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Publius Per un’ Alternativa Europea Universitari per la Federazione Europea Numero 8 - Maggio-Settembre 2011 distribuzione gratuita Giornale degli studenti dell’Università di Pavia. Informazione, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi e di domani I #lussi migratori dal Nord Africa verso l’Italia hanno messo in luce una duplice im potenza: quella italiana e quel la europea. Quella italiana ri guarda l’incapacità di fronteg giare in modo razionale e civi le un’emergenza annunciata e dalle dimensioni contenute, non certo superiore a casi già veri#icatisi più volte negli ul timi anni in Europa e anche nel nostro stesso paese. Sem pre, quando una regione è scossa da rivolte o addirittura da guerre si generano ondate migratorie che creano pres sione sui paesi vicini. La diffe renza tra un paese civile e in dustrializzato ed uno arretra to sta anche nella capacità di affrontare questo tipo di situa zioni evitando che si creino tensioni esasperate e ulteriori sofferenze inutili: l’Italia è sembrata dimenticarsi di ap partenere alla prima categoria e ha brillato anche per imperi zia nei rapporti con i partner europei, generando sospetti e con#litti che hanno solo accre sciuto le dif#icoltà. Ma se questa è la speci#icità del nostro paese, ormai paralizzato e incapace di affrontare in modo costruttivo qualsiasi tipo di problema, bi sogna anche aggiungere che il vento del ripiegamento populi stico sul proprio orticello na zionale sta sof#iando in tutta Europa. Le recenti elezioni in Finlandia hanno offerto solo l’ultimo esempio degli effetti generati dalla paura e dall’insi curezza che i cittadini sentono di fronte alla crisi e a cui reagi scono ri#iutando l’idea di co struire una solidarietà più am pia e non riuscendo più ad im maginare un futuro di apertura verso il resto del mondo e di cooperazione. Che responsabilità ha l’Europa in tutto questo? Nessuna, nella misura in cui l’Europa non è un’entità politica capace di prendere decisioni e di agire, ma è solo un’organizzazione che deriva dagli Stati che la compongono tutti i suoi poteri e tutte le sue competenze. Sono >> fondo pag. 2 Indice pag.1 Editoriale Publius pag.2 Il Grande Medio Oriente brucia, gli USA hanno Cinito l’acqua, l’Europa divisa (tra)balla Davide Negri pag.4 La crisi del Portogallo e i rapporti con l’Unione europea Maria Vittoria Lochi pag.7 La crisi europea del debito e l’Italia Nelson Belloni ...a quei mpi gli emigran eravamo noi Dal 1880 al 1915 quaro milioni di italiani migrarono negli Sta Uni...

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Publius - per un'alternativa europea. Numero 8, Maggio-Settembre 2011. Giornale universitario degli studenti dell'Università di Pavia.

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Page 1: Publius 8

pag.1    EditorialePublius

pag.2  Nobel  a  Obama?Giulia Spiaggi

pag.4  Compendio  del        politico  europeo  (part  II)

Davide Negri

pag.5  Il  nuovo  governo  tedesco  e  il  “nodo  di  Gordio”

Luca Lionello

pag.6  Storiche  elezioni  in  Giappone

Gabriele Felice Mascherpa  

PubliusPer un’ Alternativa Europea

Universitari per la Federazione Europea Numero 8 - Maggio-Settembre 2011

distribuzione gratuita

Giornale degli studentidell’Università di Pavia.

Informazione, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi

e di domani

I   #lussi   migratori   dal   Nord  Africa   verso   l’Italia   hanno  messo   in  luce  una  duplice   im-­‐potenza:  quella  italiana  e  quel-­‐la   europea.   Quella   italiana   ri-­‐guarda   l’incapacità  di   fronteg-­‐giare  in  modo  razionale  e  civi-­‐le  un’emergenza  annunciata  e  dalle   dimensioni   contenute,  non  certo   superiore  a   casi   già  veri#icatisi   più   volte   negli   ul-­‐timi   anni   in   Europa   e   anche  nel   nostro   stesso   paese.   Sem-­‐pre,   quando   una   regione   è  scossa  da  rivolte  o  addirittura  da  guerre   si   generano   ondate  migratorie   che   creano   pres-­‐sione  sui  paesi  vicini.  La  diffe-­‐renza   tra  un  paese  civile  e   in-­‐dustrializzato   ed   uno   arretra-­‐to   sta   anche   nella   capacità   di  

affrontare   questo   tipo   di   situa-­‐zioni   evitando   che   si   creino  tensioni   esasperate   e   ulteriori  sofferenze   inutili:   l’Italia   è  sembrata   dimenticarsi   di   ap-­‐partenere   alla   prima   categoria  e  ha  brillato   anche  per   imperi-­‐zia   nei   rapporti   con   i   partner  europei,   generando   sospetti   e  con#litti   che   hanno   solo   accre-­‐sciuto   le  dif#icoltà.  Ma  se  questa  è  la  speci#icità  del  nostro  paese,  ormai  paralizzato  e   incapace  di  affrontare   in   modo   costruttivo  qualsiasi   tipo   di   problema,   bi-­‐sogna   anche   aggiungere   che   il  vento   del   ripiegamento   populi-­‐stico   sul   proprio   orticello   na-­‐zionale   sta   sof#iando   in   tutta  Europa.   Le   recenti   elezioni   in  Finlandia   hanno   offerto   solo  

l’ultimo   esempio   degli   effetti  generati  dalla  paura  e  dall’insi-­‐curezza   che   i  cittadini   sentono  di  fronte  alla  crisi  e  a  cui  reagi-­‐scono   ri#iutando   l’idea   di   co-­‐struire   una   solidarietà   più   am-­‐pia   e  non  riuscendo  più  ad  im-­‐maginare  un  futuro  di  apertura  verso   il   resto   del   mondo   e   di  cooperazione.  Che   responsabilità   ha   l’Europa  in  tutto   questo?   Nessuna,  nella  misura   in   cui   l’Europa   non   è  un’entità   politica   capace   di  prendere   decisioni   e   di   agire,  ma   è   solo   un’organizzazione  che   deriva   dagli   Stati   che   la  compongono   tutti   i   suoi   poteri  e  tutte  le  sue  competenze.  Sono

>>  fondo  pag.  2

Indice

pag.1  EditorialePublius

pag.2  Il  Grande  Medio  Oriente  brucia,  gli  USA  hanno  Cinito  l’acqua,  l’Europa  divisa  (tra)balla

Davide Negri

pag.4  La  crisi  del  Portogallo  e  i  rapporti  con  l’Unione  europea

Maria Vittoria Lochi

pag.7  La  crisi  europea  del  debito  e  l’Italia

Nelson Belloni

...a quei tempi gli emigranti eravamo noiDal 1880 al 1915 quattro milioni di italiani migrarono negli Stati Uniti...

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Della   guerra   di   Libia   si   è   detto   di   tutto.  Essa   non   è   la   rivoluzione   sociale   e  politica  condotta  dal  popolo  libico  contro  il  dittatore,  ma  –   in  uno  Stato  che  non  ha  mai   conosciuto   l'unità   nazionale   –   lo  scontro   tra   tribù   e   clan   che   quaranta  anni  di  dittatura  non  hanno  saputo  unire.  Lo  Stato  libico  si  è  dissolto  per  dar  vita  a  due  entità  politiche  in  stato  di  guerra.  La  rivolta  è  cominciata   in  Cirenaica  sotto   la  spinta   di   gruppi   da   sempre   ostili   al  dominio   tripolino.   Il  rischio   che   la   Libia  diventi   come   la   Somalia  e   l'Afghanistan,  se  mancasse  il  ruolo  stabilizzatore  di  una  potenza  esterna,  è  reale.  L ' E g i t t o   p o s t -­‐ M u b a r a k   n o n   è  un’incognita   politica   come   la   Libia:  esso  è  –  e  rimane  –  un  alleato  americano,  che  

da   un   decennio   lo   rifornisce   di   armi   e  aerei   da   combattimento.   La   rivolta  popolare   ha   ottenuto   l'effetto   che  lasciasse   la   sua   poltrona   Mubarak,   ma  non  ha  intaccato  i  poteri  e  gli   interessi   delle   élite  socio-­‐economiche.   In   una  situazione   gattopardesca  il  potere  di  fatto  è  in  mano  all'esercito   che   controlla  parte   dell'economia   del  paese.   Però,   a   differenza  della   Libia,   in   Egitto   le  istituzioni   sono  più  stabili  e   possiedono   ancora   un   margine   di  manovra   per   disinnescare   la   bomba  sociale   costituita   da   milioni   di   giovani  senza   prospe t t i ve ,   a   pa t to   che  

dall'esterno   ci   sia   il   sostegno   politico-­‐economico  per  attuare  tali  riforme.    Quanto   sta   accadendo   in   Nord   Africa   e  nel  Vicino  e  Medio  Oriente  rappresenta  il  

risvolto   politico   della  crisi   economica   iniziata  n e l   2 0 0 8   c o n   i l  fallimento   di   Lemahn  B r o t h e r s .   L a   c r i s i  #inanziaria  ed  economica  globale  ha  messo   in  luce  l e   d e b o l e z z e  d e l l ' e c o n o m i a  s t a t u n i t e n s e   ( e d  

europea)   e   ne   ha   incrinato   il   primato,  accelerando   la   rincorsa   dei   Brics  (Brasile,  Russia,  India,  Cina  e  Sudafrica).  In   questo   quadro   le   priorità   geo-­‐

strategiche   americane  h a n n o   i n i z i a t o   a  cambiare   rapidamente.  Se   gli  USA   si   sono   fatti  car ico   per   decenni  dell'equilibrio   e   della  p a c e   m o n d i a l e  (mantenendo   fuori   dai  propri   con#ini   basi  m i l i t a r i ,   # l o t t e ,   e  i n t e r v e n e n d o  m i l i t a r m e n t e  nell'ultimo   decennio   in  Iraq   e   Afghanistan,   allo  scopo   di   controllare  l'area   petrolifera   più  grande   del  mondo   e   di  stabilizzarla   intorno  all'Arabia  Saudita,  unico  paese  al  mondo  che  può  aumentare   la   propria  produzione   petrolifera  in   caso   di   improvviso  calo   di   produzione   in  

Quanto sta acca-dendo in Nord Africa e

nel Vicino e Medio Oriente rappresenta il risvolto politico della crisi economica del

2008

Il Grande Medio Oriente brucia, gli USA hanno finito l’acqua, l’Europa divisa (tra)balla

da  pag.  1

gli   Stati   che   si   sono   ri#iutati   sinora   di  dotare   l’Europa  dei   poteri  necessari  per  svolgere   funzioni   politiche   e   che   hanno  voluto  mantenere   le   competenze   in  ma-­‐teria   di   politica   estera,   di   sicurezza,   di  immigrazione,  di  #iscalità,  esclusivamen-­‐te  a  livello  nazionale.  Chiamare  la  solida-­‐rietà  “dell’Europa”  quando  si  è  contribui-­‐to   a   costruire  un’Unione   europea   impo-­‐tente   e   strutturalmente   incapace   di   in-­‐tervenire   a   sostegno   di   un   paese   mem-­‐bro   è   quantomeno   disonesto.   Ma   un  

problema  reale  esiste,  e  riguarda  proprio  il  fatto   che  in  questa   situazione   i  singoli  Stati  sono  sempre  più  inadeguati  rispet-­‐to   alle   s#ide   poste   dal  mondo   globale,   e  avrebbero   effettivamente   bisogno   di  affrontarle  insieme  a  livello  europeo;  ma  l’egoismo   di   ciascuno   si   fa   sempre   più  forte   e   le   tentazioni   nazionalistiche   rie-­‐mergono  in  modo  prepotente,  bloccando  ogni  rafforzamento  del  legame  europeo.La   risposta  sarebbe  dunque  semplice:  la  ricerca  della  soluzione  dei  problemi  che  dobbiamo  affrontare  –  dalla  gestione  dei  #lussi  migratori,   destinati   a   crescere,   al-­‐

l’uscita  dalla  crisi  economica  e  alla  ripre-­‐sa  della  crescita,  #ino  alle  questioni  della  sicurezza   –   parte   dalla   capacità   di   co-­‐struire   una   vera   Unione   europea,   uno  Stato   federale   a   livello   europeo.   Questa  dovrebbe  essere   la   priorità   di   un  paese  come   l’Italia,   che   fuori   dall’Europa   non  ha  futuro;   invece  di  scherzare   col   fuoco  avvitandosi   in   un  dibattito   senza   senso  sull’ipotesi  di  uscire  dall’Unione  dovreb-­‐be   impegnarsi   per   farla   diventare   una  realtà   politica,   e   riacquistare   in   questo  modo  la  propria  dignità.

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altri   paesi),   oggi  questo   impegno   ha   un  costo   insopportabile   per   l'economia  americana:   il   debito   pubblico   sta  raggiungendo  la  soglia  limite  autorizzata  dal   Congresso   di   14.600   miliardi   di  dollari,   diventando   ogni   giorno   che  passa   più   insostenibile   agli   occhi  dell'opinione  pubblica.Qu e s t a   è   l a   n u o v a   e r a   “ p o s t -­‐americana”   (come   l’aveva   de#inita  Fareed   Zakaria),   l'era   del   declino  dell'in#luenza   americana   sull'area  nordafricana   e   mediorientale.   La   crisi  dell'apparato   strategico   USA   viene  ammessa   dallo   stesso   Segretario   alla  Difesa  Gates,   che   il   25   febbraio   scorso,  davanti   ai   cadetti   di   West   Point,   ha  dichiarato:   “Qualsiasi   futuro   ministro  del la   Di fesa   che   consig l iasse   i l  Presidente  di   inviare  ancora  una  grande  armata   di   terra   in   Asia   o   nel   Medio  Oriente   dovrebbe   ‘farsi   esaminare   il  cervello’,   come   il   generale   Mac   Arthur  o s s e r v ò   c o n   t a n t a  accuratezza”   (www.defense.gov/Speeches/Speech.aspx?SpeechID=1539).  Tradotto:  gli  USA  rinunciano  a  realizzare  grandi  interventi   terrestri   (come  in  Iraq  e   Afghanistan)   e   sono   disposti   solo   ad  intervenire   con   attacchi   mirati   e  circoscritti   fondati   sulla   loro   superiore  tecnologia  militare.   Quindi  non  possono  e   non   vogliono   mettere   a   rischio  ulteriori  uomini  e  risorse  in  nessun  altro  teatro   bellico   fuori   dalle   loro   aree  strategiche.  A   trarre   vantaggio   da  questa  situazione  sono   la   Turchia   e   l'Iran,   dal   punto   di  vista   regionale,   e   la   Cina,   come   nuovo  attore,   per   ora   non-­‐protagonista,   sulla  scena  mondiale.E   in   questo   scenario   di   grandi  cambiamenti,   come   si   colloca   l’Europa?  La  sua  assenza  è  veramente  drammatica.  Ma   occorre   fare   una   precisazione  doverosa:   quando   i   governi   dei   singoli  Stati  e  la  società  civile  chiamano  a   gran  

voce   l'intervento   dell'Europa,   cosa  stanno  chiamando?  L'Unione   europea   è   una   so#isticata  organizzazione   internazionale   che   ha  permesso   la   creazione   di   un   mercato  europeo   con  una  moneta   unica   (per   17  paesi  su  27).  In  tale  organizzazione  vi  è  persino   un   elemento   di   democrazia  rappresentativa,   il   Parlamento,   e   di  legalità  sostanziale,  la  Corte  di  Giustizia.  Ma   manca   la   cosa   più   importante:   non  esiste  una  volontà  politica   europea,  una  politica   estera   europea,   un   esercito  

europeo,   bensì   27   politiche   nazionali  prigioniere   della   visione   nazionale.   Per  questo   motivo   l 'Europa   sembra  chiudersi  a  riccio  di  fronte  a  ogni  nuovo  problema   di   grande  portata:   all'interno  di  una  Europa  divisa   in  politica  estera  e  in   cui   il   quadro   di   riferimento   politico  resta  quello   nazionale,   è  ovvio   che  ogni  Stato   tenda   a   considerare   i   problemi  dell'immigrazione,   della   guerra   in   Libia  e  del  salvataggio  dalla  crisi  del  debito  

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Scheda personaggio - Alcide De GasperiAlcide  De  Gasperi  nacque  il  3  aprile  1881  a  Pieve  Tesino,   Impero   austroungarico,  e  morì  il  17  ago-­‐sto   del  1953  a  Borgo  Valsugana.  Fu  l’ultimo  pre-­‐sidente  del  Consiglio  dei  Ministri  del  Regno  d’Ita-­‐lia  e  il  primo  dell’Italia  repubblicana.  Insieme  ad  Adenauer,  Spinelli,  Monnet  e  Schuman  fu  uno  dei  padri  fondatori  dell’Europa.  Firmò  il  trattato  della  CECA  e  subito  dopo,  quando  la  Francia  propose  di  creare  un  Comunità  europea  di  difesa,  fu  promo-­‐tore  del  tentativo  costituente  per  dar  vita  in  pa-­‐rallelo   alla   CED   ad  una  Comunità   politica   euro-­‐pea.  Celebre  fu  il  suo  discorso  al  Senato  della  Re-­‐pubblica   il  15  Novembre  del  1950:  “Qualcuno  ha  detto  che  la   federazione  europea  è  un  mito.  ..E  se  

volete  che  un  mito   ci   sia,  ditemi  un  po’   quale  mito  dobbiamo   dare   alla   nostra   gioventù   per   quanto  riguarda  i  rapporti  tra  Stato  e  Stato,  l’avvenire  della  nostra  Europa,   l’avvenire  del  mondo,   la   sicurezza   ,  la  pace,  se  non  questo  sforzo  verso  l’unione?  Volete  il  mito  della  dittatura,  il  mito  della  forza,  il  mito  della  propria  bandiera,  sia  pure  accompagnato  dall’eroi-­‐smo?  Ma   noi,  allora,  creeremmo  di  nuovo  quel  con-­‐Ilitto  che  porta  fatalmente  alla  guerra.  Io  vi  dico  che  questo  mito  (la  federazione  europea)  è  mito  di  pace;  questa   è  la   pace,   questa  è   la  strada   che  dobbiamo  seguire..  Agire  per  la  pace,  promuovendo  la  progres-­‐siva  solidarietà  e  l’uniIicazione  dei  Paesi  europei  [...]  Iino  alla  creazione  di  un  vincolo  federativo”.

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Da  LA  FINE  DEL  LIBERO  MERCATO  di  Ian  Bremmer

“Nel  1993  una  relazione  delle  Nazioni  Unite  sullo  sviluppo  umano  de#iniva  lo  Stato  Nazione  “troppo  piccolo  per  le  grandi  cose  e  troppo  grande  per  quelle  piccole”e  “i  governi  nazionali  non  saranno  mai  in  grado  di  gestire  le  s#ide  commerciali,  politiche,  sociali  e  ambientali  di  portata  internazionale  poste  dalla  globalizzazione.”

Anche  il  Portogallo,  così  come  l’Islanda,  la   Grecia   e   l’Irlanda,   è   caduto   nella  “trappola”  della  crisi  economica;  il  pae-­‐se,  declassato  di  due  gradini  già   a  metà  marzo   dalle   principali   agenzie,   rischia  ancora  un  ulteriore  retrocessione  e  non  dispone   delle   risorse   necessarie   per  pagare  i  suoi  debiti.Questo  declino  è  da  imputare   in  parte  a  ragioni   geogra#iche   -­‐   il   Portogallo   ha  una   posizione   che   si   potrebbe   de#inire  marginale  rispetto  al  cuore  degli  scambi  economici  europei  -­‐,  non  compensate  da  riforme  adeguate;  ma   in  parte  è  da  ad-­‐debitare   alle   debolezze   strutturali   del-­‐l’area  monetaria   dell’euro,  priva  di  una  politica  economica  unica,  che   in  questo  modo  non  riesce  a  sostenere   la  crescita  e   rende   più   evidenti   gli   squilibri   tra   i  paesi   forti   e   quelli   deboli,   a   svantaggio  ulteriore   di   questi   ultimi.   Quello   che   è  accaduto   in   Portogallo,   pertanto,   è   che  l’economia  non  è  cresciuta,  facendo  così  diminuire   le   entrate   #iscali   e   rendendo  ingestibili  i  conti  pubblici  #ino  ad  arriva-­‐re  alla  crisi  del  debito.In  queste  ultime   settimane,   dopo   le  di-­‐missioni  del  premier  Socrates  che  non  è  riuscito   a   raccogliere   in  Parlamento   la  

maggioranza   per   far   passasse   il   nuovo  piano  di  risanamento  dei  conti,   l’ipotesi  di  un  ingente  piano  di  salvataggio   coor-­‐dinato   dall’Unione  europea  e  dal  Fondo  

monetario   internazionale   è   diventata  realtà.   Ciò   non   toglie   che,   sebbene   gli  aiuti  dei   partner   europei  e  quelli  inter-­‐nazionali   possano   tamponare   al   mo-­‐

La crisi del Portogallo e i rapporti con l’Unione europea

da  pag.  3

pubblico   di   un   altro   paese,   come   una    questione  nazionale  e  non  europea.  Non  esiste   alcun   organo   in  Europa  che  si  occupi,   con   un   potere  l e g i t t i m a t o   d a g l i europei,   di   badare   agli  interessi   di   tutti   nei  fondamentali   campi  della   politica   estera,   di  s i c u r e z z a   e d  economica.   Il   Consiglio   europeo   è   nella  sua   essenza   un   so#isticata   conferenza  diplomatica.Per   tale  motivo   l'Italia   crea   un  allarme  mediatico   contro   i   nascenti   #lussi  

migratori   clandestini   dalla   Tunisia   e  dalla  Libia,   accusando  un’Europa  (senza  poteri)   di   mancanza   di   solidarietà.   La  Francia   apre   le   frontiere   con   il  

contagocce   dopo   aver  iniziato   una   guerra   in  Libia   senza   sapere  come   e   quando   #inirla,  p e r   v o l e r e   d i   u n  Sarkozy   in   perdita   di  consensi.   La   Germania  d e l l a   M e r k e l   n o n  interviene   in   un'area  

che  non  è  di  suo   interesse,   dovendo  già  giusti#icare   agli   elettori   il   sostegno  #inanziario   ai  paesi  europei   in  dif#icoltà  con  il  loro  debito  pubblico.  Poi  avanza  il  fronte   dei   partiti   dichiaratamente  

euroscettici  nei  piccoli  paesi  che  proprio  d a l l ' a p p a r t e n e n z a   a l l ' U n i o n e  dovrebbero   trarre   più   vantaggi:   in  Finlandia,   Austria,   Olanda,   Ungheria   e  Romania.  Un'Europa   divisa   può   solo   essere  destinata   alla   rovina.   Per   unirla   è  necessario   che   i  paesi  europei  trovino   il  coraggio   politico   di   perdere   la   propria  sovranità   nazionale  per  ricrearla   in  una  dimensione   europea   attraverso   la  fondazione   di   uno   Stato   federale  e u r o p e o ,   a n c h e   a   p a r t i r e   d a  un'avanguardia   di   Stati   che   apra   la  strada  per  ridare  un  futuro  di  progresso  al  nostro  continente.

Davide  Negri

E' iniziata l'era del de-clino dell'influenza americana sull'area

nordafricana e mediorientale

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mento   l’emergenza,   la   situazione   resti  drammatica.  Il  debito  viene  infatti  ormai  ritenuto   insostenibile   (i   rendimenti   dei  titoli   in   dieci   anni   hanno   toccato   il   re-­‐cord   del   7,90%   dall’   introduzione   del-­‐l’euro)  con  chance  pressoché  nulle  di    un  rientro  a  livelli  accettabili,  data  l’assenza  totale  di   compratori   sul   mercato   ad  ec-­‐cezione  della  Banca  centrale  europea.Rimangono   inoltre   le   incognite  circa  chi  dovrà  negoziare  l’accordo  con  l’Europa  e  il   Fondo   monetario   internazionale   e,  soprattutto,  quali  saranno  i  contenuti  del  

programma  che  il  Portogallo  presenterà  in   cambio   degli   aiuti   e   che,   secondo   le  prime   indicazioni  dovrà   contenere  nuo-­‐ve  misure  di  riforma  strutturale   dell’eco-­‐nomia.   Dif#icilmente  il  compito   di   trattare  con  l’UE   e  il  FMI   po-­‐trà   essere   assegnato  al   governo   dimissio-­‐nario;   quindi   questa  questione  dovrà  presumibilmente  essere  rimandata   a   dopo   le   future   elezioni.  

Quanto   al   contenuto   dell’accordo,   po-­‐trebbe   ricalcare   gli   obiettivi   presentati  dal   governo   Socrates   per   correggere   il  

bilancio   in   modo   da  portare   il   de#icit   dal  7%  del  2010  al  4,6  nel  2011,   al   3%   nel  2012  #ino   al   2%   nel   2013,  ma   possibilmente   con  un  diverso   mix   di   mi-­‐sure.

Nel   frattempo   l’eurozona   rimane   in   al-­‐lerta   per   evitare   un   possibile   “effetto  

Attalì,   già   consigliere   speciale   del   governo   Mitterand   del   1981,   e   #igura   di  spicco  della   politica   e   della   #inanza   non   solo   francese,   ma   anche   europea   e  mondiale,  ha  pubblicato  nel  novembre   del  2010  questo  suo  ventiduesimo  li-­‐bro  che   analizza   l’attuale  crisi   del  debito  e   le   sue   conseguenze   per   gli  Stati  membri  dell’Unione  europea.    Il  libro  apre  con  un’ampia  ricostruzione  storica  del  debito  pubblico  nel  mondo,  dal  Monte  della  Venezia  del  XIII  secolo  #ino  alla  situazione  odierna,  non  mancando  mai  di  sottolineare  come  i  debiti  pub-­‐blici  abbiano  in#luito  durante  le  grandi  trasformazioni  storiche  come  la  Rivo-­‐luzione  francese,   la  prima  e  la   seconda  guerra  mondiale.  Trae   poi  da   questa  analisi  storica  delle  lezioni  sul  debito  che  raccoglie  in  dodici  punti  fondamen-­‐tali  (tra  cui  quello  che  evidenzia  come    un  modo  particolarmente  ef#icace  uti-­‐lizzato  storicamente  dagli  Stati  per  superare   le  crisi  del  debito  siano  state   le  guerre)  e   traccia   alcuni  scenari  possibili  di  evoluzione   del  debito  nel   futuro,  #ino  al  caso  peggiore  che  può  sfociare  in  una  grande  crisi  mondiale.  Nel  libro  Attalì  si   sofferma   a   lungo  anche  sulla   situazione  italiana,  arrivando  alla  con-­‐clusione  che  senza  una  radicale  trasformazione  politica  in  Europa  il  problema  del  debito  non   potrà   essere   risolto.   L’analisi   è   costantemente   sostenuta   da  dati,  indici,  analisi  di  trend  e  gra#ici  aggiornati:  un  libro  di  un  esperto  che  sbu-­‐giarda  ogni  ottimismo  sul  fatto  che  gli  Stati  membri  da  soli  o  l’Unione  a+uale  possano  risolvere  la  crisi  economica.

Pubblicato  nel  2011  La  comoda  menzogna  è  un  pamphlet  che  analizza  la  crisi  economica  osservandola  con  gli  occhi  di  varie  scuole  di  economisti  italiani.  La  Torre  presenta  estratti  di  vari  libri  ed  articoli  sulla  crisi  economica  del  2007,  li  ana-­‐lizza,   li   critica   e   li  mette   a   confronto  con   le   pubblicazioni  dei   neo-­‐keynesiani   come   Stiglitz   (premio  Nobel),   Fitoussi,  Krugman  (premio  Nobel),   i  quali  condividono  l’idea  che  la  soluzione  ai  problemi  legati  alla  crisi  in  corso  non  possa  pre-­‐scindere  da  uno  sforzo  sopranazionale,  esplicitamente  riferendosi  al  livello  europeo  (e  ponendo  quindi  come  condizione  preliminare  il  completamento  dell’unità  politica  dell’Europa).  A  questo  dibattito  si  af#iancano,  per  chiarire  i  concetti  a  chi  di  economia  ne  mastica  poca,  le  teorie  classiche  di  Fisher,  Keynes,  Friedman  e  Minsky.  Ne  risulta  uno  strumento  analitico  ed  articolato  che  permette  al  lettore  di  conoscere  il  dibattito  economico  sia  empirico  sia  scienti#ico  e  di  confrontarlo  con  quello  ideologizzato  cui  si  assiste  sui  giornali  e  nelle  televisioni  italiane  oggi.

Segnalazioni Bibliografiche“COME FINIRA’? L’ultima chance del debito pubblico” di Jacques Attalì

(Fazi, 2010)

“LA COMODA MENZOGNA. Il dibattito sulla crisi mondiale” di Giovanni La Torre(Edizioni Dedalo, 2011)

In queste settimane l'ipotesi di un ingente piano di salvataggio è

diventato realtà

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Claudio  Magris  (Premio  per  la  Pace  2009)  Le  strade  dell’integrazione  e  della  pace

“Dinanzi  alle  dimensioni  mondiali  di  tante  catastro#i,  l’attuale  debolezza  e  sconnessione  dell’Europa  appaiono  doppiamente  penose  e  colpevoli.   Solo  un’Europa  realmente  unita,   un  vero  Stato  -­‐  naturalmente  federale,  de-­‐centrato  -­‐  potrebbe  avere  la  capacità  (e  avrebbe  il  dovere)  di  affrontare  problemi  che  non  sono  più  nazionali.  All’Europa  spetta   il  grandioso  e  arduo   compito   di  aprirsi   alle  nuove  culture  dei  nuovi   paesi  europei  prove-­‐nienti  da  tutto  il  mondo,  che  vengono  ad  arricchirla  con  le  loro  diversità.  Si  tratterà  di  mettere  in  discussione  noi  stessi  e  di  aprirsi  al  massimo  dialogo  possibile  con  altri  sistemi  di  valori,  ma  tracciando  le  frontiere  di  un  minimo  ma  preciso  quantum  di  valori  non  più  negoziabili,  da  considerare  acquisiti  per  sempre  e  da  rispettare  come  assoluti  che  non  vengono  più  messi  in  discussione.  Pochi  ma  netti  valori,  come  ad  esempio  l’uguaglianza  di  diritti  fra  tutti  i  cittadini  a  prescindere  da  ogni  differenza  di  sesso,  di  religione  o  di  etnia.  Ma  #inché  l’Europa  sarà  ancora  un’Azione  parallela,  la  nostra  realtà,  come  quella  musiliana,  sarà  campata  in  aria”  

domino”  che  in  particolar  modo   potreb-­‐be   investire   la  vicina  Spagna,   le  cui  ban-­‐che  detengono   circa  un  terzo   del  debito  portoghese.  E  i  governi  europei,  per  cer-­‐care  di  prevenire  il  temuto  effetto  conta-­‐gio   in  tutta   l’area   dell’euro,   stanno   ten-­‐tando   di   promuovere,   con  grande   dif#i-­‐coltà  e  incertezza,  un  pacchetto  di  misu-­‐re  e  regole  di  lungo  periodo  non  solo  per  bloccare   l’attacco   dei  mercati,   e   preser-­‐vare  la  stabilità  dell’euro,  ma  soprattutto  per   costringere   gli   Stati   af#litti   dal   pro-­‐

blema  del  debito   al  rispetto  di  un  nuovo  “Patto  di  stabilità  e  competitività”.  Anco-­‐

ra   una   volta,   però,   almeno   per   quanto  riguarda   le   decisioni   #inora   rese   note,   i  governi  nazionali  si  limitano  ad  affronta-­‐

re  i  sintomi  della  crisi  e  non  le  sue  cause;  il  problema  di   un   piano   europeo   per   la  crescita   e   quello   delle   risorse   economi-­‐che,   ma   soprattutto   delle   competenze  politiche  necessarie  a  questo  scopo  sem-­‐bra  infatti  ormai  sparito  dal  dibattito.In  ogni  caso,   i  mercati  #inanziari  non  so-­‐no   interessati   alle   future   regole   per   il  coordinamento  delle  politiche  all’interno  dell’eurozona  e  sottolineano  la  necessità  di   conoscere   la   modalità   con   la   quale  s’intende   affrontare   l’attuale   sovrappo-­‐sizione   dei   debiti.   La   debolezza   del   si-­‐stema  #inanziario  europeo  è  infatti  dovu-­‐ta   proprio   all’alto   grado   di  interconnes-­‐sione   reciproca   che   esiste   ormai   in  Eu-­‐ropa,  tipico  delle  aree  a  moneta  unica,  e  che  implica  che  la  fragilità  in  un  qualsiasi  punto   dell’area   si   riversi   sull’intero   si-­‐stema.  Il  grande  problema  dell’eurozona  è  dun-­‐que   evidente:   essa   non   ha   un   organo  comune   atto   a   stabilizzare   le   risorse   #i-­‐scali   necessarie   per   il   sistema   nel   suo  insieme.  Le  risorse  restano   parcellizzate  a  livello  nazionale,  e  i  governi  le  utilizza-­‐no  in  base  ai  propri  interessi;  ma  in  una  regione   a   moneta   unica   questo   tipo   di  comportamento   diventa   insostenibile,  perché  gli  interessi  sono  in  realtà  comu-­‐ni  e   implicano   anche   la   necessità  di  or-­‐ganizzare   forme   automatiche   di   solida-­‐rietà   (come   dimostra  il  fatto  che   il   falli-­‐mento   di  uno   Stato  si   ri#lette  su  tutti  gli  altri)   Al   contrario   di   ciò   che   crede  l’Unione  europea,  moneta  unica,  interes-­‐se  unico.  Per  questo  l’euro  potrà  soprav-­‐vivere   solo   se   gli   europei   capiranno   di  essere  una  comunità  di  destino  che  potrà  funzionare   solo   se   si   trasformerà   in  un’unione  politica,   e  capiranno  di  dover  creare  una  vera  Federazione  europea.

Maria  Vittoria  Lochi  

I governi nazionali si limitano ad affrontare i sintomi della

crisi e non le cause

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La   globalizzazione   ha   uni#icato   il  mondo  nelle  crisi,  ma  non  negli  stru-­‐menti   per   superarle.   Se   nel   2007   la  crisi  è  partita   dagli  Stati  Uniti,   gli  ef-­‐fetti  più  gravi  si  sono  avuti  in  Europa,  dove   i   debiti   pubblici   sono   schizzati  alle  stelle  (con  un  aumento  medio  del  15%,   un   tasso   molto   superiore   a  quello   americano).   Le   conseguenze  della  crisi  sono  state  in  parte  masche-­‐rate   dallo   Stato   sociale,   che   è   una  conquista   storica   delle   democrazie  europee   e   che  protegge   almeno   par-­‐zialmente   i   cittadini;   ma   ciò   non   to-­‐glie   che   essa   abbia   inciso   profonda-­‐mente   nella   situazione   economica   e  sociale   dei   diversi   paesi  e   che   abbia  contribuito   anche   ad   accrescere   le  incertezze  sullo  stesso  futuro  del  wel-­‐fare.  In   questo   momento   il   rapporto   del  debito   sul  PIL   in  Europa  vede   in  par-­‐ticolare  la  Grecia   con  una   proporzio-­‐ne  del  127%  (detenuto   per   due  terzi  da   investitori   esteri);   inoltre   i   debiti  di  Portogallo,   Irlanda   e  Spagna   sono  raddoppiati   in   quattro   anni.   L'inter-­‐connessione   dei   debiti   pubblici   dei  maggiori  Stati  europei  comporta  inol-­‐tre  un  rischio   fortissimo  anche  per  gli  altri   paesi   dell’Unione   europea:   come  evidenziava   infatti   un  gra#ico  pubblicato  dal  New  York  Times  ancora  un  anno  fa  (il  1°  maggio   2010),   ad  esempio   la   Francia  detiene  il  31,7%  del  debito  pubblico  gre-­‐co,   il   6,9%   di  quello   irlande-­‐se,   il   20%   di  quello   spagno-­‐lo,   il   15,7%   di  quello   porto-­‐g h e s e   e   i l  36,5%  di  quello   italiano.  Oppure   la  Ger-­‐mania  possiede   il  19,1%  del  debito  pub-­‐blico  greco,  il  21,22%  di  quello   irlandese,  

il  21,6%   di   quello   spagnolo,   il  16,4%  di  quello   portoghese   ed   in#ine   il   13,6%   di  quello   italiano.   Un   eventuale   default   di  uno   dei   paesi   a  maggior   rischio   avrebbe  quindi  un  effetto  a  catena  anche  sui  paesi  

creditori.E   l’Italia,   in   che  situazione  si  trova?  Il   nostro   paese   ha  un  debito   pubblico  che   ammonta   a  circa   il   118%   del  

PIL,   e   che   nel   2014   arriverà   attorno   al  128,5%   secondo   le   previsioni   dell’UE,  mentre  per   il  FMI  arriverà  addirittura  al  

132,5%.   Il   tasso   di   interesse   medio  dei  titoli  di  Stato  italiani  è  il  più  eleva-­‐to  in  Europa  (in  media  il  3,9%,  contro  il  2,8%  della  Francia).  A  ciò  si  aggiun-­‐ga   che   la   produttività   in   Italia   è  estremamente   bassa,   la   peggiore   in  Europa   (l’indice   di   produttività   in  volume  per  abitante  è  di  0,1%  contro  il  2,4%   degli  USA   e  una  media  mon-­‐diale   del   2%);   mentre   la   crescita   è  estremamente   bassa   e   le   previsioni  non   raggiungono   il   2%  nei   prossimi  anni,  a   fronte  di  un  calo  della  produ-­‐zione   che   nelle   fasi   più   acute   della  crisi  è  arrivata  al  5%  e  con  una  disoc-­‐cupazione  che  ha  raggiunto  il  7,7%.  Ci  vorrà   quindi   molto   tempo   all’Italia  per   tornare   ai   livelli   di   produzione  precedenti  alla   crisi,  mentre   il  debito  continuerà  a   crescere,   sia  per   effetto  delle   minori   entrate   #iscali   sia   del-­‐l’aumento   della  spesa  pubblica  legata  al  welfare  che   interviene  a   garantire  le  fasce   più  deboli  dalle  conseguenze  della  crisi  (basti  pensare  che  la  spesa  è   cresciuta   dal   41%   del   2005   al  52,5%   del   2010).   In   tutto   questo   è  dif#icile   pensare   che   si   potranno   al-­‐meno  abbassare  i  tassi  di  interesse.  Il  70%   del   debito   italiano   è   infatti   in  

mano  a   creditori  stranieri,   e   questa   con-­‐dizione  genera  un  tipico   effetto   di   rialzo  dei  tassi,  per  ragioni  ovvie,  legate  al  gioco  del  mercato  che  pretende  alte  remunera-­‐zioni   in   cambio   di   un   investimento   ri-­‐schioso.   In  particolare   Francia   e  Germa-­‐nia  detengono   insieme  il  50,1%  del  debi-­‐to   del  nostro   paese,   e  una  porzione  con-­‐sistente   è   distribuita   anche   tra   gli   altri  partner  dell’Eurogruppo.  Anche  il  problema  italiano   ha  quindi  pe-­‐santi  risvolti  europei.  In  particolare,  viste  le  dimensioni  del  paese,  è  dif#icile  pensa-­‐re   che   con   gli   strumenti   attuali   gli   altri  Stati  membri  dell’UE  sarebbero   in  grado  

Paul  Krugman  (Premio  Nobel  per  l’economia  2008)Un  continente  alla  deriva

“L’Europa  è  più  di  altri  un  continente  alla  deriva.  La  situazione  dell’Europa  mi  preoccupa  più  di  quella  americana.E’  vero  che  gli  ammortizzatori  sociali  stanno  mitigando  gli  effetti  della  crisi.  Il  grosso  problema  è  la  debolezza  eu-­‐ropea  nel  rispondere  alla  crisi.  Dal  punto  di  vista  #iscale,  se  è  poco  quello  che  sta  facendo  Obama,  è  niente  quello  che  sta  facendo  l’Europa.  Le  differenze  di  politica  monetaria  sono  evidenti.  La  Banca  Centrale  Europea  non  ha  una  vera  politica  monetaria,  si  limita  ad  abbassare  i   tassi.  Deve  rispondere  a  16  paesi  diversi,  spesso  in  contrasto  tra  loro.  L’unico  vantaggio  europeo  è  il  suo  welfare.  Qual  è  il  grosso  problema  europeo?  L’assenza  di   leadership.  C’è  una  moneta  senza  governo,  senza  istituzioni.  Non  c’è  un’unica  politica  #iscale,  né  economica.  L’Europa  può  ancora  smentire  gli  scettici,  ma  solo  se  i  suoi  politici  dimostreranno  una  forte  leadership,  ma  lo  vorranno?”

Il default di uno dei paesi a mag-gior rischio avrebbe un effetto a catena anche sui paesi creditori

La crisi europea del debito e l’Italia

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Publius - Per un’alternativa europeaNumero 8 - Maggio-Settembre 2011

publius-unipv.blogspot.comVia Villa Glori, 8 Pavia - Tel: 3318443023 - E-mail: [email protected]

Direttore responsabile: Laura FilippiRedazione: Nelson Belloni, Federico Butti, Martina Cattaneo, Laura Filippi, Giacomo Ganzu, Gianmaria Giannini, Luca Lionello, Maria Vittoria Lochi, Gabriele Mascherpa, Laura Massocchi, Davide Negri, Matilde Oppizzi, Carlo Maria Palermo, Giulia Spiaggi.Stampato presso: Tipografia P.I.M.E Editrice S.r.l

Puoi trovare Publius, oltre ai vari angoli dell’Università, anche presso: bar interno facoltà di Ingegneria, bar facoltà di Economia, mensa Cravino, sala studio San Tommaso, bacheca A.C.E.R.S.A.T cortile delle statue.Periodico trimestrale degli studenti dell’Università di Pavia. Informazioni, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi e di domani.Registrazione n. 705 del Registro della Stampa Periodica - Autorizzazione del tribu-nale di Pavia del 19 Maggio 2009

Iniziativa realizzata con il contributo della Commissione A.C.E.R.S.A.T dell’Univer-sità di Pavia nell’ambito del programma per la promozione delle attività culturali e ricreative degli studenti.Distribuito con licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic

di  intervenire   in  modo   ef#icace.   Il   salva-­‐taggio   in   extremis  della   Grecia,   che   è  un  paese  con  un  PIL  di  circa  un  sesto  rispet-­‐to  a  quello  italiano,  è  costato  più  di  cento  miliardi,  sborsati  con  grande  fatica,  poli-­‐tica  ed  economica,  dagli  altri  partner  del-­‐l’Eurozona.   Dopo   la   Grecia   sono   venuti  l’Irlanda  e  il  Portogallo,  mentre  la  Spagna  sembra  in  bilico  e  la  Grecia  naviga  ancora  in  pessime  acque.  La  Germania  non  sem-­‐bra  disposta  a  pagare  ancora:  la  ricetta  di  Angela   Merkel   è   di   stringere   la   cinghia  per  far  rientrare  i  debiti  pubblici,  aumen-­‐tando   le  imposte  e  facendo  riforme  strut-­‐turali  del  welfare  per  abbassare   la  spesa  pubblica.  Ma  a  questo  punto  il  problema  politico  che  si  pone  è:  i  governi  troveran-­‐no   il   consenso   per   promuovere   scelte  draconiane   di   rigore,   in   una   fase  di  cre-­‐scita   lenta  che  rischia  di  essere  ulterior-­‐mente  bloccata  da   politiche  di  austerità?  Non   rischiano   di   saltare   la   coesione   so-­‐

ciale  e   la   stabilità   sociale?   Basti   pensare  alle   previsioni   che   fanno   sia   il   FMI   sia  l’UE:  nel  2014  il  debito   pubblico  dell’Ita-­‐lia  si  aggirerà  tra  il  128,5%  del  PIL  (fonte  UE)  e   il  132,2%  (fonte  FMI);   la   Francia   si   at-­‐testerà  sul  96,3%  (UE),  il  Regno  Unito   attorno  al  99,7%  (UE),  il  Belgio  all’111,1%   (FMI)   e   la  G re c i a   a l   133 ,7%  (FMI).   Stanti   i   trend  attuali,  nel  2020   il  Re-­‐gno   Unito   avrà   un  200%  mentre   Francia,   Italia,   Grecia,   Ir-­‐landa  si   aggireranno   intorno   al  150%.   Il  2020   è   anche   l'anno   in   cui   dovrebbero  raccogliersi  i  risultati    della  direttiva  20-­‐20-­‐20   dell'UE,   che   avrebbe   piani#icato  per  quella  data  una  riduzione  delle  emis-­‐sioni   di   gas   serra   (20%),   l'aumento   di  energia   proveniente   dalle   fonti   rinnova-­‐

bili   (20%)   e   la   riduzione   dei  consumi  di  energia  (20%).  Ma  come   sarà   possibile   raggiun-­‐gere   questi   obiettivi   che   ne-­‐cessitano   di   massicci   investi-­‐menti   per   la   riconversione  ecologica   dell’economia   (che  pure   è   una   condizione   indi-­‐spensabile  per  la  competitività  e   la   crescita   nei   prossimi   de-­‐cenni)   a   fronte   della   totale  mancanza   di   risorse?   E   un  di-­‐scorso   analogo   vale   in   ogni  settore,   ad   incominciare   dagli  investimenti   in   ricerca   e   svi-­‐luppo.Il  problema,   allora,   è  quello   di  fare  un  salto  di  qualità  a  livello  europeo   e  di  smettere   di   pen-­‐sare   che   si   possa   uscire   dalla  crisi   con   politiche   nazionali   e  senza  solidarietà  reciproca.  Lo  stesso   problema  del  debito,   in  un   quadro   europeo,   divente-­‐rebbe   molto   meno   urgente,  perché  la   #iducia  che   i  mercati  non   sono   disposti   a   dare   ai  singoli   paesi   verrebbe   invece  

data  automaticamente  a  fronte  di  un  debito  europeo,  così  come  avviene  per  gli  USA.  Ma  per  fare  tutto  ciò  serve  la  vo-­‐lontà  politica   per   arrivare  alla   creazione  

di   uno   Stato   federale  europeo,   a   partire  dall’iniziativa   di   un  primo  nucleo  di  paesi  d e l l ’ E u r o g r uppo ,  Francia  e  Germania  in  primis.   Se   questa   vo-­‐lontà   politica   non   si  manifesterà,   la   stessa  sopravvivenza   del-­‐

l’euro   e   dell’Unione   europea   sono   a   ri-­‐schio.   Tutti   dovrebbero   ri#letterci,   inclu-­‐sa   la  Germania,  che  dif#icilmente  potreb-­‐be   sopravvivere   alle   conseguenze   del  fallimento   dei   suoi   debitori   e   partner  commerciali.

Nelson  Belloni

Il problema è fare un sal-to di qualità a livello eu-ropeo e smettere di pen-sare che si possa uscire dalla crisi con politiche

nazionali