r. guardini - l'uomo cavalleresco.pdf

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  • Considerate cosi le cose, si arriva a rendersi conto dellaltezza della preghiera. Opera di Dio lha detta san Benedetto. Nella preghiera si compiono veramente le opere di Dio. Attraverso la preghiera la gra- zia scorre nellanima, la rende splendente, ben dispo- sta, e la rafforza nella sua essenza: la preghiera ha un grande potere. Non possiamo continuare ora, tem- po di concludere: ma resti ben fermo che i nostri atti dipendono in gran parte da come preghiamo, o da come altri hanno pregato per noi. Le grandi opere sono sempre sorrette dalla preghiera.

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    LETTERA SESTA

    L U O M O C A V A LLER ESCO

    Noi cerchiamo e vogliamo costruire qualche cosa di grande: luomo nuovo. Ma il pensiero delluomo nuovo preso in astratto non dice ancora tutto: noi vogliamo luomo nuovo e la donna nuova. Perch cio si attui il giovane deve seguire il suo proprio cammino e altrettanto la giovane. Ognuno di loro deve, da solo, non influenzato da altri, ascoltare i suggerimenti che gli vengono dal fondo del suo proprio essere.

    Per cio che si riferisce al giovane una cosa so- prattutto importante in questopera di rinnovamento: il gioco cavalleresco. qualche cosa di completamen- te diverso dallo sport. Ponendo la parola tra le vir- golette marginali, intendo riferirmi a quella spiacevo- le realt che comprende campi sportivi, clubs, partite e allenamenti; che citata dappertutto, nei giomali sportivi e nei discorsi, che si riflette sui nostri volti, che ci induce allesaltazione dellabilita dei campioni. Fare dello sport significa battere il record, voler essere il primo in qualche campo con tutta lambizio- ne, legoismo, la gelosia e la esteriorita che sono con- nessi con tale disposizione. Sport significa allenarsi, per un dato impiego, per raggiungere il pi alto li- vello. Ma, intanto, luomo si trasforma da nobile creatura in macchina. Quanto spiacevole quello sportivo, che non conosce nientaltro che il gioco

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  • del calcio, il motociclismo, il tennis o simili specialit! facile che in lui languisca cio che pure fondamen- tale: luomo. Un senso ben pi elevato, del tutto di- verso ha invece il gioco ben inteso. II vero giocatore vuole essere vittorioso sullawersario. Ma nello stesso tempo si sente con lui in rapporto di comunanza, e vuole costruire con lui unopera forte, bella, seria e insieme lieta: il gioco appunto. Pi importante della vittoria lo svolgimento di un bei gioco. Se poi il no- stro gioco e quello awersario combaciano armoniosa- mente, colpo su colpo, sviluppo su sviluppo, assalto su parata, cosi da costituire un tutto unitario, frutto di un sicuro colpo docchio, allora si awerte una forte, splendida unit in mezzo alla battaglia. Cio pi importante che la pi splendida delle vittorie. II buon giocatore vuole certo piena vittoria; la vittoria deve per essere raggiunta nobilmente, altrimenti meno- mata. Sostenere: Non sono toccato quando si , pur leggermente, sfiorati; aiutare la palla con un rapi- do colpo cosi che essa rotoli un po pi avanti, come spontaneamente: da tutto questo potra forse nascere una vittoria. Ma di che genere! Come migliore un gioco perso, ma pulitamente condotto! II buon giocatore vuole raggiungere il pi alto rendimento, ma in bellezza, cosi da costituire uno spettacolo armonioso di dominio sulla forza bruta. Non lecito che luorno nel raggiungimento di questo scopo si rovini; deve invece diventare forte e libero, e tutte le forze devono crescere in armonico equilibrio.

    Cosi il gioco ben inteso diventa una scuola di nobile virt, presa la parola nellantico significato, quello che aveva presso i Greci e nel Medioevo caval- leresco. E veramente le grandi virt del vero uomo

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    sono tali, e prima di tutto lo il gioco. Non centra cio alcun vantaggio: si tratta solo di forza, bellezza, valore. Si tratta quindi di un libero cavalleresco significato. Ma una cosa seria, non uno scherzo. messo in campo il meglio di quanto luomo possiede: carat- tere, nobilt. II vero giocatore vuol vincere assoluta- mente, sia pure grande la superiorita di forze degli awersari. Non ha nessuna paura, egli vuole tenere il suo posto fino alTestremo e spesso un attacco energi- co compensa a sufficienza una grande superiorita di forze; non sa nulla di sofferenza, di dolore, di stan- chezza e tutto questo egli lo domina. tenace nella volont di vittoria. Ma disdegna quella vittoria che si acquista con astuzia, con atti di violenza o in qualsiasi modo disonorevole. Si tratta per lui di stare al proprio posto con sensi svegli, in piena tensione ed at- tenzione, di afferrare acutamente lattimo fuggente, e di fare cio che deve essere fatto: si tratta dunque di presenza di spirito e di risolutezza.

    II giocatore combatte con vigore ma disprezza gli urli, gli eccessi scatenati, la brutalita. Le regole devono essere mantenute, non perch altrimenti larbitro fischia, ma perch nelle regole sta il rigore della lotta. E la lotta deve essere disciplina, non disordinata ba- ruffa. Egli non esagera nel ripetere un dato esercizio per battere dei record, al contrario pratica tutti i vari giochi per poter diventare, dopo questa istruzione completa, un combattente integrale, come lo vole- vano i Greci.

    Cosi per mezzo del gioco rettamente inteso si ri- svegliano alcune nobili virt delTuomo: si d prova di una essenza libera che sa che c qualcosa di pi alto del vantaggio e delTutilita: la bellezza e lonore. Si ri-

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  • desta il coraggio che non si spaventa di fronte alla prevalenza delle forze. Si esercita un disciplinato do- minio di s che insegna a dissimulare il dolore anche se talvolta una palla sbagliata va a colpire duramente nelle costole. Si ha modo di dimostrare presenza di spirito e decisione. Si puo testimoniare la nobilta del carattere che subito ci impone di fermarci quando ci accorgiamo che lawersario inesperto, l assoluta le- alta che guida i nostri atti anche quando il compagno non sta attento, il nostro senso di giustizia che non si oppone a una sconfitta e vuole, si, aver ragione, ma lascia la vittoria a chi spetta, che ci fa capaci di stringere la mano dellawersario senza invidia e di dire: Hai condotto un gioco migliore. Non leale tutto questo?

    Con tutto ci, non intendiamo eccepire nulla con- tro un alterco leale. Ogni giovane sa apprezzame limportanza. Ci si puo trovare in una disposizione ta- le che esso diventa semplicemente necessario, e quan- to pi impetuosamente infuria, tanto meglio, almeno fino a che restano salvi finestre e utensili domestici e altri oggetti fragili. Ma non deve diventare la norma; e i gruppi nei quali tutto si trasforma subito in lite, sono una cosa ben problematica, perch con la stessa precipitazione essi possono anche arrendersi.

    Forse qualcuno dir: Ma lo sport vero e proprio non nientaltro che questo! II vero sportivo pensa proprio cosi. Puo anche aver ragione (non vogliamo qui addentrarci in una distinzione tra spirito e realta effettiva). Se la cosa sta cosi, le virgolette entro le quali ho chiuso la parola sport scompaiono e sport non nientaltro che gioco. Dobbiamo eserci- tare il gioco cavalleresco: tutti i tipi di giochi con la palla, boomerang, giavellotto, arco e disco, corsa e

    salto, il salto vero e proprio, con e senza asta; i diversi giochi allaperto, ecc.

    Ancora un altro tipo di gioco cavalleresco non dobbiamo dimenticare: quello che comprende i giochi che impegnano la mente. Prima di tutto gli scac- chi e altri giochi da tavolino, come la dama, il gioco dei bastoncini, ecc. Anche il gioco del domino appar- tiene a qusta categoria, naturalmente quello vero nel qule non si gioca a casaccio, ma si cerca e si ra- giona e si calcola continuamente. Sono tutti giochi cavallereschi. In essi, soprattutto nei giochi alla scac- chiera, niente accade per fortuna o per caso, ma in seguito a una battaglia spirituale, in funzione di un chiaro colpo docchio, di piani accorti e di una tenace esecuzione: si d prova di vista ampia e di preciso sentire. Da non dimenticare i compiti che tali giochi pongono e per i quali importa di sapere risolvere sempre nuove situazioni e difficolta con chiarezza e precisione, con senso strategico. Tutti questi giochi, corporei o spirituali, implicano anche un altro compi- to: di prepararci da soli gli strumenti necessari per eseguirli. Per esempio arco e frecce, aste e pennoni e cosi via. E riguardo ai giochi da scacchiera vale la stessa cosa. Un bei lavoro, per le sere dinvemo, consiste nel costruirsi belle scacchiere con quadretti di legno annerito dal fuoco opportunamente colorati, o rita- gliati in linoleum, o con tassei incastrati; le figure si possono tagliare in legno o modellare in creta; e le pe- dine si possono ritagliare e rifinire in legno o linoleum, o latta. Ecco un bei lavoro di artigianato da compiere.

    Dallo spirito del vero uomo, spirito diritto, forte e puro, disinteressato e nobile, sicuro, serio e allegro nello stesso tempo, deve anche derivare la consapevo-

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  • lezza della propria nobilta. Perch che cosa significa essere nobile? Avere in s pi responsabilit degli altri. Significa sapere che lonore lo scopo delle no- stre azioni, sapere che il nostro posto dove c peri- colo. Che, in fondo, c un unico nemico: cio che volgare. nobile non luomo che fa tutto questo sol- tanto dopo una faticosa riflessione e di proposito, ma quello per cui tale modo di procedere ha finito per connaturarsi tanto col suo stesso essere che egli non pu fare altrimenti.

    Volgiamoci ora ad altri pensieri che si possono de- rivare, per estensione, da quelli fin qui esposti: si parlato del gioco cavalleresco; ma esso ha una pro- fonda parentela con un altro momento essenziale della vita delluomo: il servizio cavalleresco. Chi serve come se dicesse: io non sono qui per mio piacere, ma per un uomo, o per una cosa o per un compito. Ma ci sono due modi per svolgere tale attivit: da ser- vo o da cavaliere. II servo presta servizio perch vuole una mercede, o perch costretto. Chi ha animo di cavaliere serve perch si tratta di una grande cosa, in- dipendentemente da vantaggi o da mire particolari. Che la cosa riesca: ecco il suo scopo. Egli non serve costretto, ma di libero impulso. servizio cavaliere* sco garantire per un uomo, al qule si fatto dono della propria fedelt. Prima di tutto si attui tale servizio in favore di chi nostro amico; e poi di chiunque confida in noi. Dobbiamo essere segreti, fidati e pronti ad aiutare.

    Ogni uomo deve essere cavaliere verso la fanciulla, verso la donna. Non rende questo servizio chi spesso sta loro dattomo, ma chi sa quando il momento di stare in compagnia e quando di star soli. E nemmeno

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    cavaliere chi racconta alla fanciulla tutte le difficolta in cui si trova e non fa che addossarle, oltre quelle che gi le competono, anche le proprie, ma cavaliere se viene a capo da solo delle sue faccende. Compie un servizio cavalleresco chi, di fronte alla fanciulla, tiene il contegno pi rigoroso e corretto, e se si ac- corge che essa si lascia andare, si contiene doppia- mente, per s e per lei. E poi chi cavaliere, porge il suo aiuto spontaneamente dove se ne presenti la ne- cessit: risparmia una fatica. Ma, posto tutto questo, che dire del dilagare, anche nelle circostanze pi in- concepibili, di un atteggiamento comodistico, che dire della mancanza di riguardi? Sono fatti cui ogni giomo assistiamo. La risposta sempre la stessa: c una gran differenza tra le parole e i fatti!

    Luomo deve prestare servizio cavalleresco ai de- boli. Li protegge dalla necessit e dai pericoli estemi; difende il loro onore e il loro buon nome. Luomo cavalleresco si pone spontaneamente a fianco di chi minacciato, del pi debole, di chi soccombe. Cio lo distingue dalluomo interessato. proprio del santo esercizio del pi nobile servizio cavalleresco, quello cio che ha per oggetto Dio e il suo regno. Cosi, una volta i crociati si facevano garanti per Cristo. Non con le armi ma con la parola e con lazione; nella vita pubblica e privata; di fronte agli indifferenti, ai mot- teggiatori, ai nemici. Dio ha posto, per cosi dire, il suo onore nelle nostre mani: dobbiamo difenderlo. Un tale servizio cavalleresco richiede molto da noi: che ci professiamo tutti in funzione di un dato oggetto, senza mai rinnegarlo. Che ce ne facciamo garanti anche se gli awersari sono numerosi e se il nostro svantaggio forte. E tutto questo dobbiamo compier-

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  • 10 liberi e giocondi. Chi cavaliere deve vivere in modo tale da mantenersi degno di questa sua missione.11 servizio cavalleresco arduo; molte cose ci sono proibite che sarebbero lecite, in una situazione diver- sa. II detto che dice: La nobilt ha i suoi obblighi e i suoi pesi, vale anche in questo caso.

    Una terza cosa propria delluomo in quanto tale: lopera. C una grande differenza tra opera ed esecuzione di un lavoro. Questultima la fa anche un servo. Compiere unopera solo di chi libero. Ma ciascuno di fronte a questo dilemma: pu sce- gliere se vuole essere servo o uomo libero. Tutto cio che facciamo pu essere opera o solo esecuzione. Un compito di scuola, un lavoro di casa, la fabbrica- zione di un utensile, o ladempimento del proprio do- vere dufficio, tutto diventa opera se lo compiamo per se stesso, come richiesto dalla sua natura. Diventa lavoro servile, se lo facciamo perch dobbiamo farlo, oppure per denaro. Pu darsi che un architetto sappia costruire una casa, ma nel costruirla si adoperi in tutti i modi per conseguire un forte guadagno. In tal caso lavora sotto la spinta dellutile e la sua non che una esecuzione, non unopera. Oppure egli co- struisce la casa come essa deve esserlo, considerato il luogo dove sorger, i mezzi da impiegare, le persone alle quali deve servire. La costruira secondo quelli- dea che di essa ha concepito nel suo spirito, schietta, bella, senza preoccupazioni; allora compie unopera. Naturalmente larchitetto deve fare i conti con le di- sponibilita; deve anche avere il suo tomaconto per- ch deve pur vivere. Ma c una grande differenza, se egli costruisce la casa solo per conseguire un guadagno, o anche sotto la spinta di un impulso interiore.

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    E cosi per tutte le cose. Per esempio un tema: pu essere un lavoro di pura esecuzione materiale, se scritto solo per il maestro o per il voto: e allora qualche cosa di servile. Ma pu anche essere fatto per se stesso, perch cosi deve essere fatto, e allora un servizio reso spontaneamente alla cosa in se stessa, unopera. Qualunque cosa pu sempre diventare unopera, se si indaga nel suo intimo per scoprire in che modo essa stessa richiede di essere fatta, per ca- pire quello che la sua essenza esige, e se la si compie tenendo conto appunto di tali esigenze.

    Cio non significa che dobbiamo comportarci come altrettanti visionari fuor della realta. Non significa che, puntando sul bello e sullideale, dobbiamo nel frattempo dimenticare di fare i nostri conti. Non significa fare le persone superiori e lasciarsi sopraffare da tutti, non pretendere cio che ci dovuto per un senso di magnanimita. Tutto questo non sarebbe Cavalleria, ma debolezza. Non viviamo in un mondo ideale, bensi in un mondo duro; spesso tra uomini malvagi e prowisti di buoni gomiti. Ed una delle cose pi im- portanti, per i giovani, saper decidere se vogliano diventare dei visionari estranei alla vita, oppure se ab- biano la forza per inserirsi nella realt. II che implica anche che facciano accuratamente i conti per ci che si riferisce alla loro vita di lavoro, che difendano il lo- ro legittimo guadagno, che esigano ci che loro dovuto, mostrando anche i denti in caso di necessit.

    Queste sono le tre zone su cui si estende il domi- nio delluomo: lopera, il servizio e il gioco. Non si possono separare, appartengono luna allaltra. Tutte e tre hanno in s la liberta, cosicch, nel loro ambito,

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  • nessuna agisce per costrizione, ma spinta da una for- za interiore. Implicano in s anche la nobilt che con- siste nel sentire di dover agire l dove non sia in vista nessun vantaggio. E tutte e tre, gioco, servizio ed ope- ra, hanno un che di festoso. Per poter compiere una vera opera, per servire bene e per bene giocare, uno deve essere un vero uomo. Cio deve stare fermo e sicuro in se stesso, forte di fronte ad ogni tumulto cir- costante, deve avere la vista chiara, la volont incrol- labile, il cuore libero. Chi si trova in simili disposizio- ni trasforma in opera il suo lavoro compiendolo con energia e costruendolo solidamente. Nel servire si im- pegna tutto con coraggio e disinteresse, si tratti di uo- mini o di convinzioni da difendere. Ma mentre realiz- za la sua opera, mentre compie il servizio al qule si impegnato, deve sopportare gli attacchi di individui bassi e volgari. II gioco servira a liberarlo da ogni op- pressione. Nel gioco bene inteso si solleva dalla dura necessita che lopera intrapresa e il servizio accettato gli impongono.

    Accudire con costanza alla propria opera, proce- dere diritti per la propria strada, questo proprio di un vero uomo. Per far cio gli occorre spazio e se non gli dato naturalmente, sa procurarselo. Dio lo ha fatto cosi, dunque ha diritto ad essere cosi. Cio non significa che deve considerarsi qualche cosa di specia- le, o che non deve vedere i propri errori. Egli vuole essere, non apparire; vuole avere delle virt reali, non simulare quello che non c.

    Dunque questuomo scruta con acutezza dentro di s. Sa bene qule la sua situazione; conosce le sue forze migliori, ma sa anche che esse sono sempre, nello stesso tempo, la fonte di errori, e si preoccupa

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    di dominarle. Ma egli afferma il proprio essere e vuole perci spazio. E vuole farsi strada, senza prepoten- za, ma decisamente: senza fare ingiustizia agli altri, ma anche senza lasciarsi imbrogliare. Tutto questo appartiene al vero uomo.

    Passiamo ora a una considerazione importante: ci sono anche gli altri! Fr. W. Frster ha detto: II prin- cipio e la fine di tutta leducazione civile consiste nel- rfferrare la seguente verita, owia e pur tanto diffici- le: non ci sono solo io, ci sono anche gli altri. proprio di chi uomo nel pieno senso della parola di non angustiarsi del fatto che esistono anche altri individui, cosi come non ci si deve inquietare se altri ve- dono le cose diversamente da noi. E nemmeno si deve pretendere di mettere tutti sullo stesso piano, n si deve credere che tutti la debbano pensare come noi. questa unabitudine di certe vecchie zie che sono solite dire in tono di rimprovero: Da noi, si sempre fatto cosi...!. Un vero uomo invece rispetta tutti. Egli pensa: Tu sei diverso. Resta qule sei, ne hai diritto!. La vera forza consiste nel sapere stare gli uni accanto agli altri, tranquilli e tolleranti. una prova di debolezza non volere che gli altri abbiano un valo- re per quello che sono. Infatti se chi si comporta cosi fosse sicuro di se stesso, resterebbe tranquillo accanto ai suoi simili e non gli verrebbe neppure in mente che quelli dovrebbero essere come lui. II vero uomo si rallegra non appena si imbatte in un tipo energico, anche se molto diverso da lui; appena si accorge che uno sa star ritto sulle sue gambe e servendosi dei suoi propri mezzi, tutto contento e soddisfatto da- verlo incontrato.

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  • Su tale comportamento si fonda unimportante realizzazione deUuomo: la comunanza. Chi non le ri- conosce unaltra origine, pu pero considerarla come un mezzo per fare degli altri i suoi schiavi oppure pu egli stesso asservirsi: o diventa svogliato e se ne sta ai margini inattivo contentandosi di levare lamen- tele. Nessuno di questi tre modi di intendere la comunanza degno di un uomo. II primo violenza, il secondo schiavit, il terzo astensione. II vero uomo vuo- le essere libero egli stesso, e vuole avere a che fare con uomini liberi. Si ispira alla giustizia e al rispetto.

    Di qui scaturisce la vera comunanza dellazione. Due o pi persone si accordano tra loro, ognuno tie- ne in considerazione il punto di vista dellaltro; cerca- no un ragionevole accomodamento, ripartiscono i compiti, stabiliscono chi deve avere funzioni diretti- ve. Ora ciascuno compie il proprio lavoro, e sa armo- nizzare con gli altri. Cosi, da un libero lavoro associa- to, nasce unopera liberamente prodotta. Nessuna vera e grande opera pu mai attuarsi se luomo non si d una forte disciplina, se non sa conciliare la propria opinione con quella degli altri e subordinarsi alle direttive comuni. Certo si potrebbero citare opere importanti fondate sulla costrizione e sulla schiavit: le piramidi per esempio stanno in piedi ancor oggi. Ma chi sa vedere preso dal raccapriccio per tutto il sangue e la disperazione e la violenza che puo trovare per cosi dire murate tra le loro pietre e che gridano vendetta al cospetto di Dio. E lo stesso di certe opere del nostro tempo, veramente orribili agli occhi di Dio. grande solo cio che grande ai suoi occhi. E il suo giudizio cadra un giomo non solo sugli uomini, ma anche sulle loro opere, sia che queste appartenga-

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    no alla scienza, allarte, al commercio, o a qualunque altra attivit. Davanti a Dio grande solo cio che vie- ne dalla giustizia e dal rispetto per luomo, che fatto a sua immagine e somiganza. La vera forza delluo- mo non sta nei pugno, ma nei carattere. E chi cerca di asservire il diritto con la violenza, non solo un sa- crilego, ma, nei suo intimo, anche un debole, per grandi che siano state le sue manifestazioni di forza. Si trova qui anche la radice della vera politica, la qule non si fonda sulla scaltrezza, sui grandi discorsi e sulle parole ad effetto, sulle agitazioni e sui tumulti, non parte dalle critiche fanfarone e dalle richieste im- possibili. Politica disciplina. lalta arte di lavorare decisamente e tenacemente, ma insieme anche con- servando il rispetto delle convinzioni altrui, per il bene di tutti. Politica larte di saper vedere tutte le for- ze vive disponibili e di saperle collegare. Larte di riunire uomini liberi in un libero lavoro associato, di gettare un ponte tra posizioni antitetiche, di sintetiz- zare in una grande unita i diversi punti di vista e le opinioni, beninteso, senza offendere la verit; in cio consiste precisamente il compito politico. Perch senza valore imporre con la violenza unopinione par- ticolare, cosi comera senza valore costruire ununit apparente, senza carattere, retta solo dallastuzia. Cio che si esige dal vero politico molto pi grande, ma anche molto pi difficile. La cattedrale si regge solo in funzione dellopposta spinta ascensionale delle vol- te. E altrettanto la grande costruzione della societ statale non pu attuarsi in funzione di unopinione, di una tendenza, bensi attraverso la collaborazione e la cooperazione di tutti. La politica un dato comportamento; e consiste precisamente nei vedere lo

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  • scopo in funzione del tutto. Avere una propria con- vinzione decisa, ma insieme essere sempre pronti a imparare da tutti. Seguire il proprio cammino senza deviazioni, ma rispettando lopinione altrui. Restar fedeli a se stessi, non rifiutarsi per nel contempo di collaborare con gli altri.

    Ma come ci si deve comportare quando si con- vinti, e si sa che laltro ha torto? Abbiamo cercato di chiarirgli la cosa ed egli non la capisce? Allora non re- sta altro che la lotta. Ma il vero uomo si serve di armi pulite per la sua lotta. Non disprezza lawersario, non lo calunnia, non lo denigra, ma lo stima; si compiace perfino dellawersario se questi cavalleresco. Allora si possono misurare a fondo le forze. stato detto che non si deve solo parlare del migliore amico, ma anche del migliore nemico. E il migliore nemico quello che combatte tanto decisamente da costringer- ci a chiamare a raccolta tutte le nostre forze. Egli ci induce a vagliare sempre pi intimamente le nostre vedute perch possano reggersi; pretende da noi uni- ninterrotta vigilanza; ci scuote da ogni pigra sicurez- za, e ci mette nella posizione che ci compete in quan- to uomini: quella della lotta. Sapersi compiacere del proprio awersario in un aspro combattimento, ecco un altro segno della vera forza delluomo. Leggo la fine del canto di Walthari: i cavallereschi campioni sono stati or ora di fronte luno allaltro per la morte e per la vita, Walthari, Hagen e Gnther, ed ora stanno seduti insieme e si lanciano le loro celie feroci, ciascu- no con lorgogliosa sensazione di aver avuto davanti a s un uomo prode. male che di una tale disposizio- ne nella vita pubblica come in quella privata non si possano pi trovare che poche vestigia!

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    Ed ora addentriamoci sempre pi l dove possi- bile stabilire con assolutezza qule sia la vera natura delluomo. Non una cosa che si capisca immediata- mente. Per formarsi delle nozioni d vuole tempo; ne occorre anche per questa. Viene pero il momento, in- tomo ai trentanni, ma pu essere anche prima o do- po, che i nostri occhi si aprono. Ci si guarda attomo e si vede che si soli. Non estemamente soli, molti uomini ci possono restare fedeli allestemo, ma soli di dentro. Soli col proprio essere, col proprio desti- no, con la propria missione. Come si spiega ci? Ne- gli anni giovanili noi crediamo di vivere completa- mente in mezzo agli altri. Certo passiamo anche dei periodi nei quali ci sentiamo incompresi, ma la vera solitudine arriva solo pi tardi, quando prendiamo coscienza di noi stessi. Quando comincia a nascere in noi lidea: Io sono cosi. E gli altri sono diversi. Molti non mi capiscono; altri solo a meta. Pochissimi vedo- no fino nel mio intimo. una sensazione alla qule non ci si pu sottrarre e sulla qule non c da discu- tere. Si vede in che modo gli altri ci fraintendono, ci respingono; eppure bisogna stare in mezzo a loro. Allora ecco soprawenire la vera solitudine; il momento in cui si decide se siamo in grado di stare saldi o se fuggiamo da noi stessi. Ma si pu poi fuggire da se stessi? Certo. Viene la grande tentazione di voler essere come tutti gli altri, di stare in linea con loro. La tentazione di vedere bello quello che gli altri vedono bello, e brutto quello che vedono brutto. Siamo in- dotti a cercare quello che gli altri cercano, a ritenerci contenti delle conquiste fatte con loro. Ci orientiamo sugli altri. Ora vero che dobbiamo imparare dagli altri, che dobbiamo allargare la nostra visuale, e vin-

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  • cere la limitatezza della nostra disposizione nella vita in comune con essi. Niente di pi meschino che rite- nersi qualcosa di speciale e pensare di non avere nul- la da imparare. Ma c una grande differenza tra il te- ner saldo il proprio essere cercando solo di liberarlo da punti di vista e da errori per fargli raggiungere la perfezione, e la rinuncia ad esso per accogliere in noi un modo dessere del tutto diverso. Ecco la grande tentazione!

    Si awertono anche, con grande pena, le proprie manchevolezze. Prima avevamo sempre pensato che con un paio di propositi energici tutto poteva essere vinto; ma ora abbiamo sperimentato quanto tenace- mente il male sia radicato nella natura. Sentiamo i rimproveri e le critiche altrui e ci accorgiamo di quanto abbiano ragione. Allora si fa strada in noi la tentazione che ci induce a dubitare di noi stessi. Si tratta ora di difenderci: Io sono cosi. Questa la mia essenza, queste le mie forze, queste le mie manchevolezze. Eccomi, qule sono, di fronte a me stesso. Certo, bisogna perfezionarsi, ma la perfezione non si raggiunge fuggendo da se stessi, o annullando- si in una forma estranea, ma tenendo conto del proprio modo dessere: Voglio dirigere il mio cammino verso Dio, ma seguendo la mia strada e servendomi delle mie gambe. Allora soltanto puo veramente avere inizio la nostra battaglia. tutto chiaro e netto e preciso, comincia la vita e la lotta di ogni giomo. Se sei capace di porti decisamente di fronte alla tua propria realta e di tener duro, allora sei uomo. Ma si ri- chiede anche che tu sappia resistere di fronte a qual- che altra cosa: di fronte al tuo proprio destino. Goethe ha detto che ci capita di conoscere tanti uo-

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    mini, e dapprima queste relazioni sono soltanto belle e interessanti, ma un giomo ci si accorge che esse si sono trasformate nel destino. Rapporti, esperienze, azioni e parole serie, allegre, inconsiderate ... da prin- cipio tutto vita che zampilla, piena di colori, piena di forza e di tensione. Ma col tempo tutto divnta ri- gido e pesante, diventa destino. Lo awertiamo un giomo e riflettiamo: finora ho vissuto solo i prelimi- nari della vita. Ora la cosa si fa seria: responsabilit che ci siamo assunti; situazioni nelle quali ci veniamo a trovare; relazioni che abbiamo intrecciate; promesse date; dichiarazioni; professioni di fede, tutto diventa ora dura realta. E di nuovo bisogna decidere: ci sottrar- remo a tutti questi impegni? Racconteremo fando- nie? Lasceremo le cose come stanno? O prenderemo le nostre responsabilita? Non voglio dire con cio che dobbiamo rassegnarci alle situazioni dure, quando possiamo uscime con onore; che dobbiamo mantene- re relazioni opprimenti che abbiamo tutto il diritto di sciogliere. Luomo si foggia lui stesso il suo destino, e fino allultimo puo lottare per renderlo grande e bel- lo. Ma limportante che egli sappia tenersi saldo in cio che conceme i doveri e gli obblighi che veramente gli competono. E anche qui puo cominciare per lui la solitudine. Puo essere che un giomo ci si trovi soli di fronte al proprio destino. Ma arrivato il grande momento: e chi sa resistere, un uomo.

    Inoltre, dobbiamo anche metterci in grado di far fronte allopera, alla professione, alla missione che ci sono destinate. Ognuno ha la sua missione. So che molto si potrebbe obiettare a questa asserzione. Tut- tavia sostengo che ciascuno ha una missione, ciascu- no ha qualche cosa da compiere, qualche cosa da di-

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  • re, qualche cosa da essere. In ogni professione ci sono molti lati duri. Al principio tutto sembra bello, solo col tempo si rivelano le difficolta. Molti debbono fin dal principio fare cio che riesce loro gravoso. E viene il momento in cui ci si trova di fronte agli altri: ciascuno egoista e limitato e si comporta con ingiu- stizia. Cosi ogni professione una lotta: si in lotta con il proprio stesso compito e con gli altri uomini. Da principio la volont e la gioia di operare sollevano al di sopra di tutto questo; e inoltre gli uomini sono ancora nuovi agli occhi lun dellaltro, non si cono- scono ancora bene. Ma col tempo le opposizioni si fanno sentire, e un bei giomo eccole cresciute e Operand in tutta la loro crudezza. Allora si vede il proprio compito in tutta la sua difficolta. Si vede quanto si sia estranei agli altri uomini, quanto sia profondo il contrasto che ci separa da loro; contrasto che esiste gi tra noi e quanti sono benevoli nei nostri confron- ti; figuriamoci quali proporzioni assume quando si tratta di persone che non si curano di noi o che ci sono addirittura nemiche. Incomprensione, gelosia, in- vidia, limitatezza, tutto si awerte. Allora di nuovo una decisione si impone: dobbiamo aver paura? Dobbiamo tradire il nostro compito? Dobbiamo aver paura della gente e ritirarci, cedere il passo? O avremo ti- more della nostra stessa solitudine e ci metteremo nei gregge? Oppure dobbiamo resistere?

    Cio che ho detto fin qui non significa per che uno deve perdurare in un genere di lavoro che non gli interessa, se appena ha forza di affrancarsene. Non significa contrastare lesperienza e il giudizio ponderato, perch si pensa di mostrare cosi come ci sta a cuore la nostra missione. Ma se uno ha ricono-

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    sciuto a proposito di un dato lavoro: Questo il mio posto, la mia professione, proprio quello che devo fare e poi si accorge, venuto il momento di decide- re, dei lati duri implicati anche da quella professione, allora non gli lecito di ritrarsene: deve tener duro, anche di fronte allincomprensione e allanimosit degli uomini. Coraggio, la tua insegna sventola contro colui che ti si oppone.

    Essere uomo significa essere fedeli a se stessi. E non c in questo punto alcuna differenza tra luomo e la donna, poich anche esser donna non significa, fondamentalmente, nientaltro che divenire, libera- mente, una creatura consapevole e fedele.

    Poco fa si detto che uomo chi da solo sa per- sistere nei suo essere, nei proprio destino, nei proprio compito. Questo esatto solo a meta. Quel da solo significa soltanto senza la collaborazione di altri uomini. Ma qualcuno sempre al nostro fianco e solo stando con Lui si pu arrivare a concludere qualche cosa: Dio. C anche chi vuole resistere, chi vuol fare senza Dio. Ma non si tratta che di un selvag- gio Stringer di denti, e qualche cosa dentro di noi si irrigidisce. Dio ce ne guardi! Solo in Lui ogni cosa assume tutto il suo vero volto: il nostro stesso essere, perch Egli lha creato; il nostro destino, perch Egli lha disposto; lopera, perch Egli ci ha chiamati ad essa. Dio ci da la forza di plasmare il nostro essere per renderlo libero e completo; ci d la forza di vin- cere il destino; di attuare la nostra missione. Egli ci sta accanto e cosi la nostra solitudine in Dio. Ha fat- to ancora di pi. Egli ha saputo resistere prima di noi e per noi nella pi terribile delle solitudini: sulla cro- ce. E ai piedi della croce stavano una donna e un uo-

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  • mo, Maria e Giovanni. Solo loro. Tuttintomo era un coro di schemi e di bestemmie. Ma essi non cedeva- no. Vedi, questa per luomo e per la donna la pi profonda delle conquiste: saper star solo sotto la cro- ce, in nome di Cristo. Una volta siamo stati consacra- ti per poter dare tale prova di valore: quando abbiamo ricevuto il sacramento della Cresima. Allora lo Spirito Santo ci ha confermati per renderci uomini e donne santificati nel Signore. Con cio ha fine quella tendenza ad aggrapparsi che una traccia di infan- tilismo in noi. Finisce ogni forma di tentennamento nel giovane. Finalmente possiamo reggerci saldamen- te in piedi.

    Abbiamo percorso un ampio giro, non vero, per arrivare, prendendo le mosse dal gioco, a un mistero tanto arduo? Ma stato un vero cammino perch, passo dopo passo, ci ha condotti, da quel punto di partenza, fin qui. Chi compie il primo passo con buo- ne disposizioni, si trova al secondo, e il secondo passo lo awia al terzo, e cosi via.

    Sara ora chiaro anche cosa voglia dire: invecchiare bene. Chi invecchiato cosi ha vinto cio che di duro e di faticoso implicito nellumana condizione. Per lui tutto ormai chiaro e libero. Egli possiede di nuo- vo la semplice confidenza del bimbo e la sua limpida gioia. Ed ora il sacro cerchio della vita si chiuso: in- fanzia e maturit sono diventate una cosa sola. Ora viene il tempo delletemita.

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    LETTERA SETTIMA

    L A LIBERT

    La parola libero diventata per molti qualche cosa di nebuloso in cui non viene scorto nulla di di- stinto. Ma proprio su questo punto importante veder chiaro: metteremo dunque da parte d che soltanto espressione verbale o sentimento. Bisogna guardar at- tentamente, distinguere con chiarezza. Non bisogna girare attorno ai problemi: con tale sistema non si ap- proda a nulla in questa questione. Piuttosto vogliamo cercare una risposta soddisfacente alla domanda: chi libero? Quando qualcuno ha il diritto di dirsi libero? Si tratta di schizzare il ritratto delluomo veramente libero. In questa nostra esposizione scarsegge- ranno i motivi deffetto; ma non ce ne lasceremo turbare. Cio che molto caricato non sempre schietto; cela dietro di s una gran parte di inganno. Noi vogliamo fare un buon lavoro, un lavoro darti- gianato: schietto e duraturo.

    Cominciamo dagli elementi pi prossimi: si chia- mera libero un uomo che puo fare cio che vuole; se ha la liberta esteriore di prendere decisioni, di muo- versi. Accade a qualcuno che superiori e congiunti gli facciano prescrizioni su ogni cosa. Sotto questo punto di vista naturalmente egli non libero. Vuol fare un viaggio e non puo, gli piacerebbe far parte di un gruppo, ma gli proibito; si occuperebbe volentieri

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