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Riassunti di Scenari del Mondo Contemporaneo FORMAZIONE DEGLI STATI-NAZIONE : Gran parte della storia contemporanea trae le sue fondamenta dalla rivoluzione industriale. Si tratta di quello sviluppo manifatturiero della Gran Bretagna a cavallo tra il 700 e l’800. Il termine “Rivoluzione”, però, può contenere delle forti ambiguità, in quanto rievoca l’immagine di un cambiamento improvviso, mentre sappiamo che il periodo di trasformazioni è profondo ma graduale. Ciò che consente un maggior vantaggio all’Inghilterra rispetto agli altri paesi europei, è la grande concentrazione e crescita demografica, legata al parallelo progresso agricolo. Inoltre, vi era un sistema politico e istituzionale stabile, con forme di rappresentanza socialmente assai limitate, ma regolari. Si realizzò qui la privatizzazione della terra, in anticipo rispetto agli altri paesi europei. La proprietà era senza limitazioni di tipo feudale e senza contadini. Dominava una conduzione fondata sull’affitto a locatari provvisti di un certo capitale che impiegavano lavoratori salariati. Si rinnovò la produzione agricola con l’introduzione delle foraggiere nella rotazione delle colture che si succedevano sullo stesso terreno: in questo modo si ebbe un forte aumento della popolazione (sempre a cavallo tra 700 e 800), e ciò permise a una quota degli addetti di lasciare la campagna per dedicarsi al lavoro industriale. Un’importantissima innovazione fu la Navetta (elemento mobile del telaio che velocizzava il passaggio del filo della trama attraverso l’ordito (1733), seguita dall’introduzione della macchina a vapore (Watt – 1769). L’industria britannica si occupava in gran parte della produzione di tessuti in cotone, e quindi la lavorazione di quest’ultimo: lo slancio dell’industria cotoniera era dato dalla dimensione modesta e poco costosa degli impianti, dal facile reperimento della forza lavoro e dalla crescita demografica. Inoltre, il rifornimento della materia prima avveniva in maniera stabile in quanto proveniente dalle ex colonie americane. L’industria del cotone necessitava però dell’estrazione del carbone, che sostituiva l’uso della legna come combustibile.

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Page 1: R3GISTRAZIONI · Web viewIl movimento fascista non aveva un vero e proprio programma politico, ma raccoglieva una serie di istanze e di linee principali, anche contrastanti tra loro,

Riassunti di Scenari del Mondo ContemporaneoFORMAZIONE DEGLI STATI-NAZIONE: Gran parte della storia contemporanea trae le sue fondamenta dalla rivoluzione industriale. Si tratta di quello sviluppo manifatturiero della Gran Bretagna a cavallo tra il 700 e l’800. Il termine “Rivoluzione”, però, può contenere delle forti ambiguità, in quanto rievoca l’immagine di un cambiamento improvviso, mentre sappiamo che il periodo di trasformazioni è profondo ma graduale. Ciò che consente un maggior vantaggio all’Inghilterra rispetto agli altri paesi europei, è la grande concentrazione e crescita demografica, legata al parallelo progresso agricolo. Inoltre, vi era un sistema politico e istituzionale stabile, con forme di rappresentanza socialmente assai limitate, ma regolari. Si realizzò qui la privatizzazione della terra, in anticipo rispetto agli altri paesi europei. La proprietà era senza limitazioni di tipo feudale e senza contadini. Dominava una conduzione fondata sull’affitto a locatari provvisti di un certo capitale che impiegavano lavoratori salariati.

Si rinnovò la produzione agricola con l’introduzione delle foraggiere nella rotazione delle colture che si succedevano sullo stesso terreno: in questo modo si ebbe un forte aumento della popolazione (sempre a cavallo tra 700 e 800), e ciò permise a una quota degli addetti di lasciare la campagna per dedicarsi al lavoro industriale. Un’importantissima innovazione fu la Navetta (elemento mobile del telaio che velocizzava il passaggio del filo della trama attraverso l’ordito (1733), seguita dall’introduzione della macchina a vapore (Watt – 1769). L’industria britannica si occupava in gran parte della produzione di tessuti in cotone, e quindi la lavorazione di quest’ultimo: lo slancio dell’industria cotoniera era dato dalla dimensione modesta e poco costosa degli impianti, dal facile reperimento della forza lavoro e dalla crescita demografica. Inoltre, il rifornimento della materia prima avveniva in maniera stabile in quanto proveniente dalle ex colonie americane. L’industria del cotone necessitava però dell’estrazione del carbone, che sostituiva l’uso della legna come combustibile. L’agricoltura e l’industria sempre più meccanizzate richiedevano ferro per la fabbricazione di attrezzi e macchinari.

IMPATTO SOCIALE: Tuttavia, a mantenere in piedi la produzione e l’industria vi erano i lavoratori, costituiti in larga parte da donne e bambini, poco costosi e facilmente controllabili. Le condizioni di lavoro erano faticose e logoranti, alimentavano forme di opposizione e tensioni e generavano movimenti di Luddismo (operai in protesta che distruggevano le macchine da produzione) e il movimento Cartista (chiedeva maggiori diritti al lavoratore). Per la prima volta (1842) fu emanata una legge che provò a disciplinare il lavoro di fabbrica: essa non ebbe un grande risvolto, ma per la prima volta si ruppe l’idea che il lavoro dovesse essere regolato dalla libera contrattazione delle parti e restare fuori dagli interventi del governo.

IL RESTO DELL’EUROPA: Il resto dell’Europa era assai più indietro. I pochi elementi di rinnovamento venivano dalle colonie di imprenditori e mercanti stranieri che diffondevano un patrimonio di relazioni, saperi specifici, novi atteggiamenti gestionali. D’altra parte, però, il periodo napoleonico portò una ventata di rinnovamento nelle amministrazioni pubbliche, nelle burocrazie dello stato, nei sistemi legislativi: si cancellò quasi del tutto il sistema feudale. Nascevano le novità degli anni 30, i primi studi sulla chimica organica (di Liebig) e la fisiologia delle piante, la diffusione della nave a vapore, le costruzioni ferroviarie e molto altro ancora.

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IL CONGRESSO DI VIENNA: Il Congresso di Vienna (1814 - 1815) fu organizzato dalle potenze europee che avevano avuto ragione delle armate napoleoniche (Gran Bretagna, Austria, Prussia e Russia) al fine di ridisegnare i confini degli stati e creare le condizioni di una pace duratura, sia pure armata, dell’Europa. Lo scopo del Congresso, però, era anche quello di ripristinare la legittimità della monarchia riducendo i moti rivoluzionari scaturiti dall’eccessiva libertà del popolo. Dietro la formula di “Concerto europeo”, voluto dal Congresso di Vienna, si celava la preoccupazione per futuri rafforzamenti di alcuni stati a spese di altri. Ecco quindi che il progetto intendeva anche frenare le tentazioni espansionistiche di alcuni stati.

I pericoli maggiori venivano dalla Francia (che già aveva esportato i suoi furori rivoluzionari): essa, dunque, fu stretta tra i Paesi Bassi (Belgio, Olanda e Lussemburgo), e il Regno di Sardegna fu rafforzato con l’acquisizione dell’ex repubblica genovese. Alla Prussia furono attribuiti alcuni territori limitrofi (es. Sassonia), e l’Austria venne restituita al suo ruolo di gendarme delle regioni italiane (possedeva anche il Veneto): in questo caso in principi imparentati con la famiglia imperiale e l’accordo militare con Ferdinando IV di Napoli e poi Ferdinando I del Regno delle due Sicilie assicurarono il controllo diretto dei piccoli regni dell’Italia centrale.

La Russia fu accontentata con l’annessione di gran parte della Polonia, a spese dell’Impero ottomano e della Finlandia, sottratta alla Svezia, a sua volta risarcita con la Norvegia.

I VERI SCOPI DEL CONGRESSO: Il Congresso rafforzava quindi il rifiuto della sovranità popolare e lo spazio concesso alla chiesa, rappresentato dalla Santa Alleanza, che costituiva lo strumento creato da Russia, Prussia e Austria per assicurare il mantenimento degli equilibri sanciti dal congresso stesso. Non a caso il testo dell’accordo era pieno di riferimenti religiosi, e alludeva esplicitamente all’origine divina della monarchia, che legittimava l’autorità contro le pretese dei sostenitori della sovranità popolare: è chiaro che il potere monarchico aveva ormai paura di essere spodestato dal popolo, quest’ultimo spinto dalle speranze date dalla rivoluzione francese napoleonica. Il cittadino infatti aveva imparato a pretendere un rapporto individuale con esso, senza mediazioni: la divisione in ceti della società di antico regime era ormai al collasso.

Ovunque, inoltre, la minaccia francese contribuì a creare un diffuso senso di identità nazionale che sollecitava cambiamenti istituzionali e forme di rappresentanza politica in forte contrasto con i princìpi sanciti nella Santa o nella Quadruplice Alleanza: il popolo si stava svegliando, e l’arte dell’incantare il popolo era ormai un’arma vana, o quasi. Nelle regioni europee conquistate da Napoleone si erano create riforme istituzionali ed erano state riorganizzate le burocrazie statali: i gruppi sociali avrebbero opposto senz’altro resistenza a qualsiasi tentativo di restaurazione dell’ordine sociale preesistente. Il popolo chiedeva il riconoscimento dei diritti fondamentali, e in alcuni casi (come in quello di Luigi XVIII in Francia – 1814) fu concessa una costituzione (Regno dei Paesi Bassi, Granducato di Sassonia-Weimar, Baviera, Prussia Renana, Regno delle due Sicile, Ducato di Parma, ecc).

RIVOLUZIONI: Gli obiettivi del Congresso di Vienna erano impossibili, perché l’Europa post-1815 era troppo mutata rispetto a quella degli anni precedenti alla rivoluzione francese. Negli anni successivi ad essa, un’opposizione crescente alla costituzione inglese attraversava tutti i gruppi sociali legati al commercio e all’impresa. Questi gruppi, in Gran Bretagna, si schieravano contro le posizioni ideologiche di Whigs e Tories (le due principali forze politiche), e diedero origine a una cultura radicale: il radicalismo britannico trovava un elemento in comune nella Riforma del sistema

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elettorale, ma conteneva anche diverse ambiguità. Questo perché i radicali della Middle class invocavano la riforma parlamentare per affermare l’ideale del libero mercato (pro gruppi commerciali e imprenditori), mentre dall’altra parte la Working class mirava a proteggere il proprio standard di vita contro la deregolamentazione economica e il Laissez-faire (liberismo).

In Russia, il movimento fu nutrito di aspirazioni democratiche e di libertà politica. Nel 1825, nel giorno dell’incoronazione dello zar Nicola I, il tentativo insurrezionale organizzato dagli ufficiali della guardia imperiale venne rapidamente soffocato. Diverso fu il caso della Grecia, che combatté esclusivamente per ottenere l’indipendenza dall’Impero ottomano. In moltissimi casi, militanti liberali moderati, radicali democratici, e socialisti, tra il 1815 e la metà del secolo si allearono e si scontrarono ripetutamente, ma solo raramente si separarono perché legati nella lotta contro lo stesso nemico: l’unione dei principi assolutisti voluta in maniera celata e subliminale dal Congresso di Vienna.

ALLEANZE TRA MOTI: Si era generata ormai una sorta di comunità internazionale, animata dallo stesso progetto di emancipazione. I moti rivoluzionari, infatti, si sviluppavano in un paese e nell’altro con numerosi caratteri in comune, troppi per non pensare che vi fossero delle relazioni dirette tra un avvenimento e l’altro. Queste comunità di rivoluzionari possedevano numerosi elementi che favorivano la loro coesione, e contribuivano a omogeneizzare modelli di vita, obiettivi, strategie politiche. I vari gruppi rivoluzionari comunicavano tra loro grazie all’intermediazione dei viaggiatori, ponti a simpatizzare con gli esuli e a condividerne le aspirazioni. I moti del 1820-21, non a caso, coinvolsero più o meno contemporaneamente Spagna, Portogallo, Regno delle due Sicilie, Piemonte, Grecia. Nel 1830-31 fu il momento della Francia (Rivoluzione di luglio), ui fecero seguito Belgio, Italia centro-settentrionale, e Polonia. Nel 1848 la rivoluzione infiammò praticamente l’intera Europa, con l’esclusione della Gran Bretagna e dell’Impero zarista. Si trattava di vere e proprie sfide al disegno politico e territoriale uscito dal Congresso di Vienna: sfide che nella maggior parte dei casi condussero alla sconfitta.

VINCITE: Ma bisogna ricordare alcuni esiti fortunati, come l’indipendenza della Grecia, aiutata notevolmente dalla Russia, che aveva interesse ad indebolire l’Impero ottomano per porre sotto la sua egemonia le popolazioni slave della penisola balcanica, e spinta dall’Eterìa, società segreta greca. Dopo la sconfitta navale inflitta a Navarrino dalla flotta anglo-franco-russa a quella turco-egiziana, si giunse alla pace di Adrianopoli (1829) e all’indipendenza greca. Questa vicenda rappresentava la prima smentita dell’accordo di Vienna, ed era la prova che la questione d’oriente non poteva più essere un problema esclusivo, ma doveva diventare un affare internazionale, con forti implicazioni sugli squilibri europei.

SCONFITTE: Meno fortunate furono invece le contemporanee vicende rivoluzionarie del Regno delle due Sicilie, del Piemonte, del Porto gallo e della Spagna. Inaugurate tutte dal moto scoppiato in Spagna nel 1820, le rivoluzioni ebbero caratteri comuni: tutte puntavano ad imporre un sistema costituzionale, prendendo ad esempio il testo della costituzione liberale spagnola (1812), ma tutte furono represse. Anche in America Latina si accendevano spinte indipendentiste nei confronti di Spagna e Portogallo. Il gruppo dirigente di questi movimenti era costituito dai Creoli, popolazione bianca erede dei primi colonizzatori. Essi si erano impadroniti delle principali posizioni di potere politico-economico. L’esercito spagnolo, però, nel 1815 trovò le forze per riconquistare quasi tutto

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il territorio coloniale. Si trarrò di una vittoria di breve durata, perché stavano ormai nascendo nuove unità statali indipendenti, come Gran Colombia, Argentina, Brasile, Perù ecc.

Nel caso del Brasile, la costituzione dell’impero indipendente fu dichiarata dall’erede al trono del Portogallo (Pedro I). In Messico, invece, il generale spagnolo Augustìn de Itùrbide assunse la corona di imperatore. Tuttavia, i nuovi organismi poggiavano su basi sociali fragili, la popolazione era ignorante e povera, e si conservava un carattere feudale. Un progresso fu però l’abolizione della schiavitù in tutti i territori ex coloniali. I capi militari però sfruttavano la debolezza dei propri stati per realizzare colpi di stato e per imporre dittature personali. Inoltre i singoli nuovi paesi si frammentarono a lungo andare: per esempio, la Gran Colombia si scisse in Venezuela, Colombia e Ecuador. Sul piano economico, la subordinazione agli interessi commerciali della Gran Bretagna, l’esportazione pressoché esclusiva di prodotti agricoli e del sottosuolo, condannavano i paesi latinoamericani ai meccanismi dello scambio ineguale tra materie prime e manufatti industriali e, quindi, al sottosviluppo.

L’ONDATA RIVOLUZIONARIA DEL 1830-31: Sia in Europa che in America latina, nel periodo delle rivoluzioni (1815 in poi), le società segrete giocarono un ruolo decisivo nel disegnare un gruppo dirigente rivoluzionario. Esse si erano uniformate al modello delle logge massoniche da cui avevano ripreso gerarchie, formule retoriche, ritualismo simbolico per attrarre a sé un maggior numero possibile di aderenti. Una delle società segrete più note è la Carboneria, nata agli inizi dell’800 in Francia e diffusa poi in Germania, Spagna e Italia meridionale. Tuttavia, il sistema cospirativo carbonaro scomparse a poco a poco a causa della concorrente mazziniana “Giovane Italia”.

L’ondata delle rivoluzioni di metà secolo, quindi successive a quelle iniziate nel 1815, erano meno elitiarie, e vi era ora una maggior partecipazione di ceti medi e gruppi popolari. I frequenti tentativi di Carlo X (Francia) di abolire le libertà costituzionali garantite dalla carta del 1814, l’appoggio al clero e all’aristocrazia, avevano saldato un fronte di opposizione che comprendeva rappresentanti del mondo degli affari e della finanza, professionisti, dipendenti pubblici e artigiani. La goccia che fece traboccare il vaso furono le ordinanze con cui il sovrano sopprimeva la libertà di stampa, scioglieva la Camera, modificava la legge elettorale: era il 1830, e il popolo, guidato da repubblicani e bonapartisti, costrinse il sovrano all’abdicazione e all’esilio.

Il paese (Francia) fu consegnato a Luigi Filippo d’Orléans, che dal 1815 era riuscito a guadagnarsi le simpatie dei gruppi di borghesia moderata. La sua particolarità, è che fu proclamato “Re dei francesi per volontà della nazione”, e non re di Francia, e ciò serviva a negare ogni forma di sovranità popolar: non a caso egli non riuscì a mantenere a lungo la maschera di re liberale e vicino ai cittadini, e dunque scivolò vero una politica conservatrice autoritaria. Uno dei ministri che si successe nel regno di Luigi Filippo era Guizot. Nel 1833, la riforma dell’insegnamento fu curata proprio dal ministro Guizot, e prevedeva che i comuni dovessero possedere una scuola elementare con maestro retribuito (e diplomato), accogliendo i fanciulli di famiglie povere. Egli intendeva istruire i cittadini, con una moralità cristiana ma non necessariamente cattolica.

NEL RESTO D’EUROPA: L’insurrezione di Bruxelles e del Belgio intero obbligarono le potenze europee (costrette al non intervento dall’opposizione di Francia e Gran Bretagna) a riconoscere l’indipendenza del Belgio. Il regno belga era liberale moderato e costituzionale: fu affidato a Leopoldo di Sassonia-Coburgo. Meno fortunato fu invece il tentativo insurrezionale italiano che,

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oltre ad essere uno degli ultimi moti rivoluzionari degli anni 30 dell’800, fu soffocato dall’esercito austriaco. Stessa sorte ricevette la Polonia, (fermata dall’esercito Russo). Lo scenario rivoluzionario degli anni 30 fu completato quindi dalle agitazioni in Germania, Polonia, Italia, Belgio, Svizzera, Spagna e Portogallo.

RIFORME e PROTESTE in GRAN BRETAGNA: L’ondata di protesta generatasi in Europa non aveva di fatto evitato la Gran Bretagna. L’unica differenza, però, consisteva nel fatto che le proteste e il dissenso avevano degli spazi in cui esprimersi legittimamente (istituzioni o associazioni). Il parlamento britannico consentiva quindi in molti casi di evitare le ribellioni violente (un esempio è il riconoscimento dei diritti politici per le minoranze religiose). La riforma elettorale del 1832, in Inghilterra non ebbe risvolti eccessivamente accesi, in quanto il paese fu capace di rispondere ad una diffusa richiesta di democrazia parlamentare. Tuttavia, è necessario considerare che con la nuova legge del 1834, riguardante l’assistenza ai poveri (workhouses), gli ospizi diventavano luoghi di sofferenza e segregazione: non a caso le riforme degli anni 30 crearono una delle più vaste ondate di protesta che l’Inghilterra conobbe.

- IL CARTISMO: Il cartismo è un movimento che si sviluppò tra il 1838 e il 1848 a causa di una serie di richieste di riforma parlamentare. Si chiedeva una “carta del popolo”, che fu poi scritta quasi interamente da William Lovett. Si trattava grossomodo di un disegno di legge presentato al parlamento, ed era articolato in sei richieste per regolare la rappresentanza, ossia: suffragio universale maschile, abolizione dei requisiti di censo per l’elettorato passivo, voto segreto, pagamento dei membri del parlamento, legislature annuali. Ulteriore pressione fu esercitata dalla Lega (fondata nel 1838), un movimento per la abolizione della legge sul grano: il suo scopo era eliminare le leggi che imponevano il dazio sull’importazione del grano (ci riuscirono nel 1846).

RIVOLUZIONI DEL 1848: Nel 1848 si realizzò una di quelle straordinarie accelerazioni della storia che sembrano mettere tutto in movimento: la Francia, gli stati italiani e tedeschi, l’Austria furono trascinati in una spirale rivoluzionaria che non produsse immediatamente risultati rilevanti, ma creò le premesse dei profondi cambiamenti che sarebbero avvenuti nei secoli successivi. Si esigeva una nuova definizione dei poteri dello stato, maggiore libertà e spirito nazionalista. Un carattere comune essenziale delle rivoluzioni era la partecipazione dei gruppi popolari e una spinta dal basso che aumentava la presenza delle componenti radicali. Il processo rivoluzionario era attentamente studiato per attirare a sé un maggior numero possibile di partecipanti; a tal fine vi era una figura di leadership esercitata da gruppi culturalmente superiori, capaci di rinnovare il linguaggio politico attraverso la stampa, il volantino e altri mezzi di comunicazione.

- IN FRANCIA: La crisi economica, i tentativi di Luigi Filippo e di Guizot di arrestare la campagna di opposizione, suscitarono la violenta risposta dei parigini nel febbraio del 1848: i rivoltosi proclamarono la repubblica, acclamando i vecchi temi della libertà e della cittadinanza per animare la rivolta. Alla rivoluzione presero parte i gruppi più poveri di Parigi. Fu proclamata la repubblica, fu esteso il voto a tutti gli uomini sopra in 21 anni, fu riconosciuto il diritto al lavoro, furono prese misure a tutela della proprietà privata, abolita la pena di morte. Inizialmente si formò un equilibrio composto da un governo provvisorio (democratici e repubblicani insieme), che però durò ben poco, in quanto alle elezioni dell’Assemblea costituente furono proprio i repubblicani a vincere. La violenta insurrezione operaia e socialista di giugno fu repressa nel sangue dai gruppi moderati e

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conservatori: a ciò seguirono la sospensione di tutte e iniziative patrocinate dai socialisti e la chiusura degli Ateliers nationaux (diritti al lavoro).

Intanto la Costituente consegnava al paese un parlamento monocamerale e un presidente della repubblica sul modello americano, eletto a suffragio universale. Luigi Napoleone vinse facilmente nelle elezioni alla più alta carica della repubblica. Ma egli attuò presto un colpo di stato, creando una nuova costituzione e concedendosi il potere assoluto (Luigi Napoleone assunse quindi il nome di Napoleone III). Nacque così il Secondo impero (1852).

- IN GERMANIA: La rivolta di Berlino e di numerosi altri stati della Confederazione portò a due risultati principali: in Prussia furono concesse alcune limitate libertà civili e fu creato un parlamento. A Francoforte, invece, fu creata un’assemblea col compito di definire un nuovo assetto costituzionale per la Confederazione. Nel 1849 fu approvata una costituzione a favore di una Germania centrata sulla Prussia e senza l’Austria (piccoli tedeschi): la corona fu offerta a Federico Guglielmo IV di Prussia, anche se egli non era disposto a scambiare una corona per diritto divino con una offertagli dal popolo.

- IN ITALIA: Dopo il 48, una minoranza combattiva si era impegnata per ottenere riforme istituzionali e sistemi costituzionali. Tuttavia, successivamente l’aspirazione all’unificazione nazionale cessò di essere una prerogativa delle società segrete. Allo stesso tempo, vi era un forte impegno e interesse nella guerra per strappare il Lombardo-Veneto all’Austria. Dopo la rivolta di Vienna e l’insurrezione austriaca di Milano (le cinque giornate), Carlo Alberto dichiarò guerra all’Austria. Fu un atto che gli costò caro, in quanto si sperava nell’aiuto del Papa, il quale però prese le distanze e si rifiutò di mandare i propri contingenti: forse anche a causa di ciò, l’esercito piemontese fu sconfitto nel 48 a Custoza. Successivamente fu proclamata la Prima repubblica romana retta da Mazzini, Armellini e Saffi: furono le armate della Francia bonapartista a vincere la resistenza della repubblica romana.

Carlo Alberto abdicò a seguito della sconfitta, e al suo posto salì al trono Vittorio Emanuele II, che mantenne in vigore la costituzione concessa da Carlo Alberto (Statuto albertino). Il Piemonte diventava quindi lo strumento propulsore del progetto di unificazione e uno spazio di elaborazione politica liberale che avrebbe garantito un personale affidabile al nuovo stato unitario.

- MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA: Il 1848 era l’anno in cui veniva pubblicato a Londra (ma in tedesco) il “Manifesto del partito comunista”, scritto da Karl Marx con la collaborazione di Engels, su incarico della Lega dei comunisti. Il Manifesto fu creato grazie all’incontro di Marx e Engels con le organizzazione operaie. La Prima Internazionale (1864, Londra) trovò nel Manifesto i princìpi essenziali del suo programma politico.

NAZIONALISMI: Nel 48 lo sviluppo del movimento nazionalista trovò un alleato nella piccola borghesia terriera e in un ceto medio che cresceva: i più sensibili al fenomeno nazionalista furono i gruppi a più alto livello culturale. Lo stato doveva rinnovarsi con uno spirito di sovranità popolare, garantendo ai cittadini il benessere collettivo e la tutela delle libertà individuali. Un importante obiettivo politico era il suffragio universale. Si può notare che la diffusione del nazionalismo andava di pari passo con l’istruzione e con lo sviluppo economico; e che esso si affermava soprattutto all’interno degli stati e nazioni che erano rinchiusi in contesti statuali plurinazionali.

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L’Impero ottomano, nel 1853, fu sconfitto in una battaglia navale dai Russi, ma i turchi erano alleati con Gran Bretagna, Francia e Piemonte. L’assedio di Sebastopoli finì solo nel 1855, e l’anno successivo il congresso di Parigi imponeva alla Russia il rispetto dei confini dell’Impero ottomano. La corrente di Russofobia generò soprattutto in Gran Bretagna un’ondata patriottica. Il Piemonte, che partecipò a fianco di Francia e Gran Bretagna, sfruttò il momento per richiamare (nel congresso di Parigi) l’attenzione sul problema della nazionalità italiana (poiché era un paese ad alto rischio di nuove rivoluzioni). Nel frattempo però nasceva la cosiddetta “questione d’oriente”, caratterizzata da una continua conflittualità tra la Russia e i territori dell’est Europa.

UNIFICAZIONE TEDESCA: A partire dal 1850, la Prussia e tutta l’area germanica non austriaca conobbero una grande fase di sviluppo economico. L’estensione dello Zollverein (area di libero scambio all’interno della stessa Confederazione germanica) a tutti gli stati della Confederazione fu un grande passo verso la crescita economica. La rete ferroviaria crebbe esponenzialmente in pochi anni, favorendo così lo scambio di materie prime come ad esempio il ferro: la Ruhr divenne una delle aree industriali più dinamiche d’Europa. Nacquero anche grandi banche miste, che concedevano credito a breve termine e assicuravano attività finanziarie e di investimento: ciò diede un grande impulso all’industrializzazione.

Negli anni 50 si ebbe anche una grande crescita demografica e un rilevante tasso di urbanizzazione. Tuttavia, la subordinazione dell’agricoltura all’industria comportò lo spostamento di ingenti quote della popolazione rurale verso i centri manifatturieri. I disagi e il disorientamento causati da questi spostamenti aumentarono la conflittualità all’interno della società e aprirono la strada alle teorie socialiste. Venne fondata l’Associazione generale degli operai tedeschi (1863) e il Partito operaio socialdemocratico (1869), che anticiparono il futuro Partito socialdemocratico tedesco (Spd – dopo il 1890).

- PRUSSIA vs AUSTRIA: L’indipendenza italiana dall’Austria suscitò simpatia per l’Italia da parte della Prussia, anche perché ciò aveva reso più evidente la crisi di identità che corrodeva l’Impero asburgico. Bismarck irruppe sulla scena politica prussiana in questo contesto: fu nominato nel 1862 primo ministro (conservatore) per riacquisire un equilibrio. Il suo scopo era indebolire il ruolo del parlamento (poiché non aveva approvato il bilancio per il peso delle spese militari) senza cedere alle tentazioni assolutistiche del sovrano, e dall’altra parte doveva riformare l’esercito assecondando le aspirazioni nazionali.

I nazionalisti vedevano nell’Impero asburgico un ostacolo al processo di unificazione del paese, in quanto Vienna non era d’accordo sul progetto espansionistico tedesco: nel 1866 Bismarck cominciò quindi la guerra contro l’Austria e alcuni piccoli stati della Confederazione germanica. La vittoria prussiana a Sadowa decretò la sconfitta dell’Austria, nonostante le sconfitte italiane a Custoza e Lissa. Così, pur senza merito, l’Italia otteneva il Veneto, e la Prussia invece guadagnava territori della Danimarca e la città di Francoforte. Il nuovo sistema istituzionale tedesco era regolato da un organismo esecutivo (sovrano prussiano), dal cancelliere Bismarck, e da un consiglio federale (Bundesrat) eletto a suffragio maschile: nasceva la Confederazione della Germania del Nord.

Bismarck è consapevole che l’unificazione non è un progetto poi così impossibile da realizzare, poiché in Germania già esisteva una “cultura tedesca”, improntata dall’alfabetismo pre-esistente, dalla scolarizzazione e da un grado elevato (rispetto ad altri paesi) di istruzione. Ecco perché la Germania possiede da sempre un’unità solida (grazie anche alla lettura della Bibbia proposta da

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Lutero), rispetto ad esempio all’Italia, che invece possedeva piccoli stati interni frammentati e esternamente poco dinamici.

- AUSTRIA: A causa della sconfitta e della grande frammentazione al suo interno, la situazione nell’Impero asburgico si faceva sempre più complicata. Il governo asburgico tentò di dare un nuovo ordine all’impero, rispondendo alle richieste di autonomia che provenivano dalle varie nazionalità. Ciò portò alla separazione dell’Impero d’Austria dal Regno d’Ungheria. I due organismi statuali però condividevano l’autorità della corona asburgica, la politica estera ed economica e le forze armato. Rimanevano dunque propri e distinti solo i parlamenti e le istituzioni amministrative. Dalla separazione, tuttavia, erano nati due nuovi piccoli imperi, dove si riproponevano gli stessi problemi presenti in quello da cui erano nati.

CADUTA DEL SECONDO IMPERO (FRANCIA): Forti ambiguità politiche contrassegnavano il ventennio del Secondo impero. Il Bonapartismo trovò nella forma di consultazione popolare (due plebisciti) lo strumento più adeguato per saldare autoritarismo e consenso. Impero e democrazia però rimanevano separati: da una parte, a sostenere l’impero vi erano i contadini, la chiesa, il personale burocratico e militare. Dall’altra parte, il proletariato industriale, i giovani e gli intellettuali appoggiavano la democrazia e la repubblica.

Il ventennio napoleonico può essere suddiviso un due fasi: una autoritaria e dittatoriale, l’altra più liberale e attenta al richiamo delle nazioni senza stato (ciò che spinse l’imperatore ad appoggiare la causa italiana contro l’Austria). Napoleone III possedeva una politica estera forte e aggressiva: ma fu proprio questa che alla fine deluse le sue aspettative e che lo portò alla catastrofe dello scontro con la Prussia. Inoltre, la neutralità assunta durante il conflitto austro-prussiano lasciava la Francia completamente sola a fronteggiare il pericolo prussiano. Di fatto, la Francia dichiarò guerra alla Prussia, ma nel 1870 venne sconfitta a Sedan, ponendo fine al Secondo impero e inaugurando la Terza repubblica tanto desiderata dai liberali.

Nel 1871 il governo provvisorio di Thiers accettò la pace con condizioni umilianti, come ad esempio la cessione dell’Alsazia e la Lorena alla Prussia. Ma il popolo parigino, che aveva difeso un anno prima la città, respinse questo accordo. Il movimento socialista francese invocò l’elettività di tutte le cariche pubbliche, salari uguali per tutti, interruzione dei finanziamenti pubblici alla chiesa, gestione sociale delle imprese abbandonate dagli imprenditori. Ma nonostante la resistenza dei francesi, il generale prussiano MacMahon conquistò la città. La ripetuta sconfitta della Francia concluse il percorso di unificazione degli stati tedeschi: Guglielmo I divenne l’imperatore, e si ribadiva la centralità dell’esercito nel futuro Secondo Reich.

UNIFICAZIONE ITALIANA: Anche in Italia l’unificazione ebbe una forte connotazione militare, in quanto era apparentemente una guerra di liberazione dalla presenza straniera sul territorio. Ed anche qui, i gruppi liberali moderati desideravano un paese indipendente, con una monarchia costituzionale e un parlamento espresso da un’area ristretta di elettori. L’altro grosso filone, pur minoritario, era quello repubblicano e mazziniano. Il Regno di Sardegna aveva il maggior peso politico su tutta la penisola circa l’unificazione. In Piemonte era nata quindi una vita parlamentare, con elezioni libere: il governo, pur essendo espressione della volontà del sovrano, doveva ottenere la fiducia del parlamento.

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L’Italia prospettata dagli accordi stipulati con la Francia a Plombières (1858), in cui si intendeva l’appoggio francese nello scontro con l’Austria, risultava divisa in tre parti: Regno dei Savoia (Sardegna, Lombardia e Veneto, ma senza Nizza e Savoia, cedute alla Francia), un Regno dell’Italia centrale (Granducato di Toscana, Stato Pontificio), e una confederazione italiana (Regno dell’alta Italia, dell’Italia centrale e il Regno delle due Sicilie sotto la presidenza del papa, che avrebbe conservato la sovranità sulla sola città di Roma). Repubblicani e democratici dovettero cedere la direzione ai liberal-moderati.

Il nuovo Regno d’Italia nasceva quindi già fragile, in quanto non vi era un’omogenea “cultura italiana”, e bisognava ricostruire la trama civile, politica, istituzionale del nuovo stato, che dunque non possedeva un’amministrazione uguale su tutto il territorio. Non vi erano infrastrutture e un sistema ferroviario che collegassero le aree più isolate ai centri più dinamici del paese. Non esisteva una struttura scolastica (analfabetismo) e universitaria o un sistema per a formazione professionale che funzionasse in maniera equa da nord a sud. Si andava inoltre da un’economia largamente industriale a Nord e una invece prettamente feudale al sud. Vi era però un asso nella manica che il nuovo Regno doveva sfruttare: il ruolo della Chiesa. Essa era l’unica istituzione omogeneamente diffusa in tutto il territorio, profondamente cattolico: ciò avrebbe reso più facili i processi di unificazione.

Il governo della Destra storica, presieduto da Cavour, sin dal primo decennio dall’unificazione scelse la strada dell’estensione del sistema piemontese su tutto il territorio nazionale. Veniva quindi applicato in tutto il paese lo Statuto Albertino, la normativa elettorale (diritto di voto a una piccola percentale della popolazione), la legislazione civile, amministrativa e penale. Si preferiva un’amministrazione centralizzata (presieduta dal prefetto), in quanto si aveva il timore di insorgenze legittimiste. La Destra storica consentì il pareggio del bilancio nel 1876, grazie alla costruzione della rete ferroviaria, l’unificazione monetaria e tributaria, il riordino della finanza pubblica (si ricorda che tutti i debiti dei singoli stati italiani diventavano ora un unico grande debito di cui il Regno intero doveva assumersi la responsabilità).

I rapporti tra Regno e Santa sede si aggravarono ulteriormente a causa della conquista di Roma da parte di Garibaldi (Breccia di Porta Pia), che coincise con la caduta di Napoleone III. Così, Pio IX nel 1874, con il Non expedit, proibì ai cattolici di partecipare alla vita politica del nuovo stato: fu un colpo basso, in quanto il popolo italiano era largamente cattolico. La frattura con la chiesa fu sanata solo nel 1929 coi Patti lateranensi.

STATI UNITI: I modelli politici francesi e inglesi influenzarono fortemente questo nuovo paese, ancora alla ricerca di un equilibrio tra i singoli stati e le istituzioni federali. Due erano le maggiori fazioni statunitensi:

- I Federalisti, che avevano in Alexander Hamilton il principale esponente, ritenevano necessario un governo centrale forte, con ampi poteri rispetto agli stati e capace di regolare l’Unione all’interno di un sistema costituzionale equilibrato. Essi erano i gruppi mercantili e imprenditoriali degli stati del Nord, e ponevano come obiettivo centrale stabilità politica economica, solidità della finanza pubblica, e protezionismo.

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- I Repubblicani invece avevano come rappresentante Jefferson, ed erano più tendenti a governi centrali con poteri limitati, fondati sul consenso popolare, alla ricerca del benessere collettivo. Essi erano i grandi agricoltori del Sud.

Il nuovo secolo (1800) portò al governo i Repubblicani, anche se il sistema americano diventava ormai fondato su due organizzazioni di partito che si alternavano, in modo da rinnovare l’intero gruppo dirigente della federazione. Dai federalisti nacque il Partito repubblicano (1831), e nello stesso periodo nacque il Partito democratico. Un anno dopo (1832) le due fazioni scesero in campo per la prima volta l’una contro l’altra. Erano partiti di massa, strumenti essenziali per cogliere l’interesse collettivo e rispondere alle aspettative dei gruppi sociali a cui facevano riferimento. Entrambi i partiti, comunque, riconoscevano al governo federale il compito di dettare le linee della politica economica. Si sviluppò il sistema della distribuzione e sostituzione delle cariche più importanti (Spoils System).

Le vicende napoleoniche d’oltreoceano condizionarono la politica degli USA, e ne determinarono un coinvolgimento sul piano militare. Il mandato di confisca, da parte degli inglesi, delle navi americane (per cercare disertori), fu visto dagli Stati uniti come un’offesa per l’indipendenza delle ex colonie. Perciò, Jefferson rispose prima tagliando i commerci con la Gran Bretagna, e poi dichiarandole guerra. La guerra durò due anni, ma vedeva gli inglesi avvantaggiati. Ciò fece scaturire agli americani l’idea che gli Stati uniti non dovessero più dipendere dalla politica europea, a condizione che le potenze europee facessero altrettanto. Fu proprio il presidente Monroe che diede una dimensione politica a questi atteggiamenti: la “Dottrina Monroe” postulava l’inconciliabilità tra e monarchie europee e le repubbliche americane, ed impediva alle potenze europee di fondare altre colonie in America.

Dal 1820 in poi, gli Stati uniti conobbero un periodo di forte crescita demografica, territoriale ed economica, grazie soprattutto all’ampliamento della rete stradale, delle ferrovie e dei mezzi di trasporto. Si intensificò anche la navigazione fluviale, grazie ai battelli a vapore. Importantissimi furono anche i canali che raggiungevano i porti atlantici: da New York, infatti, nel 1850 partiva la metà delle merci esportate da tutti gli Stati Uniti. Le ferrovie furono un grande strumento di colonizzazione del paese. Lo spostamento verso ovest degli americani era cominciato molto prima, ma nel primo ventennio non era andato oltre la parte centrale del continente, e ciò fino al 1840. Alla fine del secolo, la colonizzazione si era estesa a tutto il continente e gli stati dell’Unione erano diventati 45. Gran parte del territorio, comunque, dovette essere strappato agli indiani nativi e difeso con le armi.

A proposito degli indiani, è noto “il caso degli indiani Cherokee della Georgia”. Una serie di trattati aveva riconosciuti ai Cherokee la dignità di nazione con cultura e leggi proprie. Tuttavia, la scoperta dell’oro nei loro territori spinse le autorità dello stato della Georgia a dichiarare nulli i diritti di possesso degli indiani. Nonostante la Corte suprema nel 1832 avesse riconosciuto l’illegittimità delle pretese della Georgia, le autorità statali (anche grazie al tacito appoggio del presidente Jackson) cacciarono gli indiani con le armi.

- GUERRA CIVILE: Negli USA scoppiò una guerra civile tra il 1861 e il 1865 a causa delle tensioni che accompagnarono il decollo di un’economia moderna. All’interno del grande paese vi erano interessi diversi: al Sud interessavano le piantagioni di cotone (e altre), con l’utilizzo prevalente degli schiavi. Il Nord invece era industriale, e la forza lavoro era costituita da uomini

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liberi. Vi erano quindi due progetti di sviluppo economico opposti: da una parte al Nord interessava il Protezionismo, e il Sud chiedeva il liberismo (per lo smercio dei propri prodotti all’estero), e un ulteriore contrasto era dato dal continuo utilizzo al Sud degli schiavi. Lo scontro si infiammò quando nel 1860 fu eletto Lincoln, repubblicano, protezionista e antischiavista.

Si crearono quindi degli stati secessionisti, affidati alla gestione di Jefferson Davis. La guerra tra i due organismi statuali scoppiò per volere di Lincoln: dovevano essere riportati con le armi all’interno dell’Unione. La schiavitù divenne una giustificazione per la guerra civile, che fu poi di fatto vinta dagli stati del Nord, i quali imposero a quelli secessionisti il loro modello economico. La guerra contò 600.000 morti e 400.000 feriti. Il Congresso attuò atteggiamenti punitivi contro gli stati del Sud, istituendo i Reconstruction Acts (1866), che imposero una dittatura militare negli stati del Sud. La “ricostruzione” durò circa 10 anni, e successivamente i poteri del governo federale si allargarono agli stati del Sud, completando (non senza contrasti) l’Unione (anche politica). Tra le novità ci furono l’emancipazione dei neri, la concessione del diritto di voto, la partecipazione dei neri nelle assemblee rappresentative nel Congresso. Ma gli stati del Sud tentarono di contrastare queste norme, generando ondate di ribellioni e di sette violente, come il Ku Klux Klan (1866 – Tennessee).

IMPERIALISMO E NAZIONALISMI: (1870 – 1918) L’Europa, tra l’Unificazione tedesca e il 1918 conobbe prima un periodo di pace, per poi passare ad uno scontro sanguinoso: la Prima guerra mondiale. Anche se le grandi potenze europee riuscivano ad impedire grandi guerre, rimanevano comunque confitti in paesi più piccoli e talvolta frammentati. Fu in questo clima di pace armata che si andarono definendo le alleanze strategiche tra i vari paesi, le stesse che poi avrebbero portato agli schieramenti della prima guerra mondiale.

Ma i problemi vi erano anche in campo economico. L’importazione dei cereali dagli Stati uniti, ad esempio, aveva recato non pochi danni all’economia europea, affrontati poi con restrizioni alla circolazione commerciale. Si creavano poi squilibri tra le campagne e i centri industrializzati, in quanto vi era una forte emigrazione verso i paesi a grande sviluppo economico. L’emigrazione degli Italiani, ad esempio, contribuì per l’88% alla perdita della popolazione nazionale. Lo sviluppo economico aveva inoltre favorito la nascita dei grandi magazzini, che consentivano ai clienti di conoscere meglio gli articoli in vendita. La modernizzazione era favorita anche dalla grande distribuzione e da catene di negozi di un’unica società, e dal marchio commerciale. Non bisogna dimenticare comunque che se da un lato crescevano vari gruppi sociali in alcuni spazi pubblici, dall’altro il progresso e i nuovi consumi accentuavano le disuguaglianze. Ad esempio, il teatro evidenziava la distanza tra le varie categorie (platea, loggione ecc).

Si allargava sempre di più la società di massa, con maggiore partecipazione in politica del popolo. Il diritto di voto fu esteso a lungo andare in quasi tutti i paesi europei tra il 1870 e il 1930 (mentre già entro il 1840 negli USA). L’ingresso delle masse in politica avvenne con la creazione di formazioni sociali con il compito di tutelare gli interessi dei lavoratori (sindacati, associazioni di mutuo soccorso e assicurazioni obbligatorie). Sorse ad esempio in Italia la Confederazione generale del lavoro (1906). Tutto ciò anche grazie alle formazioni socialiste (nasce la Seconda Internazionale), che avevano a modello l’Spd tedesco: i socialisti anticipavano i caratteri organizzativi dei moderni partiti politici.

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La scuola, inoltre, svolse un ruolo fondamentale nel processo di nazionalizzazione delle masse. Veniva insegnato a decifrare codici, simboli, formule ideologiche che esaltavano i valori della patria: la scuola contribuiva a predisporre la società a mobilitarsi in vista del suo sviluppo interno o della sua espansione all’obbligo scolastico. La creazione di grandi eserciti di massa a reclutamento obbligatorio (in tutti i paesi europei tranne la Gran Bretagna), funzionava come strumento della nazionalizzazione delle masse, ma anche come sistema di disciplinamento, indispensabile per inserire i società sostanzialmente simmetriche e gerarchiche.

L’ECONOMIA MONDIALE: Ciò che caratterizza principalmente l’economia mondiale è la correlazione tra i vari mercati, e la predisposizione sempre più nitida alla globalizzazione (dal punto di vista economico, per ora). Infatti, la politica imperialista delle potenze mondiali contribuì a tirare fuori dall’isolamento popolazioni fino ad all’ora ai margini del mondo. Aree come l’Africa erano ancora parzialmente inesplorate, mentre alla fine del secolo quasi tutto il continente africano era stato collegato col mercato internazionale. Ciò che velocizzava il processo di collegamenti era soprattutto la costruzione di nuove navi e flotte più grandi, veloci ed economiche.

Un elemento da non sottovalutare fu il Gold Standard, un sistema monetario fondato sulla piena convertibilità delle banconote in oro, in tutto il mondo. Tale sistema era largamente favorito dalla Gran Bretagna, centro del sistema e di maggior attrazione. Non a caso, il Gold standard cominciò a declinare quando la Gran Bretagna perse la leadership economica all’interno del mondo occidentale.

- CRISI AGRARIA: (1873) I progressi della navigazione mercantile producevano sulle piazze europee un’inondazione di cereali statunitensi. La grande disponibilità di terra vergine (negli USA), la precoce meccanizzazione dell’agricoltura americana, la grande dimensione delle aziende, consentivano ai produttori statunitensi profitti straordinari e bassi prezzi. Ma se in America vi era guadagno, in Europa conseguentemente si verificava un vero problema: quei cereali, infatti, producevano sui mercati europei una brusca discesa dei prezzi dei grani.

La discesa dei prezzi dei prodotti agricoli fece aumentare quello dei terreni, e per elevare la produzione i contadini cercavano di aumentare la dimensione dei terreni coltivati. Ma il risultato era: bassi prezzi agricoli, aumento della rendita fondiaria e alto costo della terra, che come conseguenza ebbe l’espulsione dei lavoratori più poveri che non potevano acquistare terra da coltivare. Per tentare di reprimere la crisi, furono introdotti dazi che elevavano il prezzo delle merci importate (protezionismo): l’unica eccezione era caratterizzata dalla Gran Bretagna, che manteneva una politica liberista.

Tuttavia, la crisi fu un buon motivo, per i paesi europei, per diventare più concorrenti rispetto al mercato americano. Si determinò una più forte specializzazione produttiva delle aree agricole europee, e l’agricoltura (ove possibile finanziariamente) fu modernizzata, utilizzando attrezzi più efficaci e meccanizzando le attività caratterizzate in precedenza dalla manodopera: l’espulsione di una parte dei lavoratori agricoli fu inevitabile.

INDUSTRIA TEDESCA: Dopo le vittorie contro Austria e Francia, l’industria tedesca cominciò la corsa che l’avrebbe portata in pochi decenni a fare della Germania la maggiore potenza europea. La necessità di creare aziende sempre più forti produceva una crescita vertiginosa delle grandi società per azioni, e contribuiva a generare legami forti e stabili con il sistema bancario. Era proprio

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quest’ultimo ad essere una vera e propria marcia in più per la Germania (rispetto alla Gran Bretagna). Qui, l’interdipendenza tra banca e industria favorì forti concentrazioni produttive e forme di integrazione, che assicuravano posizioni commerciali dominanti. I grandi colossi industriali erano in grado di generare una forte pressione politica, e addirittura di influenzare i prezzi.

La Germania godeva di una leadership incontrastata in Europa nella produzione dell’acciaio, chimica e elettromeccanica. Questo anche grazie ai legami con le istituzioni scientifiche, universitarie, e la creazione di un sistema scolastico che preparava a entrare nel mondo della produzione: la Germania godeva quindi di una manodopera preparata che forniva un maggiore impulso all’industria tedesca. Rimaneva solo un grande competitore industriale, gli Stati uniti. Come in Germania, anche negli USA l’industria aveva stretti legami con le banche e con la ricerca scientifica, e anche qui le industrie esercitavano una forte influenza politica, in grado di mobilitare l’opinione pubblica. Gli Stati uniti erano differenti dalla Germania in particolar modo per la mancanza di interventi statali nell’economia.

MODERNIZZAZIONE del GIAPPONE: L’azione della flotta militare degli Stati Uniti e il trattato di Kanegawa (1853) avevano imposto al Giappone l’apertura al commercio internazionale. A partire dal 1870, l’imperatore Mutsuhito abolì il regime feudale (si ricorda che il Giappone fino ad allora era in un forte stato di arretratezza rispetto al mondo occidentale) e inaugurò un lungo processo di modernizzazione. Venne creata una struttura scolastica aperta a tutta la società, abolito il sistema dei ceti ereditari, sancito il diritto alla proprietà e alla vendita dei terreni. I numerosi contrasti a seguito della modernizzazione condussero alla concessione di una costituzione.

Si trattava comunque di un governo rappresentativo con gestione del potere in nome dell’imperatore, comunque in linea con le premesse della sua politica di potenza. Nacquero industrie tessili, di materiali per l’edilizia, di munizioni, cantieri navali. Lo sviluppo economico, però, per quanto modesto, legittimava le pretese espansionistiche dei gruppi dominanti, che aspiravano a sostituire l’influenza cinese sulla Corea, ponte verso i mercati asiatici. La vittoria riportava nella guerra contro l’Impero cinese (1895) valse al Giappone il riconoscimento dello status di “nazione più favorita”, l’indipendenza della Corea, la cessione di Taiwan e il pagamento di una indennità di guerra.

La restituzione di parte dei territori cinesi imposta al Giappone da Russia, Francia e Germania fu un’umiliazione che accentuò le tendenze militariste dell’oligarchia nipponica. Diventava sempre più urgente, per il Giappone, creare un apparato bellico-industriale capace di contrastare una potenza occidentale. Alla vigilia della Prima guerra mondiale, dunque, il Giappone disponeva di un apparato industriale in cui vi erano tutti i settori produttivi. La prima vittoria però la ebbe prima della grande guerra: si trattava della sconfitta dell’Impero russo da parte del Giappone, per il controllo della Corea e della Manciuria. La Russia entrò in una fase di crisi che alla lunga si dimostrò irrimediabile, e contemporaneamente il Giappone entrava tra le grandi potenze mondiali.

L’IMPERO TEDESCO: La Germania doveva la sua autorità e il suo prestigio internazionale al dinamismo della sua struttura produttiva, ma anche ai risultati ottenuti nella cultura e nella ricerca scientifica. Possedeva una costituzione imperiale, il cui sistema istituzionale era stato costruito dal cancelliere Bismarck (fino al 1890). Il sovrano della Prussia, invece, era imperatore dell’intero

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Reich, capo delle forze armate, nominava il cancelliere (che a sua volta governava la burocrazia imperiale), era primo ministro della Prussia e presidente del Consiglio federale (Bundesrat).

La costituzione prevedeva la creazione di uno stato superiore (l’impero) al quale gli stati componenti delegavano tutta una serie di competenze. Il Consiglio federale raccoglieva i rappresentanti dei vari governi degli stati federati, e quindi espressione delle forze locali. Accanto al Budesrat vi era il Parlamento dell’impero (Reichstag), formato da rappresentanti eletti da tutta la nazione. Bismarck, fiducioso nel conservatorismo dell’elettorato, estese il suffragio per la creazione di questo organismo a tutta la popolazione maschile.

- POLITICA INTERNA: Il cancelliere cercò di affermare la completa egemonia prussiana attraverso la supremazia dell’esecutivo sul parlamento, e si impegnò a contrastare l’influenza di cattolici e di socialisti. Tuttavia, la lotta ingaggiata contro i cattolici ebbe come esito la nascita (1870) del partito cattolico Centro. Fu dunque varata (1875) una legislazione ispirata al laicismo, e in particolare al controllo dell’attività del clero cattolico, l’espulsione di alcuni ordini religiosi, la limitazione della giurisdizione ecclesiastica, e l’obbligo del matrimonio civile. Ma ciò non bastò, poiché nelle elezioni del 1878 il partito cattolico Centro raggiunse un ottimo risultato: così, Bismarck deviò per una politica più moderata verso i cattolici, che per altro potevano essere utili alleati nella lotta antisocialista.

Circa lo stesso esito ebbe la lotta contro il socialismo: fu proprio la buona prova elettorale del 1877 che spinse Bismarck ad aprire il conflitto contro i socialisti, presentati all’opinione pubblica come una forza che minacciava la costituzione imperiale. Dunque, l’azione antisocialista di Bismarck si basava su limitazioni alla libertà di stampa e di riunione (che costrinsero i socialisti alla semiclandestinità) e da una serie di provvedimenti come le assicurazioni sociali, rivolte ad occupare lo spazio politico in cui i socialisti si muovevano. Ma anche stavolta fu tutto inefficace, e finì col rafforzare la formazione socialista.

- POLITICA ESTERA: La politica estera fu decisamente più fortunata, concentrata in Europa. Ciò che minacciava l’equilibrio europeo, secondo il Cancelliere, erano la questione balcanica, l’ideologia nazionalista francese, e la competizione tra Gran Bretagna e Russia. La Germania quindi si doveva impegnare a distrarre la Francia da un eventuale accordo con la Russia, che avrebbe schiacciato il paese tedesco tra due fuochi. Per evitare questo pericolo Bismarck promosse la “Lega dei tre imperatori (1873)” che impegnava Austria-Ungheria, Russia e Germania al mantenimento della pace in Europa orientale.

Il primo incontro tra le potenze europee, noto come il Congresso di Berlino, dovette risolvere la situazione complessa venutasi a creare in seguito alla guerra Russo-Turca. Il Trattato di Santo Stefano (1878), che aveva chiuso il conflitto imponendo alla Turchia la creazione di una grande Bulgaria, fu sconfessato dal Congresso di Berlino:

- la Bulgaria riprese le dimensioni precedenti,

- la Bosnia-Erzegovina fu sottoposta all’amministrazione dell’Austria-Ungheria,

- Cipro passò sotto il controllo britannico,

- mentre a Serbia, Montenegro e Romania fu riconosciuta l’indipendenza.

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L’umiliazione della Russia a seguito del trattato di Santo Stefano scuoteva ora il timore di Bismarck. Così, egli favorì la nascita della Triplice Alleanza (1882) tra Germania, Austria-Ungheria e Italia. Era un accordo difensivo, che talvolta causava alcune tensioni tra Italia e Austria (separate dagli scontri precedenti).

- CONGO: Di maggior rilievo fu il secondo vertice internazionale, con il nome di Conferenza di Berlino (1884-85), in cui parteciparono un numero straordinario di paesi (gran parte dell’Europa, Stati Uniti, Turchia, Russia). Tutti i paesi che vi presero parte chiedevano una maggiore libertà di commercio nell’Africa occidentale. Il problema fu risolto con la creazione di uno stato libero del Congo sotto la sovranità del re del Belgio Leopoldo II.

- CADUTA DI BISMARCK: Nonostante gli sforzi, nel 1890 il successo socialdemocratico rese evidente quanto la politica bismarckiana antisocialista fosse stata vana e controproducente. Il nuovo sovrano Guglielo II, quindi, ebbe una buona ragione per liberarsi di quella figura troppo ingombrante. L’uscita di scena di Bismarck accentuò il peso della corona nella vita politica: il nuovo imperatore inseguiva ora un governo personale. I cancellieri successivi, dunque, provenivano esclusivamente dall’ambiente di corte, e i loro incarichi gli erano affidati direttamente dal sovrano. L’equilibrio e la conservazione della pace erano ora un vago ricordo, e fu dato quindi sfogo ad una politica nettamente imperialista.

La politica di espansione imperiale, che assecondava il crescente nazionalismo tedesco, contrastava l’opposizione socialista in maniera molto più efficace delle leggi repressive sperimentate da Bismarck. La Germania, rinomata forza militare di terra, sperimentava ora una nuova flotta capace di rivaleggiare con i paesi dalle antiche tradizioni navali: era seconda solo alla Gran Bretagna. Quest’ultima, intanto, vedeva passare territori importanti per i propri interessi sotto l’influenza commerciale e politica tedesca. Così, la Gran Bretagna trovava un accordo con la Francia (nemiche ma con gli stessi timori), “l’entente cordiale (1904)”, una serie di accordi coloniali che valsero alla Francia ampie agevolazioni e cessioni di territori in Africa e in Asia. L’intesa tra i due paesi divenne l’asse centrale di un accordo più ampio che comprendeva altri paesi (Russia e Giappone): era proprio la situazione che Bismarck aveva sempre cercato di evitare, ossia l’accordo franco-russo, con l’aggravante inglese.

GRAN BRETAGNA: La seconda riforma elettorale realizzata dai conservatori nel 1867, aveva esteso enormemente l’elettorato, conferendo il diritto di voto alla classe operaia (solo i contribuenti). Venivano esclusi le donne, i figli anche maggiorenni che vivevano in casa col padre (perché non erano contribuenti), i domestici e i poveri. Il voto fu reso segreto solo nel 1872. Il sistema rimase bicamerale, con una camera elettiva e una riservata ai pari del regno (Camera dei Lord): quest’ultima nel 1911 dovette subire una limitazione del suo diritto di veto (limitato a sole 3 volte). La Gran Bretagna, nel 1870, godeva di un primato economico e finanziario fuori discussione, che però all’inizio del nuovo secolo fu raggiunto da altri paesi (es. Germania e Usa). Ci si chiedeva e il paese fosse ormai in declino, se l’industria fosse ormai arretrata, poco competitiva. A livello politico, poi, l’alternanza tra due soli partiti dava spesso origine a figure tra loro politicamente poco compatibili.

Disraeli, politico conservatore inglese, aveva compreso nel 1867 che l’allargamento dell’elettorato voluto dalla legge non rappresentava la fine della vecchia Inghilterra. Egli, diventato primo ministro, tentò un programma di consolidamento e di espansione della presenza britannica nel

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mondo, creando anche un piano di interventi sociali. La regina Vittoria in tal senso diventava (simbolicamente) Imperatrice delle Indie (1876). Sempre nel 1876 Disraeli acquistò la quota azionaria egiziana della Compagnia universale del canale di Suez, e si affiancò alla Francia nella gestione. Ma nel 1880 la guida del paese tornò ai liberali, con Gladstone. Egli era contrario alle imprese imperialiste, ma col tempo rimase impigliato nelle questioni coloniali. Questo perché in Egitto vi era una rivolta antistraniera, che diede inizio all’occupazione della regione: il risultato fu l’occupazione britannica dell’Egitto

- QUESTIONE IRLANDESE: Gladstone dedicò buona parte delle sue energie a cercare di risolvere la questione irlandese. Congiunta alla Gran Bretagna nel 1801, l’Irlanda non riusciva a integrarsi nel Regno Unito. L’opposizione era costituita dal problema della terra (controllata dalla grande proprietà inglese), e la questione religiosa (l’anglicanesimo era la religione di stato). Il partito liberale era solidale in generale con le ragioni di tutte le nazioni senza stato, e la componente Labour trovava intollerabili le condizioni di ingiustizia e di oppressione sociale degli irlandesi. Le violenze irlandesi provocarono misure repressive di straordinaria severità, mentre sullo sfondo crescevano i contrasti tra la maggioranza nazionalista cattolica e la minoranza di unionisti protestanti, che volevano il mantenimento dell’unione tra Gran Bretagna e Irlanda.

Gladstone esordì con un piano di riforme che prevedeva l’abolizione della condizione di religione di stato dell’anglicanesimo, e una serie di agevolazioni per i contadini affittuari. Ma il risultato non fu felice, poiché si finì nello scontentare sia inglesi che irlandesi. Ormai i nazionalisti irlandesi desideravano la “Home Rule”, ossia il parlamento indipendente: Gladston fu praticamente costretto a concederglielo nel 1886 (diventò legge nel 1914). Ciò causò l’uscita dal Partito liberale di 93 parlamentari, che formarono il Partito unionista liberale (guidato da Chamberlain). Solo dopo la Grande Guerra si giungeva nel 1921 alla costituzione dello Stato libero d’Irlanda (dominion della corona, ossia membro indipendente del Commonwealth): solo nel 1937 lo Stato libero d’Irlanda diventerà completamente sovrano e indipendente.

- POLITICA FISCALE LIBERALE: Dall’attivismo di personaggi come Hardie e MacDonald, nacquero l’Indipendent Labour Party e nel 1906 il Labour Party, legato alle Trade Unions. Il ventennio conservatore lasciò in ereditàà enormi problemi di equità sociale e fiscale, una vasta povertà e organismi di assistenza inefficaci. L’accordo stretto dal Partito liberale e dalle forze Labour poggiava sulla convinzione comune che solo l’intervento dello stato avrebbe potuto garantire equità sociale e risorse per un riformismo che agisse in profondità, attraverso una politica fiscale che spostasse la tassazione dai consumi a un prelievo diretto sulla rendita e sulla ricchezza. La legge di programmazione finanziaria (di Lloyd George - 1909), detta “Budget”, non andò avanti perché fermata dalla Camera dei Lord, aprendo un conflitto costituzionale. Questo conflitto fu risolto con il Parliament Act (1911), che sottraeva alla Camera dei Lord ogni potere sulle materie finanziarie e consentiva alla Camera dei Comuni di superare il veto della camera alta approvando per tre volte la legge in discussione.

LA TERZA REPUBBLICA FRANCESE: Alla sanguinosa repressione della Comune di Parigi (governo democratico-socialista del 1871) seguì l’istituzione della Terza repubblica. La scelta di una repubblica di stampo conservatore era il segno di una rottura col passato. Il Presidente della Repubblica, espresso da un’Assemblea a maggioranza monarchica, era una sorta di sovrano costituzionale. Era titolare del potere esecutivo, aveva il potere di nominare o revocare i ministri,

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scioglieva la Camera dei deputati, rinviava alle Camere le leggi per una seconda lettura. Il potere legislativo invece era affidato al Senato, eletto indirettamente dai rappresentanti delle municipalità, contrappeso di una Camera dei deputati eletta a suffragio universale. Si aveva quindi un sistema liberale, con un parlamento e un presidente della repubblica politicamente responsabile che aveva bisogno (per ogni legge) della controfirma di un ministro.

Il risultato, nelle prime elezioni del 1876, fu un Senato prevalentemente monarchico, una Camera dei deputati con maggioranza repubblicana, e un presidente della repubblica monarchico. Nel 1877 MacMahon rimosse il capo del governo (“Colpo di stato di maggio”), ma il presidente della repubblica rispose sciogliendo il parlamento. Le elezioni del 1877 chiamavano di fatto il paese a esprimersi. I risultati confermarono la maggioranza repubblicana alla Camera, nel 1879 anche al Senato, e le dimissioni di MacMahon, sostituito dal repubblicano Grévy: fu questo il vero inizio della Terza Repubblica.

- POLITICA INTERNA: I repubblicani condussero il governo per ben 20 anni: dal 1881 in poi veniva ripristinata la libertà di stampa, riconosciuto il diritto di associazione, limitato il controllo sui raduni pubblici, democratizzate le elezioni del sindaco in tutti i comuni. Ancora più rilevante fu la laicizzazione dell’insegnamento scolastico, reso oltretutto gratuito e obbligatorio.

- POLITICA ESTERA: I repubblicani si muovevano con troppa prudenza in politica estera, e ciò contrastava i sentimenti di una larga parte del paese, che ricordava la forte umiliazione subita nella guerra, e nella pace, con la Prussia. I francesi erano turbati dalla cura con cui il Secondo Reich cercava di isolare la Francia, impauriti dai progressi militari e industriali della Germania e dalla situazione stagnante dell’economia del proprio paese. La crisi agraria, inoltre, aveva colpito la Francia più duramente degli altri paesi europei. L’industria non cresceva come negli altri paesi più progrediti.

Nel frattempo, Boulanger era stato nominato ministro della Guerra (1886): le sue priorità erano il miglioramento delle condizioni dei militari e la riorganizzazione delle forze armate. Egli si appellò, in stile bonapartista, direttamente al popolo, e così ebbe uno straordinario successo. Il suo movimento lo spinse a tentare il colpo di stato, ma il rispetto per la legalità e il senso dell’onore gli impedirono l’attuazione del piano: fu comunque accusato di attentato alla sicurezza dello stato, e dunque, riparatosi in Belgio, si tolse la vita.

- IL CASO DREYFUS: La prima fase della Terza repubblica si chiuse con il caso Dreyfus. Nel 1894, il capitano Alfred Dreyfus, ufficiale di stato maggiore di origine ebraica, fu accusato di tradimento e processato da un tribunale militare. Venne poi condannato alla deportazione a vita, e nel 1895 inviato nell’isola del Diavolo nella Guyana.

Solo nel 1896 lo stato maggiore ebbe la prova che era stato un altro l’ufficiale traditore. Nonostante questa scoperta, il caso non fu riaperto e lo stato maggiore impose il silenzio al colpevole, mandandolo in Tunisia: non solo, predispose inoltre un falso documento che doveva dimostrare con maggior evidenza la colpevolezza di Dreyfus. Ma alcune informazioni trapelarono, e cominciò una rumorosa campagna stampa. Famoso è l’articolo di Zola intitolato “J’accuse”, pubblicato sul giornale “L’aurore”: sotto forma di lettera aperta al presidente della repubblica, Zola denunciava le responsabilità delle autorità militari e governative nella condanna di un innocente sulla base di una documentazione segreta. L’articolo gli valse una denuncia per diffamazione da parte del ministro

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della Guerra: il processo contro di lui, nel 1898, permise però di riaprire il caso Dreyfus. Nello stesso anno, grazie al nuovo governo Brisson, la verità venne resa nota a tutti, e guerra aperta contro l’antisemitismo e le organizzazioni cattoliche.

- LAICIZZAZIONE dello STATO: Tra la fine del caso Dreyfus e il primo decennio del 900 la sinistra francese fu dominata da una forte spinta di laicizzazione del paese. Il governo Waldeck-Rousseau, e poi quello Combes, realizzarono una serie di interventi legislativi contro le congregazioni cattoliche, con l’obiettivo di consolidare la laicità dell’istruzione e dello stato francese. Questa fase di laicizzazione iniziò nel 1905 con la legge per la separazione della chiesa dallo stato.

L’ITALIA: Nel 1876 cadde il governo Minghetti e il paese passò alla Sinistra storica. Tuttavia, l’enorme lavoro di unificazione compiuto nel quindicennio precedente consentiva alla Sinistra storica un periodo di rendita. Infatti, erano stati diffusi su tutto il territorio nazionale tribunali, uffici delle imposte, corpi militari e forze dell’ordine. Nel decennio successivo, sotto la guida di Depretis, il governo consolidò il modello di unificazione precedente: si cercò di sostenere gli interessi locali, anche se le periferie rimasero uguali a loro stesse fino a periodi relativamente recenti. Sinistra e Destra storica avevano più o meno gli stessi interessi, e diedero origine a governi senza maggioranze stabili, sistema chiamato “Trasformismo”.

- PROGRESSI: L’intervento dello stato favoriva la nascita del primo stabilimento della produzione dell’acciaio a Terni (1884). L’abolizione del corso forzoso (1883 -  la non convertibilità tra la moneta e l'equivalente in metallo prezioso) rivitalizzava le spinte imprenditoriali; Roma e molte città medie e grandi si rinnovavano profondamente con la creazione di nuovi quartieri residenziali, nuovi monumenti, infrastrutture e servizi urbani. La costruzione di stazioni ferroviarie e di grandi viali che le mettevano in comunicazione con il centro, e l’abbattimento di molte cinte murarie, davano bene l’idea di questo tentativo di espansione delle città e del paese.

Ma il progresso doveva far fronte ad alcuni problemi e scandali: un fatto eclatante fu quello dello scandalo della Banca romana (1893), in cui rimasero coinvolti uomini politici di primo piano (stampavano un numero maggiore di carta moneta, rispetto a quello consentito, e dunque vi erano in circolazione più banconote con lo stesso codice identificativo). Questo fatto suscitò sentimenti di riprovazione nell’opinione pubblica, considerando gli atteggiamenti quasi offensivi dei politici.

- CRISPI: Il governo che si formò nel 1887, sotto la guida di Francesco Crispi, doveva dare risposte ai delusi, trovare soluzioni per i problemi sociali più urgenti, tagliando così le ali alle fazioni socialiste nascenti (scaturite dall’aria di delusione). Crispi, quindi, orientò la sua politica verso il consolidamento del modello statalista (che aveva caratterizzato il liberalismo italiano), verso l’antisocialismo, e verso l’allargamento delle iniziative coloniali, inaugurate dall’occupazione di Massaua (Eritrea). Crispi promosse anche numerose riforme: fece approvare una legge sul voto amministrativo che ampliava l’elettorato e affidata alla scelta dei cittadini la carica di sindaco nei comuni con oltre 10.000 abitanti; affidò poi a Zanardelli il compito di realizzare un nuovo codice penale (concluso nel 1892), che aboliva la pena di morte.

Anche in Italia fu applicato il protezionismo attraverso l’imposizione di nuove tariffe doganali: ciò servì all’industria italiana di tenersi al riparo dalla sfrenata concorrenza straniera, e nello stesso tempo consentì ad alzare il prezzo dei prodotti agricoli (aiutando la proprietà fondiaria). Grazie poi

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alla Triplice alleanza, l’economia italiana trovava un maggiore sfogo in seguito ai capitali tedeschi, che facevano nascere nel 1894 la Banca commerciale italiana. Si trattava di una banca mista (la prima in Italia con credito ordinario e attività di investimento) che ebbe un ruolo decisivo per l’industrializzazione italiana. Tuttavia, la politica di Crispi cedette in seguito alla sconfitta italiana di Adua (in Etiopia), interrompendo l’avventura militare e chiudendo la sua carriera politica.

- PARTITO SOCIALISTA: Proprio da questa situazione di completa povertà e dalla lotta dei contadini nasce il socialismo italiano, rappresentato inizialmente da Andrea Costa (fondatore dell’Avanti!). Egli, rifugiatosi a Parigi essendo stato arrestato (era anarchico), conobbe Anna Kuliscioff che lo portò su ideali marxisti. Costa scrisse una lettera “agli amici di Romagna”, in cui esortava il movimento anarchico ad abbracciare l’ideologia socialista e riformista, impegnandosi nella costruzione di un partito politico. La Kuliscioff divenne la prima donna dirigente del movimento operaio italiano.

Se gli operai avessero chiesto un accordo con lo Stato, si sarebbe perso lo spirito e la coerenza del socialismo. L’altra via invece era la rivolta violenta, che però produceva insuccessi anche drammatici. Ecco quindi che nel 1892, delegati da tutta Italia si riunirono in congresso a Genova e diedero vita al Partito dei lavoratori italiani, che negli anni seguenti prese il nome di Partito socialista italiano. Esso fu il punto di riferimento intellettuale e politico della sinistra italiana per molto tempo, grazie anche all’Avanti, suo quotidiano.

Tuttavia, all’interno del PSI, i socialisti italiani finirono col dividersi fra una destra riformista, un centro e una sinistra rivoluzionaria:

- La destra era guidata da Bissolati ed era favorevole a collaborare con Giolitti per realizzare un programma di riforme che migliorasse le condizioni dei lavoratori italiani.

- La sinistra rimaneva massimalista, ovvero favorevole al programma “massimo” da attuarsi subito per mezzo della rivoluzione. Fra gli esponenti della sinistra socialista vi era anche Benito Mussolini, che già aveva in mente l’idea di trasformare l’organizzazione del partito, ma a capo vi era ancora Turati.

Le divergenze interne erano profonde, e i contrasti portarono all’espulsione, da parte dell’ala massimalista (con a capo Benito Mussolini), del gruppo riformista di Bissolati e Bonomi. In seguito anche allo scioglimento parziale (concesso da Pio X) del “non expedit” di Pio IX, nel 1913 si celebrarono per la prima volta elezioni a suffragio universale maschile, con la forte minaccia di un successo socialista. Ma esistevano forze in grado di fare concorrenza a quella socialista: la Santa Sede aveva assecondato l’attivismo sociale, condannando però il socialismo e il capitalismo. L’enciclica della chiesa conteneva un appello alla solidarietà cristiana e alla collaborazione tra datori di lavoro e maestranze.

- CRISI DI FINE SECOLO: La vastità delle tensioni sociali e la scarsa validità dei progetti politici produssero, alla fine dell’800, la “crisi di fine secolo”. Il sovrano aveva creduto di poter risolvere la crisi con la repressione militare: nel 1898 a Milano furono sparati colpi di cannone sulla folla dall’esercito guidato dal generale Beccaris. Nel frattempo Giolitti si preparava a perseguire le volontà del popolo, ma non prima dell’uccisione di Umberto I e la successione di Vittorio Emanuele II.

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- GIOLITTI: Durante il periodo giolittiano l’Italia conobbe una fase di espansione economica che sembrava creare le condizioni per soddisfare le ambizioni internazionali del paese. La macchina statale di mostrò determinante nel favorire le strutture produttive strategiche. Il settore siderurgico italiano (1902), ad esempio, fu favorito direttamente dalle agevolazioni statali. Anche l’industria meccanica e chimica registravano progressi notevoli grazie alla crescita della produzione dell’energia idroelettrica, che consentiva all’Italia di ridurre la dipendenza dai paesi esportatori di combustibili. Lo sviluppo vi era anche in ambito del sistema bancario: alla Banca commerciale italiana si affiancò il Credito italiano.

Non mancavano però le proteste da parte delle formazioni politiche di sinistra. Giolitti a riguardo reagiva in modo differente tra Nord e Sud: al Nord si usava equilibrio e equidistanza, mentre al Sud vi era una durissima repressione poliziesca. Inoltre, i riformisti del PSI, a cui Giolitti guardava per estendere la base politica e sociale dei suoi governi, non accettarono le proposte di collaborazione. Questo anche perché dovevano necessariamente lasciare il partito nelle mani di Mussolini o Labriola. Anche i cattolici rifiutarono qualunque tipo di legame, pur non essendo organizzati in forma di partito. Giolitti lasciò il governo nelle mani di Salandra nel 1914.

AMERICA LATINA: Ottenuta l’indipendenza, i paesi latinoamericani (dal 1850 in poi) avevano il problema di farsi riconoscere come stati sovrani, per sottrarsi alle tentazioni egemoniche delle grandi potenze europee. Essi dovevano difendere i confini territoriali, ricchi di risorse naturali, anche dall’egemonia del Nord America. In questo caso i paesi latinoamericani si appoggiavano alle grandi potenze europee di cui divenivano grandi acquirenti di armamenti. L’immagine che l’America latina si prestava a dare, era quella di un subcontinente capace di decidere sulla tutela dei propri interessi: la Conferenza di Washington (1889) in proposito diede origine alla prima intesa di collaborazione tra 17 dei 19 stati del continente.

- ECONOMIA: Nonostante la scelta liberista, la chiusura commerciale internazionale deprimeva fortemente le prospettive dei paesi dell’America del Sud. Anche così, però, l’economia era in straordinario aumento: le esportazioni latinoamericane erano inferiori solo a quelle degli Stati Uniti. Verso l’inizio del 900, l’aumento delle relazioni commerciali con l’Europa ebbe riflessi positivi sugli stati latinoamericani, determinando una crescita del reddito pro capite. L’America latina esportava e importava essenzialmente beni di consumo, anche se più tardi, con l’inizio del nuovo secolo (1900) si ebbe un passaggio verso ai beni intermedi. Si specializzarono nell’esportazione di prodotti semilavorati (petrolio, piombo, rame ecc), ma anche dell’agricoltura.

- ISTRUZIONE: Le classi dirigenti dei paesi latinoamericani prestarono grande attenzione ai problemi dell’istruzione e dell’analfabetismo, che riguardava la stragrande maggioranza della popolazione. La “rivoluzione liberale” durò un ventennio (1850-70), e ridefinì, con le dovute differenze locali, gli impianti costituzionali. Nascevano sistemi che riconoscevano l’uguaglianza giuridica di tutti i cittadini e attribuivano il diritto di voto a settori sempre più ampi della popolazione.

- POLITICA: Alla vigilia della prima guerra mondiale, l’equilibrio si spezzò in Argentina e in Messico. In Argentina, la concessione di suffragio universale e voto segreto (1912) fece eleggere Irigoyen, leader radicale. Egli avviò un vasto programma di riforme sociali e adoperò il potere di intervento federale nelle province per limitare il monopolio politico dei vecchi potentati locali. In Messico, invece, la caduta di Diaz (a seguito del fallimento della riforma agraria) e le successive

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elezioni presidenziali, provocarono forti tensioni sociali e suscitarono tra i braccianti agricoli un senso di frustrazione. Al governo prese posto Madero, esponente del movimento rivoluzionario. L’equilibrio fu presto rotto da una controffensiva reazionaria guidata dal generale Huerta, che rovesciò il potere del presidente (1913). L’arresto e il successivo assassinio di Madero scatenarono la guerra civile, che durò fino al 1917, causando 22 milioni di morti.

STATI UNITI: Tra il 1863 e il 1877 gli Stati Uniti passarono un periodo di contraddizioni. Furono anni di grande crescita demografica ed economica, anche grazie al protezionismo doganale e all’intervento pubblico. Tuttavia, questo straordinario dinamismo fu accompagnato da un affarismo senza scrupoli e da sempre più frequenti casi di corruzione. A seguito di ciò, l’opinione pubblica non rimase indifferente: si diffusero una serie di associazioni segrete, in cui si raccoglievano agricoltori per organizzare iniziative contro le pratiche commerciali monopolistiche (la più grande si chiamava “Cavalieri del lavoro” – 700.000 membri). Ad esse si contrapponevano banche e imprese. L’associazione dei Cavalieri del lavoro costituì un punto di riferimento per la prima vera organizzazione sindacale (Federazione americana del lavoro – 1900).

- POLITICA: A partire dagli anni 80, per soddisfare il bisogno inesauribile di braccia per le fabbriche e per l’edilizia delle città americane, cominciava la seconda ondata migratoria, proveniente prevalentemente dall’Europa mediterranea e orientale. Le città crescevano esponenzialmente. Tuttavia, gli immigrati rappresentavano una importante risorsa elettorale per i cosiddetti Bosses: la loro intenzione era lo scambio tra consensi politici e la corruzione. Una svolta significativa si ebbe quando i repubblicani trovarono un nuovo slancio. Il grande successo repubblicano consegnò a McKinley una maggioranza vasta e una coalizione che andava dal mondo dell’industria e della finanza, a quello dei lavoratori delle città, fino alle minoranze etniche e religiose.

Nel 1898 il governo statunitense decise di sostenere la rivolta indipendentista cubana contro il governo spagnolo. La flotta spagnola però affondò una corazzata americana nel porto dell’Avana, e il Congresso dichiarò guerra alla Spagna. Il conflitto fu breve e la vittoria procurò all’Unione importanti possedimenti nei Caraibi e nell’area del Pacifico. Per quanto riguarda Cuba, invece, non ottenne immediatamente l’indipendenza: le truppe statunitensi rimasero sul suo territorio fino al 1902 e, quando si ritirarono, lasciarono nella costituzione repubblicana una serie di clausole che subordinavano fortemente l’isola agli Stati Uniti.

Prima della Grande Guerra, i progressisti (ala del Partito repubblicano) si assicurarono la leadership del paese con il primo e secondo mandato presidenziale di Roosevelt, quello di Taft e quello di Wilson. La richiesta di un nuovo sistema elettorale per le presidenziali (voluto anche dai populisti) faceva parte dei programmi di moralizzazione della politica. Un altro tema caro ai populisti, che divenne interesse dei progressisti, fu quello della lotta alle grandi concentrazioni industriali e del rispetto della libera concorrenza. Si vedevano all’orizzonte anche il suffragio femminile, la riduzione del lavoro di donne e bambini, il miglioramento degli alloggi e della salute pubblica, la lotta contro la povertà e il crimine, la tassa progressiva sul reddito.

IMPERIALISMO e COLONIALISMO: L’imperialismo può essere definito in due modi:

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1) Imperialismo tout court: un’occupazione territoriale compiuta da un organismo statuale a danno di un altro con il ricorso alla forza e la creazione di un dominio diretto per lo sfruttamento delle risorse,

2) Imperialismo informale: l’uso di strumenti coercitivi per ottenere il diritto di sfruttare le risorse di un territorio senza occuparlo, ma lasciandone il dominio a un diverso organismo statuale.

L’imperialismo degli anni 1870-1914 è però diverso da quello precedente: questo presenta una dimensione maggiore del fenomeno, a cui partecipano un numero straordinario di paesi. Un altro elemento è la presenza di apparati produttivi molto forti, tra cui si distinguono i colossi dell’industria pesante che hanno l’interesse e la capacità di imporre ai governi il perseguimento di politiche imperialiste. Il nuovo imperialismo, poi, sfrutta spesso elementi di orgoglio nazionalista con posizioni razziste sempre più esplicite.

ASIA: In Asia il fenomeno coloniale fu differenziato a seconda dei luoghi. In Cina e India, ad esempio, la penetrazione straniera ebbe date, modalità e forme di dominio assai diverse:

- INDIA: La penetrazione britannica in India avvenne grazie alla Compagnia delle Indie orientali, una società commerciale sotto il controllo parlamentare. Con le truppe armate, la Gran Bretagna occupò il territorio indiano tra il 1754 e il 1840. Nel 1858, però, a seguito delle rivolte, il governo britannico decise che l’India aveva bisogno di una diversa amministrazione: il governo trasferì i territori e le proprietà della Compagnia alla corona. Il cambiamento istituzionale fu seguito dal varo di un consistente piano di lavori pubblici (infrastrutture stradali e ferroviarie, bonifiche ecc). la creazione di un sistema legislativo unitario, l’abolizione delle dogane interne, l’uso della lingua inglese contribuirono a ridurre la frammentarietà del paese.

Gli inglesi non miravano a costituire una nuova società indiana, ma piuttosto a garantire l’ordinata sopravvivenza della vecchia. La prima affermazione di nazionalismo indiano ebbe luogo del 1876, quando a Calcutta si formò l’India Association. Si trattava di un gruppo di intellettuali di formazione occidentale che criticava il modo in cui l’amministrazione indiana tradiva i princìpi di libertà e civiltà inglesi. Nacque così il Partito del Congresso, contenente però un’ala rivoluzionaria che in certi casi sfociò in una vera e propria strategia terroristica. Dopo la Prima guerra mondiale, Gandhi e la sua leadership nel Partito del Congresso resero ancora più pressante la richiesta all’amministrazione britannica della completa indipendenza.

- CINA: La vicenda coloniale della Cina cominciò con la sconfitta nella guerra dell’oppio, conclusa con il trattato di Nanhino (1842). Si trattava di un trattato che prevedeva la cessione alla Gran Bretagna di Hong Kong e l’apertura al commercio inglese di una serie di porti. Il trattato imponeva alla Cina la libera circolazione nel paese dei tessuti britannici e dell’oppio, nonostante la volontà contraria delle autorità cinesi. Anche la seconda guerra dell’oppio, terminata nel 1860, vide sconfitta la Cina, che dovette cedere altri pezzi della sua sovranità. Da quel momento in poi, fino al 1890, la penetrazione occidentale in Cina non trovò più alcun ostacolo. Per la Cina furono imposte tariffe doganali bassissime (rispetto al protezionismo adottato in Europa), e così il fragile settore manifatturiero cinese e l’artigianato, devastati dalla concorrenza dell’industria tessile, cominciarono progressivamente a declinare: anche lo sviluppo della Cina sembrava da rinviare.

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L’esito disastroso della guerra combattuta nel 1894 contro il Giappone non fece altro che accrescere le tensioni già esistenti. Ebbe così luogo, quattro anni dopo (1898), la rivolta dei Boxer, caratterizzata da sentimenti xenofobi e anticristiani. Si arrivò a uno scontro tra la Cina e una coalizione di forze che comprendeva Usa, Uk, Francia, Giappone, Russia, Austria-Ungheria, Germania e Italia. La coalizione sconfisse i rivoltosi e umiliò ulteriormente l’impero cinese con il Protocollo del 1901 (pagamento di una indennità da parte della Cina di oltre 67 milioni di sterline, smilitarizzazione del paese e presidio di Pechino da parte delle truppe straniere). La Cina assumeva sempre più la forma di una colonia spartita tra le potenze occidentali. Al Giappone andò la Manciuria e la Corea. Gli Stati Uniti invece occuparono le Filippine, il cui controllo gli conferiva una maggiore sicurezza commerciale e la possibilità di rinsaldare la loro presenza militare nel Pacifico.

AFRICA: In Africa l’imperialismo si manifestò con l’occupazione dei territori. L’obiettivo era lo sfruttamento delle risorse locali: la popolazione locale forniva la manodopera in imprese istituite con capitali straniere, e straniero era anche il commercio di importazione e esportazione. La convivenza tra bianchi e popolazione di colore era regolamentata da sistemi di Apartheid (separazione dei bianchi dai neri nelle zone abitate da entrambi): era questo il caso delle “colonie di popolamento”. In altri casi, invece, gli stranieri si limitavano a sfruttare l’attività agricola locale (“colonie di sfruttamento”).

- INGLESI: Le zone maggiormente interessate dalla presenza della Gran Bretagna erano il Sudafrica, la Valle del Nilo e l’area occidentale. Tuttavia, la Gran Bretagna fu costretta, a causa della rivolta degli arabi, ad espandersi verso nuovi territori: Sudan, lago Vittoria, in cui crearono le due colonie dell’Uganda e Kenya. Nell’Africa occidentale gli inglesi erano presenti in Sierra Leone, Gambia, Costa d’Oro e Nigeria.

- FRANCESI: Il perno del colonialismo francese era costituito dai territori dell’Algeria, di cui la Francia aveva cominciato l’occupazione a partire dal 1830. Nel 1881, poi, la Francia istituì un protettorato sulla Tunisia, dopo aver francesizzato le popolazioni Algerine. L’allargamento verso il Senegal mise l’azione francese contro quella inglese: nel 1898 fu sfiorato lo scontro armato tra le due potenze. Alla vigilia della prima guerra mondiale, la Francia aveva occupato dalla Mauritania al Dahomey: la Mauritania era fondamentale, poiché attraverso il Sahara si univa col Marocco e con l’Algeria.

- GERMANIA e ITALIA: L’Italia conservò due colonie sul Mar Rosso, Eritrea e Somalia. Nel 1912 si assicurò tutta l’area della Libia, e solo negli anni 30 tornerà in Africa per occupare l’Etiopia.La Germania, invece, riuscì a creare un’area coloniale abbastanza vasta, comprendente Togo e Camerun, parte dell’Africa occidentale e di quella orientale sull’Oceano Indiano.

RUSSIA, AUSTRIA e TURCHIA: Gli imperi Russo, Ottomano e Austro-ungarico erano tutti egualmente multietnici. Due di essi scomparirono verso la fine dell’800, mentre quello Russo rinacque sotto altri ambiti. Nell’Europa orientale si crearono in quegli anni particolari relazioni tra arretratezza economica, politica e istituzionale, e nazionalismi.

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- IMPERO OTTOMANO: L’Impero ottomano conobbe un processo di liberalizzazione e di secolarizzazione delle istituzioni fin dal 1839. La grave umiliazione militare subita nella guerra contro la Russia, e quella diplomatica di Berlino, ebbero importanti ripercussioni politiche: ad esempio, fu sospesa la Camera dei deputati. Alcune comunità religiose non musulmane funzionavano come veri e propri organi di autogoverno delle minoranze, soggette alle norme generali del diritto islamico. La rivoluzione dei Giovani Turchi del 1908, però, prendendo la forma di un colpo di stato, costrinse il sovrano a ripristinare la costituzione del 1876. In seguito furono ridotti i poteri del sovrano e i ministri furono resi responsabili verso il parlamento. Tuttavia il parlamento sfruttò i suoi poteri per reprimere le libertà individuali, collettive e di stampa: la crisi si amplificò.

Nel 1911 l’Italia invase le province di Tripoli e Bengasi. Nel 1912, Bulgaria, Serbia, Grecia e Montenegro, unite nella Lega balcanica, attaccarono la Turchia. Ebbe così inizio la prima guerra balcanica, che vide sconfitta la Turchia. La seconda guerra balcanica fu data pochi anni dopo dall’attacco della sola Bulgaria (fu svantaggiata nella spartizione dei territori) verso i paesi precedentemente alleati e la Turchia, la quale però aveva al suo fianco anche la Romania: la sconfitta della Bulgaria fu inevitabile. L’Impero ottomano, infine, a seguito del trattato di Londra e di Bucarest, perse quasi tutti i suoi territori europei.

- UNGHERIA: Più faticosa fu la ricerca di stabilità nel Regno d’Ungheria, in cui la superiorità della componente magiara (ungheresi) era ben evidente. La legge delle nazionalità riconosceva tutte le lingue delle minoranze non magiare nella scuola come nell’amministrazione. Rumeni, slovacchi, e tutti gli altri che adottavano la lingua e la cultura magiara, rinunciando alla propria, venivano assimilati al gruppo egemone. Tutti i non assimilati (pur non essendo obbligati all’assimilazione) rischiavano di essere discriminati e perseguitati.

La componente ebraica diventò particolarmente presente nelle attività commerciali, creditizie, industriali e nelle professioni liberali. I gruppi dirigenti tradizionali però ebbero atteggiamenti antimoderni e antiebraici. Gli ebrei, a Vienna, ebbero sempre una vita difficile: il movimento sionista, non a caso, nacque proprio nella capitale austriaca (1897) per iniziativa dello scrittore ungherese Theodor Herzl.

- IMPERO RUSSO: Dotato di un’estensione sterminata, l‘Impero russo era costituito da popolazioni di diverse etnie e religioni. I russi addirittura non riuscivano ad essere maggioranza assoluta. Maggioritaria, in complesso, era la componente slava (ucraini, polacchi, bielorussi, ecc). gli ebrei erano solo una minoranza. Tutti questi popoli, comunque, caddero sotto il dominio degli zar. La politica svolta in questa direzione fu spesso autoritaria e repressiva. Anche grazie all’abolizione del servaggio, tuttavia, consentì crescita demografica, urbanizzazione, flussi migratori, trasformazioni agrarie ecc.

Contro le minoranze, in particolare quelle ebraiche (circa il 4% di ebrei), si andavano diffondendo i Pogrom (saccheggi e violenze) nelle loro comunità. Con il regno di Alessandro III (1881), inoltre, gli ebrei furono colpiti da norme discriminatorie che ne limitarono la libertà di movimento e li esclusero dagli uffici pubblici. L’antisemitismo si radicava e diffondeva: è proprio in questo periodo che si parla dei “Protocolli dei Savi di Sion”, dove si illustrava il (fantomatico) piano ebraico per raggiungere il dominio del mondo attraverso il controllo della finanza internazionale, rivoluzioni e conflitti armati. Solo successivamente si poté accertare con chiarezza che si trattava di un falso.

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- POLITICA INTERNA: La gestione del potere all’interno dell’Impero era affidata completamente al potere autarchico dello zar. La discussione politica era quindi una pratica segreta e cospirativa, che spesso sfociava in atti estremi o in azioni terroristiche. Fu questo il caso del Populismo (simile a quello americano), che si opponeva al capitalismo e alla grande finanza e favoriva una rivoluzione agraria (redistribuzione della terra tra i contadini). Lo Zar Alessandro II rimase ucciso proprio in un attentato populista nel 1881: dal populismo sarebbe poi nato il Partito socialista rivoluzionario.

Nel 1903 la formazione socialdemocratica si era divisa in due gruppi politici distinti: Bolscevichi (guidati da Lenin – partito di rivoluzionari, gerarchizzato e clandestino), e Menscevichi (che volevano realizzare una coscienza politica più diffusa per una trasformazione democratica del paese). Nel 1905 l’Assemblea dei lavoratori russi presentò un appello allo zar, contenente la richiesta di una costituzione, organi di rappresentanza, libertà civili, oltre a una serie di miglioramenti delle condizioni di lavoro e di retribuzione: il Palazzo d’Inverno la polizia aprì immediatamente il fuoco.

Le proteste dilagavano e si formarono i Soviet (consigli), strumenti di una democrazia diretta e della rivoluzione. Lo zar si impegnò a costruire istituti di rappresentanza e garantire libertà politiche e civili, ma la Duma eletta a suffragio universale fu sciolta dallo zar, che riprese il controllo della situazione.

- POLITICA ESTERA: Dopo l’umiliazione del Congresso di Berlino (che riconosceva ai paesi satelliti russi l’indipendenza dalla Russia), la sconfitta nella guerra contro il Giappone vanificò gli sforzi per affermare l’influenza russa in Manciuria. La Russia si alleò quindi con Francia, Inghilterra e Giappone, e si opponeva alla Germania, che aveva ostacolato i suoi tentativi espansionistici.

PRIMA GUERRA MONDIALE: La Prima guerra mondiale, più che segnare l’età della catastrofe, marco la fine di un periodo: il “lungo 800”. Questo perché la guerra pose fine a molti aspetti che avevano caratterizzato la società e le istituzioni del 19° secolo. La monarchia, forma di governo prevalente nel Vecchio Continente, dovette cedere il passo alla repubblica, così come l’aristocrazia perdeva man mano il suo peso politico.

- LE CAUSE: La Serbia, concluse le guerre balcaniche, mirava ad allargarsi a Nord, nei territori dominati dall’Austria. Il confronto di interessi più grave era quello tra Inghilterra e Germania, poiché entrambe competevano sul terreno più pericoloso, quello degli armamenti e delle flotte navali, campo in cui l’Inghilterra possedeva il primato storico. Vi era inoltre un problema fondamentale tra Francia e Germania, data la diversità dei due modelli culturali, politici, nazionali. Inoltre la Germania aveva strappato alla Francia l’Alsazia e la Lorena, creando un vero e proprio odio tra le due nazioni. In ogni caso, vi era l’idea che le ostilità sarebbero stati brevi.

- LO SCOPPIO: Il 28 giugno del 1914, un giovane nazionalista serbo di Bosnia (di nome Princip), riuscì ad avvicinarsi alla carrozza imperiale uccidendo a Sarajevo l’arciduca Ferdinando d’Austria e sua moglie Sofia. L’Austria avanzò la richiesta di poter indagare autonomamente in territorio serbo circa l’accaduto, ma il re di Serbia si irrigidì. All’ultimatum austriaco, la Serbia rispose con la mobilitazione dell’esercito. Così, l’Austria-Ungheria dichiarò guerra alla Serbia (un mese dopo

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l’attentato): l’assassinio dell’arciduca Ferdinando rappresentò l’occasione per l’Austria per mettere fine alle aspirazioni serbe.

Successivamente, come reazione a catena, la Germania dichiarò guerra alla Russia e alla Francia. La Germania invase il Belgio per arrivare rapidamente in Francia, e l’Inghilterra così dichiarò guerra alla Germania (si ricorda l’Intesa cordiale tra Francia e Inghilterra, e la Triplice alleanza tra Austria, Germania e Italia). L’Italia nel frattempo rimase neutrale, nonostante la Triplice Alleanza. Il conflitto, nato nell’est dell’Europa, si era spostato a occidente. Anche il Giappone partecipò alla guerra al fianco di Francia e Inghilterra, ma con l’unico scopo di impadronirsi delle colonie tedesche in Oriente. La guerra in seguito si allargò ad altri paesi: Impero ottomano, Bulgaria, Portogallo, Romania, Grecia con la Triplice alleanza. Nel 1917 anche gli Stati Uniti entrano in guerra.

- ITALIA: Prima di entrare in guerra, l’Italia scrutò attentamente il quadro della situazione e valutò da che parte le sarebbe convenuta stare: Salandra e Sonnino, senza che il parlamento fosse a conoscenza, avviano contatti diplomatici per negoziare l’entrata in guerra.

- Gli imperi centrali (Triplice Alleanza) sono disposti a concedere all’Italia tutti i territori di lingua italiana del Trentino e del Friuli, escluse Trieste e Gorizia.

- Ma l’Intesa offre di più se l’Italia scende in guerra al suo fianco: l’Alto Adige, tutta la Venezia Giulia, Trieste, Gorizia, Istria e Dalmazia, esclusa Fiume. L’Italia avrebbe poi ottenuto il protettorato sull’Albania, la provincia turca di Adalia, la Libia, e avrebbe poi potuto espandersi in Africa orientale per il colonialismo.

Il 24 maggio 1915, dunque, l’Italia entra in guerra al fianco dell’Intesa, avendo stipulato il Patto di Londra (26 aprile 1915).

Il problema economico più grande dell’Italia, durante l’entrata in guerra, è che la Germania costituisce il più importante partner commerciale per la produzione industriale italiana. Dunque, l’entrata in guerra contro la Germania, significa il taglio netto dei rapporti economici tra i due paesi. L’industria bellica italiana contava ora un milione di addetti, tra cui anche donne. Nascono quindi settori industriali per prodotti precedentemente importati dalla nazione tedesca, incrementando la produzione di energia idroelettrica.

- PROPAGANDA: Nessuna guerra può essere combattuta senza un grande sostegno del popolo. Il nazionalismo aveva svolto con cura il suo obiettivo, quello di un grande lavaggio del cervello a favore della superiorità nazionale e dello spirito bellicoso. Aveva inoltre assicurato l’approvazione della maggior parte dell’opinione pubblica e delle forze politiche. Perfino i socialisti finirono con lo schierarsi con i rispettivi governi (l’SPD tedesco votò a favore dello sforzo bellico contro il regime zarista russo). La Russia difendeva le radici slave insieme alla Serbia, in Francia si difendevano i princìpi di libertà, uguaglianza e fraternità. Pochissime erano le voci contro la guerra, e la maggior parte degli esponenti che intralciavano la strada verso la guerra venne accusata di disfattismo; gruppi di pacifisti erano presenti ovunque, ma rimasero del tutto inascoltati.

Il mondo politico italiano era indignato di fronte al realismo di Giolitti, secondo il quale la neutralità sarebbe stata meglio ricompensata della partecipazione. Nemmeno i partiti cristiani si sottrassero alla grande avventura, e le chiese benedissero le bandiere.

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- AVVENIMENTI: La guerra divenne ben presto una causa mondiale, in particolar modo con la scesa in campo degli Stati Uniti nel 1917. Prima di allora, gli uomini che presero parte al conflitto non erano solo europei: la Francia arruolò nelle colonie oltre 600.000 uomini destinati a combattere in Europa. Quasi il doppio invece furono i soldati stranieri arruolati dalla Gran Bretagna. La guerra era diventata uno strumento politico, favorita dall’estasi e dallo spirito nazionalistico dei vari paesi.

Cresceva il livello di ostilità verso gli stranieri: essi producevano timore. Imprenditori stranieri furono costretti a vendere le loro imprese, così come i commercianti furono abbandonati dai clienti. La stessa famiglia reale inglese decise di abbandonare i nomi tedeschi di Hannover e Sassonia-Coburgo per assumere quello inglese di Windsor. Parte degli “stranieri nemici” furono rimpatriati, altri rinchiusi in campi di internamento. In Russia, ad esempio, le autorità fecero deportare verso le regioni più interne circa un milione di ebrei; gli armeni, invece, subirono le aggressioni dei curdi. Anche nell’Impero ottomano gli armeni subirono una propaganda per instillare nei turchi l’odio verso di essi: in totale, si contano 2 milioni di armeni massacrati (genocidio).

- GERMANIA vs FRANCIA: In tutti i paesi che parteciparono alla guerra la leva era obbligatoria. La Germania, ad esempio, mise in campo un esercito di circa 5 milioni di uomini disciplinati e addestrati, che in precedenza spesso facevano gli artigiani, operai ecc. Nell’esperienza della guerra contro la Francia nel 1870 la capacità di movimento e la velocità erano state le carte vincenti delle forze prussiane: l’esercito tedesco intendeva adoperare le stesse armi. Già il 4 agosto iniziò l’invasione del Belgio, superandolo, e costringendo la Francia ad arretrare e ad attestarsi sul fiume Marna, a ovest di Parigi. Tuttavia, proprio qui i tedeschi dovettero arrestare la loro avanzata: cominciava un lungo conflitto di logoramento, che portò (come tutte le guerre di trincea) a moltissime uccisioni di soldati, da entrambi gli schieramenti.

- GERMANIA vs RUSSIA: Sul fronte orientale, dopo i tentativi di invadere il territorio tedesco, i russi furono costretti a ripiegare. I tedeschi, in poco tempo, divennero padroni di un territorio di enormi dimensioni. Qui, dunque, la guerra era più movimentata: le condizioni delle truppe erano più drammatiche, a causa del tempo, dell’equipaggiamento scadente e per l’insufficienza del cibo. Era ormai evidente che avrebbe vinto la guerra chi fosse riuscito a farsi logorare di meno dal nemico.

- ITALIA vs GERMANIA: Unico avvenimento significativo nel 1917 fu la disfatta a Caporetto e l’arretramento dell’esercito italiano sulla linea del Piave (furono moltissimi in questo caso i disertori). Ciò causò la caduta del governo Boselli e la salita di Orlando: il generale Armando Diaz sostituì Cadorna come capo di stato maggiore. Il 1918 l’Intesa tentò di respingere i tedeschi, impegnati nello sfondare il fronte prima dell’arrivo degli americani. Nel frattempo l’Italia, con la battaglia di Vittorio Veneto, sfondò il fronte austriaco, continuando l’avanzata fino a Trento e Trieste.

- LAVORO: Gli eserciti avevano fame di uomini per rimpiazzare i caduti, ma non solo, poiché tutti i paesi, durante lo sforzo bellicoso, dovevano garantire il funzionamento delle fabbriche. Esse, private della forza lavoro degli uomini inviati al fronte, ricorrevano alla manodopera femminile e a quella straniera. Negli anni di guerra le fabbriche francesi occuparono 660.000 stranieri (prigionieri di guerra), mentre in Germania i lavoratori non tedeschi furono 3 milioni, di cui 2 erano prigionieri di guerra. Lo sforzo della donna nel lavoro produsse cambiamenti profondi e irreversibili nella collocazione di essa nella società, anche dopo la guerra.

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- ESITO FINALE: Nel 1917 furono due gli avvenimenti decisivi per l’esito finale della guerra, ancora in bilico. 1) In Russia, le morti e le condizioni di fame, scaturite anche dai disastri causati dalla guerra, saldavano lo scontento popolare con quello dell’esercito: la rivoluzione di febbraio portò alla formazione di un comitato esecutivo provvisorio e all’abdicazione dello zar Nicola II. La sconfitta della Russia contro la Germania, e l’ostinazione dei governi provvisori (russi) a continuare la guerra crearono le premesse per la Rivoluzione d’ottobre, in cui si affermarono i Bolscevichi.

2) Il secondo avvenimento fu l’entrata in guerra degli Stati Uniti e alcuni paesi sud americani. Nel 1916, il presidente americano Wilson si era impegnato in una campagna di mediazione tra Germania, Austria-Ungheria e le forze dell’Intesa. I suoi sforzi non portarono risultati. Ne seguì da parte tedesca la decisione di intraprendere una guerra sottomarina illimitata (ossia colpivano qualsiasi sottomarino e nave mercantile, in particolar modo gli approvvigionamenti inglesi e francesi, e poi americani). I numerosi danni subiti dagli interessi americani spinsero Wilson a portare gli Stati Uniti in guerra.

Gli Stati Uniti entrarono ufficialmente in guerra nel 1917, partecipando di fatto solo agli ultimi cinque mesi di battaglie. Nonostante il breve periodo di partecipazione, gli States portarono in guerra quasi cinque milioni di uomini, con perdite nettamente inferiori rispetto a quelle degli altri paesi, circa 100 mila morti e 200 mila feriti. L’apporto che offrirono si rivelò decisivo ai fini della vittoria dell’Intesa.

LA FINE DELLA GUERRA: Nel 1918, i tedeschi sfruttarono la formalizzazione di pace con la Russia per attaccare il fronte francese, conseguendo notevoli successi, anche se i francesi iniziarono a contrattaccare. Così, i soldati inglesi, francesi e americani contrattaccarono insieme in direzione del Belgio usando quattrocento carri armati: riuscirono a travolgere le truppe avanzate dei tedeschi. La Germania, se inizialmente era riuscita a sfondare le linee francesi, si trovava ora con le proprie fortificazioni arretrate, ed era ormai costretta ad avviare trattative per l’armistizio, firmato l’11 novembre del 1918.

Gli Stati Uniti erano i veri vincitori del conflitto. Avevano pagato un costo umano molto più basso rispetto alle altri nazioni belligeranti, determinando la vittoria dell’Intesa anche grazie al prestito di ingenti capitali necessari alla vittoria, di cui avrebbero incassato per anni i benefici. I paesi vincitori europei si erano gravemente indebitati, e i paesi vinti erano altrettanto distrutti: gli unici arricchiti erano dunque gli Usa. Il messaggio che mandavano gli States era quello di una vittoria del bene sul male, volta alla convivenza pacifica delle nazioni basate sulla democrazia, contro il vecchio autoritarismo illiberale e militarista.

DALLA GUERRA ALLA PACE ARMATA (1917-1956):

- RIVOLUZIONE RUSSA: La rivoluzione di febbraio e l’abdicazione dello zar avvennero durante la prima guerra mondiale, anche se essa non fu la causa. Le rivolte a seguito dell’inesistenza di diritti e di tutela sul lavoro, e dell’assenza di una riforma agraria, erano già sfociate intorno al 1905. La guerra, i morti, la fame e le sconfitte non fecero altro che acuire un malessere preesistente, dato ulteriormente dall’indisponibilità dello zar a mettere in discussione la forma autoritaria dell’impero.

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La rivoluzione di febbraio lasciò però la Russia in una situazione di stallo: vi era una repubblica affidata a un governo provvisorio, costituito da aristocratici e borghesi liberali. Il potere di questo governo era ostacolato dal potente soviet (consiglio) degli operai e dei soldati di Pietrogrado. La popolazione e i soldati pensavano che l’abdicazione dello zar avesse significato automaticamente la fine della partecipazione della Russia in guerra: ma non fu così, poiché il governo provvisorio decise di proseguirla.

Il paese entrò nel caos, e nel 1917 i Bolscevichi continuarono a preparare la rivoluzione. Aumentava il numero degli iscritti; i soviet degli operai e dei soldati di Mosca e Pietrogrado assumevano il controllo, scalzando i menscevichi (democrazia rivoluzionaria e sostegno al governo) e i socialisti rivoluzionari. A seguito del ritorno in Russia di Lenin (era esule in Svizzera), i Bolscevichi decisero di dare la spallata definitiva. Anche con l’aiuto di Trotskij L’insurrezione cominciò il 24 ottobre e durò solo due giorni, sufficienti per avere il controllo di Pietrogrado, grazie anche al sostegno del soviet della capitale e dell’esercito rivoluzionario. Vi erano Lenin capo del governo, Trotskij commissario agli esteri e Stalin commissario delle nazionalità: iniziava una nuova storia per la Russia.

- LENIN: L’assalto al Palazzo d’Inverno e l’arresto di Kerenskij e degli altri ministri rimase a lungo uno dei momenti più celebrati nella retorica sovietica. Tuttavia, i Bolscevichi non riuscirono a mantenere le posizioni conquistate, e furono sconfitti nella elezione per la creazione dell’Assemblea costituente. Lenin ne approfittò per sciogliere l’Assemblea (1918), trasformando a rivoluzione di ottobre in un colpo di stato, imponendo l’uscita dei socialisti rivoluzionari dal governo. La capitale fu trasferita a Mosca, l’esercito divenne l’Armata rossa, e il partito bolscevico assunse il nome di Partito comunista dell’Unione Sovietica (Pcus).

Iniziò uno stato di guerra civile, in cui l’organizzazione militare veniva imposta a tutti i livelli della vita del paese, e il degrado dell’economia era accentuato dalla perdita del controllo su aree assai ricche. Le forze avverse alla rivoluzione, i Bianchi, con cui i bolscevichi dovettero combattere, costituivano un esercito assai scarno e senza unità politica: tuttavia, i Bianchi potevano contare sul sostegno di Francia, Inghilterra e Giappone, e sulla incapacità dei Bolscevichi di mantenere il controllo sull’enorme territorio. Il governo sovietico di Trotskij rispose con un esercito di 5 milioni di soldati, riuscendo a sconfiggere (in due anni) la controrivoluzione. Il risultato di tale guerra civile fu 7 milioni di morti in totale, fame e miseria ovunque.

- CENTRALINISMO: Vi era il tentativo di creare un sistema centralizzato, unico strumento capace, secondo i bolscevichi, di mantenere il controllo del paese. Un altro elemento di questa politica accentratrice fu la nazionalizzazione di ogni tipo di impresa, cominciata nel 1918 (riguardava 37.000 imprese). L’altra faccia del centralismo esasperato era la dittatura politica, cresciuta attraverso l’eliminazione di tutte le forze politiche: proibizione della stampa non bolscevica, soppressione delle organizzazioni politiche di opposizione, il tutto sotto la vigilanza della polizia politica (Ceka). Si trattava di una vera e propria dittatura del proletariato. Inoltre, stava allo stato stesso acquisire e distribuire le derrate agricole, proprio per regolarne le finalità, costringendo i contadini e requisendo i loro prodotti. La brutalità che accompagnava i sequestri di grani non poté evitare lo scontro con i contadini e la guerriglia che questi organizzarono nel 1918.

In seguito al timore che i contadini potessero saldarsi con altre parti della società (come ad esempio i marinai), Lenin stesso impose un provvisorio e limitato ritorno all’economia di mercato. Questa

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nuova fase, detta Nuova politica economica (Nep), limitò le requisizioni, consentendo ai contadini di immettere sul mercato le eccedenze. La Nep innescò una fase di crescita: nel 1925 la produzione ritornò al livello della vigilia della guerra mondiale, ma la crisi dell’industria pesante arrestò questa ripresa economica. Lenin morì nel 1924, e si profilava il dominio di Stalin.

NUOVI EQUILIBRI: La fine del conflitto modificò completamente la carta geopolitica dell’Europa. Il vuoto istituzionale e politico lasciato dai conflitti fu occupato da nuove forme di burocratizzazione e militarizzazione dello stato, insieme a forme di centralizzazione del potere. Con la sola esclusione degli Usa, tutti i paesi che avevano partecipato alla guerra, vincitori o sconfitti, ne uscirono indeboliti: si andava comunque verso una cultura liberale.

- GRAN BRETAGNA: Durante il conflitto, nonostante il liberalismo, lo stato centrale assunse funzioni di controllo dell’economia sempre più estese. Lo sforzo bellico obbligò il governo a prendere misure sempre più costrittive. Le ferrovie furono seminazionalizzate, molte navi furono requisite, e furono istituite fabbriche statali. Vi era anche una forma politica di protezione dell’industria interna e di completa regolamentazione dei prezzi.

- EST EUROPA: In Jugoslavia, e in particolare in Slovenia, istanze nazionaliste e aspirazioni socialiste si intrecciavano assai strettamente. Si moltiplicavano i soviet contadini e operai, mentre il Partito comunista si preparava a uno scontro rivoluzionario. La repressione militare delle forze comuniste portò, nel 1920, ad un sistema politico conservatore e autoritario, violentemente antibolscevico. Simile fu il caso di Polonia, Ungheria, Romania e Bulgaria.

- AUSTRIA e UNGHERIA: L’Austria del dopoguerra lamentava la distruzione quasi completa del proprio sistema politico-istituzionale. L’unico partito con ancora uno scheletro era quello socialdemocratico. Proclamata la Repubblica nel 1918, furono indette le elezioni a suffragio universale per formare un’Assemblea costituente. Le elezioni confermarono i socialdemocratici come primo partito, che furono però costretti a dividere il governo con i cristiano-sociali (cattolici delle aree rurali del paese): questa coabitazione governativa indebolì ulteriormente le forze socialdemocratiche, giungendo in secondo piano e consegnando la maggioranza ai Cristiano-sociali.

Anche in Ungheria fu proclamata la Repubblica lo stesso anno: il governo era retto da una coalizione di socialisti e liberal-democratici. Tuttavia seguì una fase di agitazioni rivoluzionarie che vide il forte protagonismo del movimento operaio. Sotto la direzione dei comunisti, appoggiati dai socialdemocratici, nacque la Repubblica sovietica ungherese. Ma il governo ungherese di Béla Kun fu presto rovesciato a causa del rifiuto dei socialdemocratici viennesi di radicalizzare le loro posizioni politiche, e a causa degli attacchi dell’esercito rumeno: con l’ingresso di quest’ultimo a Budapest, nel 1919 si insediò un governo controrivoluzionario che chiudeva nel sangue l’esperienza comunista e costituiva il primo episodio dei successivi regimi parafascisti europei.

- GERMANIA: Più importante fu la rivoluzione apertasi in Germania. Mentre la guerra andava concludendosi, il 28 ottobre cominciò la rivolta dei marinai della flotta di Kiel che chiedevano l’interruzione immediata delle ostilità, le dimissioni dell’imperatore, il suffragio universale. Il 7 novembre a Monaco fu proclamata la Repubblica della Baviera. Il Reich sembrava sul punto di disintegrarsi: il cancelliere Max von Baden rassegnò le dimissioni, e salì al governo Friedrich Ebert. Il 9 novembre fu proclamata la repubblica e due giorni dopo il nuovo governo firmò la resa.

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Il quadro politico era caratterizzato dalle forze di sinistra (Socialdemocratici, socialisti indipendenti e Partito comunista). Si allargava il numero dei consigli nati sul modello dei soviet. La Spd era moderatamente riformista e intendeva consolidare il ruolo del parlamento. L’Uspd (socialisti indipendenti) sosteneva forme di collettivizzazione in alcuni settori economici di particolare rilievo. Il Partito comunista mirava invece a un’egemonia del proletariato rivoluzionario.

Dietro tutti questi, si muovevano forze legate al vecchio ordine e per niente inclini a cedere il passo alle formazioni socialiste. Si trattava di un gruppo di ufficiali superiori: erano dunque militari, che rifiutarono la sconfitta e si candidarono alla leadership del paese per combattere il movimento socialista. Ai consigli socialisti le forze militari opposero i Freikorps, corpi franchi di volontari armati nati per combattere il comunismo. Si trattava di ex combattenti che nella guerra giocavano un ruolo di primo piano.

In questo quadro di tensioni nacque la Repubblica di Weimar. I socialisti indipendenti si allearono con le forze armate, e quindi con i corpi franchi: sorta su queste basi, la Repubblica di Weimar dimostrava già tutta la sua fragilità. Il governo, indebolito dall’abbandono dei socialisti indipendenti, divenne oggetto di contestazione. Alle azioni armate dei socialisti indipendenti il governo rispose con una violentissima repressione affidata alle poche milizie operaie rimaste fedeli alla Spd e ai corpi franchi.

TRATTATI DI PACE: Il 18 gennaio 1919 con la conferenza della pace di Parigi, i quattro leader dei paesi vincitori definirono i princìpi generali con cui consolidare gli equilibri europei e coloniali, e gettarono le basi di un organismo internazionale, la Società delle Nazioni, capace di garantire la pacifica convivenza tra gli stati. I princìpi stabiliti nella conferenza di Parigi erano i seguenti: una pace basata sull’uguaglianza delle nazioni, sul loro diritto di autodeterminazione, sulla libertà di navigazione, una riduzione degli armamenti, rettifiche dei confini.

- NUOVI CONFINI: Tuttavia, la conferenza diede vita a paure che avrebbero alimentato nel tempo contrasti e spiriti di rivalsa. La Germania, ad esempio, fu territorialmente mutilata: perse le sue colonie in Africa e nel Pacifico, fu obbligata a restituire Alsazia e Lorena alla Francia, dovette cedere alla Polonia una parte della Prussia orientale (il corridoio di Danzica). Fu inoltre imposta la smilitarizzazione di Danzica e la trasformazione di essa in città libera. Riconosciuta responsabile di guerra, la Germania fu costretta inoltre a forti limitazioni dell’esercito e dell’armamento, e al pagamento di un indennizzo (circa 2 miliardi di marchi all’anno).

La polverizzazione dell’Impero asburgico diede origine alle repubbliche di Austria e di Cecoslovacchia e ai regni di Ungheria e Jugoslavia. Contemporaneamente la Romania ottenne dall’Ungheria la Transilvania, mentre l’Italia strappò all’Austria il Trentino, l’Alto Adige, Trieste e Istria. Nacquero anche le repubbliche di Lituania, Estonia, Lettonia e Finlandia. Parte dell’Impero turco fu spartito tra Francia e Inghilterra: alla Francia andarono il Libano e la Siria, mentre alla Gran Bretagna l’Iraq e la Palestina. È chiaro quindi che né i trattati di pace, né la Società delle Nazioni furono in grado di chiudere definitivamente i conflitti. Molte aree erano da costruire da zero, e dunque presentavano un futuro incerto.

NASCITA DEL FASCISMO: Finita la guerra, l’abbandono della conferenza di pace da parte della delegazione italiana, incapace di strappare vantaggi territoriali adeguati allo sforzo bellico sostenuto, era un segnale della delusione dei gruppi nazionalisti e delle difficoltà in cui versava la

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classe dirigente. L’antiparlamentarismo, il disprezzo per l’egualitarismo e per il socialismo, la diffusione di nuovi valori, come il culto della giovinezza e la fede nella superiorità dell’Italia, testimoniavano il bisogno dell’epoca di rinnovare le istituzioni statali.

Socialista rivoluzionario, anticonformista e antiborghese, tra i maggiori rappresentanti della corrente massimalista del Psi, direttore dell’Avanti, fondatore de “Il popolo d’Italia”, Benito Mussolini costituì nel marzo 1919 i Fasci di combattimento. Il fascismo rimaneva però un fenomeno ristretto e di scarso rilievo politico. Si trattava ancora di un movimento, e non di un partito, e dunque alle elezioni del 1919 raccolse poco più di 4.000 voti. Un anno dopo, nel 1920, il fascismo intensificò le azioni squadriste (Fasci di combattimento) antisocialiste e antisindacali, dando così spazio alle componenti nazionaliste più attive e aggressive.

I fascisti credevano che il disordine politico italiano era il risultato del proletariato. Per questo, squadre in camicia nera e armate di manganello aggredivano i dirigenti della classe operaia, facendogli bere forzatamente l’olio di ricino, un potentissimo lassativo, umiliando e demoralizzando gli avversari politici. L’organizzazione fascista aumentò rapidamente il numero degli iscritti (oltre 200.000 nel 1921), anche intrecciando relazioni strette con gruppi di imprenditori, creandosi la nomea di forza di rinnovamento politico e culturale.

- ESPANSIONE: Questa veloce espansione, che poi nel giro di due anni avrebbe portato Mussolini al governo, è dovuta all’attività di distruzione delle organizzazioni del mondo del lavoro (per mezzo di gruppi armati); violenze tollerate e appoggiate anche dalle forze dell’ordine, e apprezzate dalle organizzazioni padronali. Inoltre, un secondo fattore che favoriva la crescita del fascismo era la capacità di mettere in risalto il disagio dei ceti medi, sfruttando l’elogio della difesa della nazione e dell’italianità. I fascisti, infatti, difendevano l’intervento italiano in guerra, ma non i trattati di pace, che portarono ad una vittoria mutilata, senza risultati concreti. Proprio per questo trovavano un grande consenso nell’insoddisfazione di ex combattenti. Alle elezioni del 1921, 35 deputati fascisti (contro i 100 del partito popolare) entrarono nel parlamento italiano. Instauratosi anche all’interno del parlamento, Mussolini doveva solo impegnarsi a trasformare il movimento in un partito stabile, capace di porsi come riferimento dei ceti medi.

- PARTITO FASCISTA: Dunque, al congresso di Roma del 1921, fu istituito il Partito nazionale fascista (Pnf), in cui Mussolini ricevette il ruolo di “duce”, mentre la direzione del partito fu affidata a un segretario generale. Lo squadrismo non fu abbandonato, ma istituzionalizzato: esso divenne l’essenza stessa del fascismo. Il movimento fascista non aveva un vero e proprio programma politico, ma raccoglieva una serie di istanze e di linee principali, anche contrastanti tra loro, come la politica estera di grande potenza, il giovanilismo, il mito della romanità e dell’impero, combattere il conflitto sociale ecc.

Un fattore importante che giovò moltissimo al fascismo fu la crisi economica e la fragilità degli ultimi governi liberali: la combinazione di questi elementi aveva prodotto poca credibilità nelle istituzioni da parte del popolo, e il fascismo sembrava essere l’unico movimento più vicino agli italiani e ai loro problemi sociali, l’unico possedente un programma ideale credibile, volto a costruire un ordine nuovo e una nuova civiltà. Si ricorda inoltre che inizialmente il fascismo era favorevole al suffragio universale maschile e femminile (poi abbandonato a seguito della dittatura).

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- MARCIA SU ROMA: I fascisti organizzarono manifestazioni contro il governo (occupazione di Bolzano e Trento), e nell’ottobre del 1922 realizzarono la “Marcia su Roma”: diverse colonne di camicie nere (50 mila uomini) si diressero verso Roma per occupare la città (ferrovie, strade, centrali elettriche e telefoniche) e costringere il Re a nominare Mussolini capo del governo. Il capo del governo Luigi Facta proclamò lo stato d’assedio affinché i carabinieri e l’esercito potessero intervenire. Il Re Vittorio Emanuele III, però, vedeva il Fascismo come il male minore: chiamò Mussolini a dirigere il nuovo governo. Al suo primo governo lo squadrismo fu istituzionalizzato con la creazione della “Milizia volontaria per la sicurezza nazionale”, che di fatto agiva in maniera parallela alle altre forze dell’ordine. Nel 1922 fu creato il Gran Consiglio del fascismo. La legge Acerbo (1923) garantiva i 2/3 dei seggi al partito di maggioranza, e dunque assicurava a Mussolini parlamenti con minore opposizione e più docili.

- ORGANIZZAZIONI: Oltre alla propaganda, il fascismo acquisiva il consenso per mezzo della mobilitazione del popolo. Il regime fascista tentava di rispondere a tutti i bisogni organizzativi, associativi e assistenziali della società: erano state create organizzazioni in base all’età, al sesso e alla categoria sociale. I bambini più piccoli facevano parte dei “figli della lupa”, i più grandi dei Balilla (Giambattista Perasso – ribellione di Genova contro l’Austria – simbolo patriottico). Gli adolescenti, che già ricevevano un’educazione militare, entravano negli “avanguardisti”; seguivano i “giovani fascisti”, mentre gli studenti universitari facevano parte dei GUF (gruppi universitari fascisti).

Tutte queste organizzazioni vennero riunite nel 1937 nella GIL (gioventù italiana del littorio). La società era praticamente controllata dalle organizzazioni statali, i dopolavoro: la ginnastica collettiva fu imposta nei luoghi di studio e di lavoro. Erano stati creati degli spazi appositi di dissenso, dove ci si poteva esprimere (con molti limiti e prudenza), dando opinioni critiche e non allineate con il regime.

- POLITICA INTERNA: il Fascismo, nato come movimento rurale, si interessava soprattutto delle campagne. Una delle prime mosse fu estendere la piccola proprietà contadina: si pensò addirittura ad una riforma del latifondo siciliano, ma mancava la volontà il tempo per espropriare i grandi proprietari. Fu corrisposto un incentivo economico per ogni figlio nato, fornendo attraverso L’ONMI (l’Opera nazionale maternità e infanzia) assistenza alle donne in gravidanza e ai bambini.

LA CRISI DEL 29: Il crollo della borsa di Wall Street del 1929 segnò l’inizio di un periodo di profonda crisi, che investì grandi speculatori e milioni di piccoli risparmiatori. Come in ogni grande crisi economica, i consumi calavano velocemente, di conseguenza la produzione si contraeva e i disoccupati aumentavano a vista d’occhio (12 milioni nel 1932).

- STATI UNITI: Il presidente degli Stati Uniti (Hoover) ritenne che un intervento statale avrebbe aggravato ulteriormente la crisi: dunque sollecitò una collaborazione tra imprenditori e amministratori locali e rifiutò qualunque intervento federale per l’assistenza dei disoccupati. I provvedimenti adottati però si mostrarono inutili e talvolta dannosi. Tentò inoltre di mantenere alti i prezzi del grano per mezzo di alti dazi doganali: ma ciò non fece altro che esportare oltre oceano la crisi economica, danneggiando lo scambio commerciale. Gli anni 1932-33 furono per gli Usa drammatici. La progressiva diminuzione del consenso nei confronti dell’intera classe dirigente (macchiata anche dal fallimento di numerose banche) produsse una crescita del conflitto sociale:

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proteste, marce della fame, disordini, barricate per le strade, furti, violenze verso i creditori e gli ufficiali giudiziari.

- GERMANIA: Maggiormente colpita da questo aggravamento fu la Germania, in quanto qui la crisi si intrecciava con le tensioni procurate dall’instabilità politica. Il 1930 vide l’attribuzione di poteri speciali al cancelliere, l’opposizione del parlamento alle sue strategie economiche e nuove elezioni politiche. I nazionalsocialisti di Hitler passarono a quasi 1 milione (1928) a quasi 7 milioni. I socialisti però si confermarono il primo partito del paese. In Germania si verificò la fuga dei capitali, che aumentò il numero dei disoccupati. Le elezioni presidenziali del 1932 consentirono ad Hitler un ulteriore passo avanti verso il potere, e attribuirono al Partito nazionalsocialista tedesco la posizione di maggior partito del Reichstag. In questo contesto di difficoltà e fragilità politica ed economica, l’accordo tra Hitler, Papen e Hindenburg, con il sostegno di esponenti del mondo finanziario e industriale, portò nel 1933 alla formazione del primo governo Hitler: possedeva l’appoggio del parlamento, e quindi perfettamente legale, per ora.

- GRAN BRETAGNA: Un altro paese colpito dalla crisi, seppur in maniera più lieve rispetto a Usa e Germania, fu l’Inghilterra. Le elezioni del 1929, eseguite a suffragio universale femminile e maschile, portarono al governo il Labour Party. Il numero dei senza lavoro, qui, ebbe una brusca impennata. L’incremento dei lavori pubblici non produsse la sperata diminuzione dei disoccupati. Così come in Germania, si verificò la fuga di capitali, in previsione di una svalutazione della sterlina. Il protezionismo guadagnò l’appoggio di buona parte dell’opinione pubblica e di numerosi finanzieri. Tuttavia, MacDonald (a capo del Labour Party) giocò una carta sbagliata, ossia quella di ridurre i sussidi di disoccupazione; fu così costretto alle dimissioni.

Il “Governo nazionale” che seguì vide come protagonisti ancora MacDonald, insieme a liberali, conservatori e laburisti. Il nuovo governo fu costretto a fare le scelte fino a quel punto rinviate. Nel 1931 abolì la convertibilità della Sterlina in oro, dichiarando la fine del Gold standard: si crearono le premesse per un miglioramento delle attività commerciali e produttive degli anni successivi. Un anno dopo si fissarono i dazi di ingresso sui prodotti stranieri (tranne quelli provenienti dai dominions inglesi). Nel 1933 la disoccupazione cominciò a calare. La scelta britannica fu quindi imitata da altri paesi.

- FRANCIA: Tra il 1928 e il 1931 la Banque de France aveva praticamente raddoppiato le riserve di oro e la produzione industriale non registro arretramenti. Inizialmente, la crisi borsistica di Wall Street non creò in Francia particolari apprensioni. A metà del 1931, però, si verificò la svalutazione della sterlina e l’abbandono del gold standard da parte di quasi tutti i paesi del mondo; l’economia francese ne risentì, ma in minor modo. L’instabilità politica e il rifiuto di abbandonare il tallone aureo per motivi di prestigio portarono la Francia ad adottare una politica di contenimento della spesa statale, basata sulla riduzione dei salari e su una serie di altre misure deflazionistiche. Naturale fu l’agitazione di operai, disoccupati e lavoratori agricoli: il governo cadde, e crebbero nuovi movimenti radicali di sinistra e di estrema destra.

- ITALIA: In Italia la crisi cominciò a farsi sentire nel 1931, quando le scelte protezionistiche e inflazionistiche amplificarono l’isolamento commerciale del paese. Ma non tutti i settori furono colpiti: a rimetterci furono l’industria automobilistica e la produzione ortofrutticola, mentre registrarono progressi la produzione elettrica, dell’acciaio e del ferro, e la cerealicoltura. La crisi aggravò le condizioni già misere del mondo contadino, facendo nascere continui scontri con le forze

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dell’ordine. L’Italia dovette ricorrere alla riduzione dei salari, al contenimento dei prezzi, solo in parte compensati da una politica di opere pubbliche e di aumento degli occupati nelle amministrazioni statali e locali.

Si può affermare in generale che in Italia la crisi non ebbe effetti devastanti, piuttosto accentuò ritardi e squilibri che da tempo caratterizzavano l’economia del paese. Si accentuò la statalizzazione dell’economia italiana, ben rappresentata dalla costituzione dell’Imi (Istituto mobiliare italiano, 1931), che si impegnò nel credito industriale a lungo termine dopo che le grandi banche italiane furono investite da una grave crisi di liquidità (anch’esse avevano investito in borsa); e dell’Iri (Istituto per la ricostruzione industriale – 1933), che nacque per eliminare le passività delle banche miste e per finanziare le imprese industriali in difficoltà. Passarono così all’Iri alcune banche (Banca commerciale italiana, Credito italiano, Banco di Roma), e conseguentemente numerose imprese industriali, e cui azioni erano possedute dagli istituti di credito. L’Iri si trovava così a gestire la produzione nazionale della siderurgia, delle costruzioni aeronautiche e meccaniche, e di quella cantieristica. L’Italia era il paese europeo con il più alto numero di attività economiche sotto il controllo dello stato (dopo l’Urss).

POLITICHE CONTRO LA CRISI: La ricetta più nota per uscire dalla crisi, ridurre la disoccupazione e rilanciare la produzione e i consumi fu quella statunitense: questo periodo della storia americana è chiamato comunemente “New deal”. Protagonista di questa stagione politica fu Roosevelt, eletto nel 1932. Egli attribuiva allo stato un ruolo centrale nel rilancio dell’economia e nel sostegno dei consumi, in modo da aumentare produzione e occupazione. Una prima misura fu l’Emergency Banking Relief Bill, che sottoponeva tutto il sistema bancario al controllo federale. Il Congresso fu sommerso da progetti, disegni di legge che sostenevano l’agricoltura, l’industria, i disoccupati, il trasporto, il sistema bancario.

Un secondo progetto fu il Federal Emergency Relief Act, che disponeva un’assegnazione agli stati di 500 milioni di dollari per sussidi ai disoccupati. Si trattava più in particolare di retribuzioni per attività lavorative disposte per i disoccupati. Furono poi finanziate opere di manutenzione delle strade, di tutela dell’ambiente, di costruzione di parchi, scuole, campi gioco, ecc. Queste iniziative miravano a rilanciare i consumi, e a ripristinare un contesto di fiducia ed entusiasmo, per far recuperare ai lavoratori quel senso di dignità che la disoccupazione aveva profondamente minato. Una delle iniziative più note e apprezzate di questi anni fu la costruzione della Tennessee Valley Authority nel 1933: in 15 anni venne regolato il corso del fiume Tennessee, costruendo sedici dighe e creando quindici laghi, per ottenere una migliore navigabilità del fiume, un argine alle inondazioni, e la produzione di energia elettrica.

- POLITICA MONETARIA: Nel 1933 gli Usa abbandonarono il tallone aureo. Le merci americane divennero più competitive, ma la chiusura del mercato internazionale smorzò i vantaggi dell’iniziativa. Si ottennero perciò risultati poco fortunati, e nel 1935 Roosevelt decise di dare un ulteriore impulso alla sua politica:

- istituì la Works Projects Administration, volta a creare occupazione. Il nuovo ente agì con efficacia e creatività: in 8 anni trovarono lavoro quasi 9 milioni di persone.

- Ma il più importante dei provvedimenti di questo periodo fu la nuova legge sulle previdenze dei lavoratori, approvata nel 1935 col nome di Social Security Act: questa legge istituiva per la prima

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volta negli Usa un sistema pensionistico nazionale obbligatorio e uno di previdenza a favore dei disoccupati, gestiti dalle autorità federali e dagli stati.

- Inoltre, col Wagner Act, venne riconosciuto il pieno diritto dei lavoratori ad essere rappresentati dalle organizzazioni sindacali.

Con il secondo mandato presidenziale, Roosevelt perse credibilità, soprattutto a causa del ritorno di un forte conflitto sociale, legato al rafforzamento di un’organizzazione sindacale fondata nel 1935: la Cio (Committee of Industrial Organization), in concorrenza con l’American Federation of Labor. Questa nuova radicalizzazione del contrasto sociale ebbe il suo momento più drammatico nel 1937, quando la polizia di Chicago sparò su un gruppo di 500 operai che picchettavano degli impianti siderurgici. Un secondo motivo del declino di Roosevelt fu la recessione economica cominciata nel 1937.

FASCISMO, NAZISMO, COMUNISMO: Fascismo, nazismo e comunismo condivisero forme di dominio autoritarie e un uso sistematico della violenza per rafforzare il monopolio della politica. Tuttavia, non si tratta di un unico fenomeno autoritario. Innanzi tutto, fascismo e nazismo nacquero nel periodo tra le due guerre, e i regimi a cui diedero origine furono travolti dal secondo conflitto mondiale; il comunismo, invece, nacque nel dramma della Grande Guerra nel blocco sovietico, e si sgretolò solo nel 1989. Esso nacque dallo sfacelo dell’impero zarista ed ebbe una vicenda complessa he ne mutò nel tempo la fisionomia.

Il nazismo fu frutto della volontà di rivalsa e di riscatto di una nazione sconfitta, mutilata e umiliata dai caratteri vendicativi e vessatori dei trattati di pace. Il fascismo si affermò in una nazione che, pur vittoriosa, si sentiva altrettanto umiliata dal rifiuto degli altri paesi vincitori di dare soddisfazione alle sue aspirazioni di espansione territoriale e frustrata nelle sue pretese di maggiore prestigio internazionale. In ogni caso, tutti e tre i sistemi si fondavano su un leader riconosciuto di cui si celebrava la figura con un vero e proprio culto della personalità. Il consenso di cui godettero Hitler e Mussolini, infatti, è dovuto al ricorso del potere carismatico

In Italia, le pretese di controllo materiale e morale avanzate dal regime fascista dovevano convivere con la presenza di un sovrano e di un altro contendente assai temibile: la chiesa. Va precisato che la corona, nonostante le limitazioni imposte dal fascismo, conservava ancora ambiti di intervento e spazi di manovra non del tutto secondari. Il rapporto tra la corona e le forze armate, ad esempio, rimase assai forte in tutto il ventennio. Il sovrano, era per il popolo un’istituzione che difendeva la patria, le forze armate, gli interessi dei sudditi. Per quanto riguarda la chiesa, evidenti furono i tentativi della Santa Sede di contrastare il progetto mussoliniano di creare nuovi italiani attraverso il fascismo, presentato come una sorta di “nuova religione laica”. Quando si parla di totalitarismo, quindi, bisogna fare molta attenzione: nel caso del fascismo, come abbiamo appena visto, l’uso della categoria di totalitarismo è assai precario.

FASCISMO: Il fascismo cominciò a gettare le sue basi attraverso una serie di leggi emanate dal giurista Alfredo Rocco (a lui si deve il Codice penale italiano). Queste ultime ampliavano i caratteri autoritari dello Statuto Albertino, realizzando una “rivoluzione legale”. La costruzione del regime ebbe propriamente inizio nel 1924 attraverso norme apertamente autoritarie. Nel 1928 il più era

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stato fatto: grazie alle norme della legge Acerbo (riforma elettorale – sistema proporzionale con premio di maggioranza), le elezioni del 1924 videro la vittoria assoluta del Pnf.

Sempre nello stesso anno Giacomo Matteotti denunciò in parlamento i brogli, le violenze e le intimidazioni che avevano favorito la vittoria elettorale del Pnf. Pochi giorni dopo, Matteotti fu rapito e ucciso da un gruppo di squadristi. I partiti d’opposizione abbandonarono il parlamento, mentre gli elementi moderati del governo minacciarono di dimettersi: altri aspettarono inutilmente l’intervento del re. Il ritorno dei comunisti in parlamento, il silenzio della corona, i tentativi della Santa Sede di invitare i cattolici ad astenersi dalla lotta politica spinsero Mussolini a liberarsi definitivamente degli oppositori. Nel 1925 Mussolini alla Camera si assunse la responsabilità politica dell’uccisione di Matteotti: questo fatto vide le dimissioni di personaggi importanti del governo, e uno scontro interno al Pnf: Farinacci divenne segretario del partito.

- LEGGI FASCISTE: A seguito del rapimento di Matteotti, il Pnf attuò una liquidazione dello stato liberale.

- Fu promulgata poi una legge per disciplinare l’attività delle associazioni segrete (es. Massoneria).

- Sempre nel 1925 fu inasprita la legge sul diritto di stampa e una nuova norma costituzionale allargava le prerogative dell’esecutivo, istituendo la figura del “capo” di governo.

- Nel 1926 furono abolite tutte le cariche elettive delle amministrazioni locali; il potere fu affidato al podestà nominato dal prefetto.

- Ogni forma di dissenso fu bandita, così come i maggiori organi di opposizione (partiti, organizzazione contrarie al fascismo ecc).

- Fu istituito un Tribunale speciale per la difesa dello Stato: in maniera correlata, fu introdotta la pena di morte per gli attentatori alla vita dei membri della famiglia reale o al capo del governo, e per i reati contro la sicurezza dello stato.

- CONTROLLO SULLA SOCIETA’: Il regime estese gradualmente il controllo su tutti i settori della società. Alla scuola il fascismo aveva già provveduto con la riforma del 1923 realizzata dal filosofo neoidealista Giovanni Gentile, ministro della Pubblica istruzione. I princìpi di tale legge erano la natura gerarchica e classista del sistema scolastico, e la preminenza dell’insegnamento liceale, unica via per l’accesso all’università. La legge fu continuamente aggiornata negli anni successivi per favorire l’indottrinamento ideologico delle masse: dall’introduzione del libro di testo unico per le scuole primarie (1928 - Tramite il Testo unico lo Stato poteva esercitare un controllo diretto sull’insegnamento, infatti esso si rivelava uno dei più validi strumenti di diffusione dell’ideologia fascista sia tra i bambini che tra le numerose famiglie italiane), all’accentuata fascistizzazione dei manuali per la scuola secondaria, al controllo esercitato dal partito sui docenti.

Erano state create organizzazioni in base all’età, al sesso e alla categoria sociale. I bambini più piccoli facevano parte dei “figli della lupa”, i più grandi dell’Opera Nazionale Balilla: un'istituzione fascista complementare all'istituzione scolastica, finalizzata all'assistenza, all'educazione fisica e morale della gioventù (il nome Balilla deriva dal giovane Giambattista Perasso, che nel 1746 diede inizio alla ribellione di Genova contro l’Austria – simbolo patriottico). Gli adolescenti, che già ricevevano un’educazione militare, entravano negli “avanguardisti”;

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seguivano i “giovani fascisti”, mentre gli studenti universitari facevano parte dei GUF (gruppi universitari fascisti). Soprattutto a questi ultimi fu lasciato il compito di promuovere la concezione fascista del mondo e della politica, di diffondere l’ideale dell’Italiano nuovo, di epurare l’università dagli elementi non simpatizzanti il fascismo. Tutte queste organizzazioni vennero riunite nel 1937 nella GIL (gioventù italiana del littorio).

Ma il più importante elemento di controllo sulle masse fu l’Opera Nazionale Dopolavoro: creato nel 1925, questo organismo divenne più tardi il principale strumento di formazione ideologica di massa e di mobilitazione collettiva del regime. Per quanto riguarda la politica del lavoro, il fascismo si impegnò nella demolizione sistematica dei sindacati: di fatto, la disciplina sindacale veniva subordinata al controllo esclusivo del Pnf. Nel 1926 fu abolito lo sciopero e qualunque forma di agitazione, e fu sancito che solo un sindacato poteva rappresentare sia i lavoratori e sia i datori di lavoro. Il fascismo, inoltre, per evitare scontri tra gruppi di interesse diversi, creo le Corporazioni, organismi di coordinamento tra le organizzazioni dei lavoratori e quelle dei datori di lavoro.

- POLIZIA POLITICA: L’opposizione era stata zittita: molti avversarsi erano stati uccisi, mandati in esilio, o messi in prigione e al confino. La costituzione dell’Ovra (1929 – secondo alcuni “Opera Volontaria per la Repressione dell'Antifascismo”, mentre per altri non è un acronimo ma viene sfruttato perché ha un suono minaccioso, che ricorda la piovra), una sorta di Gestapo italiana, destinata alla sorveglianza e al controllo degli oppositori politici attraverso una rete di fiduciari e di collaboratori, testimonia che il fascismo continuava a mantenere repressione contro tutte le forme di dissenso. La polizia politica era necessaria affinché non vi fossero insurrezioni di gruppi antifascisti o comunisti (nascevano all’estero movimenti formati da antifascisti italiani, mentre all’interno dell’Italia i comunisti agivano clandestinamente).

- CONCILIAZIONE CON LA CHIESA: Attraverso la conciliazione con la chiesa, Mussolini attuò un altro importante capitolo del processo di normalizzazione del paese e sanò la frattura tra la Santa Sede e il Regno d’Italia causata dall’occupazione di Roma. I Patti lateranensi (1929) non riuscirono a mettere fine ai dissidi tra chiesa e fascismo per l’evidente concorrenza ideologica, ma furono obiettivamente un grande successo politico. I patti lateranensi stabilivano il riconoscimento della confessione cattolica come religione di stato e una riparazione economica dei danni subiti dalla Santa Sede per l’occupazione di Roma. Venivano inoltre riconosciuti alla chiesa gli effetti civili del matrimonio religioso, l’insegnamento nelle scuole di ogni ordine, l’attività dell’azione cattolica, e la diffusione (in maniera limitata) dei princìpi cattolici.

- LEGGI RAZZIALI: La dittatura conobbe una decisa accelerazione totalitaria nel 1938, quando fu promulgata la legge per la difesa della razza italiana. Il fascismo aveva il timore (comune a gran parte dei paesi autoritari) dell’indebolimento della razza indoeuropea e della contaminazione razziale. L’incremento della popolazione, tema propagandistico particolarmente caro al fascismo, fu sostenuto da numerose iniziative e misure legislative: tassa sul celibato, sostegno delle famiglie numerose, assegni familiari, premi di nuzialità, prestiti matrimoniali, creazione dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia.

Nelle colonie la pratica segregazionista, aveva prodotto un vero e proprio sistema di apartheid: la conquista dell’Etiopia (1935) si rivelò una guerra di sterminio, sfruttata poi per gli studi volti a dimostrare l’inferiorità razziale degli africani. L’esercito italiano fece ricorso alle armi chimiche,

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alle uccisioni di massa, alla sanguinosa repressione della guerriglia. Mussolini offrì a Vittorio Emanuele III la corona di imperatore d’Etiopia.

La conseguenza dell’invasione dell’Etiopia fu una sanzione contro l’Italia da parte della Società delle Nazioni: i paesi aderenti si impegnarono a non esportare in Italia merci di uso bellico. Ciò spinse l’Italia ad avvicinarsi alla Germania, mentre si aggravarono le relazioni con Francia e Gran Bretagna (che richiesero la sanzione). Mai come in questo periodo il fascismo raggiunse così alti livelli di consenso e adesione: infatti, lo scontro con la Società delle Nazioni diede al regime lo spunto per una massiccia campagna propagandistica, che sfruttava l’ondata di orgoglio nazionalista suscitata dalle sanzioni.

Il razzismo divenne una componente fondamentale dell’ideologia fascista. Al 1938 risalgono la pubblicazione del Manifesto degli scienziati razzisti, l’esordio della rivista “La difesa della razza”, e soprattutto la promulgazione delle norme antisemite: queste ultime prevedevano l’espulsione degli ebrei stranieri, la privazione della cittadinanza per quelli che l’avevano ottenuta dopo il 1918, l’esclusione dall’insegnamento nelle scuole statali, dall’esercito, dalle cariche pubbliche, il divieto del matrimonio misto.

- ECONOMIA: La sostituzione, nel 1925, di De Stefani (liberista) con Giuseppe Volpi, coincise con la fine delle timide politiche liberiste del periodo precedente.

- Quota Novanta: Per rivalutare la lira nei confronti delle altre monete, fu accentuata la politica deflazionistica: il tasso di cambio tra lira e sterlina (moneta leader mondiale) fu portato a quota novanta (90 lire per 1 sterlina). Il mantenimento del tasso di cambio fu sostenuto attraverso la decurtazione dei salari, che limitò i consumi e ridusse le esportazioni dei prodotti italiani all’estero (perché i prodotti italiani ora costano di più). L’innalzamento delle tariffe doganali sui cereali diede origine alla “battaglia del grano”, tema propagandistico che doveva sostenere la politica di autosufficienza nella produzione delle derrate alimentari, per limitare il disavanzo pubblico.

- Bonifica: A partire dal 1928, fu avviata la bonifica integrale sotto la direzione di Arrigo Serpieri. I risultati furono inferiori agli esiti attesi e propagandati, ma comunque notevoli: i frutti migliori si ottennero nell’agro pontino, dove negli anni successivi sarebbero nati poderi per coloni venuti dal Nord Italia.

NAZISMO: Il nazismo fu un sistema autoritario caratterizzato da un violento anticomunismo, da una cultura antidemocratica, da una forte ideologia razzista. Il progetto fondamentale del nazismo si fondava su pretese espansionistiche della nazione tedesca, la germanizzazione delle aree conquistate e l’allontanamento di slavi ed ebrei agli estremi dell’Europa. Il carattere fortemente nazionalista del nazismo, da cui l’orgoglio scaturito, dipende dall’opposizione al trattato di Versailles e ai risarcimenti di guerra (si ricorda la mutilazione della Germania alla fine della Prima guerra mondiale), e dalla convinzione della superiorità razziale del popolo tedesco: il tutto si congiungeva nell’intento di restituire alla Germania il suo ruolo di guida mondiale.

- HITLER: Hitler sin dall’inizio rappresentò e ingigantì questi temi. Nato nel 1889 in Austria, visse prima a Vienna e poi a Monaco. Qui, a 20 anni, dopo aver combattuto nella Grande Guerra, Hitler si iscrisse al Partito tedesco dei lavoratori, presto rinominato Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori. Nel 1921 ne divenne presidente con poteri dittatoriali. L’antisemitismo costituì uno degli

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elementi ideologici centrali della visione del mondo di Hitler. Non tutto il territorio nazionale e né tutta la società tedesca si avvicinarono al nazionalsocialismo nello stesso periodo: ad esempio, Hitler trovò più consensi nelle aree nord e est della Germania, e solo più tardi nelle aree a maggioranza cattolica; più velocemente nelle aree rurali e nei centri urbani più piccoli e meno nelle grandi città. Furono i giovani, inoltre, a schierarsi più rapidamente a fianco della Nsdap (partito nazionalsocialista). Solo dopo il 1933, in mancanza di opposizione e grazie a un enorme dispiego di energie e di mezzi propagandistici, Hitler acquisì consenso anche nelle aree geografiche e nei gruppi sociali più ostili.

Fin dagli anni 20, Hitler fu sostenuto dalle autorità politiche e militari e dalla ricca borghesia di Monaco: ma solo nel 1933 il mondo degli affari, gli esponenti dell’industria, la grande possidenza agraria, si decisero ad appoggiarlo. Non a caso, proprio in quell’anno Hitler dissolse la democrazia, ed esercitò il potere in modo dispotico, senza le mediazioni di organismi rappresentativi. La violenza fu rivolta contro gli avversari politici, gli operai legati ai partiti di sinistra, ebrei, zingari, omosessuali, mendicanti: per loro già nel 1933 cominciò a funzionare il campo di concentramento di Dachau. Il carattere selettivo della violenza nazista spinse la maggior parte della società tedesca ad adeguarsi rapidamente alle forme del dominio politico hitleriano (la stessa chiesa non protestò quasi mai).

- DITTATURA: Contrariamente a quanto era accaduto in Italia, al Partito nazionalsocialista bastarono pochi mesi per liberarsi degli oppositori politici e meno di un anno per instaurare un regime dittatoriale. Nel 1933, a un mese dalla nomina a cancelliere di Hitler, l’incendio del Reichstag (presentato dal Nsdap come una rivoluzione comunista) fu il segnale di inizio di una vasta azione di repressione degli oppositori di sinistra. Nelle città universitarie cominciavano i roghi dei libri antitedeschi. Nel marzo del 1933 la Germania fu portata fuori dalla Società delle Nazioni. Da questo momento Hitler cominciò a realizzare il programma già anticipato nel Mein Kampf, pubblicato tra il 1925 e il 1926.

Oltre alle chiese cristiane, che mantenevano un atteggiamento poco disposto allo scontro, nel 1933 l’unica istituzione a conservare una completa autonomia era la Wehrmacht (l’esercito). Motivo di scontro tra esercito e nazismo era il ruolo delle formazioni paramilitari: le SA (squadre d’assalto) erano infatti una forza straordinaria per condurre lo scontro politico, ossia l’esercito privato del partito. La concorrenza esplicita delle SA nei confronti della Wehrmacht attirò l’antipatia di Himmler (capo delle SS – squadre di difesa). Nel 1934 però le tensioni tra le formazioni paramilitari e la Wehrmacht si accentuarono, e Hitler decise di agire: la notte del 30 giugno, nota come “la notte dei lunghi coltelli”, le SA, accusate di preparare un colpo di stato, vennero sbaragliate (lo stesso loro capo, Rohm, fu arrestato e poi ucciso). Il risultato fu un accordo tra l’esercito e il partito nazista, e portò al riconoscimento di Hitler come Fuhrer e capo delle forze armate. Così, la Wehrmacht fu dichiarata unica forza armata della nazione. Rimanevano però le SS, altro corpo paramilitare, destinato a crescere.

- ECONOMIA: Un altro elemento che agevolò la costruzione del consenso a favore di Hitler fu la ripresa economica che coincise con il suo avvento al potere. I due principali obiettivi economici erano la limitazione dell’alienabilità (e la divisibilità dei fondi rustici), e l’esclusione delle donne da tutta la pubblica amministrazione (in modo da restituire alla donna la figura di madre): a ciò seguiva poi la propaganda sulla preservazione dei caratteri originari della stirpe tedesca, a cui si collega il

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concetto di razza. L’espansione industriale era però frenata dalla dipendenza dal mercato estero per le materie prime: l’economia del paese era in questo modo fragile e incerta, ma non fece cambiare idea ad Hitler, che concentrò la spesa sul riarmo (considerando l’accordo tra Hitler, l’esercito e la grande industria).

Nel 1936 fu varato un piano quadriennale per elevare la produzione e favorire l’industria bellica. Si realizzarono interessanti esperimenti di politica fordista, con aumento dei salari, l’attuazione di elevati ritmi di lavoro. Non a caso un anno dopo ebbe inizio la produzione della Volkswagen (letteralmente Auto del popolo). La disoccupazione tendeva a scomparire: la popolazione aveva i tassi di crescita più elevati d’Europa, e come è facile immaginare, il consenso aumentava.

- POLITICA: Nel frattempo, Hitler ottenne una vittoria politica nel 1935 grazie alla conferma del ritorno della Polonia alla Germania, scelta votata al 90%. Inoltre, Hitler approfittò della confusione in cui si trovava la Società delle Nazioni a causa dell’invasione dell’Etiopia da parte dell’Italia: nel 1936, dunque, la Germania rioccupò la Renania, violando gli accordi di Locarno del 1925. Concluse poi con Mussolini l’Asse Roma-Berlino e con il Giappone il patto anti-Comintern (cooperazione tramite scambio di informazioni, pressione sull'opinione pubblica, e lotta contro gli agenti comunisti).

La politica Hitleriana non avrebbe potuto consolidarsi senza un’adeguata espansione territoriale (Lebensraum – spazio vitale), uno dei punti cardinali del progetto nazista. Anche la politica antiebraica venne attuava con decisione, attraverso la promulgazione delle leggi di Norimberga: si stabiliva che i 500.000 ebrei tedeschi non appartenevano al sangue germanico, e quindi non erano cittadini del Reich.

COMUNISMO: Fino alla fine degli anni 30, Stalin era un dittatore debole, che non disponeva di un apparato capace di imporre con la forza le sue direttive politiche. Solo dopo il 1937 Stalin decise di appoggiarsi al gruppo radicale (Molotov, Ezov e Kaganovic) e di raggiungere il potere assoluto attraverso pratiche dispotiche e poliziesche. Vi era però una forte frattura tra due diverse logiche di organizzazione del sistema sovietico: una era costituita da un modello di amministrazione burocratica creata dallo Stato. La seconda era costituita da una conduzione dispotica affidata alla assoluta discrezionalità di Stalin e del gruppo dirigente.

- ECONOMIA: Alla fine degli anni 20, con la crisi degli ammassi dei cereali (prezzi agricoli troppo bassi rispetto a quelli dei prodotti industriali), ebbe inizio la grande collettivizzazione della proprietà fondiaria. È questo il momento in cui cominciò a crescere lo stalinismo. Le aziende collettivizzate aumentarono sempre più velocemente: passarono dal 65% nel 1933 al 90% nel 1937. I giornali invitavano a combattere lo sciopero del grano attuato dai Kulaki (contadini più ricchi).

- Piano quinquennale: Nel 1928 Stalin abbandonò la Nep (nuova politica economica) con lo scopo di promuovere una rapida industrializzazione e di rafforzare la posizione militare dell’Urss: era il “piano quinquennale”. Lo stato assegnava alle unità produttive gli obiettivi da raggiungere, distribuiva le risorse e stabiliva i prezzi delle merci e i flussi commerciali. Tuttavia, gli obiettivi erano troppo ambiziosi, e nella maggior parte dei casi il piano non fu rispettato. Ciò che frenava il piano era la carenza di combustibili, di attrezzature e di forza lavoro. La produzione industriale comunque raddoppiò, con particolare attenzione sull’industria pesante. Nacquero settori come l’aviazione, macchine per l’agricoltura, automobili ecc. Fu costruita l’industria

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bellica e l’industria meccanica. L’imposizione, nel 1929, del razionamento in molte città aumentò l’ostilità della popolazione urbana verso i contadini. Ecco perché il gruppo dirigente staliniano decise per una collettivizzazione totale, un sistema basato su grandi unità produttive sotto il controllo dello stato (invece di tante aziende contadine): ciò fu attuato non senza violenza.

- Collettivizzazione: La collettivizzazione a ritmi forzati infatti fu una vera e propria guerra contro i contadini: essi furono cacciati dalle loro abitazioni e costretti a lavorare nei Kolchozy, con retribuzioni in natura da fame. I più agiati erano condannati alla deportazione e trasportati in condizioni disumane. In tal modo, il numero dei lager e l’attività del Gulag (direzione centrale statale dei campi di lavoro dell’Urss) crebbero a dismisura. Tra il 1928 e il 1940 esistevano almeno 162 lager e un numero di internati fino a 20 milioni. Ne risultò una guerra civile, in cui fu sfruttata la legge sulla difesa della proprietà socialista, che imponeva pene severissime per quelli che rubavano grano e altri prodotti alimentari. Nel giro di pochi mesi furono condannate 103.000 persone (alcune fucilate). Ma non fu solo la violenza a creare vittime: la grande carestia del 1932 fece nelle campagne 7 milioni di vittime. I passaporti interni, introdotti lo stesso anno per limitare l’afflusso dei contadini nelle città, impedì a questi ultimi di sfuggire alla fame e di sottrarsi alla morte andando altrove.

- POLITICA: Gli anni che vanno dal 1934 al 1939 furono quelli più drammatici per l’Urss. Nel 1934, infatti, fu ucciso il dirigente bolscevico Kirov; tale assassinio offrì a Stalin il pretesto per intensificare la persecuzione dei suoi rivali. Fu il periodo delle grandi purghe, che decapitarono il Partito bolscevico ed eliminarono qualsiasi forma di dialettica politica al suo interno. Dopo aver sterminato i suoi oppositori, Stalin si rivolse contro la “destra” del partito; l’esponente più importante era Bucharin, il quale intendeva ripristinare l’iniziativa privata. Egli venne accusato di essere un traditore e di voler ricostituire il capitalismo: venne fucilato nel 1938. Furono eliminati tutti i dirigenti e i funzionari statali che avevano fatto la rivoluzione. La Russia era ormai di Stalin.

ALLEANZA TRA I PARTITI COMUNISTI: A causa dell’ascesa al potere di Hitler, col nazismo, vennero firmati patti di collaborazione fra i partiti socialisti e comunisti francesi, italiani e spagnoli. Alcuni fra i massimi dirigenti dell’Internazionale comunista (tra cui Togliatti), decisero di creare Fronti Popolari in ogni Paese (alleanze in funzione antifascista fra comunisti, socialisti e democratici radicali): essi dovevano difendere la democrazia.

AVVICINAMENTO TRA URSS E GERMANIA: Tuttavia, ci sarà il patto di Molotov tra Russia e Germania: i due paesi, entrambi sconfitti dalla guerra, trovavano un punto di incontro nella loro ostilità. L’Urss rinunciava a sostenere la rivoluzione in Germania e rinunciava ad occupare la Polonia. La Germania, però, non doveva occupare la Russia, e poteva ricostruire la Wehrmacht sul suolo sovietico, offrendo aiuti economici e tecnologie alla Russia.

SECONDA GUERRA MONDIALE:

- I FRONTI POPOLARI: Un elemento che favorì la nascita del secondo conflitto mondiale fu sicuramente la circospezione dei sistemi autoritari rispetto ai fronti popolari (unioni internazionali dei partiti di sinistra) che crescevano velocemente in Europa. Uno dei primi obiettivi della Nsdap

Page 43: R3GISTRAZIONI · Web viewIl movimento fascista non aveva un vero e proprio programma politico, ma raccoglieva una serie di istanze e di linee principali, anche contrastanti tra loro,

(partito nazionalsocialista) fu l’annientamento del Partito socialdemocratico e di quello comunista, le organizzazioni politiche più forti d’Europa. L’Urss entrava a far parte della Società delle Nazioni, e nel frattempo stringeva l’accordo bilaterale di cooperazione con la Francia.

La Terza Internazionale (detta l’Internazionale - Comintern), ovvero l’organizzazione nazionale dei partiti comunisti, rimarcò il carattere aggressivo del fascismo e la necessità di batterlo per ottenere la pace. Di qui la spinta a realizzare delle alleanze più vaste: per questo si formò il Fronte popolare, che raccoglieva tutte le forze liberali e democratiche di opposizione ai regimi autoritari. Tale sistema portò alla vittoria in Francia e Spagna delle alleanze politiche di sinistra alle elezioni del 1936.

- LA GUERRA DI SPAGNA: Tra il 1936 e il 1939 la Spagna tremò a causa di una guerra civile interna causata dalle tensioni irrisolte presenti nella società spagnola. Tuttavia, qualcosa stavolta sembrava apparire diversamente: l’opinione pubblica si mostrava attiva e partecipe circa il fatto, e arrivavano aiuti da forze straniere. La guerra civile consentì alle forze più conservatrici del paese di rinsaldare il loro controllo politico.

Nel 1931, dopo la dittatura di De Rivera, nasceva la Seconda repubblica, di cui Zamora ne diveniva il presidente (con con Azaña al governo). Il nuovo governo, composto da repubblicani e socialisti, aveva in programma una profonda modernizzazione sul modello dei maggiori paesi europei: fu presto stesa una costituzione di natura laica e democratica, contemporaneamente liberale e riformista. Un ostacolo era però l’opposizione delle forze armate al governo, così come l’opposizione degli anarchici e del loro potente sindacato. Il governo cedette e nel 1933 si svolsero nuove elezioni, in cui furono favorite le forze conservatrici: queste ultime si impegnarono in un’opera di smantellamento della legislazione repubblicana. La politica si fece sempre più autoritaria e reazionaria.

- FRANCISCO FRANCO: In seguito nasce la “Falange”, una formazione radicale di destra per iniziativa del figlio dell’ex dittatore De Rivera: una formazione destinata a grande fortuna successivamente. Le agitazioni dovute alla politica autoritaria sfociarono in vere e proprie repressioni, con circa 30 mila imprigionati, centinaia uccisi (noto è il caso delle Asturie). Si ritornò ad una concezione centralista dello stato, generando inevitabilmente due fronti contrapposti: il Fronte popolare spagnolo (sostenuto dalla Terza Internazionale), e le Forze conservatrici (sostenute dai militari e da grandi proprietari). Nel 1936 il Fronte popolare vinse le elezioni, anche se le Forze conservatrici cercarono di respingere l’esito e ribellarsi al governo repubblicano.

I militari erano guidati da Francisco Franco, ritornato in patria alla testa delle truppe di stanza in Marocco, e subito nominato capo dello stato, con il titolo di Generalissimo. L’arrivo delle truppe dal Marocco fu possibile grazie ad un ponte aereo organizzato dall’aviazione tedesca e italiana. Germania e Italia sostennero i militari fornendo aerei, mezzi, uomini addestrati. L’Urss d’altro canto si schierò dalla parte dei repubblicani, assicurando anche ad essi armi e munizioni. Il conflitto assumeva la forma di una lotta tra fascismo e forze comuniste. Francia e Gran Bretagna rimasero a guardare, desiderose della pace.

Il Nord-ovest della spagna si schierò con Franco, mentre tutta la parte orientale del Paese fino a Madrid favoriva la Repubblica. La maggior parte degli ufficiali esperti si era schierata con Franco. Il fronte repubblicano, essendo meno organizzato rispetto alle forze franchiste, non riuscì a

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competere con i nazionalisti. Inoltre, Franco sfruttò le lesioni interne al fronte repubblicano, in cui vi era uno scontro aperto tra anarchici/comunisti antistalinisti, contro socialisti/comunisti. Fu una guerra civile dentro una guerra civile. L’aviazione tedesca rase al suolo la cittadina di Guernica (il primo bombardamento a tappeto). Il Nord della Spagna venne perduto dalla Repubblica. I Franchisti nel 1938 spinsero il fronte fino in Catalogna, occupando poi Madrid e Barcellona nel 1939: Franco dichiarò conclusa la guerra. Nacque così un regime autoritario a partito unico: la Falange española tradizionalista. Il risultato fu due milioni di arresti e 200mila esecuzioni. Non si limitava però ad una vittoria dei nazionalisti: la sconfitta delle forze repubblicane, infatti, fu accolta con sollievo da molti paesi, anche democratici, in quanto erano più timorosi dell’allargamento bolscevismo che dei regimi autoritari.

- CINA, GIAPPONE e USA: La riunificazione della Cina, dopo la repressione anticomunista, e l’appoggio statunitense di cui questi godeva, cambiarono duramente i rapporti di forza nell’area del Pacifico. Il Giappone, timoroso di una possibile modernizzazione della Cina, sotto la tutela americana, aveva ripreso le ideologie panasiatiche aggressive. Il governo autoritario infatti mirava a fare del Giappone una grande potenza. L’invasione e l’occupazione della Manciuria nel 1931, come si vedrà, spingeranno il Giappone verso l’abbandono della Società delle Nazioni, insieme al patto anti-Comintern con Germania e Italia (1937), con cui di fatto si definiva la posizione nipponica nel sistema delle alleanze internazionali.

GERMANIA: Più volte Hitler, dopo aver indebolito e poi abolito del tutto il governo collegiale, aveva richiamato l’attenzione sulla necessità di estendere lo spazio vitale della Germania (Lebensraum). Tale spazio era uno strumento per definire obiettivi sempre novi, capaci di giustificare una condizione collettiva di mobilitazione permanente, unico antidoto contro la perdita del consenso. Nel 1937, sentendosi ormai pronto, Hitler presentò i suoi piani di politica estera: l’Austria e la Cecoslovacchia furono indicate come le prime prede. Era convinto che la Gran Bretagna, preoccupata delle lotte indipendentiste in India, avrebbe evitato di infilarsi in un altro conflitto; riteneva poi che la Francia da sola non sarebbe intervenuta.

- FRONTE ORIENTALE:

1) Quindi nel 1938 Hitler preparò l’Anschluss con l’Austria (annessione), con una miscela di minacce militari e pressioni politiche. Il cancelliere austriaco era stanco delle interferenze tedesche e della indifferenza degli altri paesi europei: così, l’esercito tedesco entrò indisturbato in Austria, e il paese prese il nome di Ostmark (marca orientale).

2) Hitler passava alla seconda parte dei suoi programmi: la conquista della Cecoslovacchia. Decise di annettere la regione abitata dai Sudeti (una zona al confine con la Germania), in cui risiedeva una minoranza tedescofona. La conferenza di Monaco del 1938, nata per dare una soluzione politica alle rivendicazioni tedesche, vide la partecipazione dei capi di stato di Gran Bretagna, Germania, Francia e Italia: la Cecoslovacchia non fu invitata. La conferenza assecondò le mire tedesche, in quanto, come già affermato, Francia e Gran Bretagna non intendevano rinunciare alla pace, anche a costo di larghe concessioni. In pratica, veniva riconosciuto il diritto della Germania ad aggredire la Cecoslovacchia. La Slovacchia, con un trattato di amicizia, proclamò la sua indipendenza e si legò alla Germania. Nel frattempo l’esercito polacco apriva ai tedeschi la strada per la completa invasione del paese (1939).

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3) Dopo l’occupazione della Cecoslovacchia, Hitler mostrò l’intenzione di attaccare la Polonia, rivendicando la restituzione di Danzica (città di lingua tedesca) e del corridoio polacco: Francia e Gran Bretagna si dichiararono garanti dell’integrità territoriale della Polonia, e quest’ultima si oppose alle richieste tedesche. Ma la situazione precipitò con il Patto d’acciaio (tra Germania e Italia - 1939) e il Patto di non aggressione con l’Urss (patto di Ribbentrop-Molotov): la Polonia fu praticamente cancellata a causa dell’occupazione dell’esercito tedesco e di quello sovietico. La guerra lampo condotta dall’esercito tedesco in due settimane ebbe la meglio sull’antiquato esercito polacco. Successivamente, la Germania attraversò la Danimarca e si impossessò della Norvegia (area strategica per l’accerchiamento dell’Inghilterra), con una velocità impressionante grazie alle Divisioni corazzate e all’aviazione. Eppure, Francia e Gran Bretagna rimanevano ancora in attesa. (Nel frattempo l’Urss invadeva Finlandia, Lituania, Lettonia, Estonia).

4) Anche nell’Africa settentrionale i tedeschi ottenevano successi. Il generale Rommel, alla testa dell’Afrika Korps, costrinse gli inglesi ad arretrare fino ad El Alamein, mentre le forze tedesche entravano in Egitto. Ma dalla fine del 1942, dopo l’invasione di Algeria e Marocco, l’esercito anglo-americano annientò le forze dell’Asse in Tunisia e contemporaneamente liberò il Mediterraneo, assicurandosi il controllo del canale di Suez, e distruggendo così i sogni imperiali dell’Italia.

- FRONTE OCCIDENTALE:

1) Il 10 maggio 1940 la Germania cominciò l’offensiva sul fronte occidentale. Le truppe attraversarono Olanda, Lussemburgo, Belgio, nonostante la loro neutralità, e aggirarono le fortificazioni: un mese dopo i tedeschi erano già a Parigi, e infatti il 22 giugno i francesi firmarono la resa. La Francia venne divisa in due: la parte maggiore, compresa Parigi, fu occupata (governo Vichy, collaborazionista e sotto la tutela tedesca); quella centromeridionale rimase sotto il controllo francese.

2) A questo punto Hitler non avrebbe disdegnato un accordo con la Gran Bretagna, ma ciò che glielo impediva era Churchill: conservatore, imperialista, violentemente anticomunista, egli era determinato a condurre la guerra alla Germania fino alla vittoria. Non esitò ad accordarsi con l’Urss per sconfiggere il nazismo. Così, Hitler preparava l’invasione della Gran Bretagna (operazione “Leone marino”), ricorrendo principalmente a bombardamenti aerei contro le città, l’esercito e i civili. Malgrado ciò, grazie ad aerei tecnologicamente più avanzati e all’aiuto dei radar, la Royal Air Force inglese ottenne successi sulla Luftwaffe tedesca.

ITALIA:

1) Fronte occidentale: Nel frattempo l’Italia, che si era dichiarata non belligerante (per nascondere l’impreparazione allo sforzo bellico), si affrettò a dichiarare guerra a Francia e Gran Bretagna (10 giugno) in particolar modo per tentare di strappare ai due paesi le chiavi del mediterraneo (Gibilterra, Suez). Mussolini era infatti convinto che la guerra fosse ormai quasi vinta. Ma il tentativo di avanzata delle truppe alle frontiere alpine fu arrestato dai francesi, e questi ultimi si portarono sul territorio italiano.

2) Fronte orientale: All’Italia non rimase che la ricerca di tardive avventure coloniali, o un allargamento delle posizioni nei Balcani. Il nuovo Impero italiano in Africa era isolato e impossibilitato a ricevere aiuti e risorse: esso venne rapidamente perduto. Le truppe italiane,

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comandate male e armate miseramente, vennero sconfitte dagli inglesi. Solo il generale tedesco Rommel impedì che l’Italia perdesse completamente la Libia. In generale, sia in Africa che in Grecia le iniziative militari furono disastrose, in quanto in entrambi i casi furono i tedeschi a chiudere le falle aperte dall’intervento Italiano. La conquista della Jugoslavia si era rivelata necessaria per raggiungere la Grecia e trarre dalle difficoltà i soldati italiani. Nel 1941 la guerra parallela dell’Italia era già finita, mentre la Germania controllava praticamente l’intera Europa.

GERMANIA vs. URSS: Nel 1941 Hitler diede il via all’invasione dell’Urss, nota anche come “operazione Barbarossa”. Questa decisione repentina fu dovuta alle difficoltà incontrate nell’invasione della Gran Bretagna e alla necessità di trovare un nuovo obiettivo per le forze militari. Vi erano poi le preoccupazioni tedesche per l’espansione sovietica in alcune aree strategiche per lo sforzo bellico: il Baltico e i Balcani. Hitler riteneva che l’invasione dell’Urss avrebbe favorito, per il comune antibolscevismo, un accordo con la Gran Bretagna.

1) L’esercito tedesco contava 3 milioni di soldati, ed era impegnato su un fronte di oltre 3 mila chilometri: 10 mila erano i carri armati e 3 mila gli aerei. In pochi mesi le armate tedesche avevano occupato la Russia bianca, l’Ucraina, la Crimea, e assediato Leningrado: i tedeschi erano a soli 40 chilometri da Mosca. Il motivo per cui avevano occupato Leningrado era strategico; era una zona importante per l’estrazione di carbone e di sostanze ferrose.

2) Ma l’Urss resisteva: lo slogan, voluto da Stalin, della guerra patriottica, fu un elemento propagandistico di estrema efficacia. La controffensiva lanciata dall’Armata rossa nell’inverno del 1941 allontanò i tedeschi da Mosca e chiuse la guerra lampo: l’inverno russo e gli enormi spazi furono essenziali per fermare i tedeschi. I mezzi motorizzati si impantanarono prima nel fango e poi nella neve. I sovietici, inoltre, distruggevano quelle poche strade che vi erano, rendendo quasi impossibili le comunicazioni e i rifornimenti. I russi trasferirono gli impianti industriali negli Urali e in Siberia (dove i tedeschi non potevano arrivare), dove ripresero la produzione bellica per continuare la guerra.

3) Nell’inverno del 1943 le forze dell’Asse subirono una drammatica sconfitta nella battaglia di Stalingrado. Di circa 250 mila soldati tedeschi, ne sopravvissero meno di 100 mila. Anche l’Urss in quella sola battaglia perse un numero di uomini superiore ai caduti americani di tutto il conflitto. Ma da questo momento l’Armata rossa poteva contare nel sostegno degli Stati Uniti, che fornirono materiale bellico alla Russia (con la legge sugli “affitti e prestiti”, con cui gli armamenti venivano pagati solo a fine guerra).

STATI UNITI: Gli Usa attenuarono la loro neutralità. Nel 1941 fu promulgata la suddetta legge sugli “affitti e prestiti” con cui gli Stati Uniti vendevano armamenti alla Gran Bretagna con pagamento solo alla fine ella guerra, garantito dalle riserve auree:

1) Ma in quello stesso anno, senza preavviso, l’aviazione giapponese sferrò un attacco alla base navale americana di Pearl Harbor (Hawaii), i cui danni furono alti: si contavano 4 mila morti, 230 aerei distrutti. Gran Bretagna e Stati Uniti dichiararono guerra al Giappone. Mentre Germania, Italia e paesi alleati dell’Asse dichiararono guerra agli Usa. I giapponesi, approfittando dell’impreparazione e dell’indebolimento della flotta americana, invasero le Filippine, Hong Kong, Malesia e Singapore. Nel 1942 il Giappone controllava l’importante via di traffico marittima dal Pacifico all’Oceano Indiano.

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2) Nell’estate del 1943 le truppe anglo-americane sbarcarono in Sicilia (si ricorda che avevano ripreso il possesso del Mediterraneo sbaragliando le truppe italiane e tedesche).

CROLLO DEL FASCISMO e RSI: Il fascismo si andava sgretolando, e il 25 luglio del 1943 Mussolini fu prima esautorato dal voto del Gran Consiglio (su richiesta di Dino Grandi – politico fascista -, accettata anche dal Re), e poi arrestato, mentre il generale Badoglio formò un nuovo governo che smantellava tutte le istituzioni di quella sorta di stato parallelo costruito dal fascismo. Furono sciolti il Pnf, il Tribunale speciale, il Gran Consiglio, la Camera dei fasci e delle corporazioni. Badoglio nel frattempo aveva avviato trattative segrete con gli angloamericani, e per non insospettire i tedeschi continuava a dichiarare “La guerra continua”. Solo l’8 settembre Badoglio informò il Paese di aver firmato l’armistizio quattro giorni prima: quella stessa notte il re, il capo del governo e alcuni ufficiali lasciarono Roma per Pescara, rifugiandosi a Brindisi, già liberata dagli Alleati.

- RSI: Il 12 settembre Mussolini fu scarcerato da un gruppo di paracadutisti tedeschi (era detenuto sul Gran Sasso) e poi condotto in Germania. Da qui annunciò la ricostituzione del Pnf (ora Pfr – partito fascista repubblicano) e la nascita della Repubblica Sociale Italiana (RSI) nel territorio occupato dai tedeschi. Tornato dunque in Italia, Mussolini stabilì il nuovo governo a Salò, sul lago di Garda (Repubblica di Salò, per l’appunto). A Roma, in risposta a un’azione dei Gruppi di azione patriottica (che uccisero 33 militari tedeschi), furono consegnati dai fascisti alle SS e fucilati alle Fosse Ardeatine 335 civili, ebrei, antifascisti e cittadini (24 marzo 1944).

Il Pfr divenne una sorte di centro coordinatore delle milizie civili che si agitavano nel nuovo stato e si costituivano rapidamente in partito armato. Lo scopo era l’offensiva contro le formazioni partigiane: in questo contesto, si consolidavano una serie di eserciti e polizie parallele, generalmente definite “bande”, in quanto non erano una forza in grado di contrastare l’esercito degli Alleati, ma erano utili nel sostegno all’esercito tedesco e nel rastrellamento di partigiani ed ebrei. Tra il 1943 e la fine della guerra, dai territori della RSI furono deportati più di 7 mila ebrei: nella Risiera di S. Sabba (Trieste), in territorio controllato dai tedeschi, fu creato l’unico campo di sterminio italiano, in cui furono eliminati centinaia di ebrei, partigiani italiani e jugoslavi.

VERSO LA FINE: Non era solo il fascismo ad essere crollato. Anche Hitler ormai mostrava segni di cedimento contro le forze anglo-americane (e l’Armata rossa). Per tutto il 1943 gli anglo-americani, infatti, avevano bombardato con continuità la Germania per fiaccarne la capacità produttiva: solo inizialmente si puntò alle fabbriche e alle infrastrutture strategiche. Tremendo fu il bombardamento di Dresda che procurò la morte a circa 200 mila civili e la quasi completa distruzione del centro storico della città:

1) Nel 1944, infatti, le truppe alleate sbarcarono sulla costa della Normandia. Contemporaneamente arrivarono a Parigi, pur con una lotta sanguinosa.

2) Nel 1945 gli alleati attraversarono il Reno, e contemporaneamente i sovietici liberarono e occuparono in successione Ucraina, Russia bianca, stati baltici, Polonia orientale, Prussia orientale. Berlino, il cuore del Terzo Reich, quasi completamente distrutta dopo l’ultima disperata resistenza, fu occupata da truppe alleate e sovietiche. Hitler era già morto suicida nel bunker della cancelleria della capitale (30 aprile 1945).

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3) Rimaneva ancora da chiudere la guerra con un Giappone stremato ma non ancora battuto. Roosevelt era morto da pochi mesi, e a lui succedette Harry Truman. Il Giappone firmò una resa formale il 2 settembre del 1945, ma dopo un ultimatum, Truman decise di ricorrere alla bomba atomica (già pronta e sperimentata): il 6 e il 9 agosto due ordigni nucleari colpirono Hiroshima e Nagasaki. La distruzione delle città fu totale, con 160 mila morti (tra le due città), e moltissime furono le persone morte in seguito per le radiazioni.

LA CONFERENZA DI YALTA e GLI ACCORDI DI BRETTON WOODS: La Conferenza di Yalta (febbraio 1945) serviva a definire i nuovi equilibri post-guerra. Churchill, Roosevelt (sarebbe morto due mesi dopo) e Stalin presero semplicemente atto di una situazione di fatto: la guerra non era ancora formalmente conclusa, e bisognava riconoscere gli interessi degli altri. Furono dunque affrontati alcuni problemi come l’assetto della Germania, il diritto di veto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, le riparazioni di guerra. Non si discusse però della vera e propria spartizione che era in atto in Europa. L’Armata rossa, infatti, occupava Polonia, Romania, Ungheria, Bulgaria, Cecoslovacchia; e, insieme agli alleati, Germania e Austria.

Gli accordi di Bretton Woods, stipulati nel luglio 1944 tra i 44 paesi impegnati nella guerra contro le forze dell’Asse, miravano a ripristinare le condizioni di convertibilità delle monete e a creare un sistema di compensazione multilaterale delle bilance dei pagamenti per il dopoguerra. Erano misure atte a favorire il commercio internazionale e una veloce ripresa dell’economia. Furono così progettati il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) e la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo: il sistema fu basato sul dollaro, mentre l’Urss e i suoi alleati decisero di non aderire.

- RISULTATI DELLA GUERRA: I costi della seconda guerra mondiale apparivano drammatici e incomparabili con quelli della carneficina del primo conflitto mondiale:

- I morti si aggiravano intorno ai 55 milioni.

- Il numero dei civili uccisi dea bombardamenti, dalle persecuzioni razziali e dalla fame fu altissimo.

- Il paese che aveva pagato il tributo di sangue più elevato era l’Urss: 20 milioni di morti, di cui la maggior parte sterminati nei campi di prigionia.

- La persecuzione antiebraica aggiunse alla lista almeno 5 milioni di vittime a cui vanno sommate le uccisioni di zingari e serbi.

- Straordinario fu il numero di cinesi massacrati dai giapponesi nella loro guerra parallela: circa 20 milioni.

- Germania e Polonia avevano subito intorno ai 5 milioni di morti, in gran parte civili.

- L’OLOCAUSTO: L’olocausto consiste nell’impegno assoluto di sopprimere l’intero popolo ebraico, con qualsiasi mezzo. Non si può certamente cercare di giustificare le azioni brutali del nazionalsocialismo contro il popolo ebraico, ma è possibile comunque affermare i motivi che spinsero Hitler a concentrare gran parte della sua politica nell’antisemitismo: già nelle pagine del Mein Kampf Hitler identificava negli ebrei i nemici peggiori di tutte le nazioni e della Germania in particolare, in quanto essi indebolivano e corrompevano la razza con la diffusione di idee come la

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democrazia o il parlamento o, peggio, il socialismo. Lo stesso bolscevismo era per Hitler un’invenzione ebraica. Agli ebrei egli attribuiva la paternità dei valori negativi della società contemporanea: l’internazionalismo, la democrazia, il pacifismo. Bisogna infatti tener conto del fatto che il popolo ebraico non ha nazione, e tal principio va contro le fondamenta naziste, i quali vedevano negli ebrei una minaccia per l’unità tedesca, unità di razza, di popolo e di nazione.

Già nel 1933 gli ebrei erano oggetto di intimidazioni e violenze su tutto il territorio nazionale da parte delle camicie brune e degli attivisti della Nsdap. I loro negozi venivano boicottati, così come le loro altre forme di attività economiche. Il primo intervento legislativo apertamente discriminatorio nei confronti della popolazione ebraica fu quello del 1935: le “Leggi di Norimberga” impiegavano una base pseudo-scientifica per la discriminazione razziale nei confronti della comunità ebraica tedesca (con 4 nonni tedeschi = eri tedesco, mentre con 4 nonni ebrei = eri ebreo). Il divieto per gli avvocati e i medici di esercitare la professione, l’obbligo per gli ebrei di aggiungere al loro nome il prenome Israel o Sara, si accompagnarono al trasferimento forzato in Polonia di 28 mila ebrei di origine polacca.

Famosa è la notte tra il 9 e il 10 novembre del 1938, detta “Notte dei cristalli”: 91 ebrei uccisi, 191 sinagoghe incendiate, migliaia di negozi distrutti, 30 mila ebrei maschi arrestati e inviati nei campi di concentramento. 120 mila ebrei emigrarono tra il 1938 e il 1939. Quelli che non riuscirono a scappare furono deportati nei campi di concentramento, in particolare dagli anni 40 fino alla fine della guerra. Venivano deportati in Polonia ebrei tedeschi e ebrei provenienti da altri territori occupati. La Polonia era diventato luogo di morte e di terrore senza fine: non vi erano più leggi o norme, bensì a regnare era l’assoluto arbitrio. Ad agire non erano solo le SS e la Wehrmacht, ma anche i Pogrom (sommosse popolari antisemite) spinti dalla propaganda e il Gauleiter (suddivisione amministrativa dello stato), che prendeva decisioni a riguardo con assoluta libertà.

- L’ORGANIZZAZIONE: Nell’ottobre del 1941 si ebbe la svolta definitiva per l’eliminazione degli ebrei. Nel convegno di Wannsee (un anno dopo), con la presenza di importanti ministri, tra cui Adolf Eichmann (funzionario della “RSHA" - "ufficio centrale per la sicurezza del Reich”), uomo chiave dell’organizzazione dello sterminio, si riassunsero le opinioni e le indicazioni di Hitler: gli ebrei dovevano essere sterminati tutti, ovunque e in ogni modo. Lo sterminio doveva concludersi prima della fine della guerra, poiché in tempo di pace sarebbe stato tutto più difficile. Nel 1941 le SS bloccarono tutte le frontiere: da questo momento gli ebrei non potevano più emigrare.

Il più famoso campo di concentramento è Auschwitz (in Polonia), tristemente noto per la sua straordinaria produttività: almeno un milione di vittime tra il 1942 e il 1944. Auschwitz funzionò per tutto il periodo bellico come centro schiavistico per lo sfruttamento dei prigionieri. Fu lo stesso Himmler a volerlo utilizzare anche come campo di sterminio, per la prossimità alla ferrovia e per le dimensioni sufficientemente estese. Come negli altri campi di sterminio, ad Auschwitz i prigionieri venivano selezionati al momento dell’arrivo sulla banchina ferroviaria stessa. Quelli in grado di lavorare (pochissimi, dopo il viaggio stremante) venivano destinati al campo di concentramento, dove lavoravano fino a quando non morivano di fatica e di fame (alcuni venivano invece gassati). Gli altri venivano immediatamente spediti nelle camere a gas. Vi erano poi i forni crematori che servivano a liberarsi dei cadaveri.

RESISTENZE e GUERRE CIVILI:

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- IN EUROPA: La natura politica della resistenza in Europa dipese in particolar modo da sentimenti condivisi di lealtà istituzionale e di patriottismo. Fu questo il caso di Olanda, Belgio, Norvegia e Danimarca, che lottarono per liberare i loro territori dagli eserciti di occupazione e ripristinare le istituzioni rappresentative. Gli eserciti della resistenza erano strettamente legati a quelli degli Alleati: i partigiani dovevano limitare le loro azioni al sabotaggio, alla intelligence e alle attività dimostrative capaci di dar prova dell’esistenza di un’opposizione ampia e radicata. Le forze alleate temevano l’instabilità o la deriva comunista soprattutto in Italia e Grecia. Le potenze alleate infatti intervennero apertamente a favore delle forze che ritenevano più affidabili e politicamente vicine.

- JUGOSLAVIA: Il caso del movimento resistenziale jugoslavo è certo tra i più noti per la sua ampiezza e perché fu l’unico, in tutta l’Europa orientale, capace di liberare il paese senza l’aiuto dell’Armata rossa. Le forze della resistenza avevano due capi: Tito e Mihajlovic. Prevalse Tito, che vedeva nella resistenza una lotta di liberazione per la creazione di un paese ove convivessero tutte le nazioni. Nacque per sua iniziativa il “Fronte di liberazione nazionale” con centinaia di migliaia di partigiani di tutte le etnie.

- FOIBE: La brutalità degli ultimi due anni di guerra, la natura fortemente ideologica della resistenza, la facile equazione fra fascismo e italiani, insieme a rancori personali, portarono a una selvaggia persecuzione degli italiani in Istria, nella città di Fiume, nelle province di Trieste e Gorizia, da parte dei partigiani croati e sloveni e dei comunisti italiani filo jugoslavi. Le “Foibe”, come viene di solito indicato questo eccidio, dal nome delle cavità naturali in cui venivano gettati i corpi degli italiani uccisi, si concentrarono tra il 1943 e il 1945 e causarono alcune migliaia di vittime.

- GRECIA: Restaurata la monarchia nel 1946, il Partito comunista riaprì le ostilità e instaurò la repubblica nella zona settentrionale del paese. La guerriglia che le forze comuniste opposero all’alleanza delle truppe governative e delle forze conservatrici, con l’aiuto di ufficiali anglo-americani, fu alla fine debellata. La guerra civile scoppiata in Grecia tra il 1947 e il 1949 lasciò il paese economicamente impoverito, socialmente spaccato e politicamente sottomesso a forze monarchico-conservatrici con vocazioni autoritarie.

- URSS: Il patriottismo, la contiguità strategica con le forze regolari conferirono alla resistenza russa una forte legittimazione nei confronti dell’élite sovietica. La vittoria di Stalingrado e il grande sacrificio di vite umane che comportò, accrebbe fortemente il prestigio dell’Unione sovietica tra i nuovi gruppi dirigenti europei, formatisi nella resistenza e pronti ad assumere la guida dei loro paesi.

- POLONIA: In Polonia la resistenza agì in primo luogo come rete culturale ed educativa per preservare valori e identità. La Polonia infatti aveva subito un’occupazione volta a sradicare le forme di identità nazionale e a ridurre al silenzio le classi dirigenti, gli intellettuali, il clero cattolico. Complicava le logiche di schieramento la contemporanea occupazione del territorio polacco di tedeschi e sovietici. Ecco perché la resistenza polacca possedeva diverse strategie. Ad esempio, la Rivolta di Varsavia (1944) intendeva liberare dai tedeschi la capitale polacca prima dell’arrivo delle truppe alleate e sovietiche, in modo da rivendicare il diritto all’autogoverno. Varsavia resistette per due mesi all’esercito tedesco attendendo l’aiuto dell’Armata rossa, quasi alle sue porte: ma l’insurrezione fallì, e Varsavia fu spietatamente schiacciata dalle forze tedesche.

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- FRANCIA: In Francia la resistenza visse sull’impegno delle forze politiche tradizionali (socialisti e comunisti) che riuscirono a saldare l’antifascismo dei militari sconfitti degli operai politicizzati, degli intellettuali. La situazione però era delicata, dato che parte del paese (Nord) era sotto il controllo del governo Vichy, subordinato ai tedeschi. Per iniziativa di De Gaulle, nel 1943 nacque a Parigi il Conseil National de la Résistance, che riuniva il movimento di resistenza, le formazioni politiche e le maggiori organizzazioni sindacali.

- ITALIA: L’esercito, a causa della fuga di Badoglio e del Re a Brindisi, non riceveva più ordini e faceva acqua da tutte le parti: alcuni schieramenti disertarono, altri continuarono a combattere. Fra i vari schieramenti, vi erano anche quelli che decidevano di resistere ai tedeschi. A Cefalonia, il presidio italiano aprì il fuoco contro di essi: si decise di resistere a oltranza. Tuttavia le forze italiane erano assolutamente inferiori a quelle tedesche, con il risultato di 400 mila morti tra soldati e ufficiali. Altri reparti si unirono ai partigiani dei vari paesi. Le forze italiane della resistenza si battevano per un’Italia democratica o rivoluzionaria. I soldati in fuga cominciarono a organizzare bande di resistenti insieme ad antifascisti e giovani che non accettavano di farsi reclutare nelle forze armate asservite ai tedeschi.

Il Partito d’azione e le connesse brigate di Giustizia e libertà, che avevano in Ferruccio Parri il proprio leader, puntavano alla formazione di una forza partigiana democratica e non politicizzata. Dall’altro lato vi erano i comunisti, intenzionati a mantenere lal guerra partigiana entro schermi poco rigidi, ricorrendo alla guerriglia e alla mobilitazione popolare. Si può affermare comunque che il numero di combattenti partigiani era di 10 mila nel dicembre del 1943, e divenne 30 mila nel febbraio del 1944.

Nacquero così il 9 settembre del 1943 le unità combattenti della resistenza e i Comitati di liberazione nazionale (CLN - del Sud e dell’Alta Italia). Le formazioni partigiane vennero inquadrate nel Corpo dei volontari della libertà, con a capo il generale Cadorna, riconosciuto dal governo. Le componenti della resistenza erano i comunisti, i socialisti, i socialdemocratici e i cattolici. Comunisti e Socialisti vedevano la resistenza come un buon motivo per attuare la rivoluzione socialista. I partigiani jugoslavi, invece, erano contro quelli italiani: fecero infatti massacri contro i civili, che venivano gettati nelle foibe (vedi su).

- ANTIFASCISTI vs MONARCHIA: Nel 1944, il passaggio del governo da Brindisi a Salerno coincise con l’allargamento del “Regno del Sud” all’intero Mezzogiorno. Le forze antifasciste, che non nascondevano la loro ostilità nei confronti del sovrano e del suo governo, facevano pressioni sugli Alleati perché prendessero atto della necessità di una democratizzazione del regno del Sud. Ma Inghilterra e Usa si mostrarono chiusi al dialogo in questo senso, per via di convenienza. La situazione fu sbloccata con la “Svolta di Salerno”, e ciò dalla decisione, suggerita da Togliatti, di accantonare per il momento la questione della monarchia e di risolverla alla fine del conflitto con un referendum.

Tuttavia, in quegli stessi giorni, il riconoscimento sovietico del governo Badoglio catalizzò l’attenzione degli Alleati: gli anglo-americani, preoccupati di essere scavalcati dall’iniziativa sovietica, imposero al re di uscire di scena, di nominare il figlio luogotenente del regno alla liberazione di Roma e di allargare il governo ai rappresentanti dei CLN. La formazione del governo Bonomi (giugno 1944), dopo la liberazione di Roma e l’inizio della luogotenenza di Umberto II, fu

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resa possibile dal nuovo atteggiamento delle forze americane, sempre più orientate a stabilizzare il paese attraverso aiuti economici e una completa democratizzazione.

L’arrivo a Roma delle truppe alleate (4 giugno del 1944), e la “caccia all’uomo” spietata condotta dalle forze partigiane costrinse Mussolini a fuggire anche dalla sua nuova Repubblica. Egli fuggì verso la Svizzera travestito da soldato tedesco. fu però intercettato sul lago di Como da una pattuglia partigiana e venne fucilato il 28 aprile 1945, insieme a Claretta (sua amante). I corpi di entrambi furono portati a Milano ed esposti per alcune ore in piazzale Loreto, appesi per i piedi, nello stesso luogo dove i fascisti avevano fucilato nel 1944 alcuni partigiani. Successivamente, il 2 giugno del 1946 si tennero referendum e elezioni per la Costituente, e l’affermazione della Repubblica.

IL DOPOGUERRA: “Superpotenze” fu l’espressione che si affermò, dopo il 1945, per indicare i vertici della nuova gerarchia. In questa espressione sono impliciti il Carattere militare (l’Urss era una superpotenza dal punto di vista militare) e il Ruolo di secondo piano degli altri paesi. Le due superpotenze erano quindi Usa e Urss, le quali erano di dimensioni semicontinentali e di grandi potenzialità di sviluppo economico e tecnologico. La guerra poi non aveva danneggiato internamente gli Usa, in quanto i caduti erano morti in guerra, e le città non erano state toccate. Ben diversa invece era la condizione dell’Urss, impoverita dalle imponenti distruzioni della guerra e indebolita dal numero straordinario di caduti, militari e civili. Ma l’Urss e il sistema comunista godevano di straordinarie simpatie in tutta l’Europa, forse anche a seguito della dimostrazione di distruttività degli apparati autoritari.

Il periodo immediatamente successivo alla guerra fu teatro di grande vivacità progettuale e di confronto tra le potenze vincitrici. Alla conferenza di Yalta fu progettata l’Organizzazione delle Nazioni Unite, poi istituita definitivamente il 26 giugno del 1945. Le Nazioni Unite si occupavano anche della salvaguardia dei diritti umani, di commercio internazionale, di sanità, di istruzione, di alimentazione (attraverso Fao, Unesco, Unicef ecc). I membri permanenti sono ovviamente le tre nazioni vincitrici, ossia Usa, Urss e Gran Bretagna, cui furono aggregate Francia e Cina.

- USA: L’intervento militare americano nella seconda guerra mondiale era stato dettato dal bisogno di creare un sistema economico internazionale aperto e senza barriere protezionistiche e autarchiche tipiche del ventennio precedente. Gli Usa miravano a costruire un ordine generale fondato su stati democratici e a un interscambio basato sul dollaro. Essi consentirono anche all’Urss di costituire un suo apparato di difesa unilaterale, oltre al sistema di sicurezza internazionale dettato dall’Onu: ciò significava garantire al gigante sovietico il controllo delle aree dell’Europa orientale liberate dall’Armata rossa, facendole diventare stati amici subordinati.

La situazione, però, cambiò rapidamente, poiché il gruppo dirigente sovietico non riusciva a concepire modelli politici estranei alla logica autoritaria del sistema staliniano. I primi segnali di tensione si fecero sentire alla conferenza di Potsdam a cui parteciparono Truman, Stalin e Churchill. Gli incontri servivano a risolvere parecchie questioni sul futuro equilibrio europeo. Agli Usa però non andava giù il fatto di dover contribuire alla crescita del sistema comunista in Europa, questione comunque inizialmente accantonata. Nel 1946 si tenne a Parigi la conferenza sugli accordi di Pace.

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- ITALIA: L’Italia dovette cedere alla Jugoslavia parte della Venezia Giulia, Istria, Fiume e Zara, mentre Trieste divenne territorio libero, sotto amministrazione delle Nazioni Unite. Libia, Etiopia e Albania divennero stati indipendenti, mentre l’Italia conservò l’amministrazione fiduciaria della Somalia per dieci anni. L’Italia fu obbligata inoltre a ridurre le forze armate e pagare 360.000 dollari per le riparazioni di guerra.

- GERMANIA: Riguardo la Germania, essa fu divisa in quattro parti, ognuna delle quali fu affidata all’amministrazione di Usa, Gran Bretagna, Francia e Urss. A Potsdam (vedi su) erano stati acquisiti solo i nuovi confini e l’espulsione delle minoranze tedesche da Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria. I tedeschi dovettero provare molte delle atrocità inflitte alle popolazioni dell’Europa orientale, non esclusi i campi per i lavori forzati e le sevizie di aguzzini spietati. Circa 2 milioni di tedeschi persero la vita mentre erano in fuga o venivano espulsi.

Dal 1947 si decise di concludere la questione tedesca. Gli alleati occidentali decisero di unificare le tre zone sotto a loro amministrazione, di allargare alla Germania gli aiuti previsti dal piano Marshall e di avviare le procedure per la promulgazione di una nuova costituzione su base federale. Nel 1948 fu adottata una riforma monetaria, con la creazione di un marco unico. L’unico problema era Berlino, sotto il controllo dell’amministrazione sovietica. Quando gli alleati occidentali dichiararono l’intenzione di estendere la riforma monetaria anche alle zone di Berlino sotto la loro amministrazione, i sovietici decisero di chiudere i corridoi che consentivano l’accesso alla capitale. Nacquero così due stati interni alla Germania: la Repubblica federale tedesca (Rft) nella parte occidentale, e la Repubblica democratica tedesca (Rdt) a est.

- URSS: L’Unione sovietica aveva disperato bisogno di risorse economiche per rilanciare la propria economia: intendeva utilizzare per questo i soldi delle riparazioni di guerra, ma un secondo scopo era quello di deprimere l’economia industriale tedesca. Gli alleati occidentali vedevano i pericoli di un’occupazione prolungata della Germania da parte sovietica. La paura che da questa situazione potesse emergere una Germania sotto l’egemonia sovietica spinse gli alleati occidentali a lasciar cadere qualsiasi ipotesi di amministrazione comune, a puntare su una separazione dall’Urss e sulla ricostituzione delle strutture produttive tedesche.

- GIAPPONE: Dal 1945 al 1952 il Giappone riamse sotto l’occupazione delle foze americane. Fu mantenuto l’imperatore, ma sciolto l’esercito e smantellata l’industria bellica. Fu condotta un’epurazione delle persone più compromesse con il vecchio regime; celebrati processi contro coloro che si erano macchiati di crimi di guerra; realizzata una riforma agraria, preparata una nuova costituzione e riformato il codice civile. Furono repressi il movimento sindacale e il Partito comunista. Nel 1951 il Giappone sottoscrisse il trattato di pace di San Francisco e l’anno successivo ottenne la piena sovranità. Da questo momento, nel giro di un decennio, il Giappone sarebbe diventato una delle principali potenze industriali del mondo, diventando libero e politicamente stabile.

GUERRA FREDDA: Era ormai ovvio che si stavano creando le condizioni della guerra fredda. Non vi fu una dichiarazione di guerra in senso stretto, ma la sterzata nella politica estera statunitense operata da Truman nel 1947 corrispondeva ad una dichiarazione di guerra politica e ideologica, con forti implicazioni economiche e diplomatiche. I rapporti tra Urss e Usa inoltre si aggravarono con la capitolazione del Giappone. Si pensa infatti che il motivo dell’utilizzo repentino

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della bomba atomica da parte degli Usa fosse quello di minacciare indirettamente l’Urss, mostrando in tal modo la superiorità scientifica e militare degli Stati uniti.

La “Dottrina Truman” mirava al contenimento del comunismo e del sistema sovietico. Truman, così, impose dei vincoli alle relazioni diplomatiche ed economiche internazionali, in quanto non era possibile una collaborazione di qualsiasi genere con gli Stati Uniti, se non a condizione di una collocazione internazionale anticomunista. Tutti i nuovi stati nati nel dopoguerra saranno forzati a legarsi ad uno dei due blocchi (Sovietico o americano), fino a quando il movimento dei paesi non allineati non creerà delle diverse opportunità.

- USA: Gli Stati Uniti non temevano un conflitto militare contro l’Urss, in quanto consapevoli della propria superiorità in campo bellico, anche grazie alla bomba atomica. Ma la preoccupazione principale era quella di realizzare un contesto di paesi liberi con cui creare un interscambio economico, indispensabile alla crescita di tutto il mondo occidentale. Il programma era da attuare con una certa urgenza, a causa di alcuni segnali di una crisi economica generale (1947), legata alla mancanza di risorse finanziarie per acquistare materie prime e beni di ogni genere. Per sostenere la ripresa si attuò un programma di aiuti ai paesi europei definito dal Piano Marshall (Erp – European Recovery Program).

Quella americana era una tattica ben studiata, in quanto il piano di aiuti poteva far portare alcuni paesi dell’Europa orientale sotto il controllo indiretto degli Stati Uniti (attraverso gli investimenti). L’intervento di Stalin impose a tutti gli altri paesi del blocco sovietico di non aderire al piano Marshall e di non lasciarsi soggiogare dalle astuzie americane. Il piano Erp mise a disposizione, tra il 1948 e il 1952, ben 13 miliardi di dollari. I finanziamenti americani portarono senza dubbio segnali di ripresa della produzione industriale, e diedero un’accelerazione notevole alla produzione industriale.

- URSS: A seguito della suddetta divisione della Germania, nel 1948 tutti i paesi dell’Europa orientale erano retti da regimi basati sul modello sovietico, con la repressione di ogni forma di dissenso e il monopolio politico dei partiti comunisti. La seconda preoccupazione di Stalin fu la ricostruzione del paese e il potenziamento del suo sistema industriale: era implicita la concorrenza con l’armamento americano. Ciò spinse l’Urss a concentrare gli sforzi sull’industria pesante, trascurando completamente quella per beni di consumo e agricoltura. I campi di concentramento si riempirono dei prigionieri ritornati in patria, colpevoli di essersi consegnati al nemico. La struttura produttiva fu organizzata sul modello sovietico: i terreni vennero espropriati e trasferiti ai contadini nel quadro di un processo di collettivizzazione, le Istituzioni bancarie e le industrie furono nazionalizzate, e tutto il commercio passò sotto il controllo dello stato.

DECOLONIZZAZIONE:

- INDIA: Paese sterminato, con circa 400 milioni di abitanti nel 1941 con lingue e confessioni diverse, l’India era al quarto posto al mondo nella produzione cotoniera. Aveva sperimentato lo scontro tra tre forme di nazionalismo: quello Hindu (Gandhi), quello Socialista, e infine quello Musulmano, con un progetto separatista. Il governo laburista inglese, da tempo convinto della necessità di concedere all’India la condizione di dominion, fu costretto ad accettare l’indipendenza e la completa separazione di uno stato musulmano. Nel 1947 il parlamento britannico dichiarò

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l’indipendenza dell’india e autorizzò la costituzione di due stati: l’Unione indiana e il Pakistan (che comprendeva anche il Pakistan orientale, odierno Bangladesh).

- CINA: La Cina aveva combattuto contro il Giappone una guerra durata dall’invasione giapponese nel 1937 fino al 1945. La rapida avanzata dei giapponesi costrinse il Guomindang cinese a realizzare un’alleanza con i comunisti. Così, per sottrarsi all’assedio, i comunisti erano stati costretti a spostarsi vero la Cina del Nord-Ovest (la lunga marcia – 5 mila chilometri). Nonostante il sostegno degli Usa (alla Cina anti-comunista), che parteciparono al conflitto solo con rifornimenti di armi, i comunisti riuscirono a conquistare il controllo di una regione dopo l’altra, mentre il governo e l’esercito nazionalista si sbriciolavano. Dunque, nel 1949 Pechino fu occupata e fu proclamata la Repubblica popolare cinese, ultima tappa di questa guerra.

- ISRAELE e PALESTINA: Quella del medio oriente è una storia che racchiude popolazioni con diverse culture, religioni e lingue: armeni, kurdi, ebrei e altri. L’elemento di maggiore instabilità del Medio Oriente fu la questione ebraica e il futuro della Palestina. Gli ebrei presenti in Palestina, alla vigilia della Prima guerra mondiale, erano circa 85 mila, concentrati per la maggior parte a Gerusalemme. Da non sottovalutare però era la presenza dei nazionalisti arabi contrari all’immigrazione ebraica. L’amministrazione britannica in loco, favorevole a promuovere il dialogo tra le due nazionalità, oscillava tra un progetto di spartizione del territorio e l’intenzione di creare uno stato palestinese binazionale.

Tra il 1933 e il 1935, a causa dell’avvento al potere di Hitler, 134 mila ebrei migrarono in Palestina, provocando la crescente opposizione degli arabi palestinesi. Vi era ormai l’esigenza di creare uno stato ebraico, ricercando anche l’appoggio degli Stati Uniti e la creazione di un’organizzazione armata capace di realizzare il progetto anche con la forza. Ma la Gran Bretagna, avendo fallito i tentativi di giungere a una soluzione condivisa da entrambe le nazionalità interessate, rimise il mandato all’Onu (1947). Nello stesso anno l’Onu approvò un progetto di spartizione della Palestina in uno stato arabo e uno ebraico. Gerusalemme e i luoghi sacri circostanti sarebbero stati affidati all’amministrazione dell’Onu.

Nel 1948 gli ebrei proclamarono lo Stato di Israele: la guerra cominciò immediatamente. Si trattava di due schieramenti, uno composto dagli eserciti arabi di Egitto, Siria, Iraq e Transgiordania, e l’altro composto dall’esercito ebraico. Gli arabi non furono in grado di sostenere lo scontro con l’esercito israeliano, più numeroso e meglio equipaggiato. Un anno dopo, tramite la sospensione del conflitto imposta dall’Onu, gli israeliani controllavano l’80% del territorio del mandato originario. Urss e Usa, ma nessuno dei paesi arabi, riconobbero il nuovo stato, che fu ammesso all’Onu. Israele rimase sotto la tutela degli Usa, i quali fornirono sempre sostegni finanziari e politici.

UNA NUOVA EUROPA: Nell’Europa occidentale del dopoguerra bisognava ricostruire le infrastrutture, le fabbriche e i palazzi distrutti, ma non solo: era necessario ripensare completamente il sistema politico e istituzionale. La prima fase postbellica si caratterizzò per una sorta di continuità delle alleanze antifasciste. In Francia presero il controllo politico socialisti, comunisti e repubblicani popolari. Ma presto i socialisti espulsero il blocco comunista dal governo, fondando una nuova organizzazione: i governi che si succedettero tra il 1947 e il 1954, con il dominio delle forze centriste, ebbero durata media non superiore ai cinque mesi.

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Anche in Italia dominavano le forze antifasciste. Nel 1947, la Democrazia Cristiana (centrista), nel quadro di una più stretta alleanza con gli Usa, interruppe la collaborazione di governo on le forze di sinistra comunista e socialista. La politica di alleanze che la Dc praticò in tutti gli anni successivi con le forze centriste e poi con il Partito socialista, le consentì di essere ininterrottamente al governo per oltre 40 anni e di mantenere il Pci fuori dall’esecutivo.

- EPURAZIONI: La questione tedesca era assai più complessa. Metà paese (perché la parte est era sotto il controllo russo) era sorvegliato dagli Stati Uniti. Solo nel 1949 ci furono le prime elezioni, che portò al governo l’alleanza Cdu-Csu (Unione democratica cristiana, Unione cristiano-sociale), con Adenauer primo cancelliere della Rft. Ma la Germania doveva essere sottoposta ad una rigida epurazione della pubblica amministrazione: un sospetto pesava su tutti i tedeschi che non erano stati perseguitati dal regime nazista. Le punizioni per quelli che si erano macchiati di gravi crimini di guerra e contro l’umanità furono assai più pesanti. I processi, affidati a una corte internazionale, servirono a sancire la colpa del nazismo e dei suoi funzionari. I più importanti si svolsero tra il 1945 e il 1946 a Norimberga: 12 condanne a morte in totale. Anche in Italia ci furono processi di epurazione, che però si attenuarono a seguito della concessione, da parte del ministro della Giustizia Palmiro Togliatti, dell’amnistia per i reati politici (estinzione del reato).

- POLITICA ECONOMICA: Al fine di combattere la povertà e la miseria, il governo inglese applicò il piano Beveridge, un programma di riorganizzazione delle norme sullo stato sociale presentato nel 1942 al parlamento dallo stesso Beveridge. Il piano prevedeva una diffusione delle assicurazioni sociali a quasi tutti i cittadini e la creazione di un salario minimo nazionale capace di assicurare un’esistenza dignitosa. Si allargavano così le tutele dai lavoratori a tutti i cittadini, così come avveniva da tempo nei paesi scandinavi, attraverso gli assegni familiari e l’assistenza sanitaria gratuita per tutti. Il piano Beveridge suscitò l’interesse di quasi tutta l’Europa.

Nel 1950 nacque l’Unione europea dei pagamenti, che rappresentò una prima risposta agli obiettivi del piano Mashall: la creazione di un’area di libero scambio e il consolidamento di relazioni economiche internazionali. L’Unione serviva infatti a rafforzare il commercio tra i paesi membri attraverso forme di compensazione multilaterali. Un anno dopo nacque la Comunità europea per il carbone e per l’acciaio (Ceca), che diede sul piano economico risultati confortanti, tanto da continuare sulla stessa strada, fino ad arrivare alla Comunità Economica Europea (Cee – 1957) e la Comunità europea per l’energia atomica (Euratom).

USA vs CINA e URSS: Il 1949 lasciò un segno nella competizione tra le due superpotenze, in quanto si succedettero, in ordine di tempo, lo scoppio sperimentale della prima bomba atomica sovietica, la proclamazione della Repubblica popolare cinese, la visita di Mao a Mosca:

-USA: Gli Usa, di fatto, non rimanevano a guardare, e si preparavano a fronteggiare un tentativo sovietico di espansione del comunismo in tutto il mondo. L’idea che fosse in atto un tentativo comunista di espansione in tutto il mondo creò nell’opinione pubblica americana il timore di un’infiltrazione comunista anche negli Stati Uniti. Si produsse un clima di sospetto, una caccia alle spie dei sovietici, ai comunisti nel mondo dello spettacolo e dell’informazione. Dal 1950 al 1953 il senatore repubblicano McCarthy organizzò una campagna violentissima alimentata da sospetti, indagini che riguardavano la sfera delle relazioni private.

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Sembrava quindi indispensabile ripristinare un sistema politico e militare capace di far fronte ad eventuali allargamenti delle posizioni sovietiche. Per questo, l’amministrazione Truman diede il via alle ricerche per la costruzione della bomba all’idrogeno. Ma gli Usa necessitavano di alleati, e il problema si pose quando fu deciso il riarmo della Germania occidentale: alla fine, fu riconosciuto il pieno diritto delle istituzioni tedesco-occidentali a costituire un esercito di difesa e ammettere la Repubblica federale nella Nato (organizzazione internazionale per la collaborazione nella difesa).

- URSS: La morte inaspettata di Stalin, avvenuta nel 1953, mise in movimento tutta la dirigenza sovietica. Prevalse un metodo di direzione collegiale, ridistribuendo gli incarichi tra partito e macchina dello stato: emersero due figure importanti, Chruščёv e Malenkov. Fu liberata la metà dei detenuti del Gulag (più di 1 milione di persone). Si cercava ora una nuova coesistenza pacifica, segnata dal trattato di stato con l’Austria, dallo scioglimento del Cominform e dalla ripresa delle relazioni diplomatiche con il Giappone: un nuovo dialogo con il mondo occidentale. Fu siglato inoltre il “Patto di Varsavia”, un'alleanza militare (voluta da Chruščёv) tra i paesi del Blocco Sovietico, nata come contrapposizione alla NATO. Chruščёv, in seguito, chiese ed ottenne la denuncia pubblica dei crimini di Stalin.

IL MONDO BIPOLARE:

- LA QUESTIONE DEL PETROLIO: Un avvenimento importante del 1956 è sicuramente la guerra mossa all’Egitto dall’alleanza tra Francia, Gran Bretagna e Israele. Il motivo della cosiddetta “crisi di Suez” non era di certo celato, e si trattava di una sfida per il controllo delle due principali risorse della regione: lo stesso canale, e il petrolio. In Iran, nel 1951, il primo ministro aveva nazionalizzato la società petrolifera Anglo-Iranian Oil Company: ne seguirono una crisi governativa e ritorsioni delle potenze interessate allo sfruttamento del petrolio. Fu però presto rinegoziata la nazionalizzazione della società, e per l’appunti fu istituito un consorzio internazionale per lo sfruttamento del petrolio, che assegnava all’Iran il 50% del proventi delle esportazioni.

- ISRAELE vs EGITTO: Riguardo la suddetta guerra contro l’Egitto, un reparto dell’eserito israeliano penetrò in territorio egiziano, in modo da offrire agli altri due paesi (Francia e Gran Bretagna) il pretesto per inviare un ultimatum che avrebbe intimato a Egitto e Israele di cessare le ostilità. Nonostante la richiesta da parte dell’Onu di cessare le attività militari, le truppe israeliane si spinsero fino al Sinai: nel frattempo francesi e inglesi cercavano di prendere il controllo del canale di Suez. Il tentativo fu però interrotto dalla dura opposizione dell’Urss e degli Usa (con iniziative diplomatiche e finanziarie). Furono proprio queste ultime a vivere tra il 1956 e il 1963 una “coesistenza competitiva”, con il tacito riconoscimento reciproco delle posizioni acquisite e una definizione dei confini entro cui ciascuna poteva agire senza l’opposizione dell’altra.

PAESI NON ALLINEATI:

- INDIA: Si andava ormai delineando un assetto in cui i vari paesi rimanevano indipendenti dall’una o dall’altra superpotenza: “Paesi non allineati”, così si indicano i paesi che preferivano rimanere fuori sia dal blocco sovietico che da quello americano. Sebbene fosse nata dalla integrazione di 500 stati principeschi semiautonomi, l’India riuscì ad evitare la frammentazione. Tale risultato fu ottenuto grazie alla scelta di fare dell’India una repubblica parlamentare di tipo

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federale e all’abilità della leadership politica. Disuguali invece furono i risultati dello sviluppo economico. Strumenti della politica economica furono i piani quinquennali, che sembravano idonei a correggere le distorsioni prodotte dal dominio britannico. Lo sforzo massiccio per industrializzare il paese ebbe contraccolpi nelle campagne. A metà anni 60 si produsse una terribile carestia che non causò milioni di morti solo grazie agli aiuti alimentari statunitensi, ma provocò una forte recessione di tutto il sistema economico.

- JUGOSLAVIA: Tito, politico jugoslavo, praticò a lungo una politica di disimpegno dalle due superpotenze. La convinzione che ogni paese avesse il diritto di arrivare al socialismo secondo una propria strada, non consentì a Tito di avere un dialogo con Stalin; ne risultò l’uscita di Tito dal Cominform. L’autonomia nei confronti dell’Unione sovietica contribuì alla stabilizzazione del sistema politico jugoslavo. Quello jugoslavo era un comunismo sempre più diverso da quello sovietico. Nel 1950 la gestione statale delle imprese fu sostituita dall’autogestione sociale, e la collettivizzazione della terra fu rimpiazzata dai piccoli poderi. Nel 1965 furono introdotti meccanismi di mercato e ancora più tardi fu introdotto un decentramento istituzionale. I buoni risultati di sviluppo economico però allargarono le differenze di sviluppo tra le nazioni del Sud e del Nord della Jugoslavia (Bosnia-Erzegovina, Serbia, Croazia, Macedonia, Montenegro, Slovenia e Kosovo). Si accentuarono di conseguenza i conflitti tra le varie repubbliche. La morte di Tito nel 1980 non aiutò a risolvere questi problemi.

USA vs CUBA: Gli Stati Uniti continuavano ad attuare una politica fieramente anti-comunista, non solo nei paesi non americani, ma anche in quelli dell’America latina. Il più importante caso è quello di Cuba, che ebbe un rilievo internazionale importante. Tutto il periodo della storia cubana era stato caratterizzato da forte instabilità e da continui interventi americani. Grazie all’intervento statunitense si dovette l’avvio della lunga dittatura di Batista. Ma nel 1956 Fidel Castro, seguito da un gruppo di un’ottantina di persone (tra cui Ernesto Guevara), sbarcò a Cuba (perché era fuggito in Messico) deciso a rimuovere il governo autoritario e filoamericano di Batista. Gli esiti militari furono disastrosi: Castro e i pochi sopravvissuti furono costretti ad iniziare un’azione di guerriglia e di radicamento nel mondo contadino, che irrobustì notevolmente il gruppo dei rivoluzionari e dei loro sostenitori in tutto il paese.

Nel 1959 Castro riuscì a mettere in fuga Batista. Il governo fu riconosciuto dagli Usa poiché Castro dichiarò che non avrebbe inserito comunisti nel nuovo governo. Tuttavia nel 1960 Cuba accettò l’offerta dell’Urss per la vendita del raccolto di canna da zucchero e gli Stati Uniti posero l’embargo sull’importazione della produzione cubana e su tutte le merci americane dirette all’isola. Nel 1961 gli Usa ruppero così le relazioni diplomatiche con Cuba. Castro proclamò Cuba prima repubblica socialista d’America, e si affrettò a richiedere sostegno militare ai sovietici: essi installarono rampe missilistiche a Cuba che, scoperte dagli americani, determinarono una brusca crisi nei rapporti tra le due superpotenze (il conflitto fu evitato per poco). Ma un accordo voluto da entrambi i paesi portò allo smantellamento dei missili cubani, in cambio dell’impegno statunitense a non invadere Cuba e a rimuovere a sua volta le basi missilistiche costruite lo stesso anno in Turchia.

GLI STATI UNITI:

- MARTIN LUTHER KING: Dagli anni 50 in poi, gli Stati Uniti seppero cogliere un forte slancio di crescita economica. Il benessere si estese a strati sociali nuovi e produsse mutazioni profonde nei modelli di vita. La televisione divenne uno strumento di espressione culturale e un punto di

Page 59: R3GISTRAZIONI · Web viewIl movimento fascista non aveva un vero e proprio programma politico, ma raccoglieva una serie di istanze e di linee principali, anche contrastanti tra loro,

riferimento a cui tendere. Non mancavano comunque fratture all’interno della società: l’esclusione razziale, ad esempio, era ancora molto forte, mentre discriminazione e segregazione avevano corso in tutte le parti degli Usa. Il grande attivismo organizzato di cui i neri furono capaci creò un vasto movimento, consolidando un gruppo di dirigenti politici di colore, tra cui Martin Luther King. Ma fu in particolare dagli anni 60 che cominciò una lotta aperta contro la segregazioni, che costo ai neri molte vittime. Il momento più alto di queste iniziative fu la marcia di Washington nel 1963, che raccolse circa 250 mila persone. Un anno dopo, Luther King ricevette il premio Nobel per la pace. Martin Luther King fu assassinato nel 1968 con un colpo d’arma da fuoco.

- MALCOM X: Alcuni gruppi, però, predicavano forme estreme di separatismo e aspiravano a creare una società nera parallela a quella bianca. Leader di questo separatismo nero radicale fu Malcom X, convertitosi in carcere all’Islam perché ritenuto estraneo ad ogni forma di razzismo. Altre organizzazioni radicali nere furono il “Black power”, che enfatizzava l’orgoglio nero e l’uguaglianza sociale, e il “Black panthers”, quest’ultima proiettata verso una lotta armata dei neri contro i bianchi sfruttatori.

- KENNEDY: La vivacità di questo periodo ebbe una corrispondenza in una straordinaria stagione politica sotto la guida di John Kennedy. Egli ebbe due principali fronti politici aperti: quello della competizione con l’Urss, ma anche della ricerca di un terreno di dialogo, e quello della battaglia per i diritti civili, per una società più equa e più giusta, come da più parti gli chiedeva il paese. Kennedy doveva quindi ricreare l’entusiasmo, la creatività e l’intraprendenza dei colonizzatori del West: l’obiettivo era riportare i nuovi stati nati dalla decolonizzazione dell’Asia e dell’Africa nel campo dei paesi occidentali, attraverso massicci contributi economici e sociali. Ma il suo programma prevedeva anche il potenziamento del parco missilistico nucleare americano, indispensabile per avviare una politica di disarmo (in quanto l’Urss si era dimostrata ormai tecnologicamente accorta, attraverso il lancio nello spazio dei vari satelliti Sputnik).

Il Vietnam si presentò come un’occasione per dimostrare la superiorità americana e il suo diritto a condurre un processo di omologazione del paese al modello di sviluppo economico e politico occidentale: l’intervento militare diretto delle forze armate americane contro i vietcong e l’esercito del Vietnam del Nord iniziò solo nel 1964. Le forze comuniste vietnamite, comandate da Ho Chi Minh, poterono contare sulle forniture militari provenienti dalla Cina e dall’Urss. Furono milioni i giovani americani che a turno poterono sperimentare gli orrori della guerra.

- JOHNSON: Nel 1963, a Dallas, Kennedy fu assassinato, colpito da un fucile di precisione. Il suo successore, Johnson, si mosse lungo le stesse direzioni della politica Kennediana. Sul piano internazionale, essa puntava alla affermazione della superiorità del modello americano. Sul piano interno, mirava allo sviluppo economico, all’allargamento dei diritti civili e alla lotta alla povertà. A Johnson si deve la legge sui diritti civili del 1964: la Civil Rights Act, così si chiamava, abolì le discriminazioni razziali, religiose e nazionali, ed eliminò l’impedimento dell’esercizio del voto ai neri; proibì la segregazione nelle scuole pubbliche e la discriminazione in tutti gli organismi statali e federali, favorì le pari opportunità senza pregiudizio per la razza e il sesso.

Quando nel 1968, a fronte di costi umani e finanziari enormi, fu evidente che gli Usa non riuscivano a vincere la guerra, ma anzi dovevano subire l’offensiva vietnamita, si sviluppò una protesta in tutto il paese. Johnson perse credito e decise di non ricandidarsi nelle elezioni presidenziali di quell’anno.

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- NIXON: Le vicende della guerra in Vietnam convinsero il nuovo presidente della necessità di passare dall’impegno bellico diretto al sostegno finanziario e militare dei paesi in lotta contro forze comuniste interne o esterne. Furono ritirate le forze armate americane dal Vietnam, anche se gli Stati Uniti continuarono ad offrire aiuti all’esercito del Vietnam del Sud attraverso bombardamenti aerei sul Vietnam del Nord. Lo scontro non si fermò prima del 1975: un anno dopo nacque la Repubblica socialista del Vietnam.

Nixon riconobbe la Repubblica popolare Cinese, e conseguì risultati importanti anche nella politica di distensione con l’Urss, concludendo un accordo sulla limitazione delle armi nucleari (Strategical Arms Limitation Talks - 1972). I buoni risultati della politica interna, come l’abolizione della convertibilità del dollaro in oro e il controllo di prezzi e salari, consentirono a Nixon di conquistare una seconda vittoria delle elezioni nel 1972. Mandato che però durò ben poco, a causa di scandali che colpirono Nixon stesso: emerse che il presidente aveva fatto installare un congegno di intercettazione telefonica nella centrale operativa del Partito democratico, e che egli stesso aveva imposto tangenti, e altro. Nixon, così, si dimise.

EUROPA: Le necessità della ricostruzione postbellica avevano innescato in tutta Europa un processo di espansione economica che negli anni 60 era diventato prodigioso, così come lo erano state le trasformazioni negli stili di vita e di consumo che essa aveva reso possibili.

- ETA’ DELL’ORO: Non a caso, verso gli anni 60 si ebbe un’età dell’oro, che sarebbe terminata soltanto nei primi anni 70 a causa della grande crisi petrolifera del 1973, che impose politiche di “austerity” (risparmio dell’energia e di combustibile). I livelli di crescita economica di quel periodo non saranno più raggiunti in seguito. La cosiddetta “società del benessere” venutasi a creare in quegli anni, era data da politiche economiche che prevedevano forme di tutela, di protezione e di equità sociale. Vi erano poi alti consumi, la crescita del settore terziario, l’aumento del tempo libero, il miglioramento complessivo delle condizioni abitative, l’innalzamento dei livelli di istruzione ecc.

A livello mondiale, la crescita economica era data dall’introduzione in società scarsamente industrializzate di tecnologie e procedure impiegate nei paesi più avanzati: ciò fu inevitabilmente causato dall’ampliamento del mercato mondiale, che impose la competizione e costrinse alla specializzazione e alla innovazione. I paesi che incrementarono maggiormente le loro economie furono quelli usciti sconfitti dalla guerra, come Germania e Italia.

- GRAN BRETAGNA: Paradossalmente, l’Inghilterra, pur vincitrice della guerra, era la “malata d’Europa”. Nel 1950, questa destinava il 14% del suo Prodotto nazionale lordo per mantenere un esercito di 900 mila uomini, in tempo di pace. Solo dopo la crisi di Suez cominciarono lo smantellamento dell’esercito e la riduzione delle spese per la difesa. Ma l’industria era condotta secondo modelli antiquati, gli investimenti nella struttura produttiva e nella ricerca erano assai scarsi. Inoltre, la Gran Bretagna concentrava le sue relazioni commerciali verso gli Usa e il Commonwealth, trascurando (e quindi compromettendo) il processo di integrazione europeo, restringendo le sue opportunità economiche. La sua tardiva richiesta di adesione alla Comunità Europea (di questa si parlerà tra poco) fu bloccata dal veto di De Gaulle, che rifiutò a causa delle relazioni speciali mantenute dal paese con gli Usa.

- IL MURO DI BERLINO: Per la Germania, la divisione in due del paese (e della stessa Berlino) costituì una grave limitazione in campo economico. Solo tra il 1949 e il 1958 erano stati più di 2

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milioni quelli che avevano lasciato Berlino est: per arginare questa emorragia, che offendeva il patriottismo comunista, il governo della Repubblica Democratica Tedesca (Germania est), d’accordo con l’Urss, decise di erigere un muro che corresse lungo tutto il confine di separazione delle due città. Quel muro, cominciato nel 1961, sarebbe diventato il simbolo dell’inconciliabilità tra il mondo dell’Occidente e quello comunista: pur evitando la guerra, rimanevano le sfide, anche non esplicite.

IL 68: Il 1968 vide un movimento di mobilitazione giovanile come mai in precedenza. Aveva molte affinità con la contestazione partita da Berkeley: nell’omonima università, in California,  gli studenti americani chiedevano sia di poter intervenire sui metodi d'insegnamento e sulle finalità della ricerca universitaria, sia di poter usare gli atenei per discutere dei problemi di fondo della società. Presto, anche in conseguenza della dura reazione delle autorità e della polizia, gli studenti cominciarono a contestare radicalmente i legami che univano l'università all'industria, in particolare quella bellica, e trovarono un immediato riferimento alla lotta contro l'impegno statunitense nella guerra del Vietnam.

La fascinazione di personaggi esemplari (come Guevera, Castro, Mao, Ho Chi Minh) fu capace di dare suggestioni ed entusiasmo: in Francia, Germania e Italia il movimento giovanile fu un fenomeno assai diffuso, radicale e ovunque caratterizzato da un atteggiamento fortemente critico nei confronti dei partiti della sinistra ufficiale, colpevoli di non distinguersi a sufficienza dalle altre formazioni politiche. Il movimento del 68 fu dunque una miscela di motivi libertari e antiautoritari, di radicalismo di sinistra, terzomondismo, antiamericanismo, antimperialismo, atteggiamenti antiborghesi e anticonvenzionali. Degno di nota è il movimento femminista che spiccò in quegli anni: il femminismo perseguiva l’affermazione della differenza della donna e un progetto di costruzione di una cultura di genere autonoma, indipendente da quella maschile.

- BRIGATE ROSSE: Nel 1969 la campagna di agitazioni e manifestazioni sindacali per il rinnovo dei contratti creò un terreno di comunicazione tra i bisogni espressi dal movimento del 68 e quelli dei lavoratori in lotta. Il 12 dicembre dello stesso anno fu fatta esplodere una bomba nella Banca Nazionale dell’Agricoltura a piazza Fontana (Milano); morirono 16 persone, e ancora oggi il colpevole è sconosciuto. Con questo attentato fece la sua prima comparsa in Italia il terrorismo, che avrebbe avvelenato la vita del paese per quasi un ventennio. Con perfetta coincidenza, nacquero nel 1970 le Brigate Rosse (in Italia) e le Raf (in Germania), protagoniste le prime di una serie di delitti politici, che culminarono nel rapimento (e poi nell’uccisione) di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana.

LA COMUNITA’ EUROPEA: Per quanto riguarda il notevole sviluppo economico dei vari paesi, l’integrazione europea fu uno degli elementi chiave che spinse verso una crescita sempre maggiore. La piccola Europa dei sei, nata a Roma nel 1957, indicata come Comunità Economica Europea (Cee), svolse un ruolo decisivo in quanto creò un’area di scambio integrata, in cui vennero poi aboliti i dazi. L’Urss, come è facile immaginare, era decisamente ostile alla formazione di un’Europa federata o unificata, per timore di essere schiacciata tra gli Usa e la stessa Cee.

Nel 1973 la Cee acquistò i primi nuovi partner: Danimarca, Irlanda e Gran Bretagna. Solo dopo quasi 10 anni fecero seguito la Grecia, la Spagna e il Portogallo. La Cee prese lentamente il primo

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posto nel commercio internazionale e contribuì alla liberalizzazione del mercato. Uno dei passaggi più importanti per il futuro fu l’accordo Schmidt-Giscard (il primo tedesco e il secondo francese), che condusse nel 1979 alla costituzione del Sistema monetario europeo (Sme). Sempre nello stesso anno tutti i paesi aderenti elessero a suffragio universale il parlamento della Comunità.

PROBLEMI NELL’’UNIONE SOVIETICA: Nel 1964 Chruscev fu dimesso e sostituito da Breznev. Quest’ultimo mostrò una maggiore cautela nel governare, acquisendo più consenso e stabilità per il regime. Il periodo non era però dei migliori per l’Urss, in quanto le relazioni internazionali si facevano particolarmente difficili: negli anni 60 i rapporti con la Cina furono disastrosi, e nel 1969 si arrivò allo scontro armato: l’Albania, uscita pochi anno prima dall’orbita sovietica, prese posizione a favore della Cina. Altro elemento d’allarme giungeva dalla Romania, che sotto la direzione di Ceausescu rivendicava una maggiore autonomia dall’Urss. Ancor più grave era la situazione in Cecoslovacchia, dove si intrecciavano vari elementi di disagio e di insofferenza alla subordinazione che spinsero il Partito comunista a intraprendere riforme economiche e sociali.

CINA: Le basi del potere nella Cina di Mao Zedong erano nelle campagne, le stesse da cui proveniva il potere dei comunisti in tutto il paese. La natura rurale del sistema maoista era accentuata dalla distribuzione della terra tra gli agricoltori poveri. Più difficile, dunque, era il radicamento del partito comunista nei centri urbani, anche se il primo piano quinquennale (1953) diede origine a una serie di progressi dati dall’industrializzazione. La prima grande mobilitazione, detta “Grande balzo”, non fece altro che portare disastrosi danni, causando una grave carestia (anni 60) che uccise 13 milioni di persone. Il Partito comunista non prese atto della situazione, e si limitò a elencare i grandi successi ottenuti nello sviluppo industriale.

Mao, pur non pagandone direttamente le conseguenze, perse credibilità, così come la sua politica. Si creò di fatto una situazione di stallo e talvolta di vera e propria lotta sotterranea (1965) combattuta tra il gruppo Maoista e quello degli oppositori (movimento per l’educazione socialista): solo la morte di Mao, avvenuta nel 1976, e l’instaurazione di un nuovo governo, consentirono l’arresto della banda dei quattro (Mao, la moglie e i leader più radicali) e la stabilizzazione della situazione. I rapporti con l’Unione sovietica, di diffidenza nel periodo staliniano, più aperti negli esordi di Chruscev, dopo il 1958 divennero sempre più ostili (nel 1969 si arriva allo scontro armato – vedi su).

LA FINE DEL BIPOLARISMO: Gli istituti dello stato sociale, ormai negli anni 70, erano inadeguati ai reali bisogni collettivi. Essi apparivano incapaci di dare risposte ai nuovi bisogni dei ceti medi, e non riuscivano a tutelare nuove figure, diverse da quella del lavoratore dipendente. Il problema comunque non assunse una dimensione conflittuale e non creò tensioni sociali, probabilmente perché le nuove figure professionali erano raramente sindacalizzate. In generale, quindi, gli elementi che scardinarono gli equilibri fin qui raggiunti (ossia fino agli anni 60-70) erano la progressiva crescita delle aspettative di vita della popolazione, e l’allungamento dei processi formativi, che spostava in avanti l’età di ingresso nel mercato del lavoro. La nuova politica degli anni 70 prendeva dunque il nome di “Neoliberismo”: essa consisteva nelle teorie di Milton Friedman, ossia nel dominio del mercato, che avrebbe smantellato la politica Keynesiana, basata invece essenzialmente sull’allargamento della spesa pubblica per stimolare la produzione.

- INGHILTERRA: I primi a sperimentare il neoliberismo furono Margaret Thatcher, prima donna alla guida di un governo in Europa (quello inglese), e Ronald Reagan, allora presidente degli Usa:

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puntavano entrambi a una riduzione del carico fiscale sulle fasce sociali a più alto reddito, a un ridimensionamento della spesa pubblica, e alla limitazione dell’attività sindacale. Ma i risultati furono deludenti: tuttavia, nel 1982 la giunta militare che governava l’Argentina decise di invadere le isole Falkland, dal 1830 possedimento inglese. La Thatcher non esitò a rispondere con una guerra che in due mesi e mezzo diede al paese una facile vittoria, e portò in Gran Bretagna un’ondata di orgoglio nazionalista che premiò la Thatcher e le diede il nome “Lady di ferro”.

Successivamente, si continuò per la strada neoliberista: le aziende di proprietà pubblica furono privatizzate. Tra queste vi erano le imprese petrolifere, aerospaziali e aeree, compagnie telefoniche e per l’erogazione del gas. Tale privatizzazione portò ad una nuova cultura dell’investimento nei titoli del debito pubblico. Ma il provvedimento di politica fiscale fu meno fortunato: fu introdotta la Poll tax, che doveva colpire la trascuranza finanziaria delle amministrazioni cittadine laburiste. Era un’imposta locale indipendente dalle capacità contributive dei cittadini. Per quanto riguarda i sindacati, la Thatcher limitò fortemente le capacità di iniziativa delle Trade unions; il sindacato minatori riportò una sconfitta che non sarebbe stato facile dimenticare.

- STATI UNITI: La politica neoliberista adottata da Reagan fu ancora più netta. Attuò una riduzione dei salari, una limitazione degli oneri pubblici attraverso la contrazione della spesa sociale, un taglio delle imposte per le imprese produttive e per gli strati più ricchi della popolazione. Stavolta la politica neoliberista ebbe esiti visibilmente più fortunati, rispetto a quelli della Thatcher. Reagan puntò inoltre verso una minimizzazione dei vincoli che frenavano l’iniziativa privata: ma fu una delusione. Non poteva funzionare a causa dell’aumento contemporaneo della spesa pubblica per finanziare un grande programma di spese militari. Vi era in fatti in atto il progetto Sid, noto come “Guerre stellari”, che puntava a creare una protezione totale contro ogni attacco missilistico, e a rilanciare una nuova corsa al riarmo per costringere l’Urss e un investimento che non era in grado di sopportare senza creare gravi scompensi economici. Un’altra caratteristica della politica di Reagan era l’atteggiamento anti-sovietico che si manifestava attraverso la stretta di buoni rapporti con i paesi avversi all’Urss, come la Cina, Israele, Egitto, Giordania, Arabia Saudita, Kuwait; i rapporti erano saldati per mezzo della vendita da parte degli Usa, a tali paesi, degli armamenti necessari a combattere contro l’Urss.

- ITALIA: In Italia i tentativi di alleggerimento della spesa pubblica registrarono risultati più precari. Questo perché la spesa pubblica rappresentava la fonte principale del consenso politico della Dc e dei partiti affiliati. L’incapacità di trovare consenso per altre vie impediva alle forze politiche di governo di ridurre la spesa, mentre il debito pubblico aumentava sempre di più. Numerose procure italiane svelavano estesi fenomeni di corruzione in cui erano coinvolti imprenditori politici di primo piano e quasi tutti i partiti politici. L’inchiesta sulla corruzione, comunemente indicata come “mani pulite”, in cui si distinse la procura di Milano e qualche magistrato tra cui Antonio Di Pietro, produsse un vero terremoto politico. Negli stessi anni, gli slogan antipolitici e secessionisti della Lega Nord di Umberto Bossi facevano dubitare della capacità dell’Italia di superare la crisi.

- ARGENTINA E BRASILE: In Argentina, nel 1976, in una situazione di gravissima risi economica, un colpo di stato militare diede il via ad un regime dittatoriale brutale. Ma nel 1983 ci fu la guerra delle isole Falkland, che portarono la sconfitta del dittatore Vidal e alla vittoria del presidente civile Alfonsìn. Nel 1989 prevalse Carlos Menem, che portò risultati straordinari di

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risanamento economico. L’Argentina si impegnò in una rigorosa politica neoliberista che portò a un minore tasso di inflazione.

Analogo fu il caso del Brasile. Nel 1985 Sarney varò una politica deflazionistica di ispirazione neoliberista per riportare sotto controllo il debito pubblico, ma non riuscì ad evitare le proteste popolari. Fernando Collor de Mello, il nuovo presidente, insistette nella politica neoliberista ma i risultati furono disastrosi. In ogni caso, il passaggio alla democrazia si poteva dire compiuto.

- GIAPPONE: La posizione di seconda potenza economica mondiale fu per il Giappone frutto della grande capacità di innovazione tecnologica e dei sistemi di organizzazione del lavoro, ma anche di forti investimenti nella formazione e nella ricerca scientifica. Tutto ciò garantiva retribuzioni e consumi assai elevati, ma anche livelli di produttività ignoti in quasi tutto il mondo capitalista. L’industria automobilistica giapponese divenne la più importante al mondo. L’apprezzamento dello Yen (moneta nipponica) e i bassi tassi di sconto delle banche, negli anni 80 fecero aumentare enormemente la domanda di abitazioni e i consumi.

URSS: Nel 1985, nell’Unione sovietica si arrivò alla nomina di Gorbacev. Egli era poco più che cinquantenne, e dunque era totalmente estraneo all’esperienza staliniana. Ci diede immediatamente la percezione di una svolta: i suoi obiettivi infatti erano quelli di tirare fuori l’Urss dalle secche della stagnazione economica, uscire definitivamente dalla guerra fredda, ridurre le spese militari e concentrare le risorse sulla ripresa del paese. Ciò che voleva Gorbacev, era riallacciare i rapporti internazionali uscendo dalla corsa verso la superiorità strategica. Il risultato fu un riavvicinamento agli Stati Uniti: l’Urss accettò la cosiddetta “opzione zero” ed entrambi i paesi decisero lo smantellamento di tutti i missili a lungo raggio installati in Europa. Gorbacev trovò un interlocutore importante anche nel papa polacco Giovanni Paolo II (primo papa non italiano dal 1523): il presidente russo abolì l’ateismo di stato in Unione sovietica, ed ascoltò il papa circa il ruolo della chiesa nell’estensione della democrazia e del rispetto dei diritti umani e della libertà religiosa.

Tuttavia, meno fortunata fu la sua politica interna e di innovazione del sistema economico: un enorme groviglio di problemi mai seriamente affrontati (sistemi di proprietà della terra, rapporto tra industria pesante e produzione di beni di consumi, i diritti civili, le relazioni delle nazionalità con il centro, ecc) fu l’oggetto di una politica di troppo cauto riformismo. Gorbacev non si impegnò in effetti a scogliere questi nodi, bensì puntava a conservare il socialismo reale e mantenere il sistema di potere su cui si fondava. L’incidente nucleare di Cernobil nel 1986 fu per molti aspetti la dimostrazione dell’arretratezza tecnologica, dell’inadeguatezza delle procedure, della totale inefficienza istituzionale che impedì allo stesso governo per giorni di avere informazioni chiare sull’accaduto.

Nel 1988 si assistette al varo della quinta costituzione sovietica, che come elemento di rinnovo conteneva un nuovo istituto, il Congresso dei deputati del popolo, che fornì uno spazio di lotta politica. Una parte del Congresso chiese l’abrogazione della funzione dirigente del Partito comunista: la richiesta non fu approvata, ma era comunque un fatto clamoroso e degno di nota, poiché se ne discuteva per la prima volta in un luogo istituzionale sotto le luci della televisione. La richiesta sarebbe poi stata approvata nel 1990.

- USCITA DALL’URSS: La Polonia fu la prima a liberarsi dal sistema sovietico. Nel 1989 ci fu la vittoria del primo governo non comunista, e in quello stesso anno il nome di Repubblica popolare di

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Polonia fu cambiato in Repubblica di Polonia. Con modalità analoghe, tutta l’Europa orientale si liberò dall’egemonia comunista tra il 1989 e il 1990. In Ungheria le prime elezioni libere ebbero luogo proprio nel 1990. Nel 1989 furono aperte le frontiere tra le due Germanie e abbattuto il muro di Berlino. Non vi erano più ostacoli all’unificazione. In Cecoslovacchia il regime cadde nel 1989, e nacque una nuova repubblica.

Diverso era il caso del crollo comunista in Bulgaria, Romania, Jugoslavia e Albania. Ovunque, pur ripristinando un sistema di tolleranza interetnica, non si riuscì ad affrontare la grave crisi economica. In Romania, il potere autocratico di Ceausescu violava costantemente i diritti umani e tutta la regione era aggravata da un forte debito estero. Dopo un processo farsa, attuato anche grazie ad un’inchiesta della commissione dell’Onu, Ceausescu fu condannato a morte e giustiziato insieme alla moglie. Le prime libere elezioni si tennero nel 1990, anche se non furono in grado di produrre un governo stabile.

Per quanto riguarda la Jugoslavia, gli avvenimenti del 1989 nei paesi dell’Europa orientale furono decisivi nello spingere le varie nazioni a liberarsi dai vincoli della federazione jugoslava. Le prime a separarsi dalla federazione furono la Slovenia e la Croazia; seguirono la Macedonia e poi la Bosnia-Erzegovina. In Bosnia vi era però una minoranza serba che, forte dell’appoggio della Serbia cercò di sottrarre parti del territorio della nuova repubblica, dando così il via a una guerra civile che si intrecciava con lo sterminio di massa dei musulmani e alla pulizia etnica. Lettonia, Estonia e Lituania furono le prime repubbliche, nel 1990, a uscire dall’Unione sovietica; seguirono Uzbekistan, Moldavia, Ucraina, Bielorussia e via di seguito le repubbliche dell’Asia centrale.

IL PRESENTE COME STORIA:

- LA GLOBALIZZAZIONE: Il crollo dell’Unione sovietica ha reso più evidente un sistema multilaterale, diverso da quello bipolare o addirittura unipolare di cui si parlava pochi anni prima. Il multilateralismo consente il progressivo aumento degli interlocutori e la nascita di nuovi spazi e organismi di diplomazia internazionale, in cui un gran numero di paesi può definire relazioni commerciali, strategie economiche e di sviluppo. Si tratta quindi di un’apertura al mercato internazionale e un’integrazione progressiva dei sistemi economici. Nel 1985 nasce il G7, ossia la riunione dei sette paesi più industrializzati del mondo (Usa, Canada, Giappone, Germania, Francia, Gran Bretagna e Italia): diventerà poi G8 con la partecipazione della Russia. Si parla poi di un G15, che raccoglie una serie di paesi in via di sviluppo (tra cui Argentina, Brasile, Egitto, India, Messico, e alcuni paesi centro africani).

- IN ECONOMIA: Uno dei caratteri fondamentali della globalizzazione è la grande espansione delle multinazionali, e cioè di aziende che agiscono contemporaneamente in aree territoriali e mercati molto differenziati. Il mercato del lavoro internazionale, fino alla seconda guerra mondiale, era definito solo con lo spostamento di masse di lavoratori da zone povere verso aree con sistemi produttivi più sviluppati. Oggi invece il mercato internazionale del lavoro si manifesta sempre più frequentemente con la delocalizzazione delle imprese in aree poco sviluppate, in cui la manodopera è abbondante (i paesi poveri hanno bisogno di lavorare) e poco cara.

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Contribuiscono a definire la globalizzazione la crescita straordinaria del commercio internazionale e gli investimenti esteri, nonché l’integrazione dei mercati finanziari: vi è una forte mobilitazione dei capitali necessari per realizzare queste attività. Nello stesso tempo, l’informatizzazione delle procedure ha creato la possibilità di lavorare su scala globale in tempo reale. Il livello della globalizzazione può essere misurato sull’impato che avvenimento verificatasi in una parte del mondo hanno avuto in tutto il resto.

Strumenti centrali della globalizzazione economica sono i due organismi definiti nella conferenza di Bretton Woods, il Fondo monetario internazionale (Fmi), la Banca mondiale, e uno più recente, l’Organizzazione mondiale del commercio (Wto, 1995). Alla Wto aderiscono 147 stati (tranne la Russia e la Cina, ma quest’ultima vi aderirà nel 2001 a seguito dell’apertura al capitalismo): è uno spazio in cui si svolgono negoziati che stabiliscono accordi ratificati dai parlamenti dei singoli stati. Tuttavia, non esiste una vera e propria equità in termini di mercato: per raggiungerla, bisognerebbe che i paesi più sviluppati aprissero realmente le loro frontiere al commercio dei prodotti dei paesi meno sviluppati, come ha cominciato a fare l’Europa, ammettendo la libera circolazione dei prodotti dei paesi più poveri, fatta eccezione per le armi.

- IL RUOLO DELL’FMI: Il fondo monetario internazionale non è sempre in grado di favorire l’equilibrio monetario internazionale. Questo perché in qualunque condizione siano i paesi in difficoltà, il Fmi impone sempre riduzioni degli interventi pubblici, un aumento delle imposte e del tasso di interesse, la completa fiducia nei meccanismi di mercato. Il Fmi si è dunque orientato verso un neoliberismo fiducioso nelle capacità del mercato, ma ciò si è rivelato inefficiente: succede che le politiche imposte dal Fmi ai paesi in crisi, ossia la liberalizzazione dei mercati finanziari, non solo non hanno ottenuto risultati apprezzabili, ma in alcuni casi si sono dimostrate dannose.

L’UNIONE EUROPEA: Fino agli anni 80 la Comunità europea era ancora un organismo rivolto a creare migliori opportunità economiche ai suoi partner. L’elaborazione, gidata da Delors, del cosiddetto “Atto unico europeo” (1985), entrato in vigore nel 1987, fu un passaggio importante nella vita futura della comunità: il piano definiva il percorso e gli strumenti per raggiungere la formazione di un vero e proprio mercato integrato, quindi furono dati maggiori poteri al Parlamento e alla Commissione, fu introdotto per alcune materie il voto a maggioranza qualificata invece del voto all’unanimità, vi erano riunioni periodiche dei ministri degli Esteri dei paesi membri.

Insomma, la Comunità stava assumendo un ruolo politico più significativo. Fu proprio Delors che nel 1988 propose l’introduzione di una moneta unica e la fondazione della Banca centrale europea (Bce). La moneta unica era la via più sicura per ottimizzare le opportunità economiche create dal mercato unico. Nel 1998 cominciò ad operare la Bce, l’anno successivo furono definiti i cambi tra l’euro e le altre monete, e il 1° gennaio del 2002 l’euro cominciò a circolare nei principali paesi europei, tra cui l’Italia.

Nel 1992 venne firmato il trattato di Maastricht, sottoscritto dai 12 paesi della Comunità, entrato in vigore l’anno successivo. La Comunità europea prendeva ora il nome di “Unione europea”: l’Unione si proponeva di raggiungere alcuni obiettivi, come il rafforzamento e la convergenza delle proprie economiche, l’istituzione di un’unione economica e monetaria che comporti una moneta unica e stabile, una cittadinanza comune, quindi la libera circolazione delle persone, una politica estera e di sicurezza comune che preveda la definizione di una politica di difesa comune, rafforzando così l’identità dell’Europea e la sua indipendenza, al fine di promuovere la pace, la

Page 67: R3GISTRAZIONI · Web viewIl movimento fascista non aveva un vero e proprio programma politico, ma raccoglieva una serie di istanze e di linee principali, anche contrastanti tra loro,

sicurezza e il progresso in Europa e nel mondo. Il programma guadagnò l’adesione di altri paesi (ad oggi 27 paesi, che nel 2013 diventeranno 28 con l’entrata della Croazia).

SECESSIONI: La perdita di sovranità degli stati uniti su numerose materie alimenta una serie di nazionalismi, che si manifestano avanzando pretese di maggiori autonomie, auspicando l’introduzione di sistemi federali o la completa secessione. Ad esempio, il nazionalismo scozzese, rappresentato politicamente dal Partito nazionalista scozzese, ha ottenuto un proprio parlamento nel 1999; nel Belgio le rivendicazioni dei due gruppi costitutivi (fiamminghi di lingua olandese e valloni francofoni) hanno condotto nel 1993 a una nuova costituzione che lo ha trasformato in uno stato federale composto di tre regioni (Bruxelles, Fiandre e Vallonia); le tendenze separatiste del Québec di lingua francese nei confronti del Canada anglofono invece non hanno avuto la meglio.

In Austria l’ingresso al governo del Partito liberalnazionale fu molto criticato da parte dell’Ue, in quanto manifestava atteggiamenti xenofobi e neonazisti. Con caratteri diversi invece si manifestò la separazione della Cecoslovacchia: questa era nata nel 1918 riunendo le tre regioni di Boemia, Moravia e Slovacchia, e nel 1992 si separò in Repubblica ceca e Slovacchia. Lotte secessioniste si combattono anche in Asia, quindi in India, e in Africa.

- LEGA NORD: Non molto lontano dal modello del Partito liberalnazionale era la Lega Nord, nata in Italia per l’attività di Umberto Bossi che ha per lungo tempo coltivato il progetto di una secessione della “Padania”, la regione settentrionale del paese, per poi approdare a un meno eversivo programma federalista e alla partecipazione all’esecutivo in entrambe le esperienze di governo del Popolo della libertà guidato da Berlusconi. La Lega Nord faceva ricorso a una retorica che si appellava a un’origine celtica del popolo padano, e a un eroico passato medievale che si intrecciava con motivi anti-italiani e antimeridionali: la Lega nasce come reazione alla disgregazione della vecchia classe politica coinvolta in casi di corruzione e di malgoverno che videro implicati grandi imprenditori, ex ministri ecc.

- SERBIA: Il progetto della “Grande Serbia”, coltivato da Milosevic, cominciò a trovare attuazione nel 1991 con la deportazione di tutta la popolazione non serba di Slovenia e Krajina. Numerosi i casi di violenze atroci, uccisioni, e cadaveri seppelliti in fosse comuni. I 14 mila caschi blu inviati per mantenere la pace custodirono di fatto le conquiste serbe. Il riconoscimento diplomatico da parte della Comunità europea di Slovenia e Croazia suonò come ammonimento ai serbi. Questi ultimi erano già pronti alla guerra imminente: il 5 aprile ebbe inizio la guerra tra la Bosnia e i serbi, che durò 3 anni e mezzo. Anche in questo caso si verificarono massacri di civili, torture, stupri, espulsioni forzate. Già nel 1992 erano cominciati a nascere in Bosnia i campi di concentramento. L’orrore investì il mondo occidentale, ma non fu in grado di produrre un’efficace azione per arrestare il conflitto: la mediazione risultò inutile, e i soldati delle Nazioni Unite inviati in Bosnia non riuscirono a cambiare la situazione.

Un successivo intervento militare della Nato riuscì a imporre una conferenza di pace (1995). Si giunse così al riconoscimento della Repubblica della Bosnia-Erzegovina costituita da due entità statali con propri governi. La Serbia ottenne la separazione dei suoi territori dalla Bosnia, ma rimase un piccolo stato in cui approdavano criminali di guerra, trafficanti di armi e di droga.

- KOSOVO: L’ultimo atto del conflitto delle nazioni della ex Jugoslavia fu la guerra del Kosovo, privato nel 1989 della sua autonomia e sottoposto a un processo di serbizzazione. Le prime azioni di

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guerriglia antiserba, cominciate nel 1996, suscitarono la risposta del governo di Belgrado, generando 300 mila profughi kosovari. La conferenza di Rambouillet (Parigi) portò al riconoscimento dell’autonomia del Kosovo. Il rifiuto dell’accordo da parte dei serbi provocò l’intervento militare della Nato e i bombardamenti aerei degli obiettivi militari in tutta la Repubblica federale jugoslava, Kosovo compreso. I bombardamenti misero in ginocchio la Repubblica federale jugoslava, e obbligarono Milosevic ad accettare il ritiro dell’esercito dal Kosovo. Ci vorrà ancora del tempo prima di acquisire una nuova convivenza serena tra serbi, kosovari, bosniaci e croati.

- AFRICA: La situazione africana dagli anni 70 in poi è visibilmente tragica. Gli indici parlano di un’aspettativa di vita bassissima, e di un aumento demografico assai al di sopra del tasso di crescita economica. Il tutto in uno scenario di guerre civili in numerosi paesi del continente. La fame, la violenza, le epidemie uccidevano e continuano a uccidere milioni di persone. Tra il 1981 e il 2001 sono raddoppiate le persone che vivono con meno di 30 dollari al mese; a ciò si aggiunge una mortalità infantile elevatissima l’esclusione da qualunque tipo di istruzione per oltre 80 milioni di bambini, una grandissima diffusione dell’Hiv. La convivenza con la guerra ha creato una cultura della violenza che non sarà facile estirpare.

Ma non solo di atrocità è stata testimone l’Africa dell’ultimo decennio. Va segnalata la forte volontà di pacificazione della popolazione del Sudafrica uscita dall’apartheid, di cui si è fatto interprete Nelson Mandela, nominato nel 1994 presidente di un governo di coalizione.

CONFLITTO ISRAELE vs PALESTINA: La restituzione dei territori occupati con le guerre arabo-israeliane (in cui Israele aveva avuto la meglio ed era riuscita ad allargare i suoi confini), nonostante la risoluzione dell’Assemblea delle Nazioni Unite, non è mai stata realizzata dal governo israeliano. Pronto ad intervenire per reprimere sul nascere qualunque ostilità era lo Shin-Beth, il servizio di sicurezza israeliano. Nel 1987 tutto ciò diede il via alla “intifada”, ossia alla protesta di massa da parte dei palestinesi con il lancio di pietre contro la polizia israeliana: fu a tale seguito che nacque Hamas, un’organizzazione radicale musulmana presente nella Striscia di Gaza, che praticava il terrorismo ai danni di militari e di civili. Il lancio della Jihad, la guerra santa per la distruzione dello stato di Israele e la costruzione di uno stato islamico in Palestina, produceva una crescita della violenza e una nuova fase dello scontro.

La crescita delle violenze costrinse la mobilitazione delle grandi potenze occidentali verso una soluzione pacifica: l’accordo di Oslo, sottoscritto dalla Casa bianca nel 1993 da Arafat (palestinese) e Rabin (israeliano), prevedeva il riconoscimento palestinese dell’esistenza dello stato di Israele, e la creazione di un’entità statale palestinese che avrebbe esercitato la sua autorità su quasi tutta la striscia di Gaza e sulla città di Gerico. Ma lo scontro non era affatto finito: gli attentati terroristici di Hamas e la violenza delle forze israeliane non consentirono la pace e resero difficile l’applicazione degli accordi. Anche questa volta le violenze portarono al nuovo accordo di Washington, che stabiliva un ulteriore allargamento dell’autonomia palestinese. Ma l’assassinio di Rabin, e la vittoria del partito di destra, dimostrarono che Israele non si sentiva pronta a dare per buoni gli impegni palestinesi, congelando così gli accordi.

La vittoria elettorale in Israele, nel 2001, del Likud (partito nazionalista liberale) e la formazione del governo Sharon coincisero con l’avvio della fase più drammatica del conflitto israelo-palestinese. Si alternavano attentati terroristici di Hamas e la risposta dell’esercito israeliano: una

Page 69: R3GISTRAZIONI · Web viewIl movimento fascista non aveva un vero e proprio programma politico, ma raccoglieva una serie di istanze e di linee principali, anche contrastanti tra loro,

spirale perversa di violenza. Solo la recente morte di Arafat, e l’elezione di Abu Mazen alla presidenza dell’Autorità palestinese, hanno consentito una riapertura del dialogo e l’inizio del ritiro israeliano da alcuni insediamenti.

- GUERRA DEL GOLFO: Al 1991 risalgono le vicende dell’Iraq e della cosiddetta “Guerra del golfo”, mossa da una larga coalizione multinazionale appoggiata dall’Onu e guidata da Usa, UK e Francia per contrastare l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq, condotta da Saddam Hussein. Le ragioni dell'invasione vanno rintracciate su due livelli: il primo, consistente in una prova di forza con gli Stati Uniti ed i loro alleati, come conseguenza della ambigua politica mediorientale portata avanti dal governo di Washington durante e dopo la Guerra Iran-Iraq; il secondo rivendicando l'appartenenza del Kuwait alla comunità nazionale irachena, sulla scorta del comune passato ottomano e di una sostanziale identità etnica. L'invasione provocò delle immediate sanzioni da parte dell'ONU che lanciò un ultimatum, imponendo il ritiro delle truppe irachene. La richiesta non conseguì risultati e il 17 gennaio 1991 le truppe americane, supportate dai contingenti della coalizione, penetrarono in territorio iracheno. Le operazioni di aria e di terra furono chiamate, dalle forze armate statunitensi, Operation Desert Storm.

DOPO L’11 SETTEMBRE: L’11 Settembre 2001 quattro aerei di linea statunitensi furono dirottati da altrettanti gruppi di terroristi arabi votati al suicidio. Due di questi si schiantarono contro le Twin Towers del World Trade Center di Manhattan, provocandone la distruzione totale e la morte di migliaia di persone. Un altro colpì il Pentagono, mentre il quarto, forse diretto contro la Casa Bianca, cadde al suolo in seguito a una lotta tra i dirottatori e i passeggeri. “Nulla sarà mai come prima” era la frase che ritornava più frequentemente tra i media: c’è chi afferma che siamo entrati in una fase nuova della storia, ma ciò sarà più chiaro nei prossimi anni.

I kamikaze erano tutti arabi legati ad Al Qaeda, la milizia terrorista internazionale nata in Afghanistan tra i Mujahidin (guerriglieri islamici) che avevano combattuto l’Armata Rossa e il governo filosovietico. Erano guidati dallo sceicco miliardario Bin Laden, cacciato dall’Arabia Saudita e accolto proprio in Afghanistan dai talebani, e già accusato dagli Usa di essere il mandante dei due attentati terroristici del 1989 contro le ambasciate americane in Tanzania e Kenya. Gli Stati Uniti, sotto la presidenza di George W. Bush, dichiararono guerra ad Al Qaeda, a Bin Laden e al terrorismo internazionale. Aderirono sotto il comando statunitense gli alleati della Nato, la Russia, la Cina, il Pakistan (fino a quel momento alleato dei talebani). Il governo di Kabul fu fatto cadere in breve tempo e con una certa facilità. Più difficile fu vincere la resistenza dei mujahidin asserragliati nelle montagne.

- GUERRA PREVENTIVA: In questo contesto, l’amministrazione Bush indicò al mondo intero un altro nemico nell’Iraq di Saddam Hussein, presunto alleato di Al Qaeda e in grado di colpire tutto il mondo grazie ad armi di distruzione di massa. Questa affermazione poi risultò infondata, ma su quelle premesse nacque la dottrina della Guerra preventiva, che delegittimava gli organismi costruiti per risolvere i conflitti con la pace. L’idea di base era che i nuovi nemici, i terroristi, non possono essere scoraggiati nelle loro iniziative con semplici strumenti di deterrenza: si tratta di giocare in anticipo, puntando sulla superiorità militare.

- ATTENTATI: La guerra all’Iraq non trovò ostacoli e poté contare sui contingenti militari provenienti da altri paesi. Cominciata nel 2003, la guerra è dichiarata conclusa da Bush il 1° maggio dello stesso anno. Ma nonostante la cattura di Saddam alimentò una guerriglia spietata che tutt’oggi

Page 70: R3GISTRAZIONI · Web viewIl movimento fascista non aveva un vero e proprio programma politico, ma raccoglieva una serie di istanze e di linee principali, anche contrastanti tra loro,

compie numerosi morti tra guerriglieri iracheni laici e fondamentalisti islamici. Gli attentati terroristici della nuova Jihad non hanno risparmiato nessuno: uno degli attentati più drammatici è stato quello contro il contingente italiano di distanza a Nassirya avvenuto il 12 novembre del 2003, che ha fatto 19 morti. I vari gruppi della guerriglia si impegnano in una serie di sequestri di militari: attraverso le immagini dei sequestrati, legati, bendati, sotto il tiro delle armi di guerriglieri incappucciati trasmesse da Al Jazira, la guerriglia ottenne un effetto mediatico straordinario.

L’attentato avvenuto in Spagna l’11 marzo del 2004 compiuto da terroristi islamici, costato la morte a 200 persone, ha convinto l’Occidente che nessuno è più al sicuro. Le conseguenze politiche della guerra provocarono inoltre non poche lesioni all’interno del mondo occidentale stesso. Alcuni paesi presero le distanze dalle posizioni statunitensi: tra di essi, Francia, Germania, Russia, Cina, Stati arabi auspicavano uno sforzo maggiore nella ricerca di una soluzione politica e diplomatica. Questo creò una rottura all’interno delle forze Nato e del’Unione europea, tra i paesi sopracitati e quelli che avevano dato un largo sostegno all’iniziativa bellica (come Spagna, Italia, Inghilterra ecc). Questa spaccatura impedì qualunque iniziativa dell’Ue, condannandola ancora una volta a una sorta di minorità politica.

- LA MORTE DI BIN LADEN: La guerra inizialmente non riuscì ad assicurare alla giustizia Osama Bin Laden: dopo essere stato inserito dall'FBI nella lista Most Wanted, Bin Laden rimase in latitanza durante tre amministrazioni presidenziali statunitensi. Il 2 Maggio 2011, però, nel corso di un'operazione segreta ordinata dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama e portata a compimento dai Navy SEAL statunitensi e da agenti CIA, lo sceicco viene scovato all'interno di un complesso residenziale in Pakistan. Poco dopo la sua morte, il corpo di Bin Laden è stato sepolto in mare. Al-Qaeda ha confermato la sua morte il 6 Maggio 2011, promettendo vendetta.

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Riassunti tratti dal sito, ora non più esistente, “http://riassunti-scienzepolitiche.blogspot.com”.