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Quattro bagni rituali ebraici (Mikweh) nella Valle di Blenio – G. Mazzucchelli, 2006 – Pagina 1 di 14 Gianni Mazzucchelli Quattro bagni rituali ebraici (Mikweh) nella Valle di Blenio ... smettiamola di chiamare queste costruzioni nevère, ghiacciaie e Eiskeller ! CH - 6715 Dongio Via Lucomagno Prima edizione, 2007 Pietra e Storia

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Quattro bagni rituali ebraici (Mikweh) nella Valle di Blenio – G. Mazzucchelli, 2006 – Pagina 1 di 14

Gianni Mazzucchelli

Quattro bagni rituali ebraici (Mikweh)

nella Valle di Blenio

... smettiamola di chiamare queste costruzioni nevère, ghiacciaie e Eiskeller !

CH - 6715 Dongio Via Lucomagno

Prima edizione, 2007

Pietra e Storia

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Quattro bagni rituali ebraici (Mikweh) nella Valle di Blenio – G. Mazzucchelli, 2006 – Pagina 2 di 14

Il Mikweh di Malvaglia La costruzione rotonda di Malvaglia è divisa in due piani da una soletta di cemento armato di fattura moderna, come l’entrata inferiore che venne praticata per permettere l’uso separato dei due locali.

L’intonaco interno impermeabile La cosiddetta “calce magra” è un impasto di calce e di sabbia con l’aggiunta di pochissima acqua. L’impasto indurisce senza che la calce reagisca “completamente” con l’acqua, restando così “attivo”. Nel momento nel quale l’intonaco presentasse una fessura, la calce riprende la reazione con l’acqua e richiude o rimargina la “ferita”. L’intonacatura a base di “calce magra” risulta di conseguenza “autosigillante”.

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Fondo permeabile Il fondo dell’edificio è di terriccio naturale. Un’incavatura, oggi ancora visibile, lascia supporre la presenza di una “vasca” o di una cunetta tipica per l’uso dell’edificio a “bagno rituale”, a Miqweh.

L’acqua che alimentava il bagno rituale (l’avas) proveniva dall’apertura trasformata in sfiatatoio per il locale inferiore, altrimenti chiuso e senza areazione.

Opus signinum Anche gli antichi Romani sigillavano le pareti interne degli acquedotti e delle cisterne con l’opus signinum, detto anche “cocciopesto”, il cui impasto era composto da calce e da laterizi tritati.

Lo strato di opus signinum applicato direttamente sui blocchi di gneiss della muratura dell’edificio, ha lo spessore di circa un centimetro, mentre lo strato sovrapposto misura non più di 4 millimetri. Gli alveoli sferici ripartiti in tutta la massa dell’intonaco, testimoniano l’azione della calce viva. Tutta la massa è un impasto veramente “magro”. Lo strato di intonaco possiede oggi ancora una notevole durezza e solidità.

La semplice analisi chimica Una piccola quantità di intonaco (un centimetro cubo) viene frantumata grossolanamente e immersa in una soluzione acquosa di acido acetico. Lo sviluppo di bollicine di gas rivela la presenza della calce. L’emissione gassosa cessa completamente dopo poco più di trenta minuti. Il residuo, analizzato con l’aiuto di un microscopio, rivela granelli di quarzo più o meno colorati di nero, marrone, beige e nella maggior parte trasparenti, non arrotondati ma angolati, ciò che testimonia la provenienza da macinatura e non da sabbia fluviale.

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Il Mikweh di Casa Bolla La Casa Bolla di Olivone offre all’appassionato di storia bleniese moltissime possibilità, sia dal punto architettonico che storico. Particolare interessante, all’entrata della casa stessa è il tronco di colonna deposto in terra, davanti a una lastra in pietra ollare di un’antica pigna. Il masso a sezione circolare presenta una superficie liscia e concava e doveva servire come “piedistallo della gogna”, luogo cioé al quale venivano incatenati grandi e piccoli malfattori per restare esposti al vilipendio dei passanti. Gogna, termine proveniente da “vergogna”.

La “cantina” di Casa Bolla offre una singolarità interessantissima. Un locale a volta, decorato con fregi diversi danno al locale un aspetto di calidario. Locale adibito nel 1900 a teatro e che confina con una “cantina” più profonda e adatta a fungere da bagno rituale. Il cognome Bolla deriva da Bollax e

Bollag (cognome alsaziano Pollak, polacco) ed è cognome ebraico 1. Particolare dell’ornamento che accompagna la linea di volta della “cantina” di Casa Bolla. Tutte le pareti della “cantina” sono dipinte in rosso mattone, gli ornamenti in nero.

Fotografie di G. Mazzucchelli

Per queste fotografie ringraziamo la Signora Maresa Broggini-Bolla. 1 Samuele Schaerf: I cognomi degli Ebrei d’Italia”, ed. Pietra e Storia, CH – Dongio, 2006.

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Mikweh e sinagoga a Casserio

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Quattro bagni rituali ebraici (Mikweh) nella Valle di Blenio – G. Mazzucchelli, 2006 – Pagina 6 di 14

Casserio Testo tratto da: Il Miqweh di Dongio, G. Mazzucchelli – Ed. Pietra e Storia, 2006

Anche a Cassério, frazione di Corzòneso, c’è una “Casa rotonda”. L’edificio atipico nel suo genere, ha una pianta circolare del diametro esterno di 8.50 ml., risalente verso gli ultimi anni del 1700 (?), ed è strutturato su tre piani con murature in massiccio intonacate, impalcatura in legno, copertura in piode. Dal 10 maggio 2003 questo edificio è messo a disposizione della Fondazione da parte del comune di Corzoneso quale sede dell’archivio, con lo scopo di gestire, conservare e far conoscere “l’eredità” di Roberto Donetta. In origine fu costruita per accogliere la scuola dei ragazzi di Casserio. Giuseppe Donetti, Canonico della Basilica di Sant’Ambrogio a Milano, originario di Corzoneso, nel suo testamento del 30 ottobre 1818 fondò un Legato per dare ai ragazzi di Casserio una "scola”. Rileggendo le misure dello stabile ci si felicita che esso non fosse adibito al riempimento con la neve...! Anche in questo testo, tratto dal sito Internet di Casserio, noto la scarsità dei dati storici e archeologici. Questo edificio ha molte somiglianze con alcune sinagoghe provenzali e con il fabbricato mesolcinese dove, all’inizio del 1500 giunse un rilevante gruppo di famiglie giudee dalla Spagna.

Intermezzo linguistico: Hatzer > hasser > casser > Casserio. “Hatzer " termine ebraico per: cortile, luogo chiuso, ridotto degli ebrei, serraglio, hasser, pronunciato in lingua ebraica “asser” senza “h” aspirata, italianizzato in Casser, così come il termine in lingua tedesca “haus” (casa) viene pronunciato da chi non sa usare la “h” aspirata, “chasa”. Hasser, termine di derivazione yddisch, provenzale, spagnola. Termine che precede la definizione tristemente famosa di “ghetto”, di fama nefasta nella persecuzione degli ebrei e in special modo nel periodo nazista. L'etimologia collega il termine con l'attività della fusione ("getus" dal latino "iactus") del ferro nei “getti” di Venezia. Gli ebrei askenaziti, provetti fonditori provenienti dalla Germania, pronunciavano il termine italiano “getto” : “ghetto”. Un vocabolario inglese cita: Ghetto by the term "hasser", derived from the Hebrew “hatzer”, "courtyard," (ted. Hofraum, ital. cortile) which suggests an intimate and a familiar space. Il "getto" è anche la "gettata" di pietre e calce che forma il "molo", elemento molto presente a Venezia, dove il "ghetto" esiste ancor oggi nella toponimia della città lacustre. Anna Foa 2, come già nel XVI secolo David Reubeni 3, descrivendo un suo soggiorno a Venezia nel 1523, doveva spiegare il significato di ghetto ai lettori ebrei che conoscevano solo il termine "hasser". Un'altra strada etimologica conduce al termine ebraico "ghet" che significa "divorzio" e libello di divorzio o divisione dei beni o espulsione. Termine legale che vede "ghetto" sinonimo per esclusione, luogo cioé di "reclusione" e di separazione definitiva dalle comunità cristiane. Anche il Dizionario UTET 4 cita il toponimo Cassaro, piccolo paese a sud-est di Vizzini, derivato dal termine arabo “gasr”, rocca, castello, radice etimologica ritrovabile nel toponimo spagnolo Alcasar. Giovan Battista Pellegrini 5 descrive “qasr” termine arabo per castello e che il toponimo Cassero indica la cerchia e indirettamente il recinto abitato dagli ebrei. 2 Foa, Anna [1999], "Ebrei in Europa" Ed.Laterza, 1999. 3 Reubeni o Re’ubeni, David [XVI sec.], avventuriero originario probabilmente dall’Etiopia, sosteneva

di essere figlio di un re Salomone e fratello di un re Giuseppe, che governava le tribù perdute di Ruben, Gat e Manasse. Nel 1523 giunse a Venezia. [Da “Ebraismo” di Cohn Sherbok, San Paolo [2000].

4 UTET [1990], Dizionario di toponimia, 1990. 5 Pellegrini, Giov.Battista [1972], “Gli arabismi nelle lingue italiane”, Paiedia, Brescia 1972.

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Quattro bagni rituali ebraici (Mikweh) nella Valle di Blenio – G. Mazzucchelli, 2006 – Pagina 7 di 14

Costruzioni “rotonde”: nevère, bagni rituali, Mikweh, battisteri I cosiddetti “battisteri” presentano caratteristiche architettoniche simili se non uguali alla costruzione “rotonda” di Casserio. Innumerevoli esempi di battisteri possiedono una vasca di grandi dimensioni, nella quale avveniva l’immersione totale del fedele. Molti di questi battisteri erano edifici doppi, così che i fedeli di sesso maschile e femminile ne facessero uso separato. Il battesimo ad immersione completa era in vigore nei riti cristiani fino al X secolo e viene oggi ancora praticato da diversi gruppi. Per tornare dalle nostre parti, in un documento del patriziato di Olivone del 13 ottobre 1231, si parla delle vasche della chiesa di San Martino, vasche distinte per gli uomini e per le donne, vasche d’immersione.

400 Mikweh o Ritualbäder in Germania E' importante constatare che in Germania, le 400 costruzioni, che da noi verrebbero definite nevère o ghiacciaie, sono chiaramente riconosciute Mikwehh, Ritualbäder, cioé bagni rituali. Si tratta di costruzioni a pianta circolare, quadrata o esagonale provviste di approvvigionamento d'acqua sorgiva o di infiltrazione e di vasche incavate nel pavimento o deposte su di esso. La più antica costruzione si trova a Worms (Germania) di forma quadrata, costruita nel 1185 d.C.

In Valle di Muggio: 70 costruzioni rotonde, nevère In Italia, in Spagna e nel Canton Ticino (70 in Valle di Muggio, 40 sui pendii del Monte Generoso) vengono invece definite “névère” o ghiacciaie. Nei volantini turistici le nevère del Monte Generoso sono diventate “Schneegrotten”, caverne-di-neve.

Nivère a Milano, a Bologna, a Catanzaro e a Siracusa Ci sono nevère e nivère presso la Villa Mazzanti di Bologna e nel cortile dell’Università Statale di Milano, in Via Festa del Perdono, così come a Grosseto. Anche in provincia di Catanzaro troviamo la frazione di Nivera. A Siracusa, nel quartiere della Giudecca (dei giudei) venne ritrovata una “Nevèra-Mikweh” che oggi è definitivamente riconosciuta Mikweh. L’approvvigionamento di neve per le “nevère” fin qui elencate dovrebbe presentare notevoli difficoltà almeno per quella di Siracusa, città che vanta temperature invernali mitissime e dista ben 30 chilometri dal monte più vicino che non sorpassa i 1000 metri d’altezza. La “nevèra” dell’abbazia di Morimondo, in provincia di Milano, è più vicina a Monza che a qualsiasi montagna e presenta dimensioni enormi.

Dietro all’antichissima abbazia dei monaci circestensi di Morimondo, costruita nel 1134, c’è una “torretta” chiamata “nevèra”. I due terzi interrati raggiungono la falda freatica ricca d’acqua. Notate le considerevoli dimensioni dell’edificio e immaginatevi l’ immane impiego di uomini e mezzi necessari per riempire la “torretta” con la neve. L’abbondanza d’acqua presente nella falda freatica bastava all’uso di Mikweh.

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Il Mikweh di Dongio era il bagno rituale ebraico e coloro che vi spalavano neve e ghiaccio,

per ottenere l’acqua “conforme” alle regole erano ebrei !

Testo tratto da: Il Miqweh di Dongio, G. Mazzucchelli – Ed. Pietra e Storia, 2006 La costruzione “rotonda” di Dongio Una costruzione rotonda, alla quale si appoggia un locale a sezione quadrata, invita a saperne di più. L’apertura circolare monofora o a rosone, unica “finestra” dell’edificio, attira l’attenzione del passante. La porta dell’edificio conduce in un atrio acciottolato che prende la luce dal rosone. Un’apertura rettangolare, di ca. 20 x 40 centimetri, nel muro a monte, rammenta lo sbocco d’acqua sorgiva prosciugatosi, detto dagli indigeni “avas” 6. A destra si entra sulla soletta intermedia circolare in calcestruzzo che divide il vano superiore dal pozzo di ca 4 metri di profondità e dello stesso diametro. Un’illuminazione elettrica permette di vedere, attraverso la grata che copre la botola praticata nella soletta, le pareti intonacate del pozzo stesso e la “vasca”, murata con lastre di gneis, nel fondo del pozzo. Il vano superiore è sormontato da una cupola costruita con frammenti di gneis e calce. Qui e là tralicci in tubo di metallo e “rampini” incementati degradano l’architettura interna, così come il getto di diversi impasti di calce e cemento all’esterno imbrattano la bella costruzione originale in sasso locale.

6 Avas, “làvasc”: acqua, anche falda freatica: ol pozz l’è scià sücc, a s’a sbassò ol làvasc / il pozzo è quasi asciutto, si è abbassata la falda freatica [da: varsgiàn... carnàsc... äseta..., Claudio Strozzi, Nuovi apporti al glossario Biasca e Pontirone, 2006].

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L’origine del “monumento” Sul cartello informativo affisso nell’atrio leggo che “...nelle valli del Ticino questi singolari manufatti sono chiamati ‘giazzéra’, mentre nel Sottoceneri si usa principalmente il termine ‘nevèra’ o ‘neviera’. Entrambi i termini definiscono comunque la stessa tipologia di edifici destinati alla conservazione di derrate alimentari”. Riassumo: L’origine del “monumento” viene datata nel 1874, anno nel quale “...Domenico Andreazzi, Commissario di Governo, ha ceduto alla costituita società per il macello il terreno su cui è poi sorta la ghiacciaia”. L’aggiunta di una soletta in cemento armato, effettuata probabilmente nel 1919, permise l’uso del locale sovrastante al pozzo fino al 1936. Tutta la costruzione permette anche a chi di architettura non se ne intende molto, di intravvedere una costruzione antichissima e di sicuro anteriore all’anno 1874. La “ghiacciaia” di Dongio è un Mikweh antichissimo Tutti i dettagli architettonici della costruzione cilindrica di Dongio, tranne l’igniominiosa soletta in calcestruzzo, lasciano identificare nella ghiacciaia o nevèra un Mikweh, bagno di purificazione ebraico. Infatti, in terra di crotti, che bisogno può esserci di una nevèra?. Il Mikweh in disuso (nevèra) di Dongio “restaurato” nel 1999. La soletta intermedia venne probabilmente aggiunta ai tempi del “macellaio” che usò l’edificio dal 1919 al 1936. Manca, nel disegno, la fossa della vasca scavata nel pavimento e visibile ancora oggi. Dall’avas 7 sgorgava l’acqua sorgiva per il bagno rituale o per il lavaggio rituale. 7 Avas: Termine che testimonia la presenza di acqua sorgiva o da falda freatica che alimentava l’interno del locale. Si confronti il “Vocabolario dei dialetti della Svizzera Italiana” al termine “avas”.

L’avas

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Sopra: La “vasca” sul fondo del Mikweh di Dongio come apparve già durante il “restauro” nel 1999. Sotto: La corona del tetto del Mikweh presenta la sottocupola originale. Manufatto composto di frammenti di massi e di massa cementante priva di materiali argillosi che avrebbero altrimenti insudiciato l’acqua del bagno sottostante. La falsa cupola era sormontata da un tetto conico in lastre di gneis (piode).

(Da “Il Mikweh di Dongio, G. Mazzucchelli, Pietra e Storia, 2006).

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La donna si purifica nel bagno dopo le mestruazioni o dopo un parto, mentre il marito l’attende. Illustrazione tratta dagli scritti liturgici (Siddur mit Kinot und Minhagim) Germania, Mainz(?) 1427-1428. L’originale si trova nella Biblioteca Statale dell’Università di Hamburg, cod. Hebr. 37. Considerazione: I piedi della donna posano in una conca scavata nel terreno, che ricorda la conca presente sul fondo del Mikweh di Dongio, dato che il bagno rituale deve essere parte integrante del terreno sul quale esso sorge.

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Il Mikweh di Biasca Monumento manomesso e rovinato

Pianta e sezione approssimative dei locali sotterranei dello stabile. Misure effettuate da Pietra e Storia il 2 febbraio 2005. Il punto di riferimento 0,000 è il livello stradale esterno. La fotografia, scattata da Silvano Calanca di Biasca, mostra il fondo e la parete parzialmente intonacata dal fondo fino all’altezza di ca. 2 metri del pozzo. L’uso a cantina, documentabile dal 1831, non permette di spiegare la presenza di un pozzo ovale della profondità di ca. 5 metri il cui soffitto è formato da un unico macigno di gneiss. Potrebbe trattarsi di un pozzo Mikweh. Tutto il complesso necessita un’indagine accurata essendo probabilmente un monumento antichissimo.

Primo rilievo effettuato da Pietra e Storia nell’anno 2004.

A = ca. 6,50 x 3,40 m B = ca. 4,50 x 3,50 m C = ca. 6,30 x 4,50 m C1 = ca. 5 x 4,50 D = ca. 6,30 x 4,75 m E = ca. 400 x 250 m E = altezza totale ca. 5 m = Foro nel pavimento C unica possibilità d’accesso a C 1

E

A

B

C C 1D

A,B,C

C 1

E

- 3,25 m

Livello stradale 0,000

- 4,35 m

- 6,70 m

- 5,65 m

D

Macigno e lastrone che fungevano da soffitto al „pozzo“,

Porta murata

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Primo rilievo effettuato da Pietra e Storia nell’anno 2003.

Sul fondo del pozzo era depositata una macina da mulino che serviva da scolo o da fonte idrica. Le pareti sono intonacate con una miscela impermeabile di calceviva e di quarzo macinato (vedi analisi di G. Mazzucchelli).

Il masso e il lastrone, oramai distrutti, che coprivano il „pozzo“ fino nel 2004.

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Pubblicazioni a cura dell’Associazione Pietra e Storia:

- 2003: Nuova interpretazione della pittografia rupestre. Fascicolo 1 e 2. - 2005: Il Miqweh di Dongio (Italiano). - 2005: Die Mikweh von Dongio (Deutsch). - 2005: Il lastrone di Dagro (italiano) - 2005: Die Steintafel von Dagro (Deutsch). - 2006: Chiese biabsidali. - 2006: Le primavere di Dagro e Nebra: Lüna növa, tri dì a la pröva, Il calendario lunare

(Il lastrone di Dagro CH-TI, Nebra D, Rothenfluh CH-BL). - 2006: Il basilisco della Capriasca, la contessa Crassa: interpretazione storica. - 2006: Barlotto, tregenda, akelarre, sinagoga. - 2006: Pugnali remedelliani e Madonne addolorate. - 2006: Cognomi redenti: da Cagainarca a Vacca.