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N. 05982/2010 REG.SEN.
N. 01643/2009 REG.RIC.
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1643 del 2009, integrato da motivi aggiunti,
proposto da:
Andrea Alessandrini, Gialivio Antelmi, Mario Antigo, Onelio Aureto, Adriano
Busatto, Cinzia Calesella, Moreno Carraro, Maria Chirizzi, Stefano Colusso, Paola
Coticoni, Nicolino De Angelis, Luca De Benetti, Nazareno De Benetti, Sabrina De
Benetti, Claudio De Marchi, Orlando De Marchi, Casimiro Dovesi, Francesca
Dovesi, Luigi Durigon, Cinzia Falcon, Mario Favaro, Dario Ferretto, Mario
Franchin, Maria Franco, Simone Gastaldo, Ioselito Gobbo, Stefano Guerini,
Giorgio Libralato, Antonio Maglio, Patrizio Marcon, Luisa Marchioro, Adriano
Masini, Giuseppe Massaccesi, Luciano Mazzolin, Lia Mel, Maria Luisa Menegaldo,
Francesco Miolo, Alberto Pagin, Sole Papais, Roberta Pavin, Stefano Piu, Orazio
Pizziolo, Tommaso Ernesto Pizzo, Massimiliano Povelato, Vanni Raccanello,
Danillo Righetto, Massimo Saran, Alessandro Sartor, Livio Sartor, Mario Sartor,
Sergio Sartor, Gabriella Sciumbarruto, Bruna Simionato, Gino Spoladore, Edino
Tessarotto, Achille Tonon, Giovanni Tonon, Italo Tonon, Tiziana Tonon,
Lorenzo Torresan, Giorgio Tortato, Mauro Tosatto, Daniele Trevisan, Nadia
Trevisan, Giampaolo Vanin, Cristina Vettor, Stefano Vignola, Pamela Zaccarin,
Franca Zanatta, rappresentati e difesi dagli avv. Gianfranco Garancini e Luisa
Padovan, con domicilio eletto presso Torquato Tasso in Venezia – Mestre, via
Verdi 5;
contro
Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa
dagli avv.ti Cecilia Ligabue ed Ezio Zanon, con domicilio eletto in Venezia,
Cannaregio, 23;
Provincia di Treviso, non costituitasi in giudizio;
Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto, non
costituitasi in giudizio;
nei confronti di
Mestrinaro Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e
difesa dagli avv.ti Massimo Malvestito e Sebastiano Tonon, con domicilio eletto
presso lo studio di quest’ultimo in Venezia, San Marco, 3901;
per l'annullamento
A) quanto al ricorso originario:
- della deliberazione della Giunta Regionale n. 882 del 7/4/2009, pubblicata sul
B.U.R. Veneto n. 35 del 28/4/2009, relativa alla procedura di V.I.A. e
autorizzazione ai sensi degli artt. 11 e 23 dell L.R. Veneto n. 10 del 1999 e
autorizzazione integrale ambientale ai sensi del D.L.gs. n. 59/2005 e della L.R.
Veneto n. 26/2007, nonché dei relativi pareri e pronunciamenti resi dalla
Commissione V.I.A. della Regione Veneto, anche integrata ai sensi dell'art. 23, L.R.
n. 10/1999 del 16/7/2008 e 10/12/2008, ed atti connessi, con domanda di
risarcimento danni;
B) quanto ai motivi aggiunti:
- della deliberazione della Giunta regionale n. 100 del 26 gennaio 2010, pubblicata
sul B.U.R. Veneto n. 19 del 2 marzo 2010, nonché relativo parere n. 276 del 20
gennaio 2010 reso dalla Commissione V.I.A., anche integrata ai sensi dell’art. 23
L.R. 10/99, ed atti connessi.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Veneto e della
controinteressata Mestrinaro Spa;
Visti i motivi aggiunti;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 ottobre 2010 il dott. Stefano Mielli e
uditi per le parti i difensori L. Padovan, per la parte ricorrente, C. Ligabue per la
Regione del Veneto e M. Malvestio per la Mestrinaro s.p.a.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La controinteressata Società Mestrinaro Spa, che già opera nel settore del recupero
dei rifiuti inerti con un impianto nel Comune di Zero Branco, in data 24 novembre
2004, ha presentato alla Regione una domanda per l’avvio della procedura di
valutazione di impatto ambientale e contestuale approvazione di un progetto
finalizzato ad integrare, nell’ambito del medesimo sito, l’impianto già esistente di
lavorazione di inerti mediante frantumazione, con processi di trattamento,
recupero e inertizzazione di altri rifiuti speciali.
Con deliberazione della Giunta regionale n. 882 del 7 aprile 2009, preso atto del
parere favorevole n. 215 del 10 dicembre 2008 della commissione regionale V.I.A.
integrata, la Regione ha espresso giudizio favorevole di compatibilità ambientale,
rilasciando l’autorizzazione integrata ambientale per l’avvio dei lavori di
realizzazione dell’impianto ed approvando, con prescrizioni, il progetto.
Tale provvedimento è impugnato dai ricorrenti, che sono un gruppo di cittadini
residenti in località Bertoneria (in un raggio di 500 metri dai confini dell’impianto),
nelle vicinanze dell’impianto (nella frazione S. Alberto con distanza dall’impianto
superiore a 500 metri), o nel Comune (cfr. la tabella di cui al doc. 1 allegato al
ricorso), per le seguenti censure:
I) violazione degli artt. 6 e 10, lett. b), della legge 7 agosto 1990, n. 241, del
principio di partecipazione, dell’art. 5, commi 7 e 8, del Dlgs. 18 febbraio 2005, n.
59, carenza di istruttoria, travisamento e mancata considerazione di fatti
presupposti, per l’omessa autonoma ripubblicazione dell’avviso di presentazione
del progetto nell’ambito della procedura di rilascio dell’autorizzazione integrata
ambientale;
II) violazione dell’art. 10 delle norme tecniche di attuazione allegate al piano
regolatore, violazione del piano di assetto del territorio adottato con deliberazione
di Giunta comunale n. 32 del 15 aprile 2009, e dell’art. 9 della legge regionale 26
marzo 1999, n. 10, per l’omessa adeguata considerazione della disciplina
urbanistica;
III) violazione del regolamento CE n. 510/2006 del Consiglio del 20 marzo 2006,
del regolamento CE n. 1107/96 della Commissione del 12 giugno 1996, dell’art. 21
del Dlgs. 18 maggio 2001, n. 228, dell’elaborato E, punto 3.3.5. della deliberazione
del Consiglio regionale n. 59 del 22 novembre 2004, del piano di gestione rifiuti
urbani relativo alla Provincia di Treviso, approvato con deliberazione del Consiglio
regionale n. 62 del 22 novembre 2004, perché non si è tenuto conto della
classificazione del territorio comunale come non idoneo alla localizzazione di
impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti, in ragione della presenza di
produzioni agricole di qualità e tipicità;
IV) travisamento, contraddittorietà per mancanza e carenza di istruttoria,
sviamento, con riferimento: a) alla violazione dell’art. 4 del Dlgs. 18 febbraio 2005,
n. 59; b) alla violazione del decreto del Ministro dell’ambiente 29 gennaio 2007; c)
ulteriore carenza di istruttoria; d) contraddittorietà rispetto alla deliberazione della
Giunta regionale n. 1389 del 14 giugno 2005; e) carenza di istruttoria sotto altro
profilo alle problematiche legate all’incremento del traffico; f) carenza di istruttoria
sotto ulteriore profilo, relativamente alla necessità di bonifica delle aree interessate.
Si sono costituiti in giudizio la Regione Veneto e la controinteressata Mestrinaro
Spa, replicando ai motivi di ricorso e concludendo per la sua reiezione.
Relativamente ad altro ricorso r.g. n. 1420 del 2009, proposto dal Comune di Zero
Branco avverso i medesimi atti oggetto della presente controversia, con ordinanza
della Sezione n. 723 del 15 luglio 2009, è stata respinta la domanda cautelare,
accolta invece in appello, ai fini di un riesame, con ordinanza della V Sezione del
Consiglio di Stato n. 4962 del 29 settembre 2009.
In quella sede il Consiglio di Stato ha ritenuto che la Regione non abbia valutato
con sufficiente completezza tutti gli elementi relativi alla compatibilità urbanistica
del progetto, e l’esistenza di una condanna in materia ambientale a carico del legale
rappresentante della Società richiedente l’autorizzazione (elemento quest’ultimo
non riconducibile a nessuno dei motivi proposti con il ricorso).
La Regione, con deliberazione di Giunta n. 100 del 26 gennaio 2010, fatte salve le
prescrizioni e raccomandazioni di cui ai provvedimenti precedenti, ha reiterato i
provvedimenti impugnati con il ricorso originario, ha espresso un giudizio
favorevole di compatibilità ambientale, ha rilasciato l’autorizzazione integrata
ambientale per l’avvio dei lavori di realizzazione dell’impianto, e ha approvato
nuovamente il progetto previa acquisizione di un nuovo parere favorevole n. 276
del 20 gennaio 2010, della commissione di impatto ambientale.
In tale parere è precisato che la condanna alla pena pecuniaria riportata dal legale
rappresentante della Società è ininfluente perché, priva di effetti interdettivi, non
rileva ai fini dell’iscrizione all’albo dei gestori ambientali, e che, come indicato nella
motivazione dei provvedimenti impugnati, anche a seguito di una rinnovata
istruttoria, è stata acquisita completa cognizione dell’assetto urbanistico dell’area
interessata dal progetto (cfr. pagg. 4 e 5 del parere della commissione regionale di
impatto ambientale) oggetto di specifica valutazione anche da parte del
responsabile della Direzione Regionale urbanistica che ha espresso un apposito
parere il 20 gennaio 2010.
Tale deliberazione è impugnata dai ricorrenti con motivi aggiunti per le seguenti
censure:
I) violazione degli artt. 6 e 10, lett. b), della legge 7 agosto 1990, n. 241, degli artt.
14 e 15 della legge regionale 26 marzo 1999, n. 10, dell’art. 5, commi 7 e 8 del
Dlgs. 18 febbraio 2005, n. 59, e dei principi di partecipazione, pubblicità e
trasparenza, nonché carenza di istruttoria, per l’omessa ripubblicazione dell’avviso
di deposito del progetto a seguito dell’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato n.
4962 del 29 settembre 2009;
II) violazione dell’art. 10 delle norme tecniche di attuazione allegate al piano
regolatore, violazione del piano di assetto del territorio adottato con deliberazione
di Giunta comunale n. 32 del 15 aprile 2009, e dell’art. 9 della legge regionale 26
marzo 1999, n. 10, difetto di motivazione, travisamento ed elusione dell’ordinanza
cautelare del Consiglio di Stato n. 4962 del 29 settembre 2009, per la non adeguata
considerazione della disciplina urbanistica;
III) travisamento, contraddittorietà per mancanza o insufficienza di istruttoria e
sviamento, per la previsione di una compensazione pecuniaria in favore del
Comune nella misura di € 20 per mq per la nuova superficie edificatoria e le
valutazioni sull’aumento del traffico veicolare, dell’inquinamento acustico, e lo
svolgimento di lavori notturni.
La Regione Veneto e la controinteressata Mestrinaro Spa hanno eccepito
l’inammissibilità dei motivi aggiunti o, in via alternativa, l’improcedibilità del
ricorso originario, chiedendo nel merito la loro reiezione.
Alla pubblica udienza del 14 ottobre 2010, in prossimità della quale tutte le parti
costituite hanno depositato memorie a sostegno delle proprie difese, la causa è
stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. La Regione e la controinteressata Società Mestrinaro Spa eccepiscono
l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione ed interesse, in quanto i
ricorrenti non potrebbero limitarsi ad invocare la mera vicinanza all’impianto,
dovendo invece dare prova del concreto e sicuro pregiudizio che ricevono nella
propria sfera giuridica o per il fatto che la localizzazione dell’impianto riduce il
valore economico del fondo situato nelle vicinanza, o perché le prescrizioni dettate
dall’autorità competente in ordine alle modalità di gestione dell’impianto sono
inidonee a salvaguardare la salute di chi vive nelle sue vicinanze.
Questo ordine di idee non è condivisibile.
Non è contestata la vicinanza delle abitazioni dei ricorrenti all’impianto, e gli stessi
(cfr. pagg. 46 e 47 del ricorso) lamentano, oltre a una diminuzione del valore
economico degli immobili situati nelle vicinanze dell’impianto, il possibile danno
alla salubrità dei luoghi, alla salute, all’integrità dell’ambiente.
La circostanza che la vicinanza di tale tipo di impianti produca delle esternalità
negative rispetto al territorio circostante, costituisce un dato di comune esperienza.
Nel caso all’esame lo stesso parere della commissione regionale VIA integrata n.
882 del 7 aprile 2009 (cfr. pag. 21) lo sottolinea, affermando che “non è possibile
negare un impatto negativo dovuto alla presenza dell’attività soprattutto per le
abitazioni più prossime e situate a ridosso delle arterie stradali utilizzate dai mezzi”.
Pertanto il Collegio, condividendo l’indirizzo secondo cui, ai fini dell’impugnativa
di un provvedimento che autorizza l’avvio di un’attività potenzialmente inquinante,
il ricorrente non è tenuto a dimostrare che si è verificato un danno, in quanto tale
questione attiene al merito, ed è invece sufficiente la prospettazione di temute
ripercussioni sul territorio collocato nelle immediate vicinanze (cfr. Tar Toscana
Sez. II, 6 ottobre 2009 , n. 1505; Consiglio di Stato, Sez. V, 28 novembre 2008 , n.
5910; Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 dicembre 2002, n. 6657; Consiglio di stato, Sez.
V, 12 ottobre 1999 , n. 1445), ritiene che le eccezioni di difetto di legittimazione ed
interesse debbano essere respinte.
1.1 La Regione e la controinteressata Società Mestrinaro Spa eccepiscono altresì
l’inammissibilità dei motivi aggiunti con cui è stata impugnata la deliberazione della
Giunta regionale n. 100 del 26 gennaio 2010, affermando che questa costituirebbe
un mero atto d’esecuzione dell’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato, Sez. V,
n. 4962 del 29 settembre 2009, tutt’al più censurabile attraverso il rimedio di cui
all’art. 21, comma quattordicesimo, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (oggi art.
59 del cod. proc. amm.).
L’eccezione non può essere condivisa.
La deliberazione della Giunta regionale n. 100 del 26 gennaio 2010, consegue sì ad
un'ordinanza cautelare, ma di tipo propulsivo (infatti l’ordinanza cautelare,
ritenendo espressamente che non fossero stati sufficientemente valutati tutti gli
elementi relativi alla compatibilità del progetto alle esigenze ambientali e territoriali,
ha accolto la domanda cautelare “ai fini di un motivato riesame da parte
dell’Amministrazione procedente alla luce delle circostanze sopra riportate”), ed ha
una portata ulteriore rispetto a questa in quanto, sebbene posta in essere su
impulso giurisdizionale, costituisce il riesercizio di un potere amministrativo
connotato da discrezionalità, svoltosi nell’ambito di un rinnovato iter istruttorio e
motivazionale, ed assume pertanto caratteri di autonomia rispetto ad una mera
esecuzione della pronuncia giurisdizionale.
1.3 Con un’ulteriore eccezione la controinteressata Mestrinaro Spa sostiene che il
ricorso originario sarebbe divenuto interamente improcedibile per sopravvenuta
carenza di interesse, in quanto la deliberazione n. 100 del 26 gennaio 2010,
dovrebbe intendersi come interamente sostitutiva della deliberazione n. 882 del 7
aprile 2009.
L’eccezione è fondata solo in parte, in quanto, come controdedotto dai ricorrenti
nella memoria del 27 settembre 2010, depositata in prossimità della pubblica
udienza, la deliberazione n. 100 del 26 gennaio 2010, integra e sostituisce solo in
parte, richiamandosi per il resto ad essi, i precedenti atti della procedura (a pag. 4
del parere della Commissione V.I.A. n. 276 del 20 gennaio 2010, si legge infatti che
“si è provveduto al riesame del progetto già autorizzato con DGRV. n. 882 del 7
aprile 2009, pubblicata sul BUR Veneto n. 35 del 28 aprile 2009, nei termini di
quanto richiesto dal Consiglio di Stato, riconfermando in toto quanto già per gli
altri aspetti esaminato nel parere n. 215 del 10/12/2008”; allo stesso modo, come
si legge a pag. 9, viene espresso un giudizio positivo di compatibilità ambientale
“così come già espresso dalla Commissione Regionale V.I.A. nel parere n. 215 del
10 dicembre 2008, fatto proprio dalla Giunta Regionale del Veneto con DGRV n.
882 del 7 aprile 2009, con l’integrazione dello stesso con la raccomandazione di cui
all’allegato parere, n. 276 del 20 gennaio 2010, allegato A al presente
provvedimento, fatte salve tutte le restanti prescrizioni e raccomandazioni di cui al
citato parere n. 215 del 10 dicembre 2008, già approvato con DGRV n. 882 del
7.4.2009”).
Ne discende che deve essere dichiarata la sopravvenuta carenza di interesse
limitatamente alle censure di cui al secondo motivo del ricorso originario, con il
quale i ricorrenti lamentano l’insufficiente considerazione della compatibilità del
progetto rispetto alle esigenze ambientali e territoriali, poiché le valutazioni oggetto
di quelle censure sono state sostituite dalle nuove determinazioni contenute nella
deliberazione n. 100 del 26 gennaio 2010, sulla quale deve pertanto ritenersi
trasferito, in parte qua, l’interesse degli istanti.
2. Con il primo motivo del ricorso originario i ricorrenti lamentano la violazione
dei principi di pubblicità, trasparenza e partecipazione, perché la Regione non ha
disposto che la controinteressata procedesse alla ripubblicazione dell’avviso di
presentazione del progetto, ai fini del perfezionamento della procedura di rilascio
dell’autorizzazione integrata ambientale.
La censura va disattesa.
Come noto uno dei maggiori problemi che si è posto a seguito del recepimento
della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate
dell'inquinamento, è consistito nell’assicurare in via interpretativa, in difetto di una
chiara indicazione normativa, il coordinamento tra le procedure di rilascio
dell'autorizzazione integrata ambientale e del giudizio di compatibilità ambientale, i
cui procedimenti a livello istruttorio possono intersecarsi con duplicazioni e
disfunzioni.
L’art. 10 del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, come modificato dal Dlgs. 16 gennaio
2008, n. 4, ha disposto che “le regioni e le province autonome assicurano che, per i
progetti per i quali la valutazione d'impatto ambientale sia di loro attribuzione e
che ricadano nel campo di applicazione dell'allegato I del decreto legislativo n. 59
del 2005, la procedura per il rilascio di autorizzazione integrata ambientale sia
coordinata nell'ambito del procedimento di VIA”.
La Regione Veneto con deliberazione di Giunta n. 1998 del 22 luglio 2008, in via
amministrativa, in attuazione a tale previsione normativa statale, ha demandato al
Segretario regionale dell’ambiente di prevedere forme di coordinamento tra le due
procedure, e questi vi ha provveduto con circolare del 31 ottobre 2008, nella quale
si afferma che per gli impianti per i quali è già stato espresso il parere di
compatibilità ambientale favorevole, nonché la relativa approvazione e per i quali
tuttavia non si è ancora conclusa la procedura di valutazione di impatto ambientale
“non si procede alla pubblicazione di nuovi avvisi in quanto la fase di pubblicità
prevista dall’art. 5 del Dlgs. 59/05 si intende già assolta nell’ambito delle procedure
di evidenza previste dalla normativa vigente in materia di Via”.
Orbene, in tal modo, come dedotto dalla parte ricorrente, si realizza una
compressione della facoltà, per il pubblico, di esprimere il proprio apporto
procedimentale rispetto alla specifica procedura dell’autorizzazione integrata
ambientale, ma ciò risulta esente da profili di illegittimità in quanto una tale
conclusione sembra trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza,
e, rientrando tra le possibili varianti interpretative attribuibili alla normativa statale,
non si pone in contrasto con essa.
Infatti vi è da considerare che la previsione ha carattere transitorio, in quanto
riguarda i soli progetti per i quali si è sostanzialmente ormai conclusa, con
l’approvazione, la procedura di valutazione di impatto ambientale, che l’apporto
procedimentale degli interessati è già stato ottenuto in occasione della procedura di
valutazione di impatto ambientale, e che il contesto normativo entro cui si
inserisce la determinazione è quello prescritto dall’art. 10, comma 2, del Dlgs. 3
aprile 2006, n. 152, per il quale deve essere “in ogni caso essere disposta l'unicità
della consultazione del pubblico per le due procedure” (concetto oggi ribadito
dall’art. 29 quater, comma 3, ultimo periodo, del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, come
introdotto dal Dlgs. 29 giugno 2010, n. 128).
La censura di cui al primo motivo deve pertanto essere respinta.
3. Con il terzo motivo del ricorso originario i ricorrenti lamentano che non si è
tenuto conto della classificazione del territorio comunale come non idoneo alla
localizzazione di impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti urbani, in ragione
della presenza di produzioni agricole di qualità e tipicità, e quindi la violazione del
regolamento CE n. 510/2006 del Consiglio del 20 marzo 2006, del regolamento
CE n. 1107/96 della Commissione del 12 giugno 1996, dell’art. 21 del Dlgs. 18
maggio 2001, n. 228, dell’elaborato E, punto 3.3.5. della deliberazione del
Consiglio regionale n. 59 del 22 novembre 2004, del piano di gestione rifiuti urbani
relativo alla Provincia di Treviso, approvato con deliberazione del Consiglio
regionale n. 62 del 22 novembre 2004.
La censura è infondata.
La normativa invocata dalla parte ricorrente riguarda solamente i rifiuti urbani e
non i rifiuti speciali, e quindi non è applicabile alla fattispecie in esame che
concerne un impianto di recupero di rifiuti esclusivamente speciali, né della stessa
normativa sembra potersi fare un’applicazione analogica nelle more
dell’approvazione del diverso ed autonomo piano regionale di gestione dei rifiuti
speciali previsto dall’art. 10, della legge 26 marzo 1999, n. 10.
Infatti la gestione dei rifiuti urbani e di quelli speciali coinvolge problematiche
ambientali diverse, e soggiace conseguentemente a regimi e discipline
considerevolmente differenziate anche per quanto riguarda la loro pianificazione (il
principio di libera circolazione - cfr. Corte Costituzionale n. 10 del 2009 – ad
esempio, trova applicazione solo per i rifiuti speciali pericolosi o non pericolosi e
non per i rifiuti urbani, per i quali vale invece il divieto di smaltimento in territorio
extraregionale, in quanto per i rifiuti speciali “non è possibile preventivare in modo
attendibile la dimensione quantitativa e qualitativa del materiale da smaltire, cosa
che, conseguentemente, rende impossibile «individuare un ambito territoriale
ottimale che valga a garantire l'obiettivo della autosufficienza nello smaltimento»).
In difetto dei presupposti per l’applicazione analogica ad un impianto di recupero
di rifiuti speciali dei limiti e divieti di localizzazione previsti esclusivamente per gli
impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti urbani dalla specifica pianificazione
di settore, la censura di cui al terzo motivo del ricorso originario deve pertanto
essere respinta.
4. Con il quarto motivo del ricorso originario i ricorrenti introducono in realtà
diverse censure, che devono essere considerate separatamente.
Con la prima lamentano che i provvedimenti impugnati sarebbero illegittimi
perché, relativamente all’autorizzazione integrata ambientale, non hanno di volta in
volta evidenziato l’utilizzo delle migliori tecniche disponibili per la riduzione delle
emissioni e dell’impatto sull’ambiente.
La doglianza è infondata e formulata in modo generico, posto che dalla lettura del
parere della commissione VIA n. 882 del 7 aprile 2009 (cfr. in particolare il quadro
di riferimento progettuale da pag. 24 a pag. 37) emerge che le scelte progettuali
sono motivate con la finalità di ridurre l’impatto sull’ambiente, e i ricorrenti non
assolvono all’onere, sugli stessi spettante, di fornire anche una semplice allegazione
circa il mancato utilizzo delle migliori tecniche disponibili.
La doglianza va pertanto respinta.
4.1 Con una seconda censura, nell’ambito del medesimo motivo, i ricorrenti
lamentano che non risulta recepito l’obbligo del progettista di allegare il piano di
sicurezza e di controllo, previsto dagli artt. 22, comma 2, lett. d), e 26, comma 7,
della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3, e a sostegno dell’affermazione
invocano la circostanza che le prescrizioni n. 11 e n. 12 impartite dal parere n. 199
del 16 luglio 2008, circa la necessità di integrare il piano di sicurezza e il
programma di controllo da predisporsi ai sensi della deliberazione di Giunta
regionale n. 1579 del 22 giugno 2001, sono state eliminate dal parere n. 215 del 10
dicembre 2010, reso in sede di rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale, con
la motivazione che il piano di sicurezza e controllo doveva intendersi già
esaminato contestualmente all’approvazione del progetto. Ciò dimostrerebbe che
di fatto un piano conforme alle norme di legge non sarebbe mai stato esaminato.
La censura deve essere respinta.
In primo luogo deve osservarsi che il programma di controllo, ai sensi dell’art. 26
della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3, deve essere approvato solo nella fase di
autorizzazione all’esercizio dell’impianto (cui si riferisce l’art. 26), e non per la fase
- oggetto delle deliberazioni impugnate - di approvazione del progetto.
In secondo luogo, va considerato che la controinteressata risulta aver allegato al
progetto un apposito elaborato denominato “piano di sorveglianza e controllo”
(cfr. doc. 21 allegato al ricorso) che in sostanza (cfr. in particolare pagg. 58 e
seguenti) indica le procedure da adottarsi in caso di incidente come specificate
dalla deliberazione di Giunta 22 giugno 2001, n. 1579, recante “nuovi indirizzi in
merito al Piano di sicurezza ed ai Programmi di Controlli previsti dalla L.R. 21
gennaio 2000, n. 3”.
Peraltro, come risulta dalla lettura della citata deliberazione di Giunta 22 giugno
2001, n. 1579, il piano da allegare al progetto non ha una valenza definitiva ed
immutabile, in quanto è successivamente integrabile (nella deliberazione si
sottolinea che la norma di legge “non estende, in linea generale, agli impianti
regolati dalla legge regionale l'applicazione della normativa prevista dal D.Lgs. 17
agosto 1999, n. 334 in materia di pericoli di incidenti rilevanti” e si afferma che “il
Piano fa parte integrante del progetto dell'impianto e deve essere presentato
all'Autorità competente per l'approvazione, fermo restando che lo stesso potrà
subire opportune integrazioni in sede di rilascio del certificato di prevenzione
incendi”).
Pertanto, indipendentemente dalla questione, di per sé priva di ripercussioni di
carattere sostanziale, relativa all’espunzione, operata dal parere n. 215 del 10
dicembre 2008 con cui è stata rilasciata l’autorizzazione integrata ambientale, delle
prescrizioni n. 11 e n. 12 del parere n. 199 del 16 luglio 2008, reso nell’ambito della
procedura di valutazione di impatto ambientale, non risultano violati gli artt. 22,
comma 2, lett. d), e 26, comma 7, della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3, né
risulta comprovata la sussistenza del dedotto difetto di istruttoria.
4.2 Con un’ulteriore censura i ricorrenti lamentano che sarebbe stata volutamente
esclusa dall’indicazione dei perimetri dell’impianto la parte dell’area adibita a
edificio direzionale ad uso uffici amministrativi, al fine di consentire il rispetto della
distanza di 150 metri dell’impianto dalle abitazioni più vicine.
La doglianza, di non chiara formulazione, muove da un’erronea premessa.
Infatti l’art. 32, comma 2, della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3, dispone che
“le distanze di cui al comma 1 vanno misurate rispetto al perimetro dell'area
destinata ad essere occupata dai rifiuti”, ed è pertanto irrilevante la distanza
dell’edificio direzionale dalle abitazioni.
4.3 I ricorrenti lamentano inoltre che non si è tenuto conto che con la
deliberazione n. 1389 del 14 giugno 2005, la Giunta regionale aveva autorizzato la
controinteressata all’utilizzo di un impianto di frantumazione, specificando che
avrebbe dovuto essere utilizzato in aree definite dal piano regolatore come
produttive, mentre gli atti impugnati ammettono l’utilizzo dell’impianto in area
agricola, e in ciò si rivelerebbe un’ingiustificata contraddittorietà tra atti della
Regione.
La censura va respinta, perché il progetto è approvato in variante agli strumenti
urbanistici, ai sensi dell’art. 208, comma 6, del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, mediante
l’attribuzione della destinazione produttiva a tutte le aree interessate, cosicché non
sussiste la contraddittorietà denunciata.
4.4 Con la quinta della censure contenute nel quarto motivo del ricorso originario,
i ricorrenti si limitano in realtà a porre “una serie di interrogativi”, assai stringati,
relativi alla raccolta delle acque, alla valutazione acustica, al trattamento delle
acque, alla esistenza di eventuali pronunciamenti dei vigili del fuoco circa il rischio
incendi, e alle controdeduzioni rispetto alle osservazioni presentate sul traffico.
Così formulata la doglianza è inammissibile per genericità, in quanto non consente
di ricavare gli specifici elementi in base ai quali sarebbero sussistenti i vizi dedotti
(ex pluribus cfr. T.A.R. Marche, Sez. I, 10 novembre 2006, n. 1142).
In ogni caso vi è da rilevare che si tratta di aspetti specificamente considerati nel
parere della commissione VIA n. 882 del 7 aprile 2009 (cfr. il quadro di riferimento
progettuale da pag. 24 a pag. 37) cui il Collegio non può che rinviare.
4.5 Con l’ultima delle censure i ricorrenti lamentano che non sarebbe stata
motivata la determinazione di non procedere alla bonifica delle aree.
La circostanza esula dalla presente controversia.
Infatti la deliberazione della Giunta regionale n. 882 del 7 aprile 2009 (cfr. pag. 26
del parere allegato), si è limitata a prendere atto che il Comune di Zero Branco con
deliberazione di Giunta n. 39 del 29 febbraio 2008, che non è oggetto di
impugnazione, ha ritenuto di non procedere alla bonifica del sito, e la relativa
determinazione, contrariamente a quanto dedotto, non risulta immotivata, in
quanto giustificata con riferimento agli esiti del piano di caratterizzazione, in base
ai quali è risultata non necessaria,
5. Con il primo dei motivi aggiunti i ricorrenti affermano che illegittimamente la
Regione, a seguito dell’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato n. 4962 del 29
settembre 2009, si sarebbe limitata a rinnovare l’istruttoria senza procedere ad una
nuova pubblicazione dell’avviso di deposito del progetto, finalizzato ad acquisire
nuove osservazioni da parte del pubblico.
La doglianza va respinta, perché l’ordinanza cautelare, di tipo propulsivo, ha
ritenuto che non fossero stati sufficientemente valutati gli elementi relativi alla
compatibilità del progetto alle esigenze ambientali e territoriali, ed ha quindi
disposto un riesame, nell’ambito del medesimo procedimento, senza disporre che
ne venisse avviato uno nuovo, e nel corso del procedimento già svolto erano già
stati assolti i necessari oneri di pubblicità.
6. Con il secondo dei motivi aggiunti i ricorrenti, ripropongono sotto diversi
aspetti, l’illegittimità dei provvedimenti impugnati per questioni attinenti l’assetto
urbanistico delle aree, l’incompatibilità del progetto rispetto alle destinazioni
urbanistiche vigenti, e la sostanziale elusione del contenuto dell’ordinanza cautelare
n. 4962 del 29 settembre 2009, del Consiglio di Stato.
In sostanza lamentano che non sarebbero stati valutati dalla Regione con
sufficiente completezza tutti gli elementi relativi alla compatibilità urbanistica del
progetto.
Sul punto il Collegio osserva quanto segue.
6.1 In fatto è necessario premettere che il progetto oggetto dei provvedimenti
consiste nell’integrazione, nell’ambito del medesimo sito, dell’impianto già
esistente di lavorazione di inerti mediante frantumazione, con processi di
trattamento, recupero e inertizzazione di altri rifiuti speciali, e prevede la
costruzione di tre nuovi edifici per 8.320 mq e di un’area pavimentata coperta da
tettoia di 1476 mq.
L’impianto già esistente ricade in una zona impropria, difforme dalla destinazione
produttiva industriale di tipo D, e il progetto riguarda anche delle porzioni
ricadenti in zona agricola E2 ed E3, oltre che, per una ridotta superficie, in area
classificata come verde privato.
Relativamente agli interventi edilizi sugli insediamenti produttivi in zona impropria
l’art. 30, terzo comma, della legge regionale 27 giugno 1985, n. 61 ha demandato ai
Comuni di individuare quegli insediamenti per i quali si renda opportuno il
trasferimento delle attività in aree idonee a destinazione industriale e artigianale e
quelli da confermare, e l’art. 126 (aggiunto dalla legge regionale 5 marzo 1987, n.
11), ha demandato ai Comuni di adottare un’apposita disciplina per disciplinare gli
interventi edilizi ammissibili sugli insediamenti localizzati in difformità delle
destinazioni di piano.
In attuazione di tale normativa il Comune di Zero Branco con l’art. 10 delle norme
tecniche di attuazione allegate al piano regolatore ha individuato le attività
produttive da confermare, da trasferire e da bloccare.
Alcune attività, tra le quali quella svolta dalla ditta controinteressata, sono state
classificate come “da confermare” con previsioni puntuali.
Le previsioni puntuali (cfr. art. 10, n. 1 cit.) hanno consentito la realizzazione di un
nuovo edificio per una superficie coperta pari al 100% di quella esistente, e di
questa facoltà si è avvalsa l’azienda nel 2002, sottoscrivendo un atto unilaterale
d’obbligo con il quale si è impegnata a non variare la destinazione d’uso degli
immobili per un periodo di dieci anni (cfr. doc. 15 allegato al ricorso).
6.2 I ricorrenti, con le censure proposte, lamentano che il progetto è in contrasto
con il piano regolatore e che la Regione non avrebbe tenuto sufficientemente
conto degli elementi relativi alla compatibilità urbanistica del progetto.
Tali doglianze non sono condivisibili.
La circostanza che il progetto non sia compatibile con lo strumento urbanistico
vigente (oltre che non pienamente coerente con le previsioni del P.A.T. – piano di
assetto del territorio – in fase di adozione, il quale ricomprende il sito entro
un’ampia area qualificata come idonea ad interventi diretti alla riqualificazione e
riconversione, nel cui ambito vi sono individuate un’estesa area di urbanizzazione
consolidata con presenza di “attività economiche non integrabili con la residenza”,
ed un elemento di degrado: cfr. doc. 19 allegato al ricorso), non può essere
invocata al fine di sostenere l’illegittimità dei provvedimenti impugnati, in quanto il
legislatore statale con l’art. 208, comma 6, del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152 (che sul
punto ripete quanto già previsto dall’art. 27, comma 5, del Dlgs. 5 febbraio 1997,
n. 22) e il legislatore regionale (cfr. art. 23, comma 2, della legge regionale 26
marzo 1999, n. 10) hanno previsto che l’approvazione dei progetti di impianti per
il recupero dei rifiuti “costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico
e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori”,
e quindi il possibile contrasto è già risolto in via preventiva dal legislatore.
6.3 Neppure è condivisibile la doglianza che non sarebbero stati valutati dalla
Regione con sufficiente completezza tutti gli elementi relativi alla compatibilità
urbanistica del progetto.
L’assunto, ad un accurato esame della documentazione versata in atti, appare privo
di riscontri, in quanto già la deliberazione n. 882 del 7 aprile 2009, alle pagine da 7
a 22, 41 e 42 dell’allegato parere della commissione di valutazione di impatto
ambientale, risulta aver esaminato gli strumenti di programmazione urbanistica,
paesaggistico – territoriale e ambientale vigenti sul sito, e ha espressamente
riconosciuto la necessità di estendere sull’intera area di intervento la destinazione
urbanistica di tipo produttivo applicando proprio l’art. 208, comma 6, del Dlgs. 3
aprile 2006, n. 152; la deliberazione n. 100 del 26 gennaio 2010 (cfr. pag. 4),
adottata a seguito di un riesame sollecitato in sede cautelare e formulata previa
acquisizione di un parere della Direzione regionale urbanistica, ha confermato la
mancanza di elementi di incertezza o fraintendimenti sulla destinazione delle aree,
sottolineando che lo stesso strumento urbanistico vigente ha classificato l’impianto
come “da confermare” con le previsioni puntuali di cui all’art. 10 delle norme
tecniche di attuazione, in base alle quali è stato consentito il raddoppio della
superficie coperta preesistente.
In tale contesto, contrariamente a quanto affermano i ricorrenti nelle proprie
difese, la circostanza che, in base all’art. 10 delle norme tecniche di attuazione, una
volta realizzata la nuova superficie coperta ammessa, non sono consentite ulteriori
nuove edificazioni, non ha carattere ostativo, in quanto anche tale previsione,
facendo parte integrante del piano regolatore, può ben essere oggetto di variazione
per effetto dell’approvazione del progetto.
Peraltro emerge anche che vi è stata consapevolezza da parte della Regione della
necessità di una capacità edificatoria superiore a quella ammessa dal piano
regolatore, attestata dalla prescrizione n. 19 del parere n. 215 del 10 dicembre
2008, approvato con deliberazione n. 882 del 7 aprile 2009, con cui è stata imposta
una specifica compensazione economica per la possibilità edificatoria aggiuntiva, e
dalla documentazione versata in atti non risulta che il giudizio di compatibilità del
progetto con l’assetto del territorio, nel caso di specie possa dirsi inficiato da
elementi di irragionevolezza, illogicità o errori di fatto (si tratta di un impianto già
esistente, giudicato urbanisticamente compatibile in passato dal Comune, servito
da infrastrutture viarie, confinante con una zona agricola e per il quale risultano
rispettate le distanze dalle abitazioni legislativamente prefissate).
In tale contesto il giudizio di compatibilità urbanistica costituisce una questione
che attiene al merito delle valutazioni discrezionali proprie dell’Amministrazione,
ed il legislatore statale con l’art. 208, comma 6, del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, ha
preventivamente dettato la regola di composizione del possibile dissenso tra la
Regione e il Comune, facendo prevalere la volontà dell’ente di maggiori
dimensioni, secondo un paradigma utilizzato dal legislatore ogniqualvolta vengono
in gioco interessi di carattere sovracomunale (si pensi, ad esempio, alla procedura
prevista dall’art. 81 del Dlgs. 24 luglio 1977, n. 616; alla realizzazione delle
infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici di cui al Dlgs. 20 agosto
2002, n. 190; all’attuale disciplina di soluzione dei dissensi espressi nell’ambito della
conferenza di servizi di cui agli artt. 14 e ss. della legge 7 agosto 1990, n. 241, ecc.).
Pertanto le censure incentrate sui profili di carattere urbanistico devono essere
respinte.
7. Con il terzo dei motivi aggiunti i ricorrenti contestano, perché a proprio giudizio
immotivato, il contenuto della prescrizione n. 19, con la quale è stato imposto il
versamento della somma di € 20 per ogni mq di nuova superficie edificata,
affermando che tale previsione sarebbe inidonea a compensare lo squilibrio
urbanistico provocato dall’ampliamento.
La doglianza, in mancanza di contestazioni puntuali, si rivela priva di fondamento,
perché detta somma non è imposta per compensare un generico squilibrio
urbanistico, ma costituisce la quota di oneri di concessione spettanti al Comune ai
sensi dell’art. 24, comma 3, della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3, in base al
quale “per la realizzazione degli impianti di gestione dei rifiuti gli oneri di
concessione sono dovuti nella misura prevista per gli impianti industriali in
relazione alla zona di ubicazione. Ai fini del computo degli oneri di urbanizzazione
le zone F sono assimilate alle zone D”.
Con un’ulteriore censura, nell’ambito del medesimo motivo, i ricorrenti lamentano
il difetto di presupposti, la contraddittorietà, e la mancanza di istruttoria, perché la
commissione VIA non avrebbe risposto alle osservazioni del Comune relative alle
problematiche dell’aumento del traffico veicolare, dell’inquinamento acustico, e
dello svolgimento di lavori notturni.
Le doglianze devono essere respinte.
Infatti come emerge dalla lettura del parere della Commissione VIA n. 276 del 20
gennaio 2010, allegato alla deliberazione n. 100 del 26 gennaio 2010, e in
particolare dalle pagine da 5 a 7, gli elementi di criticità oggetto delle osservazioni
del Comune sono stati considerati, osservando:
- quanto al traffico veicolare, che la gran parte del tragitto si svolge su strade ad
intensa circolazione (strade regionali e provinciali), per la quale l’aggravio di
traffico, rispetto ai volumi ordinari, non è apprezzabile, mentre per il tratto più
prossimo è stata formulata la prescrizione n. 20 , in base alla quale è stato disposto
che “in considerazione dell’aumento del traffico di mezzi pesanti da e verso
l’impianto, venga adeguata la viabilità di avvicinamento. Tali fasi di cantiere e le
connotazioni di dettaglio della medesima dovranno essere concordate con
l’amministrazione comunale”, “sulla base della convenzione sottoscritta tra il
Comune di Zero Branco e la Ditta Mestrinaro Spa in data 29.12.2008”;
- quanto alle emissioni di rumori, previa un’analisi della classificazione acustica del
territorio, che sono “rispettati tutti i limiti di zonizzazione: le attività avverranno di
norma al coperto. Il frantoio ha una posizione studiata con la previsione di
impatto acustico”, e “i macchinari per la movimentazione dei rifiuti (ruspa,
muletto) saranno dotati di silenziatori ad elevata efficienza”;
- quanto alle lavorazioni notturne effettuate in passato, che le stesse non sono in
alcun modo riconducibili né correlabili al progetto sottoposto al progetto
assoggettato a valutazione di impatto ambientale dell’impianto di trattamento e
recupero rifiuti, ma ai lavori di sistemazione delle piste dell’aeroporto di Treviso.
In definitiva pertanto, il ricorso originario ed i motivi aggiunti, unitamente alla
domanda di risarcimento danni di cui non ricorrono i presupposti, devono essere
respinti.
Le peculiarità della controversia e la complessità e relativa novità di alcune delle
questioni trattate giustificano l’integrale compensazione delle spese di giudizio tra
le parti.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, sulla
domanda di risarcimento danni e relativi motivi aggiunti, li respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 14 ottobre 2010 con
l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Di Nunzio, Presidente
Marco Buricelli, Consigliere
Stefano Mielli, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/11/2010
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)