo sono inserite: a) delle strutture anatomofunzionali responsabili dell'attivazione emozionale;

Page 32: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

b) l'apparato psicologico che è coinvolto nella risposta emozionale. L'apparato psicologico di un individuo è qualcosa di strettamente soggettivo, essendo frutto di tutta una storia personale d’apprendimenti. Per questo fatto, la scoperta di Mason portò a rivedere la concezione della "aspecificità" della risposta dell'organismo agli stressor. Infatti, se tra gli stressor e lo stress deve essere presa in considerazione una reazione emozionale come causa, anche se non unica, che produce stress, allora ci saranno degli stressor che per la loro intensità e durata produrranno stress in ogni caso, mentre ci saranno altri stressor che produrranno stress solo in rapporto alla particolare reattività psicofisiologica del singolo soggetto. Gli stimoli biologici e fisici hanno due componenti: una, che non ha carattere psicologico, ed un'altra, che porta ad un’attivazione di tipo emozionale. Dagli studi di Mason appare evidente che lo stress può derivare da un’attivazione emozionale, ma anche direttamente dalla componente non psicologica degli stimoli fisici e biologici. Per questi motivi, Lazarus (uno studioso successivo) ritenne opportuno distinguere stress psicologico da stress fisiologico (non psicologico). Lazarus sostiene che lo stress psicologico, derivando da un’attivazione emozionale, dipende dalla valutazione cognitiva del significato dello stimolo. Se uno stimolo non è valutato come rilevante per l'individuo (a livello conscio o inconscio), non si verifica attivazione emozionale e l'eventuale reazione dell'organismo, se c'è, non è considerata come stress. Nello stress fisiologico la reazione è determinata da un’azione diretta dello stimolo sui tessuti. La concezione di Lazarus sottolinea l'importanza della valutazione del significato dello stimolo nella produzione della reazione di stress, mediata dall’attivazione emozionale. Pertanto, Lazarus fa notare che lo stress non ha solo un aspetto fisiologico (reazione ormonale, quindi sfera biologica), ma anche altri aspetti comportamentali associati. Riassumendo brevemente le osservazioni teoriche precedentemente esposte sul concetto di stress, si possono trarre le seguenti conclusioni: il concetto di stress ha subito una certa evoluzione negli ultimi anni sulla base della formulazione originale di Selye. Negli studi successivi, infatti, sono stati evidenziati elementi d’estrema importanza per comprendere la natura delle interazioni tra individuo ed ambiente ed il rapporto tra queste interazioni e lo sviluppo di malattie somatiche. In generale possiamo concludere affermando che: 1) Lo stress è la risposta dell'organismo ad ogni richiesta di modificazione effettuata su di esso. 2) Questa risposta è mediata da un’attivazione emozionale, ma è indotta da una valutazione

cognitiva del significato dello stimolo (Lazarus). 3) Essa si manifesta sia a livello fisiologico sia a livello comportamentale (Lazarus). 4) Questa risposta è relativamente aspecifica, nel senso che un'ampia gamma di stimoli può

innescarla, tuttavia essa appare personalizzata in rapporto al significato dello stimolo per il singolo individuo e alle sue modalità di reazione psicofisiologica.

5) Essa è inoltre una reazione adattiva, caratteristica della vita, che però può assumere un significato patogenetico, soprattutto quando è prodotta o vissuta in modo troppo intenso e per un lungo periodo in individui che non riescono ad arrivare ad un equilibrio attraverso: - l'adattamento allo stimolo - l'eliminazione - il suo superamento.

La ricerca attuale ha arricchito ed in parte modificato il concetto di stress senza tuttavia intaccarne la sostanza. Innanzi tutto gli studi di psicofisiologia e di psicoendocrinologia dello stress hanno dimostrato che la reazione dell'organismo agli stressor è sempre multisistematica e multimodale. Essa, infatti, si manifesta con attivazione di vari sistemi di risposta: a) Neuroendocrina: asse ipotalamo-ipofisi-tiroide; sistema delle catecolamine periferiche ecc. b) Neurovegetativa (equilibrio simpatico/parasimpatico)

Page 33: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

c) Immunitaria. Inoltre, la risposta biologica indotta dallo stress sembra accompagnarsi costantemente ad una risposta comportamentale, ad essa funzionalmente associata. La risposta biologica è finalizzata a costituire il supporto metabolico al comportamento, ma può anche influenzarlo direttamente per azione del Sistema Nervoso Centrale. Questa considerazione porta a completare la concezione precedente dello stress che viene dunque ad essere ora definito come: "Una risposta biologico-comportamentale integrata". L'osservazione sistematica dell'Uomo sottoposto a stressor emozionali di varia natura, ha messo inoltre in rilievo come il livello d’aspecificità della risposta possa variare per intervento della mediazione cognitiva. Pertanto la definizione di stress è ancora arricchita come segue: "Una risposta biologico-comportamentale integrata relativamente aspecifica". Il concetto di "relativamente aspecifica" porta ad ipotizzare due componenti associate: una di tipo aspecifico, che rappresenta la modalità comune di reazione di tutti gli individui, e una di tipo specifico, individualizzata. Entrambi le componenti si presentano contemporaneamente ma sono più o meno evidenti in rapporto all’intensità dello stressor e dell'attivazione emozionale che è sempre modulata dalla mediazione cognitiva (sfera cognitiva dell'individuo). La componente aspecifica della risposta è biologicamente programmata su base genetica attraverso un processo di selezione naturale con specifiche finalità adattive. Per comprendere come la componente aspecifica della reazione di stress abbia finalità adattive dobbiamo rifarci alle motivazioni fondamentali che sorreggono la sopravvivenza individuale, la sopravvivenza della specie e la sopravvivenza del gruppo. In ogni ciclo motivazionale, relativo a ciascuna delle sopravvivenze elencate, si possono avere delle attivazioni emozionali che indurranno una reazione di stress con finalità adattive e difensive. Nell'animale questa reazione è più immediata e diretta, mentre nell'uomo essa può essere modificata, più o meno ampiamente, dall'apparato cognitivo. In conclusione arriviamo alla seguente definizione di stress: "Lo stress è sempre una risposta biologica e comportamentale, integrata con componenti aspecifiche e specifiche e con finalità adattive, essa è inoltre mediata dalla sfera cognitiva e dall'apparato del Sistema Nervoso Centrale. L'equilibrio e l'integrazione tra i due aspetti biologico e comportamentale rappresenta la condizione di soddisfacente adattamento". Nel capitolo precedente avevamo visto alcune teorie sulla causa di malattia, come ad esempio quella che riteneva che ad ogni malattia corrispondesse una singola causa (singola causa-singolo effetto). Questa concezione ha lasciato il posto negli ultimi decenni ad una concezione "multicausale" della malattia che permette di interpretare meglio i dati chimici e sperimentali. Alcune malattie possono ancora essere considerate come prodotte da un'unica causa (es.: la paraplegia da sezione del midollo spinale), ma in molte altre, definite idiopatiche o essenziali, l'eziologia è certamente pluricausale senza possibilità di individuare una causa predominante. Anche dove un agente patogeno appare strettamente connesso ad una particolare malattia è possibile sempre individuare una serie di concause dotate di potere patogeno a livello del terreno biologico. Ogni malattia nella quale sia individuabile un agente patogeno principale, può essere vista come la risultante di due fattori: a) l'aggressività e la quantità dell'agente patogeno. b) le condizioni dei sistemi biologici di difesa (reattività del terreno). Lo sviluppo e il decorso della malattia dipendono dal reciproco equilibrio di questi due fattori.

Page 34: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Nel determinare la reattività del terreno (normale, iporeattivo o iperreattivo) agiscono sinergicamente tre sistemi biologici (i quali esercitano un'azione generalizzata a livello di tutti gli organi e di tutti i tessuti): 1) Il Sistema Neurovegetativo (Autonomo). 2) Il Sistema Endocrino. 3) Il Sistema Immunitario. La funzionalità di questi tre sistemi è controllata da una serie di fattori reciprocamente interagenti tra loro che sono: a) la struttura genetico costituzionale. b) l'imprinting psicobiologico. c) l'ambiente fisico. d) i determinanti emozionali. I determinanti emozionali e la conseguente reazione di stress sono sempre delle concause nella genesi delle malattie ad eziologia multicausale. Essi, secondo i momenti in cui agiscono, della loro intensità e della loro durata, possono agire com’elementi predisponenti oppure come fattori scatenanti. In seguito a queste considerazioni, la vita, nel suo decorso, si caratterizza pertanto per il fatto di essere costellata di continui stressor di tipo fisico, psichico, sociale, batteriologico, climatico, spirituale, etc. Essa potrebbe essere pertanto rappresentata come una scala, come una serie di gradini da salire, ognuno dei quali ha, in base alle caratteristiche dello stressor e alla soggettività degli individui, una sua altezza e una sua difficoltà. L'ultimo gradino è quello della morte dell'individuo. In ogni caso, oltre che costituire la scala della vita, essa potrebbe anche essere identificata con la scala dell'evoluzione, sia dei singoli individui sia, in una diversa ottica, dell'intera specie umana. Nel contesto di questa visione (una scalinata disomogenea) s’inserisce il concetto salute-malattia in cui la salute è intesa come il fatto di stare bene e non armonia con sé stessi, di stare bene con gli altri, il fatto di essere in pace con il proprio Dio, di vivere in simbiosi e in sintonia con l'ambiente. Sotto un'altra ottica, ma sostanzialmente concatenata alla prima, la salute è data dalla capacità individuale di affrontare, eliminandoli o adattandovisi, da soli o aiutati, gli stressor. Tale capacità determina l'ampiezza dei "gradini" della scala a scapito della sua altezza (Fig.1), determinando l'oscillazione tra benessere e sofferenza a tutto vantaggio del benessere. In questo quadro la morte non è più identificata con la malattia, ma diventa un evento caratterizzante gli esseri viventi. In base all'esperienza accumulata possiamo affermare e documentare che si può morire "in salute" (morti naturali), stando bene con se stessi, con la propria coscienza, con gli altri e con Dio, di là dalla causa di morte. Purtroppo chi non sta bene con sé stesso, con gli altri e con Dio muore disperato. Tutto ciò non è certo utopia, ma un normalissimo concetto della morte, che dal dopo guerra ad oggi stiamo sempre più dimenticando.

Page 35: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

* nascità

punti di squilibrio

processi di adattamento

**

due possibili punti di morte:a) adattamento (morire fisiologicamente) b) disadattamento(morire come malattia)

periodo di equilibrio

(Fig.1) Dirigente dell’Asistenza Infermieristica

Biancat Roberto

CAPITOLO TERZO

L'UOMO DAVANTI ALLA MALATTIA

Page 36: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

3.1. Lo stato di malattia Dopo la lunga dissertazione sul concetto di salute e malattia del secondo capitolo, giungiamo a stabilire tre punti di riferimento. 1) Non ci sono confini assoluti tra il normale e il patologico. Abbiamo visto che l'uomo non è un’entità puramente fisica; egli non è solo il suo corpo, ma è un’Unità Bio-Psico-Sociale. Definire uno stato di malattia per un’Unità così complessa non sono sufficienti né norme di tipo naturale su basi statistiche, né norme di tipo culturale. La norma naturale fa riferimento all'aspetto funzionale-fisiologico del corpo. La norma di tipo statistico si basa su curve di distribuzione della frequenza, definendo anormale tutto ciò che non rientra entro quei limiti che, con atto arbitrario, sono accettati come "normale". In tal modo, ad esempio, un atleta particolarmente bradicardico, adatto a prestazioni eccezionali, sarebbe considerato "anormale" quindi da curare. Inoltre l'arbitrarietà con cui sono stabiliti i limiti del normale crea difficoltà d’accordo tra culture diverse e in tempi diversi. Si sa ad esempio che certe popolazioni africane hanno "normalmente" per un’iponutrizione cronica, tassi glicemici così bassi che sarebbero mortali per altri popoli. Come vanno considerate queste popolazioni? Ammalate o no? La sola norma culturale fa sì che uno stato di salute o malattia sia legato all'ambiente culturale in cui è considerato. In certe tribù sudamericane, la spirochetosi discromica, che si manifesta con macchie cutanee, non è una malattia; le macchie cutanee sono considerate normali, e sono giudicati anormali quanti non ne hanno. Gli abitanti di Yap, un'isola del Pacifico, considerano i vermi intestinali come normali e necessari al processo digestivo. Esempi così se ne potrebbero fare molti e tutti confermano la non esistenza di una "Norma assoluta universale" per discriminare l'anormale dal normale, lo stato di malattia dallo stato di salute.

Page 37: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Un giornale medico ha condotto, nel 1971 un'indagine tra la gente comune, in merito a cos'è lo stato di malattia e lo stato di salute, evidenziando l'esistenza nell'Uomo di stati intermedi tra la malattia e la salute: "il non essere in buona salute" quello che comunemente si dice con il termine "sentirsi strani". Orbene quest’approssimazione contiene una certa verità, e vuole evitare di dividere ostinatamente gli uomini in due gruppi: i sani e gli ammalati. Abbiamo avuto modo di considerare nel primo capitolo che l'aver posto una barriera precisa tra il normale e il patologico, tra salute e malattia, in pratica l'aver separato gli esseri umani in due gruppi, quello dei malati e quello dei sani, è funzionale al sistema produttivo e all'organizzazione del lavoro e comporta di conseguenza, lo si voglia o no, un giudizio di valore: gli ammalati sono considerati esseri sminuiti, specialmente se la loro sofferenza si riversa sulla componente psicologica dell'individuo. Non si può e non si deve quindi porre una barriera precisa tra il normale e il patologico. Molti stadi della vita, quali la pubertà, l'adolescenza, la menopausa, la senescenza, la morte pongono al medico dei problemi, eppure non sono stati patologici. 2) La malattia, situazione esistenziale, interessa l'uomo nella sua totalità. Sempre nel primo capitolo abbiamo avuto modo di considerare ancora, come nel concetto di malattia sia tuttora implicita l'idea dell'avere" una malattia. Dire che si può "avere" una malattia significa ricercare i fattori esterni, il parassita venuto a piazzarsi sulla componente fisica del soggetto. Ciò determina un atteggiamento errato nell'operatore sanitario che pensa sia sufficiente identificare questo "parassita", farlo sparire e tutto ritornerà come prima. Al contrario, affermare che si può "essere" ammalati sottintende che tutta la persona, nella sua unità Bio-Psico-Sociale è interessata. Questo vale anche nel caso di un’affezione ben definita di un organo. La malattia è una reazione che compromette l'uomo nella sua totalità e non in una quota della sua entità anatomica. In una malattia, anche la più banale, tutta la persona entra in causa. Si potrebbe pensare che la frattura di una gamba abbia una minima incidenza sul versante psicologico del malato. In realtà, a seconda che si tratti di un calciatore di serie A o di un impiegato statale, le cose andranno in maniera del tutto diversa. Cosi una malattia, in parte invalidante, non ha la stessa importanza per tutti gli ammalati: pensionato, padre di famiglia carico di responsabilità o giovane adolescente nel pieno dello sviluppo. Comunque anche a parità di età, sesso, ruolo, status, gli individui reagiscono in modo diverso a qualsiasi evento patogeno. Una stessa malattia quindi ha un diverso significato a seconda dell'individuo interessato.

Page 38: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Anche l'aspetto culturale differisce le reazioni, pensate a due adulti, uno dei quali da bambino, quando si sbucciava le ginocchia, si sentiva ripetere in tono duro dalla madre "noi non piangiamo mai per simili stupidate, metti un fazzoletto e torna a giocare". L'altro invece con il medesimo problema si sentiva ripetere dalla madre "piccolo mio vieni dalla tua mamma? che brutta sbucciatura, bisogna disinfettare e stare a riposo". Ora pensate, nei piccoli incidenti successivi i rafforzamenti delle madri e ai comportamenti dei due bambini e poi provate ad immaginarli da adulti. Immaginiamo le loro possibili reazioni ad ogni incidente così come la loro percezione e sopportazione al dolore. Il termine di malattia si applica a tutto l'individuo e non soltanto ad un organo. Di un organo, non si può mai affermare che è ammalato ma solo che è alterato nella sua funzionalità o nella sua struttura. "Malato" può essere soltanto l'individuo colpito da una diminuzione delle proprie funzioni vitali. Così noi non vogliamo limitarci a diagnosticare che malattia ha quell'uomo, ma vogliamo comprendere chi è quell'uomo malato. 3) La malattia è la rottura di un equilibrio ed è vissuta come tale. Abbiamo più volte definito l'uomo come un sistema Bio-Psico-Sociale ed equivale a affermare che: la persona si proietta ed estende il suo essere in un certo numero di altre persone. Lo stesso uomo può essere nello stesso tempo figlio, marito, padre, dipendente o padrone ecc. La malattia che lo colpisce, anche la più strettamente organica, circoscritta in un organo, non può non soffrire di influenza su questi diversi aspetti dell'essere uomo. Una persona perfettamente adattata da un punto di vista sia fisiologico, sia familiare, professionale, sociale ad un certo punto si vede improvvisamente o progressivamente modificato tutto quello che riusciva ad equilibrare ed armonizzare. Sono messi in discussione gli aspetti relazionali del suo essere che gli permettevano di svolgere le sue abituali attività. Quando gli si richiede l'allettamento o il ricovero ospedaliero gli s’impone un'uscita forzata dai gruppi a cui faceva precedentemente parte, come gli amici, la famiglia, i colleghi, ecc. Gli sono imposte condizioni di vita artificiose: sospensione dell'attività (passava la maggior parte della giornata in piedi e ora gli s’impone di stare sdraiato), ruoli sociali che gli permettevano l'espansione del suo essere gli sono sottratti. In pratica c'è una rottura con la vita precedente e questa rottura può determinare sconvolgimenti affettivi profondi, che causano dolore, ansia, insicurezza. E' necessario che un Infermiere Professionale che voglia svolgere bene le sue funzioni impari e faccia propri, interiorizzandoli, i concetti che abbiamo espresso inerenti lo stato di malattia e che riassumiamo brevemente nei seguenti punti: 1) I limiti fra il normale e il patologico non sono netti.

2) Non esistono organi malati ma individui malati poiché la malattia coinvolge tutto l'organismo.

Page 39: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

3) Ogni malato, a suo modo, vive e soffre la sua malattia per la gravità della disfunzione organica o della lesione, ma anche per le ripercussioni psicologiche e sociali che la malattia provoca.

4) Diventa importante pertanto conoscere e comprendere non tanto quale malattia abbia un malato, ma chi è la persona sofferente, imparando a rispettare qualsiasi differenza tra gli uomini.

5) La malattia non è un evento esclusivamente biologico, né esclusivamente psicologico o sociale, ma è tutte queste cose insieme: "essere malato significa aver perso un equilibrio, subire un profondo cambiamento nel proprio modo di essere, quindi essere un altro".

Desideriamo riportare alcuni passi di uno scritto di Van der Bruggen, in merito allo stato di malattia, che reputiamo molto significativi e degni di essere letti e meditati da tutti: (Van der Bruggen, insegnante alla Scuola Superiore di Azione Sanitaria di Lensdeen - Paesi Bassi) "....quando la malattia irrompe, essa vi spinge in una situazione di impotenza che confina con l'angoscia. Essere ammalati è un modo di essere nel quale l'esistenza in un certo modo si sottrae al soggetto umano malato. L'uomo resta, come soggetto esistente, un’Unità, ma quest’unità è profondamente scissa nell'essere malato, perché la lesione del corpo non sembra condurre ad una vita autonoma. L'essere malato è un aspetto imprevedibile, sorprendente fino all'angoscia e al dolore, disorganizzante, minacciante. Essere malato significa diventare "un altro", significa subire una sperimentazione di cambiamenti di sé. L'ammalato vive le contraddizioni che sorgono fra "l'essere persona" e "l'essere corpo". Quando è malato, l'uomo è lacerato e umiliato nelle strutture più intime della sua esistenza. La malattia è incomprensibile, è inaccettabile all'intelligenza, alla volontà, alla passione. La malattia è un controsenso". 3.2. Le conseguenze psicologiche della malattia.

Page 40: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Ora andremo ad analizzare il significato psicologico assunto da un individuo trovandosi in uno stato di malattia. Abbiamo più volte sottolineato che l'aspetto peculiare della malattia nell'uomo è di introdurre nell'individuo umano cambiamenti profondi non solo biologici ma anche psicologici-sociali che influenzano la sua visione della realtà, il suo modo di essere al mondo e la sua identità. Per l'uomo la malattia è una realtà nuova che implica contemporaneamente:

a) sensazioni;

b) percezioni; (dati raccolti dalla situazione e interpretati soggettivamente) c) reazioni affettive e cognitive; (produce emozioni, determina pensieri, suscita immagini).

d) aspetti motivazionali e comportamentali; (si manifestano una serie di comportamenti che chiamiamo "comportamenti di malattia".

Si comprende bene quindi come la malattia assuma nell'uomo tutte le caratteristiche per trasformarsi in una profonda esperienza esistenziale che può modificare la progettualità personale, rimettere in causa l'identità personale e sociale dell'individuo. L'intensità di ciò, malgrado medesime caratteristiche oggettive di una malattia, è soggettiva. In sintesi lo stato di malattia provoca a livello psicologico, in modo distinto, le seguenti esperienze:

a) Esperienza di deprivazione. L'individuo si sente spogliato e privato di uno stato che rappresenta la sicurezza di continuità di vita.

b) Esperienza di frustrazione. Vive lo stato di malattia come un impedimento e un ostacolo alla propria libertà, alla realizzazione del proprio progetto di vita, del proprio ideale di sé.

c) Esperienza di dolore. Non si tratta di un dolore solo nel senso fisico, ma anche in quello psicologico che comprende sentimenti di tristezza, ansia, solitudine, isolamento, incertezza, impotenza, ecc.

Questi aspetti psicologici della malattia dell'uomo dipendono ovviamente dalla gravità del male, ma anche dalla personalità del malato, dalle condizioni ambientali e culturali all'interno delle quali la malattia è affrontata (famiglia, ospedale, amici ecc.). Aiutiamoci a comprendere queste esperienze di deprivazione, di frustrazione, di dolore fisico e morale meditando sulle parole del filosofo Pautillon, le quali sgorgano dalla sua personale esperienza di malattia: "Quando insorge la malattia, è un continuo sforzarsi di sapere che cosa accade. Perché? La malattia vi spinge fuori dalla vita di ogni giorno e, secondo la natura e la gravità, all’estraneità; io sembro un altro a me stesso e quest’altro mi stupisce e mi angoscia prima di tutto perché è un altro.

Page 41: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Mi sono scoperto un altro e me ne sono ribellato e angosciato nel momento in cui in qualche modo la malattia ha minacciato e distrutto la mia banale identità che andava così bene per conto suo che quasi la ignoravo". Nei capitoli che seguono esamineremo le sensazioni, gli aspetti affettivi-cognitivi e gli aspetti comportamentali dello stato di malattia. Sarà solo a fini didattici che tratteremo separatamente le sensazioni corporee dovute a modificazioni biologiche della malattia dal vissuto soggettivo di tipo affettivo e dai relativi comportamenti di malattia. Sappiamo bene che l'organismo è un’Unità indissolubile in cui interagiscono tre diversi aspetti: il biologico, il cognitivo-affettivo e il comportamentale. Non è solo l'indagine delle funzioni normali, ma anche il campo della patologia che ci rivela che il corpo e la psiche non sono dei comparti stagni, indipendenti l'uno dall'altro, ma anzi che le loro interrelazioni sono così strette che risulta spesso difficile stabilire delle separazioni nette fra di essi. La condizione di malattia si presenta pertanto anche come un rivelatore dell’Unità indissolubile bio-psico-sociale dell'individuo umano. 3.2.1. Le sensazioni delle modificazioni biologiche della malattia nell'alterazione del rapporto con la corporeità. Tutti noi, più o meno marcatamente, anche in semplici circostanze di una banale sindrome influenzale, abbiamo avvertito un "senso spiacevole di malessere". E' questo tipo di sensazioni sgradevoli che accompagnano lo stato di malattia che intendiamo trattare. Non facciamo riferimento al dolore e alla sofferenza vera e propria, che tratteremo a parte, ma quel "sentirsi strani", quel "sentirsi qualcosa di non normale" che sempre si accompagna ad uno stato morboso dell'organismo. Queste sensazioni non appartengono neanche alla categoria dei sintomi in quanto questi ultimi hanno una loro specificità in una più o meno alterata funzionalità e/o in un tipo di dolore. Sono sensazioni che si collocano nel "vissuto corporeo", nella cenestesia, le quali si accompagnano con una connotazione affettiva di più o meno intensa sgradevolezza e spiacevolezza. Nel corso di varie affezioni organiche e non organiche il rapporto con la propria corporeità viene ad essere mutato anche profondamente in relazione alla natura del disturbo.

Page 42: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

A volte quest’alterato rapporto con la propria corporeità, a cui corrisponde una serie di sensazioni spiacevoli più o meno intense, può arrivare ad essere un "sintomo di anormalità psichica". Ma senza spingerci a fatti estremi, qui, per quanto riguarda quest’argomento, ci preme sottolineare che uno stato di malattia determina più o meno intensamente delle sensazioni strane, spiacevoli, a volte difficilmente sopportabili che vanno ad incidere sul piano affettivo-cognitivo della persona ammalata. Per comprendere meglio il significato di ciò che s’intende dire con il termine "alterato rapporto con la propria corporeità" è opportuno soffermarci, seppure brevemente, sul processo di "appropriazione del corpo" che si verifica lentamente nel primo periodo dell'età evolutiva, attraverso tappe successive di riconoscimento. Il corpo a cui ci riferiamo non è il corpo biologico considerato quale oggetto in sé, bensì il "corpo vissuto" del soggetto, l'esperienza corporea, quindi la rappresentazione psichica del proprio corpo. E' questa realtà soggettiva che conta per l'individuo, a questa realtà egli fa riferimento per valutare la salute e la malattia. L'uomo possiede un'immagine del proprio corpo e cioè "l'esperienza immediata dell'esistenza di un’unità corporea", è l'immagine tridimensionale che ciascuno ha di sé stesso e che chiamiamo immagine corporea. Non si tratta semplicemente di una sensazione o di un’immagine mentale, quale può essere l'immagine di una statua di sé stesso, ma una rappresentazione vivificata di sé, una totalità dinamica, originale. Quest’immagine corporea non è statica, ma soggetta a continue trasformazioni nel corso di tutta la vita. I dati percettivi del proprio corpo hanno una grande importanza nella costruzione dell'immagine corporea, ma non sono sufficienti da soli. C'è bisogno anche dell'azione, del movimento del corpo. Tutto questo significa che l'immagine corporea si costituisce solo come "processo creativo" che parte dai dati percettivi di base per giungere ad una totalità dinamica. Oltre al ruolo della motricità nella costruzione dell'immagine del proprio corpo è importante l'esperienza emozionale, che nasce nella relazione con gli altri. Secondo la teoria psicoanalitica, il fatto che l'immagine corporea non può essere concepita come qualcosa di statico, deriva dal fatto che essa sarebbe investita dalla libido, che nel suo tendere all'appagamento, fa incontrare, rapportare continuamente il nostro corpo al mondo degli oggetti. Esistono fenomeni di anormalità e di vera patologia nella percezione dell'immagine corporea. Questi fenomeni sono stati oggetto di studio da parte di psichiatri e psicologi nel tentativo di comprendere come si costruisce la coscienza corporea. In questa sede accenniamo solamente alcuni di questi fenomeni, i più importanti per la loro frequ enza o gravità: 1) Fenomeno dell'arto fantasma.

Page 43: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Gli amputati di una parte del loro corpo, gamba, braccio, seno, ecc. continuano, nonostante l'intervento, a sentire quest'ultimo esistente. Gli studi su tale fenomeno sono giunti a tre ipotesi conclusive diverse:

a) L'arto fantasma potrebbe essere frutto della persistenza di eccitazioni periferiche, recepite dai nervi del moncherino dell'arto amputato. Sotto l'effetto dell'anestesia del moncherino a volte l'arto fantasma sparisce, a volte no, (ipotesi dell'eccitazione periferica).

b) L'arto fantasma risulterebbe dalla stabilità dello schema corporeo, che necessita per trasformarsi di un certo periodo. Bambini amputati nella prima infanzia non manifestano il fenomeno dell'arto fantasma, poiché lo schema corporeo non è ancora completo all'epoca dell'amputazione. (Ipotesi centrale).

c) L'assenza del fenomeno dell'arto fantasma sarebbe per eccellenza di ordine psichico. Prova n’è il fatto che, in alcune persone amputate, l'illusione dell'arto fantasma si risveglia in occasioni che ricordano fortemente le circostanze della perdita dell'arto.

2) Fenomeno dell'anosognosia. Soggetti paralizzati ad un arto non riconoscono come proprio l'arto paralizzato. Ad esempio nell'emiasomatognosia la persona non riconosce la metà paralizzata del proprio corpo quindi l'appartenenza o non riconosce la neoformazione apparsa di recente sulla pelle giungendo perfino ad attribuirla ad un estraneo.

3) Fenomeni di depersonalizzazione. Gli individui non riconoscono la propria persona nella sua completezza e forma o nella sua consistenza e limiti. L'individuo si sente completamente mutato da ciò che era prima, il cambiamento è percepito tanto nell'Io che nel mondo esterno (Espansione o retrazione).

Due autori hanno studiato e sviluppato un metodo per la misurazione oggettiva del grado di stabilità che gli uomini attribuiscono ai loro confini corporei, anche se a livello conscio ciascuno ha scarse informazioni riguardo ai propri atteggiamenti rispetto ai propri confini corporei. Questi autori, Fisher e Cleveland, con la loro misurazione sono giunti a due diversi punteggi: a) punteggio di barriera che indica la solidità e stabilità dei confini corporei; b) punteggio di penetrazione che indica una maggiore fragilità e debolezza dei confini corporei. Questi indici risultano correlati in modo significativo al funzionamento della personalità e ai vari modelli educativi familiari. Secondo questi studi, l'immagine dei confini corporei sembra essere un duplicato delle esperienze che l'individuo incontra nel processo di definizione di sé stesso, della sua identità, nei confronti dell'ambiente. In pratica l'immagine corporea si delinea secondo le esperienze psichiche della socializzazione. I sistemi di aspettative interiorizzati si traducono in attributi dei confini corporei; infatti, quanto più chiare e coerenti saranno le aspettative materne nei confronti del bambino, tanto più precisi

Page 44: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

diventeranno i sistemi introiettati e conseguentemente tanto più elevata sarà la probabilità dei confini corporei definiti. E' chiaro quindi che i confini dell'immagine corporea non solo non coincidono con i limiti reali del corpo, ma mutano la loro configurazione secondo la dinamica individuale ed evolutiva. Nel bambino piccolo si collocano soprattutto all'interno del corpo, a causa del prevalere delle esperienze orali e viscerali, poi successivamente si spostano, in modo irregolare e differenziato per ogni singolo individuo, verso la superficie del corpo, retrocedendo, durante il periodo della vecchiaia, verso l'interno. E’ fatta l'ipotesi che persone con limiti corporei poco definiti e fragili possono essere più vulnerabili alla nevrosi e alla psicosi. La rappresentazione del proprio corpo non è separabile dalla rappresentazione degli altri, dello spazio e degli oggetti. Anche l'appropriazione del proprio corpo, cioè il processo attraverso il quale l'individuo arriva a sentire come suo il proprio corpo, non è dissociabile dalla costituzione degli oggetti della realtà. I vari dati e studi della clinica neurologica non depongono verso una rappresentazione isolata del corpo, ma al contrario ci portano a considerare una specificità corporea nella sua assunzione simbolica, quella di un corpo vivo, potente, indistruttibile, che è testimone della persona, della sua integrità e della sua identità. Questo ci porta a pensare che il corpo, nel modo in cui è percepito, nel modo in cui è sentito come proprio, conosciuto da ciascuno, non possa essere concepito come un dato biologico con un suo specifico meccanismo cerebrale che lo rappresenta, ma al contrario, deve essere concepito come un'acquisizione, un'appropriazione graduale sottomessa alla stessa attività simbolica che permette la costruzione di tutti gli altri oggetti della realtà. Immagine corporea non come sostanza quindi, materia, insieme di organi e di funzioni considerate isolatamente, bensì immagine corporea come esperienza corporea, intesa come modalità attraverso la quale l'individuo sperimenta il suo corpo, arriva cioè a sentire, percepire, conoscere, immaginare, vivere il proprio corpo. L'esperienza corporea è intesa come strumento indispensabile per la costruzione della conoscenza del mondo e delle relazioni con gli altri. E' su quest’esperienza corporea che si fonda la consapevolezza di noi stessi e della realtà che ci circonda. Gli studi sulla prima infanzia mostrano che il bambino giunge alla coscienza di sé attraverso un lento processo che passa attraverso l'appropriazione del proprio corpo, attraverso cioè la costruzione dell'esperienza corporea. Quest’esperienza è qualcosa che ognuno costruisce gradualmente, a partire dall'insieme confuso e indifferenziato delle prime sensazioni e percezioni, fino alla rappresentazione globale, specifica e differenziata del proprio corpo. Il neonato non distingue il proprio corpo dall'insieme di persone e oggetti che costituisce il mondo esterno. Per più mesi dopo la nascita l'individuazione del proprio corpo permane indecisa ed ambigua. Il neonato dipende completamente dalle persone che si occupano di lui; ha bisogno di essere

Page 45: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

alimentato, cambiato di posizione, cullato, manipolato dagli altri. Ora, è proprio attraverso i movimenti degli altri nei suoi confronti che prenderanno forma i suoi primi atteggiamenti. Egli comincerà ad esprimere le emozioni che gli sono suscitate proprio dagli altri, i quali si occupano di lui. L'espressione emozionale (pianto, sorriso) ha una funzione essenziale di scambio e di relazione in quanto il bambino tramite essa ottiene di modificare gli interventi degli altri nei suoi confronti. Tutte le emozioni, dalle più semplici alle più complesse, mettono in gioco delle variazioni muscolari, quindi la funzione tonica del corpo è anche essenzialmente comunicativa. In pratica il bambino comunica con variazioni toniche del proprio corpo. Quindi il proprio corpo è inizialmente conosciuto dal bambino come corpo in relazione, e non come "forma" considerata in sé. Pertanto l'intermediario del corpo dell'altro, è essenziale per integrare l'immagine del proprio corpo. In poche parole inizialmente il neonato è in una situazione in cui non esiste delimitazione alcuna, nessuna distinzione fra sé e l'altro, fra il proprio corpo e quello degli altri. Quando questo stato di indifferenziazione si rompe, si verificano le prime delimitazioni e il bambino comincia a "vedersi" nell'altro, a proiettare qualcosa di sé nell'altro. Egli attribuisce agli altri ciò che in realtà prova lui stesso e nello stesso tempo riceve dagli altri un'immagine percettiva (soprattutto visiva) che egli comincia ad attribuire a sé stesso. Il processo costruttivo dell'immagine corporea, ma non solo di questa bensì dell'intera personalità dell'individuo, avviene attraverso il duplice riflesso di sé nell'altro e dell'altro nella propria persona. Tale processo che è vitale nelle prime fasi dell'esistenza continua a mantenere la sua efficacia anche nella vita adulta. Appropriarsi del proprio corpo significa sentirsi presente tanto nelle sensazioni che provengono dall'interno, quanto nelle azioni, posture, gesti che sono messi in atto, come pure nelle relazioni che s’intrattengono con l'ambiente fisico e sociale, e nell'immagine del proprio corpo che è rinviata non solo dallo specchio, dalle fotografie, ma anche da quell'altro specchio che è costituito dagli sguardi degli altri. Questo processo di appropriazione del proprio corpo non può essere considerato compiuto nel corso dell'infanzia ma continua in seguito ai cambiamenti che avvengono lungo il corso di tutta la vita. Ciò che qui ci preme sottolineare è che il rapporto con la propria corporeità può essere profondamente mutato nel corso di varie affezioni organiche. Alla linea di queste conoscenze andiamo a rileggere e meditiamo sulle parole del filosofo Pantillon viste nel capitolo precedente. Anche l'assunzione del farmaco può alterare questo rapporto. Quasi tutti i farmaci hanno effetti che possono essere spiacevoli, possono dare vertigine, instabilità, distacco dalla realtà, nausee e malessere, come anche confusione. Il percepire il nostro corpo o meglio la nostra persona in modo diverso dal solito, anche per una sindrome influenzale, ci provoca una spiacevole sensazione. Una spiacevole sensazione evolvibile in una considerevole risposta emotiva negativa, quando la percezione della nostra persona è sostanzialmente diversa da quella consolidata e accettata.

Page 46: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

3.2.2. I meccanismi affettivi nello stato di malattia. Reazioni emotive. Ogni malattia, acuta o cronica che sia, attiva dei meccanismi affettivi che sfuggono alla consapevolezza critica del malato e che sono vissuti come stato globale di malattia. Medico e Infermiera Professionale devono conoscere questi meccanismi per meglio comprendere le reazioni o gli atteggiamenti del malato di fronte alla malattia. Questi meccanismi non tutti entrano in gioco e in ogni caso non tutti si manifestano allo stesso modo. Di fronte alla notizia di essere ammalate le persone reagiscono in modo vario e personale. In linea di massima possiamo dire che sono quattro i fattori che determinano come un paziente reagisce alla diagnosi e alla malattia:

1) La natura della malattia. La stessa malattia può avere diversi significati per le diverse persone. E' il significato attribuito alla malattia dalla persona che ne determinerà le reazioni. Sintomi che a giudizio del medico sono trascurabili, possono essere fonte di grosse preoccupazioni per l'ammalato scatenandogli addirittura il panico. Quindi il tipo di malattia assume una diversa importanza da persona a persona.

2) Caratteristiche della personalità. La risposta dell'individuo alla malattia è influenzata dalle risposte che egli abitualmente adotta contro gli stati d'ansia nel corso della sua vita. Una persona pertanto risponderà alla situazione ansiogena creata dalla malattia, come ha sempre risposto ad altre situazioni ansiogene. Può accettare con calma il suo destino ed il trattamento medico, mentre un'altra persona, con la medesima diagnosi, può adottare comportamenti disorganizzati, può diventare depressa, oppure può resistere a qualsiasi trattamento medico. Anche i progetti, che una persona ha per sé stesso, l'ideale di sé, influenzano le reazioni alla malattia e alla diagnosi. Le motivazioni che si possiedono, la loro energia influenzano ogni reazione alla malattia. Altri fattori personali che influenzano le reazioni alla malattia sono: l'età, la classe sociale, la posizione economica, le esperienze passate di malattia.

3) L'atteggiamento degli altri nei confronti della malattia.

Page 47: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Alcune malattie sono socialmente accettabili rispetto ad altre e causano pertanto meno ansia al malato. Altre invece sono socialmente inaccettabili, il malato, in questo caso, si sente "rifiutato", "sporco", "un diverso", "giudicato male per i dubbi che possono suscitare i tipi di contagio". Malattie infettive provocano reazioni di paura nella gente che si sente minacciata direttamente alla propria salute e questo provoca l'evitamento del malato. Qualsiasi malattia che deformi una persona: ustioni, malattie dermatologiche, ulcere aperte, gangrene, tumori provocano negli altri reazioni di paura, disgusto, repulsione. Ovviamente il malato è perfettamente conscio di queste reazioni che hanno una notevole influenza sulla sua immagine corporea e quindi sulle sue reazioni alla malattia. Il malato rimane influenzato nelle sue reazioni alla malattia anche, come già accennato in un capitolo precedente, in stretto riferimento ai comportamenti che avevano, di fronte alla malattia, le figure genitoriali che lo hanno circondato nell'infanzia e nell'adolescenza.

4) L'atteggiamento del malato nei confronti della malattia. La malattia essendo un'interruzione della vita normale provoca grandi disturbi all'immagine che uno ha di sé. Il concetto di sé del malato può risultare alterato a causa dei disturbi fisici che modificano il rapporto con la sua corporeità. Durante la malattia il malato deve quindi adattarsi psicologicamente, recuperare l'equilibrio psicologico che la malattia ha alterato. Il raggiungimento di quest’equilibrio psicologico avviene esattamente come durante gli altri periodi della vita, attraverso il processo di apprendimento per tentativi ed errori. In generale quando si verifica un’interruzione delle funzioni, si verifica anche spontaneamente una sintesi e una rigenerazione sia a livello fisico che psichico. Per avere una pronta guarigione, bisogna che i meccanismi di adattamento fisici e psichici funzionino in maniera efficace e sia lasciato il tempo necessario. Alcuni dei primi tentativi di adattamento psicologico alla malattia di una persona possono essere di natura impulsiva o irrazionale. Si osserva, infatti, che alcune delle prime risposte comportamentali alla malattia sembrano non essere adatte per il miglior interesse del malato, in quanto lo alienano agli altri da cui dipende per quanto riguarda la cura e l'assistenza. In ogni caso, sia che questi tentativi di adattamento alla malattia appaiano ideali o meno, le reazioni iniziali alla malattia sono probabilmente i comportamenti più protettivi a cui il malato può incorrere in quel momento. Il raggiungimento dell'equilibrio psicofisico, anche quando la malattia assume il carattere della cronicità è segno di salute. La diagnosi di malattia, il sapere di essere malato ha spesso come conseguenza immediata per la persona colpita un senso di grand’ansia.

Page 48: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Il motivo principale che sta alla base dell'ansia in questi momenti è il fatto che qualsiasi malattia è vista come una sconfitta più o meno completa dell'organismo. Oggi come oggi, addirittura, la completa sconfitta potrebbe essere la morte, anche se Ungaretti, mezzo secolo fa, diceva che "la morte si sconta vivendo". Quindi alla malattia, sin dall'inizio si associa sempre all'ansia con tutti i sentimenti legati ad essa. Il livello d'ansia dipende dal tipo di valutazione della situazione fatta dall'individuo. Tali valutazioni riguardano sia il significato attribuito all'evento in sé (ad esempio valutarlo irrilevante, non negativo ecc.) sia la stima delle risorse necessarie per fronteggiare la situazione (si ricordi la concezione di Lazarus per quanto riguarda le situazioni stressanti). Alti livelli d'ansia aumentano il dolore fisico e psichico. Questi alti livelli di ansia influiscono in maniera negativa sulla guarigione. E' opportuno pertanto conoscere qualcosa di più su quest’emozione negativa che è l'ansia. Essendo un'emozione è uno stato soggettivo, appartiene quindi alla sfera psichica e non può essere osservato direttamente. Invece ciò che è osservabile dell'ansia sono i correlati della sfera bio-fisiologica e della sfera comportamentale. Lo stato soggettivo dell'ansia è descritto come "apprensione" più o meno tollerabile, "disagio" più o meno acuto per un pericolo non identificabile. Vi è una differenza sul piano soggettivo tra ansia e paura. Nell'ansia lo stato d’apprensione è determinato da un pericolo non identificabile, mentre nella paura la fonte del pericolo è ben identificata. L'ansia, come tutte le altre emozioni negative, condivide modificazioni biologiche e riorganizzazione del comportamento a più bassi livelli di strutturazione. Alcune delle modificazioni bio-fisiologiche più drammatiche sono: a) modificazioni dei ritmi cerebrali con un conseguente aumento enorme del livello di vigilanza

(aurosal); b) modificazioni della conducibilità' elettrica della pelle che corrisponde ad un aumento della

sudorazione; c) aumento della frequenza cardiaca; d) aumento della frequenza respiratoria; e) aumento della tensione muscolare. In altri termini ci sono modificazioni nelle tre sfere dell'organismo: a) nella sfera biologica, attraverso un’attivazione neuroendocrina e motoria-viscerale. Si attua una

finalità ergotropica; b) nella sfera comportamentale, attraverso una ristrutturazione comportamentale a più basso livello

organizzativo. Si attua una finalità d’eliminazione del pericolo; c) nella sfera cognitiva, attraverso un processo d’attribuzione di significato, in uno stato di maggior

attenzione. Si attua una finalità d’adattamento cognitivo. In uno stato d'ansia è proprio la finalità d’adattamento cognitivo a fallire e il vissuto soggettivo è un

Page 49: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

disagio che deriva dal non riuscire ad identificare esattamente e dal non riuscire a riconoscere la causa di ciò che succede in noi. Se in breve tempo il soggetto non riesce, nella sfera cognitiva, ad attuare la finalità d’adattamento cognitivo, perdurando l'ansia, egli entra in uno stato di stress patologico. Quindi l'ansia intesa come stress in generale può essere utile o dannosa in funzione del grado d’intensità e dalla sua durata. Un giusto livello d'ansia ha finalità adattive anche nello stato di malattia. Con il termine adattivo qui si vuole intendere "azione reattiva" alla malattia, vale a dire uno stato di non apatia. E' possibile osservare il caso di malati i quali, mancanti del desiderio di vivere e in assenza completa d’ansia, divengano apatici arrivando alla morte pur non essendo affetti da una malattia mortale. Per quanto riguarda invece il grado d’intensità elevato o il perdurare nel tempo dell'ansia, dobbiamo ricordare quanto abbiamo già detto per lo stress come causa di malattia. Le reazioni d'ansia intensa e prolungata interferiscono con i sistemi Neurovegetativo, Endocrino, Immunitario favorendo maggiormente tutti gli altri fattori di malattia. Ecco quindi l'ansia, la quale sorge dalla situazione di malattia, merita una particolare attenzione perché riveste una grande importanza nel processo di guarigione. Dobbiamo considerare che, in una visione psicosomatica, la malattia ha, fra i suoi possibili diversi fattori pluricausali, lo stress in generale. A questo stato si aggiunge poi l'ulteriore "stress d'ansia" che deriva dalla percezione dei sintomi di malattia, dalla diagnosi di malattia, dall'eventuale disadattamento all'ospedalizzazione. L'ansia può manifestarsi a vari livelli d’intensità. Volendo distinguere gradi diversi d’intensità, potremmo su un continuum individuare i seguenti livelli: a) Atarassia: completa assenza d'ansia; b) Benessere: bassissimo livello d'ansia, quindi situazione di rilassamento profondo; c) Lieve stato d'ansia: è salutare se esiste solo per breve tempo, serve a migliorare l'attenzione e le

prestazioni; d) Moderato stato d'ansia: può diventare patogeno se prolungato nel tempo; e) Grave stato d'ansia: è sempre nocivo e si deve in ogni modo cercare di ridurlo; f) Stato di panico: ansia violenta che porta l'individuo alla perdita del controllo di sé. Nel panico l'individuo non riesce a percepire, a prendere decisioni, a ricordare e a controllare la sua attività fisica e motoria. In genere con l'aumentare del livello d'ansia si diventa sempre meno capaci di controllare e organizzare il comportamento, di capire quello che sta succedendo, mentre a livello fisiologico si alterano tutte le funzionalità. Dobbiamo tenere presente che l'ansia passa facilmente da una persona all'altra, quindi in un certo senso è contagiosa nei gruppi.

Page 50: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

E' importante conoscere le risposte bio-fisiologiche dell'ansia, le risposte cioè che investono la sfera biologica dell'uomo. Alcune di queste risposte sono percettibili a livello di coscienza del soggetto e sono: a) tachicardia, b) tachipnea, c) sbadigli a bocca secca, d) dolore toracico, e) nausee, vomito, vertigini, crampi addominali, f) sudorazione, g) variazione di temperatura, h) pollachiuria, i) dismenorrea, l) impotenza, m) dolori muscolari. Altre risposte non percettibili a livello di coscienza sono: a) aumento di pressione, b) aumento dell’irrorazione dei muscoli (vasocostrizione periferica), c) liberazione di glucosio a livello epatico, d) riduzione dell'attività peristaltica, e) produzione d’adrenalina dalle surrenali. Ogni individuo ha modalità di risposte all'ansia sue, in alcuni può prevalere la sintomatologia a livello gastrointestinale, in altri le risposte possono andare a carico del sistema cardiovascolare. Passando ora alla sfera cognitiva dell'uomo esamineremo le risposte psicologiche dell'ansia. Abbiamo già detto che il vissuto soggettivo dell'ansia è un disagio, è un'apprensione per un pericolo non identificabile. Tale situazione non è sopportabile a lungo ed è chiaro quindi che il soggetto tenderà a mettere in atto dei meccanismi psicologici tali da ridurre o togliere lo stato di disagio. Questi si chiamano appunto: meccanismi di difesa. 3.2.3. I meccanismi di difesa contro l'ansia e le emozioni negative. (Strategie per fronteggiare la malattia).

Page 51: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

A livello soggettivo il disagio e l'apprensione sono sentiti come minacce per l'Io del soggetto, quindi come un pericolo di perdita dell'autostima. I meccanismi di difesa tendono a proteggere l'Io e a conservare l'autostima. Secondo la teoria psicoanalitica, questi meccanismi di difesa si attuano senza la partecipazione a livello di coscienza, cioè automaticamente e a volte possono essere usati in modo sbagliato, dando origine così a dei disturbi psichici Nella maggior parte dei casi i meccanismi di difesa aiutano l'individuo a conservare la sua energia psichica. Il soggetto, che prova costantemente un basso senso d’autostima, potrebbe utilizzare la maggior parte dell'energia disponibile per mettere in atto meccanismi di difesa che gli servono per giustificarsi consumando eccessivamente le stesse energie utili per perseguire le proprie mete. La persona che si trova in uno stato di malattia può abusare d’alcuni meccanismi di difesa per eliminare l'ansia, conservare un soddisfacente concetto di sé e una buona autostima, mettendo però a dura prova la sua energia mentale. I più comuni meccanismi di difesa dell'Io sono classificabili in quattro gruppi:

1) Un primo gruppo riguarda i meccanismi di difesa che operano sullo stimolo che provoca l'insorgere di una potenziale minaccia al momento dell'apparizione dello stimolo stesso. Questi meccanismi sono:

a) la negazione della realtà. L'individuo nega la malattia stessa. Generalmente questo meccanismo di difesa è messo in atto da persone affette da malattie gravi o che hanno sofferto attacchi di cuore. Questo meccanismo difensivo deve essere rispettato dal medico e dalla infermiera professionale in quanto aiuta il malato a sopportare una situazione complessa dal punto di vista personale. Tuttavia a volte è necessario riportare il malato alla realtà, responsabilizzandolo, pur con tutte le prudenze richieste del caso, al fine di aiutarlo ad accettare tutte le cure che sono necessarie per il suo caso. La negazione può essere anche solo parziale. In questo caso il malato affermerà di soffrire di una forma più benigna e ad esempio, dirà di avere un’infiammazione anziché un tumore. La negazione della realtà è uno dei più importanti e comuni meccanismi di difesa che si riscontrano in campo clinico e la sua entrata in azione può influenzare sia il comportamento di richiesta d’aiuto, che tutto il corso della malattia stessa.

b) la proiezione. E' un meccanismo di difesa che consiste nell'attribuire ad altri i propri pensieri, desideri, paure, atteggiamenti e colpe. Ad esempio, un malato può affermare di aver consultato il medico, soltanto perché la moglie era preoccupata per lui e può insistere che egli intanto sa di avere dei sintomi che però sono certamente senza conseguenze. Malati ricoverati anche piuttosto gravi attribuiscono ad altri malati i propri disturbi provando una specie di sollievo nel constatare che i propri vicini di letto stanno molto peggio di loro anche se ciò non corrisponde alla realtà oggettiva

c) limitazione della consapevolezza.

Page 52: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Il soggetto tende a ridurre la sfera della propria consapevolezza impedendo a situazioni spiacevoli di entrare nel proprio campo di coscienza. Questo meccanismo si attua attraverso la focalizzazione del campo di coscienza su un solo aspetto limitato della situazione, scotomizzando tutti gli altri aspetti. Per esempio, un malato gravemente ustionato può concentrarsi esclusivamente sul proprio dolore. Il meccanismo di difesa si attua nel senso di allontanare dal campo di coscienza la consapevolezza della possibilità di rimanere gravemente sfigurato.

2. Un secondo gruppo riguarda i meccanismi che comportano cambiamenti di tipo cognitivo e associativo rivolgendo la loro azione a livello interno.

Essi sono:

a) la repressione. E' un meccanismo di rimozione che si svolge inconsciamente ed opera escludendo impulsi e pensieri non desiderati a livello di coscienza. Questi impulsi e pensieri rimangono a livello inconscio fino a quando una qualche circostanza non da loro l'occasione di emergere a livello conscio. (Caso di stati febbrili, effetto di stupefacenti o in ogni caso in cui la funzione di controllo viene a mancare come nel sonno o nell'ipnosi).

b) la razionalizzazione. Questo meccanismo consiste nel dare, da parte del malato, spiegazioni ineccepibili sul piano logico a eventi o comportamenti non accettati dal soggetto sul piano emozionale. Ad esempio ci sono persone che non ricorrono al medico pur avendo scoperto un sintomo ben identificabile e razionalizzano dicendo che esso era connesso ad un particolare evento. (Ad esempio scoprire un nodulo al seno e connetterlo alle mestruazioni in corso al momento della scoperta). Simile al meccanismo della razionalizzazione è il meccanismo della "intellettualizzazione". Il malato, alla conoscenza di una malattia grave può raccogliere una grande quantità di informazioni da testi scientifici o da riviste mediche. Diventa capace di parlare scientificamente della sua sintomatologia e della terapia.

c) l'isolamento cognitivo. E' un meccanismo con il quale le attività affettive spiacevoli, dolorose sono dissociate dai processi cognitivi. Attraverso questo meccanismo il malato è capace di fornire al medico una descrizione minuziosa di esperienze dolorosissime senza implicarsi emotivamente come se parlasse di un'altra persona. E’ accettato a livello conscio solo l'aspetto conoscitivo e non quello affettivo.

d) la compensazione nella fantasia. Con questo meccanismo l'individuo tende a fantasticare situazioni in cui non esista più la malattia, la sofferenza, il disagio che invece sono presenti. Questa attività fantastica è di tipo compensatorio, cioè mira a supplire il sentimento di mancanza e debolezza costituito dalla malattia.

e) la formazione reattiva aggressiva.

Page 53: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

E' un meccanismo con il quale il malato reagisce aggressivamente alla malattia. Egli si rivela esigente, mai contento delle cure di cui è oggetto, è polemico nei confronti di tutti, antipatico e difficile da affrontare. Con questa reazione psicologica si difende dall'angoscia provocata dalla infermità attribuendo ad altri e al mondo intero la responsabilità del suo stato di malattia.

3) Vi è un terzo gruppo di meccanismi di difesa che si svolgono a livello cognitivo attraverso però azioni esterne. Tra questi ricordiamo:

a) le manovre controfobiche. La persona si espone direttamente o si fa coinvolgere in attività e situazioni di cui ha fortemente paura. L'ansia è così sostituita da un senso di controllo della situazione.

b) la cancellazione. Si riferisce ad un’azione che ha lo scopo e il valore di annullare un pensiero o un'azione compiuta precedentemente. La sofferenza che accompagna la malattia per certi ammalati può servire come modalità per cancellare azioni o sentimenti di cui essi si sentono colpevoli. Anche un medico può diventare molto sollecito e interessarsi più del necessario di un malato a causa di un errore da lui commesso nei suoi confronti

c) la sublimazione. Con questo meccanismo, obiettivi inaccessibili direttamente dal soggetto sono sostituiti con altri obiettivi di valore morale più elevato. L'esempio è la comparsa di sentimenti religiosi molto intensi, con l'attivazione di pratiche religiose, in persone la cui religiosità non è mai stata forte. Tale meccanismo è molto importante per il raggiungimento di serenità e tranquillità utili anche ad affrontare il decorso biologico della malattia.

d) il ritiro e fuga sociale. Vi sono malati che interrompono i contatti sociali dopo essere stati informati di essere affetti da una seria malattia. In tal modo essi anticipano il rigetto sociale temuto. Il ritiro e la fuga sociale possono consentire ad una persona di raggiungere un livello di distacco emozionale sufficientemente positivo, evitando così stati affettivi molto dolorosi come la depressione.

4) In un quarto gruppo sono raccolti i meccanismi di difesa che agiscono a livello globale della personalità. Essi sono:

a) la regressione. Con questo meccanismo, aspetti cognitivi e aspetti comportamentali che appartenevano ai primi stadi dello sviluppo sono nuovamente utilizzati per fronteggiare l'ansia della malattia. Con la regressione il malato torna bambino, manifesta il bisogno di essere accudito, coccolato e vede l'infermiera e il medico come figure materne o paterne. Tale meccanismo inoltre è parte indotto dal ruolo richiesto a colui che in ospedale è chiamato "paziente" (assenza di privacy, aspetti connessi alla alimentazione, all'igiene personale, al controllo degli sfinteri ecc.).

Page 54: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Il malato in stato regressivo è generalmente un "paziente" tranquillo, che si lascia curare e che non crea problemi particolari, altrimenti diventa un indesiderato. Nel libro "La strategia della grinta" l'autore spiega l'utilità di essere assertivi nella vita eccetto quando sei degente. Questo in quanto potresti essere sopraffatto come persona. Nello stato regressivo si osservano a volte la fuga nel sonno, bisogni orali particolari (super alimentazione, golosità) sensibilità grandissima alle visite ecc. Lo stato regressivo è molto comune in una prima fase della malattia, ma non va mantenuto più a lungo del minimo fisiologico altrimenti è negativo. Ad esempio, nella fase postoperatoria è necessario aiutare il malato ad uscire da questo stato di passività, che può ritardare la guarigione, così in ogni tipo di cura e di riabilitazione.

b) l'identificazione. E' un meccanismo attraverso cui un individuo assume e cioè interiorizza i valori, gli atteggiamenti e i modi di fare di un'altra persona. In caso di malattia, l'ammalato può assumere i comportamenti di richiesta di aiuto, i comportamenti di malattia di altre persone significative e perfino il ruolo di ammalato. Ricordiamo che, al di là dell'aspetto specifico della malattia, questo meccanismo ha un'importanza rilevante nella formazione professionale del personale sanitario e nello sviluppo in ciascuno di noi del concetto stesso di salute e malattia. Infatti, i modelli forniti dalle Scuole per Infermieri contribuiscono a determinare una progressiva identificazione al ruolo. Il personale sanitario stesso può divenire in parte un modello di identificazione per gli ammalati che possono adottare i loro comportamenti e modi di fare nei confronti della malattia. Una grande responsabilità.

Altri autori hanno utilizzato al posto del concetto di "meccanismi di difesa" il concetto di "stile" o "strategia" per fronteggiare la malattia. Lipowski afferma che i malati di fronte alla minaccia provocata dalla malattia, tendono a mettere in evidenza nel fronteggiare la situazione due strategie cognitive: a) la minimizzazione, b) la vigilanza focalizzata.

Gli ammalati che adottano la strategia della minimizzazione hanno la tendenza a usare particolari disattenzioni: non ascoltano, non cercano aiuto, sembrano ignorare il significato della gravità della malattia. Per contro, i malati che adottano la strategia della vigilanza focalizzata hanno comportamenti opposti, sono cioè fin troppo attenti, precisi, interessati a conoscere tutto quanto riguarda la loro situazione.

Secondo Cohen e Lazarus (1980) ci sono almeno quattro modalità diverse di far fronte allo stress della malattia, e sono:

a) Le informazioni.

Page 55: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Le persone manifestano esigenze diverse di avere informazioni circa il proprio problema oppure di non voler sapere nulla della loro malattia e si affidano completamente nelle mani di qualcuno di cui hanno completa fiducia.

b) L'azione finalizzata. Consiste nel far qualcosa circa il loro problema.

c) L'inibizione dell'azione. Consiste nel non fare assolutamente nulla per il loro problema.

d) Rapportarsi alla malattia. Processi intrapsichici o cognitivi che includono forme di evitamento, Cohen e Lazarus sostengono che piuttosto di parlare di "minaccia" in generale in uno stato di malattia, sia opportuno parlare di specifiche minacce che l'evento malattia comporta.

Essi hanno pertanto individuato sei minacce potenziali in uno stato di malattia. Queste minacce sono potenziali in quanto la loro importanza varia in funzione della malattia, del malato, della situazione connessa alla cura e al trattamento. Descriviamo ora queste sei minacce potenziali di uno stato di malattia:

1) Minacce per la propria vita e paura di morire.

2) Minacce per integrità del proprio corpo e per il proprio benessere. In pratica si temono le seguenti evenienze: a) danni fisici o menomazioni, b) modificazioni fisiche permanenti, c) dolore fisico, malessere e altri sintomi negativi connessi alla malattia e al trattamento, d) inabilità.

3) Minacce per la propria identità. Si temono le seguenti evenienze: a) necessità di modificare la propria immagine di sé, b) incertezza circa il decorso della malattia e circa il proprio futuro, c) precarietà nei valori e scopi della propria esistenza, d) perdita di autonomia e controllo.

4) Minacce alla propria stabilità emotiva e necessità di gestire sentimenti d'ansia, rabbia, e altre emozioni a loro connesse e derivanti da altri stress.

5) Minacce per la possibilità di svolgere abituali ruoli e attività.

Si temono le seguenti evenienze: a) separazione dalla famiglia, dagli amici, e da altri supporti sociali, b) perdita di ruoli sociali importanti, c) necessità di dipendere dagli altri

6) Minacce derivanti dalla necessità di adattarsi ad un nuovo ambiente fisico e sociale. Si temono le seguenti evenienze:

Page 56: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

a) adattarsi all'ambiente ospedaliero, b) problemi connessi alla comprensione della terminologia e abitudini mediche. c) necessità di prendere delle decisioni in situazioni stressanti e non abituali. Come conclusione di questo argomento che riguarda l'ansia che deriva dalle potenziali minacce di uno stato di malattia e dei relativi meccanismi o strategie di difesa, ci sembra opportuno sottolineare l'importanza che ha per l'operatore sanitario il saper riconoscere le varie modalità messe in atto dal malato nel fronteggiare il suo stato di malattia, e inoltre di saper rilevare se tali modalità siano più pericolose della malattia stessa, come nel caso della depressione o della negazione dello stato morboso. In pratica si vuol evidenziare la necessità imprescindibile per chi opera con persone malate di saper "leggere" correttamente la situazione, nel senso di saper meglio cogliere le varie e molteplici forme utilizzate dalla persona nel rapportarsi alla malattia. Come precedentemente abbiamo distinto l'ansia della paura è opportuno ora precisare una distinzione fra ansia ed angoscia. Questa distinzione esiste solo su un piano strettamente clinico. Infatti, i due termini nella letteratura filosofica e psicologica si equivalgono. Sul piano clinico l'angoscia si differenzia dall'ansia perché compare in modo critico, con intensi fenomeni neurovegetativi, con sofferenza psicologica acutissima e di breve durata. Su un piano psicopatologico, nella crisi di angoscia non vi è il vissuto di attesa della minaccia incombente e della possibilità di evitarla, ma è come se la minaccia fosse già attuale senza consentire ne scampo né possibilità di difesa. Manca completamente il minimo vissuto di speranza. Esempi di crisi di angoscia sono gli incubi legati al contenuto dei sogni. Come abbiamo già detto ansia ed angoscia si accompagnano a fenomeni neurovegetativi più o meno intensi alcuni vissuti su un piano della coscienza, altri non vissuti coscientemente. Ricordiamo che la malattia, qualunque essa sia può determinare angoscia ed è vissuta, per momenti più o meno lunghi, come una situazione tragica di cui non c'è più speranza, con un intensissimo stato di sofferenza psicologica. L'ammalato in stato d'angoscia va sempre aiutato ad uscirne il più presto possibile, coinvolgendo anche la famiglia.

Page 57: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

3.3. I comportamenti di fronte alla malattia. Abbiamo descritto nella prima parte di questo capitolo lo "stato di malattia". Lo abbiamo concepito come "la rottura di un equilibrio e vissuto come tale dal soggetto", quindi una situazione esistenziale penosa; una situazione di stress più o meno intensa, che ci permette l'uso del sostantivo "malato". In sintesi lo stato di malattia si presenta nell'Uomo con i seguenti aspetti bio-psicologici: a) sensazioni più o meno tristi, spiacevoli che si situano in un alterato rapporto con la corporeità; b) esperienza di deprivazione dello stato di salute; c) esperienza di frustrazione per gli ostacoli alla propria libertà e alla realizzazione del proprio

progetto di vita; d) esperienza di dolore sia fisico che morale con emozioni di tristezza, solitudine, isolamento,

incertezza, impotenza, ansia, angoscia. I suddetti aspetti bio-psicologici costituiscono le motivazioni per i comportamenti di malattia. In un organismo malato è pertanto possibile osservare un "comportamento di malattia" che si presenta con una sua struttura organizzata che dipende da caratteristiche individuali e culturali del soggetto. Un'idea circa l'intensità della motivazione che spinge un soggetto in comportamenti di malattia ci viene dalle descrizioni che fa dei suoi sintomi, dal numero di visite richieste al medico e dalla richiesta di cure. Il comportamento di richiesta di cure, consiste nella decisione che un individuo decide di fare qualcosa circa un sintomo che gli reca ansia o angoscia. Esempi molto comuni di comportamenti di richiesta di cure sono: andare dal medico, dall'infermiera, dal psicologo o chiamarli telefonicamente o andare direttamente al pronto soccorso etc. Il comportamento di risposta, di un individuo che si sente malato e quindi che percepisce dei sintomi, varia in modo considerevole in base ad una serie di fattori. Questi fattori influenzano la decisione del soggetto se fare o non fare ricorso a cure, determinando più o meno comportamenti di richiesta di assistenza. Ci sono quattro tipi di fattori: 1) Fattori insiti nella percezione dei sintomi. Si possono rilevare quattro dimensioni: a) sintomi comuni b) familiarità dei sintomi nell'ambito del gruppo c) il livello di previsione di apparizione della malattia d) la quantità di minaccia e di perdita che derivano dalla probabile malattia.

Page 58: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Esempio: un comune raffreddore, familiare a tutti, facilmente identificabile, che comporta rischi minimi, non sempre mette in moto un comportamento di richiesta di cure e assistenza. Se invece prendiamo un’espettorazione di sangue, fatto raro, sconosciuto, non prevedibile, minaccioso aumenta la probabilità di ricorso al medico. E' chiaro però che la personalità dell'individuo rimane l'elemento determinante nell'attuare un comportamento piuttosto che un altro.

2) L'influenza dei fattori demografici nei suoi vari aspetti sociali economici-religiosi-etnici. Vi sono studi che dimostrano che la classe sociale medio-alta tende a ricorrere a cure mediche maggiormente che le classi socialmente più basse in particolare modo a livello di visite specialistiche private. (In pratica ciò è legato all'avere conoscenze e consapevolezza sul come ottenere aiuto, all'avere tempo e soldi). Quindi in generale la classe socio-economica di appartenenza determina differenze nel comportamento di richiesta di cure mediche. Oggi, nel nostro contesto storico-culturale sono diminuite le differenze di classe nel far ricorso all'assistenza medica. Ciò che invece non è diminuito sono le differenze nelle modalità messe in atto dagli individui nel diagnosticare i propri disturbi secondo le classi sociali di appartenenza. Gli individui delle classi alte tendono a minimizzare, mentre si tende ad accentuare nelle classi basse, come è stato dimostrato da studi, i disturbi cardiaci. 3) I tipi di stress. Lo stress di tipo interpersonale, come ad esempio la difficoltà nei rapporti con persone che amiamo (bisogno d'amore non soddisfatto) portano a mettere in atto comportamenti di richiesta di cure mediche più facilmente che non a seguito di stress di altro genere, come quelli connessi ad avversità di tipo finanziario (bisogno di sicurezza non soddisfatto). Situazioni di difficoltà interpersonali possono provocare gravi stati d'ansia, depressione, afflizione. Tali stati sono spesso accompagnati da alterazioni fisiologiche che determinano una malattia o l'acutizzarsi di un sintomo. 4) Le precedenti esperienze personali. Anche le prime esperienze, o le precedenti esperienze personali come ammalato o come bisognoso di assistenza di un soggetto possono influenzare i successivi comportamenti di ricerca di cure mediche. Esperienze positive di ospedalizzazione probabilmente faciliteranno i successivi contatti con l'ospedale rispetto ad esperienze che si sono connotate negativamente. Anche le esperienze di parenti o amici con la malattia seguite direttamente o indirettamente dal soggetto condizionano i suoi atteggiamenti e comportamenti di richiesta di diagnosi e cura. Si pensi alla paura o alla convinzione di essere affetti da una certa patologia (tumore, mal di cuore) che insorge nelle persone in circostanze di reali episodi occorsi a congiunti o conoscenti. Si comprende così l'importanza di fattori di questo tipo che portano a complicazioni psicologiche di tipo depressivo, o ansiogeno basate su fantasie infondate. Anche i mezzi di informazione, le opinioni e i pregiudizi ricorrenti nel gruppo sociale di appartenenza influenzano i comportamenti di richiesta di cura.

Page 59: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

In conclusione si può affermare che la presenza di un sintomo non è condizione sufficiente per ricercare l'aiuto del medico, e il significato attribuito ad un sintomo può dipendere da molteplici fattori i quali influenzano anche i comportamenti di richiesta di cure. Questo fa sì che non tutti coloro che sono ricoverati in ospedale sono necessariamente malati nel senso di essere affetti da qualche patologia organica o disfunzionale. E vi sono pure numerosi casi in cui individui realmente affetti da qualche patologia organica o disfunzionale non mettono in atto alcuna richiesta di aiuto medico. Attualmente una persona che cerca e sta ricevendo un'assistenza medica, psicologica o neuropsichiatrica si definisce "malato". Il termine malato non sempre contempla necessariamente la presenza di disfunzione o di dolore. Poco sopra abbiamo detto che non tutti coloro che si sentono ammalati diventano necessariamente malati, anche se vanno considerati come tali, e non tutti i malati si sentono necessariamente malati. Allora ci si chiede quando e in funzione di quali condizioni gli individui fanno ricorso all'aiuto medico e cioè entrano nel processo del divenire malato? C'è da sottolineare: una volta che il soggetto si sente malato assume contemporaneamente il ruolo di malato. Divenire malato significa andare ad assumere il ruolo di malato. Nella nostra concezione di Uomo come Unità Bio-Psico-Sociale, analizzare il processo del divenire malato implica non solo considerare la persona nella sua sfera mentale (cioè al suo modo di pensare, di percepire i sintomi, di provare dei sentimenti ecc.) ma adottare un approccio più completo, un approccio sistemico in cui interagiscono le tre sfere (o sottosistemi):

a) la sfera biologica: vale a dire gli stati funzionali e strutturali dei sottosistemi fisio-bio-chimici degli organi. Questi sottosistemi possono essere identificati per esempio in apparati, organi, tessuti, cellule, etc.

b) la sfera mentale-cognitiva: vale a dire le caratteristiche psicologiche che sono ascrivibili all'individuo compreso quindi la personalità, gli atteggiamenti, i sentimenti, le abitudini che sono sottosistemi cognitivi.

c) la sfera relazionale ambientale: vale a dire gli aspetti interpersonali come l'interazione della persona con l'ambiente fisico, con l'ambiente sociale (famiglia, gruppo di amici, lavoro, sistema sanitario).

Anche in questa sfera ciascuna delle dimensioni di cui sopra è concepita come sottosistema in cui interagiscono vari elementi. In questo approccio sistemico la persona è concepita come un sistema vitale composto di tre sottosistemi (le tre sfere, biologica, mentale, relazionale) ciascuno dei quali a sua volta è composto di una gerarchia decrescente di sottosistemi. In questo concetto è possibile un'analisi delle modalità attraverso le quali un individuo diviene malato. Si tiene, in tal modo, conto sia degli aspetti intrinseci dell'individuo (sfera mentale e sfera biologica) sia degli aspetti che si riferiscono alla sua relazione con gli altri, e con l'ambiente. La malattia, infatti, interagisce con il sistema personale dell'individuo e concorre a determinare i

Page 60: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

comportamenti di richiesta o meno di aiuto, le modalità di adattarsi alle aspettative connesse al divenire malato, cioè ad assumere il ruolo di ammalato, e anche a determinare i comportamenti di malato. Il processo attraverso il quale un individuo si definisce o è definito malato e quindi l'assumere i ruoli comportamentali di tale posizione o categoria sociale, dipende dunque da numerose variabili. Queste variabili riguardano: a) come l'individuo reagisce allo stress scatenato dalla malattia o ai sintomi della malattia stessa; b) la fiducia riposta all'aiuto che potrà ricevere; c) le cause della malattia; d) le relazioni operatori-malati e le reciproche aspettative. Molti di questi aspetti saranno trattati nella parte del programma che riguarda la relazione malato-operatore sanitario. 3.4. Il Dolore. 3.4.1. Gli aspetti neuropsicologici del dolore. Nessun'altra esperienza umana quanto l'esperienza dolorosa, ha potuto così chiaramente evidenziare, attraverso gli studi psico-fisiologici, la stretta interazione tra sfera biologica-psicologica-sociale dell'organismo umano. E' chiaro che un'esperienza dolorosa non è dovuta necessariamente solo da fatti fisici-biologici, ma che può essere anche, in diversi casi, un fatto puramente mentale; comunque, implica sempre una stretta interazione tra sfera biologica-psicologica-sociale dell'uomo. Deve essere chiaro che quando si parla di "esperienza dolorosa" ci si riferisce al "vissuto psicologico" quindi al fenomeno psicologico della percezione del dolore, indipendentemente se la

Page 61: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

causa è situata nell'organico o nel mentale e quindi indipendentemente dall'esistenza o meno dei processi sensoriali del dolore. Non esiste necessariamente una relazione diretta tra input sensoriale ed esperienza soggettiva del dolore. Alcuni esempi chiariscono questo aspetto dell'esperienza di dolore:

1) Ad un estremo ci sono persone che avvertono dolore senza avere alcuna lesione organica: il cosiddetto "dolore psicogeno". Questo non è un dolore banale o immaginario, ma, al contrario, è un dolore sentito dalla persona in modo molto intenso.

2) All'altro estremo ci sono casi in cui la persona può sopportare una grave lesione fisica senza avvertire il dolore o avvertendolo in misura molto limitata. Citiamo ad esempio i casi di cerimonie religiose di certe culture in cui gli uomini devono camminare nel fuoco o devono restare appesi con degli uncini fissati nei reni, senza manifestare chiari segni di dolore.

3) Esiste inoltre l'effetto "placebo", fenomeno per cui una sostanza farmacologicamente inerte riduce o elimina totalmente il dolore.

Questi esempi dimostrano che non è possibile capire il problema dell'esperienza del dolore mediante un semplice modello biologico e che invece è necessario prendere in considerazione anche gli aspetti psicologici-sociali. 3.4.2. L'approccio psico-fisiologico. Questo approccio prende in considerazione contemporaneamente sia gli aspetti fisiologici sia psicologici ed è noto come Teoria del "Gate Control". Secondo questa teoria, l'informazione sensoriale afferente del dolore deve sottostare ad una specie di "filtro" localizzato nel midollo spinale. Questo filtro controlla il flusso di informazioni che proviene dai recettori periferici e sale verso i centri cerebrali superiori, ed è situato nelle corna posteriori del midollo spinale e precisamente nella sostanza gelatinosa. Qui giungono le terminazioni delle fibre afferenti di grosso e piccolo calibro. Le fibre sono collegate tra loro in maniera tale che l'eccitazione delle grandi fibre mieliniche portano ad un'inibizione della trasmissione dell'informazione, mentre l'eccitazione delle fibre di piccolo calibro portano ad una facilitazione della trasmissione. Questa struttura spinale inoltre è sotto controllo di sistemi di proiezione discendenti di origine corticale e sottocorticale.

Page 62: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Quando il flusso di informazioni non è bloccato a livello spinale, allora si attivano tutte le aree cerebrali implicate nel processo di percezione del dolore. Attraverso il sistema ascendente antero-laterale le informazioni dolorifiche giungono a due sistemi cerebrali con funzione diversa: a) ai nuclei ventrobasali del talamo e alla corteccia somatosensoriale. b) alla formazione reticolare e al sistema limbico. In base a questa struttura neurofisiologica si pensa che interagiscano tra loro contemporaneamente tre elementi del processo di percezione del dolore: a) Un elemento è la registrazione puramente percettiva dell'informazione sensoriale, attraverso la

quale sono colte le caratteristiche fisiche dello stimolo nocicettivo.

b) Un secondo elemento è dato dell'attività emotiva e motivazionale prodotta dal sistema limbico.

c) Un terzo elemento è costituito dalla interpretazione del significato del dolore interpretazione che tiene conto della situazione immediata e dell'esperienza passata (struttura cognitiva). Questo terzo elemento è elaborato dalle regioni neocorticali e può esercitare un controllo sia nei processi motivazionali ed affettivi che nei processi sensoriali.

La percezione del dolore dipende quindi dall'interazione di questi tre elementi neuropsicologici. Ciò che è importante notare è che i centri corticali, vale a dire la base neurologica della struttura cognitiva, dell'attività di memoria e dell'attenzione, esercitano la propria influenza sulle vie sensoriali afferenti. 3.4.3. Le influenze psico-sociali nella percezione del dolore. a) Differenze culturali ed esperienza passata. Molti dati dimostrano che oltre ai fattori psicologici, anche fattori di ordine sociale esercitano una profonda influenza sul livello di percezione del dolore. Le differenze culturali sono gli elementi che più spesso influenzano le reazioni al dolore. E ciò in quanto il significato (struttura cognitiva), che l'individuo attribuisce al dolore è diverso essendo legato a fattori di ordine ambientale-sociale. Citiamo un unico esempio: il modo di reagire delle donne di fronte al parto presenta notevolissime differenze di carattere culturale.

Page 63: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Nella cultura occidentale, il parto implica dolore, cosa che non succede in tutte le altre culture. Addirittura esistono delle tribù, in cui è l'uomo e non la donna a provare il dolore del parto. E' da notare che le differenze culturali non vanno ad agire determinando differenze di soglia sensoriale, fatto questo che spiegherebbe questi fenomeni in base a motivi puramente sensoriali. Si tratta invece di differenze legate alla capacità di sopportazione del dolore, capacità influenzata da strutture cognitive diverse di ordine culturale, rispetto al dolore. Il processo di socializzazione viene ad assumere grande importanza nel determinare l'atteggiamento verso il dolore, in quanto l'esperienza passata ha un valore specifico nel tipo di reazione al dolore. Alcuni dati rilevati negli ospedali dimostrano che alle donne sono somministrati analgesici più' potenti di quelli dati agli uomini. Inoltre le richieste di farmaci antidolorifici da parte degli uomini possono essere più facilmente trascurate dal personale ospedaliero che non le richieste delle donne. Gli uomini possono essere in grado di sopportare meglio il dolore rispetto alle donne. Questo dipende da elementi di carattere culturale tipici della nostra società in cui sono adottati diversi criteri di educazione nei confronti dei ragazzi e delle ragazze in base ai loro diversi ruoli nella società. Tutto ciò quindi può in culture diverse, anche in un medesimo stato, essere opposto, cioè si possono trovare persone di sesso femminile più resistenti al dolore rispetto a persone di sesso maschile. b) La situazione ambientale nel momento in cui l'individuo è colpito dal dolore. Le reazioni al dolore non dipendono soltanto dall'esperienza passata ma anche dalla situazione in cui immerso l'individuo nel momento del dolore. La situazione ambientale, cioè il contesto è uno degli elementi che contribuiscono a determinare il significato di un dato evento e quindi anche dell'elemento dolorifico. L'effetto psicologico, cioè il significato attribuito ad una lesione subita sul campo di battaglia, è molto diverso da quello della stessa lesione subita in una situazione in cui non c'è il rischio di subire ferite. c) Grado di attenzione che è rivolto al dolore. Tanto più grande è l'attenzione verso il dolore più questo è percepito intensamente. Un calcio ricevuto mentre si sta segnando un goal decisivo non è così doloroso come lo stesso calcio ricevuto mentre si sta pranzando. d) Essere preparati al dolore può ridurre la potenza dell'impatto. Ad esempio, se una persona è ben informata sul grado di dolore che si manifesterà dopo un intervento chirurgico, è possibile che questa chieda una minor quantità di analgesici e possa difendersi più facilmente con le proprie forze.

Page 64: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

e) Lo stato emotivo e la personalità sono fattori importanti nei fenomeni di percezione del dolore. L'ansia in modo particolare abbassa la soglia del dolore e questo significa che il dolore è avvertito prima e con maggior intensità e quindi influenzerà molti fattori favorenti l'effetto placebo. Dunque, il placebo è una "possibilità terapeutica", è come un "farmaco" il cui effetto è legato alla situazione relazionale, cioè al rapporto operatore sanitario-malato. Dirigente dell’Assistenza Infermieristica Biancat Roberto

Page 65: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

CAPITOLO QUARTO

LA MORTE E IL MORIRE 4.1. Introduzione La morte, rappresenta una tappa che annuncia il termine dell'attuale esistenza terrena, l'uomo può non sapere quando e come ciò avverrà, ma non può di certo ignorare che un giorno anch'egli morirà. Questa è una certezza e fra i tanti eventi della vita nessuno è più sicuro, più inevitabile, più certo della morte. La nascita, come la morte fa parte degli eventi naturali insiti nell'esistenza stessa. Non esiste la morte se non c'è la vita, non c'è la vita se non c'è la morte, come non esiste l'alba senza il tramonto. La morte, a questo punto, diventa una parte costituzionale della persona. Fa parte della nostra vita. Purtroppo noi davanti alla morte non siamo padroni della nostra vita terrena e questo è uno degli aspetti che ci angoscia. Sul tema morte il mondo intero brancola nell'oscurità e inoltre si domanda cosa c'è oltre questa vita. La morte rappresenta un mistero per tutti. La morte è l'enigma della vita, colui che muore non ha mai trasmesso l'esperienza agli altri (fatta eccezione per alcune persone in cui il caro estinto è apparso in sogno per lenirne la sofferenza data dal distacco e per testimoniare il suo benessere; ci sono poi le testimonianze positive delle persone rianimate post-mortem o di quelle negative delle persone rianimate dopo un tentato suicidio. Vi sono testimonianze di madri che sostengono, con l'utilizzo di un registratore, di raccogliere messaggi chiari dei figli deceduti. Mia nonna diceva, forse per rassicurarci: "ragazzi se i morti non tornano indietro significa che nell'aldilà non si sta male". Nel dibattito sulla morte è importante riscoprire chi siamo, da dove veniamo, come la pensavano i nostri predecessori per capire meglio come noi viviamo nel nostro profondo l'esperienza della morte. La morte ha eluso gli sforzi dell'umanità fin da epoche immemorabili nella ricerca dell'immortalità, ed ancora nonostante tutti i tentativi per risolvere il mistero, essa è rimasta tale. 4.2. Il rifiuto della morte La nostra società, in questi ultimi decenni, è andata sempre più sviluppando una concezione della vita priva dell'evento della morte. La morte è diventata sempre più una "cosa" insopportabile e pertanto eliminata dallo sfondo della realtà della vita. Da un lato, se gli attuali trattamenti medici hanno determinato un rallentamento dei processi patologici ed un prolungamento della fase del morire, dall'altro la cultura contemporanea si

Page 66: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

ossessiona a negare la morte. Ph. Aries, a tal proposito, parla di "morte espulsa"; con tale concetto l'autore ritiene che nella società odierna al pensiero della morte sia riservato uno spazio ridotto. Compiendo passi a ritroso lo stesso autore, grazie ad un'analisi storica, giunge alla deduzione che in ogni epoca l'uomo abbia avuto un rapporto del tutto specifico con la morte. L'autore, infatti, identifica altre tre tipologie di morte: la "morte di te" che descrive il sentimento romantico, la "morte di sé" che si riferisce all'uomo rinascimentale ed infine la "morte addomesticata" che caratterizza il sentimento dell'uomo medioevale. Da alcune testimonianze, sembra che l'uomo medievale non abbia avuto una visione drammatica della morte, poiché essa era considerata un evento naturale che poneva fine alle sofferenze e fatiche della vita terrena. La particolarità risiede proprio nel fatto che la morte avveniva in un contesto domestico ed attorniato da propri familiari. Con la nascita della cultura rinascimentale la morte, rappresentando la perdita e la dissoluzione della realtà individuale, assume un aspetto drammatico; ad essa segue il sentimento romantico che concepisce la morte come un'evasione dalla realtà, quale fonte di sofferenza e sacrifici sino ad arrivare all'epoca contemporanea Forse i progressi della scienza medica e della tecnologia delle strumentazioni medicali hanno fatto nascere ed accrescere, negli uomini d'oggi, una specie di speranza nell'immortalità del corpo, mentre per contro si è affievolita la credenza nell'immortalità dell'anima e la credenza dell'immortalità della specie. I nostri nonni invece spesso ci ricordavano, quando eravamo bambini, che tutti noi siamo di passaggio, chiamati a riseminare la vita e a perpetrarla. Oggi, spinti da un'immane paura e con la fiducia che abbiamo riposto nella medicina, ci siamo illusi e quasi convinti, anche se a torto, che la morte non è inevitabile e nel frattempo l'abbiamo anche tolta dal nostro campo di coscienza abituale. La vita media, nonostante si sia allungata e probabilmente si allungherà ancora, non raggiungerà mai l'immortalità del corpo. La suddetta premessa sembra porre le basi per un'ulteriore e più approfondita analisi del motivo, per questo si tende a rifiutare la morte. Uno dei fattori più importanti è dato dagli aspetti culturali poiché in ogni cultura la morte assume un particolare significato. Rilevante è la testimonianza di ciò che accade nell'entroterra cinese, cultura in cui la primogenita femmina a volte è uccisa dalla madre, in quanto il primogenito deve essere necessariamente maschio; in occidente invece, la morte di un bambino suscita un profondo dolore e ciò al di là che sia femmina o maschio. Un ulteriore fattore è costituito dall'istinto della sopravvivenza. Per definizione è irrazionale e sostenuto da una fortissima energia ed è volto a soddisfare uno dei bisogni fondamentali. Anche la percezione del dolore sembra soffrire di influenza specifica e peculiare in ogni singola persona: ognuno vive una propria sofferenza poiché il dolore non è quello che oggettivamente stabilisce un operatore sanitario, ma è quello che soggettivamente vive e trasmette la persona sofferente. Qualsiasi culto religioso inoltre attribuisce alla morte, così come alla nascita, un valore di sacralità, riservando alla vita dell'aldilà un profondo significato 4.3. La percezione della morte Il modo con cui la morte è percepita dipende in generale da alcuni fattori quali: - l'età: la valutazione della morte di una persona, a livello popolare, spesso si basa su considerazioni relative all'età, secondo le quali vi sarebbe una maggiore comprensione e rassegnazione se la persona morente è anziana, mentre una minore comprensione e una maggior rabbia se la persona in questione è giovane, sia essa un bambino o un giovane adulto.

Page 67: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

- lo stato di salute prima della morte è una seconda variabile, perché quando muore un anziano, che non ha mai sofferto di una malattia prima di morire, suscita un senso di ingiustizia fra gli amici e i parenti. Non ci sì da ragione, così come, di fronte ad un bambino è molto sofferente, anche una madre arriva a pregare Iddio: "Dio se ci sei, guarda giù e portalo via con te questo bambino". Quindi se da un lato l'età è una variabile, anche la condizione di benessere\sofferenza incide enormemente sull'accettazione o meno della morte. S'invoca la morte per chi è altamente sofferente, morte come fine della sofferenza, come cosa giusta. A volte abbiamo sentito alcuni parenti dire, dopo il decesso del proprio caro: " finalmente è morto, non ne potevamo più di vederlo soffrire". - I vissuti personali e gli orientamenti di pensiero sono ulteriori variabili che agiscono sul nostro modo di percepire la nostra morte e quella altrui. Uno dei fattori più importanti secondo Elisabeth Kubler Ross, è che oggi il morire è diventato più "duro", più spaventoso proprio perché l'evento si è disumanizzato, è diventato più gelido, meccanico, in una disperata solitudine. L'ammalato grave spesso, in ospedale, non è più una persona ed inesorabilmente è trattato come una cosa. Si prendono decisioni senza il suo parere; gli sono somministrate senza il suo consenso medicine, trasfusioni, interventi, collegamenti a macchine, ed il tutto senza mai minimamente rivolgere l'attenzione a quali siano i suoi desideri. Il morente avrebbe voglia di lottare contro questo modo di fare, ma avverte che sarebbe una lotta inutile in quanto il tutto rientra in una battaglia per la sua vita. Il morente è spesso abbandonato nel suo aspetto umano. Quali sono stati e quali sono i fattori sociali che contribuiscono ad una crescente paura nei confronti della morte? Sempre secondo E. Kubler Ross è avvenuto anche uno spostamento di interesse a livello culturale-sociale, dall'individuo alla massa, una spersonalizzazione e per contro una "massificazione" in tutti i fenomeni della vita. Così anche la morte diventa non più "morte individuale", ma la possibilità di "morte di massa". La distruzione può giungere improvvisamente dai cieli e distruggere migliaia di persone. La scienza e la tecnologia hanno sempre contribuito ad una sempre maggior paura della distruzione e quindi alla paura della "fine del mondo". E' chiaro allora che l'uomo cerchi di difendersi sempre di più e non potendolo farlo fisicamente aumenta le proprie difese psicologiche. Il rifiuto psicologico della morte però è una difesa che tiene fino ad un certo punto; l'uomo non può pretendere di essere totalmente sicuro dalla morte. Allora non riuscendo a negare la morte oltre un certo limite cerca di dominarla con atteggiamenti psicologici vari: "anche per questa volta è toccato ad un altro e non a me!" E. Kubler Ross si chiede se forse l'azione umana di aggressività, di attacco, di distruzione di altre persone, usando l'identità di un gruppo o nazione (attacchi terroristici, ritorsioni militari) non esprima altro che la paura di essere distrutti e cioè uno strano modo di affrontare la morte, di viverla, di venirne fuori vivi e negare così la propria mortalità. 4.4. Il rifiuto dell'inevitabilità della morte nelle nostre famiglie. Attualmente i familiari per i loro congiunti che si trovano nella fase terminale della vita, reclamano un interessamento da parte degli operatori sanitari, nell'intento di affrontare l'evento morte. L'uomo nello sforzo di adattamento al processo del morire, ha bisogno però del suo ambiente familiare e sociale. La famiglia in sostanza tende a delegare, anche se il morente desidera andare a morire a casa propria, ciò nella maggioranza dei casi. Solo in alcuni casi, là dove esistono situazioni familiari disastrose, il morente preferisce il ricovero ospedaliero rispetto la propria casa.

Page 68: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Altre persone morenti, ma ancora molto speranzose e lontane dall'idea del morire, desiderano, in una prima fase, farsi ricoverare, in quanto l'ospedale rappresenta un luogo di sicurezza nel quale operano persone competenti. Di fatto, vediamo che la maggioranza, man mano che questo processo del morire avanza, tende a desiderare il ritorno a casa propria fra i propri odori e profumi, le proprie immagini sacre, le proprie abitudini, i propri cari e i propri ricordi. E' oramai riconosciuto che se si consente ad un ammalato di terminare la propria vita terrena nel proprio ambiente familiare gli si richiede uno sforzo di adattamento minore. Molto spesso, invece la famiglia, pur riconoscendo l'importanza di mantenere il proprio caro nell'ambiente a lui familiare, di fronte alle innumerevoli problematiche correlate alla cura e all'assistenza domiciliare preferisce ricorrere all'ospedalizzazione. Probabilmente ciò si potrebbe imputare al fatto che la famiglia, quale gruppo di persone legate non soltanto da vincoli di sangue ma anche da vincoli ideali o affettivi, ha perso le sue tradizionali funzioni millenarie, quali: - la funzione biologica-riproduttiva: da cinque figli, che in media nasceva nel Friuli Venezia Giulia cento anni fa, oggi ne nasce soltanto 0,8 per famiglia; - la funzione socializzante; - la funzione ricreativa; - la funzione religiosa; - la funzione politica; - la funzione educativa: considerato che attualmente entrambi i genitori sono impegnati nel mondo del lavoro si tende a delegare ad altri, specie alle istituzioni scolastiche, l'educazione del proprio figlio; - la funzione economica: la gente spesso, di fronte ad un parente morente afferma "abbiamo un appartamento piccolo", oppure " in casa abbiamo dei bambini", o ancora " dobbiamo lavorare", espressioni che mostrano come uno strumento per vivere diventi un valore di vita - la funzione assistenziale: in base alla quale si nasce, ci si fa curare e si muore in ospedale. Le famiglie, infatti, nella maggioranza dei casi delegano le proprie funzioni assistenziali all'ospedale o alle case di riposo. Da un'indagine condotta da me personalmente presso il Centro di Riferimento Oncologico di Aviano nel 199... è emerso che: il 75 % degli italiani ammalati di cancro, vuole conoscere la propria diagnosi, da uno a sei mesi dall'ingresso al Centro; ciò significa che si ha un tempo di adattamento alla verità lungo, sofferto e stressante. Il 22% di essi invece non la vorrà mai conoscere, e se gliela comunichiamo, la metà degli utenti, l'11%, la negherà con meccanismi di difesa inadeguati, l'altro 11% morirà prima nell'angoscia e disperazione. Solo il 3% degli italiani vuole conoscere la diagnosi subito, o entro il primo mese dalla visita o dal ricovero. Solitamente si tratta di persone caratterizzate da una personalità molto strutturata, persone con le quali si sta bene in compagnia, persone che rassicurano gli altri, malgrado siano loro gli ammalati. Questo studio ci ha confermato un altro dato, cioè che gli operatori della sanità, nonostante i loro studi, sono, prima di tutto, culturalmente i prodotti della società di appartenenza. Per cui il loro modo di essere non rispecchia altro che quello della propria gente. Gli Infermieri e\o i medici neo assunti ed operanti presso il reparto di Oncologia Medica non cambiano il loro comportamento rispetto alla gente comune di fronte il problema cancro. Il 75% di essi si inserisce nel lavoro nella Divisione di Oncologia Medica in un periodo che oscilla da uno a sei mesi, il che non significa sapere soltanto dove sono reperibili siringhe, cartelle cliniche o conoscere le regole del reparto, ma significa affrontare una realtà che pone quotidianamente dinanzi all'ammalato di cancro e che necessita dello stabilirsi di un'interazione a faccia a faccia.

Page 69: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Il 22% degli operatori dichiara inoltre di non riuscire a lavorare in questo reparto, mentre l'11% di essi, cioè uno su dieci, cambierà ospedale, specialità, e il restante 11% supererà tutti i suoi problemi, ma dopo un lungo periodo di sofferenza, che va oltre i sei mesi, attraverso pianti in solitudine, voglia di scappare, di abbandonare tutto, aumento delle influenze, dei disturbi intestinali e mestruali. Purtroppo solo il 3% degli operatori è pronto a far la notte dopo una settimana di lavoro, ma non perché sappia fare le punture o visitare meglio degli altri, ma perché non ha paura di trovarsi a faccia a faccia con l'ammalato di cancro, il morente, il metastatico o il dolorante. Da quanto esposto si rende evidente come ai medici ed agli infermieri manchi una competenza che vada al di là del puro nozionismo, quella competenza che estrinseca nella capacità di "guardarsi dentro" e "guardare l'altro" con un rinnovato interesse al fine di stabilire rapporti lavorativi più soddisfacenti. 4.5. I familiari di fronte al loro congiunto che muore. La famiglia ha un ruolo importante per tutto il tempo della malattia del congiunto e le sue reazioni contribuiranno molto all'atteggiamento che il malato assumerà come reazione nel processo del mo-rire. Aiutare il malato in questo processo significa includere anche la sua famiglia. Nella famiglia e nell'atmosfera di casa, possono inoltre avvenire cambiamenti anche drammatici, aggravando così la situazione. Oggi giorno la famiglia in genere è composta da marito, moglie, uno o due, tre figli. La malattia ed il ricovero di uno dei genitori può provocare notevoli cambiamenti, cui l'altro deve adat-tarsi. Preoccupazioni, pensieri e dolore per il coniuge ammalato, maggior lavoro e responsabilità e con tutto questo aumenta anche la solitudine e molte volte il risentimento. Le più comuni difficoltà dell’intera famiglia, intesa come sistema, si trova a dover affrontare sono: l'interruzione della comunicazione, l'isolamento, la rivalutazione dei ruoli e spesso un profondo senso di smarrimento. Queste difficoltà non sono superate se la famiglia non ha chiare ed adeguate informazioni sulla diagnosi e sulla prognosi e se non si ritaglia uno spazio ed un tempo psicologico all'interno del quale dar voce alle proprie emozioni. Spesso i familiari trattengono ogni tipo di risposta emotiva, specie quelle negative poiché temono che potrebbero suscitare angoscia sia in se stessi sia nel caro malato. Non creandosi, quindi la possibilità di un'esternalizzazione dei propri vissuti, il grande dolore non è condiviso e ciò potrebbe condurre all'isolamento sociale e all'interruzione della comunicazione.E' proprio in tale situazione che s'inserisce la figura professionale dello psicologo, il quale grazie a specifici processi comunicativi sia verbali e non verbali, consente lo "sfogo" dei sentimenti, accetta la collera e il dolore senza tentare di evitarli, minimizzarli o giudicarli, analizza e scompone la situazione offrendo un conforto umano ed un sostegno psicologico. Un aiuto può venire anche da una persona esterna alla famiglia che dia l'occasione ai membri di esprimere i loro sentimenti, aiutandoli anche a trovare qualcuno che saltuariamente li sostituisca in questo peso, permettendo loro ogni tanto delle brevi interruzioni. Riteniamo non giusta una pretesa, da parte sociale, della presenza costante nella situazione critica di ogni membro della famiglia. An-che per il malato è meglio vedere che la sua malattia non sconvolga completamente la famiglia. Co-me egli non può pensare continuamente alla morte, così il familiare non può e non deve escludere ogni altra interazione per stare esclusivamente con il malato. I bisogni della famiglia cambiano dall'inizio della malattia in poi e continuano sotto varie forme per molto tempo ancora dopo la morte. Pertanto i familiari dovrebbero distribuire le loro energie e non consumarle brevemente in eccessivi sforzi, tanto da avere un crollo proprio quando saranno più necessari. In genere è uno dei coniugi che viene informato della gravità della malattia, lasciando a lui la decisione se convenga

Page 70: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

parlarne al malato, quanto si possa dire a lui, e agli altri membri della famiglia, ai figli, ecc. e questo è forse il compito più difficile. Come si svilupperà questa situazione cruciale, dipende molto dalla capacità dei familiari di comuni-care tra loro, dalla struttura e dall'Unità di una data famiglia. Può essere di grande aiuto un interven-to esterno, neutrale sul piano affettivo, che sa ascoltare le preoccupazioni, i desideri, le necessità della famiglia. Ci sono anche delle necessità di ordine pratico, quale organizzare l'assistenza temporanea o perma-nente dei bambini, risolvere determinati problemi economici, legali, ecc., necessità che continuano anche dopo la morte del malato. Molti di questi problemi si possono ridurre discutendone prima della morte del familiare. Purtroppo invece si ha la tendenza a nascondere i sentimenti al malato, si cerca di mantenere un viso sorridente e un'apparenza di buonumore. A volte è la persona in fin di vita che aiuta i suoi parenti, stimolandoli ad affrontare la sua morte, condividendo alcuni dei suoi pensieri e sentimenti con i membri della famiglia per aiutarli a fare lo stesso. Uno fra i sentimenti più penosi che vivono i familiari è forse il senso di colpa. Il senso di colpa in-sorge perché in realtà i parenti hanno avuto del risentimento verso la persona che muore. Un gran numero di vedove e di vedovi visitati da medici privati o in ospedale presentano sintomi somatici che sono il frutto di un non superamento del dolore e del senso di colpa. Se fossero stati aiutati prima della morte del loro compagno a superare l'abisso esistente fra loro stessi ed il morente, avrebbero superato per metà il processo di lutto. I familiari passano attraverso diverse fasi di adattamento simili a quelle descritte per il malato mo-rente. Molti inizialmente rifiutano il fatto che ci sia una malattia del genere in famiglia e passano da un dottore ad un altro nella speranza di sentire che la diagnosi era sbagliata. Quando il malato attraverserà la fase della collera, anche la famiglia esperimenterà la stessa reazio-ne emotiva. I familiari saranno arrabbiati con il medico che ha esaminato il malato per primo e non ha fatto una diagnosi esatta o con il medico che li ha posti di fronte alla triste realtà. Poi saranno arrabbiati con il personale ospedaliero che non si prende cura abbastanza ecc. C'è sempre un grande senso di colpa e il desiderio di compensare le mancanze commesse nel passato. Quando la collera, il risentimento, il senso di colpa saranno superati la famiglia attraverserà la fase di preparazione al doloroso evento, proprio come la persona morente. Se possiamo aiutare il parente ad esprimere tutte queste emozioni prima della morte della persona cara, più il dolore può essere espresso prima della morte, più il familiare si sentirà liberato e tanto meno insopportabile sarà dopo. Se i membri di una famiglia possono comunicarsi le loro emozioni, affronteranno gradualmente la realtà della imminente separazione e giungeranno ad accettarla insieme. Il periodo più straziante per i familiari è la fase finale, quando il malato si distacca lentamente dal suo mondo, famiglia compresa. I familiari non comprendono che un uomo morente, che ha trovato la pace ed ha accettato la sua morte, dovrà poco a poco separarsi dal suo ambiente, comprese le persone più care. Essi interpretano questo distacco come un rifiuto e molto spesso reagiscono dram-maticamente. Si può essere di grande aiuto ai familiari aiutandoli a capire che soltanto i malati che hanno affrontato l'idea di morire, sono in grado di distaccarsi lentamente e in pace in questo modo, e ciò dovrebbe essere una fonte di sollievo e non di dolore e risentimento. Dall'altro lato diventa difficile per i malati affrontare la morte imminente quando la famiglia non è pronta a "lasciarli andare" e implicitamente o no, impedisce loro il distacco dagli agganci umani. I primi giorni dopo la morte non sono sempre i più dolorosi. Un lieve stupore colpisce i congiunti e qualche banale motivo di consolazione attenua il dispiacere. La tensione nervosa, tuttavia, è grande. Poi rapidamente si crea nel congiunto un senso di solitudi-ne, che gli ricorda il defunto, e il peso di un dolore che crede incurabile. Comincia il "travaglio del lutto".

Page 71: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Bisogna che l'individuo provato integri nella sua personalità il fatto che l'altro, con il quale aveva rapporti affettivi stretti, dal quale forse dipendeva, non è più. Questa assimilazione esige un certo tempo. E' bene in questa fase favorire la ripresa del lavoro, o comunque di un'attività. Infine la terza fase, quella del riadattamento, è più o meno facile, più o meno rapida. Per alcuni la "metabolizzazione del lutto termina rapidamente, per altri, con esasperante lentezza. Talvolta al lutto dei sopravvissuti si accompagnano difficoltà di ordine materiale: sistemazione delle spese relative alla malattia e alle esequie, liquidazione di una pensione e spesso liti tra eredi. L'osservazione che, la perdita di un proprio caro comporta una fase di angoscia acuta ed una disorganizzazione sia psicologica sia sociale, ha portato ad esaminare quali aiuti ed interventi professionali potrebbero essere offerti in queste difficili situazioni. E' stato dimostrato che un'assistenza appropriata, offerta al momento di insorgenza del lutto facilita un miglior recupero rispetto a coloro che non ricevono alcun tipo di assistenza. Un intervento professionale è necessario qualora le risorse personali o sociali del familiare siano insufficienti per superare positivamente il lutto o qualora i congiunti manifestino delle reazioni atipiche al lutto sia quando il dolore è inibito, cronico o ritardato. Il lutto, essendo un'esperienza sia intrapsichica sia sociale, comporta la distruzione della realtà della vita quotidiana, un'attenuazione del suo significato ed una minaccia per l'identità personale. E’ utile che il processo d'elaborazione del lutto sia considerato in termini di costruzione di una nuova realtà sociale e attribuzione di un nuovo significato. Trovare un significato nuovo vuol dire aiutare il congiunto a dare un valore a ciò che sta accadendo; accettando le sue emozioni e guidarlo ad affrontarle. Si auspica quindi che l'individuo nel corso del lutto possa riconoscere ed accettare la realtà della perdita, distaccarsi dalla persona defunta, fronteggiare la distruzione della quotidianità e del suo significato ed infine intrecciare nuove relazioni e costruire nuovi significati. 4.6. La morte come tabù anche per gli operatori sanitari L'atteggiamento di rifiuto della morte da parte della società si riversa anche nell'ambito della pro-fessione medica ed infermieristica determinando una situazione paradossale, in quanto sono profes-sioni che obbligano, coloro che le esercitano, ad affrontare continuamente i problemi del malato morente. Nelle situazioni di vita normale, quando si parla di morte e dell'esperienza di morte questa è sempre riferita a quella degli altri e mai alla propria. Il verbo morire viene coniugato alla terza persona: "Egli è morto". Si parla di una morte astratta ed anonima. Quella cui si accosta il medico e l'infermiera non può essere mai una Morte anonima; è sempre la morte di qualcuno con cui si è in relazione. Con l'arrivo della morte non c'è più il classico rapporto unidirezionale che vede il medico attivo da un lato e il malato passivo dall'altro, ma un rapporto tra due individui di fronte la morte. Ognuno dei due "attori" reagisce come individuo influenzando profondamente la relazione tra il medico e il malato. D'altro canto i medici sono addestrati ad intervenire attivamente "adesso e subito" utilizzando abilità pratiche e conoscenze, mentre venire a contatto col morente significa impegnarsi in un ascolto attivo, cercando di capire quello che la persona vuole comunicare. Gli operatori sanitari devono rendersi conto di come i morenti vivono la loro esperienza della morte. A volte in Ospedale l'utente non è più una persona, ma un organo malato e il paziente terminale una cosa senza interesse.

Page 72: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Finché c'è un interesse al caso clinico, si prendono decisioni, si somministrano farmaci, si mobilitano le diagnostiche, si attuano interventi e si collegano macchine, poi, quando si riscontra che clinicamente non c'è più niente da fare ogni interesse scompare e si abbandona il caso. Tutto ciò rappresenta un messaggio chiaro ed inequivocabile per il paziente. Le reazioni degli operatori sanitari dipendono dal grado di maturità personale: accettazione, passi-vità, oppure irritazione, aggressività a volte scaricata sul malato, umiliazione, negazione di una real-tà troppo penosa per il suo amor proprio, inquietudine di fronte alle responsabilità che dovrà assu-mersi. Gli operatori sanitari sanno che hanno esaurito ogni possibile risorsa della loro professione, cioè le possibilità tecniche, non le possibilità della loro arte. Essi sono più che dei tecnici, ed è forse pro-prio al letto del moribondo, che privato di ogni possibilità di intervento di ordine tecnico-farmaco-logico, essi comprendono fino a quale punto, la loro personalità, il loro modo di comportarsi, rive-stano un ruolo terapeutico per il malato. Hanno di fronte al morente un potere benefico illimitato: quello della loro cordialità o del loro affetto. Nella pratica clinica si nota una grande differenza nel comportamento dei vari operatori, differenza che come abbiamo detto dipende dal grado di maturità emotiva e di formazione psicologica. Questi stati psicologici possono venire mitigati, oltre che da interventi più diretti, anche da un apprendi-mento per imitazione, cioè dall'esempio di medici e infermiere emotivamente più maturi che dimo-strano un'assistenza più razionale ed umana al malato morente. In ogni caso la maturazione emotiva più profonda che deve avvenire in ciascuna infermiera profes-sionale passa prima attraverso l'autoanalisi che porta alla scoperta delle ragioni per questo sono messi in atto certi meccanismi di difesa, poi imparando ad analizzare ed affrontare le emozioni e i conflitti presenti. Quando invece, purtroppo, medici ed infermiere non hanno la maturità psicologi-ca richiesta, non hanno rielaborato dentro di sé il rigetto della morte, sono messi in atto una serie di comportamenti, quali il distacco emotivo, la rigidità e il ritiro, l'indifferenza o l'accanimento terapeutico, che tendono ad isolare il malato: a) in senso fisico: (stanza appartata, invio in altri reparti, ecc.) b) in senso di una riduzione di contatti: (minimo scambio di idee, minino dialogo, evitamento,

ecc.). Tutti questi comportamenti hanno un unico scopo, ossia quello di non entrare in relazione e comu-nicare con il malato. Si teme il dialogo perché esso è difficile in quanto presuppone che l'infermiera sappia con certezza se il malato ha capito di essere alla fine. Ricordiamo che molti malati cui si è nascosta la verità, l'hanno appresa per altre vie ed essi mantengono la finzione. Si finge e si mente da tutte le parti: i familiari, i medici e le infermiere, il malato. Come può instaurarsi allora un dialogo che richiede uno sforzo continuo di menzogna e di finzione? Un'altra difficoltà consiste nel comprendere quale fase il malato attraversa in quel momento, E' difficile parlargli se non si comprende il suo stato d'animo, difficoltà che pone l’accento un problema sottostante ben più serio: l'incompletezza della preparazione clinica. Quando si rifiuta la relazione, si tratta il malato come se fosse già morto. E' come se si volesse creare anticipatamente una separazione mentre egli non ci ha ancora lasciati evocando il cosiddetto "lutto anticipatorio". Questo atteggiamento di difesa del medico, dell'infermiera, e dei familiari stessi viene percepito dai malati. Il malato percepisce tutto questo a un diverso livello di comunicazione: egli comprende che la di-sperazione aumenta nei suoi confronti, sente il vuoto che si crea attorno a lui, e in lui aumenta sem-pre più l'angoscia e la sensazione di essere abbandonato. A qualsiasi età, con l'approssimarsi della morte si sviluppa nel morente un intenso bisogno di avere sempre vicino una persona che sia disponibile ad aiutarlo o a parlare. E' importante che colui che

Page 73: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

assiste il morente sia consapevole di ciò e sia comprenda come anche le sue paure, le sue ansie, angosce possano interferire nel rapporto con il morente. Come ho già più volte accennato, i malati prossimi alla morte si devono confrontare con problemi sempre diversi perché diverse sono le fasi del processo, pertanto, colui che assiste, intervenendo in una fase, piuttosto che in un'altra, potrà fornire maggiore aiuto e risultare più importante. In ultima analisi si ritiene che un valido aiuto al morente ed ai suoi familiari lo possa prestare solo colui che abbia stabilito un rapporto in qualche modo "sereno" con la propria morte. Stabilire un rapporto sereno con la morte significa integrarla nella propria vita attribuendole un significato nuovo e più sano: morte come occasione per scoprire l'unicità della vita. Concludiamo, quindi sottolineando l'importanza che riveste, per gli operatori in campo sanitario, una preparazione adeguata nel settore dell'assistenza ai morenti, prevedendo dei momenti di discussione e chiarificazione dei sentimenti ed emozioni che la morte suscita, per giungere all'individuazione di una modalità adeguata di porsi nei confronti della morte. Ciò potrebbe essere attuato mediante i Gruppi Balint, nei quali lo scopo principale è di approfondire il rapporto medico-paziente attraverso la discussione dei casi clinici. In tali gruppi è valutato non tanto l'aspetto tecnico della diagnosi e delle terapie, quanto il malato inteso come individuo inscindibile dal proprio sistema familiare e sociale. Soffermandosi sui dettagli più espressivi della relazione medico-paziente è possibile mettere in luce le sensazioni, le emozioni e i pensieri del gruppo, al fine di porli in sintonia con quelli del malato e quelli di altri operatori. All'interno dei Gruppi Balint potrebbe essere inoltre rendersi necessaria la presenza dello psicologo il quale, da un lato, fungerebbe da stimolo al riconoscimento dei vissuti emotivi intra e interpsichici, connessi all'angoscia di morte, e dall'altro faciliterebbe la comunicazione col malato, la comunicazione intra-équipe e quella tra équipe diverse. Si auspica inoltre che la morte, culturalmente sia considerata come nel passato una fase naturale della vita alla quale ci si deve preparare durante l'esistenza stessa. Si eviterà in tal modo di attirare i malati prossimi alla morte, nell'ambito di realtà proprio di coloro che assistono, realtà costituita di ansie, paure, angosce e lutto. Solo così si potrà venire incontro ai bisogni del morente piuttosto che ai propri bisogni mascherati dietro un interessamento per la malattia. Si passa così ad un interessa-mento a problematiche umane più ampie, e ad una condivisione dell'esperienza di morte, importante sia per colui sia è prossimo a morire, che per tutti coloro che gli sopravviveranno. 4.7. Il vissuto della morte tra i nostri padri La nostra società nasconde la morte mentre in tempi non remoti era sempre prevista ed intensamente vissuta dalla comunità. Le nostre nonne, quando qualcuno moriva ci dicevano: "beato lui che ha finito di soffrire". Ponevano il deceduto su un livello superiore e privilegiato. Contemporaneamente a loro anche Ungaretti nella poesia "IlCarso" scrisse: "la morte si sconta vivendo". Oggi è più facile vivere, ma è difficile esistere, mentre in passato era sicuramente per molti difficile vivere per carestie, miseria, emigrazione. Il morire era visto come la fine della sofferenza terrena. I nostri padri quindi non avevano paura della morte, anzi la morte li innalzava. Erano semmai timorati della morte intesa come abbandono da Dio.

Page 74: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

E' interessante esaminare il concetto cristiano. �I cristiani e la morte: I cristiani e la morte: �a) morte come conseguenza del peccato a) morte come conseguenza del peccato b) il peccatore è colui che ama il peccato c) la redenzione dell'uomo c’è donata da Cristo d) Cristo è il modello della nostra resurrezione S. Carlo definì la morte come un “angelo con le chiavi d'oro” per entrare in Paradiso. S. Francesco nel Cantico delle Creature scrisse:....."nostra sorella morte"..... In molti popoli la morte poteva essere spettacolare ed eroica, esempio in battaglia o per salvare altre persone. I nostri padri avevano paura di morire macchiati dal peccato. I giovani cristiani d'oggi sostengono che mentre siamo confinati, rinchiusi e impediti nella scatola del corpo, ignoriamo come liberare lo spirito che abita nel corpo e come innalzarci al di sopra di esso. Trova allora significato la domanda: "come possiamo prepararci a compiere la traversata fino all'altra riva?" Questo quesito sfida la nostra capacità di comprensione per questo è facile sentirsi frustrati e senza aiuto. Si può affermare che i Sacerdoti di tutte le religioni predicano: "colui, che conosce la verità, conosce dov'è la luce e conosce l'eternità; la verità vi farà liberi dai rimorsi del passato, dalla paura del presente e dal terrore della morte. Tutti i Maestri delle epoche passate ci hanno detto all'unisono di guardarci interiormente. Per essi la vita e la morte non sono che parole, ed entrambi non sono che gli aspetti superficiali dell'essere più profondo, interiore. I cristiani sostengono che: è nella carne (la forma di argilla) e attraverso la carne (la parola fatta carne) che noi giungiamo a colui che è al di là della carne, la verità. Coloro che hanno conseguito la sapienza della dottrina interiore conoscono queste cose. Morte e immortalità appartengono entrambi alla natura di tutto ciò che esiste, tutto ciò che unisce in sé materia e spirito. Un contatto con la realtà ci rende reali al di là di ogni relatività e l'uomo è subito trasformato in spirito immortale, sciogliendo il nodo fra la materia inerte e l'anima vivente. La morte non è quel che sembra, la morte è una rinascita gioiosa in una vita più beatificata.

Page 75: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Però la salvezza, sostengono sempre i cristiani, perché sia reale, deve essere ottenuta ora e qui.

Page 76: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel
Page 77: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel
Page 78: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel
Page 79: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

4.8. La morte nel processo evolutivo dell'uomo

Page 80: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

�La vita è un processo continuo che si svolge attraverso milioni di anni.

Page 81: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel
Page 82: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Milioni di specie si sono formate e sono scomparse portando il loro contributo a forme di vita sempre più complesse. Noi siamo legati tra passato e futuro e siamo partecipi, per il bene e per il male, in un processo che cambia continuamente. Consapevoli di questo, a cui noi partecipiamo, ne deriva un gran motivo di soddisfazione, e la nostra vita non ci appare più come un evento isolato, ma parte di un processo continuo che determina l'immortalità della specie umana.

odo tale che colui che leggesse potesse acquisire

he si vivono si divulgano divenendo i gradini della grande scala

. ma tutto si trasforma.

della reincarnazione, passerà in un altro corpo e vivrà ancora,

4.10. Scoprire la vita scoprendo la morte.

Ecco perché si auguravano i figli maschi o si dava al figlio il nome del padre, tutto ciò per garantire la continuità della famiglia e della specie. Subito ci ritorna in mente la poesia "I Sepolcri" di Ugo Foscolo, nella quale, attraverso il "messaggio" scritto sulla lapide, la vita continuava nel ricordo dei posteri, inoltre, sempre sulla lapide si dovevano riportare le gesta e le virtù in mil tutto come in un insegnamento. Questo perché il futuro si costruisce sull’esperienza del passato. Le esperienze man mano cdell'evoluzione della specie umana. L'uomo è partecipe all’evoluzione dell'universo. L'uomo nasce, come si suole dire "quasi vuoto", con una memoria limbica. Per divenire autosufficiente, completo abbisogna di essere allevato, formato, protetto e sostenuto per molti anni, contrariamente a molte altre specie animali. L'animale spesso in poco tempo è già autosufficiente e in ogni modo porta con sé automaticamente tutti i segni distintivi della sua specie, anche se non dovesse vivere al fianco dei suoi simili L'uomo invece non ha tutto questo e per divenire uomo ha bisogno, più di qualunque altro animale, del contatto con la sua specie. Detto ciò si vuole rilevare quanto per l'uomo sia importante l'acquisizione dagli altri, presenti o passati, delle esperienze vissute per mantenere il livello culturale raggiunto fino ad oggi o meglio per superarlo rendendosi portatore della staffetta, per le generazioni che verranno e sicuramente per non tornare all'epoca della clava. Il futuro è interdipendente col passato e l'uomo è legato tra il passato e il futuro. L'uomo allora è inteso come l'anello biologico e culturale di quella catena denominata "specie umana". Sopra un ossario del XVII° secolo abbiamo letto: "quello che siamo noi sarete voi e chi si dimentica di noi dimentica se stesso", Milano piazza Aquileia 4.9. Riflessioni personali Nel Regno dei Cieli non ci sono né l'interminabile catena di causa effetto, ne spazio o tempo. Lì le comunicazioni avvengono attraverso onde di pensiero o variazioni eteriche. Esiste solo la vita al di là delle ombre passeggere di tutto ciò che è transitorio e ad ogni passo essa ingoia tutto. Così è risolto il problema della "vita" e della "morte". Noi ci sbarazziamo della veste fisica del corpo per operare in altri corpi: fisico, astrale o causale e ascendere alla realizzazione della nostra natura Divina e vedere la nostra unità in Dio. Nella legge cosmica tutte le "cose" si muovono in cerchio e tutte le "cose" sono eterneNulla si crea e nulla si distrugge, Come l'anima rivestita da questo corpo vive gli stadi d'infanzia, giovinezza, maturità e vecchiaia. Così essa a tempo debito, nel giornosi muoverà e reciterà la sua parte. Non c'è alba senza tramonto.

Page 83: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Se tutti noi meditassimo sulla possibilità della nostra morte potremmo fare molte cose: aiutare gli altri ed ottenere la pace interiore e la pace con gli altri. La morte dà significato alla vita, ma affinché avvenga questo dobbiamo accettare la realtà della

ioni più care sono temporanee.

si comporta nella sua vita, nella sua esistenza come se questa i, futuri,

cun uomo, pur nella consapevolezza della

da gli altri, ma soltanto lui.

ato ad accettare la morte noi non saremo pienamente viventi: considerare

o tale

morte, possiamo però cercare di dominarla, paradossalmente sfidandola, vivendola in determinate

morte. Secondo Ernest Morgan, nella nostra cultura ci sono due concetti centrali concernenti la morte, dai quali ne esce uno spettro filosofico terrificante che ci fa allontanare da qualsiasi idea riguardante la nostra morte. Secondo tale autore: a) ciascun uomo, a livello razionale, sa ed è consapevole che la vita individuale è breve e che le nostre relazA livello emozionale però nega tutto ciò e sul piano affettivo nasce l'illusione che la propria vita non abbia un termine. b) ciascun uomo sperimenta, vive e fosse un evento isolato dalla vita e dall'esistenza di tutti gli uomini passati, presentdall'esistenza cioè della Natura e dell'Universo. Considerando contemporaneamente i due aspetti, ciasbrevità della sua vita, sul piano emozionale vive la sua esistenza come un fatto assoluto, centrale ed unico nell'universo e che non riguarMentre la realtà è che le nostre vite individuali sono la porta di un tutto molto più grande, come i fili di un vasto e continuo tessuto. I nostri pensieri, le nostre conoscenze, i nostri sentimenti, le nostre abitudini e costumi sono parte di un'ampia e notevole continuità della Natura e dell'Uomo. Anche la nostra struttura biologica fa parte della più ampia e durevole struttura biologica della Vita. Noi non siamo isolati dal genere umano e dalla natura! Ma per comprendere questa verità dobbiamo incominciare ad accettare la morte Finché non avremo imparche veramente dovremo morire, fermiamoci un momento e meditiamo su questo. 4.11. Il malato ed i suoi atteggiamenti davanti alla morte La teoria sulla morte e sul morente di Kubler-Ross rappresenta il modello teorico di riferimento maggiormente conosciuto. Mentre altre teorie, come ad esempio quelle formulate da Glaser e Strauss e da Pattison si focalizzano sulla consapevolezza della morte e sulle sue traiettorie, la teoria di Kubler-Ross pone al centro dell'interesse la persona morente. Il malato terminale, secondmodello esperirebbe delle specifiche reazioni emotive quali: - il rifiuto - la collera - il compromesso - la depressione - l'accettazione Non sempre questa successione è rispettata in tutte le sue parti ed inoltre non tutti i pazienti la percorrono nella sequenza sopra indicata. Esaminiamo ora ogni specifica reazione emotiva: 1) Il Rifiuto Abbiamo avuto già modo di parlare di come la cultura tecnologica abbia contribuito ad una sempre maggior paura della distruzione e quindi alla paura della morte. Di conseguenza, l'uomo è stato al-lora costretto ad aumentare sempre di più le sue difese psicologiche. Se noi non possiamo evitare la

Page 84: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

circostanze. Spesso, infatti, ci diciamo: "è toccata ad un altro, non a me, io ce l'ho fatta". Psicologi-camente si può rifiutare per un po' di tempo la realtà della propria morte personale, ma molto me-

, c'è in quasi tutti i malati, non solo durante la prima fase della malat-evono affrontare in pieno, ma talvolta anche successivamente.

menti quando il loro caro è in uno stato di re-spesso, non va a beneficio del

na conscia mimetizzazione della verità per proteggere i

logica che si pone il morente è: "Perché proprio io?". da affrontare sia da parte degli

i e verso il proprio Dio. Si arriva in tal modo a considerare i si astraendoli

a un contesto comunicativo. Anche le infermiere, considerati i frequenti contatti col paziente, sono equentemente bersaglio della loro rabbia e qualsiasi cosa facciano non è mai gradito a sufficienza.

ssono essere ricevuti con freddezza e con indifferenza rendendo così l'incontro

glio sarebbe prendere l'abitudine di pensare ogni tanto alla morte e al morire, prima di incontrarla nella nostra vita personale. I malati morenti intervistati dalla Kubler Ross, all'inizio reagivano alla consapevolezza di avere una malattia mortale con un forte rifiuto, affermando: "No! No!; io no! non può essere vero". Il rifiuto, anche solo parzialetia, o quando poi la dIl rifiuto ha la funzione di permettere al malato di ritrovare il coraggio e di mettere in atto con il tempo altre difese meno radicali. Ciò non significa, comunque che più tardi lo stesso malato non sia disposto e non si senta sollevato a parlare con qualcuno della morte a lui vicina. Un dialogo del ge-nere deve avvenire solo quando il malato è disposto ed è pronto ad affrontarlo. Il dialogo deve poi terminare quando il malato non può più affrontare i fatti e fa riapparire il suo precedente rifiuto. Non importa quando questo dialogo abbia luogo; può essere molto tempo prima della morte stessa, quello che conta è se il malato dimostra di desiderarlo. Anche per la famiglia è più facile discutere questi argolativo equilibrio. Non affrontare tali conversazioni con l'interessato, malato, ma è sintomo di un nostro meccanismo di difesa. Solitamente il rifiuto è una difesa temporanea tipica della fase iniziale ma a volte il malato mantiene il rifiuto sino alla fine, anche se questo capita di rado poiché in genere i malati non utilizzano tanto a lungo questa difesa. Il bisogno del rifiuto va e viene nel tempo e che necessita, da parte dell'operatore, di essere riconosciuto ed accettato come tale. La sensibilità di chi ascolta il malato al malato di difendersi senza fargli notare le contraddizioni. In un seconda momento il malato utilizza l'isolamento psicologico più del rifiuto: in tal modo potrà parlare della sua salute e della sua malattia come se fossero due gemelle che possono coesistere, guardando in faccia la morte, ma conservando la speranza di vivere. Bisogna fare molta attenzione in quanto alcune volte si tratta di un falso rifiuto o falso meccanismo inconscio di negazione, perché in realtà è upropri cari: essi fingono di star bene con coloro che non possono tollerare il pensiero della loro morte. Proprio per tal motivo, quando ci troviamo di fronte ad una persona morente dobbiamo saper esami-nare molto attentamente le nostre reazioni personali, poiché esse si rifletteranno inevitabilmente nel comportamento del morente stesso, determinando degli effetti sia in senso positivo e sia negativo. Un onesto esame di noi stessi di fronte la nostra morte potrebbe esserci di grande aiuto per la nostra crescita e la nostra maturità sia personale sia professionale. 2) La collera. Quando la prima fase di negazione che determina il rifiuto viene a meno, possono intervenire dei sentimenti di rabbia, invidia e risentimento. La domanda La fase di collera, rispetto a quella del rifiuto, è molto più difficile operatori sanitari che da parte dei familiari. Questo perché la collera è proiettata in tutte le direzioni: verso lo staff medico, verso i familiarmedici come non competenti poiché non sanno far altro che prescrivere esami o analidfrPersino i familiari po

Page 85: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

un evento penoso. Essi a volte rispondono con dolore, lacrime, senso di colpa o ancor peggio dira-dando le visite e contribuendo in tal modo ad aumentare lo sconforto e la rabbia del malato.

ettono nei ento. Probabilmente anche noi sarem-

si interrompessero prematuramente e ci rimanesse- potremmo fare se non sfogare la nostra rabbia contro la

ale sorte. più marcatamente la situazione di impo-

ina analisi fastidiose, mentre alla fine della giornata può ri-ita. La gente dice al malato di stare tranquillo perché l'ago

fuori dal letto per fare qualcosa ta a vivere.

o, troverà motivi per lamentarsi, ma lo fa soltanto perché

ione, volendo dire con questo: "sono vivo non sono ancora morto!", oppure volendo dire "aiutatemi". Il

cui viene dedicato attenzione e tempo, modificherà presto il tono di

giore, come se fosse una questione personale, si sentono giustamente legittimati a

o dice:

Purtroppo poche persone, tra quelle addette all'assistenza o tra i familiari e gli amici, si mpanni del malato e si domandano l'origine di questo risentimmo arrabbiati se tutte le attività della nostra vita ro pochi mesi o giorni di vita. Che altrogente a cui non è toccata una tLa gente che corre affaccendata ricorda al malato ancora tenza; la gente parla con i medici e ordtornarsene a casa propria e godere la vdella flebo non esca dalla vena, mentre lui avrebbe voglia di saltare e soprattutto sapere se e quanto gli resIn qualsiasi posto il malato posi lo sguardteme di essere dimenticato. Alzerà la voce, farà reclami, pretenderà maggior attenznon dimenticatelo; sentite la mia voce, malato rispettato e compreso, avoce e diminuirà i suoi reclami rabbiosi. Si sentirà un essere umano ancora prezioso, curato. Dobbiamo permettergli di sentirsi attivo e partecipe della propria storia al massimo grado possibile. Il problema è che noi, solitamente non pensiamo alle ragioni della ribellione del malato e ce la prendiamo personalmente, mentre, in realtà essa ha poco a che fare con la gente che ne diviene il bersaglio. Quando i familiari e il personale, reagendo alla collera del malato, rispondono con rab-bia ancora magsedare il comportamento ostile del malato. Essi non capiscono che spesso il movente della discus-sione è assolutamente irrilevante. E' chiaro che diventa di assoluta importanza tollerare la collera del malato, sia essa razionale o irrazionale. E questo possiamo farlo solamente se non abbiamo pau-ra e sicuramente non ponendoci sulle difensive. Si deve imparare ad ascoltare gli ammalati ed accettare anche qualche sfogo di collera, tenendo presente che il sollievo che ne deriva li aiuterà ad accettare meglio le ultime ore. Ciò è possibile solo a condizione che si abbia affrontato la propria paura della morte, i propri desideri distruttivi e si abbia coscienza delle proprie difese, che possono interferire in modo significativo sul modo in cui ci si relaziona col malato. 3) La contrattazione. Il venire a patti è un tipo di reazione molto ben evidente nei bambini. Essi esigono qualcosa e se questo qualcosa viene loro rifiutato allora lo chiedono come un favore. I bambini non possono accettare il rifiuto dei grandi e allora si arrabbiano ed entrano in collera con i grandi. Ma dopo un po' cambiano modalità di interazione, si offrono di fare qualche lavoro in casa in cambio di quella cosa che avevano chiesto. Se nella prima fase, il malato non è stato capace di affrontare la triste realtà e nella seconda fase è stato in collera con la gente e con Dio, forse potrà riuscire a fare una specie di accordo che possa in qualche modo ritardare l'inevitabile evento. E' co-me se dentro di lui si dicesse: "Se Dio ha deciso di togliermi da questo mondo e nulla sono valse le mie arrabbiate proteste, forse sarà meglio disposto se glielo chiedo con delicatezza". Analogamente il bambin"Se faccio il bravo tutta la settimana e riordino i giocattoli mi comperi quella cosa?". Il malato sen-za speranza usa le stesse manovre. Il malato agendo in tal modo compie un tentativo di dilazionare e di rimandare un po' nel tempo la piena consapevolezza della propria situazione, dilazione che include un premio o una promessa.

Page 86: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

I patti sono per lo più fatti con Dio e mantenuti segreti. Psicologicamente le promesse si possono collegare con qualche colpa nascosta e pertanto sarebbe utile che il malato fosse liberato da irrazio-nali timori e dal desiderio di punizione per un eccessivo senso di colpa. 4) La Depressione. Alla fase di collera e di rabbia può seguire presto una fase di depressione cioè una fase dominata dal

o. Questa fase di reazione può assume-rsi; per una donna può andare da una perdita dell'integrità fisica o della propria

al seno) alla perdita del sentirsi donna (cancro all'utero). Può trattarsi infine del e alla fin fine può portare a delle vere e proprie perdite eco-

omiche. assano in secondo ordine di fronte al dolore che il malato vicino

otremmo considerare di secondo ordine,

ria all'imminente morte.

si più tale, ad esempio in

ealtà in modo meno drammatico o catastrofico, cercando di valorizzare gli aspetti

ificherebbe per lui non contemplare la morte immi-

do egli sta per perdere tutte le cose e le persone che ama. Se gli

iste.

arla razionalmente della sua morte, del suo funerale, dei suoi eredi per poi ricadere nel

isitatori, il bisogno di

ressione di tipo silenzioso. Nel dolore che prepara la morte non c'è bisogno di pa-

delle persone vici-ne e in particolare modo dei familiari, peggiora la situazione e aumenta la tristezza del malato. La

senso straziante della grave perdita che la persona sta subendre aspetti diveimmagine (cancro peso finanziario per cure prolungate chnTutte queste perdite, comunque palla propria morte deve affrontare per prepararsi alla sua più grande perdita che è la separazione da questo mondo, la perdita della vita. Si possono considerare due tipi di depressione che a volte coesistono nel malato morente: a) la perdita degli affetti, dell'integrità fisica, dell'autostima e dei beni che è una depressione reattiva che pb) la perdita di tutto ciò che ama e dell'esistenza stessa che invece è una depressione esistenziale preparatoQuesti due tipi di depressione, diversi per natura, devono essere trattati in modo molto diverso l'uno dall'altro. Ad esempio, una donna che si preoccupa per il fatto di non sentirseguito ad un'isterectomia o ad una mastectomia, dovrebbe essere sostenuta psicologicamente in modo tale da favorire una rielaborazione ed un adattamento alla nuova immagine corporea. In altri termini si può cercare di incoraggiare i malati, presentando loro degli input che possano aiutarli a guardare la rpositivi dell'esperienza. Un simile approccio può essere utile quando ci si accosta al malato che manifesta una depressione reattiva alla diagnosi, mentre quando la reazione depressiva rappresenta una preparazione all'imminente morte, forse non è più opportuno ricorrere a tale modalità in quanto. Incoraggiare il malato a guardare il lato gioioso delle cose, signnente. E' un controsenso e pertanto controindicato dire al malato di non essere triste quando tutti i suoi cari sono tutti estremamente tristi, e quansi permette di esprimere il suo dolore, egli troverà più facile, alla fine, accettare e sarà grato a colo-ro che sapranno stare con lui in quei momenti angosciosi senza insistere di non essere trLa depressione, fase tipica di chi non accetta e che non riesce a reagire con meccanismi di difesa inadeguati è forse la condizione più sofferente la quale impegna notevolmente il personale di assistenza. Il morente in questa fase si avvinghia agli operatori in cerca di una speranza o all'opposto si chiude in un isolamento psicologico. A volte ppianto o nel totale silenzio. Si differenzia da situazione a situazione il bisogno di vedere o non vedere i vcomunicare parlando o in silenzio il proprio dolore. Questa è una deprole. E' un sentimento estremo di umanità e religiosità a cui si partecipa comunicando in silenzio con il malato. Così come l'interferenza di visitatori ostacola la preparazione emotiva invece che in-tensificarla, anche la mancanza di comprensione dei bisogni del malato da parte

Page 87: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

discrepanza fra il desiderio e la disposizione del malato ad abbandonarsi da un lato e le attese con-trarie di coloro che gli sono vicini è causa di grande dolore e di agitazione delle persone morenti. Gli operatori sanitari dovrebbero essere più consapevoli della discrepanza del conflitto che esiste

r permettere al malato di morire in uno stato di relativa accettazione e di pace superan-

lemi del mondo esterno. Non desidera molte e prolungate isite, non ha più voglia di parlare. La comunicazione con le persone familiari diventa di tipo tacito on verbale. Il malato può tenerci la mano e chiederci di sedere in silenzio. Ecco che simili momen-

unicazione più significativa che esista per le persone che non si sen-

senza può confermare che saremo vicini fino alla fine. enti, raggiunge-

: l'invidia per le persone felici e sane, la collera

r dover perdere persone e cose care, ma alla fine riuscirà a

no e conservano una speranza e ciò rende loro quasi impossibile raggiungere no per evitare l'inevitabile a morte, più

volte, invece di agire nel verso di aiutare a superare la fase di rifiuto, possono incorag-iare i loro malati a lottare per la vita fino alla fine, facendo loro più male che bene e rendendo la ro morte un'ultima dolorosa esperienza.

un malato arriva un momento in cui la morte è considerata come un

ha lavorato e sofferto, ha al-

ssono raggiungere uno stato di pace fisico e spirituale, quando hanno il tempo

fra il paziente e l'ambiente circostante costituito dai familiari, comunicando ciò alla famiglia ed es-sere così di grande aiuto ai malati stessi. Essi dovrebbero sapere che questo tipo di depressione è necessario pedo l'angoscia di questa fase. 5) L'accettazione. Non deve essere scambiata con una fase felice. E' forse un vuoto di sentimenti: il dolore si è calma-to, la lotta è finita e viene il tempo per il riposo finale prima del passaggio. Il malto trova un po' di pace e di accettazione; i suoi interessi svaniscono, desidera essere lasciato in pace, solo, o per lo meno non essere agitato da notizie e probvnti di silenzio diventano la comtono a disagio alla presenza di una persona morente. La nostra preSe un malato ha avuto il tempo necessario ed è stato aiutato a superare le fasi precedrà questa fase di accettazione nella quale non sarà ne depresso, ne arrabbiato per il suo destino. A-vrà potuto esprimere quindi i sentimenti precedentiverso coloro che non devono affrontare la morte così presto. Avrà provato tristezza ed angoscia pecontemplare la sua prossima dipartita con un certo grado di serenità. Ci sono alcuni malati che lotta-no fino alla fine, lottaquesto stadio di accettazione. In altre parole, più essi lottadifficile sarà per loro raggiungere la fase di accettazione con pace e dignità. La famiglia e il personale, agloDobbiamo comprendere che pergran sollievo ed egli muore con meno difficoltà se glielo si permette e se è aiutato a distaccarsi gra-dualmente da tutti i rapporti importanti della sua vita. Alla fase di accettazione giungono meglio i malati che sono stati incoraggiati a esprimere la loro rabbia, a piangere nel periodo del dolore pre-paratorio, ad esprimere ogni loro sentimento a qualcuno che possa star ad ascoltare. Per raggiunge-re questa fase di accettazione al malato è richiesto un immenso impegno che, lentamente porta ver-so un graduale distacco dagli affetti terreni. Il malato più anziano, chelevato i figli ed adempito i suoi compiti ed ha avuto maggiori possibilità di trovare il significato del-la propria vita, provando un senso di soddisfazione quando ripensa agli anni del suo lavoro, ora sen-tendosi alla fine della sua vita potrà raggiungere la fase di accettazione con poco aiuto da parte del-l'ambiente. Ha solo bisogno di una tacita comprensione e nessuna interferenza. Altri malati invece posufficiente per prepararsi alla morte. Essi quindi avranno bisogno di maggior aiuto e comprensione da parte dell'ambiente. 4.12. La speranza.

Page 88: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Tutti i bisogni della persona morente si possono racchiudere in un unico grande bisogno: il bisogno di speranza.

sentirsi prezioso

bisogno di sentire che gli altri, parenti e operatori, hanno speranza n perdere i propri cari

o del perdono del proprio Dio bisogno di non aver bisogno

po o possono coe-ane attraverso tutte queste fasi è la speranza.

nche i malati, i più realistici, i meglio disposti ad accettare mantengono sempre un barlume di spe-cadere all'ultimo momento: la scoperta di una nuova medicina,

uando un malato cessa di esprimere una speranza, di solito è segno di morte imminente. E' impor-

o il malato la rinuncia. Una discrepanza tra lo stato di speranza del malato e dei fami-ari crea una situazione angosciosa, come ad esempio la mancanza di ogni speranza trasmessa dal ersonale o dalla famiglia quando il malato ha ancora bisogno di speranza. Analogamente è fonte di goscia per il malato quando i familiari sono incapaci di accettare la sua fase finale e si attaccano

isperatamente alla speranza trasmettendo questo stato di cose al malato stesso, mentre egli è pron-miliari pertanto vanno aiutati a "sintonizzarsi" sui reciproci bisogni e con-

ile. Si evita così tanta sofferenza alla famiglia, tanta o del processo del morire in cui il medico, lo psicologo,

'assistente sociale, il cappellano possono essere di grande aiuto cercando di capire in ale del malato in cui i dolori

ola in uno stato senza sogni, la coscienza dell'ambiente circostante svanisce esto è il momento in cui i parenti si torturano nell'attesa senza sapere se andar via,

uesto è il momento roppo tardi per le parole è troppo tardi per interventi medici, ma è anche troppo presto per

icile per il parente più prossimo perché egli, er farla finita, e dall'altro si attacca disperatamente al morente che è

iliari, aiutando stare con il malato in fin di vita. E' il momento del-

i sentono di stare con il malato, sollevandoli dal senso di colpa e rassicurandoli che qualcuno starà on il morente finché sopraggiungerà la morte.

Quando un morente cessa di esprimere una speranza è segno di morte imminente. Il bisogno di speranza è espresso in diversi modi, fra i quali: - bisogno di alzarsi dal letto e fare qualche cosa - bisogno di affermare la propria vitalità - bisogno di- bisogno di curare la propria immagine e l'integrità fisica - bisogno di mangiare autonomamente - bisogno di evacuare autonomamente - - bisogno di no- bisogno di vivere fino all'ultimo respiro - bisogno di risolvere i conflitti familiari - bisogno di eliminare irrazionali timori o sensi di colpa - bisogn- Le varie fasi che abbiamo descritto, cioè i meccanismi di difesa che permettono di affrontare situa-zioni estremamente difficili si sostituiscono l'una all'altra in diversi periodi di temsistere l'una accanto all'altra. L'unica cosa che permAranza, per un qualcosa che possa acun "miracolo". Qtante che i familiari e il personale conservino la speranza con il proprio malato, ma senza incorag-giarla quandlipandto a morire. Malato e fadotti ad accettare insieme una realtà inevitabangoscia al morente. C'è un altro momentl'infermiera, lmodo particolare i conflitti della famiglia. E' il momento nella vita fincessano, la mente scivnell'oscurità. Qucon la scusa di occupasi dei vivi, o star lì ad aspettare il momento della morte. Qin cui è tsepararsi totalmente dal morente. E' il momento più diffda un lato desidera andar via pin procinto di perdere. Il personale ospedaliero assistente può essere di grande aiuto cercando di capire i fam

, che si senta diloro a scegliere la persona adatta terapia del silenzio con il malato e della disponibilità verso i parenti. Si può aiutare quelli che non la

sc

Page 89: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Essi sapendo che il malato non è morto solo, non proveranno sentimenti di colpa o di vergogna per on essere stati in grado di affrontare quel momento. Coloro che hanno la forza e l'amore di stare al

so, né penoso, ma è la

E' l'esperienza che rende coscienti: a) della unicità di ogni individuo nell'universo dell'umanità, b) dei limiti, c) della finitezza, d) della breve durata della nostra vita. 4.13. La morte in età infantile. La morte di un anziano ed in condizioni di salute precarie non è un evento che di solito ci sorprende, per questo risulta anche il meno difficile da accettare. La morte, infatti, quando è conseguenza di una grave malattia diventa un avvenimento non del tutto inatteso. Godere di buona salute e morire all'improvviso invece lascia sconvolti tutti i familiari ed i conoscenti. Se poi si tratta della morte di un giovane questa è considerata la più grande disgrazia che possa mai capitare. La minaccia mortale che si verifica nell'infanzia si pone pertanto al primo posto sia come "ingiusti-zia" insita nell'evento, sia come difficoltà ad accettarla psicologicamente. Gli adulti vedono i bambini come esseri vulnerabili e bisognosi di protezione, per questo tendono a nascondere al bambino morente l'evidenza del suo stato, mentre essi contemporaneamente vivono tutta la collera, il senso di colpa e la passività angosciosa per non essere in grado di modificare il suo destino. A volte, tutta questa opera di mimetizzazione e di finzione può essere un forte meccanismo di prote-zione degli stessi adulti dalla verità', più che nell'interesse del bambino. I genitori e il personale sa-nitario, che non hanno mai vissuto la morte di una persona cara, si trovano del tutto impreparati ad affrontare questa esperienza ed è possibile che in loro si ridestino paure passate, pensieri angosciosi che si sono verificati nel loro periodo infantile. Coloro poi che proiettano nei propri figli o, in generale, in tutti i bambini una continuazione della loro vita, vivono la morte dei bambini come una minaccia alla propria immortalità biologica o all'immortalità della specie umana. Più spesso sono gli uomini-padri, così tra i professionisti i medici o gli infermieri, a trovarsi mag-giormente in difficoltà ad accettare la morte di un bambino, rispetto alle donne-madri. Il bambino al di sotto di dieci anni non ha un concetto della morte come l'adulto. Essa non viene concepita come qualcosa di permanente ed irreversibile. Dai due anni in avanti, oltre ad avere la percezione del dolore fisico ben accentuata a livello psicologico provano uno straziante senso di abbandono quando i loro cari sono assenti o sono incapaci di proteggerli dallo sconforto che avanza. Essi colgono la paura negli occhi dei parenti, vedono le loro lacrime e comprendono che le cose non vanno come invece dovrebbero andare, anche se è detto loro che guariranno. Per questo il bambino tende a non far più domande scabrose, non volendo turbare ancor di più i cari che lo assistono. I bambini dai cinque ai dieci anni considerano la morte come un processo esterno inevitabile, che risulta dall'azione di altri oppure come punizione per cattivi pensieri o atti. Dopo il decimo anno di età circa la morte diventa un processo interno universale per ogni forma di vita.

ncapezzale del morente, sapranno che questo momento non è ne spaventotranquilla cessazione del funzionamento del corpo.

Page 90: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Per quanto riguarda la modalità con cui comunicare, il contenuto della comunicazione, la persona dibita a tal compito ed il luogo in cui effettuarlo non vi è un procedimento standard in quanto ogni ingolo caso necessità di peculiarità di del tutto specifiche. 'importante è che adulti entrino in contatto con i bambini in modo aperto e diretto e ciò non è pos-

sibile fintanto che essi non considerin con tutti i suoi diritti come ogni al-a persona. compito richiesto, che richiede franchezza, disponibilità e l'utilizzazione di un linguaggio idoneo l suo livello di comprensione è difficile non solo per i genitori, ma anche per gli operatori sanitari. e ai bambini è concesso di esprimere le loro preoccupazioni e se poi le risposte date a loro saranno

appropriate e realistiche a trovare meno difficile il orire. Le difficoltà maggiori le abbiamo riscontrate in coloro ai quali i genitori hanno nascosto

on mille messaggi contrastanti la realtà.

.14. Parole di un morente: no piace affrontare questo

rgomento.

e essa sia, della vostra paura di ciò che tuttavia

e poi vi eclissate

accresce la vostra e la vostra accresce la mia. Ma di che cosa

.

a, agli uomini fatta la barba,

salma è vegliata dai parenti o amici, specie se morta accidentalmente,

ella vita, di poter chiamare un pronto

loro congiunto o

asL

o il bambino una personatrIlaS

lla loro età o stadio evolutivo, essi potranno mc 4"Mi resta a vivere da sei mesi ad un anno, forse anche meno, ma a nessuaMi trovo dunque di fronte ad un muro solido e nudo, che è tutto ciò che mi rimane. Sono il simbolo della vostra paura, qualunqusappiamo tutti e che dovremo affrontare un giorno. Voi scivolate nella mia camera per portarmi i farmaci o misurarmi la pressione dopo aver compiuto i vostri compiti. Mi rendo conto che la mia pauradunque avete paura? Sono io che sto morendo: non scappate! Abbiate pazienzaTutto ciò che ho bisogno è che qualcuno che mi tenga e mi terrà la mano quando ne avrò bisogno. Ho paura." 4.15. Assistenza post-mortem Dopo il riscontro del decesso, la salma dovrà essere accudita, e composta. Tale operazione viene di solito svolta almeno da due persone facendo molta attenzione. La salma dovrà essere praticamente assistita, lavata e asciugata, frizionata, manipolata, pettinata e rispettatvestita come se fosse viva, anzi meglio in quanto le salme sono gli esseri più indifesi. In tutte le culture di tutti i tempi la quasi o sicuramente per "aiutare" l'anima a lasciare la veste del corpo. La salma non va assolutamente tamponata, nelle sue cavità naturali, nelle prime 24 ore dopo il decesso, in quanto deve poter avere la possibilità di riprendere la vita. Per cui non può essere collocata in frigo o abbandonata nelle celle mortuarie. In cella deve esserci la presenza di un addetto o data la possibilità alla salma, in caso di ripresa daiuto tramite un campanello, mettendole tra le mani l’interruttore e lasciandola sempre in un ambiente illuminato. Solo in caso di morte accertata elettrocardiograficamente, con un tracciato piatto per almeno venti minuti, oppure in caso di morte per maciullamento, decapitazione o sepsi si può procedere a pratiche conservative. (vedasi legge di polizia mortuaria) E' importante avvisare immediatamente i familiari dell'aggravamento deldell'improvviso decesso. Se i familiari sono presenti al momento della morte sarà bene lasciarli in

Page 91: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

compagnia della salma per un po' di tempo, quanto meno fino a quando si placa la prima reazione emotiva. Può essere utile secondo le situazioni rimanere al fianco dei familiari. In ogni caso non è previsto un tempo fisso di osservazione della salma all'interno del reparto di degenza, cioè dopo aver

ante lasciare un buon ricordo a chi resta e la certezza che tutto quello che

tori sono convinti che esiste solo la vita aldilà delle ombre passeggere di tutto ciò che è

ita" e della "morte".

tali

o

accertato elettrocardiograficamente la morte e compatibilmente con le esigenze dei familiari, come citato sopra, la salma, essendo potenzialmente una fonte di infezione, può essere traslata in cella mortuaria. I parenti, se non erano presenti al decesso, chiedono solitamente: "come è avvenuto?", oppure "ha sofferto?". Diventa importsi poteva e potevano fare è stato fatto. Conclusione All'entrata di un Orfanotrofio abbiamo letto: "la gente non muore di oscurità, ma di freddo; ha bisogno non di luce, ma di calore". Senza speranza la gente muore. Ogni filo di speranza è un aggancio ed uno stimolo per guardare avanti. - Gli autransitorio e ad ogni passo la stessa vita ingoia tutto. Così è risolto il mistero della "v e tra i loro pensieri si domandano: "....,ma verrà mai un tempo in avvenire in cui qualcuno di noi cesserà di esistere?" Non è conveniente dirsi di più per oggi, perché il letto del fiume non può contenere l'oceano in un colpo solo. BIBLIOGRAFIA: 1) V. R. Bolander, Sorensen, Luckmann's Il Nursing di base Ed. Piccin 1996. 2) AA. VV. DSM IV Manuale diagnostico e statistico dei disturbi men Ed. Masson 1996 3) C. R. Smith Vicino alla morte - Guida al lavoro sociale con i morenti e i familiari in lutto Ed. Centro Studi "M. H. Erickson" Trento 1990. 4) Difesa Sociale, n. 3, 1995. 5) P. Orifiammi, F. Rovett Elementi di psichiatria, Aspetti applicativi Alfa Editrice Padova, 1994.

Page 92: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Dirigente dell’Assistenza Infermieristica Biancat Roberto

Page 93: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

CAPITOLO QUINTO

L'OSPEDALIZZAZIONE IN GENERALE 5.1. L'Ospedalizzazione e i suoi aspetti psicologici-sociali in generale. In questi ultimi decenni, a livello socioculturale, si é sempre più sviluppata la tendenza ad attuare analisi e terapie mediante ricovero ospedaliero. Un ricovero in ospedale può presentare per le persone alcuni aspetti vantaggiosi: - in caso di più analisi si evitano innumerevoli viaggi dall'abitazione ai laboratori, - si evitano le "code" nelle sale d'attesa effettuate spesso in uno stato di digiuno,

nza di più medici,

riate reazioni psicologiche, alcune d'esse normali ed altre invece

affrontare la vita del mondo ri, che necessariamente

ttribuire un unico significato psicologico all’ospedalizzazione, si possono individuare

, il sesso, l'età, le precedenti esperienze

sulle richieste degli utenti.

- si evita il pagamento dei ticket, - si può contare sulla prese- a volte sono a disposizione attrezzature più sofisticate, La vita d'ospedale però ha un significato profondamente diverso rispetto alla vita tradizionale di ca-sa. Per chiunque il ricovero significa una rottura dei rapporti sociali e una serie di limitazioni che può determinare, nelle persone, svainadeguate. Le lunghissime degenze possono indurre la persona ad isolarsi e, in casi estremi, posso-no portarla fino ad uno stato d'inerzia tale da renderla incapace d'esterno. Nei casi in cui la persona deve essere sottoposta a terapie particoladevono essere condotte in ospedale (terapia intensiva, emodialisi), possono insorgere particolari reazioni emotive che dipendono dai limiti imposti dalle stesse terapie. I bambini molto piccoli potrebbero insorgere problemi psicologici specifici dovuti alla separazione dall'ambiente domestico. L'età e la personalità delle persone, il tempo di degenza e il problema clinico per questo si è ricoverati sono dei parametri che influenzano tutto il processo dell’ospedalizzazione. Nonostante sia difficile aalcuni fattori di carattere generale caratteristici.. Sono esclusi i casi di bambini e di persone lun-godegenti, casi in cui vengono a crearsi problemi specifici. Bisogna tenere presente che, alcune delle reazioni psicologiche che saranno descritte non sono sem-plicemente reazioni all'ospedalizzazione, ma sono reazioni legate alla malattia stessa. Già in un capitolo precedente ho avuto modo di considerare come le modalità d'affrontare la malat-tia, da parte di una persona, risultino assai diverse: la culturadi cura, la lontananza dai propri cari, il vivere in città o in campagna, sono tutti fattori oggettivi capaci di incidere positivamente o no sul processo d'adattamento alla malattia. Questo fa sorgere la necessità che le risposte del Sistema Sanitario siano il più possibile centrate

Page 94: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Purtroppo, su questo problema, le strutture organizzative del Sistema Sanitario, non hanno fornito una soluzione soddisfacente, anzi al contrario, queste strutture, talvolta, sottovalutano l'importanza

sviluppa secondo criteri che pongono la persona alla periferia, imponendogli endendo l'ospedale come prototipo del rapporto indivi-

sa alcuni "momenti

iò che abbiamo definito processo del divenire “paziente".

ando lo sforzo d'equilibrare in un quadro ragionevole i sintomi avvertiti, non funziona

lute.

, che co-

modalità di soluzione dei

zione

'affrontare i problemi, dai suoi atteggiamenti verso le si-

mpio, di dover chiedere non solo una ri-

inevitabili effetti sulla vita fami-ntare manifestazioni d'ansia o depressione secon-

ante rispetto alla richiesta di

della persona malata: le sue esigenze, la sua storia, la sua cultura e le sue esperienze nella malattia, le sue aspettative, speranze e desideri. La persona, nell'organizzazione sanitaria é un cliente, un membro esterno rispetto alla vita organiz-zativa, la quale si spesso un ruolo standard e indifferenziato. Prduo-organizzazione sanitaria, valuterò come quest'aspetto abbia effetti pratici negativi sulla qualità del ricovero ospedaliero. Il soggetto, nel suo progressivo inserimento nel "sistema della salute", attravercritici". a) Il primo momento è rappresentato dalla sofferenza psicologica che porta il malato alla decisione di richiesta d'aiuto e che costituisce cL'accostarsi ai servizi sanitari di un soggetto rappresenta solo la fase finale, dopo aver elaborato, in modo non sempre consapevole e sistematico, una serie di dati circa le proprie risorse disponibili. Solamente qupiù, avviene la decisione di ricorrere all'aiuto esterno di un sanitario (comportamento di richiesta di cure). Il soggetto dunque affronta una serie di tentativi personali ed esperienze prima di entrare in rappor-to con il sistema della saSi tratta d'esperienze diverse tra loro per qualità, grado d'efficacia e successo, comunque esse permettono l'elaborazione di un insieme di concezioni, aspettative, attese, molto articolatestituiscono la struttura cognitiva del soggetto circa il problema dei suoi sintomi e la possibilità della loro eliminazione. Il soggetto utilizza di fatto questa sua struttura cognitiva come criterio di giudizio nell'effettivo in-contro con l'ospedale e con i medici. Ogni persona, a prescindere dalla sua capacità culturale e dalle sue abilità interpersonali con i sani-tari, non é mai "vuoto psicologicamente" rispetto alle cure, rispetto alle problemi indotti dallo stato di malattia. Anche se le sue opinioni e conoscenze risultano limitate o talvolta distorte egli dispone degli elementi di base per affrontare i problemi che il ricovero inevitabilmente dovranno porgli. Da ciò si evince che un adattamento positivo nell'ambito ospedaliero e una soddisfacente relaterapeutica, dipendono anche da una giusta e attenta considerazione della struttura cognitiva del soggetto, cioè del suo modo di percepire e dtuazioni di rischio e di stress in generale e delle sue aspettative. C'è uno scontro-confronto tra ciò che la persona pensa dovrebbe essere fatto per lei e ciò che l'ospe-dale dispone ed organizza in termini d'azione, prima ancora di conoscere la persona stessa. La persona, ancor prima dell'ingresso in ospedale sente, ad eseduzione dei sintomi, ma di risolvere anche altri problemi connessi all'insorgenza e allo sviluppo del quadro sintomatologico. Come conseguenza della malattia, ci sonoliare, lavorativa e sociale, si possono inoltre presedarie all'evento patologico. Tutto ciò per l'ospedale può sembrare una richiesta impropria e fuorviguarire. Conseguentemente ciò rappresenta sempre un ostacolo, un conflitto tra aspettative della persona e la standardizzata procedura dell'ospedale, basata su schemi di routine, indipendenti dalle singole necessità dei soggetti che chiedono aiuto.

Page 95: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Gli ospedali si rivelano, di fronte a tali necessità delle persone, come rigide strutture che producono interventi semi-automatizzati, che scattano anche quando la persona non è in grado di fornire infor-

de maggioranza dei

uto dalla persona è l'ingresso all'ospedale o più comunemente

la necessità d'essere

a dell'ingresso in ospedale, è stata evidenziata la presenza costante nei soggetti di uno stato

- l'i

e come l'ansia. Trovarsi in uno stato di malattia o di sospetta malattia per un certo perio-

siderare

evidenziare quelle d'ordine socio-psicologico. vidui profonde esperienze sog-

er un malato, si configura come un significativo

scono, vestono in modo uniforme, parlano un proprio linguaggio, e regolano le interazioni incipi estranei al vivere quotidiano.

alata sente una spinta obbligata a modificare la propria struttura cognitiva, è costretta odificazioni che richiedono

o conoscitivo. tanto più essa sarà fonte d'incertezza,

prima che si realizzi in a ospedaliero medico, la persona va incontro a fattori critici

non quotidiano ecc.

ll'ospedale, poiché queste procedure talvolta o né della sua personalità. Sono procedi-

mazioni ed esprimere alcuna richiesta. Se ciò è un vantaggio nelle situazioni d'emergenza, non lo è più nella stragrancasi in cui i soggetti sono in grado di aspettarsi una determinata qualità del ricovero e vogliono essere attivi protagonisti del processo di cura. b) Il secondo momento critico vissdefinito ricovero. Il ricovero ospedaliero rappresenta per tutti un evento denso di significati psicologici, evento che, considerato il fallimento delle strategie personali, comincia con il riconoscere aiutati da altri. A questo evento chiave sì accompagnano reazioni emotive di vario tipo, emozioni che solitamente accompagnano l'intero decorso d'ogni malattia. In particolare, da alcune ricerche sul tempiù o meno intenso d'ansia e di paura. Ci sono almeno quattro reazioni emotive negative comuni in quest'evento stressante:

rritabilità; - la perdita d'interesse per il mondo circostante; - la preoccupazione per il proprio corpo; - la tristezza. Se pensiamo ai fatti che comunemente precedono il ricovero non mi sorprende poi rilevare emozio-ni negativdo, significa ridurre la resistenza nei confronti d'altri stressor della vita e quindi anche all'ulteriore stressor dell'ospedalizzazione. Non sapere quello che ci aspetta, paventare il peggio nella speranza che non si avveri, deche tutto vada bene non sapendo cosa fare in merito e tutta una serie infinita d'altre preoccupazioni, sono aspetti che contribuiscono al formarsi di stati emotivi ansiosi. Tra le varie cause dell'ansia, mi preme In generale, nella vita ogni situazione di passaggio crea per gli indigettive, e pertanto anche il ricovero in ospedale, pmomento di transizione. Il malato passa da un mondo familiare di cui conosce regole e confini e in cui ha un ruolo, ad un ambiente organizzativo nuovo con norme e procedure talvolta incomprensibili, in cui le persone che lo gestisociali secondo prLa persona ma cercare di conoscere e capire il nuovo mondo entro cui è collocato, mtempo e sforzTanto più la struttura ospedaliera rende difficile questo sforzo, confusione e sentimento d'impotenza. Già nella fase stessa d'ingresso, ancor forma piena l'incontro con il sottosistemche rompono l'equilibrio della sua identità personale e sociale, quali: - procedure d'accettazione e ricovero complesse, - percorsi complicati che il soggetto deve compiere per accedere al reparto, - la spoliazione e l'inserimento nel posto letto, - le modalità di comunicazione ridotta al minimo e attuate secondo il modelloL'ingresso del soggetto nel sistema ospedaliero è un progressivo processo di depersonalizzazione, che si attua attraverso le procedure di funzionamento denon tengono conto dello stato emotivo attuale del soggett

Page 96: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

menti routinari, costituiti da prescrizioni, linguaggi specialistici che contribuiscono a creare un sue possibilità di consapevolezza e di con-

essere accettato solo a patto di mascherare

di "paziente ospedalizzato".

rire al più stretto modello di dipendenza

rse, instau-

il malato entra nel reparto è invitato a mettersi subito a letto e immediatamente

oco

innesca uovamente una serie standardizzata di pratiche.

ta frequenza non è attuato nessun preciso e sistematico intervento informativo relativo lla comunicazione della tipologia e al decorso e prognosi della malattia, specie se di natura

ioni tranquillizzanti.

za, perché "non sa come andrà a finire". Il personale deve

clima di controllo sul soggetto, riducendo in tal modo letrollo personale della situazione che sta vivendo.Inevitabilmente la persona malata si crea l'impressione d'se stesso, la propria realtà personale e sociale, comprendendo così che l'unica fonte d'identità per-messa è quella insita nel ruoloForti pressioni sull'identità della persona degente si sviluppano anche sul piano dei comportamenti attesi dall'ospedale per il ruolo di "paziente", quali: - la sottomissione all'autorità richiesta in numerosi momenti giornata - la repressione del sentimento di sé nell'individuo, costituisce una spinta regressiva verso stadi di personalità già superati. Inoltre questa richiesta esercitata dall'organizzazione di adeda tutte le figure d'autorità, dall'ausiliario al primario, possono non contribuire a dare sostegno allo stato d'insicurezza e di disagio che ne derivano dalla prima fase d'ospedalizzazione. Già nella fase d’ingresso, quindi, attraverso pressioni e disagi, comincia la costruzione di una nuova identità del soggetto, quella di "paziente ospedalizzato" che implica la perdita del proprio status ed una, anche se temporanea, attenuazione d'importanza dell'identità. Tuttavia, entrare nel ruolo di "pazienti" potrebbe costituire anche un vantaggio, ossia ricevere il ri-conoscimento dell'organizzazione ospedaliera ed accedere ad un uso completo delle risorare soddisfacenti interazioni, attenuare le difficoltà insite al ricovero, riprendere con una nuova ve-ste, quella di malato, i rapporti con il mondo esterno, rapporti basati sull'affetto e sostegno. c) Il terzo momento critico della persona ricoverata è l'adattamento al reparto. Nel momento in cui diventa il "paziente 36". In tal modo continua la spinta ad entrare nel ruolo di "paziente ospedalizzato", in cui non c'è più au-tonomia, dove la depersonalizzazione è totale; svestito, limitato negli effetti personali, talvolta pinformato sulla sua malattia, sulle indagini diagnostiche cui dovrà essere sottoposto e spesso in ba-lia d'eventi che non può dominare. Per il personale medico ed infermieristico è semplicemente arrivato un altro malato che nIl malato vive tutto questo in uno stato di grande ansia, paura e incertezza. Per fronteggiare una tale situazione è necessario accettare e far proprio il ruolo di "paziente ricove-rato". La collocazione definitiva nella camera di un reparto e le prime cure ricevute, potrebbero fa-vorire tutt'altro che la rapida cessazione dell'ansia e delle difficoltà psicologiche generate nella fase d'ingresso, bensì costituire una situazione d'aggravamento delle emozioni d'ansia e paura. Con una ceraoncologica. Nulla di tutto ciò che dovrebbe caratterizzare l'intervento assistenziale professionale volto ad aiuta-re la persona nella soluzione delle sue difficoltà contingenti. La tensione emotiva del soggetto, dovuta al "non sapere cosa potrà succedere", si accresce ulterior-mente e a volte la persona malata per ridurre lo stress cerca di accattivarsi le simpatie e la cordialità degli operatori offrendo loro del denaro. Un gesto fuori luogo, che trova spiegazione solo nel tentativo del malato di ottenere attenzIl personale infermieristico e medico dovrebbe prestare la massima attenzione al vissuto soggettivo del malato nel momento del ricovero: un vissuto d'angoscia, d'ansia, di paura per la malattia, di dipendenza e di frustrazione e d'insicurez

Page 97: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

comprendere la grande importanza che viene ad assumere la relazione operatore-persona malata nel omento dell'accoglimento.

il

ospedaliere di recente costruzione.

privato ed all'imposizione di regole che

personale,

o, soggetto, sul proprio spazio vitale.

elle differenti esigenze degli utenti.

o alcuni esempi di regole in funzione all'organizzazione. Normalmente un individuo vive in

to dagli interventi diagnostici, terapeutici ed

e assumere funzionalmente la posizione di "oggetto da controllare". Basta pensare che

i fare richieste di spiegazione al momento opportuno.

sita aspetti privati e confidenziali emergono in una situazione pubblica. Molte vol-

ne senza comprenderne ioni. Sono numerosi gli aspetti

mE' inaccettabile l'ipotesi che vuole dimostrare che la persona ricoverata regredisce psicologicamente in modo automatico, perché difatti è fatta regredire. Il vivere quotidiano in ospedale presenta caratteristiche che sono, a loro volta, ancora causa di diffi-coltà psicologiche. Queste cause riguardano fattori relativi allo: - spazio fisico: lo stile architettonico, la dimensione delle camere, gli spazi di libero movimento,grado di luminosità, le possibilità d'attenuare rumori, temperatura, grado d'umidità e odori possono essere elementi stressanti anche in struttureArchitetti e progettisti, che si occupano di costruzioni d'ospedali, sono guidati da un insieme di li-miti, che per la maggior parte dei casi sono d'ordine puramente finanziario e in parte dipendono da una concezione teorica dell'ospedale. La persona che passa realmente tutto il proprio tempo all'interno dell'ospedale, il cui parere pertanto sarebbe di grande aiuto per stabilire i criteri con cui progettare un ospedale, non viene minimamente interpellata. - spazio psicologico-sociale; il reparto modifica il grado di libertà di movimento ed azione e la possibilità d'instaurare soddisfacenti interazioni sociali. I limiti più evidenti sono legati alla perdita di una spazio appaiono indiscutibili. Nel mondo esterno un individuo agisce avendo una forte padronanza del proprio spazio in ospedale tale spazio, poiché imposto dalla routine ospedaliera, è costantemente invaso. Vi è infatti tutta una serie di situazioni, quali la regolazione delle funzioni corporee, l'igiene perso-nale, il riposo, gli interventi assistenziali, le medicazioni, il cambio della biancheria, che avvengono in una situazione "tendenzialmente pubblica". Ciò, oltre ad essere fonte di grande imbarazzrappresenta una riduzione del controllo, da parte delMolte delle regole imposte nell'ospedale sono applicate in funzione a criteri d'efficienza organizza-tiva, che talvolta non tengono conto dOrari anticipati per l'alimentazione, prescrizioni per l'igiene personale, pulizia dell'ambiente, ecc. sono solmaniera libera ed autonoma, mentre in ospedale necessariamente deve trasformarsi in un essere to-talmente dipendente da altri anche per le funzioni più elementari come il lavarsi ed il nutrirsi. d) Un ulteriore memento critico è rappresentaassistenziali, cui il paziente è sottoposto. La successione dei diversi interventi segue un criterio di razionalità diagnostica. In tutto questo la persona devtutti gli interventi su di lui avvengono in un contesto d'assenza d'informazioni e con uno stile comu-nicativo asimmetrico: "Signora, ora la portiamo ai raggi". Mentre il personale é, in genere, consapevole di cosa fa, la persona si trova all'oscuro, e non sempre é in grado dUn ulteriore aspetto tipico é il "giro della visita". Durante questa vite le anamnesi personali e familiari sono fatte nella stanza di degenza. L'instaurarsi di discussioni sul "caso clinico" con i medici, mentre la persona interessata rimane esclusa, fa sì che egli si senta il "centro dell'attenzione" di tante persopienamente il significato e sospettando a volte le più svariate conclusdell'ospedalizzazione che concorrono a rendere difficile l'esperienza della malattia e della perma-nenza in ospedale.

Page 98: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Fra i più dannosi aspetti negativi dell'ospedalizzazione per l'equilibrio della persona è "la mancanza d'informazioni" o "l'incoerenza fra le informazioni". Il malato vede molte persone, medici ed infermieri che si occupano del suo corpo ma pochi lo infor-

a mancanza d'informazioni accresce la dipendenza del malato costringendolo così verso una ipendenza affettiva. Strappato dalla malattia e dal ricovero al suo ambiente familiare, sociale, lavo-tivo, privo d'informazioni, il malato si sente terribilmente solo ed impotente. ' oramai riconosciuto il fondamentale ruolo delle informazioni nel processo di cura. Le formazioni, infatti, così come riportato nella letteratura scientifica, possono in un certo qual odo: attenuare quei vissuti emotivi (ansia e depressione) spesso rafforzati dalla disinformazione; favorire il processo di controllo e d'adattamento alla malattia, grazie all'utilizzo di strategie di

permettere al paziente di essere un attivo costruttore della propria salute.

gicamente dannoso che contribuisce al deterioramento fisico e mentale del soggetto:

'opportunità di uno scambio verbale con lo staff medico rischiano di cadere in ccrescono la preoccupazione e l'ansia.

to, è chiaro che la

ibilità di rapporti sociali.

l'ansia e della paura

ento e sulla prognosi. Una considerevole parte del disagio é dovuta alla man-

ta incertezza dei malati sono:

mano pienamente e in modo chiaro, considerandolo come un'unità psicofisica. La mancanza d'informazione provoca nel malato non soltanto irritazione, ma anche insicurezza e preoccupazione nonché temporanea perdita del controllo sulla propria vita, aggravando l'angoscia reattiva alla malattia e al ricovero. LdraEinm- -

coping più mature; - Con il prolungarsi della degenza per la regolarità degli orari, il ritmo sempre uguale dei giorni che passano, la depersonalizzazione, la solitudine, le lunghe attese, si viene ad aggiungere un altro ele-mento psicolola noia. I malati, nelle lunghe ore d'inattività pensano continuamente all'andamento della loro malattia, e, talvolta non avendo lerrori di valutazione e giudizio, i quali alla fin fine aPer quanto riguarda la fase critica dell'adattamento al reparto, da quanto si è detdegenza in reparto ha per la persona un significato di sradicamento sia da un punto di vista psicolo-gico che da un punto di vista sociale. L'ospedale comporta, sotto il profilo sociale, i seguenti mutamenti: 1) invasione dello spazio e dell'intimità personale 2) spersonalizzazione e perdita d'indipendenza 3) riduzione delle possÉ un evento quindi che ha un profondo significato emotivo che si può manifestare in modi diversi, quali: 1) ansia e paura 2) irritabilità 3) perdita d'interesse per il mondo esterno 4) tristezza 5) preoccupazione per ciò che avviene nel proprio organismo. 6) bisogno di assicurarsi le attenzioni personalizzate da parte di qualche Operatore. Di fronte ad un evento così stressante il malato sente un estremo bisogno d'essere rassicurato, per questo chiede sostegno ai propri familiari e al personale ospedaliero. Parte delche prova quando é in ospedale, dipende anche da uno stato d'incertezza e di disinformazione sulla malattia, sul trattamcanza di comunicazione da parte dei medici e del personale infermieristico. E' stato messo in evidenza che, talvolta, le persone in ospedale non sanno esattamente cosa chiedere ai medici e sono quindi restii a chiedere informazioni. I motivi più comuni di ques

Page 99: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

- paura del ridicolo o di una ritorsione, - l'impressione che comunque non cambierebbe niente, - il non volere creare problemi, o dare fastidio, - il non sapere esattamente di che cosa lamentarsi, - l'impressione che chiedere maggiori informazioni non sia un comportamento corretto,

a trattare.

enza soggettiva di disagio: le paure e le insicurezze restano

i riflessi negativi sulla situazione globale di trattamento e cura.

he si esprime anche in forma di richiesta continua d'informazioni e d'aiuto.

giamento della persona malata, non collima con le attese dello staff medico, anziché

- la paura di sapere la verità. Di fronte a questo stato di disagio le persone adottano, spesso inconsapevolmente, certe modalità di reazione che rappresentano delle vere e proprie strategie individuali e collettive per attenuare le dif-ficoltà dell'adattamento all'ospedale. Queste reazioni, pur avendo una finalità corretta, possono rive-larsi con il tempo inadeguate sia esse si presentino per eccesso o per difetto. Per superare lo stato d'abbandono psicologico, d'ansia, il sentimento di svalorizzazione, le persone assumono il carattere del "buon paziente", accondiscendente e facile dSi tratta di un atteggiamento passivo, rassegnato, che é ben accolto dal personale sanitario, e dagli stessi compagni di stanza in quanto non "procura" fastidio. Questo atteggiamento non contribuisce al miglioramento effettivo dell'esperimascherate, non sono in altre parole riequilibrate dall'informazione sullo stato reale della malattia, ma divengono una fonte dAltre persone invece assumono un atteggiamento di controllo e d'aggressività, dettato da uno spirito combattivo cSono proprio queste persone che tendono ad irritare il personale sanitario, poiché si trova ad essere controllato. Il personale sanitario, che abitualmente lavora in una condizione in cui l'ammalato si affida passivamente alle cure, difficilmente accetta di mettersi in discussione con la propria modalità operativa. Se un attegcercare di comprendere il sottostante significato spesso è preferibile optare per una giustificazione esterna al nostro operato ossia etichettare la persona come “paziente difficile e indesiderabile”. L'atteggiamento di questi ammalati in realtà, così come dimostrato dalla letteratura scientifica, è il migliore sia per la determinazione dei risultati da lui auspicati e anche per il personale sanitario, il quale deve abituarsi ad interagire con delle persone e non con degli organi o delle malattie. Una volta, rivolgendomi ad un anziano e saggio infermiere generico, constatavo che quando si ricovera, nel nosocomio in cui presti servizio, un parente od un amico sopraggiunge spesso la "sfortuna". L'incidente di percorso, l'errore del collega, l'imprevisto, un ritardo, la mancanza di un presidio, ecc., malgrado tutte le tue attenzioni. L'infermiere sicuro di sé mi rispose: "non è proprio così e non esiste nessuna sfortuna. Il fatto è che con i tuoi parenti ti accorgi degli errori mentre con gli altri no. Esistono anche degli ammalati iperirritabili aventi dei comportamenti, a volte, dall'aspetto autodistruttivo, ad esempio non accettano le prescrizioni, si rifiutano di mangiare. La loro aggressi-vità si esprime con continue critiche verso il personale sanitario. In genere il personale sanitario si comporta verso queste persone fastidiose, ignorandoli ed emargi-nandoli, provocando in tal modo un grave circolo vizioso, mentre invece dovrebbe essere compreso che tali reazioni sono provocate da un sentimento di depersonalizzazione e di minaccia per la pro-pria identità e libertà di movimento. Il giusto comportamento del personale sanitario sarebbe quello non di proporre il modello rigido di "buon paziente", ma aumentare la consapevolezza dei soggetti fino a renderli, a tutti gli effetti, persone partecipanti ai processi di cura.

Page 100: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

5.1.2. La dimissione. Anche la dimissione, cioè il momento dell'uscita é un evento cruciale sia per l'individuo sia per l'o-spedale. L'individuo ha l'occasione di fare un bilancio dell'esperienza vissuta e di riorganizzare il ri-torno nel proprio ambiente quotidiano, i medici invece verificano le eventuali discordanze esistenti tra gli obiettivi che si erano proposti e i risultati della propria azione terapeutica. Analogamente alla fase d'ingresso anche nella dimissione riemerge il contrasto tra procedure stan-dardizzate, funzionali ad un'organizzazione burocratica e i bisogni concreti di ciascun individuo.

così come la comunicazione d'informazioni circa l'esito

esigenze organizzative tali da ritardare o anticipare

fase critica é rappresentata dal processo di reinserimento nella vita quotidiana. La dimis-

le caratteristiche

e ben accertate cui é segui-

gione, salvo un eventuale periodo di convale-

una situazione di difficile accertamento che non é stata com-

to di gioia per

pria personalità e delle proprie capacità decisionali e per il ritorno alla propria normale at-

la malattia è cronica, anche dopo la dimissione si ha un periodo d'an-

rientrare nel sistema di vita precedente

énage familiare e lavorativo.

spedale-ambiente esterno.

Gli studi hanno messo in evidenza un notevole grado d'insoddisfazione dei soggetti per il modo in cui normalmente si svolge questo evento. Spesso la dimissione viene comunicata all'improvviso; non sempre dopo un effettivo completamen-to delle attività terapeutiche e diagnostiche delle cure, le rassicurazioni e i chiarimenti sono ridotti al minimo. In molte dimissioni inoltre sembrano prevalerela dimissione rispetto alle effettive esigenze della persona. A volte la sensazione soggettiva del sog-getto di stare effettivamente meglio non corrisponde con l'evento della dimissione. Basti pensare a quando si presenta l'esigenza di posti letto o in prossimità di feste solenni, votazioni o ferie. Tali disfunzioni organizzative sono percepite chiaramente dai malati rendendo ambivalente il rapporto persona-struttura ospedaliera anche in tale fase. L'ultimasione ospedaliera genera vissuti e risonanze psicologiche assai diverse nei vari soggetti. Schematicamente si possono avere tre situazioni tipiche nella pratica quotidiana anche se con molte variazioni in rapporto a dati oggettivi, quali l'età, il sesso, la classe socioeconomica, il tipo di fami-glia, il lavoro svolto e dati soggettivi, come ad esempio la capacità d'adattamento, di personalità, la capacità di tollerare la frustrazione e la capacità di posticipare la gratificazione. Le tre situazioni possono essere così rappresentate: 1) L'ingresso ospedaliero è dovuto ad un fatto acuto determinato da causta una terapia adeguata e risolutiva. In questo caso la dimissione coincide con la guariscenza. 2) L'ingresso ospedaliero è dovuto ad un evento cronico o con tendenza a cronicizzarsi che é stato momentaneamente bloccato, ma non del tutto eliminato, situazione che lascia prevedere futuri nuo-vi ricoveri, o comunque ulteriori cicli di controllo. 3) L'ingresso ospedaliero riguardavapletamente definita e chiarita e che presuppone nuove fasi d'osservazione, sia interne sia esterne al-l'ospedale. A prima vista, sembrerebbe che dopo le dimissioni ci sia il prevalere di un sentimen"lo scampato pericolo" e d'intensa soddisfazione per avere fatto fronte alla malattia, per il recupero della protività ecc. Invece, in molti casi, specie se sia e incertezza. Possono quindi sorgere varie paure: paura di non riuscire aall'evento patologico, paura di non riuscire a mantenere i programmi terapeutici stabiliti per il recupero, paura di non riuscire a gestire il m Da queste considerazioni emergono due conclusioni fondamentali: 1) la dimissione non é un fatto che riguarda solo il soggetto malato, ma si configura come un parti-colare momento del rapporto o

Page 101: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Infatti, molte delle difficoltà cui la persona va incontro o teme al momento della dimissione, sono dovute alla inefficiente integrazione dell'ospedale con i servizi che ci sono sul territori quali servizi domiciliari, strutture di riabilitazione, personale specializzato, ecc. 2) l'ospedale dovrebbe prendere in considerazione non solo delle esigenze sanitarie dei soggetti che escono, ma dovrebbe predisporre una serie di misure volte a facilitare il rientro nella vita normale, ad esempio fornendo informazioni, preparando programmi terapeutici chiari, assicurando una co-

e non gravi che potrebbero essere affrontate con un'assistenza pediatrica i tipo domiciliare. uesto potrebbe ricollegarsi ad alcuni fattori quali: i genitori lavorano e non possono assicurare assistenza continuativa al piccolo; all'interno della famiglia ci sono difficoltà relazionali perciò essa non riesce a caricarsi d'ulteriori nsioni affettivo-emozionali imposte dalla malattia di un suo membro.

L'ospedalizzazione pur costit adulto, per il bambino, specialmente sotto i quattro anni divenire un'esperienza traumatica con gravi conseguenze sul piano dello sviluppo psicologico, se non si tengono in considerazione alcuni fondamentali aspetti. Il bambino, rispetto all'adulto, ha una minore capacità d'affrontare cognitivamente ed affettivamente sia una situazione sconosciuta ed ansiogena come un ambiente nuovo, persone sconosciute, un ri-tmo di vita diverso, sia l'esperienza di perdita, anche temporanea, di ciò che ha acquisito come i propri familiari, la propria casa, i propri amici e i propri giochi. I problemi dell'ospedalizzazione dei bambini possono essere analizzati secondo diverse prospettive teoriche, ciascuna delle quali mette in evidenza aspetti particolari dell'esperienza del bambino. Alcune ricerche di tipo cognitivo mettono in risalto l'esperienza di separazione e di perdita vissuta dal bambino (Bowlby). La separazione madre/bambino produce in quest'ultimo delle ripercussioni psicologiche più o meno gravi a seconda della durata della separazione e delle condizioni che la caratterizzano. La relazione affettiva instaurata fra il bambino e la principale figura d'attaccamento che in genere é la madre, viene ad essere sconvolta dall'evento di separazione. Alla separazione dalla madre il bambino manifesta una sequenza di reazioni a seconda della durata della separazione. La prima fase é quella della "protesta" in cui il bambino piange, urla e si ribella. Segue poi la fase della "disperazione" in cui compaiono segni d'abbattimento, apatia, depressione, perdita d'interessi, ed infine la terza fase é quella del "distacco" in cui il legame d'attaccamento madre-bambino si spezza.

municazione reciproca con i servizi della comunità. 5.2. Problemi inerenti l'ospedalizzazione in età infantile. Quando sono i bambini ad esser ricoverati, il ricovero assume un carattere del tutto specifico, moti-vo per questo é preferibile considerare il problema dell'ospedalizzazione del bambino come un aspetto a sé. Nella società odierna esiste una notevole tendenza a ricorrere all'ospedalizzazione anche in presen-za di condizioni patologichdQ- - te

uendo costituisce una situazione problematica anche per l' d'età, rischia di

Page 102: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Secondo queste ricerche quindi, un'esperienza d'ospedalizzazione nel bambino, che non preveda la resenza della madre può comportare gravi rischi per l'equilibrio psicofisico del bambino. Poiché il

problema della salute mentale del b quanto quello della salute fisica, é ecessario che nell'ospedalizzazione venga conservata, quanto meglio possibile l'unità madre/bam-no. ltre prospettive teoriche sottolineano il fatto che l'esperienza d'ospedalizzazione possa divenire aumatizzante non solo in quanto separazione madre/bambino, ma anche perché è alterato il pporto del bambino con i membri più significativi della famiglia. In altri termini è assunto come pporto significativo non solo quello particolare madre/bambino ma quello più generale bambi-

o/famiglia. Quindi affrontare il problema della ospedalizzazione in età evolutiva significa conside-rare il rapporto ba trano in contatto, ognuno con regole ed organizzazione propriLe reazioni del bambino alla os ricondurre a quel complesso di relazioni che si vengono ad instaurare tra la fam lia del piccolo paziente ed il personale sanitario con cui la famiglia entra in contatto.

li studi sulla famiglia hanno evidenziato che questa si caratterizza per i diversi modelli di dinami-a psico-sociale interna.

te caratteristiche tipologiche del-

) da un lato le famiglie a dinamica "invischiata" in cui i singoli membri della famiglia appaiono oco differenziati tra loro per autonomia di rapporti interpersonali, fortemente coinvolti emotiva-

ica "sciolta" o "disimpegnata": in queste famiglie l'aspetto emo-

riguarda le reazioni del bambino

ere di più i comportamenti d'adatta-otivo principale di disagio alle

pambino é importante

nbiAtrraran

mbino/famiglia e famiglia/ospedale, cioè due sistemi che ene.

pedalizzazione sarebbero pertanto da ig

GcMinuchin in particolare, ha descritto i due modelli estremi di ques

famiglia: laapmente, con marcate difficoltà a far fronte a situazioni ansiogene. Non dispongono inoltre di un'ade-guata rete di rapporti sociali e sono tutti centrati sul loro equilibrio, ossia sul proprio nucleo familiare.

) dall'altro lato le famiglie a dinambtivo é tenuto in secondo piano, i singoli membri cercano di soddisfare i loro bisogni affettivi al di fuori dell'ambiente familiare e i sistemi di sostegno reciproco nei casi d'emergenza sono scarsamen-te attivi. La famiglia a modello "invischiato" tende a sottolineare maggiormente le reazioni negative del bambino alla degenza ospedaliera, risaltando, come motivo principale di disagio, la separazione

alla famiglia. dI rapporti tra la famiglia a dinamica "invischiata" ed il personale ospedaliero si basano in larga mi-sura sul reclamare, da entrambe le parti, il diritto alla gestione del paziente, con conseguenti atteg-giamenti competitivi e possibile scoppio di conflitti. Per quanto

bini d'età compresa fra i due e i quattro anni, se ospedalizzato, é stato osservato che i bamappartenenti a famiglie "invischiate", manifestano reazioni di pianto frequente e protratto, con com-portamenti di chiusura in sé, molto più spesso di quelli appartenenti a famiglie "disimpegnate". Le famiglie a modello "disimpegnato" tendono invece a cogli

ento del bambino alla ospedalizzazione e attribuiscono il mmsofferenze fisiche connesse al ricovero, come ad esempio per pratiche terapeutiche o diagnostiche. Le relazioni fra le famiglie "disimpegnate" ed il personale ospedaliero sono basate sul riconosci-mento da parte delle famiglie, della loro inadeguatezza a far fronte allo stato fisico del bambino delegando l'intera gestione dalla situazione allo staff competente. I bambini di queste, invece, mo-strando minor rifiuto verso la nuova situazione ambientale adottano, nei confronti degli altri bambi-ni pazienti e del personale infermieristico dei comportamenti interattivi.

altri termini i bambini provenienti dalle famiglie "invischiate" presentano reazioni tipiche della Infase di protesta e di disperazione, molto di più dei bambini appartenenti alle famiglie "disimpegnate". Questi ultimi invece mostrano un più rapido adattamento al reparto.

Page 103: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Queste differenze, come ho già precisato non sono attribuibili solo al tipo di dinamica relazionale propria della famiglia, ma anche al diverso rapporto che si stabilisce tra le famiglie ed il reparto. Se

famiglia, nell'interazione con il reparto, di fronte alle pretese di totale gestione del malato, da par-

problema, quindi, dell'ospedalizzazione infantile é complicato da numerosi fattori, oltre dalle nor-

re e all'atteggiamento della famiglia nei confronti della degenza del proprio figlio, cioè l rapporto famiglia/personale del reparto.

guenze psicologiche cui va incontro un bambino che vive una

'abbattimento, perdita d'interessi, distacco, ecc.) il bambino può andare incontro a ritardi o gressioni nelle fasi d'apprendimento dello sviluppo infantile. Ad esempio per lo sviluppo

sviluppo cognitivo

chiaro che in tali situazioni non solo lo sviluppo cognitivo può andare incontro a rallentamenti, ri-

rà icuramente delle ripercussioni e richiederà un successivo intervento riabilitativo.

pagna,

isce un'esperienza regressiva, nel senso che ha bisogno dell'in-

o. fatti l'apprendimento graduale delle varie funzioni corporee, come mangiare da soli, la capacità di

ostituiscono per il bambino

motorie, si oppongono e intrattabili".

, ambientali e educativi.

o ha della malattia evolve parallelamente al suo sviluppo cognitivo. ra i due e i sei anni (stadio preoperatorio secondo J. Piage) il bambino ha una concezione di malat-

late del reparto stesso, risponde con un comportamento passivo e lasciando sempre più libero il cam-po, così come avviene nelle famiglie a dinamica "disimpegnata", al bambino non resta altro che adattarsi prontamente al nuovo ambiente; mentre il contrario avviene per i bambini provenienti da nuclei più invischiati, proprio perché esiste un rapporto di competizione tra queste famiglie e il re-parto. Ilmali difficoltà di ricovero, fattori che sono da ricondurre al tipo di relazioni che caratterizzano il nu-cleo familiaaAccenno ora ad alcune possibili consetraumatizzante esperienza d'ospedalizzazione. Quando malattia ed ospedalizzazione in età infantile si accompagnano a stati emozionali specifici (fasi drecognitivo essendo fondamentale l'interazione sociale coi coetanei e con gli adulti, un prolungato isolamento con scarse interazioni, può determinare un rallentamento nellostesso. Étardi, ma anche le stesse abilità linguistiche e interattive sociali possono risultare compromesse. Se la malattia nel bambino piccolo comporta un lungo periodo a letto, anche lo sviluppo motorio avsAd esempio, in un bambino che ha appena acquisito i primi progressi del camminare, perderà facil-mente questa capacità, se costretto, per un lungo periodo a letto. A questa perdita si accomcome conseguenza emozionale negativa, un'esperienza di frustrazione. Anche per l'adulto la malattia costitutervento altrui anche per le funzioni più elementari. Per il bambino questa regressione ha un significato diversInlavarsi e vestirsi da soli, la regolazione autonoma degli sfinteri, culteriori tappe importanti nello sviluppo dell'Io. Una perdita di queste capacità d'autonomia, signifi-ca una perdita del controllo dell'Io. Alcuni bambini, con forti difese contro queste perdite delle capacità sensodecisamente alla regressione, divenendo “pazienti difficiliQual é il significato e quindi il vissuto soggettivo che ha il bambino della malattia? Ci sono una serie di fattori, tutti interangenti tra loro, che incidono sul vissuto di malattia del bam-bino, . Per facilitare le comprensione li esporremo separatamente, anche se difficilmente nella realtà possono apparire in tal modo. 1) Differenze individuali per caratteristiche personali. Ogni bambino ha una propria "storia" perso-nale, di rapporti parentali, familiari2) Differenze d'età. Età diverse significano momenti diversi del processo di sviluppo corporeo, co-gnitivo, affettivo, motivazionale e sociale. La concezione che un bambinTtia come di sintomo esterno.

Page 104: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

LA CAUSA DELLO STAR MALE VIENE ATTRIBUITA AD EVENTI E SITUAZIONI ESTERNE CHE NON SONO IN RELAZIONE DIRETTA CON LA ESEMPIO VIENE ATTRIBUITA AD EVENTI MAGICI). NELLO STADIO DELLE OPERAZIO-NI CONCRETE, TRA I 6-7 E GLI 10-11 ANNI, IL BAMBINO CONCEPISCE LA MALATTIA COME UN EVENTOFETTO DIRETTO SUGLI ORGANI INTERNI. Nello stadio del pensiero formale, cioè dall'adolescenza

MALATTIA STESSA (AD

INTERNO AL CORPO, CAUSATA DA EVENTI CHE HANNO UN EF-

in poi, l'individuo descrive la malattia nei rmini di strutture fisiologiche interne e funzioni alterate da fattori esterni tra i quali però vengono

renderne i proba-

gie. Patologie da trauma hanno la caratteristica di me della realtà e con-

ente un maggior controllo delle fantasie e angosce irrealistiche, ciò che invece é più difficile nelle

ino nei confronti della sua malattia. Un atteg-ei confronti della malattia, può essere un fat-

re molto rassicurante per il bambino malato. Per contro, ansia, nervosismo, rifiuto da parte dei ge-

Dirigente dell’Assistenza Infermieristica

teinclusi anche fattori psicologici quali lo stress e l'ansia. Il modo di concepire la malattia e le sue cause influenza il vissuto del paziente in stato di malattia. Comprendere quale sia il modo di concettualizzare la malattia, le sue cause, compbili vissuti personali, é di grande importanza per gli operatori sanitari i quali, basandosi su tali conoscenze, potrebbero migliorare il loro approccio al bambino malato. 3) Differenze connesse alle varie patoloconcretezza, tangibilità, visibilità della malattia e delle cure. Ciò facilita l'esaspatologie funzionali od organiche interne. 4) Differenze di atteggiamenti della famiglia del bambgiamento razionale e controllato da parte dei genitori ntonitori, sono reazioni inadeguate che suscitano nel bambino sentimenti di autocolpevolizzazione e comportamenti aggressivi.

Biancat Roberto

Page 105: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

CAPITOLO SESTO

ZIONE UOMO-UOMO

do assi-

a è, in realtà, una coesistenza.

oi. ente interazione e influenza reciproca.

che la nostra personalità è largamente determinata dalle interazioni con gli

ri assumono solo intesa come una "struttura dinamica" in continua

LA RELAZIONE OPERATORE SANITARIO-MALATO OVVERO

LA RELA

6.1 Aspetti generali della relazione operatore sanitario-malato Le relazioni medico-malato, infermiera-malato, cioè in generale la relazione operatore sanitario-malato rappresentano solo un aspetto particolare del più ampio settore delle relazioni interpersonali fra un uomo ed un altro uomo. L'esistenza di qualsiasi individuo comporta la necessità di essere in rapporto con gli altri, e questo rapporto va dalla relazione meno significativa, come quando andiamo a comperare il giornale, alle elazioni più importanti, tipo quelle con i nostri familiari, o a quelle più intense come quanr

stiamo un nostro congiunto morente. Indipendentemente dalla loro maggiore o minore importanza e significatività, le relazioni sono, nel loro complesso, l'essenza della nostra vita. L'uomo non è solo e la sua esistenzCoesistenza vuol dire: "essere con gli altri". Ma "nell'essere con gli altri" ognuno di noi esercita, consapevolmente o inconsapevolmente, un'in-fluenza, come gli altri su ognuno di nRelazione è sostanzialm Vale la pena ricordare altri, specialmente nel primo periodo della nostra vita, quando gli altri sono i genitori o persone si-gnificative del nucleo familiare. La personalità non è qualcosa di predeterminato biologicamente. I caratteri ereditail valore di "fattori potenziali" per una personalità evoluzione per effetto dei processi interattivi continui. La relazione operatore sanitario-malato è un particolare processo interattivo in cui i due elementi in gioco sono:

Page 106: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

un individuo che chiede aiuto perché si vede minacciata la sua vita da una malattia, e un altro indi-viduo che, in forza a certe conoscenze acquisite, agisce con l'intento di portare aiuto. La maggior parte degli studi compiuti in riferimento alla relazione operatore sanitario-malato si so-no fermati, purtroppo, ad un livello descrittivo e non hanno preso in esame (escluso pochi casi) gli ffetti prodotti sul comportamento della persona ammalata. In più ci sono stati diversi orientamenti

ati da ottiche teoriche ifferenti:

li. (Il discorso può essere assimilato anche alla relazione infermiera-mala-

rospettiva i due ruoli sono l'uno complementare dell'altro, ma la relazione è perché c'è una situazione di dipendenza di uno dei due soggetti.

nalizzati.

ione, è la fiducia reciproca, tra il medico o infermiera che si assumono la responsabilità e la persona ammalata che si affida alle loro cure.

sibilità di trattativa, ecc.. ul grado di dipendenza, ad esempio, l'ammalato non possiede le conoscenze di chi lo cura, per uesto le rimane solo l'alternativa d'accettare o rifiutare.

ruolo del medico occupa una posizione dominante nella relazione. ota per effetto di essere "il controllore del corpo" e poiché il controllo è una

ariabile del potere sociale è opportuno ricordare le variabili del potere in senso lato:

ito.

edici. il sapere. Il medico ha l'esclusiva del sapere, reagendo di fronte agli utenti desiderosi di

fatti, istituzionalmente, al ruolo del medico è concesso il potere di legittimare o no l'adozione da

Ci sono state numerose critiche al modello con cui Parsons ha descritto la relazione tra operatore

eteorici i quali hanno focalizzato, ognuno per proprio conto, aspetti diversi del processo interattivo in questione. Qui presentiamo brevemente solo alcuni di questi aspetti della relazione, studid 1 - Il punto di vista funzionalistico. A) Parsons prende in considerazione e descrive la relazione medico-malato partendo da una defi-nizione dei rispettivi ruoto). Da questa pasimmetrica, I due ruoli sono istituzio L'elemento centrale implicito, su cui s'impernia la relazl' Il ruolo temporaneo di "paziente" si caratterizza in un certo senso come "anormale" o "deviante" rispetto alla norma, cioè alla condizione di salute. Alcune caratteristiche di questo ruolo sono la dipendenza, il bisognoso d'attenzione, la passività, la scarsa posSq IlIl suo ruolo si connv- la forza fisica o di farsi rispettare o che deriva dal gruppo d'appartenenza. I medici per esempio sono storicamente un gruppo un- il controllo. Il medico, avendo assegnato un nome in latino o in greco, cioè estraneo al gergo popolare, ad ogni pezzo del corpo, ha assunto, rispetto il passato, l'esclusiva del controllo del corpo. da qui il termine "paziente", cioè di colui che passivamente si sottopone ai controlli m- partecipare alla discussione della propria diagnosi e terapia. - lo status. Il medico, per effetto di quanto detto sopra, ha ottenuto il riconoscimento sociale ed economico, poiché ha l'esclusiva. Inparte dell'individuo del ruolo di malato, ed inoltre è impegnato a dare un contributo sociale pren-dendosi cura di chi è malato.

Page 107: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

sfettiva della relazione, e della situazione o contesto in cui essa accade. Però a Parsons va riconosciuto il merito di aver portato l'attenzioaprendo così la strada a studi successivi su aspetti della relazione che riguardano il potere e l'in-fluenza del medico. Inoltre Parsons ha stabilito la distinzione

anitario e malato, in modo particolare perché manca completamente un'analisi della dimensione af-

ne sulla asimmetria della relazione,

fra malattia e ruolo di malattia e questo ha anticipato gli tudi successivi su malattia e comportamenti di malattia.

i della relazione medico-malato partendo dalla descri-ione dei comportamenti della persona ammalata in funzione del tipo di malattia.

re che la relazione medico-malato può essere caratterizzata da:

na iniziativa nel trattamento; la persona mmalata è in uno stato d'avvilimento e abbandono.

e alle truzioni del medico. Esempio: situazione caratterizzata da una fase acuta di una malattia, di dolore

) mutua partecipazione: la persona ammalata collabora, ma sempre obbedendo e mai

ulla condizione di ipendenza che determina i ruoli delle persone interagenti, tenendo conto delle caratteristiche della

el caso delle persone ospedalizzate gli studi hanno preso in considerazione il punto di vista degli ortamenti adottati dalle persone stesse si esprimono con defi-

izioni che vanno da "paziente facile" a "paziente difficile".

nforma o no alle richieste di assumere il ruolo di aziente, o meglio quel tal ruolo di malato che ciascun operatore crede essere il "giusto ruolo di ma-

te cattivo", "paziente facile" o ile".

de alla persona ammalata di adeguarsi alle aspettative ma-è al ruolo che si crede giusto per lui in quella circostanza.

logate in base al tipo particolare di ruolo che

Il ruolo di "paziente buono" è caratterizzato da uno stato di dipendenza e d'avvilimento. Questo è

s B) Sempre da un punto di vista funzionalistico, il modello di Szasz completa il modello di Parsons. Il suo modello è un ulteriore tentativo d'analiszEgli afferma che il ruolo di paziente, che vanno assumendo le persone ammalate, varia a seconda delle esigenze della situazione e pertanto il ruolo può considerarsi funzionale o no nella misura in cui si ha una forma di adattamento ad essa. Szasz fa nota a) attività/passività: il medico assume il ruolo attivo e la pieaEsempio: situazioni d'emergenza e di pronto soccorso. b) cooperazione guidata: la persona ammalata è cosciente di quanto sta accadendo e obbediscisfisico o di frattura. csindacalizzando, alla gestione del proprio trattamento. Esempio: durante i trattamenti delle malattie croniche o durante la riabilitazione. Quindi il modello di Szasz, sulla relazione medico-malato, mette l'accento sdsituazione (tipo di malattia o tipo di bisogno). Noperatori, i quali, in base ai compn Le modalità con le quali la persona ammalata si coplato", caratterizzano quest'ultimo come: "paziente buono" o "pazien"paziente diffic Ciò significa, in altri termini, che si richieturate nei suoi confronti, cio Pertanto i comportamenti delle persone saranno cataesse andranno ad assumere.

Page 108: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

funzionale all'attività dell'operatore, in quanto egli è facilitato nei suoi compiti e pertanto tenderà a rinforzarlo. In realtà, molte osservazioni hanno dimostrato che molti "pazienti buoni" stanno, invece, attraver-sando crisi d'ansia e di depressione. Questi stati affettivi comportano reazioni fisiologiche poco benefiche al fine d'affrontare la malattia.

spedale, ma anche in comportamenti autodistruttivi, come ad esempio bere lcolici nonostante le controindicazioni.

no lo stato emozionale di questo tipo di paziente sono quelle tipiche della collera e

no nel primo (paziente buono) e troppa tensione nel secondo (paziente cattivo). a parte del personale sanitario dovrebbe essere incentivato nelle persone l'assunzione del ruolo di

n'altra ottica nel considerare la relazione tra malato e operatore sanitario, parte da un'analisi del

il potere coercitivo;

ome conseguenza né deriva che l'individuo malato assume un ruolo basato sull'identificazione con

a relazione passa attraverso tre fasi: i nota che il malato

azione al suo stato di malessere mentre l'operatore rsi come il referente, il risolutore motivando lo stesso a

ucia.

Il ruolo di "paziente cattivo" è tipico dell'individuo che richiama l'attenzione degli operatori sanitari su di sé, richiedendo continuamente informazioni e reagendo negativamente alle restrizioni impo-ste dall'ambiente. Lo stato emozionale più frequente in tali persone è l'irritazione, che può tradursi in gesti di ribellio-ne contro il sistema oaLa richiesta d'attenzione si accompagna a critiche circa il trattamento ricevuto. Le reazioni fisiolo-giche che seguodell'ansia, cioè un aumento dell'arousal. Il personale sanitario tende ad ignorare questo tipo di persona o a ricorrere in alcuni casi ad un au-mento della prescrizione di farmaci. Entrambi questi modelli di comportamento implicano rischi per la salute delle persone in quanto c'è passività ed abbandoD"persona partecipativa" facendo in modo che le stesse assumano un certo controllo su quanto ri-guardi loro. Questa partecipazione nel controllo potrebbe consistere in un aumento delle informazioni circa i sintomi, la malattia, il modo di rispondervi, le possibilità di risposta ai trattamenti dolorosi. 2 - Il potere esistente nella relazione. Upotere esistente in tale relazione. Secondo questo approccio, l'operatore cerca di modificare i comportamenti della persona assistita attraverso l'uso di tre tipi di potere: 1 il potere di esperto; 23 il potere che premia. Cil detentore del potere, cioè l'operatore sanitario, che è il polo di potere referente. La) il primo stadio consiste nello stabilire la condizione di potere referente: sesprime sentimenti, come paura e difficoltà in reltenta di comprendere il suo problema e di pomodificare i suoi comportamenti recuperando speranza e fid

Page 109: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

bgrammate: terapie, somministrazioni di farmaci, interventi chirurgici, ecc. (Uso del potere coerciti-vo).

) nel secondo stadio si ha un potere referente esercitato direttamente sul paziente con azioni pro-

) nel terzo stadio si tratta di mantenere alto il potere referente dell'operatore, attraverso il potere

merito di questo approccio sta nell'aver portato l'attenzione ai differenti tipi di potere che sono

sato ioè con l'operatore sanitario.

mo preso in considerazione hanno messo in evidenza che nella relazione peratore sanitario-malato, ci sono almeno due aspetti fondamentali che concorrono a caratterizzare

'influenza dell'operatore sanitario poggia su alcune variabili di cui, in modo particolare sono state

) il controllo sociale;

e.

atterrà

sanitario:

) Aspetti affettivi.

entano di una scarsità di interesse da parte degli operatori sanitari (medi-, infermieri, ecc.) nei confronti dei loro problemi.

una certa indifferenza ai loro problemi, essi i comportano in seguito in modo diverso; non si aprono e non discutono gli aspetti più personali

ggiamento.

alata sì relaziona all'operatore

ed è molto probabile che segua i suoi con-

cche premia, là dove si raggiungono i risultati auspicati. Ilmessi in atto nella relazione tra operatore sanitario e malato e che le modificazioni dei comportamenti di quest'ultimo sono possibili in quanto viene ad assumere un ruolo basull'identificazione con il detentore del potere, c Gli approcci che abbiaoi rispettivi ruoli svolti: A) l'influenza che l'operatore esercita sulla persona ammalata; Levidenziate: a) il potere; bc) il sapere e il processo comunicativo. Queste variabili condizionano i livelli di cooperazion Ma, il tipo di ruolo che la persona ammalata assumerà, cioè le modalità attraverso le quali si alle istruzioni assumendo o il ruolo cooperativo o il ruolo di antagonista, è in funzione anche dal grado di soddisfazione che egli riceve dalla relazione, e ciò dipenderà da altre variabili, in modo particolare dagli aspetti affettivi della relazione, dagli aspetti informativi e persuasivi della comuni-cazione. Grado di soddisfazione che la persona ammalata riceve dalla relazione con l'operatore a Spesso gli ammalati si lamciQuando questi avvertono nel medico o nell'infermiera sdei loro problemi, non collaborano e tendono a passivizzarsi o ad un oste Questi dati dimostrano che nel rapporto tra operatore sanitario e malato sono presenti contempora-neamente due aspetti strettamente correlati tra loro: la persona ammsanitario valutandone sia le capacità professionali, sia le capacità di partecipazione emotiva. Se la persona ammalata avverte che l'operatore sanitario ha capito le sue preoccupazioni, egli allora è soddisfatto della relazione che si è venuta a stabilire, sigli.

Page 110: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

E' dall'atteggiamento dell'operatore sanitario che dipende la possibilità che la persona ammalata de-sideri o meno discutere con lui determinati problemi personali. Il fatto che l'operatore sanitario (medico o infermiera) non riesca a rendersi conto delle particolari

er il personale sanitario il problema si pone in termini di alterazioni biologiche degli altri, per la

'operatore sanitario dovrebbe rendersi conto di ciò che significa per ogni persona, che si rivolge a

che in particolare modo perché essa ha di per sé un significato e un valore

) Aspetti informativi e persuasivi della comunicazione.

n lato le persone riconoscono agli operatori sani-

medicina sembrerebbe un fattore di seconda importanza la scarsità di comunicazione, rispetto al capacità cliniche e la preparazione scientifica.

pire quale sia

terapeutico.

rio e malato, come vengono avverti-

iò che spesso vorrebbero sapere con maggior precisione riguarda:

eventuali danni iatrogeni,

peratori, anche nel mondo, che possono offrirgli risultati migliori

preoccupazioni di una persona, dipende in gran parte dal fatto che entrambi percepiscono i problemi clinici in modo profondamente diverso. Ppersona ammalata il proprio problema si presenta, oltre sotto l'aspetto fisico, anche sotto altri aspet-ti importanti di natura psicologica e sociale. Llui, un dato problema. Tale consapevolezza è necessaria non soltanto perché permette di comunica-re più facilmente, ma anterapeutico. B Si osserva sempre più frequentemente che se da utari notevole competenza sotto il profilo professionale, molto spesso affermano però di non essere soddisfatti del livello di comunicazione che si stabilisce tra loro e gli stessi operatori sanitari. Invalore che indubbiamente hanno le In realtà invece è essenziale che l'operatore sanitario abbia anche buone capacità di comunicazione. Ribadiamo ancora: tale facoltà ha una funzione vitale perché non solo permette di cala natura del problema presentato da ogni persona, ma anche perché, come è stato ampiamente dimostrato, un buon livello di comunicazione ha in sé un significato I problemi di comunicazione nella relazione tra operatore sanitati dalla gente riguardano: a) Insufficienza di informazioni. Una altissima percentuale di persone si lamenta di non ricevere abbastanza informazioni dagli operatori sanitari a sì cui sono affidati per le cure. C- la diagnosi, - il decorso clinico, - la terapia o le possibilità terapeutiche, - - i cambiamenti di stile di vita che dovranno attuare , - le modificazioni corporee che potranno verificarsi, - se l'operatore è perfettamente in grado di affrontare il suo problema, - se esistono altri o

Page 111: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Alcune persone affette da malattie molto gravi o in fase terminale desiderano ricevere informazioni sulla propria situazione clinica, ma molto spesso sono lasciate all'oscuro. Alcuni studi hanno messo in evidenza che l'80% delle persone che stanno per morire sa di essere al-la fine e desidererebbe parlare di questo, mentre nell'80% dei casi, i medici negano all'interessato la

ravità della sua situazione e credono che sia opportuno non affrontare tale argomento con lui.

uone notizie e di dover tacere quando la situazione è grave. Il silenzio è certamente la si-azione più facile per l'operatore sanitario, in quanto parlare ad un malato della gravità della sua

a mancanza di informazioni è una fonte di quesiti, di tanti problemi che portano all'angoscia.

' importante informare le persone con cura e con chiarezza, una chiarezza direttamente

itiche, i motivi ella loro sofferenza o il perché del loro ricovero in ospedale, aumentano in loro uno stato ancora

zioni posso-o essere dei potenziali precursori di ansia e di depressione.

estano soprattutto con uno stato d'ansia,

gativa sia sul modo in cui la

na seconda difficoltà di cui spesso lamentano le persone va sotto il nome di "lacune nella comuni-

non sono comprensibili o vengono capite in modo diverso.

ente.

edono chiarificazioni sono: ) temono o si vergognano della loro ignoranza;

ri sanitari; ecc.

g Ancora oggi, molti operatori, che hanno a che fare con malati morenti, credono di dover dare loro soltanto btusituazione è un compito difficile e sempre molto pesante da un punto di vista emotivo. Per cui preferiscono evitare. Ma per la persona morente l'assenza di notizie non induce alla speranza, anzi è invece un richiamo ad aver paura. L Eproporzionale al grado di comprensione. Le persone che vengono tenute all'oscuro, ma che sanno di essere in condizioni crdmaggiore di ansia. I sentimenti di incertezza e di impotenza che spesso si generano in loro per queste situan Come abbiamo già avuto modo di vedere nei precedenti capitoli, le malattie e i ricoveri in ospedale danno luogo a reazioni psicologiche specifiche che si manifche è da considerare come una reazione normale quando non supera certi livelli. Ma uno stato d'an-sia particolarmente accentuato può avere un'influenza chiaramente nepersona malata percepisce i sintomi della malattia, sia sulle reazioni alla terapia. b) Lacune nella comunicazione tra le persone e gli operatori sanitari. Ucazione" e sta ad indicare quelle situazioni in cui le informazioni che esse ricevono dal medico o dall'infermiera In genere medici ed altri professionisti che operano nel settore della Sanità, tendono a servirsi di un loro lessico non comunemente usato dalla g Questi termini tecnici possono non avere significato per i non addetti ai lavori o possono essere in-terpretati in modo inesatto. Alcuni motivi per cui le persone ammalate non chiab) temono di essere insistenti, inopportuni; c) temono di far perdere tempo agli operato

Page 112: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Questi motivi di fatto sono indice di come le persone ammalate possono vivere la netta differenza di ruolo, di potere, di classe sociale, di competenza tra loro e il medico o l'operatore sanitario.

na vera e propria assenza o distorsione della comunicazione.

re con precisione le informazioni ed i

latorio del medi-o ha già dimenticato circa la metà di tutte le informazioni che ha ricevuto.

ia un significato.

ale situazione però può essere nettamente migliorata se si usano determinati accorgimenti.

ibilità di memorizzare migliorano inoltre se si parla in termini perfettamente comprensibili.

e poi sono dati consigli specifici e non generici, la possibilità che essi vengano ricordati è netta-

tà di cui parlano gli utenti è chiamata attività/passività.

olo che l'utente e l'operatore sanitario sentono di avere. a questa percezione del proprio ruolo, in cui uno è investito di potere e l'altro sì subordina,

io è facilitato dalle domande che in genere si so".

e.

E' quindi responsabilità di chi attua una relazione di aiuto, cioè di tutti gli operatori sanitari, fare in modo che le informazioni siano perfettamente comprese. Quando questo non si verifica, non si è solo di fronte ad un problema di insufficienza di comunica-zione, in realtà si viene a creare uc) Insufficiente ripetizione delle informazioni. Le persone ammalate dicono di avere delle difficoltà a ricordaconsigli che ricevono. Ad esempio, è stato visto che cinque minuti dopo che la persona ha lasciato l'ambuc Gli studi sulla memoria hanno evidenziato che per ricordare più a lungo, è necessario che il mate-riale da memorizzare sia codificato in forma che abb E' chiaro quindi che molte delle informazioni, che sono date alle persone ammalate, non possono essere codificate facilmente in forma significativa. TInnanzitutto va ricordato che le persone dimenticano con maggiore facilità quando sono in ansia, e inoltre dimenticano più facilmente quando i consigli e le istruzioni gli sono date alla fine del collo-quio, tendono inoltre a dimenticare, in particolare, quelle informazioni che considerano meno im-portanti. Se prima di ogni altra informazione è dato il consiglio che si reputa particolarmente significativo e si insiste sul suo valore, è molto più probabile che la persona ammalata se ne ricordi. Le poss Smente superiore. d) Attività/passività dell'interazione comunicativa. Un'altra difficol Si tratta di un problema che per certi aspetti è correlato a quello precedente, perché riguarda la dif-ferenza di ruDnascono atteggiamenti e comportamenti di relazione del tipo attività/passività. Inoltre l'atteggiamento attivo dell'operatore sanitarserve e che potrebbero essere definite di tipo "chiuSono domande cui si può rispondere soltanto o con un'affermazione, o con una negazion

Page 113: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

In tale situazione l'utente si trasforma in una persona che risponde ad una serie di domande in modo del tutto passisanitario in genere. Si tratta di un atteggiamento molto lontano da quello consigliato dall'antic

vo in quanto le domande sono stabilite in modo esclusivo dal medico o dall'operatore

o insegnamento clinico he diceva: "Ascolta l'ammalato e lui ti racconterà il suo problema".

biamo sin qui detto, possiamo considerare la relazione ope-tore sanitario-malato come strumento che realizza il trattamento, la cura e il ripristino della salute,

tal senso diventa primariamente importante considerare le relazioni interpersonali come un mo-

a questo punto di vista non ha senso valutare gli effetti di certi farmaci, di interventi chirurgici o

due sensi; dall'incontro tra

quando i due partner sono in un piano di uguaglianza.

dei reali poteri del medi-

prove ritualizzate, (esami, laurea, concorsi, pecializzazioni) prove indispensabili perché, dovendo il malato rimettersi al medico per via della

rte, non deve limitarsi al ruolo di semplice tecnico della salute. In altri termini on deve limitarsi a stabilire con un esame clinico, la lettura di radiogrammi, esami di laboratorio,

ve essere qualcosa di più.

onda che si tratti, ad esempio, di una sola consultazione per un malato ià conosciuto da molto tempo, oppure di una prima visita per una lesione traumatica o per una

c Riassumendo e concludendo quanto abra(quando ciò è possibile). Il trattamento si caratterizza come un "processo di influenza sociale" attraverso il quale si raggiunge un obiettivo prefissato. Inmento fondamentale del processo di cura. Ignorare questo, pertanto, non significa commettere un errore formale riguardante l'etica o la corte-sia, ma significa compiere un errore scientifico. Dsituazioni pre o postoperatorie senza che si tengano nel dovuto conto gli aspetti interpersonali con-nessi a tali situazioni. 6.2 La relazione medico-malato. Come abbiamo già detto, in tutte le relazione bipolari qualcosa passa nei medico-malato nascono rapporti, una reciproca influenza, un dialogo, una dialettica. Abbiamo anche visto come questo rapporto sia molto diverso da quello che può stabilirsi in altre circostanze,Uno dei due, il malato è indotto ad affidare interamente la sua vita fisica, psichica, sociale all'altro: il medico, supposto onnipotente. Eppure è un uomo come lui! Si possono già capire i malintesi, le possibili delusioni, sia perché il medico non capirà a sufficienza il malato in quanto uomo globale, sia perché il malato avrà eccessiva stima co o non terrà conto delle sue debolezze. Il medico possiede una competenza tecnica stabilita dassua propria ignoranza, è legittimo che la competenza del curante sia debitamente documentata. Il medico, d'altra panuna diagnosi o una prognosi, vale a dire l'avvenire del suo malato. Egli de E' quasi impossibile delineare un prototipo di rapporto medico-malato giacché ci sono diverse e complesse situazioni, a secgmalattia cronica.

Page 114: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Ognuna di queste situazioni creerà un rapporto diverso, come diverso sarà l'angolo di visuale con il quale si guarderanno tra loro il malato, lo specialista e il medico di famiglia.

o la diagnosi prospettatagli non gli uadra.

che "non c'è niente, vada

e il malato è ansioso, una certa ragione c'è. E quando il medico non prescrive una cura, il malato

lcuni studiosi hanno rilevato che la figura del medico è quella di un personaggio ambiguo, che at-

che un'autorità affettuosa.

a diverse professioni, ha evidenziato che la professione medica è giudicata la più considerata. In

malato spera che il medico venga in suo aiuto per vincere la morte o le infermità; egli rappresenta

te fisica o mentale che sembra non dovesse ssere messa in dubbio.

nipotenza di carattere medico, che favorisce la sua azio-e, in ragione della considerevole autorità morale che egli acquista agli occhi del malato, autorità he va al di là del campo medico in senso stretto.

L'approccio psicoanalitico ci può essere d'aiuto nel tentativo di comprendere meglio la figura del medico come viene percepita dal malato.

Il malato si aspetta dal medico due cose, e le pretende entrambi chiare, immediate, precise: la dia-gnosi e la terapia. Se il medico dimostra segni di esitazione, il malato prontamente è disposto ad "offrire" i propri sug-gerimenti, così come tende ad esprimere sintomi differenti quandq L'ansia del malato non sarà rimossa con la semplice affermazione tranquillo". L'apparente mancanza di affezioni organiche non permette di negare il bisogno di una terapia. Ssarà spesso deluso e cercherà altrove un medico più compiacente o più comprensivo. Come il malato percepisce la figura del medico?. Atrae e suscita inquietudine, che ispira fiducia e sfiducia, e talvolta una certa ostilità. La figura del medico ha certamente prestigio. Ha la facoltà di guarire; egli possiede il sapere, è dotto. In altre parole, egli rappresenta un'autorità illuminata, ma an Un'inchiesta relativacome quella che assorbe di più, la più difficile da conseguire, e soprattutto, fatto di prestigio il medico supera nettamente il sacerdote. Iluna vera sicurezza di fronte allo scompiglio apportato dalla malattia. Il medico, se da una parte da sicurezza, dall'altra genera inquietudine, come tutti gli individui che hanno qualcosa di segreto, e in questo senso suscita una certa aggressività. Il medico, insomma, è l'uomo che, potenzialmente, è capace di negare una salue Infine, il fatto che il medico guadagni con la sua arte, cioè che egli "venda", crea un legame molto ambivalente. E' un essere complesso, perché dietro i legami apparenti che si stabiliscono tra il malato e lui gioca-no meccanismi inconsci: la credenza di un magico potere del medico, e dall'altra parte la comparsa di sentimenti affettivi del tutto particolari. Dietro la relazione in apparenza razionale, si stabilisce un'altra relazione, di tipo irrazionale, per la quale il malato attribuisce al medico un'onnc

Page 115: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Per il malato il medico incarna contemporaneamente un'immagine paterna, un'immagine materna e rappresenta un farmaco (ciò che guarisce).

da questi si aspetta tutto.

rappresentato come un patriarca, un po' solenne, a ancora vigoroso e possente.

sta eccezionale potenza, eccessiva anche, che gli è attribuita, ricorda quella assegnata ai guari-

agine, la gente si aspetta che il medico non può e non deve sbagliare. Ecco i casi di

però può avere ugualmente anche un'immagine materna ed è facilmente visto sotto questo

i portano i propri polmoni o il proprio fegato dal medico, così come si porta la macchina dal mec-

medica non ha il solo scopo di scrivere una ricetta, che un computer ben pro-

'è un contatto affettivo e questo è avvertito come tale dal malato e dal medico. Il medico può es-

primo contatto.

Il malato, essendo regredito dal punto di vista affettivo, viene a trovarsi nelle condizioni del bambi-no che attribuisce un'onnipotenza a suo padre, e Da qui l'immagine tradizionale del "dottore buono"mCome il padre che ha potere di punire e perdonare, il medico può condannare o guarire, disponendo in qualche modo del diritto di vita e di morte sul malato. Egli ha ogni autorità per prendere le deci-sioni e, per lungo tempo, non si è mai discusso sulla qualità. Quetori, agli stregoni delle tribù primitive. A fronte di ciò l'importanza delle parole, dei gesti, del tono di voce, dei silenzi, tutti raccolti ed interpretati dall'angoscia della persona malata. Con questa immaccuse contro il medico, perché non si comprende come mai non abbia adempiuto ogni volta al ruolo magico ed infallibile che ci si aspetta da lui. Il medicoprofilo dal malato-regredito a bambino. A volte tale figura viene ricercata in una collaboratrice fem-minile come un'infermiera che lavora accanto al medico. Infine il modo di porsi del medico è il primo e più importante dei farmaci che egli stesso sommini-stra ai suoi malati. In conseguenza a questo pregiudizio eccessivamente favorevole, ogni insucces-so, ogni sbaglio, ogni insufficienza del medico sono vissuti dal malato come un'imperdonabile man-canza. Si calpesta l'idolo decaduto e si attacca il medico che non ci ha guariti, come se fosse stato obbliga-to a farlo, confondendo nel tacito contratto stabilito con lui l'obbligo del risultato con l'obbligo dei mezzi. Il trasporto affettivo del malato verso il medico. Il contatto affettivo è proprio di ogni relazione umana, e l'atto medico è una relazione umana. Nonscanico, per andarla a prendere una volta riparata: dal medico ci si va tutti interi, nella globalità bio-psico-sociale. Ugualmente la visita grammato saprebbe certo elaborare. Non si uccidono i microbi come le zanzare, con un certo preparato. Csere subito buono o cattivo, reticente o spontaneo. La sfiducia o la fiducia non si possono simulare. L'emozione o l'imbarazzo del malato rendono più o meno facile questo

Page 116: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Il seguito poi potrà confermare o modificare questo primo legame affettivo. fatti, con il passare del tempo, le situazioni affettive possono invecchiare, diventare croniche, o

re sono tutti comportamenti che esprimono l'esistenza di problemi personali del medico. chi non ha, più o meno, dei problemi personali?

iò che abbiamo già detto della relazione operatore sanitario-malato può essere applicato con poche

rmiere e dei me-

so modificano reciprocamente il loro comportamento come conseguenza del loro interagire.

ella relazione infermiera-malato entrambi portano qualche cosa, ed entrambi ricevono qualcosa.

contro l'infermiera portando la sua

ere accettati, amati, rispettati. ertanto è una relazione nella quale le due parti sono impegnate profondamente, ed affettivamente,

, l'infermiera con il suo desiderio di comprendere e

zione infer-iera-malato rilevo la necessità che l'infermiera si formi una profonda convinzione del fatto che la

a de-

e conoscenze psicologiche dovranno essere tali da considerare l'essere umano, sano o malato, co-e un'Unità globale Bio-Psico-Sociale, un Sistema in equilibrio dinamico con i Sistemi superiori

ome Sistema Bio-Psico-Sociale è una singola individualità.

fermiera si relazioni con il malato sulla base della sua personalità e della ua situazione individuale.

liere i partico-

Inmodificarsi. Il medico può impazientirsi di fronte gli ansiosi, può comportarsi in modo brusco o fare dell'ironia fuori posto, o manifestare una certa aggressività di fronte ai malati cronici. In geneE6.3 La relazione infermiera-malato. Cmodifiche alla relazione infermiera-malato, poiché la bontà e la qualità dell'assistenza e delle cure, in modo particolare per il malato ospedalizzato, dipendono dalle capacità delle infedici di tenere una buona relazione umana con il malato. Attraverso il processo interattivo con il malato, l'infermiera viene a conoscere i suoi bisogni e potrà aiutarlo a soddisfarli, ottenendo nel contempo anche la sua collaborazione al trattamento. La caratteristica fondamentale di un processo interattivo in generale, è il fatto che gli elementi del proces NIl malato portando il suo sconforto, la sua pena e i suoi bisogni, porta anche un aspetto della sua umanità che arricchisce la personalità dell'infermiera; percompetenza professionale, il suo desiderio di riuscire nel suo ruolo curante, porta anche valori di solidarietà e fraternità umana tanto importanti per l'uomo che soffre. Entrambi portano anche il desiderio di essPil malato con l'ansia, angoscia e preoccupazionedi aiutare. Più volte, in questo capitolo, ho accennato all'importanza della relazione operatore sanitario-malato in quanto elemento facilitante il processo di guarigione, ora per quanto riguarda la relamrelazione umana con il malato ha un effetto terapeutico molto importante. La tecnica della relazione deve quindi far parte del bagaglio professionale dell'infermiera. Essve possedere, oltre alla competenza puramente tecnica, anche conoscenze psicologiche e del comportamento umano, assieme ad abilità interattive. Lmin cui è integrato. L'individuo c E' necessario allora che l'ins L'infermiera dovrà pertanto sviluppare una sensibilità umana che le permetterà di cog

Page 117: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

lasIlIle

ri bisogni biologici, psicologici e sociali di quel particolare individuo malato, e di favorirne l'e-pressione dei sentimenti più intimi. malato cerca spesso un sostegno affettivo nella capo sala, nell'infermiera. non poter esprimere i suoi sentimenti, i suoi pensieri a qualcuno, aumenta la solitudine del malato crea in lui una situazione frustrante.

sì come egli è e non come si vorrebbe che fosse, e uesto si ottiene sviluppando in ciascuno di noi una notevole capacità empatica. Quando si arriva a uesto si è anche in grado di rispettare l'autonomia del malato.

er sé stessa riduce notevolmente l'autonomia degli individui e a questo si deve consi-erare in aggiunta una limitazione dovuta dai regolamenti ospedalieri. questo stato di cose c'è la tendenza del malato a rinunciare anche a quel poco di autonomia che

dargli l'appoggio psicologico e morale di cui ha bisogno per aiutarsi da sé. Pertanto una lazione, impostata in un modo autoritario che cerca di influenzare il malato è contraria allo svilup-

iassumendo, possiamo dire che gli atteggiamenti con cui l'infermiera si relaziona al malato sono:

Bio-Psico-So-iale e che pertanto gli elementi che interverranno sono di ordine somatico, psicologico e sociolo-

olta a favorire l'espressione di sentimenti, conflitti interiori e bisogni di

ettare il malato così com'è; ) rispetto dell'autonomia del malato, con la volontà di aiutarlo ad acquisire sempre di più.

rale dell'infermiera durante il processo interattivo con il malato. Questo comportamento co-tituisce quella che viene definita "comunicazione non verbale" della relazione e di cui analizzere-

colto non c'è comunicazione verbale e non c'è pertanto la volontà di favorire l'espressione

ra sentimenti, stati d'animo che non

, delle sue difficoltà esistenziali. i deve ascoltare questi malati, ascoltarli con attenzione, con empatia cercando di comprenderli.

azione infermiera-malato.

Bisogna essere in grado di accettare il malato coqq La malattia pdIngli rimane, passivizzandosi totalmente. Aiutare il malato a servirsi del suo diritto all'autonomia, significa aiutarlo a liberarsi dalle sue angosce erepo dell'autonomia del malato. Ra) profonda convinzione che la sua relazione con il malato ha un effetto terapeutico; b) consapevolezza del fatto che l'ammalato con cui si relaziona è una "individualità" cgico, particolari e specifici di quella singola individualità; c) particolare attenzione rivordine psicologico; d) atteggiamento empatico che gli permette di acce Questi atteggiamenti (sono predisposizioni mentali) influenzeranno positivamente il comportamen-to genesmo gli elementi nella seconda parte di questo capitolo. Un elemento di grande importanza nella relazione è l'ascolto. Senza asdei sentimenti e dei bisogni di ordine psicologico del malato. Qualche volta il malato vuole confidare al medico o all'infermievuole o non può dire ne al coniuge, ne ai figli, né ai genitori. Vuol parlare delle sue delusioni, delle sue ansie, delle sue paureSUn mancato ascolto o un atteggiamento distratto, frettoloso finisce per creare nel malato un senso di profonda delusione e uno stato frustrante. Gli obiettivi della rel

Page 118: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Gli scopi della relazione infermiera-malato, nell'intento di rendere la relazione stessa il più possibile un fattore terapeutico, sono: ab) fornire i consigli necessari affinché il malato trovi il più presto possibile un adattamento alla sua malattia e alla situazione di ospedalizzazione; c) sostenerlo psicologicamente riducendo così le sue difficoltà, le sue ansie ed angosce, la paura e lo smarrimento. Pctotà

) fornire al malato tutte le informazioni e le spiegazioni di cui ha bisogno;

er quanto riguarda l'informazione, abbiamo già sottolineato come una mancanza di informazione ontribuisca ad aggravare enormemente l'angoscia ed il senso di solitudine del malato ospedalizza-. Non informare il malato significa considerarlo non uomo ma oggetto, quindi ledere la sua digni-.

la libertà di giudizio, la libertà di scelta, la libertà di accettare o non ac-ettare le cure cui si vuole sottoporre, la libertà di giudicare coloro che lo curano. malato non informato non può partecipare, non può collaborare, non può contribuire al processo

ti, le più desiderate dal malato riguardano la natura della sua malattia,

al malato direttamente dal primario e dagli aiuti, e ai fa-iliari.

mministrazione, medici, infermiere e malati.

il bisogno di confidarsi con qualcuno e il bisogno di sostegno morale. Le persone edici, capo sala, infermiere) cui il malato si rivolge devono soddisfare le sue attese tenendo sem-

a. i che

rea l'ospedalizzazione, gli darà tutti i consigli necessari per ridurre il disagio e per trovare il più

' necessario pertanto che l'infermiera sappia osservare il comportamento e sappia identificare gli quale misura la

d'animo del ma-to se non sapesse identificare colui che ha paura da quello che ha bisogno di aiuto e non ha il co-

individuazione degli stati d'animo dei pazienti, può essere fa-ssumere una grande importanza nella

lazione con il paziente.

paura, non vanno sedati con la solita frettolosa somministrazione di

Significa ancora impedirglicIldi guarigione. Le informazioni più importanle cure cui egli è sottoposto, l'effetto di queste cure e l'evoluzione della malattia. Queste informazioni devono essere fornitemIl primario e gli aiuti devono però informare costantemente anche la capo sala che rappresenta il perno di collegamento fra a In merito ai consigli e al sostegno psicologico da dare al malato, ricordiamo ancora una volta che egli ha spesso (mpre ben presente che le esigenze psicologiche del malato sono altrettanto importanti delle esigenze della malattia somaticL'infermiera, che è la persona che ha maggior contatto con il malato, consapevole dei problemcpresto possibile un adattamento alla nuova situazione. Estati d'animo del malato con la stessa attenzione e con la stessa precisione con la temperatura, registra la frequenza del polso, individua l'esistenza di una dispnea o di una cianosi. Come potrebbe un'infermiera rapportarsi e adattare il suo comportamento allo statolaraggio di chiederlo? L'infermiera, in questo suo compito di cilitata dalla comunicazione non verbale, che viene così ad are Stati emotivi intensi di ansia, disedativi, ma indagando sulle vere ragioni dello stato emotivo dando fiducia al paziente, ascoltando-lo con attenzione ed interesse, in modo che possa aprirsi e confidarsi.

Page 119: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

6.4 La Dimensione Comuni La Comunicazione è sempre stata un argomento di grande interesse per l'uomo. Oggi, la Cibernetica, con le sue scoperte scientifichesenso generale come interscambio di informazione, il potere autoregolativo dei sistemi, il potere, cioè, per un sistema di mantenere la propria unità, coesione, quindi di mantenersi in vita e di svilup-parsi.

cativa nel rapporto infermiera-malato.

, ha attribuito alla comunicazione, intesa in

glioso constatare come i Testi Sacri avessero anticipato questi stessi oncetti se pure con parole diverse, ovviamente adatte alla cultura dei loro tempi.

di Babele nel Vecchio Testamento vuole sottolineare l'importanza della co-

aveva un medesimo linguaggio e usava le stesse parole..." e più uomini costruivano e disse:

cco essi formano un popolo solo e hanno tutti un medesimo linguaggio. Questo è il principio delle

are degli altri e allora si dispersero per il mondo. 'Unità sarà restaurata nuovamente, ancora per volontà di Dio, nel miracolo delle lingue, il giorno i Pentecoste". Si legge: "....i discepoli ricevettero il dono delle lingue, così che tutte le genti della

e vogliamo trarne un insegnamento, è questo: castigo, cioè

rescere di maturare, per contro, la capacità di comunicare con gli altri è attore di crescita personale, di possibilità di maturazione.

lienti. osi pure nel Nursing si è acquisita una maggiore consapevolezza dell'importanza della comunica-

'Aspetto che interessa invece il processo di nursing è il punto di vista socio psicologico nell'intera-

unicativo.

Ed è sorprendente e meravic L'episodio della Torre municazione come elemento indispensabile per mantenere il contatto con gli altri. Infatti si legge: "...tutta la Terra avanti si legge ancora: "...il Signore scese a vedere la Torre che gliEloro imprese. Niente ormai li impedirà di condurre a termine tutto quello che si propongono. Orsù scendiamo e confondiamo lì il loro linguaggio in modo che non si intendano più gli uni con gli altri. Dio ha punito gli uomini di Babele con la confusione delle lingue cosicché gli uni non comprende-vano il parlLdterra poterono capire il loro messaggio". S- l'incapacità di comunicare agli altri i propri pensieri, le proprie idee, è vista come un un deficit che impedisce di cvista come un dono, cioè un f Nel mondo del lavoro, in questi ultimi anni si è attribuita una sempre maggiore importanza ad una efficace comunicazione, sia nei rapporti tra personale dipendente sì nei rapporti con i cCzione, che per anni è stata considerata un processo spontaneo. La Comunicazione può essere analizzata da un aspetto anatomo-funzionale degli organi preposti al-la fonazione, e alla ricezione del messaggio, dall'aspetto teorico matematico-cibernetico, o teorico linguistico. Lzione infermiera-malato. E' su questo aspetto che verterà il presente lavoro, non trascurando alcuni aspetti teorici generali che sono indispensabili per poter apprendere appieno l'intero processo com

Page 120: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

A Definizioni.

spetti teorici generali della comunicazione.

gni definizione, perché abbia un valore pratico, deve necessariamente essere una definizione ope-

ento alla funzione che essa

ne.

' chiaro che questa definizione non si limita alla funzione principale della comunicazione che è

n'altra definizione in base alla sola funzione di trasmettere delle informazioni ad altre persone è

lcuni studiosi hanno preso in considerazione gli aspetti sociali ed interpersonali, invece di soffer-arsi sulla sola funzione di trasmettere messaggi, e sono arrivati pertanto a questa definizione: "la

omunicazione è un insieme di comportamenti verbali e non verbali manifestati in un contesto so-

ra gli studiosi che hanno analizzato la funzione sociale della comunicazione va ricordato Watzla-ick, Beavin, Jackson della Scuola di Palo Alto in California.

ppare quindi chiaro che la funzione della comunicazione non sia solo un mezzo per trasmettere in-nente essenziale del rapporto sociale.

d è, in modo particolare, proprio a questo aspetto della comunicazione e cioè alle manifestazioni nale, che farò riferimento nell'esporre, più avanti, il rapporto

fermiera-malato.

La comunicazione, ripetiamolo, non è soltanto un mezzo per trasmettere informazioni, o per in-

Orativa. Così ogni definizione di comunicazione deve necessariamente far riferimsvolge. Diverse sono state le funzioni ad essa attribuite, cosicché, ne consegue, si hanno ora molte defini-zioni di comunicazio Una definizione molto ampia è quella con cui si intende come comunicazione: "l'insieme dei pro-cessi mediante i quali la mente di un individuo agisce su quella di un altro individuo. E' quindi l'influenza esercitata con qualsiasi manifestazione umana dell'individuo sul comportamen-to e sulle idee di un altro. Equella di trasmettere ad altri delle informazioni. Uquesta: "processo fisico mentale con cui si esprime a parole il pensiero che si vuole comunicare agli altri." Amcciale". FwQuesti studiosi sostengono che nella comunicazione sono implicite le manifestazioni osservabili del rapporto interpersonale. Aformazioni, ma sia una compoEosservabili del rapporto interpersoin

Page 121: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

flindividuo stabilisce il tipo di rappor

uenzare verbalmente un individuo nel corso del rapporto, ma è lo strumento mediante il quale un to con un altro individuo, o meglio è il rapporto stesso, se non

i è comunicazione allora non vi è rapporto.

a se la comunicazione è il rapporto stesso, allora, in quanto rapporto, è anche un processo dinami-'esperienza unica.

' una esperienza unica perché sono coinvolte le caratteristiche individuali uniche degli interagenti un preciso contesto e in un preciso istante.

livelli di comunicazione.

li studi hanno messo in evidenza che la comunicazione avviene a due livelli diversi: a livello ver-

e cognitivi necessari per la

i i sensi, compreso l'udito usato a li-

mmo brevemente qualcosa dei meccanismi cogniti-

'uomo arriva ad avere un linguaggio socializzato dopo un lungo periodo di apprendimento.

inizia nella primissima infanzia, quando il bambino cerca di imitare un modello, e arriva al-ultimo stadio di sviluppo nell'adolescenza.

il linguaggio assume forme socializzate tipiche dell'adulto. isogna però considerare un fatto molto importante ai fini di un buon rapporto comunicativo: anche

ndividuo differisce dagli altri ambienti, sia per

più il significato di una parola cambia, non solo a seconda dei gruppi culturali, ma anche nell'am-

rola possiede sia un significato denotativo, un significato cioè che si riferisce ad un li-ello di generalizzazione più elevato del concetto di cui la parola è simbolo, sia un significato con-

ndente dalle

v Mco che si svolge nel tempo e rappresenta unEinQuindi è un evento irrepetibile. I Gbale e a livello non verbale. Il livello verbale implica la partecipazione dei meccanismi fisiologiciproduzione e la ricezione del linguaggio. La comunicazione non verbale comprende tutte quelle forme di comunicazione che non richiedono l'uso della parola parlata. La percezione delle manifestazioni non verbali coinvolge tuttvello verbale. Per quanto riguarda il livello verbale accennerevi che lo sottendono. L Questo l' E' nell'adolescenza cheBse l'individuo ha imparato ad usare il linguaggio socializzato e desidera stabilire un rapporto con un altro individuo, le capacità acquisite non garantiscono la riuscita dell'interazione. Questo perché l'ambiente di socializzazione di un icultura che per dialetti e sottodialetti. Ciò tende a creare confusione circa il significato delle parole. Inbito di gruppi culturali simili. Infatti una pavnotativo, nel senso che si riferisce ad un livello di generalizzazione più personale e dipe

Page 122: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

pLa parola "cane" ad esempio, nel suo significato denotativo

roprie esperienze passate. si riferisce ad un concetto astratto di

uni ad una intera categoria he arriva a comprendere anche il lupo e lo sciacallo.

otativo per una persona sarà "un animale pelo-ona sarà ad esempio, "un animale

roce, pericoloso, da non avvicinare, ecc." da individuo ad individuo in rapporto alle

roprie esperienze passate.

i sono poi delle parole che si riferiscono a dei concetti di per sé stessi astratti e che quindi compli-

costituita da innumerevoli vissuti stretta-nali, che non può essere descritta a parole e comunicata verbalmente? Esperienza di do-renza morale, di amore ecc. non si vuol dire che si debba rinunciare all'uso della comunicazione verbale, in quanto

mbigua, ma che invece si dovrebbe conoscere i significati denotativi e connotativi delle parole che

del corpo nonché tutto un insieme di oggetti e cose materiali.

) comunicazione d'azione,

sti che vanno dal sempli-issimo "segno di pace" al complesso linguaggio dei segni che utilizzano i sordomuti.

ivisi entro un determinato gruppo cul-rale.

ono un valore di messaggio in relazione al ontesto in cui sono usati.

pio il modo in cui un individuo arreda la propria casa, i libri che legge comunica-o messaggi relativi alla propria personalità. Il modo di vestire di una persona, la sua pettinatura, il

"animale quadrupede con determinate caratteristiche anatomiche comcMa la stessa parola "cane" nel suo significato connso, simpatico, fedele, di compagnia, ecc., mentre per un'altra persfeIl significato connotativo è di carattere personale e variap Le parole sono simboli che rimandano a dei significati e non possono avere il medesimo significato connotativo per tutti. Ccano il problema maggiormente. Si pensi ad esempio ai concetti di "bellezza", "musicalità", "estetica". E che dire poi dell'intera esperienza soggettiva dell'uomo mente persolore, di soffeCon tutto ciò ausiamo e cercare di verificare con l'interlocutore la corrispondenza dei significati da lui attribuiti al-le parole. La maggior parte dei processi di comunicazione si svolge però a livello non verbale usando la ge-stualità e l'azione Alcuni studiosi analizzarono la comunicazione non verbale suddividendola in tre tipi: a) comunicazione gestuale, bc) comunicazione oggettuale. Il primo tipo, la comunicazione gestuale, comprende tutta una serie di gec Fa parte di questo gruppo tutta l'espressione mimica del volto e del corpo relativa a stati interiori dell'individuo e tutti quei segni che sono già codificati e condtu Nella comunicazione d'azione vengono compresi tutti i movimenti del corpo che non sono segni specifici quindi non sono già codificati ma che assumc La comunicazione oggettuale comprende tutte le manifestazioni intenzionali e non relative a cose e oggetti. Ad esemnprofumo ed i gioielli che indossa comunicano altri messaggi non verbali.

Page 123: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

PG

roviamo a pensare ad esempio al linguaggio degli oggetti dono, o al linguaggio dei fiori omaggio. ran parte della comunicazione non verbale è appresa dalla particolare cultura a cui l'individuo ap-

lturale e come tale dipende quindi dalla classe sociale dell'individuo, dal po di istruzione, dal retaggio etnico e razziale.

mentre passeggia-o. Il messaggio che comunicano è "siamo amici".

ne che ne è data al messaggio è completamente diversa.

ilire il significato dei vari messaggi non verbali, è necessario analizzare processo di sviluppo della comunicazione non verbale dell'individuo.

uardo l'inter-

timi ma anche dei com-ortamenti interpersonali con significati di "consenso" "dissenso" "accettazione" "rifiuto" ecc.

umerosi i problemi relativi alla comunicazione non verbale, co-e si potrà interpretarla in modo corretto.

messaggio e procede-

messaggio è legato sia agli individui impegnati nel rapporto, sia al contesto in cui avviene

a livello verbale che a livello on verbale ha evidenziato che questi risultano essere:

comune di trasmissione.

partiene, è un prodotto cuti Tra i vari gruppi culturali sì riscontrano notevoli differenze di significato in messaggi non verbali simili. Ad esempio, gli uomini del Sud Italia hanno l'abitudine di prendersi a braccetto nNel Nord questo comportamento non rientra nella propria cultura e se due uomini si prendono a braccetto, l'interpretazio Si vede quindi che per stabilPur tuttavia anche ammettendo di poter fare questo, rimangono numerosi problemi rigpretazione dei messaggi non verbali trasmessi dall'individuo. I messaggi trasmessi dal corpo sono estremamente complessi e non esistono delle "guide" teoriche di decodificazione. Con il viso e con il corpo si trasmettono, non solo sentimenti ed emozioni inp Viene da chiedersi, dato che sono nm Per fare ciò è necessario basarsi sulle esperienze passate di colui che riceve ilre ad una deduzione soggettiva, verificandone il significato con colui che emette il messaggio. In ogni caso comunque, la lettura della comunicazione non verbale, quindi il significato di un de-terminatol'interazione. Elementi tecnici di un processo comunicativo. L'analisi degli elementi intervenienti in un processo comunicativo, sian1) Agente dell'informazione. (Colui che trasmette). 2) Contenuto da trasmettere. 3) Codice 4) Mezzo di conduzione del messaggio, o Canale.

Page 124: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

5) Ricevente del codice trasmesso. 6 7) Vari feedback di ricevuto e di verifica.

) Contenuto del messaggio ricevuto.

a dinamica, per un giusto processo comunicativo, richiede che:

rtuno.

) Che il Ricevente del codice abbia la capacità di codificare in modo giusto.

di verifica della corrispondenza tra contenuto trasmesso e contenuto

iderati "strutture cognitive interne al soggetto" quindi

ensieri, le immagini ecc., in altri termini la vita interiore di gni persona. Perché questa "vita interiore" possa essere socializzata è necessario che venga codifi-

Codice viene definito come "modalità relazionale" tra più individui basata su un invio di segnali

ssio-

, il codice è una "simbolizzazione convenzionale" dei contenuti della comunicazione tessa.

e caratteristiche essenziali di questo codice sono:

izzati secondo regole combinatorie ccettate convenzionalmente dalla società.

o ottenere un'infinità di parole che costituiscono il lessico di

Con le parole si formano le frasi del discorso secondo determinate regole (la sintassi).

L1) L'Agente dell'informazione abbia la capacità di codificare con un giusto utilizzo del codice co-mune e sappia scegliere il canale più oppo 2 3) Che ci siano dei feedback ricevuto. I contenuti della comunicazione vengono consprivate il quale le può estrinsecare socialmente mediante i vari codici. Rientrano in queste strutture i bisogni, i pocata in forma univoca alle varie persone in modo tale che ci possa essere un'informazione emessa verso l'esterno e ricevuta dall'esterno. Ilche vengono univocamente interpretati dagli individui stessi. Esempio di codici non verbali: il riso, il pianto, la gesticolazione, il modo di comunicare, l'inflene sonora della voce, il ritmo e la cadenza delle parole ecc. Il codice della comunicazione verbale è il linguaggio. In altri terminis Il Codice Linguistico. Il linguaggio è un sistema di comunicazione formulato da segnali emessi dall'apparato fonoarticola-torio dell'uomo e strutturati secondo determinate leggi per esprimere alcuni significati. La) la struttura semantica (cognitiva) "profonda"; b) la proiezione di questa a livello "superficiale" in suoni organa Da un numero limitato di suoni possiamuna lingua.

Page 125: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Noi parliamo mediante frasi e non mediante parole singole.

visto:

) Le varie definizioni operative della Comunicazione.

. E' n'esperienza unica in quanto uniche ed individuali sono le caratteristiche personali degli interagen-

) Il rapporto si svolge a due livelli: verbale e non verbale. e abbiamo visto i significati denotativo e connotativo delle parole.

gestuale,

ome la comunicazione non verbale sia appresa dalla cultura di appartenenza uindi la difficoltà di lettura e d'interpretazione.

po, un'esperienza unica in cui sono coinvolte le ca-tteristiche individuali uniche degli interagenti.

a un processo di "scambio continuo e contemporaneo di parti di ita interiore" degli interagenti. (pensieri, immagini, sentimenti, bisogni)

) Questo rapporto avviene contemporaneamente su due livelli: verbale e non verbale. La capacità

omunicazione, nel senso che ab-

e ci fermassimo a questo punto commetteremmo l'errore che abbiamo criticato nel nostro prece-

plessa dello scambio di informazio-ne, cioè il "Rapporto", un "Processo Dinamico", ma ora dobbiamo studiare questo rapporto nella

L'Unità minima di comunicazione è la frase e non la parola o il suono. Riassumendo brevemente: fino qui abbiamo a) L'importanza che sempre e' stata attribuita alla comunicazione. b c) La comunicazione è il rapporto stesso. E' un processo dinamico in quanto si evolve nel tempouti. E' un evento irrepetibile perché avviene in un preciso istante e in un preciso contesto. dA livello verbal A livello non verbale si hanno tre tipi di comunicazione: - - d'azione, - oggettuale. e) Abbiamo visto cqLettura legata comunque sempre anche al contesto. Volendo riassumere ed evidenziare in poche parole i punti chiave di quanto abbiamo fin qui detto, possiamo dire: 1) La comunicazione non è solo un mezzo per trasmettere informazioni, è molto di più; è un rappor-to, un processo dinamico che si evolve nel temra 2) Questo rapporto è caratterizzato dv 3di rapportarsi su ogni livello è frutto di apprendimento che inizia dall'infanzia e si sviluppa fino al-l'adolescenza in cui compaiono le forme tipiche dall'adulto. Fino qui abbiamo fatto uno studio di tipo "elementaristico" della cbiamo analizzato gli elementi costituenti il processo. Sdente incontro e non saremmo certo fedeli all'approccio sistemico nello studio del fenomeno "co-municazione". Si! Abbiamo individuato nella comunicazione un'entità più com

Page 126: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

s La Metacomunicazione. Gli studi e le osservazioni di un "Procehanno evidenziato che esiste sempre, tra gli individui impegnati nel processo, un tipo particolare di messaggio che comunica, al di sopra del messaggio capitale, l'atteggso se stesso, verso il messaggio centrale, verso l'interloc

ua "globalità".

sso di Comunicazione in Atto" quindi, nel suo svolgersi,

iamento che l'emittente ha ver-utore, in quel momento.

' una specie di "commento sul contenuto oltre che sulla natura del rapporto esistente tra gli indivi-

i chiamarono questo particolare messaggio, questo commento sul contenuto e sul rappor-, "Metacomunicazione".

lo non verbale. a metacomunicazione verbale può, ad esempio, consistere in una affermazione chiara e semplice

ongruenza nella Comunicazione.

a comunicazione efficace è che l'aspetto di contenuto, sia a livello

enti i messaggi incongruenti, sono a duplice

i messaggi incongruenti determinano un senso di disorientamento nella relazione.

n esempio, verbalmente, anche se per essere maggiormente chiaro dovrebbe essere costruita na scelta reale: comunque con la vostra immaginazione cercate di vedere la seguente scena: Un'in-rmiera tutta ben disposta con un gentile sorriso si avvicina ad un paziente. Questo è girato di

i siedo a parlare un po' con lei?".

del messaggio a livello non verbale: colto dalla sua disposizione: "Ho piacere di parlare

ontenuto del messaggio metacomunicativo sul modo in cui dovrebbe essere condotta la relazione "Voglio sederle accanto ed esserle amica".

Edui in esso impegnati". Gli studiosto Anche la metacomunicazione si svolge sia a livello verbale che a livelLche fornisce la spiegazione del messaggio, come quando si dice: "...intendo dire che..." - "...stavo scherzando.", "...è un ordine.". La metacomunicazione non verbale è meno esplicita. (Es. Comunicare gridando o sorridendo per dire "questo mi piace molto"). C Ogni comunicazione ha quindi un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione di modo che questo secondo aspetto classifica il primo ed in questo senso è metacomunicazione. Il principio fondamentale di unverbale che a livello non verbale, e la metacomunicazione, verbale e non verbale, siano concordi, dicano la stessa cosa, o meglio, siano congruenti, altrimlivello. E quest Per chiarire questo concetto di comunicazione congruente o incongruente (concetto molto impor-tante di un processo comunicativo a cui deve essere prestata sempre molta attenzione) cerchiamo di fare uufeschiena, seduto su una sedia, si dondola e guarda fuori della finestra. "Infermiera: Buon giorno Giovanni. Le dispiace se m Contenuto del messaggio a livello verbale: "Mi piacerebbe parlare un po' con lei. Le fa piacere?". Contenuto con lei". C(metacomunicazione non verbale):

Page 127: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Paziente: (Non guarda l'infermiera, continua a guardar fuori dalla finestra e a dondolarsi): "sì mi va! Voglio dire che ne sarei contento". Contenuto del messaggio a livello verbale: "Anche a me fa piacere parlare con lei". Contenuto del messaggio a livello non verbale: "Non me ne importa proprio niente". Contenuto del messaggio metacomunicativo a livello verbale (Chiarificazione sul messaggio): "In-

ndevo dire proprio ciò che ho detto quindi si sieda pure accanto a me".

quale di questi due livelli l'infermiera deve rispondere? Se l'infermiera risponde al livello verbale che questo si inquieti per la scarsa sensibilità dimostrata

battere: "Le ho ffermato che mi va e che sarei felice!".

i rispondere al messaggio.

e in cui si svolge l'interazione.

e B che trasmette un messaggio.

nti funzionali: ) Il trasmettitore che è anche contemporaneamente Ricevente.

utture anatomiche della fonazione e tutte le parti del corpo impegnate nella asmissione di messaggi non verbali.

sa il sistema uditivo con tutti i rimanenti sensi che possono essere impegnati nella ri-

te Contenuto del messaggio metacomunicativo a livello non verbale (Su come deve impostarsi la relazione): "Stia lontana, mi lasci solo!". C'è un'incongruenza nei messaggi del paziente tra livello verbale e non verbale; tra metacomunica-zione verbale e non verbale. Ae si siede accanto al paziente è probabile nei confronti del suo bisogno di restare solo. Se invece l'infermiera risponde al livello non verbale, il paziente potrebbe ria In una situazione del genere l'infermiera si sentirà frustrata o irritata o entrambe le cose per l'impossibilità d L'Atteggiamento da assumere quando c'è una comunicazione a due livelli dipende dal tipo di rap-porto già instaurato con il paziente e dalle circostanze specifichNella fase iniziale del rapporto sarebbe più opportuno che l'infermiera rispondesse al livello non verbale. Se poi il paziente contestasse la risposta, l'infermiera potrebbe rispondere che benché egli a voce avesse detto una cosa, lei ha avuto la sensazione che egli si sarebbe sentito più a suo agio se non l'avesse fatto. Da questo esempio possiamo anche renderci conto di un'altra cosa e cioè della dinamicità del pro-cesso e del continuo suo divenire in forma circolare, cioè senza che ci sia la possibilità di individua-re una serie lineare di cause ed effetti. Infatti nel processo si ha che: A trasmette un messaggio verbale a B; ma contemporaneamente riceve messaggi non verbali da B che influenzano il modo di rapportarsi di A nei confronti di B. E analogamente se prendiamo in considerazion In questo continuo processo si individuano cinque eleme1 Nel trasmettere usa le strtrNel ricevere ucezione dei messaggi non verbali.

Page 128: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

2) Il messaggio. E' tutto ciò che è detto verbalmente e con la relativa comunicazione non verbale.

ia sul contenuto del Messaggio sia sulla natura del rapporto che si instaura tra

dback è rappresentato da tutta quella serie di messaggi al di fuori del contenuto comunicati-o con funzioni di chiarificazione e verifica della comprensione del contenuto e della relazione.

cosa intende dire?", "ripeta", "si spieghi meglio", "lei lza la voce?", "vuole essere ironico?" ecc.

) Il contesto.

La Valutazione,

i questi tre processi diremo solo brevemente che la percezione ci permette di scegliere, organizza-

nche la valutazione che implica la capacità di analizzare le informazioni ricevute è influenzata da

municazione del messaggio attraverso un canale impli-

apporto sia positivo, la

iascun individuo esperisca un senso di intimità con

odello: "Modello relazionale" oppure "Modello da persona a persona".

di nursing, si può assumere che un'infermiera non possa prescindere allo stabilire una relazione "da persona a persona" interagendo con il paziente affidatole. La comu-

terapeutica" e oltre che facilitare l'instaurarsi di un valido

3) La comunicazione sulla comunicazione. E' cioè un commento sgli individui. 4) Il Feev Ad esempio: "ho capito", "non ho capito", "a 5E' l'ambiente in cui si svolge l'interazione comunicativa. L'Ambiente influenza i modelli di risposta messi in atto. Orbene, la funzionalità di questi elementi passa attraverso tre distinti processi: - La Percezione, - - La Trasmissione. Dre e dare significato agli stimoli sensoriali. Ciò dipende dai nostri valori, dalle nostre credenze aspettative, dal concetto che abbiamo del nostro sé, dei nostri bisogni. Amolti dei fattori che influenzano la percezione. La trasmissione che consiste nell'effettiva coca la valutazione del canale adatto. Tenendo conto di tutte le conoscenze che via via siamo venuti ad esporre, ora veniamo a vedere di come dovrebbe essere un "modello di comunicazione" tale che il rcomunicazione sia efficace e che ciò che viene discusso sia rilevante, pertinente ed adeguato, in al-tri termini, un modello di comunicazione in cui cl'altro, e si senta disponibile e comprensivo nei riguardi dell'altro. Chiameremo questo tipo di m Se teniamo presente il processodnicazione allora diventa "comunicazionerapporto, risponde appieno agli scopi del processo di nursing.

Page 129: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Per contro, va da sé che la comunicazione non terapeutica ostacola l'instaurarsi del rapporto, impe-

pesso queste relazioni sono caratterizzate dalla superficialità, dalla mancanza di coinvolgimento, o arte dei bisogni che sono espressi.

lti.

o fisico differenziata a seconda del tipo di atologia.

il paziente è condizionato a

al modello che abbiamo definito "da persona a persona" in cui si richiede abilita' di gliere l'Unicità dell'altro, di prevederne i bisogni, di viverne la situazione, di avere per l'altro un

persona ed un desiderio di aiutarlo.

a più facilmente ad instaurarsi il modello di relazione "da persona a

autostima che la malattia ha in

improbabile che il malato spontaneamente, usi il "modello relazionale" di comunica-

sto è ancora una volta l'infermiera che deve sopperire con ulteriori conoscenze e capacità, e le permetteranno di individuare il perché e quali modelli di comunicazione i pazienti mettono in

una condizione di stress e quando è compromessa la sua autostima. uesti modelli trasmettono messaggi contraddittori.

ia persona. Prendetevi cura di me!".

disce al paziente di diventare parte attiva nel rapporto e lo relega al ruolo di oggetto, di osservatore che riceve passivamente l'assistenza infermieristica. Per farcene un'idea basta analizzare i tipi di relazione che più frequentemente attualmente vengonoattivate nel rapporto infermiera-malato. Sdal tentativo di trattare solo una pIn particolare i modelli più ricorrenti sembrano essere: a) l'interazione automatica e di routine con scarsa o nulla significatività per gli individui coinvo b) l'interazione che offre un valido aiuto ma solo sul pianp c) l'interazione involontaria, caratterizzata da incontri strettamente connessi a momenti di tratta-mento o assistenza (l'infermiera si attiene al minimo indispensabile). d) l'interazione inconsistente caratterizzata dal fatto che l'interesse peruna specifica situazione: raccolta di dati, ecc. L'analisi di questi modelli così ricorrenti nella pratica quotidiana ci permette di comprendere quanto essi distano dcosincero interesse come Naturalmente, affinché vengpersona" anche il paziente deve sentirsi, almeno un po', disposto a stabilire un dialogo significativo. Ma questo non sempre è possibile in quanto è richiesta una notevolequalche modo compromesso. Sappiamo che la malattia deteriora la valutazione di sé della persona malata, la rende vulnerabile, egocentrica, poco comprensiva nei riguardi degli altri. Quindi è assaizione. E a quechatto. Sono stati individuati quattro modelli di comunicazione che sono utilizzati dall'individuo quando si trova in Q 1) Il modello del pacifista caratterizzato da un'approvazione verbale di ogni messaggio che viene ricevuto. La contraddittorietà sta nel fatto che mentre il paziente dice: "Si! Si! Va bene" il suo corpo comuni-ca un messaggio diverso: "Voi siete responsabili della m 2) Il modello del rimproveratore.

Page 130: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Eche sono ricevuti. Per evitare che la su

' l'opposto del precedente, in quanto la comunicazione verbale è in contrasto con tutti i messaggi a autostima venga compromessa, l'individuo che ricorre a

i suoi ordini e alle sue richieste è convinto di accrescere la pro-ria autostima. Mentre il suo messaggio verbale è: "Avete torto!" e anche il suo corpo comunica che

o profondo di solitudine e di disistima.

iene utilizzato dall'individuo per proteggere se stesso, negando la presenza di una minaccia e per .

urbetta" che di fronte alla domanda di n paziente o di una collega risponde con una dissertazione prolissa senza fornire una risposta esau-

verbale che invia è che: "controlla si, apparentemente la situazione, ma in

tilizzato dall'individuo per allontanare una minaccia incombente. o scopo è quello di ignorare la minaccia fino a che, si spera, si allontani da sola.

ione. d esempio deve tenere conto dello stile di risposta che ogni individuo ha.

n'infermiera, se vuole stabilire una comunicazione efficace con un paziente, deve analizzare anche

saminare i propri pensieri,

sé, le sue aspettative, credenze ecc.

tori-figli, insegnante-allievi, ma-

rapporto con un paziente comunicherà con lui in modo diver-

oggetti.

ono, il timbro, inflessione della voce, la coerenza tra livello verbale e livello non verbale.

questo modello cerca di mostrarsi forte ed invulnerabile. Costringendo gli altri ad ubbidire apè lui il capo, spesso compare in lui un sens 3) Il modello del calcolatore. Vdimostrare il proprio valore mediante una serie di affermazioni intellettualiA volte questo modello è usato anche da qualche infermiera "furiente. Il messaggio non realtà non è così, anzi è molto vulnerabile". 4) Il modello di chi cerca di tergiversare. Viene uL Per quanto riguarda la propria capacità di mettere in atto un modello di comunicazione "da persona a persona", l'infermiera deve sempre tenere controllati i fattori che influenzano il processo della co-municazAQuesto dipende dall'insieme di caratteristiche che fanno di ognuno di noi un individuo diverso da ogni altro: esperienze passate, cultura, grado di sviluppo ecc. Uil proprio stile di risposta oltre quello del paziente. Per quanto riguarda l'organizzazione del proprio stile di risposta, dovrà esentimenti, aspettative, credenze inerenti a ciò che vuole comunicare, il livello di sviluppo del pro-prio linguaggio ecc. Analogamente per quanto riguarda l'organizzazione delle risposte del paziente, l'infermiera terrà conto dell'età, delle esperienze che può avere in merito a quanto gli comunicherà, il concetto che può avere di Un altro fattore che influisce sul processo della comunicazione è il rapporto che esiste tra i comuni-canti (tra emittente e ricevente del messaggio). Si pensi ad esempio alle differenze che esistono nel-la comunicazione fra le seguenti diverse situazioni relazionali: genirito-moglie. Un'infermiera che ha già stabilito unso di come comunica con un malato per la prima volta. Lo scopo dell'interazione, sia che esso venga indicato o no, influisce sulla comunicazione che si svolge tra due s Il contenuto. Questo richiede la scelta delle parole, la costruzione della frase, il t

Page 131: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Onicazione terapeuticame

ltre che a tenere controllati i suddetti fattori l'infermiera deve possedere alcune tecniche di comu-nte efficaci, e va detto subito che l'uso di queste tecniche, da sole, non ga-

rendiamo ora in esame brevemente alcune di queste tecniche:

attivo che richiede un'attenzione vigile, e un notevole im-

'estraniamento è l'assenza di valutazione dei messaggi ricevuti.

riceve e dell'ef-tto che tali messaggi determinano sul proprio comportamento. 'ascolto terapeutico è simile all'introspezione.

ere usate per comunicare a livello non verbale il proprio interesse er l'altro.

erenza tra la comunicazione verbale e quella non verbale.

icazione non verbale.

ansietà in entrambi i soggetti del rapporto co-

ermiera può lasciare al paziente la facoltà i scegliere l'argomento di conversazione esordendo con domande di questo tipo: "Di che cosa le iacerebbe parlare oggi?" oppure "Da dove vuole incominciare?".

ersi ed inoltre essa pone l'accento sui

ande che fanno capire al paziente che l'in-rmiera lo sta ascoltando.

ne del messaggio è corretta. La frase tipo, per riaffermare potrebbe essere questa: "...allora mi sem-

rantisce una comunicazione terapeutica. P1) Il saper ascoltare. E' forse la tecnica di comunicazione terapeuticamente più efficace. L'ascoltare terapeutico è un processo pegno. C'è una serie di atteggiamenti diversi nell'ascolto, che dal livello più basso l'estraniamento, al mas-simo livello di ascolto, che è l'introspezione. L L'introspezione implica un'analisi accurata delle proprie reazioni ai messaggi che sifeLDa questo atteggiamento interessato dell'ascoltatore partono dei messaggi non verbali diretti a chi parla e che dicono: "siete una persona che vale", "mi interessate come individuo". Le pause di silenzio possono essp L'importante è che vi sia coE' necessario pertanto essere particolarmente consapevoli, nei periodi di pausa, della propria comu-n Se le pause di silenzio si prolungano possono crearemunicativo. Una discussione che verta sui sentimenti e sulle manifestazioni di quest'ansia, può es-sere un'esperienza preziosa per tutti e due. All'inizio di un'interazione tra infermiera e paziente, l'infdpQuesta tecnica offre al paziente ampie possibilità di esprimbisogni del paziente. Il messaggio metacomunicativo che ne deriva al paziente è: "ho stima e fiducia in lei e io sono qui per aiutarla ad esprimere i suoi pensieri e sentimenti". Durante l'interazione si può ricorrere ancora a questa tecnica rivolgendo domande aperte quali: "... e poi cosa è successo...?" oppure "Si... continui". Queste domande incoraggiano a parlare. Sono tutte domfeLa tecnica del riaffermare. Consiste nel ripetere al paziente quella che l'infermiera ritiene che sia l'idea o il pensiero principale che egli ha voluto esprimere. E' ancora un modo per dire: "l'ascolto". Inoltre questa tecnica consente all'infermiera di verificare con il paziente se la propria interpretazio-

Page 132: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

bra di aver capito che ...". La tecnica del rispecchiare. Cmi. Con questa tecnica l'infermiera comunica al paziente che le sue idee, i suoi senproblemi, sono le sole cose che abbiano importanza, e non quelli dell'infermiera o di altre persone. Inoltre aiuta il pa La tecnica della chiarificazione. L'infermiera chiede conferma del messaggio comunicatEsempi di questa tecnica sono frasi del tipo: "non credo di aver capito". "Le spiace ripetere?". Con queste frasi l'infermiera comunica al paziente che lo sta ascoltando, che vuole capire il suo messaggio, ma ch Queste sono solo alcune delle tecniche di comunicazione terapeuticamente efficaci che necessaria-mente dovrebbero esserdovrebbero essere mai applicate in quanto terapeuticamente inefficaci, come ad esempio: Il non saper ascoltare. Consiste nella incapacità di anPer evitare che fattori interni (pensieri, immagini, bisogni) ed esterni compromettano la capacità di ascoltare, l'infermiera deve innanzitutto riconoscerne l'esistenza e poi stabilirne la funzione in rap-porto all’Io.

onsiste nel ritrasmettere, con altri termini, al paziente le sue idee, i suoi sentimenti, i suoi proble-timenti, i suoi

ziente a riconoscere idee, sentimenti come facenti parte del suo Io.

o dall'emittente mediante un feedback.

e ha bisogno del suo aiuto per capirlo.

e usate nell'interazione con i pazienti, per contro, ce ne sono altre che non

teporre i bisogni del paziente ai propri.

formulare giudizi.

ente racchiudono un giudizio comprendono risposte del tipo: "Così va

ri, le credenze dell'infermiera a quelli del paziente, ren-ono il rapporto subordinato alle condizioni: "io l'aiuterò solo se fa come dico io". Questo nega il

nere negano i sentimenti del paziente e gli impediscono di espri-erli.

a tecnica del consigliare. paziente sia in una condizione di inferiorità e che non sia in grado di ba-

aziente della possibilità di prendere decisioni.

IlImplica una serie di risposte che in pratica comunicano al paziente che, per essere accettato "deve pensarla come la penso io". Affermazioni che implicitambene" "Così non va" "Non deve farlo" "Lei dovrebbe fare cosi'...". Queste risposte tendono ad anteporre i valodvalore del paziente e lo mette in una condizione di dipendenza dalla persona supportiva, gli nega l'autonomia. Il dare frasi di incoraggiamento stereotipate. Frasi come: "vedrà, andrà tutto bene..." cercano di fare miracoli con le parole. Frasi del gem Frasi di rifiuto. Frasi come: "Non intendo discutere!" sono un altro modo per rifiutare di discutere dei sentimenti o di altri argomenti con il paziente. Questi, oltre a sentirsi respinto nel suo tentativo di comunicare, si sente respinto anche come indi-viduo. LQuesta presuppone che il dare a se stesso. Il dare consigli è diverso dal fornire informazioni al paziente. Il fornire informa-zioni arricchisce la conoscenza del paziente di nuovi dati, in base ai quali egli può prendere una de-cisione. Il dare consigli priva il p

Page 133: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

Le risposte stereotipate (Le frasi fatte).

fermiera: "come si sente oggi?".

. Vorrei essere morto".

iera: "Capita a tutti di passare dei momenti neri".

con te!".

ne che si arroga il diritto di scegliere gli argomenti da discutere. La

glio di conoscenze e di tecniche nel campo della comunicazione che le permetta

i stabilire una relazione comunicativa terapeutica del tipo che abbiamo definito "da persona a per-

bbiamo anche accennato, se pur brevemente, a queste conoscenze e tecniche, la cui validità ed ap-licabilità si estende anche oltre il contesto specifico del nursing.

iva nella relazione infermiera-malato. questo tipo di relazione che abbiamo anche definito "da persona a persona" entrambi gli intera-

ifica tra l'altro aiutare un individuo ad affrontare l'e-perienza della malattia e della sofferenza e aiutare quell'individuo a trovare un significato in tale

diviene un gradino che conduce ella direzione di relazione "da persona a persona" purché l'infermiera si sforzi intenzionalmente di

conoscere il suo paziente e di scoprire e soddisfare i suoi bisogni. Questo tipo di relazione non accade per caso, ma va costruita fino dal momento in cui ha inizio l'in-terazione con la persona ammalata. Ciò implica che l'infermiera ha chiarezza cognitiva circa ciò che fa, che pensa, che prova e che esperisce. Nello stabilire la relazione "da persona a persona" si possono individuare alcune frasi fra loro interconnesse. a) Il primo incontro. E' caratterizzato dall'abilità di rendersi conto dell'Unicità dell'Altro.

Non hanno alcuna efficacia terapeutica in quanto negano l'individualità del paziente. Esempio: In Paziente: "Da cani Inferm La risposta dell'infermiera nega l'importanza del messaggio del paziente. La metacomunicazione è "non ho tempo da perdere Il cambiare argomento. E' una tecnica di comunicaziometacomunicazione è: "parleremo di ciò che io considero importante". Questa tecnica è spesso usata dall'individuo per proteggere l'Io da problemi che suscitano in lui ansia. In conclusione, in questa ultima parte abbiamo sottolineato il fatto che un'infermiera non può non possedere un bagadsona". Ap Ora però si ritiene utile presentare in maniera distinta alcuni aspetti che caratterizzano più specifica-tamente la dimensione comunicatIngenti (infermiera e paziente) si percepiscono e si rapportano l'un l'altro unicamente in quanto esseri umani. Parlare di relazione "da persona a persona" signsesperienza. Ogni momento di interazione che l'infermiera ha con il pazienten

Page 134: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

b) La fase dell'empatia. E' caratterizzata dall'abilità nel definire e prevedere correttamente i bisogni dell'altro e di vivere la sua situazione. c) La fase della simpatia. E' caratterizzata da un sincero interesse per la condizione e sofferenza dell'Altro, associata al desi-derio di aiutare l'individuo che soffre. E' un atteggiamento, un modo di pensare, di sentire, di porsi, di comunicare con l'altro. La relazione "da persona a persona" non è sinonimo di relazione "da amico a amico". Esse di diver-sificano per situazione, esigenze, per l'impegno professionale richiesto nello stabilirle e nel mante-nerle. Risulta pertanto opportuno analizzare la relazione "da persona a persona" nell'ottica della Teoria e tecnica della comunicazione che abbiamo visto nella prima parte di questo lavoro. Per quanto concerne la comunicazione a "livello verbale" della relazione con il paziente è opportu-no tenere presente che ci sono due tipi diversi di messaggi verbali: un tipo riguarda l'aspetto informativo, l'altro riguarda l'aspetto persuasivo sebbene ambedue gli aspetti nel contesto della rela-zione sono estremamente uniti. Questa distinzione serve per analizzare il fatto relativo all'insoddisfazione dei pazienti circa la qua-lità della comunicazione. Gli studi fatti al riguardo dimostrano l'importanza di questi due aspetti della comunicazione verbale. Accenniamo, così di sfuggita, al grosso problema contenuto nell'aspetto informativo della relazione riguardante il "dare o non dare" certe informazioni. Il problema, studiato in relazione al paziente con prognosi infausta, di fatto riguarda tutte le situa-zioni connesse alla salute-malattia nonché le varie fasi della malattia stessa a cominciare dalla mes-sa in atto del primo comportamento di richiesta di aiuto. Ci sono differenti punti di vista ed in pratica rilevano che: a) da un verso "non è possibile dire tutto a tutti i pazienti", "occorre a volte del tempo per riflettere prima di rispondere", "la cautela è necessaria poiché il malato spesso non sa se vuole sapere"; b) dall'altro verso "è necessario spesso discutere con il paziente prima e dopo un intervento al fine di ridurre il livello sì stress", "se l'infermiere non da informazioni dipende probabilmente anche dal proprio disagio psicologico a trattare il problema"; ecc. Ovviamente non è possibile fornirvi circa questo problema delle "informazioni da dare al paziente" di una soluzione del tipo "si dite o no non dite" "dite tutto o non dite niente" e nemmeno fornirvi di una soluzione con vaghe indicazioni del tipo "a seconda della indicazione". Il problema richiede soluzioni ben più elaborate che implicano soprattutto il livello affettivo della relazione infermiera-malato, ma non solo, esse, queste soluzioni, implicano la capacità dell'infer-

Page 135: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

miera di stabilire la relazione "da persona a persona" mantenendo sempre la congruenza fra mes-saggi verbali e messaggi non verbali. Nella comunicazione con il paziente esiste inoltre l'altro aspetto definito persuasivo. Spesso si rilevano resistenze ad ammettere, fra le infermiere, che la persuasione sia una componente del loro lavoro. Ci si riferisce, in questo senso a tutto quanto è espresso verbalmente con fine di produrre cambiamenti circa le opinioni che l'ammalato ha del suo stato di salute, sul significato dei sintomi, o sul vantaggio connesso all'assunzione di un farmaco ecc. Tutto questo implica in ogni caso un processo di persuasione che dipende dall'efficacia degli argo-menti utilizzati sia per rendere convincente una spiegazione, sia per ottenere una modificazione del comportamento. Pertanto bisogna tenere conto dell'importanza che assumono i differenti fattori (credenze, atteggia-menti, intenzioni) che intervengono a caratterizzare un determinato comportamento che si desidera cambiare nel paziente. La specificità dei messaggi che si utilizzano a livello della comunicazione verbale, questa specifici-tà si dimostra dunque estremamente rilevante nel determinare relazioni e comportamenti all'interno del contesto salute-malattia. Per quanto riguarda la comunicazione non verbale ribadiamo ancora i concetti precedentemente espressi, vale a dire, le modalità, attraverso le quali, si realizza l'espressione di emozioni o l'espres-sione di gradi differenziati di stati di sofferenza, sono prevalentemente modalità non verbali e spes-so tali segnali hanno un peso molto maggiore dei loro equivalenti verbali. Numerosi fatti, diversi tra loro ci forniscono l'evidenza pratica della comunicazione non verbale nella relazione infermiera-malato: a) il contatto fisico. Questo aspetto è di primaria importanza nell'esercizio della professione infermieristica al punto che essa non si può praticare "senza toccare". La manipolazione, come altre forme di comportamento non verbale, può essere più o meno con-gruente con i messaggi verbali. Si può ad esempio manipolare un paziente assicurandolo che non deve preoccuparsi e nel contempo trasmettere non verbalmente uno stato di nervosismo che contraddice il messaggio verbale. b) lo sguardo. E' uno degli indici non verbali del comportamento che apporta il massimo di informazioni circa la relazione. Regola il flusso comunicativo, fornisce continui feedback, consente la comunicazione delle emozioni e il loro riconoscimento. Nella comunicazione fra infermiera e paziente si può rilevare ad esempio l'esistenza di una relazio-ne depersonalizzante caratterizzata dalla mancanza di sguardi diretti al volto del paziente, è questo molto frequente nel contesto ospedaliero. c) l'espressione facciale. Quest'area riguarda soprattutto l'espressione del dolore attraverso la mimica del viso, anche se il do-lore non costituisce la sola espressione facciale di base. Inoltre numerosi lavori hanno messo in evi-denza il ruolo esercitato dal volto nella espressione e nel riconoscimento delle emozioni e l'impor-tanza (in specifico) esercitata attraverso il controllo dell'espressione facciale del dolore, sulla ridu-zione del dolore stesso.

Page 136: PSICOLOGIA APPLICATA ALLA PROFESSIONE - … · propri campi, i limiti della classica visione newtoniana del mondo. ... Il lavoro che mi sono proposto in questo incontro, come nel

d) la voce. Al pari delle espressioni del volto, il tono di voce può consentire di rilevare o riconoscere specifici stati emotivi dei pazienti e delle infermiere. Tono, pause, quantità di eloquio sono alcuni degli indici che trasmettono messaggi indipendenti dal contesto verbale. Stati emotivi di rabbia, paura, tristezza, gioia, dolore, sono spesso trasmessi attraverso indici vo-cali. E' stato rilevato che vi è una diretta connessione tra il modo di usare dell'infermiera, tono di voce e volto e la valutazione che il paziente da su di essa. e) ulteriori indici non verbali. Ad esempio il comportamento attraverso il movimento delle mani, degli arti, la postura la collocazione spaziale del corpo, contribuisce a determinare l'impressione e la valutazione della situazione. Ovviamente non è possibile qui, in questa sede, affrontare più in dettaglio gli indici ed i ruoli della comunicazione non verbale tra infermiera e paziente, ma ci sembra sia stata resa chiara l'importanza del comportamento non verbale nella relazione con l'assistito. Connesso a tutto questo vi è inoltre l'importanza della congruenza fra messaggio verbale e messag-gio non verbale. Non si può non rilevare come allo stato attuale sia ancora scarsa e frammentaria l'attenzione presta-ta al ruolo certamente determinante svolto dalla comunicazione non verbale nell'ambito della salute. Ecco quindi che abbiamo analizzato alcune dimensioni comunicative connesse alla situazione di as-sistenza infermieristica, ponendo l'accento non soltanto su ciò che si dovrebbe fare, bensì motivan-do il perché lo si dovrebbe fare. Solo utilizzando i dati relativi al perché e al come si svolge la comunicazione, è possibile valutare questo aspetto dell'interazione infermiera-malato, attraverso criteri che ne considerino l'efficacia, l'adeguatezza, l'appropriatezza e la flessibilità. Dirigente dell’Assistenza Infermieristica Biancat Roberto