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Pagina 3

Indice

INDICEPrefazione Pagina 5Coordinatore: Francesco CognettiDirettore Dipartimento di Oncologia Medica - Direttore S.C. OMA, Istituto Regina Elena, Roma

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,terapia e follow-up delle neoplasie cerebrali Pagina 9Coordinatore: Giulio MairaProfessore Ordinario di Neurochirurgia Facoltà di Medicina e Chirurgia -Univ. Cattolica - Direttore S.C. Neurochirurgia, Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, Roma

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,terapia e follow-up del melanoma uveale Pagina 21Coordinatore: Emilio BalestrazziProfessore Ordinario di Clinica Oculistica - Univ. Cattolica Sacro Cuore Roma - Direttore Clinica Oculistica, Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, Roma

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,terapia e follow-up dei tumori testa-collo Pagina 29Coordinatore: Riccardo Maurizi EnriciProfessore Ordinario di Radioterapia Oncologica II Facoltà di Medicina e Chirurgia Univ. La Sapienza - Direttore Radioterapia Oncologica,Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, Roma

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,terapia e follow-up della neoplasia della tiroide Pagina 53Coordinatore: B. BellantonProfessore Chirurgia Generale e Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia Univ. Cattolica - Direttore S.C. Chirurgia Generale ed Endocrina,Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, Roma

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,terapia e follow-up del carcinoma polmonare Pagina 67Coordinatore: Massimo MartelliDirettore del Dipartimento Malattie Polmonari e della UOC Chirurgia Toracica, Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini, Roma

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,terapia e follow-up della neoplasia della mammella Pagina 87Coordinatore: Francesco CognettiDirettore Dipartimento di Oncologia Medica - Direttore S.C. OMA, Istituto Regina Elena, Roma

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,terapia e follow-up del carcinoma del colon-retto Pagina 117Coordinatore: Carlo BaroneProfessore Ordinario Univ.Catt. Sacro Cuore - Direttore S.C. Oncologia Medica, Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, Roma

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,terapia e follow-up delle neoplasie del retto Pagina 133Coordinatore: Vincenzo ValentiniProfessore Associato Cattedra Radioterapia Dipartimento di Bioimmagini e Scienze Radiologiche Univ. Cattolica -Direttore S.C. di Radioterapia 1, Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, Roma

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,terapia e follow-up dei tumori del rene Pagina 151Coordinatore: M. MilellaDirigente Medico I° liv. S.C. OMA, Istituto Regina Elena, Roma

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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Prefazione

Pagina 4

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,terapia e follow-up del carcinoma della cervice Pagina 161Coordinatore: Giovanni ScambiaProfessore Ordinario di Ostetricia e Ginecologia Clinica Ostetrica e Ginecologica Univ. Cattolica -Direttore Dipartimento per la Tutela della Salute della Donna e della Vita Nascente, Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, Roma

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,terapia e follow-up del carcinoma dell’endometrio Pagina 173Coordinatore: Giovanni ScambiaProfessore Ordinario di Ostetricia e Ginecologia Clinica Ostetrica e Ginecologica Univ. Cattolica -Direttore Dipartimento per la Tutela della Salute della Donna e della Vita Nascente, Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, Roma

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,terapia e follow-up del carcinoma della vulva Pagina 183Coordinatore: Giovanni ScambiaProfessore Ordinario di Ostetricia e Ginecologia Clinica Ostetrica e Ginecologica Univ. Cattolica -Direttore Dipartimento per la Tutela della Salute della Donna e della Vita Nascente, Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, Roma

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,terapia e follow-up della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli Pagina 195Coordinatore: Franco Di FilippoDirettore S.C. Chirurgia Generale "A", Istituto Regina Elena, Roma

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,terapia e follow-up delle carcinosi peritoneali Pagina 225Coordinatore: A. GarofaloDirettore S.C. Chirurgia Generale "B", Istituto Regina Elena, Roma

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,terapia e follow-up dei tumori del fegato e delle vie biliari Pagina 253Coordinatore: Gian Luca GraziDirettore UOC Chirurgia Epatobiliopancreatica, Istituto Regina Elena, Roma

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nelle terapiedi supporto dei pazienti neoplastici Pagina 263Coordinatore: Daniele SantiniProfessore Associato Docente di Patologia Generale Univ. Campus Bio-medico - Direttore DH Oncologico -CO-Responsabile Unità di Ricerca in Oncologia, Policlinico Universitario Campus Bio-Medico, Roma

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,terapia e follow-up dei pazienti anziani Pagina 301Coordinatore: Lazzaro RepettoDirettore U.O.C. Oncologia Medica, Istituto Nazionale di Ricovero e Cura per Anziani, Roma

Il supporto dell’informazioneper il paziente onocologico,percorsi riabilitativi e psicologici (Il ruolo delle Associazioni dei pazienti) Pagina 323Coordinatore: F. De LorenzoProfessore Ordinario di Chimica Biologica Univ di Napoli - Presidente AIMAC - Presidente FAVO, già Ministro della Salute

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa delle cure palliative nel paziente oncologico Pagina 329Coordinatore: Giuseppe CasaleCoordinatore Sanitario U.O.C.P. Antea Associazione - Direttore Didattico ANTEA Formad

Ringraziamenti Pagina 338

Leneoplasie rappresentano la seconda causa di morte nel nostro Paese. In Italia, nel 2011, l’AIRTUM (Associazione Italiana Registri Tumori), ha stimatoun numero complessivo di circa 360.000 nuovi casi di tumore ed un numero di decessi pari a 174.000 casi. Circa 2.250.000 sono state le personeche avevano avuto una precedente diagnosi di tumore maligno. Nel Lazio, l’incidenza stimata pari a 34.000 nuovi casi, la mortalità pari a circa 16.000

decessi e la prevalenza di 216.000 casi.L’incredibile evoluzione degli ultimi anni nelle conoscenze biologiche ed in particolare genetiche e nelle innovazioni tecnologiche nel campo della diagnosi,caratterizzazione e trattamento dei tumori ha reso imperativo il trasferimento di questa enorme mole di informazioni in un sistema di conoscenze integratoe coerente e soprattutto applicabile a ogni singolo paziente ed in ogni singola condizione clinica. Ciò potrà rappresentare un contributo non trascurabile ancheal fine di assicurare un eguale accesso di tutti i pazienti alla qualità ed innovazione nei sistemi di diagnosi e cura promuovendo anche gli approcci multidi-sciplinari, i cui modelli sono fortemente rappresentati nell’assistenza oncologica. Tutto ciò determina un rilevante impatto in termini di costi assistenziali enumero di ricoveri ospedalieri, con la conseguente necessità di un’adeguata programmazione sanitaria. Questo documento vuole costituire, appunto, una“riflessione” sull’utilizzo ottimale sia delle nuove metodiche diagnostiche, sia delle modalità terapeutiche innovative. Infatti, se è indubbio che negli ultimidue decenni si sia assistito a una rivoluzione nella terapia e nella prognosi dei pazienti oncologici, è anche vero che ciò ha comportato un incremento, tal-volta incontrollato, della spesa sanitaria.

Il Decreto del Presidente, in qualità di Commissario Ad Acta, della Regione Lazio On. Renata Polverini, n° U0059/2010 del 13.07.2010, prevedeva tra l’altrol’istituzione nell’ambito della Rete Oncologica Regionale di un gruppo di Coordinamento per patologia affidato all’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena. Daquesto gruppo sono generati trenta gruppi distinti per patologia ed altre tematiche che hanno coinvolto complessivamente circa 300 Professionisti di Romae della Regione Lazio appartenenti a tutte le discipline, a vario titolo coinvolte nell’assistenza oncologica nella nostra Regione.

La definizione di criteri di appropriatezza sia di ordine diagnostico che terapeutico, che è l’oggetto del presente documento, persegue l’obiettivo di fornireraccomandazioni cliniche per la diagnosi, il trattamento ed il follow-up in relazione allo tipologia, sede ed allo stadio di malattia ed a tutte le variabili clini-che e biologiche rilevanti per la definizione del miglior standard diagnostico e terapeutico.

Il miglioramento della qualità delle prestazioni oncologiche erogate nell’ambito del Servizio Sanitario Regionale richiede l’adeguamento ove possibile a li-velli standard dei servizi offerti alla comunità dei pazienti, laddove per standard si intendano quelle attività di tipo diagnostico e terapeutico in linea con imigliori risultati in termini di outcome prodotto. È infatti dimostrato che la qualità e l’appropriatezza delle prestazioni mediche sia diagnostiche che tera-peutiche possono significativamente influenzare i risultati dei trattamenti nel settore dei tumori, e quindi le possibilità stesse di sopravvivenza dei pazienti,nonché la loro qualità di vita.

Nonostante tali risultati vengano di norma maggiormente prodotti dai cosiddetti centri di eccellenza, l’adeguamento ad essi deve diffondersi, pur in rela-zione alle potenzialità tecnologiche e strutturali e di qualificazione del personale delle singole istituzioni, a tutte le strutture del Servizio Sanitario Regionalenelle varie realtà regionali e locali, che in assenza di indicazioni e raccomandazioni da utilizzare nella pratica clinica, da parte delle autorità sanitarie cen-trali possono invece produrre prestazioni disomogenee e non in linea con i migliori standard riconosciuti a livello internazionale.

Pertanto, la definizione di questi criteri di appropriatezza necessita di una accurata analisi della letteratura scientifica, nell’ottica di ricercare le migliori evi-denze in termini di efficacia per ogni prestazione sanitaria da applicare ad ogni singola fattispecie clinica, ed anche allo scopo di individuare il profilo strut-turale delle risorse e dell’organizzazione, nella delicata operazione di calare nelle realtà locali e regionali la possibilità di attuare tali provvedimenti.

Nell’ambito oncologico, tale processo richiede un’ampia analisi delle evidenze prodotte in ambito scientifico ed il trasferimento di esse in un contesto moltoampio che rivesta tutta la storia naturale di ogni singola patologia, partendo dalla sfera dello screening e della prevenzione fino alla gestione dell’assistenzadel paziente terminale.

In considerazione della connotazione completamente interdisciplinare della patologia oncologica già prima richiamata, nella quale le competenze speciali-stiche dell’oncologia medica incontrano quelle delle chirurgie specialistiche e/o generali, delle altre specialità mediche, dell’imaging nel suo insieme (dia-gnostica per immagini e medicina nucleare), della radioterapia, e della più moderna integrazione di anatomia patologica e biologia molecolare, la riuscitadi un processo di definizione di criteri di appropriatezza necessita di approfondite analisi scientifiche attraverso l’esame accurato degli studi clinici prodottidalla letteratura internazionale ma soprattutto di fattibilità e riproducibilità. Inoltre, la marea montante di innovazioni tecnologiche restringe in modo signi-ficativo l’applicabilità di alcune prestazioni di particolare complessità ai soli centri che possono offrire tali prestazioni.

Come già detto sopra, per perseguire gli obiettivi sopra menzionati, la Regione Lazio ha inteso promuovere la stesura di un apposito documento da parte digruppi interdisciplinari di professionisti particolarmente esperti su tutte le patologie neoplastiche a più elevata incidenza e mortalità nonché di particolareinteresse sotto il profilo dell’innovazione nelle tecniche di diagnosi e trattamento. Per ogni gruppo sono state selezionate professionalità di elevato spessoreclinico e scientifico nel settore richiesto, tra le quali è stato nominato un coordinatore al quale è stato affidato il compito di concertare con gli esperti la ste-sura dei documenti in oggetto.

Pagina 5

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Prefazione

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ELENCO DEI DOCUMENTI OGGETTO DELLA PRESENTE PUBBLICAZIONE

GRUPPI DI LAVORO PER PATOLOGIA COORDINATORE ISTITUZIONE

Cerebrali G. Maira Policlinico Universitario "A.Gemelli"

Tumori oculari E. Balestrazzi Policlinico Universitario "A.Gemelli"

Testa-collo R. Maurizi-Enrici Policlinico Universitario "Sant'Andrea"

Tiroide R. Bellantone Policlinico Universitario "A.Gemelli"

Polmone M. Martelli Azienda Ospedaliera "S. Camillo-Forlanini"

Mammella F. Cognetti Istituto Nazionale Tumori Regina Elena

Colon - Retto C. Barone - V. Valentini Policlinico Universitario "A.Gemelli"

Rene M. Milella Istituto Nazionale Tumori Regina Elena

Cervice - Endometrio - Vulva G. Scambia Policlinico Universitario "A.Gemelli"

Sarcomi p. molli F. Di Filippo Istituto Nazionale Tumori Regina Elena

Carcinosi Peritoneali A.Garofalo Istituto Nazionale Tumori Regina Elena

Fegato- V.Biliari G.L. Grazi Istituto Nazionale Tumori Regina Elena

Terapie di supporto D. Santini Policlinico Universitario "Campus Biomedico"

Tumori negli anziani L. Repetto INRCA - "Istituto nazionale riposo e cura anziani"

Associazioni pazienti F. De Lorenzo FAVO - "Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia"

Terapie palliative G. Casale ANTEA -"Associazione ONLUS"

ELENCO DEI DOCUMENTI ANCORA IN FASE DI REVISIONE

GRUPPI DI LAVORO PER PATOLOGIA COORDINATORE ISTITUZIONE

Esofago-Stomaco V. Ziparo Policlinico Universitario "Sant'Andrea"

Neuroendocrini G. Delle Fave Policlinico Universitario "Sant'Andrea"

Ossei R. Biagini Istituto Nazionale Tumori Regina Elena

Ovaio P. Benedetti-Panici PolicIinico Universitario "Umberto I° "

Prostata - Vescica - Testicolo C.N. Sternberg Azienda Ospedaliera "S. Camillo-Forlanini"

Tumori ereditari P. Marchetti Policlinico Universitario "Sant'Andrea"

Tumori rari S. Tomao Polo Oncologico Latina - Università "La Sapienza"

I documenti sono stati preparati seguendo una modalità omogenea, rispettando un ordine che prevede: nella prima parte, brevi cenni di incidenza/morta-lità in Italia, diagnosi, stadiazione e ‘risk-assessment’, trattamento degli stadi iniziali, trattamento della malattia localmente avanzata, trattamento della ma-lattia metastatica includente i trattamento di I linea e linee ulteriori, valutazione delle risposte e del follow-up, e, nella seconda parte, analisi delle dotazionidelle unità cliniche e volumi di attività utilizzabili ai fini del semplice accreditamento e per la definizione di eccellenza nella diagnosi e cura delle patologiein questione. Sono stati finora portati a termine e considerati in linea con gli obiettivi e la metodologia richiesta, n°20 documenti che sono oggetto della pre-sente pubblicazione. Tra di essi sono stati anche inseriti alcuni documenti su altre tematiche sempre relative al complesso mondo della organizzazione egestione dell’assistenza nel settore oncologico.Gli altri documenti non ancora presentati dai gruppi multidisciplinari o giudicati tuttora immaturi e non perfettamente aderenti agli obiettivi ed alla metodo-logia proposta, saranno oggetto di una successiva pubblicazione.

Sulla base delle considerazioni effettuate, l’obiettivo finale di tale pubblicazione è anche quello di produrre indicazioni per ogni singola patologia delle do-tazioni strutturali, tecnologiche, di expertise ed organizzative che dovranno essere presenti in ogni singola unità ospedaliera ai fini dell’accreditamento dellastessa ad eseguire diagnosi e terapia in quella determinata patologia. I documenti saranno quindi estremamente utili ai fini della stesura dei piani struttu-rali e dei percorsi terapeutici nell’ambito delle quattro Macroaree di cui si compone la Rete Oncologica Regionale.

Ciò consentirà di uniformare gli standard diagnostico-terapeutici nell’ambito regionale per offrire le migliori opzioni al paziente nei centri che saranno in gradodi produrre i criteri richiesti, e sarà anche possibile definire quei centri di eccellenza in grado di offrire un servizio sanitario certificato di particolare elevataqualità.

In considerazione delle indicazioni proposte in tema di appropriatezza dei trattamenti, tale progetto verrà successivamente integrato con una ulteriore pro-posta di programmazione in tema di modelli organizzativi e sistemi di monitoraggio e di controllo.

Sarà poi opportuno effettuare misure di verifica dell’appropriatezza, in modo da avere una mappa chiara anche delle liste di attesa e della loro evoluzionenel tempo, sia a livello delle singole Istituzioni ospedaliere sia a livello dell’intera Regione Lazio. In caso di riscontro di non appropriatezza (Commissioni dicontrollo), sarà potestà delle autorità politiche poter prevedere ulteriori meccanismi di controllo e verifica ed anche eventuali provvedimenti sanzionatori comel’abbattimento dei rimborsi mediante DRG, o la temporanea sospensione dell’accreditamento.

Il raggiungimento di tali obiettivi sarà facilitato dall’implementazione della strutturazione della Rete Oncologica Regionale dei servizi clinico-assistenziali edall’attività dei Dipartimenti Oncologici su base territoriale (e/o interaziendali).

Le misure ed i provvedimenti descritti permetteranno di favorire un’attività assistenziale di più elevato livello maggiormente omogenea su tutto il territorioregionale, e garantire il contenimento dei tempi di attesa ed anche dei costi delle prestazioni diagnostiche e terapeutiche nel settore dei tumori grazie alraggiungimento di una maggiore appropriatezza nelle indicazioni.

Francesco CognettiCoordinatore Scientifico del Progetto

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Prefazione

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

Criteri di appropriatezza clinicaed organizzativa nella diagnosi,

terapia e follow-up delle neoplasiecerebrali

Coordinatore: Giulio Maira

C.M. Carapella, C. Colosimo, U. De Paula, A. Fabi, F. Giangaspero, A. Pace, A. Turriziani

con la collaborazione di:M. Antonelli, M. Balducci, G. Colicchio, G. Lanzetta, A. Mangiola, G. Mansueto,

G. Minniti, A. Mirri, G. Moscati, I. Penco, M. Salvati, A. Scopa

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie cerebrali

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie cerebrali

I gliomi rappresentano i tumori cerebrali primitivi più frequenti nella popola-zione adulta e costituiscono un gruppo eterogeneo di neoplasie per caratte-ristiche cliniche e biologiche, oltre che per sensibilità alle differenti strategieterapeutiche.Tra questi il glioblastoma (GBM) rappresenta da solo circa l’1% delle neo-plasie dell’adulto, il 25% dei tumori primitivi cerebrali ed il 45-50% dei gliomi,con un incidenza di circa 5-6 casi per 100.000 persone adulte per anno. IlGBM è nella maggioranza dei casi una neoplasia degli adulti: i casi nella fa-scia d’età minore di 14 anni costituiscono lo 0.2% del totale. La frequenzaaumenta con l’età, avendo un picco tra 65 e 75 anni. L’età media di insor-genza è tra i 50 ed i 60 anni ed esiste una differente distribuzione nei duesessi con un rapporto maschi/femmine di 1.6/1.La localizzazione sopratentoriale è la più frequente. Vi sono sindromi fami-liari tipo la sindrome di Turcot (poliposi familiare congenita), la S. di Li-Frau-meni (disordine autosomico dominante con alterazioni della P53), dove i GBM

sono più frequenti. Il GBM è caratterizzato da una notevole varietà citologica,una alta invasività locale ed una scarsa tendenza a metastatizzare. Sebbenela malattia sia trattata con un’aggressiva strategia terapeutica multimodalequale chirurgia seguita da chemioterapia e radioterapia, la mediana di so-pravvivenza è di circa 15 mesi. (Stupp et al., 2009)Esistono almeno due patterns di insorgenza: i GBM primari si verificano in pa-zienti più anziani (età media 55-60 anni) dopo una breve storia clinica esenza una identificabile lesione precedente, meno maligna. Al contrario, iGBM secondari insorgono in pazienti più giovani (età media 39 anni), hannouna storia clinica relativamente più lunga, e sono il risultato di una progres-sione da un glioma di basso grado.L’età d’insorgenza della neoplasia sembra essere un importante fattore pro-gnostico: diversi studi hanno dimostrato un’associazione significativa tral’avanzare dell’età ed il peggioramento della prognosi. Il sesso, invece, sem-bra non avere significato in termini di outcome.

I gliomi cerebrali sono patologie senza una chiara evidenza eziologica e conpatogenesi complessa.Vi sono sindromi familiari, tipo quelle innanzi segnalate, ma tuttavia rappre-sentano una modesta percentuale rispetto alla stragrande maggioranza deipazienti affetti da glioma cerebrale ed in cui, fino al momento attuale, non

sono stati individuati specifici fattori di rischio. E’ noto che per i gliomi dibasso grado (grado II WHO) il picco di incidenza è tra i 20 e i 40 anni, men-tre i gliomi maligni (grado III e IVWHO) insorgono più tardivamente. I GBM pri-mitivi (grado IV WHO) hanno un picco di insorgenza nella sesta e settimadecade.

Pagina 10

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

INDICE

1. Incidenza e Mortalità Pagina 11

2. Risk Assessment Pagina 11

3. Diagnosi Pagina 11

4. Esami Diagnostici Pagina 11

4.1 Diagnosi Neuroradiologica Pagina 11

4.2 Diagnosi Anatomo-Patologica Pagina 12

5. Terapia Pagina 12

5.1 Chirurgia Pagina 12

5.2 Terapie adiuvanti Pagina 13

5.3 Trattamento alla recidiva dei gliomi maligni Pagina 14

6. Prevenzione e Palliazione Dei Sintomi Pagina 14

6.1 Riabilitazione palliativa Pagina 14

6.2 Ipertensione endocranica, controllo dell’edema cerebrale Pagina 14

6.3 Epilessia Pagina 15

7. Dotazioni delle unità cliniche, volumi di attività per accreditamento Pagina 16

e definizione di eccellenza7.1 Diagnostica per immagini Pagina 16

7.2 Diagnosi anatomo-patologica Pagina 17

7.3 Chirurgia Pagina 17

7.4 Radio-chemioterapia Pagina 17

7.5 Attività scientifica Pagina 18

8. Bibliografia Pagina 18

1. Incidenza e Mortalità

2. Risk assessment

Come in tutta la patologia oncologica anche nei gliomi cerebrali la diagnosiprecoce condiziona, anche se in misura minore rispetto ad altre forme tu-morali, l’efficacia delle strategie terapeutiche.La sintomatologia di esordio è condizionata dalla localizzazione della lesioneche nel caso di coinvolgimento di aree eloquenti si manifesterà con deficitfocali (linguaggio, motilità, funzione visiva, deficit di nervi cranici).Le localizzazioni nelle aree “mute” si manifesteranno con turbe dell’atten-

zione, apatia e coinvolgimento delle funzioni nervose superiori fino a segnidi ipertensione endocranica.Nei gliomi di basso grado il sintomo d’esordio è spesso rappresentato dauna crisi epilettica.Comunque in un soggetto adulto che presenta una progressiva modifica-zione delle perfomances cognitive, anche in assenza di segni neurologici fo-cali, è fortemente indicato uno studio neuro radiologico (RMN cerebrale).

3. Diagnosi

4.1 Diagnosi NeuroradiologicaLa diagnostica dei tumori cerebrali è prevalentemente basata sulle indaginineuroradiologiche ovvero sulla RMN.Gli obiettivi principali sono:1) diagnosi differenziale2) definizione della localizzazione e della estensione della patologia

3) ipotesi di grading biologico.Lo stato dell’arte prevede in fase pre-chirurgica la implementazione dei datimorfologici con informazioni “funzionali” in grado di fornirci elementi sul me-tabolismo e sulla emodinamica del tumore. Inoltre in caso di tumori localiz-zati in prossimità di aree eloquenti è possibile ottenere una mappa di talizone e del loro rapporto topografico con il tumore.

4. Esami diagnostici

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5.1 ChirurgiaLa chirurgia rappresenta il primo atto terapeutico nel trattamento dei gliomicerebrali. Gli obiettivi principali del trattamento chirurgico dei tumori cerebralisono: ottenere una corretta diagnosi istologica; controllare rapidamente lasintomatologia ingravescente legata all’aumento della pressione endocra-nica ripristinando, ove indicato, una normale circolazione liquorale; ridurrel'edema perilesionale; migliorare la qualità di vita controllando i sintomi esegni neurologici focali determinati dalla neoplasia; ottenere la massima ri-duzione possibile del numero delle cellule neoplastiche, onde favorire l’effi-cacia delle successive terapie adiuvanti.

Gliomi di alto grado (grado II WHO)Il trattamento ottimale (chirurgia, radioterapia, chemioterapia) è ancora moltocontroverso.L’indicazione al trattamento chirurgico è universalmente accettata nel casodi tumori che per sede e dimensioni possono essere asportati completa-mente, e nel caso di lesioni con effetto massa e sintomi neurologici in cui lariduzione del volume tumorale può portare un beneficio clinico.Purtroppo, nella maggioranza dei casi, i gliomi di basso grado dell’adulto sipresentano come lesioni infiltranti con margini poco definiti rispetto al pa-renchima sano perilesionale, localizzate frequentemente in sedi “critiche” e

spesso non associate a segni neurologici focali.In questi casi non è ben definito quale sia il beneficio clinico dell’asportazionechirurgica parziale e il suo impatto sulla prognosi.Nei pazienti con tumori giudicati non operabili perchè in sede critica o per-chè estesamente infiltranti è consigliabile una biopsia stereotassica per laconferma diagnostica.

Gliomi di alto grado (III-IV WHO)E’ ormai ampiamente accettato che la resezione macroscopicamente totalenei gliomi maligni rappresenti un fattore prognostico indipendente statisti-camente significativo correlato con la maggiore sopravvivenza.Indicazione fondamentale alla chirurgia, oltre a quelle su indicate, è datadalla presenza di una lesione circoscritta senza coinvolgimento delle areeprofonde. In presenza di lesione multifocale o coinvolgente strutture pro-fonde (talamo, nuclei della base, corpo calloso) è indicata la biopsia stereo-tassica, quantomeno nei casi in cui la definizione del grading istologico possainfluenzare la successiva condotta terapeutica.

Requisiti e criteri di eccellenza dell’attrezzatura chirurgica• Sala operatoria (dedicata)• Coagulazione bipolare

5. Terapia

Note tecnicheTecnica da utilizzare in fase pre-operatoria:• Magnete ≥1.5T• Spessore massimo (2 D) ≤ 4 mm• T1 e T2 TSE assiali; FLAIR T2 volumetriche (3D) (in alternativa FLAIR as-

siali e TSE T2 su 3 piani)• T1 TSE post-contrasto su 3 piani (in alternativa T1 volumetriche e TSE

T1 assiale tardiva)• Studio di perfusione con tecnica contrastografica (DSC) con o senza va-

lutazione dell’“input arterioso” (AIF)• Studio di diffusione con elaborazione delle mappe ADC• Spettroscopia (almeno single voxel e TE lungo) auspicabile CSI (multi)In caso di localizzazione in aree critiche utile la RM funzionale, con task diattivazione motoria e linguaggio e/o Trattografia (DTI)

Tecnica da utilizzare in fase post-operatoria:• Magnete ≥1.5T• Spessore massimo (2 D) ≤ 4 mm• T1 e T2 TSE assiali; FLAIR T2 volumetriche (3D) (in alternativa FLAIR as-

siali e TSE T2 su 3 piani)• Studio di diffusione con elaborazione delle mappe ADC• T1 TSE post-contrasto su 3 piani (in alternativa T1 volumetriche e TSE

T1 assiale tardiva)• Solo in caso di dubbio diagnostico o di indicazione al re-intervento• Studio di perfusione con tecnica contrastografica (DSC) con o senza va-

lutazione dell’”input arterioso” (AIF)• Spettroscopia (almeno single voxel e TE lungo) auspicabile CSI (multi)Raccomandazioni:I controlli post-operatori sono consigliabili con scadenza trimestrale.

In presenza di segni di recidiva del tumore in alcuni casi si pone la neces-sità di diagnosi differenziale fra ripresa di malattia e radionecrosi. In questicasi la RMN può essere implementata dalla Tomografia ad Emissione di Po-sitroni (PET). L’assenza di captazione del tracciante può essere indicativa diradionecrosi.

4.2 Diagnosi Anatomo-PatologicaDiagnosi istologica e grading: Inquadramento nosografico delle lesioni edefinizione del grado di malignità, secondo la classificazione WHO 2007.

Caratterizzazione molecolare:• Delezione cromosoma 1p e 19q

(L’efficacia della chemioterapia nel trattamento dei gliomi di basso gradodell’adulto è stata chiaramente dimostrata soprattutto negli oligoden-drogliomi e nei tumori misti oligo-astrocitari in progressione, in partico-lare nei pazienti che presentano specifiche alterazioni genetiche conperdita di eterozigosi a carico dei cromosomi 1p e 19q)

• Metilazione del promoter del gene per MGMT(La resistenza alla TMZ nei glioblastomi è mediata in parte dal geneMGMT. L’assenza di metilazione del gene sembra essere un fattore siaprognostico che predittivo, poiché si associa a una scarsa risposta allaTemozolomide e ad una peggior sopravvivenza rispetto ai pazienti me-tilati.)

• Mutazione IDH1 mediante immunoistochimica(La presenza della mutazione di IDH1 è stata individuata come caratte-ristica dei gliomi maligni secondari, cioè frutto di progressione da unglioma di basso grado, mentre non è riscontrabile nei glioblastomi pri-mari).

Pagina 12

• Aspiratore a ultrasuoni• Ecografo intraoperatorio• Neuronavigatore• Microscopio operatorio (completo di filtro per fluorescenza e indocia-

nina)• Monitoraggio neurofisiologico intraoperatorio• Strumentario per biopsia con tecnica stereotassica• Terapia intensiva post-operatoria

Note tecnicheIl filtro per fluorescenza è utilizzato nei casi in cui il paziente abbia assuntoalcune ore prima dell’intervento una sostanza fluorescente, tipo l’acidoamino-levulinico, in grado di penetrare selettivamente nelle cellule neopla-stiche. In tal modo l’utilizzo del filtro permette di identificare aree di infiltra-zione neoplastica non visibili alla luce normale.Il neuronavigatore permette al chirurgo di conoscere in ogni momento la suaposizione di lavoro rispetto sia alla lesione che ad eventuali aree eloquenti.Tale ausilio aiuta ad effettuare la resezione neoplastica nel rispetto di areefunzionali riducendo così i rischi di deficit neurologici post-operatori.Il monitoraggio neurofisiologico intraoperatorio ha lo stesso scopo del neu-ronavigatore in termini di rispetto di aree funzionali.La possibilità di avere controlli intraoperatori con TC o RM è decisamenteauspicata, ma attualmente ancora non validata da un punto di vista dell’im-patto sull’efficacia della strategia terapeutica complessiva.

5.2 Radioterapia e chemioterapiaGliomi di basso gradoDati basati su studi prospettici randomizzati indicano che nei pazienti con fat-tori prognostici indicatori di lunga sopravvivenza e in particolare con età gio-vanile (<35 anni), assenza di deficit neurologici, epilessia come unicosintomo di malattia, il trattamento radioterapico può essere differito fino allaevidenza radiologica o clinica di progressione di malattia. I dati sul ruolo dellachemioterapia nel trattamento dei gliomi di basso grado sono ancora scarsi,ma un numero crescente di studi segnalano tassi di risposta al trattamentocon temozolomide che variano dal 35 al 61%, con elevata incidenza di ri-sposte minori e lunghe stabilizzazioni di malattia.L’efficacia della chemioterapia nel trattamento dei gliomi di basso grado del-l’adulto è stata chiaramente dimostrata soprattutto negli oligodendrogliomie nei tumori misti oligo-astrocitari in progressione, in particolare nei pazientiche presentano specifiche alterazioni genetiche con perdita di eterozigosi acarico dei cromosomi 1p e 19q (10-13) e mutazione IDH1.Sulla base delle considerazioni precedenti (in attesa dei risultati dello studioEORTC che chiarirà la migliore sequenza terapeutica per questi tumori) l’al-goritmo di trattamento è il seguente:Dopo resezione chirurgica totale non vi è indicazione a radioterapia adiu-vante, ma va considerato un attento follow up clinico-strumentale (trime-strale per il primo anno, quadrimestrale per il secondo anno, semestrale peril terzo anno, annuale dopo il quarto anno per almeno 10 anni), per la possi-bilità di eventuali progressioni di malattia anche a distanza dalla sede inizialedella neoplasia.Dopo asportazione incompleta o Biopsia è indicata:• RADIOTERAPIA IMMEDIATA

In pazienti con: Età > 40 anni, Istologia Astrocitaria, Chirurgia sub-to-tale, Deficit focali e/o Segni Compressivi, Epilessia resistente alle tera-pie mediche, Assenza di delezione 1p-19q, Assenza di mutazioneIDH1-IDH2

Oppure:• RT DILAZIONATA con VIGILE ATTESA E/O CHEMIOTERAPIA

In pazienti con: Età < 40 anni, Malattia limitata, Asportazione ChirurgicaAmpia, Istologia Oligo-dendrogliale, Co-delezione 1p-19q, MutazioneIDH1- IDH2, Epilessia come unico segno clinico

I tumori con istologia oligodendrogliale o mista oligo-astrocitaria presentanouna maggiore chemiosensibilità rispetto ai tumori astrocitari.Pertanto la chemioterapia (temozolomide, PCV), sia come trattamento ini-ziale dopo una chirurgia parziale, che alla recidiva/progressione è frequen-temente impiegata, specie in presenza di fattori prognostici clinici ebio-molecolari favorevoli.Le risposte cliniche e/o radiologiche si possono verificare anche dopo moltimesi di terapia. Non è ancora definita la durata ottimale della chemioterapianei pazienti responsivi, così come non è dimostrato un vantaggio della poli-chemioterapia (es. PCV) a confronto con la monochemioterapia con temo-zolomide o nitrosouree.

Gliomi III gradoI dati in letteratura relativi ai soli gliomi anaplastici sono scarsi poichè, datala loro rarità, sono stati a lungo considerati e trattati insieme ai glioblastomianche se la prognosi è significativamente migliore (mediana di sopravvi-venza di 24-36 mesi).In generale i livelli di prove di efficacia sono di tipo II e III. L’asportazione chi-rurgica la più ampia possibile e la radioterapia adiuvante con tecnica con-formazionale (54 Gy –60 Gy) sono il trattamento standard. Circa l’impiego deiwafers di Gliadel nei pazienti di nuova diagnosi valgono le considerazioni peril glioblastoma.La chemioterapia adiuvante a base di nitrosouree (BCNU, PCV) è stata con-siderata efficace in due metanalisi relative ai gliomi maligni (Fine et al, 1993;Stewart, 2002).Per quanto riguarda la temozolomide, sono in corso studi cooperativi di faseIII per valutare la potenziale utilità del trattamento combinato di radiotera-pia/temozolomide concomitante ed adiuvante (cioè il trattamento standarddel glioblastoma). Una chemioterapia post-radioterapia con temozolomide(fino a 12 mesi), specialmente in presenza di un residuo dopo radioterapia,è consigliabile.Nel caso di diagnosi istologica di astrocitoma anaplastico, se in presenza diun quadro radiologico altamente suggestivo per glioblastoma, specialmentein pazienti con età ≥60 e <70 anni, può essere ipotizzato un trattamentocombinato di radioterapia e temozolomide concomitante ed adiuvante nellapresunzione di un “sampling error” (errore di campionatura).Alla recidiva/progressione gli astrocitomi anaplastici sono sempre conside-rati unitamente ai glioblastomi, ma in genere presentano una maggior per-centuale di risposte e più lunghi tempi alla progressione dopo le stesseopzioni terapeutiche.Le scelte terapeutiche in caso di componente oligoastrocitaria (oligo-astro-citoma) e oligodendroglioma puro vanno valutate sulla base dei fattori pro-gnostici biologici (co-delezione 1p-19q, mutazione IDH1, stato di metilazionedell’enzima MGMT), e di quelli clinici (età del paziente, entità dell’asporta-zione chirurgica, presenza di segni neurologici, epilessia).Attualmente i markers biologici, incluso lo stato di metilazione dell’enzimaMGMT, possono essere considerati fattori utili nella definizione diagnosticae come indicatori prognostici ma non sono ancora utilizzabili nella pratica cli-nica per indirizzare i trattamenti. Tuttavia, nel caso di tumori estesi, che ri-chiedono un volume di trattamento ampio, soprattutto in presenza dicodelezione 1p-19q, si può considerare l’opzione di una chemioterapia ini-ziale, ritardando la radioterapia.

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie cerebraliRETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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6.1 Riabilitazione palliativaL’efficacia della riabilitazione nei tumori cerebrali è documentata da nume-rosi studi che riportano un “guadagno funzionale” e un miglioramento del-l’autonomia nei pazienti trattati sovrapponibile a quello ottenuto in pazientiaffetti da patologie non oncologiche (esiti di ischemia cerebrale o di traumacranico). In questo quadro l’intervento riabilitativo deve essere mirato al re-cupero dell’autonomia individuale e può utilizzare strumenti diversi (fisio-terapia motoria, terapia del linguaggio, terapia occupazionale).In questo quadro, visto il forte coinvolgimento familiare, occorre anche porsiil problema di aiutare la famiglia del malato a convivere con la malattia e agestire gli aspetti più importanti, prevedendo il suo addestramento al cor-retto posizionamento e alla mobilizzazione del paziente con autonomia li-mitata e l’educazione alle posture adeguate.I deficit cognitivi sono un sintomo comune nei pazienti con tumore cere-brale, presente spesso già alla diagnosi, con un impatto negativo sulla qua-lità della vita e sul tono dell’umore.Le funzioni cognitive sono considerate un fattore prognostico indipendenteindicatore di sopravvivenza.

6.2 Ipertensione endocranica, controllodell’edema cerebrale

Il trattamento antiedemigeno cortisonico richiede una migliore definizionesia nel tipo di cortisonico utilizzato che nella posologia.Il desametasone ha mostrato in studi sperimentali la maggiore attivitàantiedemigena cerebrale con minori effetti collaterali di tipo mineralcorti-coide. Nei trattamenti protratti è necessario conoscere i numerosi possibilieffetti collaterali (diabete iatrogeno, ipertensione arteriosa, complicanze psi-chiatriche) che devono essere trattati tempestivamente e prevenuti con unariduzione delle dosi di steroidei alla dose minima efficace.DesametasoneRidotti effetti mineralcorticoidi, basso legame proteine plasmatiche, lungaemivita (36 h), ridotta migrazione leucocitaria, dose iniziale 16 mg al giornoin unica somministrazione, ridurre gradualmente alla dose minima efficaceMannitolo,GliceroloRaccomandata solo in caso di ipertensione endocranica ingravescente 1mg/Kg in infusione rapida ogni 4-6 ore per 48-72 ore, utile monitoraggiofunzionalità renale per terapia protratta.

6. Prevenzione e palliazione dei sintomi

Gliomi IV gradoL’asportazione chirurgica il più ampia possibile deve essere seguita da ra-dioterapia conformazionale e chemioterapia; procedure da iniziare entro 30- 40 giorni dall’intervento chirurgico nei soggetti con KPS ≥ 70. Il trattamentoradioterapico standard dei tumori gliali prevede la erogazione di 59,4/60 Gy,in 33/30 frazioni giornaliere da 1,8-2 Gy ciascuna. Dal 2005 in poi la radio-terapia concomitante a chemioterapia con temozolomide (TMZ) è diventatoil nuovo standard terapeutico nel glioblastoma. La schedula di TMZ è 75mg/mq/die per tutta la durata della radioterapia, seguiti da 6 cicli alla dosedi 150-200 mg/mq/die x 5 giorni q28.In caso di risposta e di assenza di tossicità può essere preso in considera-zione un prolungamento della fase “adiuvante” con TMZ anche fino a pro-gressione.Anche in assenza di malattia valutabile, il trattamento con TMZ si può con-siderare fino a un massimo di 12 cicli.Il trattamento intraoperatorio con BCNU wafer intracerebrale (Gliadel) nondeve essere considerato un’alternativa equiefficace rispetto allo standardcon TMZ, ma può fornire una utile integrazione nei casi sottoposti a rese-zione chirurgica radicale o subtotale, ritardando la ripresa locale di malattianella fase di attesa dell’inizio del trattamento chemio-radioterapico.La resistenza alla TMZ nei glioblastomi è mediata in parte dal gene MGMT.L’assenza di metilazione del gene sembra essere un fattore sia prognosticoche predittivo, poiché si associa ad una scarsa risposta alla temozolomide ead una peggior sopravvivenza rispetto ai pazienti metilati.Anche la radio-immunoterapia metabolica, che utilizza anticorpi radiomarcatiiniettati per via sistemica o intratumorale, rimane tuttora da considerarsisperimentale.

5.3 Trattamento alla recidiva dei gliomi maligniAlla comparsa di recidiva/progressione di malattia si può riconsiderare• la chirurgia per recidiva circoscritta e chirurgicamente accessibile

• la radioterapia (sulla base della dose già erogata)• chemioterapia utilizzando uno dei seguenti protocolli:

fotemustina 65-75 mg/mq 1,8,15 g (fase di induzione) seguiti dopo 5settimane da 75-100 mg/mq q 21 (fase di mantenimento)oppurePC (CCNU 110 mg/m2 giorno 1 + procarbazina 60 mg/m2/die dal giorno7 al 21) ogni 6-8 settimane senza la Vincristina per evidenze di difficilepassaggio nella BBB.

Alla comparsa di recidiva/progressione di malattia dopo chirurgia e radiote-rapia concomitante a temozolomide, le principali opzioni terapeutiche ri-mangono le stesse, con la possibilità di effettuare nuovamente trattamentocon temozolomide secondo protocollo “3 weeks on e 1 week off” (75mg/mq/die) o week on e week off (75 mg/mq/die) in considerazione della ri-sposta ottenuta in prima linea, dal tempo di progressione e dalla tossicità,(schedula in off label).L’associazione di CPT11 e bevacizumab è una opzione terapeutica sulla basedi uno studio di fase II in pazienti affetti da GBM recidivo (PFS-6: 46%, OS-6: 77% (96% CI: 64-92%), Rr: 57%) (20) e da uno studio di fase II rando-mizzato in pazienti affetti da GBM recidivati in cui l’associazione dibevacizumab + CPT11 ha documentato un beneficio di efficacia confrontatocon bevacizumab in monoterapia (Rr: 32.9% vs 20%, PFS-6 50% vs 42%,OS: 8.8 vs 9.3 mesi) (21) e i risultati a lungo termine che dimostrano un tassodi sopravvivenza a un anno del 38% (livello di evidenza IIIA).Ad oggi in Europa il trattamento con bevacizumab è fuori indicazione, in at-tesa dei risultati di studi di fase III attualmente in corso.Riguardo alla modalità di esecuzione della chemioterapia è importante con-siderare quanto segue:• Nessuno studio ha dimostrato un vantaggio della polichemioterapia ri-

spetto alla monoterapia.• Non è stabilita una durata ottimale del trattamento dei pazienti respon-

sivi o stabili durante chemioterapia.Le nitrosouree rimangono, dopo la temozolomide, i farmaci più attivi.

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6.3 EpilessiaI pazienti con neoplasia cerebrale primitiva o secondaria presentano spessocrisi epilettiche parziali o secondariamente generalizzate.Gli istotipi a maggior rischio epilettogeno sono gli oligodendrogliomi (80-90%), i gliomi anaplastici (70%) e le metastasi da melanoma (87%).Le localizzazioni più epilettogene sono quelle parieto-temporali e corticali;l’edema perilesionale rappresenta un fattore di rischio aggiuntivo.In letteratura non esistono dati che indichino un beneficio nell’intrapren-dere una profilassi. Alcuni autori suggeriscono di intraprendere una profilassisolo nel caso di interessamento della corteccia motoria e/o in caso di me-tastasi da melanoma e/o in caso di intervento neurochirurgico nella primasettimana post-operatoria. Va sempre privilegiata, laddove possibile, la mo-noterapia. Le raccomandazioni sul trattamento dell’epilessia tumorale pro-dotte dall’Associazione Italiana di Neuro-Oncologia (2008) raccolgono leevidenze scientifiche disponibili.Dall’analisi dei dati disponibili sono state stilate le seguenti raccomanda-zioni:• nei pazienti con tumori cerebrali di nuova diagnosi, i farmaci antiepi-

lettici non sono efficaci nel prevenire l’insorgenza di crisi epilettiche.In considerazione della assenza di efficacia della terapia profilattica eper i potenziali eventi avversi dei farmaci antiepilettici, la terapia profi-lattica anticonvulsiva non dovrebbe essere utilizzata di routine in que-sti pazienti (standard)

• nei pazienti con tumori cerebrali che non abbiano presentato crisi, èappropriato sospendere i farmaci antiepilettici dopo la prima settimanasuccessiva all’intervento chirurgico. (Livello B)

• i farmaci di nuova generazione (LEV, GBP, LTG, OXC, TGB, TPM, ZNS) neltrattamento delle crisi epilettiche in pazienti con neoplasie primitive ometastasi cerebrali inducono minori eventi avversi e minori interazionirispetto ai farmaci antiepilettici di vecchia generazione (CBZ, PB, PHT)che vengono oggi sconsigliati nella terapia di prima linea per l’elevataincidenza di effetti collaterali e per le importanti interazioni con le altreterapie di supporto e con alcuni farmaci chemioterapici utilizzati neltrattamento dei tumori cerebrali

• riguardo alla profilassi antiepilettica nel periodo perioperatorio gli studiclinici presenti in letteratura non offrono dati univoci. Anche in questoambito sono comunque da preferire, per le ragioni già riportate, i far-maci anicomiziali di nuova generazione dotati di minori interazioni far-macologici ed effetti collaterali.

Recenti dati sull’incidenza di crisi comiziali alla fine della vita segnalanouna elevata incidenza legata anche a difficoltà di proseguire le terapie an-ticonvulsive orali. Nei pazienti con disfagia iniziale viene suggerito il pas-saggio dalla terapia anticomiziale orale a quella parenterale con fenobarbitalim o sc.Evitare l’uso di farmaci induttori enzimatici (citocromo P 450), Evitare le in-terazioni degli AED con la terapia steroidea e la chemioterapia, Iniziare conmonoterapia e in caso di epilessia resistente raggiungere la massima doseed eventualmente usare un secondo farmaco in ionoterapia e solo in casiresistenti iniziare una politerapia.

Gliomi di basso gradoPazienti non in terapia antineoplastica• Prima scelta: Vecchi AED (VPA); Nuovi AED (LEV, LTG, OXC,TPM)• Seconda scelta/Add-on: (CBZ-PHT-GBP-ZNS-PGB-LCM)Pazienti in terapia antineoplastica• Prima scelta: Non Induttori (LEV); Deboli Induttori (LTG, OXC, TPM)• Seconda scelta/Add-on: (GBP-VPA, ZNS-PGB-LCM)

Gliomi di alto grado(paz. comunemente in terapia antineoplastica)• Prima scelta: Non Induttori (LEV); Deboli Induttori (LTG, OXC, TPM)• Seconda scelta/Add-on: (GBP, VPA,ZNS-PGB-LCM)

Trattamento in acutoIn presenza di stato di male epilettico, il farmaco ideale è una benzodiaze-pina per la breve durata d’azione e l’effetto immediato. In caso di non ri-sposta alla benzodiazepina:• fenitoina i.v.• levetiracetam i.v.• acido Valproico i.v.

Trombosi venose ed embolie polmonariL’elevata incidenza di trombosi venose periferiche nei pazienti affetti dagliomi (10-20%), spesso complicate da embolia polmonare, ha spinto alcuniautori ad ipotizzare la necessità di una profilassi antitrombotica con eparinaa basso peso molecolare in tutti i pazienti affetti da tumore cerebrale.

Depressione, psicosiIncidenza variabile dal 15 al 50-80% (Litofsky Neurosurgery 2004).Recenti review sull’utilizzo di terapia farmacologica antidepressiva indicanouna possibile efficacia sul miglioramento dei disturbi depressivi.Sintomi psichiatrici con agitazione, disturbi del comportamento, aggressi-vità, disturbi del sonno, etc. sono molto frequenti nei pazienti con tumore ce-rebrale, sia come complicanza del trattamento cortisonico protratto checome sintomatologia psicoorganica legata alla progressione del tumore. Iltrattamento farmacologico si avvale di neurolettici di nuova generazione (ri-speridone, olanzapina) dotati di scarsi effetti collaterali extrapiramidali esedativi e di buona efficacia terapeutica.Nella fase terminale di malattia in presenza di delirium è indicata la ridu-zione della terapia steroidea e in caso di insuccesso la somministrazione difarmaci sedativi fino all’induzione della sedazione necessaria al conteni-mento del sintomo (benzodiazepine, neurolettici).

DoloreDopo un’attenta valutazione del dolore, la terapia con oppioidi è graduale,attentamente pesata per il singolo paziente e intrapresa impiegando la ti-tolazione della dose necessaria al controllo del dolore utilizzando preparatidi morfina a pronto rilascio, somministrati ogni 4 ore ed ad ogni episodio didolore episodico intenso.Una volta definita la dose quotidiana necessaria per un buon controllo deldolore è possibile passare alla somministrazione di preparazioni a rilasciocontrollato, che vanno sempre somministrate ad orari regolari, quotidiana-mente e possibilmente per bocca (“by the mouth, by the clock, by the lad-der”).

Nausea e vomitoFarmaci sintomatici (metoclopramide, agente pro cinetico molto efficace;aloperidolo è indicato nei casi di nausea causata dagli oppioidi)

Indicazioni alla nutrizione artificiale e all’idratazione nel pazienteterminaleSupporto nutrizionale: ad oggi non vi sono evidenze definitive che atte-stino l’efficacia del supporto nutrizionale nel risolvere la malnutrizione e laperdita di massa magra nei pazienti neoplastici.Secondo la review della Cochrane Database of Systematic Reviews, Issue

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie cerebrali

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La patologia neoplastica cerebrale coinvolge un gruppo di professionisti didiverse specialità (chirurghi, anatomo-patologi, radiologi, neurologi, onco-logi, radioterapisti, psicologi) accreditati come esperti della materia in fun-zione di:• comprovata esperienza in materia di patologia oncologica cerebrale• numero di casi trattati per anno e tempo dedicato all’assistenza per

questa patologia• regolare partecipazione ad incontri interdisciplinari dedicati alla piani-

ficazione diagnostico-terapeutica dei singoli casi clinici• regolare aggiornamento professionale specifico• adeguata e continua produzione scientifica specifica ed attività didat-

tica.

Nella successiva tabella vengono indicati Requisiti Minimi (normale) e Cri-teri di Eccellenza (grassetto) sulla base di Risorse/Procedure, Disponibilità,Numero pazienti trattati nel 2010

7.1 Diagnostica per immaginiAspetti tecnici:• Magnete ≥1.5T• Spessore massimo (2 D) ≤ 4 mm• T1 e T2 TSE assiali; FLAIR T2 volumetriche (3D) (in alternativa FLAIR

assiali e TSE T2 su 3 piani)

• T1 TSE post-contrasto su 3 piani (in alternativa T1 volumetriche e TSET1 assiale tardiva)

• Studio di diffusione con elaborazione delle mappe ADC• Studio di perfusione con tecnica contrastografica (DSC con o senza va-

lutazione dell’input arterioso” (AIF)• Spettroscopia (almeno single voxel e TE lungo) auspicabile CSI (multi)• In caso di localizzazione in aree critiche RM funzionale, con task di at-

tivazione motoria e linguaggio (i task saranno ottimizzati e standardiz-zati per tutti i centri) e/o Trattografia (DTI)

Volume Pazienti affetti da glioma/anno:• 25 (minimo) (prima diagnosi + recidive)• 50 (eccellenza) (prima diagnosi + recidive).

7.2 Diagnosi anatomo-patologicaDiagnosi istologica e grading: Inquadramento nosografico delle lesione edefinizione del grado di malignità, secondo la classificazione WHO 2007Caratterizzazione molecolare:• delezione cromosoma 1p e 19q• metilazione del promoter del gene per MGMT• mutazione IDH1 mediante immunoistochimica• volume pazienti/anno:

25 (minimo) 50 (eccellenza)

7. Dotazioni delle unità cliniche e volumi di attivitàper accreditamento e definizione di eccellenza

Risorse/Procedure Disponibilità Numero pazienti trattati nel 2010

Per l’eccellenza è necessario soddisfare 3 degli 8 requisiti riportati nei riquadri grigi

Trattamenti radioterapici con fasci esterni su tumoriprimitivi* e secondari** del SNC

≥10*+≥15**

Acceleratore lineare Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa

Simulazione con utilizzo di TC Idem

Piano di trattamento basato su immagini TC Idem

Immagini portali settimanali Idem

Sistemi di immobilizzazione Idem

DH per terapia di supporto Disponibilità di accesso

Trattamenti radioterapici con tecniche focalizzate(3D-CRT o IMRT) su tumori primitivi del SNC

Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa ≥15

Trattamenti radioterapici con tecniche focalizzate(3D-CRT o IMRT) su tumori metastatici del SNC

Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa ≥15

Definizione dei volumi di trattamento e critici medianteprogramma di fusione delle immagini

Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa

SRS (radiochirurgia) Il trattamento può avvalersi di questa risorsa

SRT (radioterapia stereotassica) Idem

IMRT Idem

IGRT Idem

Procedure Per l’eccellenza è necessario soddisfare entrambi i due requisiti richiesti

Prima visita specialistica 1 settimana dalla richiesta di prenotazione

Completamento stadiazione 3 settimane dalla prima visita

Inizio terapia4 settimane dalla prescrizione nelle forme rapida-mente evolutive

Inizio terapia

Nei trattamenti postoperatori l’intervallo sarà il piùbreve possibile compatibilmente con le condizionicliniche del paziente e con i tempi di guarigionechirurgica

1, 2009, i medici dovranno prendere una decisione basata sui vantaggi e irischi di una nutrizione medicalmente assistita valutando il caso del singolopaziente, senza il supporto di una evidenza scientifica di alta qualità.Idratazione: La gestione dell’idratazione parenterale nel paziente terminalerimane controversa e la questione assai più frequente in cure palliative è le-gata alla sua eventuale prosecuzione.Gli argomenti al centro del dibattito sono: se e/o quanto spesso i pazientidebbano essere idratati, il volume di idratazione ricevuto ed il bilancio tra ibenefici e gli effetti collaterali della idratazione parenterale.Nei pazienti che vivono una fase di inevitabile e prossima terminalità non sitratta di non iniziare o sospendere una terapia ma di accompagnare versouna fine dignitosa con tutte le conoscenze e gli strumenti che la medicinaoggi ci offre; nelle cure palliative la sospensione è lecita in caso di incapa-cità di assimilazione da parte dell’organismo o intolleranza clinicamente ri-levabile.

Rantolo terminaleRespirazione rumorosa terminale causata dalla presenza di secrezioni nellevie aeree (di solito quelle superiori) vie respiratorie ultime ore 24-36-78/hdi vita.Richiede fondamentalmente solo l’uso di anticolinergici.La terapia appropriata ed efficace alla manifestazione del rantolo: la sco-polamina butibromide è molto efficace nel rantolo terminale con proprietàdi ridurre le secrezioni. Ioscina: 20-40 mg ogni 4-6h fino a max 120 mg in

siringa sottocute. Gli effetti collaterali del farmaco diventano le indicazioniterapeutiche, viene sfruttato l’effetto collaterale di ridurre le secrezioni bron-chiali (off-label).

Sedazione palliativaLa sedazione palliativa corrisponde all’uso specifico di farmaci sedativi peralleviare le sofferenze fisiche e/o psichiche. La benzodiazepina di primascelta è il Midazolam.Le dosi di midazolam utili si situano in un ampio range: da 10 a 1200mg/die. Mediamente 30-70 mg/die. Le dosi più alte sono associate a pa-zienti giovani, assenza di ittero, pregresso uso di midazolam (per pregressacomparsa di tolleranza), prolungata sedazione (per probabile comparsa ditolleranza).

Continuità assistenziale e cure domiciliariLa complessità del percorso di malattia e l’intensità dei bisogni assistenzialidei pazienti affetti da neoplasia cerebrale richiedono modelli di cure in gradodi offrire l’integrazione tra i diversi operatori coinvolti e i diversi setting as-sistenziali (ospedale, territorio, domicilio).Le cure palliative devono essere avviate in tutte le fasi di malattia, secondoil modello di “simultaneous care”, utilizzando le strutture di cure palliativeesistenti sul territorio regionale . La legge regionale 2010 promuove il mo-dello neuro-oncologico di cure domiciliari integrate, già validato, per tutti imalati affetti da tumore cerebrale.

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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7.3 ChirurgiaRisorse tecniche:• sala operatoria (dedicata)• coagulazione bipolare• aspiratore a ultrasuoni• ecografo intraoperatorio• neuronavigatore• amplificatore di brillanza• microscopio operatorio (completo di filtro per fluorescenza e indocia-

nina)*• monitoraggio neurofisiologico intraoperatorio

• neuro-endoscopio*• chirurgia stereotassica*• TC o RM intraoperatori*• terapia intensiva neurochirurgica* post-operatoria

*Almeno 3 dei cinque criteri devono essere soddisfatti per l’eccel-lenza

• Volume pazienti/anno:25 (minimo) 50 (eccellenza)

7.4 Radio-chemioterapia

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie cerebrali

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8. Bibliografia

7.5 Attività scientificaPer l’eccellenza sono necessari 2 dei 4 requisitiPubblicazioni• Pubblicazioni su riviste scientifiche: almeno una nell’anno• Abstracts a Congressi: idem.

Presentazioni a Congressi, Corsi e Studi Nazionale ed Internazionali• Relazioni, comunicazioni: almeno una nell’anno• Partecipazione a studi multicentrici: almeno uno attivo.

7.6 Terapia di supporto e cure palliative(risorse che possono essere esterne al centro)

Requisiti minimi• Volume di attività (minimo 20 casi/anno)• Risorse strutturali in grado di garantire l’accesso del paziente entro 2

settimane dalla richiesta• Terapia antiedemigena

• Terapia antiepilettica• Profilassi antitrombotica• Terapia neurolettica• Terapia antidepressiva• Nutrizione idratazione• Gestione del rantolo terminale• Sedazione palliativa.

EccellenzaPresenza di un team multidisciplinare dedicato alle cure palliative neuro-oncologiche in grado di garantire• Riabilitazione neuro-motoria e cognitiva• Riabilitazione palliativa• Supporto al care-giver• Supporto al lutto• Volume di attività (almeno 40 casi/anno)Per ottenere l’eccellenza un Centro deve soddisfare i criteri indicati in 5dei 6 aspetti presi in considerazione.

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

Pagina 18

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie cerebrali

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

Coordinatore: Emilio Balestrazzi

M.M. Pagliara, M.A. Blasi

Criteri di appropriatezza clinicaed organizzativa nella diagnosi,

terapia e follow-updel melanoma uveale

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del melanoma uveale

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1. Incidenza e mortalità

L’oftalmoscopia indiretta a pupilla dilatata è l’esame più importante nella dia-gnosi dei melanomi della coroide; se associata ad un’attenta anamnesi e adesame ecografico permette un’accuratezza diagnostica nel 99% dei casi.

Ecografia A/B scan, esame ultrabiomicroscopico (UBM): è l’indagine stru-mentale d’elezione nella diagnosi di melanoma uveale, permette, inoltre, un’ac-curata misurazione delle dimensioni del tumore utili per la programmazione deltrattamento, per il monitoraggio della crescita o della regressione, ed una pre-cisa valutazione della presenza di estensione extrasclerale.Tale indagine è, inol-tre, di fondamentale importanza in presenza di opacità dei mezzi diottrici(leucomi corneali, cataratta, emovitreo, distacco di retina), poiché il fondo è malesplorabile e non ci si può basare in prima istanza sulla diagnosi oftalmosco-pica.

Fotografia del segmento anteriore: è utilizzata per documentare le dimen-sioni, la forma, la superficie delle lesioni iridee ed estesi melanomi del corpo ci-liare visibili attraverso il forame pupillare.

Fotografia del fondo oculare: è indispensabile per documentare la crescita, larisposta alla terapia e la presenza di recidive.

Transilluminazione: necessaria per localizzare e misurare la base del tumore,indispensabile nel delimitare il perimetro del melanoma da sottoporre a rese-

zione transsclerale, ad applicazione di placche radioattive o di anelli di tantalioper il trattamento con protoni.

Angiografia con fluoresceina: ha un’utilità limitata nella diagnosi dei melanomicoroideali, il maggior contributo si osserva nella diagnosi differenziale con lesionidisciformi, emangioma coroideale, distacco di coroide e lesioni emorragiche.

Angiografia al verde indocianina: permette la visualizzazione della rete va-scolare tumorale.

Altre procedure strumentali non apportano un contributo rilevante alla diagnosidi melanoma uveale.• OCT (Tomografia a coerenza ottica): utile nel documentare modificazioni

retiniche secondarie come piccoli sollevamenti retinici associati a mela-nomi della coroide e a nevi. La tomografia computerizzata ad alta risoluzioneè meno accurata dell’ecografia nella diagnosi di masse uveali.

• RMN: non è un’indagine strumentale specifica per il melanoma uveale; èpiù costosa e non superiore all’ecografia e non viene usata nella praticaclinica.

• PET (tomografia ad emissione di positroni): le cellule tumorali hanno ele-vati livelli di uptake di 18F-Fluorodeossiglucosio; studi preliminari hannoevidenziato che con questa metodica il melanoma primario dell’uvea puòessere diagnosticato con un’accuratezza del 66%.

2. Diagnosi

La classificazione clinica e patologica attualmente in uso è strutturata come segue.

3.1 Tumore primitivo – TMelanomi uveali• Tx: tumore primitivo non definibile.• T0: tumore primitivo non evidenziabile.

Melanomi dell’iride• T1: tumore limitato all’iride

- T1a: tumore limitato all’iride con estensione non superiore a 3 ore diorologio- T1b: tumore limitato all’iride con estensione superiore a 3 ore di orologio- T1c: tumore limitato all’iride con glaucoma secondario.

• T2: tumore con estensione al corpo ciliare, alla coroide, o ad entrambi, con

3. Stadiazione e “risk assessment”

Il melanoma uveale è il tumore primitivo intraoculare più frequente nell’adulto.La sua incidenza è di 2-8 casi per milione, per anno, nella popolazione cauca-sica. L’età media all’esordio è 55 anni, solo l’1% dei melanomi uveali vengonodiagnosticati in pazienti con età inferiore a 20 anni. Circa l’80% dei melanomi silocalizza nella coroide 12% nel corpo ciliare e 8% nell’iride. Studi condotti negliStati Uniti hanno evidenziato un’incidenza stabile nelle ultime due decadi e lie-vemente più bassa nei soggetti di sesso femminile (4.9 per milione per gli uo-mini, 3,7 per milione nelle donne). La mortalità a 5 anni per il melanoma uvealeè circa il 50%. La sopravvivenza è indipendente dal tipo di terapia locale effet-

tuata, brachiterapia, terapia con protoni, resezione o enucleazione. Il migliora-mento delle tecniche terapeutiche ha consentito di ridurre il numero dei pazientisottoposti ad enucleazione,ma non hamigliorato la sopravvivenza. Il melanomairideo è raro, e comprende solo il 3% dei tumori uveali. Il rischio di metastasi adistanza da melanoma irideo è del 5% a 10 anni e del 10% a 20 anni. Fattori dirischio per una prognosi peggiore sono rappresentati da età di insorgenza, inte-ressamento dell’angolo camerulare, glaucoma secondario, estensione extra-sclerale,conformazione anulare della lesione ed interventi chirurgici precedentialla diagnosi. Il tipo di trattamento non influenza la sopravvivenza.

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del melanoma uveale

INDICE

1. Incidenza e Mortalità Pagina 23

2. Diagnosi Pagina 23

3. Stadiazione e “Risk Assessment” Pagina 23

3.1. Tumore primitivo - T Pagina 23

3.2 Linfonodi – L Pagina 24

3.3 Presenza di metastasi – M Pagina 25

3.4 Linfonodi loco regionali Pagina 25

3.5 Metastasi Pagina 25

3.6 Risk assessment Pagina 25

4. Trattamento degli stadi iniziali Pagina 25

4.1 Trattamento della malattia localmente avanzata Pagina 25

5. Trattamento della malattia metastatica Pagina 26

6. Valutazione delle risposte e follow-up Pagina 26

7. Dotazioni delle unità cliniche, volumi di attività per accreditamento Pagina 27

e definizione di eccellenza

8. Bibliografia Pagina 27

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

Pagina 22

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3.3 Presenza di metastasi – M• M0: assenza di metastasi.• M1: presenza di metastasi a distanza.

- M1a: metastasi più grande con diametro inferiore o uguale a 3 cm.- M1b: metastasi più grande con diametro compreso tra 3.1 e 8.0 cm.- M1c: metastasi più grande con diametro uguale o superiore a 8.1 cm.

3.4 Linfonodi loco regionaliIl melanoma uveale metastatizza esclusivamente per via ematica poichél’uvea è sprovvista di vasi linfatici. I rari casi in cui dà metatasi linfonodali èin seguito ad estensione extrasclerale ed infiltrazione della congiuntiva. I lin-fonodi regionali interessati sono: preauricolari(parotidei), sottomandibolari, la-terocervicali.

3.5 MetastasiIl melanoma uveale metastatizza per via ematica. Il fegato è la prima sede dimetastasi nel 90% dei casi, altre sedi sono i polmoni, il tessuto sottocutaneoe l’apparato scheletrico.

3.6 Risk assessmentLe dimensioni del melanoma uveale e la presenza di estensione extrascleralesono fortemente associate con il rischio di metastasi. Infatti, fattori prognosticiquali il diametro basale massimo, lo spessore e la sede ciliare sono partico-larmente indicativi della aggressività del tumore. Metastasi sistemiche sonopresenti nell’1-4% dei pazienti con melanoma uveale al momento della dia-gnosi. L’ecografia epatica ed il dosaggio degli enzimi sierici epatici sono rac-comandati per escludere una malattia sistemica.Gli stadi I-III comprendono i pazienti con melanoma uveale in cui non vi è evi-

denza di metastasi a distanza in base ad esami clinici, radiologici ed esami dilaboratorio. I pazienti con melanoma in stadio IV presentano metastasi a di-stanza (tabella 1). La sopravvivenza a dieci anni per gli stadi I, IIA-B, IIIA-C, eIV è rispettivamente 88%, 80%, 68%, 45%, 26%, 21% e 0%. Vi sono unaserie di fattori prognostici che , sebbene non siano inclusi negli algoritmi distadiazione, è importante tenere in considerazione:• Alterazioni cromosomiche: Monosomia 3• Profilo di espressione genica: classe1 o 2.• Tomografia ad emissione di positroni/tomografia computerizzata (PET/

TAC): (elevati livelli di uptake di 18F-Fluorodeossiglucosio sono associatia più breve sopravvivenza)

• Angiografia al verde indocianina• Indice mitotico• Diametro medio dei 10 nucleoli più grandi• Presenza di pattern di matrice extravascolare• Densità micro vascolare.

Figura 1. Flow chart per il trattamento delle lesioni iridee sospette

Lesione iridea con segni clinici di malignità

Escludere il coinvolgimento di strutture adiacenti

Fotografia della lesione

Lenta crescita

Osservazione

Rapida crescita

Biopsia escissionaleper lesioni piccole

Biopsia con ago sottileper lesioni grandi

Fusato B o acellule epitelioidi

Fusato A o acellule neviche

Resecabile

ResezioneBrachiterapia oenucleazione

Osservazione

Stage I T1a N0 M0

Stage IIA T1b-d N0 M0

T2a N0 M0

Stage IIB T2b N0 M0

T3a N0 M0

Stage IIIA T2c-d N0 M0

T3b-c N0 M0

T4a N0 M0

Stage IIIB T3d N0 M0

T4b-c N0 M0

Stage IV Ogni T N1 M0

Ogni T Ogni N M1a-c

Tabella 1. Classificazione in categorie in base allo spessore e al diametro basale

Spessore

>15.0 4 4 4

12.1-15.0 3 3 4 4

9.1-12.0 3 3 3 3 3 4

6.1-9.0 2 2 2 2 3 3 4

3.1-6.0 1 1 1 2 2 3 4

≤ 3.0 1 1 1 1 2 2 4

≤3.0 3.1-6.0 6.1-9.0 9.1-12.0 12.1-15.0 15.1-18.0 >18.0

Diametro basale (mm)

4.1 Trattamento della malattia localmente avanzataMelanoma dell’irideIn considerazione del basso grado di malignità delle lesioni iridee, il loro tratta-mento si è evoluto versomodalità più conservative.Nelle forme localizzate è rac-comandata, l’osservazione con documentazione fotografica. Se vi è

documentata crescita della lesione, si pone l’indicazione all’escissione chirugica(iridectomia o iridociclectomia). La biopsia escissionale e la biopsia con ago sot-tile permettono la diagnosi istopatologica del tumore. Le lesioni diffuse, anulario a rapida crescita richiedono multiple biopsie con ago sottile per la diagnosi;se la biopisia evidenzia la presenza di cellule neviche o fusiformi A è indicata la

4. Trattamento degli stadi iniziali

glaucoma secondario.• T3: tumore con estensione al corpo ciliare, alla coroide, o ad entrambi,

con estensione sclerale.- T3a: tumore con estensione al corpo ciliare , alla coroide, o ad en-trambi, con estensione sclerale e glaucoma secondario.

• T4: tumore con estensione extrasclerale.- T4a: tumore con estensione extrasclerale di diametro inferiore o ugualea 5 mm.- T4b: tumore con estensione extrasclerale di diametro superiore a5mm.

Melanomi del corpo ciliare e della coroideI melanomi primari del corpo ciliare e della coroide sono classificati in quat-tro categorie in base allo spessore e ai diametri basali come in figura 1.• T1: tumore con dimensioni categoria 1

- T1a: tumore con dimensioni categoria 1 senza coinvolgimento delcorpo ciliare ed estensione extrasclerale- T1b: tumore con dimensioni categoria 1 con coinvolgimento del corpociliare- T1c: tumore con dimensioni categoria 1 senza coinvolgimento delcorpo ciliare in presenza di estensione extrasclerale di diametro inferioreo uguale a 5 mm.- T1d: tumore con dimensioni categoria 1 con coinvolgimento del corpociliare in presenza di estensione extrasclerale di diametro inferiore ouguale a 5 mm.

• T2: tumore con dimensioni categoria 2- T2a: tumore con dimensioni categoria 2 senza coinvolgimento delcorpo ciliare ed estensione extrasclerale- T2b: tumore con dimensioni categoria 2 con coinvolgimento del corpociliare- T2c: tumore con dimensioni categoria 2 senza coinvolgimento delcorpo ciliare in presenza di estensione extrasclerale di diametro inferioreo uguale a 5 mm.

- T2d: tumore con dimensioni categoria 2 con coinvolgimento del corpociliare in presenza di estensione extrasclerale di diametro inferiore ouguale a 5 mm.

• T3: tumore con dimensioni categoria 3- T3a: tumore con dimensioni categoria 3 senza coinvolgimento delcorpo ciliare ed estensione extrasclerale- T3b: tumore con dimensioni categoria 3 con coinvolgimento del corpociliare- T3c: tumore con dimensioni categoria 3 senza coinvolgimento delcorpo ciliare in presenza di estensione extrasclerale di diametro inferioreo uguale a 5 mm.- T3d: tumore con dimensioni categoria 3 con coinvolgimento del corpociliare in presenza di estensione extrasclerale di diametro inferiore ouguale a 5 mm.

• T4: tumore con dimensioni categoria 4- T4a: tumore con dimensioni categoria 4 senza coinvolgimento delcorpo ciliare ed estensione extrasclerale- T4b: tumore con dimensioni categoria 4 con coinvolgimento del corpociliare- T4c: tumore con dimensioni categoria 4 senza coinvolgimento delcorpo ciliare in presenza di estensione extrasclerale di diametro inferioreo uguale a 5 mm.- T4d: tumore con dimensioni categoria 4 con coinvolgimento del corpociliare in presenza di estensione extrasclerale di diametro inferiore ouguale a 5 mm.- T4e: tumore con dimensioni di qualsiasi categoria con estensione ex-trasclerale di diametro superiore a 5 mm.

3.2 Linfonodi – L• NX: i linfonodi regionali non sono stati valutati.• N0: non metastasi nei linfonodi regionali.• N1: metastasi in linfonodo/i regionale/i.

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

Pagina 24

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del melanoma uveale

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In genere la sopravvivenza media dei pazienti con diagnosi di metastasi damelanoma uveale è inferiore a sei mesi. Numerosi trials clinici sono stati pro-posti per il trattamento del melanoma uveale metastatico: chemioterapia, che-mioterapia intraarteriosa epatica, chemioembolizzazione, immunoterapia,chirurgia e terapie combinate. La chemioterapia con l’associazione di (da-carbazina, carmustina, cispaltino e tamoxifene) usato nel trattamento dei me-lanomi cutanei è inefficace nel trattamento dei melanomi uveali metastatici(la frequenza di risposta nel melanoma uveale è del 10% dei casi contro il30% nei melanomi cutanei). La sopravvivenza media nei pazienti trattati conchemioterapia intrarteriosa epatica è di 12-14 mesi; più lunga è la sopravvi-venza nei pazienti elegibili a resezione chirurgica di metastasi solitaria epa-

tica o in altri distretti. Sfortunamente solo il 10% dei pazienti con metastasida melanoma uveale presentano metastasi solitarie aggredibili chirurgica-mente. Nei casi in cui l’escissione chirurgica di metastasi epatica è seguitada infusione intraarteriosa epatica di fotoemustina e/o dacarbazina+cisplatinoè stata documentata una sopravvivenza media di 22 mesi. La comparsa dimetastasi in distretti extraepatici (polmoni,scheletro, tessuti molli), età infe-riore a 60 anni, sesso femminile, ed un più lungo intervallo fra la diagnosi dimelanoma e la comparsa di metastasi sono fattori associati ad una miglioreprognosi. Accertata la diagnosi di melanoma uveale metastatico, il pazienteviene inviato all’oncologo medico, il quale lo prenderà in carico, prescrivendole indagini necessarie per l’approfondimento diagnostico e le possibili terapie.

5. Trattamento della malattia metastatica

Il paziente viene poi inquadrato in una puntuale attività di follow-up. Dopo laterapia, si effettuano controlli oftalmoscopici, ecografici ogni 4 mesi, per iprimi 5 anni. A partire dal 6°, i controlli diventano annuali.

Con la stessa cadenza temporale, il paziente si sottopone ad ecografia epa-tica e dosaggio degli enzimi sierici epatici per evidenziare la comparsa dellamalattia metastatica.

6. Valutazione delle risposte e follow-up

7. Dotazione delle unità cliniche e volumi di attivitàper accreditamento e definizione di eccellenza

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108.

8. Bibliografia

sola terapia medica per il glaucoma. Se la diagnosi istologica è di melanoma acellule fusate B è indicata l’escissionemediante iridociclectomia seguita da fre-quenti controlli postoperatori per rischio di recidiva. Se la diagnosi è di melanomaa cellule epitelioidi, poiché le cellule epitelioidi possono crescere in modo noncoesivo, in camera anteriore e nelle struttura angolari senza che possano essereclinicamente evidenti, è consigliato procedere ad intervento di enucleazione,eccetto nei casi di pazienti monocoli. La brachiterapia oculare è riservata ai casinon suscettibili di escissione chirurgica o, come terapia adiuvante post-chirur-gica, quando sia documentata la malignità istologicamente.

Melanoma della coroide e del corpo ciliareI tumori dell’uvea si osservano con cadenze periodiche semestrali, se si trattadi nevi. Nel melanoma ciliare e coroideale, la semplice osservazione clinica astretti intervalli di tempo viene indicata per lesioni pianeggianti, con spessore in-feriore ai 2 mm e diametro basale inferiore agli 8 mm, ovvero per lesioni conspessore compreso tra i 2 mm ed i 3.5 mm qualora non vi siano fattori di rischioper la crescita tumorale (fluido sottoretinico, sintomi, pigmento arancio epile-sionale, localizzazione entro 2 diametri papillari dal disco ottico). I piccoli mela-nomi pigmentati (spessore inferiore a 3.5 mm, base inferiore a 10 mm) situatial polo posteriore non a contatto con la papilla possono essere trattati con la ter-moterapia transpupillare (TTT),metodica di recente introduzione che, attraversoun laser a diodi, determina un aumento di temperatura entro il tumore provo-candone la necrosi non coagulativa. Questa tecnica può essere impiegata ancheper melanomi di maggiori dimensioni o localizzati in sede juxtapapillare qualoravenga associata alla radioterapia con placche episclerali (terapia sandwich). Laradioterapia con placche radioattive (brachiterapia) rappresenta il trattamentoradiante più diffusamente utilizzato. Con questa tecnica possono essere trattatii melanomi ovunque localizzati e di spessore non superiore ai 9 mm per lo Iodioed ai 5 mm per il Rutenio (12.5 mm e 8.5 mm se associata a TTT). E’ racco-

mandata una dose totale ottimale all’apice del tumore di 85 Gy per le placchedi Iodio e 100 Gy per le placche di Rutenio. Una dose maggiore determina unaumento della morbidità,mentre una dose inferiore può causare un inadeguatocontrollo locale del tumore. I diametri basali e lo spessore del melanoma sonoindividuati attraverso l’ecografia standardizzata, l’esame del fondo oculare e latransilluminazione.Una precisa stima dei diametri basali del tumore è importanteper la scelta della placca da utilizzare, un margine di sicurezza di 2 mm vieneaggiunto ai diametri basali del tumore per garantire un adeguato trattamento.Lo spessore del tumore,misurato con tecnica ecografia A e B scan, permette dicalcolare la durata del trattamento e la dose di radiazioni. L’applicazione dellaplacca episclerale, eseguita in sala operatoria, in anestesia locale, prevede i se-guenti tempi chirurgici: peritomia congiuntivale al limbus, determinazione deimargini della neoformazionemediante transilluminazione e/o indentazione; ap-plicazione della placca di simulazione (Dummy) sulla sclera nell’area corri-spondente al tumore, posizionamento delle suture in modo da ridurre i tempi diesposizione dell’operatore, sostituzione del dummy con placca episclerale cheviene fissata alla sclera con fili di sutura, sutura della congiuntiva. Viene effet-tuato un controllo ecografico del corretto posizionamento della placca entro 24ore dall’applicazione. Raggiunta la dose prescritta, la placca viene rimossa insala operatoria in anestesia locale. Nella radioterapia con particelle accelerateil fascio radiante provoca il suo effetto fino a 14 mm di profondità, tale meto-dica, pertanto, risulta particolarmente indicata in pazienti monocoli con tumoridi spessore superiore a quello consentito per il trattamento con brachiterapia ocon terapia sandwich. La resezione chirurgica del melanoma della coroide tra-mite resezione transsclerale, infine, puó essere impiegata per tumori di qualsiasispessore con un diametro basale inferiore ai 15 mm il cui margine posterioredisti almeno 4 mm dalla fovea e 3 mm dal disco ottico. L’enucleazione viene ri-servata a tumori di grandi dimensioni, specie se multilobulari, associati a glau-coma secondario o ampia estensione extrasclerale.

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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Il Centro di Oncologia Oculare richiede la presenza di personale dedicato ealtamente specializzato, con una esperienza consolidata nel settore specifico.Deve possedere tutti gli strumenti necessari per la diagnosi e, poiché l’attualetendenza in Oncologia è quella di un approccio multimodale alla malattia, ènecessario disporre di modalità terapeutiche diverse, da associare, a garan-zia di una maggiore radicalità:• Lampada a fessura (archiviazione immagini)• Oftalmoscopio binoculare, lenti• Apparecchiature per panfundoscopia (Panoret, Retcam)• Ecografo (hi-res, UBM, A scan standardizzato)• Fluorangiografia (FAG), Angiografia al verde indocianina (ICG)• Tomografia a coerenza ottica (OCT)• Visante (OCT camera anteriore)• Transilluminatore• Microscopio confocale• Laser per fotocoagulazione retinica (Argon/Krypton)• Laser per Termoterapia transpupillare (TTT)• Laser per terapia fotodinamica (PDT)• Sala operatoria completa di microscopio operatorio e strumentazione

chirurgica• Chemioterapici topici (Mitomicina C, Imiquimod, Interferone alfa)

• Brachiterapia co Ru106 e I125 (Nella seduta del 9 novembre 2005, dopo unlungo e faticoso iter, la Commissione regionale per la Radioprotezione haautorizzato la pratica della brachiterapia oculare).

Le stime effettuate sull’attività clinica nell’ambito di tutta l’oncologia ocu-lare, svolta presso il Centro di Oncologia Oculare, hanno registrato un numeromedio di 120 prestazioni ambulatoriali settimanali, in particolare 70 visite e50 ecografie settimanali. Relativamente al melanoma uveale, considerandoche, in Italia, il numero di nuovi casi, ogni anno, si attesta intorno ai 350,presso il Centro di Oncologia Oculare ne vengono osservati e trattati oltre unterzo. L’analisi dell’attività chirurgica globale svolta dal suddetto Centro diOncologia Oculare ha evidenziato un numero complessivo di circa 300 in-terventi chirurgici/anno. In particolare vengono eseguiti interventi per appli-cazioni di Placche radioattive di Rutenio e di Iodio (brachiterapia),enucleazioni del bulbo oculare, resezioni transclerali, asportazioni di neofor-mazioni epibulbari e ricostruzione della superficie oculare con membranaamniotica, revisioni di cavità anoftalmica, biopsie escissionali od incisionali dineoformazioni palpebrali ed orbitarie, fotocoagulazioni, termoterapie tran-spupillare e criotrattamenti per retinoblastomi. Inoltre vengono effettuati trat-tamenti con termoterapia transpupillare e trattamenti con terapia fotodinamicain Regime Ambulatoriale.

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del melanoma uveale

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• Salmon RJ, Levy C, Plancher C, et al. Treatment of liver metastases from uveal me-

lanoma by combine surgery-chemioterapy. Eur J Surg Oncol 1998; 24: 127-130.

• Rietschel P, Panageas KS, Hanlon C, et al. Variates of survival in metastatic uveal

melanoma. J Clin Oncol 2005; 23: 8076-8080.

• AJCC, Cancer Staging Manual. Seventh Edition.Melanoma of the uvea. 2010; 547-

559.

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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Coordinatore: Riccardo Maurizi Enrici

F. Amelia, A. Camaioni, E. Cortesi, M. De Vincentiis, V. Donato, T. Gamucci, L. Marmiroli,L. Pompei, V. Tombolini, V. Valentini, P. Marchetti, S. Mezzi, D. Musio, G. Paludetti,

M. Radici, R. Santoni, M. Ruggeri, M. Santarelli, G. Spriano, M. Valeriani, A. Vidiri, M. Vigili

Criteri di appropriatezza clinicaed organizzativa nella diagnosi,terapia e follow-up dei tumori

testa-collo

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo

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INDICE

1. Aspetti generali Pagina 32

1.1 Incidenza e mortalità Pagina 32

1.2 Diagnosi Pagina 32

1.3 Imaging delle neoplasie della testa e del collo Pagina 33

1.4 Modalità di diffusione Pagina 33

1.5 Stadiazione Pagina 34

1.6 Prognosi Pagina 34

1.7 Stadiazione Sec. Classificazione TMN Pagina 34

1.8 Terapia Pagina 37

2. Carcinomi del cavo orale Pagina 40

2.1 Introduzione Pagina 40

2.2 Indicazioni terapeutiche generali Pagina 40

2.3 Follow-up Pagina 41

3. Carcinomi del rinofaringe Pagina 42

3.1 Introduzione Pagina 42

3.2 Indicazioni terapeutiche generali Pagina 42

3.3 Follow-up Pagina 42

4. Carcinomi dell’orofaringe Pagina 42

4.1 Introduzione Pagina 42

4.2 Indicazioni terapeutiche generali Pagina 42

4.3 Follow-up Pagina 43

5. Carcinomi dell’ipofaringe Pagina 43

5.1 Introduzione Pagina 43

5.2 Indicazioni terapeutiche generali Pagina 43

5.3 Follow-up Pagina 43

6. Carcinoma della laringe Pagina 44

6.1 Introduzione Pagina 44

6.2 Indicazioni terapeutiche generali Pagina 44

6.3 Follow-up Pagina 45

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

Pagina 30

7 Carcinomi delle cavità nasali e dei seni paranasali Pagina 45

7.1 Introduzione Pagina 45

7.2 Indicazioni terapeutiche generali Pagina 45

7.3 Follow-up Pagina 45

8 Carcinomi delle ghiandole salivari Pagina 46

8.1 Introduzione Pagina 46

8.2 Indicazioni terapeutiche generali Pagina 46

8.3 Follow-up Pagina 46

9 Dotazioni strumentali e volumi di attività per accreditamento Pagina 46

ed eccellenza9.1 Chirurgia Pagina 46

9.2 Radioterapia Pagina 47

9.3 Oncologia Pagina 47

9.4 Diagnostica per immagini Pagina 48

9.5 Anatomia Patologica Pagina 48

10. Bibliografia Pagina 48

11. Appendice Pagina 49

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo

Pagina 31

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1.1 Incidenza e MortalitàLe neoplasie del distretto testa-collo sono tra tutti i tumori maligni al 5° postoper frequenza e in Italia rappresentano circa il 5% di tutti i tumori maligni.Nel biennio 2003-2005, in Italia, hanno provocato tra gli uomini il 4,1% di tuttii decessi per cancro (8a causa di morte tumorale), mentre nella popolazionefemminile hanno rappresentato l’1,5% del totale dei decessi per cancro.Il tasso d’incidenza in Europa è di 18 casi ogni 100.000 abitanti/anno men-tre in Italia è di 16 casi ogni 100.000 abitanti/anno. Ogni anno in Italia si dia-gnosticano circa 12.000 nuovi casi.Tra il 2003 e il 2005 sono stati registrati in media 29,2 casi all’anno ogni100.000 uomini e 6,9 casi ogni 100.000 donne. In Italia nel 2006 i tumori deldistretto testa-collo hanno causato 1.986 decessi per tra gli uomini e 759 trale donne.Negli ultimi anni, nel sesso maschile si è evidenziata una progressiva dimi-nuzione dell'incidenza dei tumori della laringe, della faringe e del cavo orale.Nel sesso femminile, invece, si è registrato un aumento delle diagnosi perquesti tumori in quanto sono aumentate le donne fumatrici rispetto al pas-sato. I tassi di incidenza e di mortalità sono più alti nei maschi al Nord cheal Centro e al Sud.Anche tra la popolazione femminile, si osserva una più altaincidenza e mortalità al Nord rispetto al Centro e al Sud.Il 90% dei tumori maligni della testa e del collo è rappresentato da carcinomispino cellulari, mentre il restante 10% è rappresentato da melanomi, linfomi,sarcomi e tumori con diversa istologia, tra i quali i tumori delle ghiandole sa-livari.La fascia di età più colpita è quella compresa tra i 50 ad i 70 anni tranne peri tumori delle ghiandole salivari, della tiroide ed i sarcomi che compaiono inetà più precoce.L’uso del tabacco è il fattore di rischio più importante per i tumori della testae del collo. L’aumento di rischio è direttamente proporzionale al numero disigarette fumate al giorno ed al tempo di esposizione (numero totale di annidi fumo).Il rischio è aggravato in maniera esponenziale dalla contemporanea esposi-zione all’alcol (soggetti fumatori e bevitori rischio di sviluppare questo tu-more 30 volte maggiore rispetto ai soggetti non fumatori e non bevitori). Ilrischio di tumore è proporzionale alla quantità di alcol assunta ed è indipen-dente dal tipo di bevanda alcolica assunta.L’esposizione prolungata e ripetuta della mucosa delle vie aree e digestive aqueste sostanza porta ad un aumento del rischio di sviluppare tumori, per cuiè facile riscontrare multipli tumori epiteliali che possono svilupparsi simul-taneamente o in sequenza.Altri fattori di rischio oltre all’alcol e al fumo sono rappresentati dal Virus diEpstein-Barr, dal Papilloma virus in paticolare il sottotipo 16, da alcune abi-tudini alimentari (consumo pesce e cibi in salamoia, carenza di frutta e ver-dura con conseguente scarso apporto di vitamina A), da fattori cronici (cattivostato della dentizione o protesi non corrette).

1.2 DiagnosiPoiché i tumori del distretto cervico-facciale hanno una spiccata tendenza al-l’invasione locale per via linfatica e per contiguità (tardiva è la diffusione pervia ematica), particolarmente accurata deve essere la valutazione del-l’estensione locale della neoplasia mediante esame obiettivo ed eventualeendoscopia.

Pertanto nell’esame obiettivo loco-regionale vanno segnalate l’estensionedella neoplasia, le eventuali limitazioni funzionali (alterazione della motilitàlaringea, della deglutizione) ad essa correlate, le sedi e sottosedi interes-sate, il numero, il livello, le dimensioni e le caratteristiche dei linfonodi.La sintomatologia varia considerevolmente in funzione della sede di insor-genza della malattia. E’ comunque usualmente tardiva. Nei casi precoci ladiagnosi è quasi sempre del tutto occasionale, nel corso di esami clinici ri-chiesti per altre finalità.La Fibroscopia faringo-laringea è un esame indispensabile e routinario: deveessere eseguito in tutti i pazienti.Nei tumori allo stadio iniziale si può eseguire una biopsia escissionale a scopodiagnostico curativo, mentre negli stadi intermedi-avanzati, viene eseguitauna biopsia incisionale.La RM con mdc è oggi da ritenersi l’esame di prima scelta nella maggiorparte dei tumori della testa e del collo, perché in genere fornisce maggioriinformazioni sulla reale estensione della malattia, sull’eventuale interessa-mento della base del cranio, sull’interessamento perineurale, sulla infiltra-zione muscolare, sulla diffusione perilinfonodale e sulla estensioneendocranica.Alcune di queste caratteristiche evidenziabili alla RM possono modificare lostadio clinico della malattia ed il prevedibile comportamento terapeutico.L’esame “standard” comprenderà acquisizioni estese dal basicranio sino allostretto toracico superiore, con sezioni parallele al palato duro per il massic-cio facciale e parallele al piano cordale per il collo.La TC con mdc è particolarmente utile per documentare l’interessamentoosseo della neoplasia, per lo studio della laringe (brevi tempi di acquisizione)e per lo studio delle stazioni linfonodali. Inoltre è indicata in caso di con-troindicazione alla RM o in pazienti poco collaboranti nei quali un esame diRM sarebbe difficilmente effettuabile o poco attendibile per artefatti da mo-vimento.Il ruolo principale della PET-FDG è nella ricerca di un tumore primitivo ignotoin paziente che si presenta con metastasi linfonodali del collo; oppure nel-l’identificazione di malattia residua o recidiva dopo trattamento primario; op-pure nell’individuazione di lesioni primitive sincrone o metacrone, ovvero dimetastasi a distanza, e, infine, per la stadiazione del collo (particolarmenteutile, nei casi dubbi, nella discriminazione tra linfonodi interessati omolate-ralmente o anche controlateralmente)Gli ultrasuoni rivestono un ruolo importante nella diagnostica delle tumefa-zioni delle ghiandole salivari, sia di per sé, sia come guida all’agobiopsia.Anche a livello dei linfonodi del collo l’ecografia ha una elevata sensibilità, mauna bassa specificità, che migliora con lo studio eco-doppler e che diventamolto alta quando la ecografia si associa a biopsia con ago sottile.Esami utili per l’identificazione di metastasi a distanza (a parte la PET) sonola radiografia o la TC del torace, l’ecografia addominale (anche se la fre-quenza di metastatizzazione epatica è decisamente bassa) e la scintigrafiaossea; questi ultimi due esami trovano indicazione soprattutto in situazioniad alto rischio di metastatizzazione a distanza (carcinomi indifferenziati, tu-mori rinofaringei in generale, casi con elevato interessamento metastaticolinfonodale all’esordio). Nei pazienti con fattori di rischio particolarmente ac-centuati per la presenza di tumori multipli sincroni è opportuno eseguire unapanendoscopia delle vie aereo-digestive superiori (esofagogastroscopia,broncoscopia) con accertamento bioptico delle eventuali lesioni sospette ri-scontrate.

1. Aspetti generali

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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1.3 Imaging delle Neoplasie della Testa e del ColloRaccomandazioni• RM: apparecchiatura ad elevata intensità di campo preferibilmente 1.5 T• TC: apparecchiatura multistratoL’esame deve comprendere un campo di vista che parte dalla base del cra-nio alla regione sovraclaveare per una corretta valutazione sia del tumoreprimitivo (T) che dei linfonodi (N).RM Tecnica di studio• Sequenze SE T2 coronale 4 mm.• Sequenze SE T1 - T2 - fat suppressed T2 assiale 3-4 mm.• Sequenze pesate in Diffusione (almeno con 3 fattori di b 0-500-800 o

1000; mappe di ADC).Dopo somministrazione endovenosa di gadolinio:• Per lo studio delle neoplasie del Cavo Orale - Orofaringe ed Ipofaringe ,

sequenze T1 fat-suppressed con tempi di acquisizione brevi (35-40 sec.);almeno 2 acquisizioni secondo piani assiali seguite da sequenze fat-supp-presed sagittali o coronali con tempi di acquisizione di 3-4 minuti.

• Per neoplasie del rinofaringe, dei seni paranasali, delle ghiandole salivari,sequenze fat-suppressed T1 dopo somministrazione endovenosa di ga-dolinio assiale - sagittale e coronale senza sequenze brevi.

TC tecnica di studio• Esame con mdc e ricostruzioni multiplanari.• Per neoplasie dell’Ipofaringe e Laringe potrebbe essere utile una ulteriore

acquisizione con manovra di Valsava o in Fonazione.

STADIAZIONE Rinofaringe• RM come imaging di I scelta per la definizione della estensione del T, la

diffusione agli spazi parafaringei, alla base cranica, per valutazione del-l’eventuale diffusione perineurale (cisterna del ganglio di Gasser - senicavernosi - orbita).

• TC con mdc nessun ruolo se non per pazienti con controindicazione allaRM.

STADIAZIONE Seni Paranasali• RM come imaging di I scelta perché permette di ottenere una ottimale

differenziazione tra neoplasia e flogosi, in particolare utilizzando se-quenze T2.

• TC senza mdc per valutazione ossea (studio della lamina cribrosa e delplanum sfeno-etmoidale o della parete dell’orbita).

• TC con mdc per pazienti con controindicazione alla RM con ricostruzionimultiplanari.

STADIAZIONE Ghiandole Salivari• Ecotomografia. Esame di I scelta per lesioni del lobo superficiale della

parotide o per lo studio della ghiandola sottomandibolare eventualmenteintegrata con FNAC.

• RM come imaging di II scelta per lo studio di neoplasie maligne in ge-nerale e di neoplasie benigne o maligne del lobo profondo della parotideo delle ghiandole salivari minori (palato duro, pavimento orale parafa-ringe). Necessario uno studio RM per i carcinomi adenoidocistici per lavalutazione di una eventuale diffusione perineurale.

• TC con mdc nessun ruolo se non per pazienti con controindicazione allaRM.

STADIAZIONE Cavo Orale ed Orofaringe• RM come imaging di I scelta• TC senza mdc per valutazione ossea (corticale della mandibola)

• TC con mdc per pazienti con controindicazione alla RM; ricostruzionimultiplanari.

STADIAZIONE Ipofaringe• RM come imaging di I scelta.• TC con mdc per pazienti con controindicazione alla RM; ricostruzioni

multiplanari.

STADIAZIONE Laringe• TC con mdc esame di I scelta; ricostruzioni multiplanari.• RM esame II scelta per valutazione della infiltrazione della cartilagine.

STADIAZIONE Linfonodale• Valutazione con la tecnica di studio scelta per la stadiazione del T• Ecotomografia con FNAC II scelta per linfonodi sospetti in livelli non con-

grui rispetto al T, per linfonodi controlaterali al T per esigenze chirurgi-che (svuotamento omolaterale o bilaterale) o per planning radioterapico.

STADIAZIONE• PET-TC. Non ha un ruolo della stadiazione locoregionale. Può essere uti-

lizzata nei casi di N positivo e TX per ricerca di primitivo.• TC del torace per neoplasie polmonari sincrone.

FOLLOW-UP dopo Chemio-Radioterapia• RM esame di I scelta. Esame di base tra 6-8 settimane se possibile con

sequenze pesate in Diffusione• PET-TC non prima di 12 settimane. Valutazione loco-regionale ed a di-

stanza.

FOLLOW-UP dopo Chemioterapia di Induzione (3 cicli)• RM esame di I scelta. Circa 3 settimane dalla fine dei 3 cicli.

FOLLOW-UP dopo Chirurgia• RM esame I scelta. Esame di baseline a circa 3-4 mesi.• PET-TC per stadiazione a distanza o per neoplasie sincrone o nei casi di

dubbi (recidiva-fibrosi) con imaging morfologico.

1.4 Modalità di diffusioneMetastasi laterocervicaliIl collo rappresenta il punto centrale della programmazione terapeutica diqueste neoplasie perché le metastasi linfonodali regionali, che sono parti-colarmente frequenti negli stadi avanzati, condizionano la prognosi riducendodi oltre il 50% la probabilità di guarigione della neoplasia.I tumori sovraglottici grazie ad una ricca rete linfatica bilaterale hanno mag-giore probabilità di metastatizzare mentre i tumori glottici soprattutto nellefasi precoci (T1-2) metastatizzano raramente. Diagnosticare la presenza dimetastasi linfonodali è fondamentale in quanto anche piccoli focolai meta-statici (micrometastasi: cN0pN1) presentano rottura della capsula linfono-dale con invasione dei tessuti molli perilinfonodali nel 20% - 35% dei casi.Anche se i tumori della testa e del collo hanno caratteristiche diverse e dif-ferenti modalità di diffusione, la probabilità di interessamento linfonodale,tranne poche eccezioni (neoplasie laringee cordali limitate, neoplasie dei seniparanasali), è sempre elevata.Le stazioni linfonodali tributarie delle varie sedi sono classificate, nei se-guenti livelli:• Livello IA = linfonodi sottomentonieri

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo

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• Livello IB = linfonodi sottomandibolari• Livello II A = linfonodi giugulari superiori anteriori• Livello II B = linfonodi giugulari superiori posteriori• Livello III = linfonodi giugulari medi• Livello IV = linfonodi giugulari inferiori/sovraclaveari• Livello VA = linfonodi cervicali posteriori alti• Livello VB = linfonodi cervicali posteriori bassi• Livello VI = linfonodi prelaringei, pre- e paratracheali• Livello VII = linfonodi mediastinici superiori• Altre stazioni: linfonodi retrofaringei, parafaringei, parotidei, facciali, re-

troauricolari e occipitaliQuesta classificazione, originariamente proposta in ambito chirurgico e suc-cessivamente adottata anche in ambito radioterapico, è stata rielaborata perfacilitarne l’impiego e l’applicazione su immagini radiologiche assiali nel-l’ambito della pianificazione radioterapica.La probabilità di interessamento dei vari livelli è molto diversa a secondadella sede e dello stadio della neoplasia primitiva.

Metastasi a distanzaL'incidenza di metastasi a distanza globalmente è tra 11-14% e i tumori piùmetastatizzanti della laringe sono quelli sovraglottici. Le sedi più frequentisono polmone (45%), ossa (27%), fegato (11%). Come già sottolineato, lapresenza di linfonodi cervicali metastatici è il fattore critico per la comparsadi metastasi a distanza.

1.5 StadiazioneLa classificazione viene comunemente effettuata utilizzando il sistema TNM,in cui il fattore T rappresenta il tumore primitivo, l’N i linfonodi regionali e l’Mle metastasi extra-regionali.Per molte sedi anatomiche la suddivisione per categorie di T viene effettuatasulla base della dimensione massima in cm fino al T3 (T1 = fino a 2 cm; T2>2-4 cm; T3 > 4 cm) e il T4 in genere è caratterizzato dall’estensione direttaad altri organi o dall’interessamento di specifiche strutture anatomiche o disedi diverse dalla sottosede di insorgenza della neoplasia. Inoltre il T4 è sud-diviso in T4a definito resecabile e T4b non resecabile.Ovviamente il criterio di resecabilità espresso nel TNM si riferisce non aduna resecabilità tecnica ma piuttosto ne indica un’opportunità oncologica.La suddivisione per categorie di N segue gli stessi criteri in tutte le sedi (conla sola eccezione del rinofaringe); N1 identifica un solo linfonodo omolateraledi meno di 3 cm; N2 o un solo linfonodo omolaterale di 3-6 cm (N2a), oppurepiù linfonodi omolaterali, nessuno sopra 6 cm (N2b), oppure linfonodi bilate-rali o controlaterali, nessuno sopra 6cm (N2c); infine N3 identifica linfonodisopra 6 cm. La suddivisione per categoria M è identica per tutte le sedi: M0=non metastasi a distanza, M1= metastasi a distanza.Anche il raggruppamento in stadi è uguale per tutte le sedi anatomiche, conl’eccezione della rinofaringe e delle ghiandole salivari: lo stadio I corrispondeal T1 N0, lo stadio II al T2 N0, lo stadio III corrisponde alle classi T1 N1, T2N1 o T3 N0-1; lo stadio IV viene suddiviso in stadio IVA (che corrisponde alleclassi T1-3 N2 e T4a N0-2), stadio IVB (che corrisponde alle classi T4b ogniN M0 oppure N3 ogni T M0) e stadio IVC (che si identifica con la classe M1ogni T ogni N).La stadiazione patologica, dopo intervento chirurgico, aggiunge informazioniriguardo la prognosi ed è importante ai fini della scelta del trattamento post-operatorio.Mentre gli stadi pT1-T3 sono definiti solo da criteri dimensionali, lo stadio pT4è definito in base alla presenza d’infiltrazione di strutture anatomiche spe-

cifiche. Riguardo la diffusione linfonodale, le informazioni patologiche do-vranno definire oltre alle dimensioni, al numero dei linfonodi interessati e allivello, anche l’eventuale infiltrazione capsulare. La stadiazione post-operatoriadeve inoltre fornire informazioni riguardo i margini di resezione (infiltrazionee adeguatezza) e la presenza di infiltrazione vascolare, embolizzazione linfa-tica ed interessamento perineurale.Limitatamente alla laringe vengono ritenuti adeguati anche margini inferioriai 5 mm a causa delle specificità dell’organo.Solo la stadiazione patologica può quindi fornire informazioni riguardo la ra-dicalità oncologica (R0) dell’intervento.

1.6 PrognosiI fattori prognostici più importanti sono lo stadio di malattia e la sede di in-sorgenza della neoplasia primitiva. Per lo stadio I e II la sopravvivenza a 5anni è circa dell’80 - 90%, mentre scende drammaticamente per gli stadisuccessivi (intorno al 30%).All’interno dei singoli stadi, l’interessamento linfonodale rappresenta un fat-tore di primaria importanza: a parità di stadio la prognosi è sensibilmenteaggravata dalla presenza di linfonodi metastatici.Per quanto riguarda la sede, la prognosi è peggiore per le lesioni insorte nel-l’ipofaringe.In assoluto la prognosi migliore è legata alla partenza dalla regione glottica,per la scarsità di vie linfatiche della stessa.

1.7 Stadiazione secondo classificazione TNMClassificazione TNM dei tumori del cavo orale (7a ed., 2010)Tumore primitivo• Tis Carcinoma in situ• T1 Tumore la cui dimensione massima non supera i 2 cm• T2 Tumore la cui dimensione massima è superiore a 2 cm ma non

superiore a 4 cm• T3 Tumore la cui dimensione massima è superiore a 4 cm• T4a Labbro: tumore che invade la corticale ossea, il nervo alveolare

inferiore, il pavimento della bocca o la cute (mento o naso).Cavità orale: tumore che invade la corticale ossea, la muscolaturaprofonda/estrinseca della lingua (genioglosso, ioglosso, glossopalatino, stilo glosso), il seno mascellare o la cute del volto.

• T4b Tumore che invade lo spazio masticatorio, le lamine pterigoi-dee o la base cranica o avvolge l’arteria carotide interna.

Note: la sola erosione superficiale dell’osso dell’alveolo dentario da parte diun tumore gengivale non è sufficiente per classificarlo come T4.Linfonodi regionali• N0 assenza di metastasi linfonodali regionali;• N1 metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione mas-

sima inferiore o uguale a 3 cm;• N2a metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione mas-

sima fra 3 e 6 cm;• N2b metastasi in più linfonodi omolaterali, nessuno dei quali di di-

mensione massima > 6 cm;• N2c metastasi in linfonodi bilaterali o controlaterali, nessuno dei

quali di dimensione massima > 6 cm;• N3 metastasi in qualsiasi linfonodo di dimensione massima > 6 cm.Metastasi a distanza• M0 non metastasi a distanza• M1 metastasi a distanza

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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Raggruppamento in stadi• Stadio I: T1 N0• Stadio II: T2 N0• Stadio III: T3 N0, T1-3 N1• Stadio IVA: T4a N0-1, T1-4a N2• Stadio IVB: T4b ogniN, ogniT N3• Stadio IVC: ogni T, ogni N, M1

Classificazione TNM dei tumori del rinofaringe (7a edizione, 2010)Tumore primitivo• Tis Carcinoma in situ• T1 Tumore limitato al rinofaringe o che si estende all'orofaringe,

alle cavità nasali senza estensione alla parafaringe• T2 Tumore che si estende al parafaringe• T3 Tumore che interessa strutture ossee della base del cranio e/o

i seni paranasali• T4 Tumore con estensione intracranica e/o interessamento dei

nervi cranici, della fossa infratemporale/spazio masticatorio,dell'ipofaringe o dell'orbita

Linfonodi regionali• N0 Assenza di metastasi linfonodali regionali• N1 Metastasi linfonodali monolaterali, di dimensioni non >6 cm e

al di sopra delle logge sovraclaveari e/o linfonodi retro-faringeimonolaterali o bilaterali di dimensioni non >6 cm

• N2 Metastasi linfonodali bilaterali, di dimensioni non >6 cm e al disopra delle logge sovraclaveari

• N3a Metastasi linfonodali di dimensioni >6 cm• N3b Metastasi linfonodali estese alle logge sovraclaveariMetastasi a distanza• M0 Non metastasi a distanza• M1 Metastasi a distanzaRaggruppamento in stadi• Stadio I T1 N0• Stadio II T2 N0-1, T1 N1• Stadio III T1-2 N2, T3 N0-2• Stadio IVA T4 N0-2• Stadio IVB ogni T, N3• Stadio IVC ogni T, ogni N, M1

Classificazione TNM dei tumori dell’orofaringe (7^ed., 2010)Tumore primitivo• Tis Carcinoma in situ• T1 Tumore di dimensione massima non superiore a 2 cm• T2 Tumore di dimensione massima superiore a 2 cm ma non su-

periore a 4 cm• T3 Tumore di dimensione massima superiore a 4 cm o estensione

alla superficie linguale dell’epiglottide• T4a Tumore che invade strutture adiacenti quali i muscoli pterigoi-

dei mediali, la mandibola, il palato duro, i muscoli estrinsecidella lingua, la laringe

• T4b Tumore che invade strutture quali i muscoli pterigoidei laterali,il nasofaringe laterale, le laminee pterigoidee o la base cranicao avvolge l’arteria carotide interna.

Linfonodi regionali• N0 Assenza di metastasi linfonodali regionali• N1 Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione mas-

sima inferiore o uguale a 3 cm

• N2a Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione mas-sima fra 3 e 6 cm

• N2b Metastasi in più linfonodi omolaterali, nessuno dei quali di di-mensione massima > 6 cm

• N2c Metastasi in linfonodi bilaterali o controlaterali, nessuno deiquali di dimensione massima > 6 cm

• N3 Metastasi in qualsiasi linfonodo di dimensione massima > 6 cm.Metastasi a distanza• M0 Non metastasi a distanza• M1 Metastasi a distanzaRaggruppamento in stadi• Stadio I T1 N0• Stadio II T2 N0• Stadio III T3 N0, T1-3 N1• Stadio IVA T4a N0-1, T1-4a N2• Stadio IVB T4b ogniN, ogniT N3• Stadio IVC ogni T, ogni N, M1

Classificazione TNM dei tumori dell’ipofaringe (7^ ed., 2010)Tumore primitivo• Tis Carcinoma in situ• T1 Tumore limitato a una sottosede dell'ipofaringe e/o di dimen-

sioni non > 2 cm• T2 Tumore che coinvolge più di una sottosede dell'ipofaringe op-

pure una sede adiacente, oppure di dimensioni > 2 cm ma non> 4 cm, in ogni caso senza fissazione dell'emilaringe

• T3 Tumore di dimensioni > 4 cm, oppure con fissazione dell'emi-laringe, oppure con estensione all’esofago

• T4a Tumore che invade le cartilagini tiroidea/cricoidea, l’osso ioide,la ghiandola tiroide tessuti molli del collo.

• T4b Tumore che invade la fascia prevertebrale, avvolge l’arteria ca-rotide o coinvolge le strutture mediastiniche.

Linfonodi regionali• N0 Assenza di metastasi linfonodali regionali• N1 Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione mas-

sima inferiore o uguale a 3 cm• N2a Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione mas-

sima fra 3 e 6 cm• N2b Metastasi in più linfonodi omolaterali, nessuno dei quali di di-

mensione massima > 6 cm• N2c Metastasi in linfonodi bilaterali o controlaterali, nessuno dei

quali di dimensione massima > 6 cm• N3 Metastasi in qualsiasi linfonodo di dimensione massima > 6 cm.Metastasi a distanza• M0 Non metastasi a distanza• M1 Metastasi a distanzaRaggruppamento in stadi• Stadio I T1 N0• Stadio II T2 N0• Stadio III T3 N0, T1-3 N1• Stadio IVA T4a N0-1, T1-4a N2• Stadio IVB T4b ogniN, ogniT N3• Stadio IVC ogni T, ogni N, M1

Classificazione TNM dei tumori della laringe (7^ ed., 2010)Regione sovraglottica• Tis Carcinoma in situ

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo

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• T1 Tumore limitato a una sola sottosede della sovraglottide, conmobilità normale delle corde vocali

• T2 Il tumore invade la mucosa di più di una delle sottosedi adia-centi della sovraglottide o della glottide o regioni esterne allasovraglottide (per esempio base lingua, vallecula, parete me-diale seno piriforme) senza fissazione della laringe

• T3 Tumore limitato alla laringe con fissazione della corda vocalee/o invasione di una qualsiasi delle seguenti strutture: area po-stcricoidea, tessuti pre-epiglottici, spazio paraglottico e/o conminima erosione del versante interno della cartilagine tiroidea

• T4 Estensione extralaringea• T4a Il tumore invade la cartilagine tiroidea e/o si estende nei tessuti

oltre la laringe, per esempio, nella trachea, nei tessuti molli delcollo inclusa la muscolatura profonda/estrinseca della lingua(genioglosso, ioglosso, glossopalatino e stiloglosso), nei muscoliinfraioidei, nella tiroide, nell'esofago

• T4b Tumore che invade lo spazio prevertebrale,le strutture del me-diastino o ingloba l'arteria carotide.

Glottide• Tis Carcinoma in situ• T1 Tumore limitato alla/e corda/e vocale/i (può coinvolgere la com-

missura anteriore o quella posteriore) con normale mobilità• T1a Lesione di una sola corda vocale• T1b Lesione di entrambe le corde vocali• T2 Il tumore si estende alla sovraglottide e/o alla sottoglottide, e/o

con compromissione della mobilità cordale• T3 Tumore limitato alla laringe con fissazione delle corde vocali e/o

che invade lo spazio paraglottico e/o con minima erosione delversante interno della cartilagine tiroidea

• T4 Estensione extralaringea• T4a Tumore che invade la cartilagine tiroidea e/o che si estende in

altri tessuti oltre alla laringe, ad esempio trachea, tessuti molli delcollo, muscolatura profonda o estrinseca della lingua (genio-glosso, ioglosso, glossopalatino e stiloglosso), tiroide, esofago

• T4b Tumore che invade la fascia prevertebrale,le strutture del me-diastino o ingloba l'arteria carotide.

Regione sottoglottica• Tis Carcinoma in situ• T1 Tumore limitato alla sottoglottide• T2 Il tumore si estende a una o entrambe le corde vocali, con mo-

bilità normale o compromessa• T3 Tumore limitato alla laringe con fissazione delle corde vocali• T4 Estensione extralaringea• T4a Il tumore invade la cartilagine cricoidea o tiroidea e/o si estende

in altri tessuti oltre la laringe, per esempio trachea, tessuti mollidel collo inclusa la muscolatura profonda/estrinseca della lingua(genioglosso, ioglosso, glossopalatino, stiloglosso), muscoli in-fraioidei, tiroide, esofago

• T4b Tumore che invade la spazio prevertebrale,le strutture del me-diastino o ingloba l'arteria carotide.

Linfonodi regionali• N0 Assenza di metastasi linfonodali regionali• N1 Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione mas-

sima inferiore a 3 cm• N2 Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione mas-

sima fra 3 e 6 cm; in più linfonodi omolaterali, bilaterali o con-trolaterali, nessuno dei quali abbia dimensione massima

superiore a 6 cm• N2a Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione mas-

sima fra 3 e 6 cm• N2b Metastasi in linfonodi omolaterali, nessuno dei quali abbia di-

mensione massima > 6 cm• N2c Metastasi in linfonodi bilaterali o controlaterali, nessuno di di-

mensione massima > 6 cm• N3 Metastasi in qualsiasi linfonodo di dimensione massima > 6 cm.Metastasi a distanza• M0 Non metastasi a distanza• M1 Metastasi a distanzaRaggruppamento in stadi• Stadio I T1 N0• Stadio II T2 N0• Stadio III T1-2 N1, T3 N0-1• Stadio IV a T1-3 N2, T4a N0-2• Stadio IV b T1-4a N3, T4b N0-3• Stadio IV c ogni T, ogni N, M1

Classificazione TNM dei tumori delle cavità nasali e dei seni paranasali(7a edizione, 2010)Seno mascellare• Tis Carcinoma in situ• T1 Tumore limitato alla mucosa del seno mascellare, senza ero-

sione o distruzione dell’osso• T2 Tumore che provoca erosione o distruzione ossea, compresa

l’estensione al palato duro e/o al meato nasale medio, maescludendo l’estensione alla parete posteriore del seno ma-scellare e quella alle lamine pterigoidee

• T3 Tumore che invade qualsiasi delle seguenti strutture: osso dellaparete posteriore del seno mascellare, sottocute, pavimento oparete mediale dell’orbita, fossa pterigoidea, seni etmoidali;

• T4a Tumore che invade qualsiasi delle seguenti strutture: contenutoanteriore dell’orbita, cute della guancia, lamine pterigoidee,fossa infratemporale, lamina cribrosa, seno sfenoidale o frontale

• T4b Tumore che invade qualsiasi delle seguenti strutture: apice del-l’orbita, dura madre, encefalo, fossa cranica media, nervi cra-nici tranne la branca mascellare del trigemino, rinofaringe, clivus.

Cavità nasali e seno etmoidaleSottosedi: setto, pavimento, parete laterale e vestibolo della cavità nasale;lato destro e sinistro del seno etmoidale.• Tis Carcinoma in situ• T1 Tumore limitato a una sola sottosede con o senza erosione

ossea• T2 Tumore che interessa 2 sottosedi di un’unica regione (cavità-

nasale/seno etmoidale) o esteso ad una regione adiacente nel-l’ambito del complesso naso-etmoidale, con o senza invasioneossea

• T3 Tumore che invade la parete mediale o il pavimento dell’orbita,il seno mascellare, il palato o la lamina cribrosa

• T4a Tumore che invade qualsiasi delle seguenti strutture: contenutoanteriore dell’orbita, cute del naso o della guancia, lamine pte-rigoidee, seno sfenoidale, seno frontale, o con minima esten-sione alla fossa cranica anteriore

• T4b Tumore che invade qualsiasi delle seguenti strutture: apice del-l’orbita, dura madre, encefalo, fossa cranica media, nervi cra-nici tranne la branca mascellare del trigemino, rinofaringe, clivus.

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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Linfonodi regionali• N0 Assenza di metastasi linfonodali regionali;• N1 Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione mas-

sima inferiore o uguale a 3 cm• N2a Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione mas-

sima fra 3 e 6 cm• N2b Metastasi in più linfonodi omolaterali, nessuno dei quali di di-

mensione massima > 6 cm• N2c Metastasi in linfonodi bilaterali o controlaterali, nessuno dei

quali di dimensione massima > 6 cm• N3 Metastasi in qualsiasi linfonodo di dimensione massima > 6 cm.Metastasi a distanza• M0 Non metastasi a distanza• M1 Metastasi a distanzaRaggruppamento in stadi• Stadio I T1 N0• Stadio II T2 N0• Stadio III T3 N0, T1-3 N1• Stadio IVA T4a N0-1, T1-4a N2• Stadio IVB T4b ogniN, ogniT N3• Stadio IVC M1

Classificazione TNM dei carcinomi delle ghiandole salivari maggiori (7aedizione, 2010)Tumore primitivo• Tis Carcinoma in situ• T1 Tumore di dimensione maggiore fino a 2 cm, senza estensione

extraparenchimale• T2 Tumore di dimensione maggiore superiore a 2 cm ma non oltre

4 cm, senza estensione extraparenchimale• T3 Tumore con estensione extraparenchimale, e/o di dimensione

maggiore superiore a 4 cm• T4a Tumore che coinvolge la cute, la mandibola, il canale uditivo e/o

il nervo facciale• T4b Tumore che invade la base del cranio e/o le lamine pterigoidee

e/o avvolge l’arteria carotide.Linfonodi regionali• N0 Assenza di metastasi linfonodali regionali• N1 Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione mas-

sima inferiore o uguale a 3 cm• N2a Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione mas-

sima fra 3 e 6 cm• N2b Metastasi in più linfonodi omolaterali, nessuno dei quali di di-

mensione massima > 6 cm• N2c Metastasi in linfonodi bilaterali o controlaterali, nessuno dei

quali di dimensione massima > 6 cm• N3 Metastasi in qualsiasi linfonodo di dimensione massima > 6 cm.Metastasi a distanza• M0 Non metastasi a distanza• M1 Metastasi a distanzaRaggruppamento in stadi• Stadio I T1 N0• Stadio II T2 N0• Stadio III T3 N0, T1-3 N1• Stadio IVA T4a N0-1, T1-4a N2• Stadio IVB T4b ogniN, ogniT N3• Stadio IVC M1

1.8 TerapiaIndicazioni generaliNegli stadi iniziali (I e II) la terapia di scelta è quella chirurgica, ma sulla basedelle caratteristiche complessive della malattia e sulla base delle condizionigenerali e delle esigenze del paziente si può, in alternativa, prendere in con-siderazione l’utilizzo della radioterapia associata o meno alla chemioterapia.Infatti, nei tumori della testa e del collo la radioterapia, trova indicazione siacome trattamento d’elezione, per esempio nei tumori rinofaringei, che cometrattamento radicale alternativo alla chirurgia.Nei pazienti con malattia in stadio avanzato (III e IV) ove possibile può essereindicata una resezione chirurgica della malattia, ma nella maggior parte deicasi ciò non è possibile. Pertanto spesso si ricorre alla Radioterapia associataalla chemioterapia con finalità diverse in base alle caratteristiche della ma-lattia e del paziente: curativa, neoadiuvante alla chirurgia, palliativa.Negli ultimi 25 anni, allo scopo di aumentare l’efficacia della radioterapia intermini di controllo locale ed eventualmente di sopravvivenza, sono stati rea-lizzati numerosi studi per verificare l’efficacia della associazione fra radio-terapia e chemioterapia. I risultati pubblicati fino ad ora hanno permesso didefinire il ruolo dell’integrazione radio-chemioterapica nei carcinomi squa-mosi di cavo orale, oro-ipofaringe e laringe (nel loro insieme definiti comecarcinomi squamosi cervico-cefalici) e nei carcinomi della rinofaringe: in en-trambi questi contesti, e limitatamente ai casi a più alto rischio di insuccessoterapeutico con la sola RT (generalmente negli stadi III e IV), il trattamentochemioradioterapico concomitante è sostenuto da un livello di evidenza ditipo Ia (evidenza ottenuta da più studi clinici controllati e da revisioni siste-matiche di studi controllati) e da una forza delle raccomandazioni di tipo A(fortemente raccomandata).Riguardo il ruolo della chemioterapia di induzione, somministrata cioè primadel trattamento locoregionale non chirurgico, la metanalisi del 2000 ha ri-velato solo un trend a favore di questo trattamento senza però raggiungerela significatività statistica. Due recenti studi di fase III hanno messo a con-fronto due diversi regimi di chemioterapia di induzione, cisplatino+ 5-fluo-rouracile (PF) e docetaxel/cisplatino/5-fluorouracile (TPF) dimostrando unsignificativo vantaggio di sopravvivenza per i pazienti che ricevevano la com-binazione TPF. Il problema di questi studi è che in nessuno dei due viene uti-lizzato un braccio di controllo di sola chemioradioterapia concomitante chead oggi rappresenta la terapia di riferimento. Pertanto, la chemioterapia di in-duzione, somministrata prima del trattamento chemio radioterapico defini-tivo, offre risultati promettenti ma è tutt’ora in corso di validazione e deveessere considerata sperimentale finchè non verranno conclusi gli studi difase III in corso (Dana Farber, Boston; SWOG; Chicago University; GSTTC Ita-lian study; Spanish trial) che risponderanno al quesito circa l’utilità della te-rapia di induzione seguita dalla chemioradioterapia concomitante rispettoalla terapia chemioradiante esclusiva.La radioterapia postoperatoria, dopo intervento chirurgico radicale, ha di-mostrato, in confronti storici, di ridurre significativamente il rischio di reci-diva locale. I fattori di rischio più largamente riconosciuti per recidiva localesono i margini di resezioni positivi o “close” (inferiori a 5 mm), l’estensioneextracapsulare delle localizzazioni linfonodali e l’interessamento linfonodalemultiplo. Fattori di rischio meno significativi ma potenzialmente importantisono lo stadio pT3-pT4 (escluso il pT3N0 della laringe), l’infiltrazione peri-neurale, l’invasione vascolare, il coinvolgimento del IV e V livello linfonodaleper cavo orale ed orofaringe. In generale dovrebbe essere applicata, per ladefinizione dei volumi di trattamento delle stazioni linfonodali, una filosofiaidentica a quella utilizzata per la irradiazione esclusiva a scopo radicale, cheverrà poi analizzata nei singoli capitoli.L’associazione chemioradioterapia concomitante è attualmente considerata

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo

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il trattamento standard negli stadi III e IV, operati, ad alto rischio di ricadutaloco-regionale (margini di resezione positivi e/o estensione linfonodale ex-tracapsulare). Il cisplatino in monoterapia (giorni 1,22,43 della radioterapia)e l’associazione tra cisplatino (20 mg/mq giorni 1-5 e 29-33) e 5-fluoroura-cile (600 mg/mq giorni 1-5 e 29-33) sono due opzioni ugualmente valide,anche se l’uso del solo platino, al momento, è più consolidato.

Indicazioni generali ai ritrattamenti con radioterapiaNei tumori della testa e del collo non è raro il riscontro di mancato controllolocale (persistenza o recidiva) senza metastasi a distanza, oppure l’insor-genza di una seconda neoplasia nello stesso distretto. In questi casi, se nonesistono possibilità di recupero chirurgico, si può porre indicazione alla reir-radiazione in zona già trattata a dosi elevate. Non esistono criteri ben codi-ficati per identificare pazienti candidabili a reirradiazione, ma vi sonoevidenze che indicano nei pazienti con intervallo uguale o superiore ai 24mesi rispetto alla prima irradiazione quelli arruolabili (sopravvivenza mediadi 15 mesi rispetto ai 6.5 dei pazienti ricaduti prima dell’anno). Sono statesperimentate diverse modalità: trattamenti con iperfrazionamento per ridurrela probabilità di danni tardivi, associazioni con chemioterapia, utilizzo di bra-chiterapia o di radioterapia stereotassica, se la sede e le dimensioni dellamalattia lo consentono. Le dosi somministrate sono state di varia entità, male maggiori probabilità di controllo locale di malattia si hanno quando è pos-sibile somministrare, come ritrattamento, dosi intorno ai 60 Gy. La probabi-lità di danni tardivi è comunque non trascurabile e i più frequenti sono: trisma,xerostomia, sclerosi del collo, danno ai lobi temporali, necrosi della mucosa,necrosi delle car tilagini, trombosi e rottura dei grossi vasi del collo. Sono ri-portati anche casi di morte per episodi emorragici in assenza di trombocito-penia.

Indicazioni generali ai ritrattamenti con chemio radioterapiaEsistono diversi studi di fase II che valutano questa opzione terapeutica nelleneoplasie recidivate e non più suscettibili di chirurgia. Tali studi riportanodati interessanti di efficacia ma anche una tossicità non trascurabile. Esistesolo uno studio randomizzato di fase III, peraltro limitato a pazienti radical-mente operati dopo recidiva di malattia, i cui dati preliminari sono stati pre-sentati all’ASCO 06. Nei pazienti re-irradiati (almeno 45Gy) in concomitanzacon chemioterapia (Idrossiurea+5-fluorouracile) si è registrato un aumentodella progression free survival senza tuttavia un significativo impatto sulla so-pravvivenza. Quindi, al momento, non si può dare alcuna specifica indica-zione al ritrattamento con chemioradioterapia che rimane una opzionesperimentale.

Fattori prognostici e predittivi di risposta e tossicitàI fattori prognostici in grado di dare indicazioni su quella che sarà l’aggres-sività biologica della malattia tumorale possono essere identificati in fattoridipendenti dal paziente, dipendenti dal tumore e dipendenti dal trattamentoe verranno ripresi nelle singole sezioni. Del tutto recentemente è stato ri-portato il valore prognostico dello stato mutazionale di TP53 dopo chirurgia.Infatti non solo l’assenza di una mutazione del gene costituisce un fattoreprognostico favorevole, ma anche il tipo di mutazione (funzionale vs non fun-zionale) può condizionare la prognosi. È ancora allo studio il valore dello statomutazionale sui margini di resezione.I fattori predittivi di risposta al trattamento fino a questo momento noti nonsono tanti. L’eziologia virale, sia l’HPV per i tumori dell’orofaringe che il livellosierico di EBV per il rinofaringe, sono oggi riconosciuti come fattori progno-stici e predittivi di risposta al trattamento. La risposta ad un trattamento che-mioterapico di induzione è ormai validata e accettata come elemento

predittivo di risposta anche al successivo trattamento radiante. Questo ele-mento è stato infatti sfruttato nell’ambito degli studi di preservazione d’or-gano per le neoplasie ipofaringolaringee in cui viene programmato untrattamento conservativo il cui successo è legato alla predizione di radiore-sponsività indotta da una buona riposta alla chemioterapia di induzione.Da non trascurare l’osservazione che i pazienti che continuano a fumare ead abusare di alcolici sia durante che dopo il trattamento, presentano un piùelevato profilo di tossicità acuta, una riduzione delle probabilità di cura e unaumento di comorbidità. Tutto questo si traduce in una minore sopravvivenzaglobale, da qui la necessità di intervenire attivamente al fine di modificarequesti stili di vita.

Indicazioni generali al trattamento palliativoIn situazioni non più suscettibili di trattamento avente finalità curative, la te-rapia medica e la radioterapia possono essere utilizzate con l’unico scopo diottenere una palliazione dei sintomi. Trattandosi in ogni caso di trattamentipotenzialmente tossici il loro impiego deve essere ben valutato in relazionealle condizioni generali del paziente.In particolari condizioni può essere indicato prescrivere un trattamento ra-dioterapico con finalità palliativa per un tumore del distretto testa-collo. I cri-teri di selezione per questi pazienti devono essere ancora precisamentedefiniti in quanto oggi le nuove opzioni delle associazioni radioterapiche (che-mio o farmaci biologici) possono rendere candidabile un paziente prima nonproponibile. I parametri di giudizio devono tenere conto del performance sta-tus, dell’età, delle comorbidità e dell’aspettativa di sopravvivenza non supe-riore a 6-9 mesi. In definitiva è necessario determinare se il paziente hapossibilità o meno di affrontare un trattamento aggressivo. A questo si ag-giungono ovviamente le indicazioni classiche della radioterapia palliativa sulocalizzazioni metastatiche a distanza.La radioterapia palliativa sul distretto testa-collo ha caratteristiche peculiariche riguardano i volumi da trattare e le dosi da erogare. Per quanto riguardai volumi, non sussiste la necessità, tipica della maggior parte dei trattamenticurativi, di definire più di un volume: il volume da trattare è in genere limi-tato alla malattia clinicamente rilevabile, trascurando qualsiasi irradiazione“precauzionale”.Per quanto riguarda le dosi, si può ricorrere ad un trattamento ipofrazionato;può però essere opportuno, in casi selezionati, prescrivere una dose ancheelevata e con frazionamento convenzionale (trattamento “a tolleranza”): ciòè giustificato dalla possibilità di ottenere un controllo locale più duraturo,anche in un’ottica palliativa.L’esigenza primaria di una malattia recidivata o metastatica è rappresentatada una adeguata terapia palliativa e di supporto; qualsiasi terapia deve es-sere accuratamente valutata in base ai risultati, alla tossicità e alla qualità divita attesi. Il trattamento medico palliativo va riservato a paziente selezionati,con buon performance status, sintomatici e con aspettativa di vita adeguata.In passato la chemioterapia da sola non si è mai dimostrata capace di au-mentare la sopravvivenza globale nei casi di malattia recidivata o metasta-tica. Un recente studio di fase III, pubblicato sul New England Medical Journaldel settembre 2008, ha dimostrato per la prima volta che il cetuximab ag-giunto ad una chemioterapia contenente cisplatino o carboplatino + 5-fluo-rouracile aumenta significativamente la sopravvivenza mediana rispetto allacombinazione platino/5-fluorouracile da sola (10.1 vs 7.4 mesi; P=0.04). Siè registrato anche un miglioramento della PFS (5.6 vs 3.3 mesi, P=0.001) ela percentuale delle risposte obbiettive (36% vs 20%, P=0.001); è da rilevareche vi è un modesto aumento delle sepsi di grado 3-4 (4% vs 1%) e delle rea-zione cutanee sempre di grado 3-4 (9% vs 1%), senza tuttavia un deterio-ramento della qualità della vita.

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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Valutazione della tossicitàLa tossicità può essere acuta o tardiva e si manifesta con modalità diversea seconda del tipo di trattamento (radioterapia da sola o chemioradioterapiaconcomitante) e della regione irradiata. Si possono però identificare alcuneproblematiche comuni a tutti i trattamenti della testa e del collo. L’adeguataregistrazione delle tossicità acute e tardive è un requisito particolarmenteimportante. Si consiglia pertanto che i vari specialisti registrino singolar-mente la tossicità acuta e tardiva facendo riferimento ad una comune scaladi tossicità; a tale scopo è consigliabile l’utilizzo della scala CTCAE versione3.0, che riunisce in un’unica classificazione sia gli effetti acuti che quelli tar-divi.Tossicità acutaIl profilo di tossicità acuta dipende dal tipo di farmaci utilizzati (chemiotera-pici o farmaci biologici) e dalla eventuale combinazione con il trattamento ra-diante concomitante. Le problematiche del trattamento radiante sonosolitamente legate all’insorgenza di mucosite, dermatite da raggi ed edema,con i sintomi correlati (disfagia, faringodinia, disfonia, talvolta dispnea ecc),più o meno estesi e gravi a seconda del tipo di trattamento, della zona irra-diata e delle condizioni del paziente, e che risultano più marcati in corso ditrattamento chemioradioterapico concomitante. Alla tossicità che riguarda ildistretto irradiato va ad aggiungersi la tossicità sistemica del trattamentochemioterapico: tossicità gastrointestinale (nausea, vomito, diarrea), ema-tologica (anemia, neutropenia, piastrinopenia) e la tossicità organo specifica(renale, neurologica ecc) in base ai farmaci chemioterapici utilizzati. Riguardola tossicità acuta derivata dall’associazione radioterapia e cetuximab, l’unicostudio randomizzato fino ad ora pubblicato riporta in aggiunta alla tossicitàacuta da sola radioterapia, solo il rash cutaneo di tipo vescicolare (tossicitàtipica del cetuximab) peraltro limitato al viso e alla parte superiore del tronco,la cui comparsa è stato identificata come elemento predittivo di risposta altrattamento. Per controllare o prevenire la tossicità cutanea sono state re-centemente pubblicate delle “linee guida” cui si consiglia di fare riferimento.Vengono riportati anche singoli casi di tossicità cutanea inattesa ed impre-vedibile che può compromettere la prosecuzione del trattamento. Un parti-colare tipo di tossicità cutanea definita come epidermiolisi umida, è statasegnalata in alcuni casi trattati con la triplice associazione concomitante diRadioterapia alternante, polichemiochemioterapia e cetuximab. In uno stu-dio pubblicato di fase I-II, la stessa triplice combinazione con radiochemio-terapia concomitante e cetuximab ha fatto registrare un eccesso di mortitossiche, pertanto la combinazione di radioterapia, con chemioterapia e ce-tuximab non è consigliata al di fuori di studi clinici controllati. Poiché la tos-sicità del trattamento può comportare difficoltà della nutrizione e importanteperdita di peso, si consiglia una valutazione preliminare dello stato di nutri-zione per eventuali provvedimenti preventivi, fino al posizionamento di unsondino nasogastrico o di una gastrostomia (endoscopica, percutanea, chi-rurgica) nei trattamenti più impegnativi. Nell’ambito di un team multidisci-plinare è quindi consigliabile la presenza di un nutrizionista. Per quantoriguarda il trattamento delle mucositi vengono utilizzati vari farmaci (antiflo-gistici non steroidei, analgesici, steroidi, sucralfato, fitoterapici, antifungini eantibiotici per le sovrapposizioni infettive, ecc.), ma nessun trattamento pre-ventivo ha dimostrato di essere superiore ad un altro con sufficiente livellodi evidenza. Nell’ambito di un intervento volto alla prevenzione/riduzionedella tossicità, è consigliabile una precoce valutazione odontostomatologicacon eventuale bonifica dentaria.Tossicità tardivaLa tossicità tardiva, più frequentemente indotta dalla radioterapia, è un fat-tore cruciale nei tumori della testa e del collo, perché può essere il fattore li-mitante del successo del trattamento e, comunque, deve essere tenuta ben

presente nella programmazione terapeutica rispettando accuratamente i li-miti di dose dei vari organi a rischio. D’altronde le moderne tecniche radio-terapiche sono destinate a ridurre le tossicità tradizionalmente associate allaradioterapia. La chemioterapia può talvolta indurre tossicità prolungata, avolte irreversibile, come per esempio la tossicità neurologica indotta da ci-splatino (compresa l’ototossicità). Elenchiamo le tossicità tardive più impor-tanti dovute alla radioterapia e le possibili modalità di prevenzione e ditrattamento delle stesse:• xerostomia: è possibile una prevenzione efficace solo cercando, quando

possibile, di rispettare i limiti di dose/volume a livello delle parotidi conopportune tecniche; i dati in letteratura sono ormai abbondanti a questoriguardo, e da un punto di vista pratico si può considerare una dosemedia di 30 Gy come punto di riferimento da non superare per ridurre ilrischio di xerostomia permanente significativa

• danni dentari e necrosi mandibolare: legati sia al danno diretto sia allaxerostomia, possono essere in parte prevenuti attraverso una visitaodontoiatrica con toilette dentaria, se necessaria, prima di iniziare il trat-tamento radioterapico (procedura fortemente consigliata in tutti i casi diradioterapia sul distretto testa-collo), e attraverso l’invito ad una accu-rata igiene orale e all’uso di collutorio ad alto tenore di fluoro. La ne-crosi mandibolare può essere causata da una incongrua estrazionedentaria (temporalmente troppo vicina alla conclusone della radiotera-pia) e può essere trattata con toilette chirurgica, terapia antibiotica e os-sigeno iperbarico

• danni alla masticazione e trisma: dovuti alla sclerosi dei tessuti molli edei muscoli della masticazione oltre che al danno alla articolazione tem-poro-mandibolare

• danni oculari: l’unica prevenzione possibile è il rispetto dei limiti di dose.Per quanto riguarda il cristallino, considerando che la dose di tolleranzaminima (TD5/5) è variabile da 2 a 10 Gy in funzione del frazionamento,in certi trattamenti è impossibile evitare che si formi una cataratta ra-dioindotta correggibile chirurgicamente; per dosi significativamente piùelevate (superiori ai 45-50 Gy) è possibile osservare una neurite otticao una retinopatia

• danni uditivi: piuttosto frequenti in relazione alla dose somministrata ealla irradiazione delle strutture uditive, che deve essere il più possibileevitata. Il danno uditivo può essere ulteriormente aggravato dall’asso-ciazione con farmaci ototossici. Le otiti medie croniche e i danni tuba-rici possono richiedere una miringotomia con applicazione di undrenaggio

• danni neurologici: assolutamente da prevenire mediante una ottimaleconformazione della dose che consenta il rispetto dei limiti di dose, per-ché non sono disponibili terapie efficaci. Questo vale soprattutto per lelesioni dei seni paranasali e del rinofaringe in cui si può avere il coin-volgimento delle strutture cerebrali

• disfagia e aspirazione: danno grave che può rendere necessaria l’ali-mentazione attraverso una gastrostomia e che si può in parte prevenireattraverso il contornamento e la adeguata valutazione delle dose a li-vello dei muscoli costrittori del faringe, della laringe sopraglottica e dellelaringe glottica, quando queste strutture siano comprese nel volume ditrattamento. In casi estremi è necessario comunque ricorrere ad una la-ringectomia totale per ripristinare la corretta canalizzazione. Per ridurreil rischio di simili danni è anche necessaria un’attenta selezione dei pa-zienti da sottoporre ai trattamenti più impegnativi (tipo radio-chemiote-rapia)

• edema laringeo persistente: sintomo da seguire accuratamente neltempo, inizialmente con atteggiamento conservativo (uso di antiflogi-

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo

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2.1 IntroduzioneIl carcinoma del cavo orale rappresenta una patologia frequente in alcunipaesi dell’Asia quali l’India in particolar modo nel sesso maschile. In Italia,dove la sede più colpita è rappresentata dal labbro inferiore (30%), dalla lin-gua (30%) e dal pavimento orale (16%), il carcinoma del cavo orale ha unaincidenza dello 0.4/100000 per anno. Il cavo orale viene abitualmente sud-diviso nelle seguenti sedi anatomiche: labbro inferiore e superiore, gengiveinferiore e superiore, pavimento orale anteriore e laterale, 2/3 anteriori dellalingua, guance compreso il trigono retro molare e palato duro. La mucosa conepitelio squamoso stratificato che riveste il cavo orale, rappresenta la sededi origine del 90% dei tumori maligni di questa regione. Una percentuale va-riabile dal 15 al 40% di questi tumori insorge su lesioni precancerose (leu-coplachie, eritroplasia, lichen, fibrosi sottomucosa) e la trasformazionemaligna può avvenire anche dopo molti anni. Altri fattori patogenetici im-portanti per lo sviluppo di queste neoplasie sono l’alcolismo, il tabagismo ela presenza di microtraumi dovuti a malformazioni dentarie o a protesi alte-rate. Il carcinoma del cavo orale esordisce frequentemente come papule su-perficiali, che tendono rapidamente ad ulcerarsi e ad infiltrare le strutturesottostanti. L'invasione della rete linfatica è piuttosto precoce con seconda-ria diffusione ai linfonodi del collo, che avviene con frequenza variabile inbase alla sottosede, alle dimensioni e alle caratteristiche istologiche dellalesione primitiva (spessore, grado di malignità, invasione perineurale). La dif-fusione per via linfatica avviene generalmente a partire dai linfonodi più pros-simi al tumore primitivo (livelli IA, IB e IIA) per continuare nelle sedi più distanti(II e IV livello). Non sono rare però le localizzazioni isolate in questi ultimi lin-fonodi (“skip metastases”).

2.2 Indicazioni terapeutiche generaliNel trattamento dei tumori del cavo orale la chirurgia e la radioterapia, in al-ternativa o in associazione, rappresentano le due opzioni terapeutiche loco-regionali principali. La scelta terapeutica dipende da numerosi fattori siacorrelati al paziente (comorbidità, performance status), sia alle caratteristi-

che del tumore (T e N). Un’ulteriore opzione terapeutica per i tumori di que-sto distretto anatomico è rappresentata dalla brachiterapia interstiziale (BRT),in particolare nel trattamento dei tumori in stadio iniziale. Questa metodicaè però relativamente poco diffusa in Italia, cosicché la possibilità di scelta frachirurgia e BRT di fatto esiste solo in pochi Centri specializzati.

Trattamento del tumore primitivoNeoplasie di limitata estensione (T1)Le due opzioni terapeutiche sono la chirurgia e la BRT. La probabilità di gua-rigione sono sovrapponibili per le due modalità di trattamento e la scelta di-pende dalla sede e dal volume della lesione, dall'estensione dellacomponente infiltrante e dai rapporti della lesione con l'osso. La chirurgia ègeneralmente preferita quando è possibile una resezione senza conseguenzefunzionali invalidanti. In presenza di margini di resezione “close” o interes-sati dalla neoplasia si associa una RT post-operatoria sul letto chirurgico.Neoplasie ad estensione intermedia (T2)I T2 si distinguono in forme “favorevoli” o “sfavorevoli”. Nel primo caso (dia-metro massimo < 3 cm, componente infiltrante < 1 cm) il trattamento discelta è rappresentato dalla chirurgia, ma in caso di lesione localizzata aduna adeguata distanza da strutture ossee la BRT rappresenta una valida al-ternativa con buoni risultati oncologici e funzionali. Nel secondo caso (dia-metro massimo > 3 cm, componente infiltrante > 1 cm) la chirurgia è iltrattamento di scelta in associazione alla RT eventualmente associata a CHTconcomitante sulla base della presenza o meno di fattori di rischio maggiori,quali la presenza di margini di resezione positivi o “close” e/o diffusione ex-tracapsulare. Il trattamento associato chemioradioterapico dopo chirurgia èindicato nei pazienti ad alto rischio in condizioni generali buone e discrete.Due studi randomizzati di fase III (RTOG 95-01 LEORTC 22931) hanno con-sentito di definire i pazienti ad alto rischio di recidiva (diffusione di malattiaextracapsulare, interessamento linfonodale multiplo, invasione vascolare,linfatica e/o perineurale) e di dimostrare un significativo vantaggio nella so-pravvivenza senza recidive (DFS), controllo locale e nella metanalisi di Ber-nier confermare il vantaggio in sopravvivenza mediante trattamento integrato

2. Carcinomi del cavo orale

stici e/o cortisonici, astensione da fumo e alcol), in seguito eventual-mente da verificare con laringoscopia diretta (diagnosi differenziale conpersistenza di malattia); nei casi estremi può richiedere la tracheotomia

• necrosi delle cartilagini laringa: a rischio nei pazienti con neoplasia cheinteressa le cartilagini stesse e in relazione alla dose somministrata.Eventuale terapia con antibiotici e ossigenoterapia iperbarica e, nei casipiù estremi, laringectomia totale

• danni tiroidei: in particolare ipotiroidismo, che può presentarsi fino al20-30% dei pazienti irradiati sul collo. Sono importanti sia la preven-zione, riducendo la dose alla tiroide, che il dosaggio degli ormoni tiroi-dei nel corso del follow up, in vista di eventuale terapia sostitutiva.

Indicazioni generali alla terapia di supportoÈ auspicabile che la terapia di supporto venga pianificata ed eventualmenteattivata già prima dell’inizio del trattamento per essere proseguita durante edopo la conclusione della cura.Prima di iniziare il trattamento, è consigliabile che il paziente esegua una

accurata valutazione dello status nutrizionale e dentale. Durante e subitodopo la fine del trattamento, soprattutto quando sussiste l’indicazione adeseguire un trattamento chemioradioterapico concomitante, è importanteche il paziente venga nutrito artificialmente, preferibilmente per via enterale,tramite sondino naso gastrico o gastrostomia. Il posizionamento di un cate-tere venoso centrale è utile soprattutto nelle situazioni in cui è indicato ese-guire un trattamento chemioterapico che prevede la somministrazione di5-fluorouracile in infusione continua e consente una più agevole sommini-strazione della terapia di supporto. Per quanto riguarda la terapia antimicro-bica, sebbene non esistano linee guida specifiche e gli studi eseguiti nonabbiano dimostrato la reale efficacia di un trattamento profilattico, è consi-gliabile una terapia antibiotica preventiva quando si eseguono trattamenticon combinazioni chemioterapiche che hanno un’elevato rischio di incidenzadi neutropenia febbrile come il TPF. L’uso profilattico di fattori di crescita gra-nulocitari e di eritropoietina è sconsigliato in concomitanza alla chemiotera-pia e radioterapia mentre, per l’uso terapeutico, si consiglia di attenersi allelinee guida ASCO.

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radio-chemioterapico adiuvante con CDDP 100 mg/mq, q 21x3 vs la sola RT.Neoplasie avanzate (T3-T4)La chirurgia è il trattamento di scelta nei pazienti operabili, in quanto è l’unicaopzione che garantisce le maggiori probabilità di cura. Nella maggior parte deicasi dovrà essere seguito da RT adiuvante eventualmente associato a che-mioterapia con le stesse modalità degli Stadi precoci ad alto rischio. In casodi pazienti non operabili un trattamento RT in associazione a CHT concomi-tante rappresenta l’opzione di scelta. Numerosi studi sono stati realizzati alfine di verificare e confermare l’efficacia (in termini di controllo locale e so-pravvivenza) del trattamento chemio-radioterapico concomitante e di defi-nirne il ruolo nei carcinomi squamosi del cavo orale, orofaringe, ipofaringe,laringe e rinofaringe. La chemioradioterapia è un trattamento integrato in cuientrambe le metodiche svolgono un importante effetto citocida indipendentea cui si somma l’effetto addizionale legato al sinergismo terapeutico;questifattori rendono critica la scelta del numero di somministrazioni e del loro do-saggio anche in considerazione della ricerca del miglior compromesso tratossicità ed efficacia. Non esistono dati comparativi tra i diversi regimi d’in-tegrazione di chemio e radioterapia. Tuttavia la combinazione con cisplatinopuò essere considerata uno standard adeguato e rappresenta l'opzione diprima scelta. Anche ‘associazione concetuximab è da considerarsi un tratta-mento adeguato soprattutto in relazione al buon profilo di tossicità in man-canza comunque di un confronto diretto verso il regime di associazionestandard con il cisplatino. Il trattamento chemioradioterapico è una terapia aelevata complessità per l’insorgenza di effetti tossici acuti tipici di entrambele metodiche, come le stomatiti e la depressione midollare che devono essereaffrontate con competenza specifica al fine di minimizzare la riduzione dei do-saggi e la dilazione delle somministrazioni che sono in grado di ridurre si-gnificativamente l’efficacia del trattamento. Non vi è un consenso generalesulla migliore dose e schema di frazionamento della radioterapia in associa-zione alla chemioterapia. La maggior parte degli studi ha valutato fraziona-menti convenzionali per una dose totale di 70 Gy in associazione al cisplatinoin monochemioterapia somministrato ogni 21 gg al dosaggio di 100mg/m2.L’efficacia del trattamento combinato diminuisce all’aumentare dell’età e,dopo i 70 anni, non è provato alcun beneficio con l’aggiunta di un farmacochemioterapico al trattamento radioterapico standard. Il trattamento radio-chemioterapico integrato concomitante è da considerarsi l’approccio nonchirurgico standard nella terapia dei tumori avanzati testa-collo, in stadio T3e T4 di malattia in pazienti con adeguato PS. Per quanto riguarda la che-mioterapia neoadiuvante, gli studi pubblicati negli anni ’80 e ’90 sulla che-mioterapia d’induzione seguiti da radioterapia e/o chirurgia nei tumoritesta-collo non hanno dimostrato un aumento della sopravvivenza con l’ag-giunta della chemioterapia. Negli ultimi anni, grazie ai progressi ottenuti nelcontrollo locale di malattia con la radioterapia, la chirurgia e il trattamentoconcomitante chemio-radioterapico, e grazie all’introduzione di nuovi far-maci, è stato rivalutato il ruolo della chemioterapia d’induzione. La chemio-terapia a 3 farmaci (TPF, docetaxel 75 mg/mq g1, cisplatino 75 mg/mq g1,5-fluorouracile 750 mg/mq/die gg 1-5, q21) ha dimostrato di essere supe-riore allo schema a 2 farmaci (PF, cisplatino 100 mg/mq g1, 5-fluorouracile1000 mg/mq/die gg1-5, q21) nella malattia localmente avanzata. Studi difase III che hanno comparato la terapia d’induzione con cisplatino e 5-fluo-rouracile con o senza taxani seguita dallo stesso trattamento locoregionale,hanno dimostrato maggiori tassi di risposta e di preservazione d’organo, unaumento della DFS e in alcuni casi della sopravvivenza globale (OS) per i pa-zienti trattati con il regime a 3 farmaci. L’aggiunta dei taxani non peggiora latossicità dell’intero trattamento. Nonostante ciò, un chiaro vantaggio in OSdall’aggiunta della terapia d’induzione alla CHT-RT non è stato ancora di-mostrato. Uno studio a 3 bracci che comparava cisplatino-radioterapia con-

comitante alla terapia d’induzione con TPF o PF seguiti da cisplatino-radio-terapia ha riportato una diminuzione del tempo a progressione ma nessunadifferenza in OS. Pertanto il trattamento d’induzione è ancora da conside-rarsi “sperimentale”. Nella pratica clinica, la chemioterapia d’induzione èfortemente raccomandata nei pazienti con malattia localmente avanzata conesteso interessamento linfonodale (N3) e nei pazienti ad alto rischio di me-tastasi a distanza.Attualmente non sono disponibili studi di fase III che confrontino cisplatino ecetuximab in associazione alla radioterapia, pertanto al termine del tratta-mento di induzione non esiste un regime radiochemioterapico standard. Ce-tuximab è considerato una valida alternativa terapeutica nei pazienti “unfit”per un trattamento radio-chemioterapico con cisplatino ad alte dosi.

Trattamento del colloAssenza di adenopatie (cNO)In assenza di adenopatie clinicamente apprezzabili (cN0), il trattamento delcollo può essere evitato in caso di T1-T2 del labbro, della gengiva superioree del palato duro; T1 della gengiva inferiore, del pavimento orale e della lin-gua, a patto che sia possibile effettuare uno stretto follow-up in assenza diulteriori fattori di rischio. Nel caso in cui si prevede un rischio di metastasilinfonodali è, invece, necessario effettuare il trattamento precauzionale delcollo con le seguenti modalità: I, II e III livello in tutti i casi e nel caso dei tu-mori della porzione posteriore del corpo linguale anche IV livello, attraversol’utilizzo della chirurgia o della RT esterna. In particolare, la chirurgia vienepreferita se è stata impiegata la BRT o nel caso in cui il T sia stato trattatocon intervento chirurgico attraverso l’accesso transcervicale; viene, invece,preferita la RT esterna nel caso di trattamento del tumore primitivo con RTo a seguito di un intervento chirurgico transorale.Presenza di adenopatieIn presenza di adenopatie è necessario un trattamento con scopo curativo delcollo, comprendendo generalmente i livelli I-V in realzione alla sede del tu-more primitivo. Se il tumore è operabile in monoblocco con i linfonodi può es-sere utilizzata la chirurgia con eventuale RT adiuvante o RT + CHTconcomitante.RadioterapiaLe neoplasie del cavo orale sono tra le neoplasie del distretto cervico-faccialequelle che si giovano maggiormente dell’impiego della BRT interstiziale. LaBRT a basso (LDR) o ad alto (HDR) rate di dose (con sorgenti di Iridio 192) ègeneralmente applicata alle neoplasie di dimensioni limitate e con distanzadall'osso mandibolare superiore a 0.5 cm.In caso di neoplasie estese, profondamente infiltranti e/o contigue all'osso,il trattamento radiante viene realizzato o con fasci esterni di fotoni ad altaenergia o combinando la RT esterna e la BRT come sovradosaggio finale.L'irradiazione con fasci esterni comporta però il coinvolgimento di struttureossee e dentarie. Le dosi totali erogate devono essere di 70 Gy in caso di RTeclusiva e di 60-66 Gy in caso di RT adiuvante con una frazione al giorno, percinque giorni alla settimana per sette-otto settimane complessive e conti-nuative. Alla radioterapia si associano effetti collaterali acuti quali mucosite,disfagia e tardivi quali xerostomia.

3.3 Follow-upUn programma di controlli ravvicinati con intervalli variabili da 1 a 3 mesidurante i primi 5 anni si rende indispensabile. Le visite di controllo dovreb-bero comprendere l’esame clinico (visita ORL con fibroscopia) eventualmenteassociato ad un’ecografia del collo. Lo studio del torace è inoltre consigliatoogni 6-12 mesi, preferibilmente con esame TC.

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3.1 IntroduzioneI tumori del rinofaringe presentano un picco di incidenza tra la quarta e laquinta decade di vita, la comparsa è correlata all’infezione da virus di Ep-stein-Barr, mentre non vi è correlazione con altri fattori di rischio propri deglialtri tumori del distretto testa-collo (etilismo, tabagismo). Si tratta di una ma-lattia caratterizzata da una marcata tendenza alla progressione locale (pa-rafaringe, fosse nasali, base cranica), regionale (linfonodale cervicale) e adistanza (metastasi ematogene prevalentemente allo scheletro, al fegato eal polmone). L'esordio clinico è generalmente caratterizzato da tipici sintomilocali (ipoacusia, ostruzione nasale, deficit dei nervi cranici), oppure dallacomparsa di adenopatie al collo in accrescimento relativamente rapido. Dalpunto di vista istopatologico vengono classificati in tre tipi istologici: carci-noma non cheratinizzante (differenziato o indifferenziato), carcinoma spino-cellulare cheratinizzante, carcinoma spinocellulare basaloide. I fattoriprognostici principali sono lo stadio di N e di T e l’istologia (prognosi miglioreper gli stadi iniziali e per le forme non cheratinizzanti).

3.2 Indicazioni terapeutiche generaliIl trattamento di scelta per i carcinomi del rinofaringe per gli stadi iniziali (T1,N0) è rappresentato dalla radioterapia esclusiva. La chirurgia trova limitateapplicazioni ed è utilizzata solo in presenza di residui linfonodali dopo ra-dioterapia o come opzione terapeutica di salvataggio in caso di ricadute loco-regionali. La dose da erogare a livello della lesione è di 66-70 Gy con frazionigiornaliere da 2 Gy. Tutti i pazienti con tumori del rinofaringe richiedono inol-tre il trattamento radioterapico esteso ad entrambi i lati del collo (44-64 Gycon frazioni di 1,6-2,0 Gy), in quanto la maggior parte di essi si presenta coninteressamento linfonodale bilaterale. Nei tumori allo stadio intermedio e

avanzato, la chemioterapia viene utilizzata o in associazione alla radiotera-pia o come trattamento di induzione o adiuvante. I farmaci utilizzati sono i de-rivati del platino nei regimi concomitanti (Cisplatino 100 mg/m2 nei giorni1-22-43 o Cisplatino 40 mg/m2 settimanale), e le associazioni comprendentiun derivato del platino ed il 5-fluorouracile come trattamento adiuvante.In presenza di malattia metastatica il trattamento di scelta è rappresentatodalla sola chemioterapia, utilizzando regimi a base di cisplatino. In caso di ri-sposta clinica completa è possibile effettuare radioterapia esclusiva o in as-sociazione a chemioterapia. Una caratteristica del carcinoma rinofaringeo èquella di poter recidivare localmente dopo il trattamento radiante, in assenzadi altre localizzazioni di malattia; in questi casi, è possibile ricorrere ad un se-condo trattamento radioterapico di salvataggio sulla regione del rinofaringee/o della base cranica, con risposta completa in una percentuale limitata masignificativa di casi. La re-irradiazione può essere effettuata con brachitera-pia HDR oppure con radioterapia a fasci esterni, con eventuale associazionedi chemioterapia concomitante.

3.3 Follow-upAl termine del trattamento è necessario controllare il paziente a breve ter-mine con visite settimanali per valutare l’eventuale comparsa di tossicitàacuta. Successivamente andrà valutata la risposta al trattamento entro 2-3mesi dal termine dello stesso mediante le tecniche di imaging utilizzate perla diagnosi e mediante una visita ORL con fibre ottiche. In caso di sospettodi lesioni residue, può essere utile l’esecuzione di un esame PET. In presenzadi remissione clinica completa il follow-up comprenderà valutazioni ORL ri-petute ogni 3 mesi nei primi 2 anni, ogni 4-6 mesi nei 3 anni successivi e ogni12 mesi dopo il quinto anno.

3. Carcinomi del rinofaringe

4.1 IntroduzioneI carcinomi dell’orofaringe sono tumori relativamente frequenti per quanto ri-guarda il distretto testa-collo e la loro incidenza, in Italia, è di 10 casi per100.000 abitanti/anno. I principali fattori di rischio sono rappresentati dal-l’abuso di alcol e di tabacco mentre recentemente è stata dimostrata unacorrelazione eziopatogenetica tra l’infezione da Papilloma Virus Umano (HPV)e la comparsa di carcinomi spinocellulari dell’orofaringe.L’orofaringe è compreso tra il rinofaringe superiormente, l’ipofaringe infe-riormente e la cavità orale anteriormente ed è suddiviso in 4 sottosedi: pa-lato molle, regione tonsillare, base della lingua e parete posteriore.I linfonodi che drenano l’orofaringe sono i linfonodi giugulodigastrici del livelloII, i linfonodi retrofaringei e quelli dello spazio parafaringeo. L’interessamentolinfonodale avviene generalmente dall’alto in basso (dal livello II al IV) e ra-ramente viene saltato un livello. Le lesioni che si trovano sulla linea mediana(base lingua, palato molle, parete posteriore) tendono a dare metastasi lin-fonodali bilaterali.La maggior parte dei tumori (90%) è rappresentata dai carcinomi spinocel-lulari, mentre il restante 10% è costituito da tumori a istologia inusuale quale

i carcinomi delle ghiandole salivari minori, i linfomi e i melanomi.La diffusione per via linfatica è molto frequente nei carcinomi squamosi e lapresenza di un’adenopatia rappresenta a volte l'unico sintomo di malattia.

4.2 Indicazioni terapeutiche generaliLe terapie di scelta sono rappresentate dalla chirurgia e dalla radioterapia,da sole o combinate, e dalla chemioterapia che generalmente è utilizzata incombinazione con le precedenti.

ChirurgiaIn caso di lesioni di piccole dimensioni (T1) sono spesso possibili interventichirurgici conservativi; nel caso di neoplasie più estese gli interventi sono in-vece più demolitivi, con conseguenze funzionali di entità più o meno impor-tanti e di tipo diverso a seconda della sede del tumore e della sua estensione.Poiché l’interessamento linfonodale è spesso presente, si rendono frequen-temente necessari svuotamenti delle logge linfatiche cervicali, da eseguirsimono o bilateralmente in base alla sede del tumore primitivo. I risultati, in ter-

4. Carcinomi dell’orofaringe

5.1 IntroduzioneI tumori dell’ipofaringe sono molto frequenti in Asia e in particolar modo inIndia,mentre in Italia hanno un’incidenza di 0,4 casi ogni 100.000 abitanti/annocon un rapporto maschi/femmine di 9:1. L’insorgenza dei tumore dell’ipofa-ringe è correlata all’abuso di tabacco e alcool e inoltre si è osservata una cor-relazione con alcuni deficit dietetici, in particolare di ferro, come si manifestanella sindrome di Plummer-Vinson (disfagia, anemia microcitica ipocromica eatrofia della mucosa gastrica). L’ipofaringe è diviso in seni piriformi, parete fa-ringea posteriore e regione retro-cricoidea e si estende dall’osso ioide fino allimite inferiore della cartilagine cricoidea, abbracciando la laringe che si trovaanteriormente e medialmente. Nel 75% dei casi il tumore origina dai seni pi-riformi e nel 15-20% dalla parete faringea posteriore,mentre i tumori della re-gione retrocricoidea rappresentano circa il 5% dei casi e sono prevalenti nelsesso femminile. Il drenaggio linfatico dell’ipofaringe è prevalentemente di-retto verso i linfonodi del II e III livello, ma può anche estendersi fino ai linfo-nodi del IV livello e ai linfonodi mediastinici anteriori. Quando è invaso lo spazioretro-faringeo, possono essere interessati i linfonodi retrofaringei. La varianteistologica più frequente (95% dei casi) è il carcinoma squamocellulare.

5.2 Indicazioni terapeutiche generaliIn caso di neoplasie agli stadi iniziali (T1-2 N0-1), peraltro non frequenti i ri-sultati della radioterapia e della chirurgia sono sovrapponibili. Per i migliori ri-sultati funzionali, la radioterapia è da preferirsi ogniqualvolta una chirurgiaconservativa non è fattibile. In caso contrario, la chirurgia è da considerarsi unavalida alternativa alla terapia radiante. Nei tumori localmente avanzati (T3-4)

operabili la chirurgia demolitiva associata a radioterapia adiuvante rappre-senta il trattamento di scelta, anche se dati recenti indicano l’associazioneradio-chemioterapica come una valida alternativa alla chirurgia in grado dicontrollare con probabilità significative la malattia a livello locale e di conser-vare la funzione dell’organo. In caso di inoperabilità la radioterapia, special-mente se associata a chemioterapia, rappresenta il trattamento di scelta.La RT + CHT concomitante rappresenta il trattamento d’elezione in caso dimalattia al III-IV stadio. Anche in questo caso sono valide le considerazioniespresse nel paragrafo dei tumori del cavo orale. L’utilizzo di cetuximab puòessere considerata un’alternativa alla CHT.

5.3 Follow-upA causa del rischio significativo di fallimenti loco-regionali il follow-up in que-sti pazienti è particolarmente critico, soprattutto nei primi due anni dalla tera-pia, anche al fine di eventuali trattamenti di salvataggio a scopo curativo. Ladifficoltà principale, in particolar modo nei casi di stadio avanzato trattato conapproccio multimodale, è la distinzione fra gli esiti dovuti al trattamento el’eventuale presenza di malattia.Nella maggior parte dei casi è consigliata, dopo almeno 2-3 mesi dal terminedella RT, l’esecuzione di una fibroscopia con eventuali biopsie e di metodichedi imaging quali RM, TC, ecografia ed eventualmente di PET nei casi dubbi.Questo tipo di valutazione deve essere ripetuta nei primi 2-3 anni di follow-upper ogni 3-6 mesi. Al termine di questo periodo ed in assenza di dubbi inter-pretativi, è sufficiente la sola valutazione fibroscopica. Una radiografia del to-race ogni anno è inoltre raccomandato.

5. Carcinomi dell’ipofaringe

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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mini di guarigione, sono abbastanza soddisfacenti, mentre la qualità di vitarisulta spesso ridotta a causa di deficit funzionali eventualmente causati daapprocci chirurgici demolitivi nonostante il miglioramento delle procedurericostruttive.

RadioterapiaLa radioterapia a scopo curativo è indicata per neoplasie di dimensioni pic-cole (T1) o intermedie (T2). In questi casi il controllo locale è equivalente aquello ottenuto con la sola chirurgia (80-90%), ma la RT comporta una ridu-zione di deficit funzionali con maggiori benefici in termini di qualità di vita daparte del paziente. In alcune localizzazioni, come nei carcinomi della pareteposteriore, la RT rappresenta la terapia di elezione.Negli stadi più avanzati (III-IV) la RT ha un ruolo fondamentale in termini dipreservazione dell’organo, in particolare in tutti quei casi in cui la chirurgiacomporterebbe danni funzionali di elevata entità. In questi casi andrebbe as-sociati al trattamento radioterapico la CHT o i farmaci biologici. La radiote-rapia trova inoltre frequente indicazione in ambito post-operatorio.Poiché i carcinomi dell’orofaringe hanno tipicamente la tendenza a dare me-tastasi per via linfonodale, in quei casi in cui la RT è la modalità primaria ditrattamento, il volume da irradiare deve comprendere la maggior parte deilivelli del collo bilateralmente. I livelli da includere nelle singole presenta-zioni cliniche variano in relazione alla sottosede e allo stadio di T e di N.In considerazione della ampiezza dei volumi da trattare e dalla stretta vici-nanza delle parotidi, i carcinomi dell’orofaringe rappresentano una delle indi-

cazioni principali all’impiego di tecniche conformazionali evolute e della IMRT.Le dosi prescritte sono quelle consuete per trattamenti con intento curativoe frazionamento convenzionale (70 Gy con frazioni giornaliere da 2Gy), men-tre in caso di RT postoperatoria le dosi da erogare saranno minori (60-66Gy).

ChemioterapiaIn caso di carcinomi squamocellulari dell’orofaringe in stadio avanzato (III-IV stadio) il trattamento di scelta è rappresentato dall’associazione di RT +CHT con le stesse modalità e con le problematiche già esposte nel paragrafodel cavo orale. In alcuni casi la CHT può essere sostituita con cetuximab.L’utilizzo di CHT adiuvante deve essere utilizzata solamente in associazionecon la RT postoperatoria.

4.3 Follow-upLe possibilità reali di recupero delle mancate guarigioni o delle recidive lo-cali e regionali rendono indispensabile un programma di controlli clinici si-stematici, da effettuarsi ad intervalli di 1-3 mesi durante i primi 3 anni, di 4-6mesi fino al quinto anno e annuali successivamente. La prima visita di con-trollo dovrebbe comprendere sempre l’esame clinico (visita ORL con fibro-scopia) e, nei casi trattati con RT, la RM del massiccio facciale e collo. Nei casidi trattamento radioterapico esclusivo, la valutazione radiologica (RM) deveessere effettuata non prima di 2-3 mesi dalla fine della terapia.

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo

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6.1 IntroduzioneIl carcinoma della laringe è la più frequente neoplasia del tratto aero-digestivosuperiore e costituisce il 2% di tutti i tumori maligni. I fattori di rischio ricono-sciuti sono: il fumo di sigaretta, l’uso intenso della voce per motivi professio-nali e l’alcol nelle forme a localizzazione sopraglottica.La laringe viene suddivisa in tre regioni anatomiche: regione sopraglottica, re-gione glottica e regione sottoglottica. Le strutture sopraglottiche hanno unaricca rete linfatica e drenano nei livelli II, III e IV,mentre la rete linfatica è menosviluppata nella regione sottoglottica e il drenaggio è prevalentemente versoi linfonodi dei livelli III e IV e verso i linfonodi paratracheali. Le corde vocalivere (glottide) sono prive di capillari linfatici, quindi la diffusione metastaticalinfonodale avviene solo in caso di estensione sopra- o sottoglottica.Circa il 95% dei tumori maligni laringei sono carcinomi squamo cellulari. Lecorde vocali sono la sede più frequente del carcinoma in situ,mentre la regionesopraglottica è una localizzazione rara. Il carcinoma verrucoso rappresentatauna variante distinta (1-2% dei carcinomi delle corde vocali): si tratta di uncarcinoma squamocellulare di basso grado con aspetto papillomatoso, che-ratinizzante in superficie e con margini ben delimitati. I fattori prognostici piùrilevanti sono lo stadio del tumore primitivo e dei linfonodi loco-regionali. Altrifattori prognostici sono il sesso, l’età, il performance status del paziente e lasottosede della malattia. La sopravvivenza dei pazienti con neoplasia cordalevaria dal 75 al 95% in funzione della sede, delle dimensioni, dal grado di in-filtrazione, dell’interessamento delle commissure o degli spazi paraglottici. Lelesioni che originano dalla porzione sottoglottica rimangono a lungo paucisin-tomatiche e la diagnosi viene posta tardivamente. Per tale motivo, presentanouna prognosi nettamente più sfavorevole. Nei tumori avanzati extracordali nonè infrequente la comparsa di metastasi a distanza, soprattutto nei primi dueanni dalla diagnosi, ciò anche in caso di risposta completa loco-regionale post-trattamento di prima istanza. La diagnosi differenziale tra lesioni secondariee secondi tumori potrebbe essere difficile. Uno stretto follow up è necessario,principalmente nel primo biennio per consentire trattamenti di seconda linea.L’importanza del ruolo funzionale della regione laringo-ipofaringea, ha con-dotto ad un atteggiamento terapeutico di carattere conservativo nei confrontidi tale regione anatomica: negli stadi iniziali i trattamenti di scelta sono la ra-dioterapia e la chirurgia conservativa (laser, laringectomie parziali). Nelle formelocalmente avanzate è preferibile un trattamento radio-chemioterapico, comealternativa alla chirurgia demolitiva standard, che potrebbe essere applicatain caso di mancato controllo locale.

6.2 Indicazioni terapeutiche generaliGli stadi iniziali (T1-T2) possono essere trattati indifferentemente con la chi-rurgia o con la radioterapia, ottenendo un buon controllo della malattia econservando la funzione dell’organo. Le forme avanzate vengono trattatecon la chirurgia, che prevede nella maggior parte dei casi una laringectomiatotale; il trattamento radioterapico può rappresentare un’alternativa altret-tanto efficace. Anche le indicazioni alla radioterapia adiuvante dopo chirur-gia demolitiva sono piuttosto frequenti.

Note di tecnica radioterapicaLe dosi indicate sono 50-54 Gy per l’irradiazione dei volumi linfonodali a ri-schio, 60-66 Gy sulle aree a maggior rischio dopo trattamento chirurgico,66-70 Gy sul GTV laringeo e linfonodale.

Tumori limitati della laringe sovraglottica (T1-2, N0)Gli stadi iniziali possono essere trattati con chirurgia conservativa o con ra-dioterapia esclusiva. Le casistiche e i risultati ottenuti sembrano rilevare in-dividuare un controllo locale nei casi T1 variabile dal 90 al 100% e nei casiT2 (40-70%). In caso di fallimento del trattamento radiante è possibile pro-cedere con il trattamento chirurgico, a volte anche conservativo.

Tumori avanzati della laringe sovraglottica (T3-4 N0 e T1-4, N1-3)I tumori in stadio avanzato (localmente e/o regionalmente) della laringe so-vraglottica vengono generalmente trattati con chirurgia (laringectomia totalenei T3-T4) e radioterapia adiuvante. È giustificato ricorrere alla radioterapiacome trattamento iniziale (possibilmente associata a chemioterapia) e ado-perare la chirurgia di salvataggio in caso di fallimento. Nei pazienti inopera-bili per comorbilità, non resecabilità o rifiuto della laringectomia, laradioterapia rimane l’unica opzione terapeutica applicabile. Nei casi T3-4,N0 si può stimare un tasso di controllo loco-regionale iniziale dopo radiote-rapia esclusiva, del 30-50%, valore che decresce ulteriormente in caso di po-sitività linfonodale.

Tumori limitati della laringe glottica (Tis-T2 N0)La radioterapia esclusiva ottiene gli stessi risultati terapeutici della chirurgia(cordectomia, emilaringectomia), con un migliore esito funzionale sulla qua-lità della voce. In casi selezionati, come per esempio nei volumi tumorali re-lativamente limitati o a crescita superficiale, la chirurgia laser garantisce unaprobabilità di controllo locale e una qualità di voce paragonabili alla radiote-rapia. In letteratura, i tassi di controllo locale a 5 anni sono di circa 70-95%(escludendo la chirurgia di salvataggio, che consente di raggiungere un tassodi controllo locale definitivo del 95-100%). Il rischio di recidiva a livello lin-fonodale o a distanza è <5%.

Tumori della laringe glottica localmente avanzati (T3-T4 N0)I dati della letteratura che riguardano gli stadi T3-T4 N0, sono limitati. Laprobabilità di controllo loco-regionale iniziale con la radioterapia esclusiva(escludendo il salvataggio chirurgico) può essere in ogni modo stimata in-torno al 50%; la chirurgia di salvataggio consente di ottenere valori di con-trollo loco-regionale definitivo intorno al 70-80%. Si può stimareapprossimativamente una probabilità di controllo locale iniziale, dopo solaradioterapia, intorno al 20-30%, con valori di controllo definitivo dopo chi-rurgia di salvataggio del 50%.

Tumori della laringe glottica con estensione linfonodale (T1-4 N1-3)Il carcinoma glottico ha una scarsa diffusione per via linfatica; i linfonodi ri-sultano positivi solo nei casi più avanzati. Nella manifestazione clinica inizialedella malattia, le adenopatie sono presenti nello 0-2% dei casi T1-T2 e circanel 30-40% dei casi T3-T4. I pazienti con invasione linfonodale all’esordiohanno generalmente una lesione primaria avanzata che viene preferibilmentetrattata con la chirurgia seguita da radioterapia adiuvante. In caso non siapossibile procedere all’intervento chirurgico, è indicato un trattamento ra-diante possibilmente associato a chemioterapia. In casi selezionati (T3 N1-2) è possibile preservare l'organo, intraprendendo un trattamentochemio-radioterapico (sequenziale o concomitante) ed eventuale chirurgia suresiduo linfonodale, riservando la laringectomia ai fallimenti locali. Esistonoinfatti dati ormai consolidati che indicano la possibilità di effettuare un trat-

6. Carcinoma della laringe

7.1 IntroduzioneSi tratta di un gruppo di neoplasie piuttosto rare ed eterogenee per sedeanatomica e istologia comprendenti tutti i tumori epiteliali a partenza dallefosse nasali, dal seno mascellare, dal seno etmoidale e dai seni sfenoidalee frontale.La forma istologica più frequente è il carcinoma squamoso, ma sono fre-quenti anche altri tipi istologici come l’adenocarcinoma, il carcinoma ade-noido-cistico, il carcinoma NAS, il carcinoma indifferenziato e il carcinomamucoepidermoidale.La storia naturale di queste malattie mostra generalmente una crescita lo-cale lenta, con progressivo coinvolgimento delle strutture anatomiche circo-stanti (es. orbita, cavo orale, rinofaringe, base cranica), e un interessamentoabbastanza raro e tardivo dei linfonodi regionali (sottomandibolari, latero-cervicali). Rara è la comparsa di metastasi a distanza, tranne che nei tipiistologici meno differenziati, in cui elevato è il rischio di estensione regionalee a distanza.

7.2 Indicazioni terapeutiche generaliIl trattamento di scelta è rappresentato dalla chirurgia.La radioterapia (66-74 Gy con frazioni giornaliere da 2 Gy) può rappresen-tare una valida alternativa all’intervento chirurgico in caso di istologie ra-

diosensibili (es. carcinoma indifferenziato) o in presenza di tumori non re-secabili. La radioterapia inoltre rappresenta un efficace trattamento post-operatorio (60-66 Gy in frazioni da 2 Gy) in presenza di margini chirurgicipositivi o “close”, di tumore localmente avanzato (T3 e T4), di estensione ex-tracapsulare delle metastasi linfonodali, di localizzazioni linfonodali multi-ple.Nelle neoplasie etmoidali vi è sempre indicazione alla radioterapia adiu-vante a causa dell’elevato rischio di recidiva locale di questi tumori. In casiselezionati è possibile ottenere beneficio dalla somministrazione della che-mioterapia in concomitanza al trattamento radioterapico.

7.3 Follow-upAl termine del trattamento è necessario controllare il paziente a breve ter-mine con visite settimanali per valutare l’eventuale comparsa di tossicitàacuta. Successivamente andrà valutata la risposta al trattamento entro 2-3 mesi dal termine dello stesso mediante le tecniche di imaging utilizzateper la diagnosi e mediante una visita ORL con fibre ottiche.In caso di sospetto di lesioni residue, può essere utile l’esecuzione di unesame PET. In presenza di remissione clinica completa il follow-up com-prenderà valutazioni ORL ripetute ogni 3 mesi nei primi 2 anni, ogni 4-6mesi nei 3 anni successivi e ogni 12 mesi dopo il quinto anno.

7. Carcinomi delle cavità nasali e dei seni paranasali

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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tamento radio-chemioterapico con possibilità equivalenti di controllo localedi malattia e di sopravvivenza rispetto alla chirurgia, ma con conservazionedell’organo e della sua funzione. In questi casi, la chirurgia è riservata ai pa-zienti con residuo di malattia al termine del trattamento chemio-radiotera-pico o nel caso di recidiva di malattia.Gli studi fino ad ora eseguiti hanno dimostrato un’efficacia sovrapponibile intermini di preservazione d’organo tra chemioterapia d’induzione seguita daradioterapia e chemioradioterapia concomitante in confronto alla radiotera-pia da sola, mentre la sopravvivenza globale a 5 anni è simile per tutte le mo-dalità di trattamento.Al fine di preservare l’organo, il trattamento di scelta è la chemioterapia d’in-duzione secondo lo schema TPF (docetaxel 75 mg/mq g1, cisplatino 75mg/mq g1, 5-fluorouracile 750 mg/mq/die gg 1-5, q21) per 3 cicli, seguitoda rivalutazione strumentale: in caso di risposta parziale viene eseguito iltrattamento chemio-radioterapico, altrimenti è raccomandata la chirurgia.

Tumori della laringe sottoglottica.I tumori della laringe sottoglottica sono rari. Negli stadi iniziali (T1-T2), il trat-tamento è di pertinenza radioterapica. Nei tumori avanzati, si ricorrere pre-feribilmente all'associazione chirurgia-radioterapia adiuvante. Negli stadiintermedi (T3N0) può essere impiegata l'associazione chemioterapia-radio-terapia nella possibilità di preservare l'organo. In caso di inoperabilità o di ri-fiuto della chirurgia da parte del paziente, la radioterapia (possibilmenteassociata alla chemioterapia) è l'unico trattamento potenzialmente curativoanche negli stadi avanzati. L’estensione della malattia a livello delle stazionilinfonodali del mediastino superiore, condiziona le strategie chirurgiche e ra-dioterapiche. Nelle forme iniziali si può attende una probabilità di controllolocale del 60 - 70% con una sopravvivenza a 5 anni tra il 50 e il 60%.

6.3 Follow-upI pazienti trattati per un carcinoma della laringe devono eseguire uno strettofollow-up, soprattutto nei primi due anni successivi alla terapia, per il rischiosignificativo di fallimenti loco-regionali e per la valutare la possibilità di trat-tamenti di salvataggio con intento curativo. L’introduzione dei trattamenti in-tegrati radiochemioterapici ha aggiunto maggiore complessità alle scelteterapeutiche. L’obiettivo principale del follow-up nei pazienti già sottopostialle terapie di prima istanza, è quello riuscire ad effettuare diagnosi precocedi persistenza o di recidiva locale di malattia, per dare spazio ad un tratta-mento di salvataggio.In alcuni casi di fallimento, come nei tumori limitati trattati con radioterapiaesclusiva, è possibile procedere alla chirurgia conservativa (laser, laringec-tomia parziale).In altri tipi di fallimento, come nei tumori in stadi avanzati e trattati con radio-chemioterapia, il passo successivo è inevitabilmente la chirurgia demolitiva.La diagnosi differenziale fra gli esiti terapeutici e la persistenza/recidiva dimalattia, è la difficoltà principale, soprattutto nei casi di tumore avanzatotrattato con terapia integrata.Nella maggior parte dei casi è consigliabile la valutazione non troppo precocedel risultato terapeutico, almeno 2-3 mesi dalla fine del trattamento radiante,attraverso fibroscopia con eventuali biopsie.Anche l’imaging radiologico (RM,TC, ecografia) è utile nella valutazione della risposta alle terapie, con even-tuale impiego della PET nei casi dubbi. Questo tipo di valutazione, che puòrisultare anche molto complessa dal punto di vista interpretativo, deve essereripetuta sistematicamente fino a stabilizzazione del quadro clinico radiologicoe in assenza di sospetti di ripresa o persistenza di malattia locale; succes-sivamente è sufficiente la sola valutazione fibroscopica. Infine, una radio-grafia del torace ogni anno è consigliabile.

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo

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8.1 IntroduzioneI tumori delle ghiandole salivari rappresentano circa il 5% di tutte le neoplasiedel distretto cervico-facciale. La ghiandola più colpita è la parotide (80%) di cuipiù del 60% sono tumori benigni. Considerando solo i tumori maligni, il 40-60% dei casi è localizzato alla parotide, il 10% dei casi alla ghiandola sotto-mandibolare, ed il 30-50% dei casi alle ghiandole salivari minori. Tra i tumorimaligni i più comuni sono il carcinoma mucoepidermoide, il carcinoma ade-noido-cistico, il carcinoma a cellule aciniche, l’adenocarcinoma e il carcinomaspinocellulare; meno frequenti sono il carcinoma ex-adenoma pleiomorfo, ilcarcinoma duttale, l’adenocarcinoma polimorfo a basso grado di malignità e ilcarcinoma mio-epiteliale. I tumori maligni, inoltre vengono suddivisi in carci-nomi a basso, intermedio o alto grado di malignità a seconda del grading isto-logico. Nei tumori salivari i fattori prognostici che devono essere presi inconsiderazione sono: lo stadio, l’istotipo, il Grading, l’età (prognosi peggiore se> 60 anni), la sede di insorgenza (la prognosi è migliore per i tumori insortinella ghiandola parotide) e la presenza di paralisi del nervo facciale per le neo-plasie parotidee. I tumori maligni delle ghiandole salivari generalmente si pre-sentano come un nodulo asintomatico. I sintomi si manifestano solo in seguitoall’infiltrazione delle strutture adiacenti (n. facciale, osso, cute). Solo nel 25%dei casi, alla diagnosi, sono presenti metastasi linfonodali latero-cervicali,men-tre le metastasi a distanza, più frequentemente a carico del polmone, sonomolto rare all’esordio della malattia.

8.2 Indicazioni terapeutiche generaliNei tumori delle ghiandole salivari, il trattamento di scelta è la chirurgia. Nei tu-mori in stadio iniziale (T1-T2) e a basso grado è indicata la parotidectomia su-perficiale o totale; mentre nei tumori ad alto grado o profondi è indicata laparotidectomia totale con preservazione del nervo facciale quando non è pre-sente infiltrazione macroscopica dello stesso. In caso di infiltrazione osseapuò essere necessaria una resezione più o meno importante dell’osso tempo-rale o una mandibolectomia. Nel caso in cui all’esordio siano presenti metastasilinfonodali è previsto lo svuotamento del collo omolaterale. Metastasi linfono-dali laterocervicali occulte possono essere presenti nel 48% dei pazienti concollo clinicamente negativo. Lo svuotamento linfonodale selettivo o il tratta-mento radioterapico sull’emicollo omolaterale dovrebbero essere eseguiti incaso di tumori ad alto grado o nel caso di tumori a basso grado che abbianoun diametro superiore o uguale a 4 cm. Il ruolo della radioterapia è quindi com-plementare alla chirurgia essendo quest’ultima il trattamento di scelta per il T.Le principali indicazioni alla radioterapia post-operatoria sono le seguenti:• exeresi di recidiva locale dopo pregressa chirurgia• tumori del lobo profondo della parotide

• lesioni avanzate (T3-T4)• residuo microscopico (R1) o macroscopico (R2) dopo chirurgia• alto grading (G3-G4)• infiltrazione ossea o del tessuto connettivo• diffusione perineurale• metastasi linfonodali• rottura capsulare.Pertanto, le lesioni iniziali (T1-T2) e a basso grado sono trattate in modo ade-guato con la sola chirurgia, con l’eccezione del carcinoma adenoideo-cisticoper il quale viene raccomandata la RT postoperatoria per la sua estrema pro-pensione alla diffusione perineurale. Nel caso dell’adenoma pleomorfo può es-sere indicata la radioterapia postoperatoria nei casi di recidiva dopo chirurgiaadeguata.

Radioterapia postoperatoriaLe dosi totali da prescrivere (con frazionamento convenzionale) sono le se-guenti: sulla sede primaria, 50-60 Gy in caso di tumori a rischio basso o medio(R0), 66 Gy in caso di alto rischio (residuo microscopico, R1). Sulle regioni lin-fonodali (emicollo omolaterale: livelli II e III in tutti i casi, livelli IV e V in casi se-lezionati), 50 Gy a titolo precauzionale nei pazienti N0 ma con tumore ad altorischio o con tumore a basso rischio ma di dimensioni superiori a 4 cm.Nei pa-zienti pN+ a seconda dei fattori di rischio l’emicollo può essere irradiato conuna dose variabile tra 50 e 60-66 Gy.

Radioterapia esclusivaLa RT esclusiva può essere proposta a pazienti giudicati oltre i limiti della chi-rurgia o a pazienti con metastasi a distanza dall’esordio. Il volume bersaglio,rappresentato dalla ghiandola parotide ed eventualmente dall’emicollo omo-laterale, dovrebbe essere irradiato evitando l’irradiazione della parotide controlaterale. La dose totale può variare da 30 Gy nei trattamenti con intento pal-liativo a 66-70 Gy nei pazienti che per performance status ed estensione di Tmeritano un trattamento con dosi di radicalità.

8.3 Follow-upPiù del 20% delle ricadute compaiono dopo 5 anni, più raramente dopo 10-20anni, per tale motivo i pazienti con carcinoma della parotide devono essere se-guiti per molti anni. Nei primi 3 anni il controllo clinico va effettuato ogni 2-3mesi, quindi ogni 6-12 mesi, associato, specialmente subito dopo la fine dellaterapia, a valutazione radiologica con ecografia e/o TC o RM (in casi selezio-nati). E’ indicato richiedere una radiografia del torace di controllo una volta al-l’anno.

8. Carcinomi delle ghiandole salivari

9.1 ChirurgiaCriteri di minimaI criteri minimi per una UO di Chirurgia prevedono la valutazione di almeno25 casi l’anno di neoplasie maligne della laringe (ICD9-CM 160 e 161 età

>14 anni in diagnosi principale alla dimissione) e/o di neoplasie malignedelle altre sedi (ICD9-CM 140-149 età >14 anni in diagnosi principale alladimissione) comprese le neoplasie maligne della cute della testa e del collocon metastasi linfonodali laterocervicali e l’esecuzione di almeno 25 proce-

9. Dotazioni strumentali

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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dure chirurgiche all’anno a livello della testa e del collo tra le seguenti:• procedure ricostruttive mediante lembi liberi rivascolarizzati• lembi regionali (pectoralis major, temporalis, latissimus dorsi)• mandibulectomie segmentali o marginali• resezioni per via trans mandibolare (mandibulotomica)• maxillectomie totali o subtotali• emiglossectomie o glossectomie totali• laringectomie totali, sopraglottiche o ricostruttive (sopracricoidee o tra-

cheoioidopessie)• cordectomie endoscopiche• parotidectomie esofacciali/subtotali/totali per neoplasie maligne• svuotamenti laterocervicali.Nella struttura deve operare un gruppo multidisciplinare per le neoplasiedella testa e del collo strutturato e formalizzato che gestisca tutte le fasi del-l’iter diagnostico terapeutico, ed in particolare stadiazione, impostazione te-rapeutica e follow-up. Devono inoltre essere presenti apparecchiature perla TC, per la RMN e per l’ecografia ed un reparto per la terapia intensiva post-operatoria. Devono infine essere previsti una presenza o un accesso facili-tato alla radioterapia,alla oncologia medica ed a strutture in grado di erogareterapie palliative ed assistenza al malato terminale sia a domicilio che tra-mite ricovero. E’ inoltre richiesta almeno 1 pubblicazione scientifica di on-cologia testa e collo su riviste indicizzate negli ultimi 3 anni.

Criteri per l’eccellenzaI criteri per raggiungere l’eccellenza prevedono la valutazione di almeno 60casi l’anno di neoplasie maligne della laringe (ICD9-CM 160 e 161 età >14anni in diagnosi principale alla dimissione) e/o di neoplasie maligne dellealtre sedi (ICD9-CM 140-149 età >14 anni in diagnosi principale alla dimis-sione) comprese le neoplasie maligne della cute della testa e del collo conmetastasi linfonodali laterocervicali. In questo ambito di attività clinico laUOC deve aver eseguito. Almeno 60 procedure chirurgiche maggiori all’annoa livello della testa e del collo, incluse:• procedure ricostruttive mediante lembi liberi rivascolarizzati (almeno 10)• lembi regionali (pectoralis major, temporalis, latissimus dorsi)• mandibulectomie segmentali o marginali• resezioni per via trans mandibolare (mandibulotomica)• maxillectomie totali o subtotali• emiglossectomie o glossectomie totali• laringectomie totali, sopraglottiche o ricostruttive (sopracricoidee o tra-

cheoioidopessie)• parotidectomie esofacciali/subtotali/totali per neoplasie maligne• svuotamenti laterocervicali.Inoltre deve essere possibile di ottenere degli esami istologici estemporaneinel corso della chirurgia. Deve essere disponibile la tecnologia laser per lachirurgia endoscopica della laringe. Devono inoltre esistere nella strutturauna UO di Radioterapia, una UO di Oncologia medica, una UO di MedicinaNucleare dotata di PET-TC ed un database di archiviazione dei dati oncolo-gici sensibili condiviso all’interno del gruppo multidisciplinare. E’ infine ri-chiesta una media di almeno 1 pubblicazione scientifica all’anno di oncologiatesta e collo su riviste impattate negli ultimi 3 anni.

9.2 RadioterapiaCriteri di minimaLa struttura deve disporre di ambienti clinici (radioterapico e/o oncologico)presso i quali effettuare trattamenti combinati, quando necessari, e per l’as-sistenza (terapie di supporto, terapia nutrizionale) durante e dopo il tratta-

mento. I requisiti minimi prevedono l’esecuzione di almeno 10 trattamenti al-l’anno, curativi o palliativi, l’utilizzazione di un acceleratore lineare, l’esi-stenza di una simulazione TC, l’uso di sistemi di immobilizzazione el’esecuzione di almeno una immagine portale settimanale. Per quanto ri-guarda i tempi di esecuzione della terapia deve essere assicurata la primavisita entro 1 settimana, la stadiazione deve essere completata entro le 3settimane e l’inizio del trattamento entro le 4 settimane dalla prescrizione.

Criteri per l’eccellenzaPer raggiungere l’eccellenza il centro deve possedere almeno 3 dei seguenti5 requisiti:• esecuzione di almeno 25 trattamenti all’anno,curativi o palliativi• attuare un trattamento conformazionale con collimatore multi lamellare• utilizzare una tecnica a modulazione del fascio (IMRT)• utilizzare sistemi per radioterapia guidata dalle immagini (IGRT)• disponibilità di posti letto dedicata alla radioterapia, dipartimentali o “tec-

nici”.E’ inoltre necessario che le UOC di Radioterapia sia in grado, nei trattamenticurativi, di mettere in atto nell’ambito della struttura le procedure sia radio chechemioterapiche in tempo reale, evitando l’immissione in liste di attesa,pro-grammando l’inizio della terapia esclusivamente in rapporto ai tempi tecnicinecessari ad attuare le idonee procedure. Nei trattamenti postoperatori l’in-tervallo dovrà essere il più breve possibile compatibilmente con le condizionicliniche del paziente e con i tempi di guarigione della ferita chirurgica. E’ inol-tre necessario che esista un gruppo oncologico multidisciplinare nell’ambitodel quale i vari specialisti (chirurgo, oncologo, radiodiagnosta, radioterapista,anestesista, anatomopatologo, nutrizionista) si consultano per pianificare laprogrammazione terapeutica sulla base delle condizioni cliniche del pazientee dell’estensione della malattia valutando rischi e benefici delle varie opzioniterapeutiche. Per la verifica degli altri parametri di qualità del trattamento ra-dioterapico si rimanda al rapporto ISTISAN 04-34 sull’“Indicazione per l’as-sicurazione di qualità nella radioterapia conformazionale”.

9.3 OncologiaCriteri di minimaSono richiesti i seguenti requisiti minimi: > di 20 nuovi casi osservati al-l’anno, > di 10 nuovi casi trattati l’anno, > 8 poltrone in DH, disponibilità didegenza non specialistica, eseguire la prima visita a più di 1 settimana dallarichiesta, completare la stadiazione in più di 2 settimane dalla prima visitaed iniziare la terapia entro 4 settimane dalla decisione terapeutica. Presenzadi una pubblicazione nell’anno.

Criteri per l’eccellenzaSono previsti i seguenti requisiti:• > di 40 nuovi casi osservati l’anno• >20 nuovi casi trattati l’anno• > 12 poltrone in DH• almeno 4 dei seguenti 7 requisiti: degenza specialistica, disponibilità de-

genza specialistica, gestione in ambito di Continuous Care, DEA, UFA,Disponibilità di caratterizzazione biomolecolare, Disponbilità di farmacitarget. Uso di archivio/cartella in formato elettronico.

Devono inoltre essere soddisfatti almeno 3 dei seguenti requisiti organizzativi:• eseguire la prima visita in meno di una settimana dalla richiesta• completare la stadiazione in di due settimane• iniziare la terapia entro due settimane dalla prescrizione• programmare settimanalmente una riunione multidisciplinare (Oncologo,

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo

Pagina 47

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Il documento utilizza, integrandole, le linee giuda aiom, airo e quelle del gruppo

di lavoro sul cancro della laringe coordinato dal prof. Marco De Vincentis.

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10. Bibliografia

Principi di chemioterapiaTumori early stadio I e IINel trattamento dei tumori early testa-collo (HNSCC), stadio I e II, non vi è in-dicazione alla chemioterapia in tutte le sottosedi ad eccezione dei tumoriallo stadio II del rinofaringe nei quali il trattamento radio-chemioterapico rap-presenta lo standard di trattamento. I trattamenti chirurgici o radioterapici of-frono un eccellente controllo locale, preservazione d’organo e non presentanosequele cosmetiche maggiori. In considerazione dell’alto tasso di tumori me-tacroni potrebbero essere presi in considerazione per i tumori early testacollo protocolli di chemioprevenzione.

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Malattia moderatamente avanzatae resecabile stadio III e IVa

Setting adiuvanteLa valutazione del paziente è critica e fondamentale per la programmazioneterapeutica dei tumori avanzati testa-collo e deve considerare le condizionigenerali (PS), l'età, la presenza di patologie concomitanti, lo stile di vita,abuso di alcool ed esposizione al fumo di tabacco, la situazione socioeco-nomica del paziente, i sintomi all’esordio, la presenza di sintomi funzionali el’eventuale perdita di peso. La chemioterapia trova indicazione in associa-zione alla radioterapia dopo chirurgia nei pazienti ad alto rischio in condizionigenerali buone e discrete. Due studi randomizzati di fase III (RTOG 95-01LEORTC 22931) hanno consentito di definire i pazienti ad alto rischio di re-cidiva (diffusione di malattia extracapsulare, interessamento linfonodale mul-tiplo, invasione vascolare, linfatica e/o perineurale) e di dimostrare unsignificativo vantaggio in DFS, controllo locale e nella metanalisi di Bernierconfermare il vantaggio in sopravvivenza mediante trattamento integratoradio-chemioterapico con CDDP 100 mg/mq, q 21x3 vs la sola RT.

Il trattamento integrato con cisplatino in monochemioterapia deve essereconsiderato il trattamento standard nei pazienti ad alto rischio in settingadiuvante.

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Tumori “moderatamente” avanzati stadio III e IVIl trattamento dei tumori avanzati testa-collo (HNSCC), stadio III e IV di ma-lattia, è necessariamente multidisciplinare. La gestione del paziente affettoda neoplasia del distretto cervico-facciale è estremamente complessa e ri-chiede la presenza non solo del Chirurgo Otorinolaringoiatra, del Radiotera-pista e dell’Oncologo, ma anche del Patologo, del Chirurgo Plastico, delRadiologo, del Nutrizionista e del Foniatra.Nei pazienti non chirurgici in prima battuta, la chirurgia mantiene un ruolo im-portante per l’asportazione di eventuali residui di malattia dopo il trattamentoradio-chemioterapico, dissezione linfonodale profilattica del collo nei casicon coinvolgimento massivo linfonodale alla presentazione. Numerosi studisono stati realizzati al fine di verificare e confermare l’efficacia (in termini dicontrollo locale e sopravvivenza) del trattamento chemio-radioterapico con-comitante e di definirne il ruolo nei carcinomi squamosi del cavo orale, oro-faringe, ipofaringe, laringe e rinofaringe.La chemio-radioterapia è un trattamento integrato in cui entrambe le meto-diche svolgono un importante effetto citocida indipendente a cui si somma

11. Appendice

Patologo, Radioterapista, Radiodiagnosta, Chirugo, Palliativista), disporrealmeno settimanalmente di ambulatorio per impianti CVC e di ambula-torio per terapia nutrizionale, per terapia del dolore, consulenza psico-logica e psichiatrica.

Per quantto riguarda la attività di ricerca deve essere soddisfatto 1 dei 3 se-guenti:• adesione a protocolli nazionali ed internazionali• più di 3 pubblicazioni anno• partecipazione a studi multicentrici.

9.4 Diagnostica per immaginiCriteri di minimaI criteri di minima prevedono l’esecuzione di almeno 20 ecografie, 20 TC e20 RM in pazienti con neoplasie della testa e del collo per studio del tumoreprimitivo e dei linfonodi del collo.

Criteri per l’eccellenzaPer raggiungere l’eccellenza il numero di ecografie,TC e RM in pazienti conneoplasie della testa e del collo deve essere di 50 in almeno due delle tre me-todiche. Deve essere inoltre essere presente uno dei due seguenti requisiti:TC-PET, RM > 3 tesla.

9.5 Anatomia PatologicaCriteri di minimaSi richiede la refertazione secondo linee guida validate in almeno 20 pazientie la possibilità di eseguire indagini di tipo immunoistochimico.

Criteri per l’eccellenzaIl numero di refertazioni secondo linee guida validate deve essere almeno di50 e deve esistere oltre alla possibilità di eseguire indagini di tipo immunoi-stochimico in un laboratorio di biologia molecolare.

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo

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l’effetto addizionale legato al sinergismo terapeutico pertanto il numero som-ministrazioni e il loro dosaggio è critico, anche in considerazione del migliorcompromesso tra tossicità ed efficacia.Non esistono dati comparativi tra i diversi regimi d’integrazione di chemio eradioterapia. Tuttavia la combinazione con cisplatino può essere consideratauno standard adeguato e rappresenta l'opzione di prima scelta. Anche l'as-sociazione con il cetuximab è da considerarsi un trattamento adeguato so-prattutto in relazione al buon profilo di tossicità in mancanza di un confrontodiretto verso il regime di associazione standard con il cisplatino.Infatti, il trattamento chemio-radioterapico è una terapia a elevata comples-sità per l’insorgenza di effetti tossici acuti tipici di entrambe le metodiche,come le stomatiti e la depressione midollare che devono essere affrontatecon competenza specifica al fine di minimizzare riduzioni dei dosaggi, dila-zioni delle somministrazioni, omissioni, in grado di ridurre significativamentel’efficacia del trattamento.Non vi è un consenso generale sulla migliore dose e schema di fraziona-mento della radioterapia in associazione alla chemioterapia. La maggior partedegli studi ha valutato frazionamenti convenzionali per una dose totale di 70Gy in associazione al cisplatino in monochemioterapia somministrato ogni 21gg al dosaggio di 100mg/m2.L’efficacia del trattamento combinato diminuisce all’aumentare dell’età e,dopo i 70 anni, non è provato alcun beneficio con l’aggiunta di un farmacochemioterapico al trattamento radioterapico standard.Il trattamento radio-chemioterapico integrato concomitante è da consi-derarsi l’approccio non chirurgico standard nel trattamento dei tumoriavanzati testa-collo (HNSCC), stadio III e IV di malattia. In pazienti conadeguato PS.

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Chemioterapia di induzioneGli studi pubblicati negli anni ’80 e ’90 sulla chemioterapia d’induzione se-guiti da radioterapia e/o chirurgia nei tumori testa-collo non hanno dimo-strato un aumento della sopravvivenza con l’aggiunta della chemioterapia.

Negli ultimi anni, grazie ai progressi ottenuti nel controllo locale di malattiacon la radioterapia, la chirurgia e il trattamento concomitante chemio-ra-dioterapico, e grazie all’introduzione di nuovi farmaci, è stato rivalutato ilruolo della chemioterapia d’induzione.La chemioterapia a 3 farmaci (TPF, docetaxel 75 mg/mq g1, cisplatino 75mg/mq g1, 5fluorouracile 750 mg/mq/die gg 1-5, q21) ha dimostrato di es-sere superiore allo schema a 2 farmaci (PF, cisplatino 100 mg/mq g1, 5fluo-rouracile 1000 mg/mq/die gg1-5, q21) nella malattia localmente avanzata.Studi di fase III, che hanno comparato la terapia d’induzione con cisplatinoe 5-fluorouracile con o senza taxani seguita dallo stesso trattamento loco-regionale, hanno dimostrato maggiori tassi di risposta e di preservazioned’organo, un aumento della DFS e in alcuni casi della OS per i pazienti trat-tati con il regime a 3 farmaci. L’aggiunta dei taxani non peggiora la tossicitàdell’intero trattamento. Nonostante ciò, un chiaro vantaggio in OS dall’ag-giunta della terapia d’induzione alla CHT-RT non è stato ancora dimostrato.Uno studio a 3 bracci che comparava cisplatino-radioterapia concomitantealla terapia d’induzione con TPF o PF seguiti da cisplatino-radioterapia hariportato una diminuzione del tempo a progressione ma nessuna differenzain OS. Pertanto il trattamento d’induzione è ancora da considerarsi “speri-mentale”. Nella pratica clinica, la chemioterapia d’induzione è fortementeraccomandata nei pazienti con malattia localmente avanzata con impor-tante interessamento linfonodale (N3) e nei pazienti ad alto rischio di me-tastasi a distanza.Attualmente non sono disponibili studi di fase III che confrontino il cisplatinoe il cetuximab in associazione alla radioterapia, pertanto al termine del trat-tamento d’induzione non esiste un regime radio-chemioterapico standard7.Il cetuximab è considerato una valida alternativa terapeutica nei pazientiunfit per un trattamento radio-chemioterapico con cisplatino ad alte dosi.

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

Pagina 50

Preservazione d’organoNei tumori della laringe e dell’ipofaringe, dati ormai consolidati indicano lapossibilità di effettuare un trattamento radio-chemioterapico con possibilitàequivalenti di controllo locale di malattia e di sopravvivenza rispetto alla chi-rurgia, ma con conservazione dell’organo e della sua funzione. In questi casi,la chirurgia è riservata ai pazienti con residuo di malattia al termine del trat-tamento chemio-radioterapico o nel caso di recidiva di malattia.Gli studi fino ad ora eseguiti hanno dimostrato un’efficacia sovrapponibile intermini di preservazione d’organo tra chemioterapia d’induzione seguita daradioterapia e chemioradioterapia concomitante in confronto alla radiotera-pia da sola, mentre la sopravvivenza globale a 5 anni è simile per tutte le mo-dalità di trattamento.Al fine di preservare l’organo, il trattamento di scelta è la chemioterapiad’induzione secondo lo schema TPF (docetaxel 75 mg/mq g1, cisplatino75 mg/mq g1, 5-fluorouracile 750 mg/mq/die gg 1-5, q21) per 3 cicli, se-guito da rivalutazione strumentale: in caso di risposta parziale viene ese-guito il trattamento chemio-radioterapico, altrimenti è raccomandata lachirurgia.

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Malattia metastaticaL’obiettivo del trattamento nei pazienti con malattia metastatica è la pallia-zione o il prolungamento della sopravvivenza. Le misure di palliazione siestrinsecano in trattamenti radioterapici di regioni sintomatiche, radiotera-pia antalgica e trattamento locale di alcuni aspetti della malattia.Ma per la maggior parte dei pazienti con malattia metastatica l’esclusivotrattamento chemioterapico rappresenta il trattamento standard.In ogni caso il trattamento standard del paziente metastatico dovrebbeessere dettato da attenta valutazione del PS, tossicità legate al tratta-mento ed aspettativa di vita.Sia la mono che la polichemioterapia sono ampiamente utilizzate. I tassidi risposta relativi ad un trattamento con singolo agente vanno dal 15 al 35%.Gli agenti chemioterapici che risultano attivi in monoterapia sono cisplatino,carboplatino, taxol, taxotere, 5FU,methotrexate, ifosfamide, bleomicina, gem-citabina (per il carcinoma del rinofaringe) e cetuximab.Schemi attivi di polichemioterapia includono:• cisplatino o carboplatino, più 5FU e cetuximab• cisplatino o carboplatino più taxano• cisplatino con cetuximab• cisplatino con 5FU.Questi regimi raddoppiano la risposta rispetto alla monochemioterapia.Trials randomizzati che mettevano a confronto regimi contenti cisplatino conmonochemiterapie hanno dimostrano tassi significativamente maggiori dirisposta nei bracci trattati con polichemioterapia platino-basate. Tuttavia nonsi sono registrate differenze in termini di sopravvivenza globale.

Uno studio di fase III randomizzato che arruolava pazienti con tumori dellatesta e del collo in fase avanzata non ha registrato nessuna differenza traCDDP-5FU vs CDDP-TAX.L’iperespressione di EGFR è stata evidenziata in oltre il 90% dei carcinomisquamosi della testa e del collo. Questa scoperta ha aperto la strada all’uti-lizzo degli inibitori di EGFR, come l’anticorpo monoclonale cetuximab. Degnodi nota è lo studio EXTREME, uno studio randomizzato di fase III che ha ar-ruolato 442 pazienti con carcinoma squamoso ricorrente o metastatico.Tale studio ha mostrato come l’aggiunta del cetuximab ad un regime conCDDP/5FU o carboplatino/5FU ha migliorato la sopravvivenza mediana ri-spetto alla chemioterapia standard (10.1 mesi vs 7.4, P=.04). Anche i tassidi risposta sono aumentati con la terapia con cetuximab (20% fino a 35%).Vermorken et al, hanno inoltre dimostrato che i pazienti con stabilità di ma-lattia che hanno ricevuto chemioterapia con cetuximab possono continuarela terapia con biologico fino a tolleranza o progressione.

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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Coordinatore: R. Bellantone

Linee guida SIE-AIMN-AIFM, 2004Consensus statement European Thyroid Cancer Taskforce, 2006

Linee guida British Thyroid Association, 2007Nodulo Tiroideo “Consensus Citologico” SIAPEC-IAP, 2007

2a Consensus Conference dell’Associazione delle Unità di Endocrinochirurgia Italiane (CLUB delle U.E.C.),2002 aggiornato 2008

Linee guida American Thyroid Association, 2009Thyroid nodule guideline AACE-AME-ETA, 2010

Hanno collaborato alla stesura del manoscritto:R. Bellantone, A. Pontecorvi, A. Giordano, M. Salvatori, G. Fadda, S. Filetti,

M. D’Armiento, G. De Toma, A. Redler, E.o De Antoni, F. Nardi, M. Appetecchia, V. Toscano, F. Scopinaro,C. Bellotti, P. Grilli, E. Papini, D. Lauro, A. Bellia, L.Gaspari, P. Marini, G.B. Grassi

G. Longo, M. Centanni, M. Sacchi, V. Rossi, E. Nanni, G. Argirò, C. Rabitti, A. Camaioni, D. Alberti

Criteri di appropriatezza clinicaed organizzativa nella diagnosi,

terapia e follow-up della neoplasiadella tiroide

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della tiroide

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

INDICE

1. Carcinomi differenziati della tiroide Pagina 55

1.1 Introduzione Pagina 55

1.2 Percorso diagnostico Pagina 55

1.3 Intervento chirurgico Pagina 56

1.4 Valutazione postoperatoria Pagina 56

1.5 Fattori prognostici e sistemi di stadiazione Pagina 56

1.6 Trattamento con radioiodio Pagina 58

1.7 Terapia ormonale e trattamento con levotiroxina (LT4) Pagina 58

1.8 Terapia radiante esterna Pagina 58

1.9 Chemioterapia Pagina 59

1.10 Follow-up Pagina 59

1.11 Bibliografia Pagina 59

2. Carcinoma midollare della tiroide Pagina 60

2.1 Introduzione Pagina 60

2.2 Percorso diagnostico Pagina 60

2.3 Trattamento chirurgico del CMT sporadico (SCMT) Pagina 61

2.4 Terapia radiante esterna e chemioterapia Pagina 61

2.5 Prognosi Pagina 61

2.6 Bibliografia Pagina 62

3. Carcinoma anaplastico della tiroide Pagina 62

3.1 Terapia radiante esterna e chemioterapia Pagina 63

3.2 Bibliografia Pagina 63

4. Sistema di qualità della rete oncologica regionale Pagina 63

per i tumori della tiroide - maggio 20114.1 Sistema di qualità in chirurgia della tiroide Pagina 63

4.2 Sistema di qualità in endocrinologia Pagina 64

4.3 Sistema di qualità in medicina nucleare Pagina 65

Pagina 55

1.1 IntroduzioneIl carcinoma della tiroide è la forma tumorale più frequente tra le neoplasieendocrine e rappresenta circa il 2% di tutti i tumori maligni.L’incidenza del tumore della tiroide è in progressivo e significativo aumento:in Italia vengono diagnosticati 2579 nuovi casi/anno tra le donne e 675 nuovicasi/anno tra gli uomini.Da un punto di vista anatomo-patologico, il carcinoma tiroideo viene classi-ficato in diversi istotipi a seconda dell’epitelio di origine. I carcinomi tiroideidifferenziati (CTD), ovvero il carcinoma papillare e follicolare con i loro sot-totipi, rappresentano gli istotipi più frequenti e originano dall’epitelio follico-lare.Altri sottotipi, includono il carcinoma midollare, derivante dalle cellule para-follicolari, e i carcinomi non differenziati come il carcinoma anaplastico, chesi ipotizza derivi dalla progressiva sdifferenziazione di carcinomi inizialmentea partenza dall’epitelio follicolare.Il carcinoma papillare, sia nella sua variante follicolare che in quella papillarepura, è l’istotipo più frequente ed infatti rappresenta oltre l’80% delle neo-plasie maligne della tiroide.Benché i CTD siano efficacemente curabili, il loro trattamento e follow-up ri-mangono oggetto di controversia. Ciò è in parte dovuto all’assenza di evi-denze cliniche di livello I o II (trials clinici prospettici randomizzati ocontrollati), rese difficoltose dal protratto rischio di recidiva della neoplasiae dalla sua bassa aggressività biologica. Infatti la maggior parte dei dati cli-nici riguardanti i CTD sono basati su evidenze di III e IV livello e, pertanto, de-sunte da ampi studi retrospettivi.Al fine di perseguire un ottimale inquadramento diagnostico terapeutico deicarcinomi tiroidei sarebbe auspicabile la costituzione di un team multidisci-plinare di base costituito da un endocrinologo, un chirurgo endocrino, un me-dico nucleare e un anatomo-patologo, cui dovrebbero inoltre afferire anchealtri specialisti in diagnostica per immagini e personale infermieristico dedi-cato.Obiettivi delle Linee Guida per il trattamento del CTD sono:• stabilire dei criteri di appropriatezza diagnostica• fornire criteri razionali e condivisi per migliorare la sopravvivenza e la

qualità di vita dei pazienti• rendere più efficiente ed efficace l’iter diagnostico-terapeutico della ma-

lattia.

1.2 Percorso diagnosticoLa diagnostica della patologia nodulare tiroidea deve essere essenziale emirata non solo alla definizione della malattia oggetto di studio, ma anche al-l’indicazione terapeutica. Può essere eseguita in regime ambulatoriale e pre-vede:

Esami di livelloEcografia/Eco-color-doppler al fine di valutare:• presenza, caratterizzazione morfologica e sede di noduli con caratteri

ecografici sospetti per malignità (pattern nodulare ipoecogeno, presenzadi microcalcificazioni intranodulari, assenza o interruzione della conti-nuità dell’alone periferico di demarcazione, margini irregolari, patternvascolare sospetto, rapporto tra nodulo e capsula tiroidea) e pertantomeritevoli di ulteriore approfondimento diagnostico con agoaspirato eco-

guidato per esame citologico• presenza di linfonodi locoregionali con caratteristiche sospette.Esami ematochimici:• TSH, fT4, Calcitonina, Ab-TG, Ab-TPO, Calcemia.

Esami di II livelloEsami ematochimici:• fosforemia e PTH se presente ipercalcemia• Ab r- TSH (in caso di sospetta patologia autoimmune e/o ipertiroidismo

funzionale).Scintigrafia tiroidea:• in presenza di tireotossicosi sub-clinica o clinica in pazienti con gozzo

nodulare all’ecografia• on caso di sospetta ectopia o gozzo mediastinico, a fini di caratterizza-

zione tessutale• on caso di nodulo con diagnosi di proliferazione follicolare all’esame ci-

tologico e TSH normale.Esame citologico su Agoaspirato ecoguidato (FNAC):• generalmente indicato in tutti i noduli solidi e “misti” ≥ 1.0 cm. In caso

di gozzo plurinodulare l’indicazione all’agoaspirato deve essere postanon necessariamente per il nodulo dominante bensì per il nodulo concaratteri ecografici più significativi ovvero sospetti (ipoecogeni, con mi-crocalcificazioni interne e margini non definiti)

• nel caso di noduli con diametro ecografico compreso tra 0.5 ed 1.0 cm,l’indicazione all’agoaspirato eco-guidato può essere posta nei seguenticasi:- in età pediatrica- in soggetti con familiarità per carcinoma tiroideo- in presenza di segni ecografici sospetti per malignità- in caso di adenopatia loco-regionale sospetta per malattia metasta-tica

- in presenza di storia di pregressa irradiazione della regione cervicale.In presenza di sospette metastasi linfonodali locoregionali, può essere ese-guito il dosaggio della tireoglobulina nel liquido di lavaggio ottenuto dopoFNAC.E’ opportuno che l’agoaspirato sia eco-guidato e che l’adeguatezza del cam-pione sia certificata nel referto.Il referto citologico deve essere descrittivo e, ove possibile, porre una con-clusione diagnostica inequivocabile, preferibilmente corredata da un codicenumerico che indica una categoria di lesioni omogenee per rischio di mali-gnità ed opzione terapeutica (tabella 1).

1. Carcinomi differenziati della tiroide

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della tiroide

Tabella 1. Nodulo tiroideo: “Consensus Citologico” SIAPEC-IAP,2007

Classificazione italiana - TIR

TIR 1 Non diagnostico <15%

TIR 2 Negativo per cellule maligne 60-75%

TIR 3Indeterminato (Proliferazione Follicolare)

Rischio di malignità 20 %20%

TIR 4 Sospetto di malignità 5%

TIR 5 Positivo per cellule maligne 5-15%

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gnosi, mostra una prognosi ancora più favorevole di quella dell’adulto.Per quanto riguarda l’istotipo, il carcinoma papillare mostra una prognosicomplessivamente migliore di quella del carcinoma follicolare. Tuttavia, se glieffetti confondenti legati all’età ed all’estensione della neoplasia vengonoeliminati, la sopravvivenza del carcinoma papillare e quella del carcinoma fol-licolare minimamente invasivo appaiono analoghe. Nell’ambito del carci-noma papillare alcune varianti istologiche, come quella a cellule alte, lavariante colonnare e la sclerosante diffusa, sono associate ad una prognosipiù sfavorevole. In maniera analoga anche il carcinoma follicolare presentaprognosi peggiore in caso di estesa invasività locale ed in presenza di variantiistologiche scarsamente differenziate.Il rischio di recidiva e quello di mortalità tumore-specifica sono correlati inmaniera significativa con le dimensioni del tumore, l’invasione extratiroidea,la presenza di metastasi linfonodali e la presenza di metastasi a distanza.L’importanza del fattore prognostico relativo all’estensione iniziale della neo-plasia è sottolineato dal fatto che l’Unione Internazionale contro il Cancro(UICC) e la American Joint Committee on Cancer (AJCC) hanno messo a puntoun sistema di stadiazione del carcinoma tiroideo basato sul sistema TNM(tabella 2 e 3).Tuttavia, mentre il sistema TNM si dimostra accurato nella previsione del ri-schio di recidiva nei pazienti con età superiore a 45 anni, nei soggetti di etàinferiore a 45 anni la suddivisione in due sole classi (stadio I e II) non forni-sce uno strumento adeguato a tale scopo.Per tale motivo, alcuni Autori hanno proposto sistemi di classificazione del ri-schio alternativi al TNM, come ad esempio quello riportato in tabella 4, chegeneralmente stratificano i pazienti con CDT in alto, medio e basso rischiodi recidiva.

Tabella 2. Stadiazione TNM 7^ edizione (2010), Carcinoma Papillare e Follicolare della Tiroide

T1 Diametro del tumore ≤≤ 2cm, nella sua dimensione massima, limitato alla tiroide. (T 1a ≤ 1 cm, T1b > 1 cm)

T2 Diametro del tumore superiore a 2 cm ma inferiore a 4 cm, nella sua dimensione massima, limitato alla tiroide

T3 Tumore superiore a 4 cm nella sua dimensione massima, limitato alla tiroide o con minima estensione extratiroidea (p.e. estensione al mu-scolo sternotiroideo o ai tessuti molli peritiroidei)

T4a Tumore di qualsiasi diametro esteso oltre la capsula tiroidea con invasione dei tessuti molli sottocutanei, laringe, trachea, esofago, nervolaringeo ricorrente

T4b Tumore che invade la fascia prevertebrale, i vasi mediastinici o infiltra l’arteria carotide

Tx Diametro del tumore non noto, ma senza invasione extratiroidea

Linfonodi regionali

N0 Non metastasi nei linfonodi regionali

N1a Metastasi linfonodali del compartimento centrale (VI livello) (pretracheali, paratracheali inclusi i prelaringei e i linfonodi Delfici)

N1b Metastasi linfonodali latero-cervicali (II-III-IV-V livello) omolaterali, bilaterali o controlaterali o mediastinici superiori (VII livello)

Nx I linfonodi regionali non possono essere valutati

Metastasi a distanza

M0 Non metastasi a distanza

M1 Metastasi a distanza

Mx Le metastasi a distanza non possono essere valutate

Tabella 3. Stadiazione TNM 7^ edizione (2010), Carcinoma Papillare e Follicolare della Tiroide

Sotto i 45 anni

Stadio IQualsiasi TQualsiasi NM0

Stadio IIQualsiasi TQualsiasi NM1

Oltre i 45 anni

Stadio I T1, N0, M0

Stadio II T2, N0, M0

Stadio IIIT3, N0, M0T1-T3, N1a, M0

Stadio IVA

T4a, N0, M0T4a, N1a, M0T1-T3, N1b, M0T4a, N1b, M0

Stadio IVBT4bQualsiasi NM0

Stadio IVCQualsiasi TQualsiasi N, M1

Nota: le categorie T1, T2 e T3 devono essere suddivise in (s) tumore singolo e (m) tumore multifocale. La lesione più grande determina la classificazione T. Tutti i carcinomi ana-plastici sono considerati tumori T4.

Esami di III livelloFibroscopia laringea:E’ consigliabile l’esecuzione preoperatoria routinaria della fibroscopia larin-gea al fine di valutare l’integrità delle corde vocali e della loro motilità. Taleindagine è indispensabile nelle seguenti situazioni cliniche:• in presenza di disfonia;• nei casi di reintervento per recidiva benigna o maligna;• nel caso di voluminoso gozzo mediastinico; • nel carcinoma tiroideo localmente avanzato.TC/RM:• gozzo intratoracico o con importante componente retrosternale;• in caso di CTD localmente avanzato è preferibile utlizzare la RM al fine

di prevenire interferenze da m.d.c organoiodato nel caso di successivaterapia con radioiodio.

1.3 Intervento chirurgico Consenso InformatoE’ necessario che il chirurgo informi adeguatamente il paziente sulle indica-zioni al trattamento chirurgico, le eventuali terapie alternative, i vantaggi at-tesi dall’intervento, i possibili rischi e complicanze, le eventuali terapieriabilitative e sull’eventuale condizione clinica in caso di lesioni permanentipostoperatorie.L’informazione fornita deve avere i requisiti della chiarezza espositiva e dellaesaustività delle notizie fornite. E’ opportuno che le fasi dell’informazione e del consenso si svolgano già almomento della prima visita e nuovamente in occasione del ricovero, al finedi consentire al paziente un approfondimento delle informazioni ricevute el’eventuale acquisizione di referenze sulla struttura ospedaliera che dovràaccoglierlo o sul chirurgo che dovrà operarlo. E’ necessario che il consenso informato sia redatto per iscritto e ne rimangatraccia in cartella clinica.

Chirurgia del tumore primitivoIl trattamento chirurgico deve soddisfare i seguenti requisiti: • maggiore radicalità possibile al fine di eliminare tutti i focolai tumorali • tendere ad ottenere una guarigione chirurgica definitiva con bassa inci-

denza di recidive locali• essere associato ad una bassa incidenza di complicanze postoperatorie.Il trattamento chirurgico del carcinoma differenziato tiroideo si basa sulla ti-roidectomia totale. Un intervento chirurgico conservativo (lobo-istmectomia)può trovare una sua limitata indicazione nei casi di carcinoma papillare uni-focale di diametro <1.0 cm diagnosticato in maniera incidentale, dopo com-pleta informazione e consenso del paziente.Il ricorso alla tiroidectomia totale è giustificato dall’elevata frequenza dellamultifocalità e dalla possibilità di facilitare in tale maniera sia l’eventuale te-rapia con radioiodio che il successivo follow-up attraverso il dosaggio dellatireoglobulina.

Chirurgia delle metastasi linfonodaliMetastasi linfonodali loco-regionali alla diagnosi sono state documentate nel20-90% dei pazienti affetti da carcinoma papillare della tiroide. L’impattoprognostico del coinvolgimento metastatico del compartimento centrale (li-velli VI-VII) nei casi a basso rischio viene ritenuto trascurabile, mentre neicasi ad alto rischio recenti evidenze della letteratura sembrano dimostrareche tale situazione rappresenti un fattore indipendente di rischio prognosticopredittivo di recidiva locale e di diminuita sopravvivenza (cfr paragrafo 5).

A causa della bassa sensibilità e specificità delle tecniche di imaging oggi di-sponibili lo status linfonodale del compartimento centrale non sempre è cor-rettamente stadiato in fase pre-operatoria. Inoltre anche la valutazioneintraoperatoria del compartimento centrale non sempre è in grado di esclu-dere con certezza la presenza di metastasi linfonodali. Alla luce di questi datialcuni autori consigliano l’esecuzione routinaria, in molti casi profilattica,della linfoadenectomia del compartimento centrale al fine di migliorarne lastadiazione (N0 vs N1) ed il successivo iter terapeutico soprattutto in terminidi indicazione al trattamento con radioiodio. La mancanza di studi prospettici randomizzati in grado di dimostrare un si-gnificativo vantaggio in termini di riduzione delle recidive locali e di aumentodella sopravvivenza assoluta nei pazienti sottoposti a linfoadenectomia pro-filattica del compartimento centrale, non permette di raccomandare l’ese-cuzione routinaria di tale trattamento, anche in considerazionedell’aumentato rischio di ipoparatiroidismo e di lesioni ricorrenziali postope-ratorie. La linfadenectomia profilattica del compartimento centrale deve comunqueessere presa in considerazione nei pazienti considerati ad alto rischio e neicasi di tumori localmente avanzati. Nella grande maggioranza dei casi la linfoadenectomia del compartimentocentrale deve essere quindi terapeutica.La linfadenectomia del compartimento latero-cervicale (livelli II-III-IV-V) omo-laterale e/o controlaterale alla lesione deve essere eseguita solo in caso dimetastasi linfonodali documentate all’ecografia e/o con esame citologico e/ocon dosaggio della Tg sul liquido di lavaggio dell’agospirato e/o in caso dimetastasi linfonodali dimostrate dall’esame istologico estemporaneo nelcorso dell’esplorazione chirurgica.

1.4 Valutazione postoperatoriaNell’immediato post-operatorio tutti i pazienti sottoposti ad intervento chi-rurgico devono essere adeguatamente monitorati allo scopo di accertarel’eventuale presenza di complicanze chirurgiche, come ad esempio ema-toma cervicale, deficit ricorrenziali ed ipoparatiroidismo.Il referto istologico deve essere valutato facendo particolare riferimento alledimensioni della neoplasia, all’istotipo e variante istologica, al grado di dif-ferenziazione, all’uni o multifocalità delle lesioni, alla monolateralità o bila-teralità dei foci tumorali, alla presenza di angioinvasività, al superamentodella capsula tiroidea, all’infiltrazione delle strutture adiacenti, alla presenza,sede e numero di metastasi linfonodali.Tale valutazione deve consentire una stadiazione post-operatoria elaboratautilizzando la classificazione TNM, successivamente integrata con il risultatodella eventuale scintigrafia corporea globale post-dose ablazione con 131I.

1.5 Fattori prognostici e sistemi di stadiazioneNella gestione del CDT viene raccomandato di utilizzare sistemi di stratifi-cazione del rischio a fini prognostici, allo scopo sia di decidere le strategieterapeutiche post-chirurgiche, inclusa la terapia ablativa con 131I ed il gradodi terapia soppressiva con LT4, sia per definire modalità e frequenza del fol-low-up. I principali fattori prognostici utilizzati nel management del CDT sonol’età, l’istotipo e l’estensione del tumore. L’età al momento della diagnosi è uno dei fattori prognostici più importantinei pazienti con CDT. Il rischio di recidiva si correla con l’età, aumentando inetà adolescenziale e dopo i 45 anni. Tuttavia in età pediatrica il CDT, pur essendo caratterizzato da un’aggressi-vità più elevata con frequenti metastasi locoregionali e polmonari alla dia-

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della tiroide

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1.6 Trattamento con radioiodioTrattamento ablativoCon il termine trattamento ablativo con radioiodio (131I) si definisce la di-struzione del tessuto tiroideo normale residuo dopo intervento chirurgico di ti-roidectomia. Scopi del trattamento ablativo sono i seguenti: • distruggere eventuali microfocolai tumorali presenti nel tessuto tiroideo

residuo, in maniera da ridurre il rischio di ripresa di malattia nella log-gia tiroidea

• possibilità di eseguire una TxWBS• facilitare il successivo follow-up aumentando l’accuratezza diagnostica

del dosaggio della Tg e della DxWBS.L’indicazione al trattamento ablativo con radioiodio è argomento molto con-troverso. La bassa aggressività biologica, il lento decorso clinico della ma-lattia e la conseguente assenza di studi prospettici randomizzati determinanola mancanza di evidenze di I o II livello sulla capacità del trattamento con131I di ridurre, in tutti i casi, le recidive e di migliorare la sopravvivenza.Per tali motivi l’indicazione al trattamento ablativo viene posta in base a de-terminati fattori prognostici, classificando i pazienti in due categorie di ri-schio, ovvero basso e medio-alto rischio di recidiva.

Pazienti a basso rischioSono considerati a basso rischio i carcinomi papillari monofocali ed i carci-nomi follicolari minimamente invasivi senza invasione vascolare, di dimen-sioni uguali o inferiori ad 1.0 cm, senza metastasi linfonodali o a distanza.Vengono considerati tali anche i pazienti con multifocalità quando la sommadelle dimensioni dei singoli foci tumorali risulta inferiore ad 1.0 cm. In que-sti pazienti la prognosi dopo intervento chirurgico è cosi favorevole che ul-teriori trattamenti non possono migliorarla in maniera significativa. In questicasi il trattamento ablativo con 131I di routine non è indicato, considerandogli inconvenienti di tipo pratico e psicologico per il paziente, il costo elevatoed i rischi, rari ma non assenti, legati al trattamento.

Pazienti a rischio medio-altoVengono considerati a rischio medio-elevato i pazienti con CDT con stadia-zione superiore al pT1aN0M0, le varianti aggressive del carcinoma papillare ele neoplasie scarsamente differenziate in tutti gli stadi. In questi pazienti ivantaggi del trattamento sono dimostrati ed è indicato il trattamento ablativo. Sebbene la scelta dell’attività di 131I da somministrare per l’ablazione dei re-sidui tiroidei sia argomento ancora controverso, la tendenza attuale è quelladi modulare l’attività da somministrare in base alla classe di rischio di ap-partenenza. E’ sconsigliato il frazionamento dell’attività in somministrazionimultiple effettuate a distanza di pochi giorni l’una dall’altra.

La verifica dell’efficacia ablativa (follow-up a breve termine) deve essere ef-fettuata a distanza di 6-12 mesi dal trattamento con 131I attraverso DxWBSe dosaggio della Tg dopo stimolazione esogena o endogena del TSH.

Trattamento delle metastasiIl trattamento con radioiodio è indicato in tutti i pazienti con metastasi iodo-captanti a distanza, polmonari, ossee o localizzate in altre sedi. Il trattamentorisulta particolarmente efficace in caso di intensa capacità captante il ra-dioiodio e per lesioni di piccole dimensioni. In caso di lesioni secondarie digrandi dimensioni e scarsamente captanti il radioiodio vanno presi in consi-derazioni trattamenti alternativi, come ad esempio quello chirurgico o la ra-dioterapia a fasci esterni.

1.7 Terapia ormonale e trattamento con levotiroxina (LT4)

I CDT esprimono il recettore del TSH sulla superficie cellulare e rispondonoalla stimolazione con TSH aumentando la produzione di molte proteine ti-roide-specifiche e incrementando la velocità di crescita cellulare.Per tale motivo la soppressione del TSH con ormoni tiroidei esogeni vieneutilizzata per ridurre la progressione dei tumori e delle metastasi, diminuendola prevalenza di recidive e di mortalità tumore-specifica. Si raccomanda di mantenere un valore di TSH inferiore a 0.1 mUI/ml nei pa-zienti a rischio medio o elevato, mentre nei pazienti a basso rischio, sotto-posti o meno a trattamento ablativo, è sufficiente un valore di TSH pari o sololievemente inferiore al range di normalità (0.1- 0.5 mUI/ml).

1.8 Terapia radiante esternaNel trattamento del CDT il ruolo della radioterapia esterna è riservato soltantoa casi particolari, con finalità palliativa o per malattia localmente avanzata onon operabile. Il trattamento radiante è indicato in soggetti di età superiorea 45 anni, sottoposti ad intervento chirurgico incompleto o con recidiva lo-cale o nei casi con documentata infiltrazione delle vie aeree superiori, dige-stive o dei tessuti molli per i quali il trattamento con radioiodio risultainefficace. Benché l’efficacia della radioterapia esterna risulti controversa enon sia stato documentato un vantaggio in termini di sopravvivenza assoluta,in pazienti selezionati sottoposti a trattamento con dosi e modalità adeguate,questo trattamento può rappresentare un buon metodo per il controllo lo-cale della malattia con bassa incidenza di recidive locali.Nei casi con estese recidive locali in cui non è possibile l’intervento chirur-gico deve essere valutata l’opportunità di radioterapia esterna in associa-

Tabella 4. Classificazione del rischio di recidiva nel CDT

Risk group definitions in differentiated carcinoma of the thyroid

Low risk Intermediate risk Intermediate risk High risk

Age (years) <45 <45 >45 >45

Distant metastasis M0 M+ M0 M+

Tumor size T1, T2 (<4 cm) T3, T4 (>4 cm) T1, T2 (<4 cm) T3, T4 (>4 cm)

Histology abd grade Papillary Follicular and/or high grade Papillary Follicular and/or high grade

5-year survival (%) 100 96 96 72

20-year survival (%) 99 85 85 57

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

zione a chemioterapia con Doxorubicina a basse dosi, a scopo radiosensibi-lizzante e con finalità palliativa. Nei soggetti non candidati all’intervento di asportazione chirurgica della me-tastasi o di stabilizzazione, la radioterapia esterna può essere utilizzata inalternativa o in associazione alla terapia con radioiodio.

1.9 ChemioterapiaL’uso aggiuntivo routinario della chemioterapia non ha alcun ruolo nella ge-stione dei pazienti con CDT. A tutt’oggi, non vi sono chiare e provate evidenzescientifiche che supportino l’impiego della chemioterapia somministrata a finiadiuvanti nel trattamento del CDT. La Doxorubicina potrebbe agire da agenteradiosensibilizzante in alcuni casi di CDT e il suo uso potrebbe essere presoin considerazione per i pazienti con malattia localmente avanzata sottopostia radioterapia esterna (cfr. paragrafo 8). La maggior parte degli studi che hanno valutato l’impatto della terapia si-stemica nel CDT riguardano il trattamento della malattia metastatica pol-monare non captante il radioiodio. Gli agenti citotossici tradizionali, quali laDoxorubicina e il Cisplatino, sono in genere associati a risposte parziali inmeno del 25% dei casi; le remissioni complete sono osservate raramente ela tossicità associata a questi farmaci è rilevante. La Doxorubicina in monoterapia, unico trattamento approvato dalla US Foodand Drug Administration per il CDT metastatico, è solo occasionalmente ef-ficace quando si utilizzano dosi appropriate (60-75 mg/m2 ogni 3 settimane),sebbene le risposte durevoli siano rare. La maggior parte degli studi che uti-lizzano una combinazione di farmaci non dimostrano un aumento delle ri-sposte rispetto alla monoterapia, ma dimostrano un aumento della tossicità. Un recente studio ha valutato l’effetto della chemioterapia di combinazione(Carboplatino ed Epirubicina), sotto stimolo del TSH (endogeno o rhTSH), di-mostrando un tasso complessivo di risposta completa e parziale del 37%. Recentemente, studi clinici di fase II suggeriscono che la terapia antiangio-genica possa produrre tassi di risposta parziale fino al 31% e percentuali distabilizzazione in un altro 40-50% dei pazienti con malattia metastatica pro-gressiva. Benefici clinici della durata di almeno 24 settimane sono stati os-servati in circa la metà dei pazienti. Questi dati devono essere confermati prima di poterne raccomandare l’usoroutinario. Su tali farmaci non esistono al momento dati conclusivi tali da po-terli includere in un protocollo terapeutico.

1.10 FOLLOW-UPScopo del follow-up è quello di verificare il mantenimento di una terapia or-monale adeguata alle caratteristiche del paziente, di identificare precoce-mente la comparsa di recidive e/o metastasi della malattia e di rilevare glieventuali effetti indesiderati tardivi della terapia con radioiodio. Il follow-up deve essere diversificato in base alla categoria di rischio di ap-partenenza ed è distinto in follow-up a breve (verifica dell’efficacia ablativa)e lungo termine. In tutti i pazienti il controllo deve essere continuato a vitaperché le recidive, anche se generalmente presenti nei primi anni del fol-low-up, possono comparire in tempi anche molto tardivi. Il valore del TSH edell’FT4 devono essere verificati a cadenza annuale o tutte le volte che vienemodificata la posologia della terapia ormonale. Il dosaggio della Tg deve es-sere effettuato secondo modalità indicate dalla relativa categoria di rischio,deve sempre essere associato al dosaggio degli AbTg ed essere eseguitosempre nello stesso centro. Nella maggioranza dei pazienti a basso rischio,che non vengono sottoposti a trattamento ablativo, l'ecografia del collo ese-guita da operatori esperti ed il dosaggio della Tg sierica basale assicurano

un elevato grado di sorveglianza senza la necessità di eseguire una DxWBS.Nei pazienti a basso rischio, eventualmente sottoposti a trattamento ablativoe per i quali sia stata già verificata l’efficacia ablativa, si raccomanda di ese-guire ecografia del collo e dosaggio della Tg a TSH soppresso a cadenza an-nuale. Nei pazienti a rischio medio o alto, sottoposti a trattamento ablativo eper i quali è stata già verificata l’efficacia ablativa, si raccomanda di ese-guire nei primi anni di follow-up ecografia del collo in associazione al do-saggio della Tg dopo stimolo esogeno con rhTSH. In presenza di negativitàdel quadro ecografico e di valori indosabili di Tg stimolata negli anni suc-cessivi sarà sufficiente associare all’ecografia il dosaggio della Tg siericabasale. Nel follow-up a lungo termine della maggior parte dei pazienti amedio-basso rischio di recidiva si ricorre raramente all’uso di diagnosticastrumentale come TC, RM, DxWBS e PET. La PET con 18 F-FDG può essereutilizzata nel follow-up dei pazienti che presentano elevati valori di Tg eDxWBS / TxWBS negativi allo scopo di evidenziare la sorgente di Tg.

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della tiroide

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Test di stimolo della CTIl test consiste nella somministrazione di sostanze stimolanti la secrezione dellacalcitonina e nella successiva misurazione dei valori plasmatici di tale ormone.I prelievi di sangue per dosare la CT vengono eseguiti 5 minuti prima (prelievobasale di CT) e a 1, 2, 3, 5,10 minuti dopo l’iniezione di pentagastrina (0,5mg/kg). Il test può essere eseguito anche con iniezione di calcio gluconato(2mg/kg/min), oppure con iniezione di entrambe le sostanze contemporanea-mente. Il risultato viene valutato in base al picco massimo nei prelievi succes-sivi all’inizio del test. In accordo con il “Groupe d’etude des tumeurs” il valoredella calcitonina dopo stimolazione alla pentagastrina (sCT) viene definito nor-male, quando il picco massimo risulti essere inferiore a 30 pg/ml, mentre vieneconsiderato patologico quando il picco massimo è ≥ 100 pg/ml.

Ecografia tiroidea e delle logge cervicaliAnalogamente a quanto specificato nel paragrafo 2, anche nel caso del CMT icriteri ecografici che fanno sospettare la malignità della lesione sono: forma ir-regolare del nodulo, ipoecogenicità, presenza di margini spiculati, evidenza diun’ecostruttura disomogenea e presenza di microcalcificazioni. Inoltre, l’eco-color doppler, permette lo studio della vascolarizzazione della lesione neopla-stica che, nella maggior parte dei casi presenta un pattern vascolare di tipo III(vascolarizzazione intra e perinodulare).

Esame citologico su agoaspirato ecoguidato tiroideo e degli eventualilinfonodi con caratteristiche di sospettoL’agoaspirato con ago sottile è uno delle più accurate, sicure e utilizzate me-todiche per la diagnostica delle patologie tiroidee. Papaparaskeva et al. hannoevidenziato quelli che sono i più importanti criteri citologici indicativi di carci-noma midollare: pattern di cellule disperse, di aspetto poligonale o triangolare,con granuli citoplasmatici azzurrofili e nuclei fortemente eccentrici con pre-senza di grossolani aggregati di cromatina granulare e amiloide. La sensibilitàdella FNAB nella diagnosi di CMT è del 63%. In presenza di sospette meta-stasi linfonodali locoregionali, può essere eseguito il dosaggio della CT nel li-quido di lavaggio ottenuto dopo FNAC.

2.3 TRATTAMENTO CHIRURGICO DEL CMT SPORADICO (sCMT)

Circa il 50-80% dei pazienti con CMT sporadico presenta metastasi linfonodalial momento della diagnosi, che sono localizzate a livello del compartimentocentrale nella maggior parte dei casi.L’approccio chirurgico di base nel trattamento del CMT sporadico (sCMT) è latiroidectomia totale associata sempre alla linfoadenectomia del compartimentocentrale (VI e VII livello). La linfoadenectomia latero-cervicale omo- e/o bilaterale è indicata in tutti icasi di sCMT nei quali vi sia il sospetto di malattia linfonodale metastatica aquesto livello. Negli altri casi l’atteggiamento non è univoco, dal momento chealcuni Autori consigliano la linfoadenectomia latero-cervicale profilattica in tuttii casi, altri ancora raccomandano la linfoadenectomia latero-cervicale tera-peutica ed infine alcuni consigliano la linfoadenectomia latero-cervicale, qua-lora siano presenti metastasi nei linfonodi paratracheali omolaterali.

Trattamento dei pazienti con persistenza o recidiva di malattiaCirca il 50% dei pazienti con CMT va incontro a persistenza o recidiva di ma-lattia dopo il primo intervento chirurgico.Distinguiamo diverse situazioni cliniche:• Pazienti con ipercalcitoninemia in assenza di lesioni ripetitive sia linfono-

dali che d’organo. In questi casi è indicato uno stretto follow-up, in quanto,

la mancata evidenza strumentale di recidiva loco-regionale di malattia nongiustifica i rischi correlati ad un reintervento chirurgico

• Pazienti con ipercalcitoninemia associata a lesioni ripetitive linfonodali e/osegni di recidiva loco-regionale di malattia. In caso questo caso l’inter-vento chirurgico trova un’elettiva indicazione

• Pazienti con ipercalcitoninemia associata a lesioni ripetitive sistemiche(polmone, fegato osso). In questi casi sono indicati trattamenti alternativia quello chirurgico. Tuttavia, ad oggi, scarso effetto terapeutico sembranoavere la terapia radiometabolica, la chemioterapia e la radioterapia.

2.4 TERAPIA RADIANTE ESTERNA E CHEMIOTERAPIALa radioterapia esterna può trovare indicazione nel trattamento palliativo dellemetastasi ossee inoperabili. A tutt’oggi, i trials clinici disponibili riguardanti l’im-piego di trattamenti chemioterapici integrati nel carcinoma midollare della ti-roide persistente o recidivo hanno dimostrato una scarsa efficacia, con rispostedi breve durata e remissioni di malattia generalmente parziali ottenute in circail 10-20% dei casi. Gli agenti chemioterapici che si sono dimostrati più pro-mettenti sono la Dacarbazina, il Fluorouracile e la Doxorubicina. Attualmente sono in studio anticorpi monoclonali quali inibitori dell’attivazionedel protoncogene RET e altri inibitori dell’RTK, finalizzati a migliorare il tratta-mento non chirurgico del CMT, sebbene il reale impatto clinico sia a tutt’oggida confermare. Su tali farmaci non esistono al momento dati conclusivi tali dapoterli includere in un protocollo terapeutico.

2.5 PROGNOSILa prognosi del Carcinoma midollare tiroideo è intermedia tra i tumori diffe-renziati ed i tumori anaplastici della ghiandola tiroidea.A differenza di altre neoplasie tiroidee come il carcinoma papillare, l’incidenzae la mortalità sembrano non essere aumentate negli ultimi anni, nonostante ilmiglioramento delle metodiche di screening e dei test genetici.Nei casi di corretta applicazione delle metodiche chirurgiche definite nelle lineeguida, si ritiene che la sopravvivenza a 10 anni sia intorno al 75-85%.Sono stati presi in considerazione come potenziali fattori prognostici diversielementi: clinici (età, stadiazione, tipo di CMT e sintomi), biochimici (calcitoninasierica pre e post operatoria, CEA), genetici (mutazione del protoncogene RET).Tuttavia, ad oggi, i più importanti fattori prognostici sono: età al momento delladiagnosi, invasione extraghiandolare del tumore, dimensione della neoplasia estadio della malattia alla diagnosi. Per la stadiazione dei pazienti si fa riferi-mento al sistema TNM (tabella 5).

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2. Carcinoma midollare della tiroide

Tabella 5. STADIAZIONE TNM 7^ edizione (2010). Carcinoma Midollare della Tiroide

Stadio I T1, N0, M0

Stadio II T2, N0, M0

Stadio IIIT3, N0, M0T1-T3, N1a, M0

Stadio IVA

T4a, N0, M0T4a, N1a, M0T1-T3, N1b, M0T4a, N1b, M0

Stadio IVB T4b, qualsiasi N, M0

Stadio IVC Qualsiasi T, qualsiasi N, M1

2.1 INTRODUZIONEIl carcinoma midollare della tiroide (CMT) rappresenta il 5-10% di tutti i tumoritiroidei. La maggior parte (circa il 75%) dei CMT sono sporadici, mentre il re-stante 25% dei casi di CMT è di tipo ereditario: il carcinoma midollare familiare(fCTM) e le forme associate alle neoplasie endocrine multiple di tipo 2 (MEN2).L’incidenza annuale di CMT è stimata intorno a 0,1-0,2/ 100.000. Il CMT ori-gina dalle cellule C parafollicolari della tiroide, derivanti dalla cresta neurale. Lecellule C parafollicolari secernono, primariamente, la calcitonina (CT), che rap-presenta il marker più sensibile e specifico per la diagnosi e la gestione delCMT.

GeneticaSono state individuate talune mutazioni specifiche coinvolgenti il protoncogeneRET, responsabili dello sviluppo del CMT. Il test genetico del protoncogene RETriveste, evidentemente, un ruolo primario nella diagnosi differenziale del CMTsporadico dalle forme familiari. Le forme sporadiche di CMT sono caratterizzate dalla presenza di mutazioni delprotoncogene RET a livello delle cellule somatiche che coinvolgono prevalen-temente i codoni 918 e 768.Nelle forme ereditarie di CMT sono note le seguenti mutazioni del gene RET acarico della linea germinale:• MEN2A: mutazioni del dominio extracellulare di RET a carico degli esoni

10 e 11, coinvolgenti i seguenti codoni: 609, 611, 618 e 620 di pertinenzadell’esone 10, ed il codone 630 e 634 a carico dell’esone 11

• MEN2B: soprattutto mutazioni a carico del codone 918 (in circa il 90% deicasi) dell’esone 16; tuttavia, sono state descritte altre mutazioni a caricodei codoni 604, 806, 883, 922 dell’esone 15

• fCMT: sono presenti in circa il 50% dei casi mutazioni a carico dei codoni618 o 620 dell’esone 10; sono state anche descritte mutazioni a carico deicodoni 790, 791, 768, 804, 891 degli esoni 13-15.

E’ stata descritta una buona correlazione genotipo-fenotipo caratteristica diogni variante delle forme familiari di CMT derivante da mutazioni diverse delgene RET, per quanto riguarda l'aggressività ed il tempo di insorgenza del car-cinoma midollare della tiroide. Le diverse mutazioni, infatti, sono state classi-ficate in quattro classi di rischio crescente sulla base dell’aggressività del MTC:livello A, pazienti affetti principalmente da MTC familiare (mutazioni dell’esone

13 [codoni 768, 790], esone 14 [codone 804] ed esone 15 [codone 891]), con-siderati a basso rischio, con comparsa della neoplasia in età adulta; livello B,pazienti affetti da MTC principalmente nell’ambito di MEN2A (mutazioni del-l’esone 10 [codoni 609, 611, 618, 620 ] ed esone 11 [codone 630]), conside-rati a rischio intermedio con esordio precoce della malattia ed indicazione adeseguire una tiroidectomia profilattica all’età di 5 anni; livello C, pazienti affettida MTC esclusivamente nell’ambito di MEN2A, con mutazione dell’esone 11[codone 634], che condiziona l’insorgenza di forme più aggressive del MTC ri-spetto alle altre mutazioni delle MEN2A, con esordio prima dei 5 anni di vita (ti-roidectomia profilattica entro il quinto anno di vita); livello D, pazienti conpresentano tipicamente la MEN2B (mutazioni dell’esone 15 [codone 883] edesone 16 [codone 918]) a più alto rischio di sviluppo precoce della neoplasia,di evoluzione aggressiva del MTC con malattia metastatica anche alla diagnosi(tiroidectomia profilattica entro il primo mese di vita).

2.2 PERCORSO DIAGNOSTICODosaggio della calcitonina siericaLa misurazione dei livelli plasmatici di calcitonina (CT) è di estrema importanzanella diagnosi del CMT della tiroide. Le linee guida indicano come limite mas-simo del range di normalità della calcitonina plasmatica il valore di 10 pg/ml.Pazienti con valori di calcitonina compresi tra 10 pg/ml e 20 pg/ml possono es-sere sottoposti a follow up (dosaggio della CT basale e FNAB di eventuali no-duli tiroidei periodici). Per livelli di CT compresi tra 20 pg/ml e 100 pg/ml èindicata l’esecuzione di test di stimolo della CT, utile nella diagnosi differenzialetra il CMT e l’iperplasia a cellule C della tiroide. Valori di CT maggiori di 100pg/ml sono fortemente sospetti di CMT della tiroide ed, in questi casi, è indi-cato l’intervento chirurgico. Sono state individuate delle situazioni patologicheche possono essere alla base di rialzi aspecifici della CT (per es. insufficienzarenale cronica, tumori maligni neuroendocrini, ipercalcemia, ipergastrinemia,tiroidite cronica linfocitaria, il fumo di sigaretta, ecc.) che devono essere esclusenella corretta interpretazione dei livelli sierici di CT. La sensibilità del dosaggiodella sCT nella diagnosi del CMT è del 98%. Nel sospetto di CMT, il consensualedosaggio del CEA e della Cromogranina A, consente una più adeguata stratifi-cazione biochimica della malattia e della classe di rischio del paziente nel preo-peratorio, elementi fondamentali per avere un corretto approccio terapeutico.

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della tiroide

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E’ ampiamente noto e documentato in letteratura che il carcinoma anaplasticodella tiroide rappresenta una neoplasia altamente aggressiva associata ad unaprognosi infausta. Generalmente il quadro tipico di presentazione del carci-noma anaplastico della tiroide al momento della diagnosi è quello di una neo-plasia con estesa infiltrazione loco-regionale e/o con metastasi a distanza, perla quale le opzioni di trattamento rimangono limitate e controverse e, nella granparte dei casi, sono unicamente volte ad un intento palliativo finalizzato a mi-gliorare la qualità di vita dei pazienti affetti. Inoltre, in considerazione della ra-rità e dell’aggressività intrinseca di questa neoplasia, i dati riportati in letteraturariflettono esperienze retrospettive condotte su casistiche esigue di pazienti.Tutti i carcinomi anaplastici della tiroide sono considerati stadio IV per con-venzione (AJCC/UICC) (tabella 6).

I pazienti affetti da carcinoma anaplastico in stadio IVA possono essere consi-derati potenziali candidati per un trattamento multimodale che comprenda unaresezione chirurgica con intenti radicali. Lo stadio IVB (circa il 40-60% dei casi)

3. Carcinoma anaplastico della tiroide

4.1 Sistema di qualità in chirurgia della tiroideConsiderazioni preliminariIl Sistema di Qualità è uno strumento che si propone di descrivere i requisitiorganizzativi, strutturali e gestionali minimi per definire uno standard nel-l’ambito delle specifiche attività.Tramite revisione della letteratura internazionale riguardante la chirurgia dellatiroide è stato possibile identificare in maniera inequivocabile i requisiti ne-cessari per la definizione di:• Chirurgo esperto ≥ 100 interventi tiroidei/anno

(Sosa & coll.; Stavrakis & coll.)• High-volume center (HVC) ≥ 100 interventi tiroidei/anno

(Gourin CG & coll.; Lifante JC & coll.; Mitchell J & coll.; Pieracci FM &coll.)

Inoltre la bibliografia internazionale mostra, nell’incidenza di complicanzeper interventi di chirurgia tiroidea, un range entro cui si concentrano la mag-gior parte dei dati specifici:• lesione ricorrenziale definitiva 0.4-4.6 % • ipoparatiroidismo definitivo 0.2-7.2 %• emorragia post-operatoria 0.5-4.0 %Esiste, peraltro, una relazione evidente tra il “volume” di casi trattati per pa-tologia tiroidea e la riduzione delle complicanze postoperatorie, dei re-inter-venti “evitabili” per patologia maligna e dei costi complessivi della degenza.In particolare:• è documentata una relazione statisticamente significativa tra l’aumento

dell’esperienza dell’operatore e la riduzione delle complicanze inter-vento-specifiche (Sosa & coll.; Stavrakis & coll., Gourin CG & coll.)

• l’aumento del volume del centro è associato ad una riduzione del numero dire-interventi “evitabili” per patologia maligna (11% nei centri con >20 in-terventi/anno vs 56% nei centri con < 20 interventi/anno) (Mitchell J. & coll.)

• esiste una relazione statisticamente significativa tra l’aumento del vo-

lume dell’operatore e la riduzione dei costi. In particolare è stata osser-vata una maggiore riduzione dei costi relativi alla ptologia maligna se“Surgeon Volume” > 100 interventi/anno (Sosa & coll.; Stavrakis & coll.).

Infine, i dati raccolti hanno mostrato una relazione tra percentuale di casi dicancro tiroideo trattati e hospital/surgeon volume: centri con alto volume e chi-rurghi esperti trattano una percentuale di casi di cancro tiroideo ≥ 30% (range31-37.3%) sul numero totale dei pazienti con patologia tiroidea operati.

RaccomandazioniSulla base di quanto finora esposto, con accordo unanime dei partecipantialla Rete Oncologica Regionale per i Tumori della Tiroide, si raccomandache il tasso di complicanze “accettabile” per un centro di riferimento dichirurgia della tiroide possa essere:• lesione ricorrenziale definitiva ≤ 1,5%• ipoparatiroidismo definitivo ≤ 3,0%• emorragia post-operatoria ≤ 2,0% Si raccomanda, inoltre, che nell’ambito della Rete Oncologica Regionale, e piùin generale in un sistema di qualità in chirurgia, i seguenti interventi siano in-viati presso centri di chirurgia della tiroide ad alto flusso:• carcinoma tiroideo recidivo• carcinoma midollare della tiroide• carcinoma localmente avanzato• necessità di eseguire linfoadenectomia del compartimento centrale e/o

latero-cervicale (casi ad alto rischio, sospetto preoperatorio di linfonodimetastatici)

• gozzo mediastinico• linfoma tiroideo• metastasi a localizzazione tiroidea• reintervento in loggia tiroidea• neoplasie tiroidee in età pediatrica

4. Sistema di qualità della rete oncologica regionale per i tumoridella tiroide - maggio 2011

Tabella 6. STADIAZIONE TNM 7^ edizione (2010). Carcinoma Anaplastico della Tiroide

Stadio IVAT4a, qualsiasi N, M0T4a- ca anaplastico intra-tiroideo

Stadio IVBT4b, qualsiasi N, M0T4b- ca anaplastico con estesa infiltrazione extra-tiroidea

Stadio IVC Qualsiasi T, qualsiasi N, M1

2.6 BIBLIOGRAFIA• Pinchera A, Elisei R. Medullary thyroid cancer: diagnosis and management. Prac-

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

Pagina 62

comprende un gruppo eterogeneo di pazienti affetti da tumori che nella mag-gior parte dei casi non sono suscettibili di trattamento chirurgico, per i quali leopzioni di trattamento sono estremamente controverse. Infine, i pazienti in sta-dio IVC sono considerati potenziali candidati per trials clinici o terapie palliative.

3.1 TERAPIA RADIANTE ESTERNA E CHEMIOTERAPIAL’elevatissima aggressività locale e sistemica del carcinoma anaplastico, con-siderato per definizione allo stadio IV, relega la terapia radiante esterna all’in-dicazione di palliazione. Per quanto riguarda i chemioterapici, alcuni studiraccomandano di considerare la Doxorubicina o il Paclitaxel in monoterapia oin combinazione. Tuttavia queste evidenze si basano su dati limitati ed in fasedi validazione. In alcune esperienze è stata riportata l’integrazione della tera-pia radiante esterna con la chemioterapia, con risultati complessivamente de-ludenti, dato che l’associazione ha consentito di migliorare solo marginalmentee non significativamente il risultato della sola irradiazione. Appaiono tuttavia in-teressanti, almeno nei presupposti, le esperienze che hanno utilizzato la tera-pia radiante esterna con schemi di frazionamento non convenzionali, in

associazione con chemioterapia. Tuttavia, la tossicità acuta dei regimi iperfra-zionati o accelerati, associata alla chemioterapia (specie se con antracicline),è molto elevata. E’ necessaria, quindi, estrema prudenza nel porre l’indica-zione ad una condotta terapeutica aggressiva, specie tenendo conto del fattoche, anche se si riuscisse ad ottenere una “radicalità” locale, la maggior partedi questi pazienti morirebbe a seguito della diffusione sistemica. Su tali farmaci non esistono al momento dati conclusivi tali da poterli includerein un protocollo terapeutico.

3.2 BIBLIOGRAFIA• Ito K, Hanamura T, Murayama K, Okada TO, et al. Multimodality therapeutic out-

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della tiroide

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Figura 1. Flow chart paziente con nodulo tiroideo

Valutazione chirurgica

Valutazione nodulo tiroideo(ecografia, FNAB)

Test geneticiImaging di II livello

Intervento chirurgico

Visita endocrinologica

Valutazione medico-nucleare

Ablazione

Follow up(eco collo, tireoglobulina, WBS)

Esame istologico

Tumefazione del collo Familiarità

Riscontro occasionaleValutazione MMG

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4.2 Sistema di qualità in endocrinologiaConsiderazioni preliminariIl Sistema di Qualità è uno strumento integrato che si propone di descriverei requisiti organizzativi, strutturali e gestionali minimi per definire uno stan-dard di qualità all’interno di unità di endocrinologia che si occupino della dia-gnosi, terapia e follow-up del carcinoma della tiroide.Nella gestione del paziente affetto da carcinoma della tiroide un ruolo im-portante è rivestito dalla struttura di Endocrinologia, in quanto essa lo ac-compagna in diverse fasi della sua malattia (diagnosi e indicazioneterapeutica, gestione post-chirurgica del paziente operato, follow-up post-chirurgico e/o post-ablativo). Durante tale percorso, la struttura di Endocrinologia si rapporta con le altrespecialità coinvolte nel trattamento di questa malattia, al fine di ottimizzarela gestione d’insieme del paziente. Pertanto è necessario che all’interno diqueste strutture vi sia un network/centro multidisciplinare dedicato (che in-cluda endocrinologo, chirurgo endocrino, cito/istopatologo, medico nucleare,

laboratorista, genetista/biologo molecolare, radiologo), al fine di ottimizzarela Qualità nella diagnosi, terapia e follow up del carcinoma tiroideo (figura 1).Un Centro di riferimento per l’Endocrinologia è imperniato sulla presenza diendocrinologi che abbiano ampia esperienza nella gestione clinica del noduloe del carcinoma tiroideo. Il Centro dovrebbe valutare in regime ambulato-riale almeno 3000 pazienti/anno affetti da tireopatia e deve potersi avvaleredi ecografisti dedicati alla diagnostica per immagini della tiroide e del collo.Si definisce ecografista esperto un medico che esegua almeno 1000 eco-grafie cervicali/anno.Il passo successivo nella diagnostica dei carcinomi della tiroide, a fronte diuna adeguata selezione dei noduli meritevoli di approfondimento citologicomirato, è l’esecuzione dell’agoaspirato tiroideo ecoguidato (FNAB). Un Cen-tro di riferimento deve adottare un sistema di reporting standardizzato e cer-tificato (preferibilmente SIAPEC/IAP 2007 per poter comparare i parametridi efficacia). E’ ampiamente dimostrato in letteratura che la percentuale dicampioni inadeguati e di falsi-negativi si riduce all’aumentare dell’esperienzadegli operatori (endocrinologo, citologo, ecc.), e pertanto un Centro di riferi-mento deve effettuare almeno 500 FNAB/anno e i referti non diagnostici nondovrebbero essere superiori al 15% (SIAPEC/IAP 2007; AACE/AME/ETA Gui-delines 2006).Un Centro di riferimento deve avere una rete garantita dalla collaborazionecon: • Centro di Chirurgia della tiroide ad alto flusso, che esegua almeno 100

tiroidectomie/anno, e di queste almeno il 30% con istologia deponenteper carcinoma della tiroide.

• Centro di Medicina Nucleare che abbia posti letto in degenza protettaper la somministrazione della terapia radiometabolica con radioiodio.

Nel follow up del carcinoma tiroideo operato riveste un ruolo centrale il do-saggio della tireoglobulina, che assieme all’ecografia del collo costituisce ilmetodo più sensibile per identificare una recidiva del carcinoma. Pertanto deve sempre essere possibile disporre di tecniche di dosaggio ul-trasensibili di questo marcatore e dotarsi di un rigido sistema di controllodella qualità sia interno che esterno (VEQ). Un Centro di riferimento dovrebbe inoltre essere dotato di una Unità di En-docrinologia con possibilità di erogare farmaci con rimborso in file F (i.e.:

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

Pagina 64

rhTSH), per poter eseguire valutazioni della tireoglobulina dopo stimolo conrhTSH nel follow-up del carcinoma tiroideo, e dovrebbe disporre della PETquale metodica di imaging di II livello.

RaccomandazioniSulla base di quanto sopra esposto, si raccomanda che un Centro di riferi-mento preveda:• la presenza di un centro integrato esclusivamente dedicato alla patolo-

gia neoplastica della tiroide• l’esecuzione di > 500 agoaspirati della tiroide/anno• l’effettuazione di 500-1000 ecografie cervicali/anno• la gestione di > 300 nuovi casi e controlli per carcinoma della

tiroide/anno.

4.3 Sistema di qualità in medicina nucleareConsiderazioni preliminariL’allestimento di un programma di assicurazione di qualità per la terapia conradioiodio del carcinoma tiroideo deve considerare aspetti di radioprotezione(per il paziente, lo staff e la popolazione) e di scelta dell’attività da sommi-nistrare. Da un punto di vista generale tale programma deve contemplare lavalutazione dei processi operativi, la gestione delle apparecchiature per ima-ging e dosimetria e gli aspetti di qualità relativi alla preparazione del radio-farmaco. Per quanto riguarda i processi operativi è opportuno fare riferimento al do-cumento “Linee Guida per il Miglioramento della qualità nelle Strutture diMedicina Nucleare” prodotto da AIMN nel 2005. Per gli aspetti di qualità nella gestione delle apparecchiature per imaging edosimetria e per quelli relativi alla qualità nella preparazione dei radiofar-maci è necessario fare riferimento, rispettivamente, alle raccomandazioni elinee guida pubblicate ed alle Norme di Buona Preparazione in Medicina Nu-cleare (NBP-MN).

Criteri e indicatori di qualitàIl primo processo operativo da sottoporre a controllo di qualità è la fase di va-lutazione della proposta di trattamento avanzata dal prescrivente ed esami-nata dallo specialista nel corso della visita medico nucleare pretrattamento.Nel corso della visita viene esaminata la documentazione clinica utile a porrela giustificazione al trattamento (DL187/00 art. 3). La possibilità che un trattamento con radionuclidi per via sistemica possaindurre effetti deterministici e aumenti la probabilità di quelli stocastici ob-bliga lo specialista a valutare la giustificazione in maniera accurata, consi-derando attentamente gli aspetti di ordine etico, economico, diappropriatezza e di sicurezza del paziente (Dlvo 187/00 art. 3). Come noto, il processo di giustificazione consiste nel valutare se i “potenzialivantaggi” di una esposizione medica superano “il danno alla persona” chel’esposizione stessa potrebbe causare, analizzando la procedura da metterein atto sia alla luce della “Giustificazione Generale della Pratica” che in ter-mini di “Giustificazione Individuale della Pratica”. Mentre il primo tipo di giustificazione deve rispondere a quanto indicato daLinee Guida, Raccomandazioni e Consensus Conference emanate dalle So-cietà Scientifiche, la giustificazione individuale avviene rapportando le indi-cazioni generali al caso clinico in questione. In tale ambito è necessario considerare anche vantaggi e limiti di terapie al-ternative che non comportano esposizione o comportano minor esposizionea radiazioni ionizzanti. La pianificazione operata secondo principi di qualitàdeve tener conto delle modalità di esecuzione in regime ambulatoriale o di

degenza protetta secondo quanto previsto dalla normativa vigente(DL187/00, all. I, parte II, punto 7), dell’autorizzazione all’impiego ed alla de-tenzione annua e settimanale del radionuclide indicato per il trattamento. In caso di trattamento effettuato in regime di ricovero protetto deve esserevalutata la disponibilità di posti letto e l’eventuale loro differente tipologia inrelazione alle caratteristiche cliniche del paziente. La lista di attesa, in formato elettronico o cartaceo, deve essere sempre ac-cessibile in ottemperanza ai principi di trasparenza richiesti dalla legisla-zione corrente. In fase di accettazione del paziente deve essere effettuata unaapprofondita anamnesi, verificata e raccolta la documentazione clinica inpossesso del paziente, vengono eventualmente eseguite ulteriori indaginidiagnostiche pretrattamento ed effettuato per tutte le donne in età fertile testdi gravidanza preferibilmente per via ematica. La fase di scelta dell’attivitàe di somministrazione del trattamento deve rispondere a criteri di qualità diordine clinico e radioprotezionistico. La scelta dell’attività deve rispondere ai criteri di ottimizzazione esplicita-mente richiesti dalla Direttiva Europea 97/43 MED e recepiti nel DL187/00(Art. 4, comma 1). Lo specialista responsabile del reparto di degenza dimetteil paziente previa valutazione del rispetto delle prescrizioni ad esso fornite.Al paziente devono essere consegnate prescrizioni di ordine diagnostico-terapeutico oltre alle obbligatorie informazioni ed istruzioni scritte di ordineradioprotezionistico. Queste riguardano in particolare il tempo di permanenza e distanza daglialtri da parte del paziente, il suggerimento di evitare luoghi molto affollati oeventi sociali, quello di ridurre l’impiego dei mezzi di trasporto pubblico, l’at-tento uso dei servizi igienici, i contatti con donne in gravidanza e bambini,l’indicazione ad evitare gravidanza o paternità per 4-6 mesi, interromperel’eventuale allattamento al seno (in caso di radioiodio), dormire in camerediverse o separare i letti, ripresa del lavoro in funzione dell’occupazione pro-fessionale ed il comportamento da seguire in caso di ricovero d’urgenza. Lafase di dimissione viene accompagnata dalla consegna al paziente della let-tera di dimissione che deve contenere indicazioni terapeutiche e consigli sulfollow-up e dall’archiviazione del referto con chiusura della pratica ammini-strativa. Il DL 187/00 richiede in maniera esplicita che la fase di sorveglianzapost-trattamento venga effettuata anche dal medico specialista allo scopo diverificare il risultato clinico e come forma di controllo dell’insorgenza di even-tuali danni di tipo deterministico o stocastico.

Controllo di qualità delle apparecchiature per imaging e dosimetriaPer applicazioni in ambito terapeutico (acquisizione di dati per calcoli dosi-metrici ed immagini ottenute con attività terapeutiche), le comuni apparec-chiature utilizzate in medicina nucleare (calibratori di dose, sonde perrilevazione esterna, gamma camere) presentano, per quanto riguarda i co-muni controlli di qualità, problematiche specifiche. I calcoli quantitativi necessari a fini dosimetrici e l’elevato flusso fotonicodovuto all’elevata energia dello 131I aprono problematiche di controllo diqualità diverse da quelle presenti in ambito diagnostico. In caso di contem-poranea rilevazione scintigrafica whole body in anteriore e posteriore, tecnicafrequentemente utilizzata dopo somministrazione di attività terapeutiche, èessenziale verificare l’uniforme velocità di scansione delle due testate dellagamma camera. Il controllo di qualità della risoluzione e della linearità spa-ziale in modalità intrinseca deve essere effettuato utilizzando un fantoccio abarre a quattro quadranti, valutando la capacità di distinguere le diverse fen-diture di ogni quadrante. Un problema molto frequente nella quantificazione a scopo dosimetrico ef-fettuata su immagini acquisite dopo somministrazioni di attività terapeuticheè quello del tempo morto, che determina saturazione della capacità di con-

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della tiroide

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teggio ed ampia sottostima dei conteggi reali e difficoltà per la quantifica-zione della dose. In letteratura sono stati proposti diversi possibili rimedi,come la schermatura del detector con pannelli di piombo di 6,4 mm di spes-sore, l’uso di sorgenti standard per misurare l’avvenuta perdita di conteggie l’impiego del calcolo preliminare con curva di count rate su fantoccio el’impiego di immagini planari whole-body di tipo step and shot con com-pensazione, attraverso adeguato programma, delle discontinuità delle im-magini tra due adiacenti campi di vista dovute alla differente perdita diconteggio da tempo morto.

Aspetti di qualità relativi alla preparazione del radiofarmacoLa qualità nella preparazione dei radiofarmaci utilizzati in terapia deve essereassicurata in base a quanto previsto dalle NBP-MN. Il radioiodio, utilizzato nella diagnostica e terapia del carcinoma differenziatodella tiroide, viene classificato come radiofarmaco già pronto per l’uso, inpossesso di autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) e commercia-lizzato in conformità al DM 13 dicembre 1991. E’ un prodotto industriale fi-nito, distribuito in forma di soluzione o capsule per uso orale o soluzioneiniettabile, per il quale valgono le modalità di preparazione relative alle pre-parazioni già pronte per l’uso.

RaccomandazioniSulla base di quanto finora esposto, si raccomanda:• l’esecuzione della scintigrafia con attività terapeutica di radioiodio

(TxWBS) anche il giorno della dimissione dalla degenza protetta• l’adozione di una soglia di 30 µSv/h/m, corrispondente a circa 16 mCi di

131I ritenuti, come criterio di dimissione del paziente dalla degenza pro-tetta.

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

Pagina 66

Coordinatore: Massimo Martelli

F. Coloni, F. Facciolo, P. Granone, M. Martelli, C. Mineo, E. Rendina,A. Ceribelli, E. Cortesi, F. De Marinis, F. Longo, O. Martelli, I. Pavese, M. Rinaldi,

V. Donato, E.R. Maurizi, A. Mirri, E. David, P. Ialongo,T. Faraggiana, P. Graziano, G. Galluccio

Criteri di appropriatezza clinicaed organizzativa nella diagnosi,

terapia e follow-updel carcinoma polmonare

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma polmonare

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1. Introduzione

Le neoplasie polmonari rappresentano un problema oncologico dominante,caratterizzato dalla ridotta percentuale di pazienti guaribili. I pazienti che at-traversano una fase in cui la malattia si può considerare passibile di tratta-mento devono poter usufruire di un rapido accesso alla diagnosi e aitrattamenti integrati più efficaci. Per i pazienti con malattia avanzata devonoessere disponibili cure palliative e assistenza continua. Tradizionalmente lagestione dei pazienti con sospetto carcinoma polmonare è caratterizzata dauna sequenza di accertamenti e visite di diversi specialisti con tempi lunghi,valutazione frammentaria e scarsamente coordinata, cui seguono spessodecisioni inappropriate. Per tali ragioni il carcinoma polmonare deve essere affrontato in modo mul-tidisciplinare sin dall’esordio e conseguentemente, ogni singolo caso, indi-pendentemente dallo stadio iniziale, deve essere valutato nell’ambito di ungruppo interdisciplinare di cure, che per il carcinoma polmonare prevede lapresenza di pneumologo, radiologo, medico nucleare, chirurgo toracico, ana-tomopatologo, radioterapista, oncologo clinico, e specialista di cure palliative. A seconda di specifiche necessità può essere richiesta la presenza del ge-netista e del fisiatra.E’ preferibile che la maggioranza di queste figure professionali insistano fi-sicamente nella medesima struttura. Ai fini terapeutici continua ad essereconsiderato separatamente l’approccio per il carcinoma polmonare non apiccole cellule (80% dei carcinomi polmonari) da quello del carcinoma pol-monare a piccole cellule (20%).

2.1 Identificazione, caratterizzazioneNel SOSPETTO CLINICO DI NEOPLASIA POLMONARE (es. paziente con emof-toe) l’esame di prima istanza (grado d raccomandazione g.r. A) è rappresen-tato dalla radiografia del torace eseguita nelle due proiezioni ortogonali (PAe LL). L’esame radiografico può risultare negativo, pur in presenza di celluleneoplastiche nell’escreato bronchiale, o con un quadro diverso a seconda

della sede della neoplasia: la neoplasia endobronchiale può caratterizzarsiper atelettasia parziale o completa di un lobo o dell’intero polmone; la neo-plasia intraparenchimale si presenta come nodulo (diametro compreso tra 1e 3 cm) o massa polmonare (diametro maggiore di 3 cm). L’esame di seconda istanza (g.r. A) è rappresentato dalla TC del torace chepresenta valori di sensibilità maggiori nella identificazione di lesioni polmo-nari di piccole dimensioni ma espone il paziente ad una maggiore dose di ra-diazioni ionizzanti. Nella CARATTERIZZAZIONE DI UN NODULO POLMONARE SOLITARIO (lesionefocale del diametro massimo compreso tra 1 e 3 cm parzialmente circondatada parenchima polmonare aerato) l’esame radiografico del torace è in gradodi caratterizzare correttamente un nodulo polmonare solo se interamentecalcifico, espressione di pregresso processo flogistico specifico (g.r. C).L’esame più accurato è rappresentato dalla TC del torace (g.r. A) eseguitacon somministrazione ev di mdc (tabella 1); tale metodica è in grado di de-terminarne:• le caratteristiche morfologiche• la densità (presenza di calcio, grasso ed enhancement contrastografico)• la velocità di crescita.Un valore di enhancement > 30 UH calcolato ad 1, 2, 3 e 4 minuti dall’iniziodell’infusione ev di mdc come riferimento per la diagnosi di malignità dellalesione ha elevati valori di sensibilità, specificità, accuratezza (98%, 58%,77%) ed un elevato VPN. Nella caratterizzazione di nodulo polmonare solita-rio (NPS), la PET/TC ha elevata accuratezza diagnostica nella caratterizza-zione di noduli maligni > 1 cm, che presentano accumulo di FDG superioreall’attività vascolare nel mediastino. La broncoscopia è l'esame che permette, mediante la biopsia transbron-chiale, la caratterizzazione e la tipizzazione in una elevata percentuale di le-sioni periferiche di dimensioni fra i 2 ed i 4 cm, anche grazie alla guidaradioscopica e ecografica, e deve essere sempre eseguita, anche per com-pletare l'iter stadiativo.

2. Diagnosi e stadiazione

INDICE

1. Introduzione Pagina 69

2. Diagnosi e Stadiazione Pagina 69

2.1 Identificazione, caratterizzazione Pagina 69

2.2 Valutazione di estensione di malattia Pagina 70

2.3 Stadio e “Risk assessment” Pagina 72

2.4 Criteri di diagnosi, di stadiazione istologica e indagini molecolari Pagina 74

3. Carcinoma del polmone non a piccole cellule (NSCLC) Pagina 74

3.1 Trattamento della malattia “early stage” Pagina 74

3.2 Trattamento della malattia localmente avanzata Pagina 77

3.3 Trattamento della malattia avanzata Pagina 78

3.4 Trattamento di II linea e successive Pagina 78

3.5 Pazienti anziani o con PS2 Pagina 78

3.6 Valutazione delle Risposte e Follow-up Pagina 78

3.7 Ricanalizzazione delle vie aeree Pagina 78

3.8 Chirurgia del IV stadio (metastasi solitaria) Pagina 79

3.9 Follow-up del paziente radicalmente operato Pagina 79

4. Carcinoma del polmone a piccole cellule (SCLC) Pagina 79

5. Valutazione delle Attività per Accreditamento ed Eccellenza Pagina 80

5.1 Chirurgia Pagina 80

5.2 Terapia medica Pagina 80

5.3 Radioterapia Pagina 80

5.4 Endoscopia Pagina 81

5.5 Patologia Molecolare Pagina 84

5.6 Radiodiagnostica Pagina 85

5.7 Counselling psicologico e/o psichiatrico Pagina 85

6. Bibliografia Pagina 86

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

Pagina 68

Il gruppo di lavoro ha preso come riferimento ed approvato, apportando al-cune modifiche ed aggiornamenti, il documento “Quaderni del Ministero dellaSalute: Criteri di appropiatezza diagnostico terapeutica – Le neoplasie pol-monari”, n° 2 marzo-aprile 2010.

Incidenza e mortalità Il carcinoma polmonare è divenuto nel corso del 20° secolo uno dei princi-pali problemi socio-sanitari dei paesi industrializzati, ed è destinato a diven-tarlo nei paesi in via di sviluppo. Negli ultimi decenni anche a causa del diffondersi anche nel sesso femmi-nile dell’abitudine tabagica, l’incidenza della malattia fra le donne è andataprogressivamente aumentando, così che il rapporto d’incidenza fra maschie femmine è passato dal 5:1 di circa 20 anni fa all’attuale 2.5:1. In Italiamuoiono per carcinoma polmonare circa 35.000 persone all'anno (circa27.000 uomini e 6.000 donne), rappresentando la prima causa di morte on-

cologica negli uomini e la seconda nelle donne. Va sottolineato come oltre unterzo delle nuove diagnosi di carcinoma polmonare sono poste in individui dietà > 70 anni di età. L’innegabile progresso dei mezzi diagnostici non ha sostanzialmente mutatola storia naturale del tumore: più dei due terzi dei casi ha già interessamentolinfonodale loco-regionale o metastasi a distanza al momento della diagnosi,la sopravvivenza complessiva a 5 anni si assesta intorno al 15% negli StatiUniti e 10% in Europa, restando sostanzialmente invariata nel corso degli ul-timi 15 anni. In considerazione del ruolo predominante del fumo di tabaccoquale fattore eziologico, campagne antifumo e programmi di counseling perfumatori dovrebbero essere considerate quali parte di un processo integratoassistenziale. Pur in assenza al momento attuale di evidenza comprovatacirca modalità di diagnosi precoce, la ricerca clinica in questo settore do-vrebbe costituire, in senso lato, uno di principali obiettivi dei centri di eccel-lenza.

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma polmonare

Pagina 69

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identificazione di residuo di malattia metabolicamente attivo a livello del T edel N. Per eventuali falsi positivi correlati a flogosi reattive l’indagine va ese-guita non prima di 60 gg dalla fine del trattamento.Nel FOLLOW UP il ricorso all’indagine TC cranio torace ed addome superioreè indicato (g.r. A) in caso di sospetto clinico di ripresa di malattia o per va-riazioni del piano di trattamento. Solo in specifiche circostanze o per diri-mere casi dubbi all’esame TC può essere indicato il ricorso all’esame PET-TC.Il ricorso a metodiche di diagnostica invasive può essere comunque utile incaso di:

• tumore a localizzazione centrale• tumore a localizzazione centrale con coinvolgimento linfonodale N1 in

PET-TC• BAC (carcinoma bronchiolo-alveolare)• linfonodi con asse corto > 16 mm in TCSolo in caso di neoplasia T1, N0, M0 non è necessario il ricorso a metodicheinvasive di staging pre-operatorio. In tutti gli altri casi l’interessamento meta-statico linfonodale deve essere escluso con il ricorso a diagnostica invasiva.La flow-chart relativa alla diagnostica per immagini è riportata nella tabella 2.

2.2 Valutazione dell’estensione di malattia.Nella STADIAZIONE PRETRATTAMENTO TNM del tumore del polmone l’in-dagine indicata (g.r. A) è rappresentata dall’esame TC cranio torace ed ad-dome superiore con somministrazione ev di mdc.• T: l’esame TC è in grado di valutare con elevata accuratezza l’infiltrazione

della parete toracica, del mediastino e del diaframma. La RMN non pre-senta maggiori vantaggi rispetto alla TC. Può essere utile nella valuta-zione del tumore dell’apice polmonare e nel Paziente con documentatareazione allergica al mdc iodato

• N: bassa è la sensibilità della TC nella identificazione di metastasi linfo-nodali in quanto tale metodica utilizza un parametro dimensionale (lin-fonodi con asse corto > 1 cm considerati sede di metastasi). Può essereperò utilizzata come “atlante anatomico” per le metodiche di diagno-stica invasiva ai fini di eventuali procedure bioptiche sulle stazioni linfo-nodali mediastiniche od ilari

• M: utile per localizzazioni extratoraciche craniche e addominali (surre-naliche). (In caso di sospette lesioni encefaliche è utile eseguire RM delcranio per meglio definire numero e caratteristiche delle lesioni).

L’esame PET-TC presenta una più elevata accuratezza diagnostica rispettoalla TC nella identificazione di metastasi linfonodali (N) e a distanza (M): i

casi di captazione patologica a livello linfonodale mediastinico (N2-N3) de-vono essere sottoposti a stadiazione invasiva per gli elevati falsi positivi ca-ratteristici della metodica (figura 1, 2).Le metodiche di stadiazione endoscopica o chirurgica mininvasiva come EUS(ultrasuonoendoscopia transesofagea), EBUS (endobroncoscopia con ultra-suoni), TBNA (biopsia transbronchiale con ago sottile) e mediastinoscopia sicaratterizzano per l’elevato grado di accuratezza diagnostica nella stadia-zione mediastinica. Sono indicate in specifiche circostanze quali tumore a lo-calizzazione centrale, tumore a localizzazione centrale con coinvolgimentolinfonodale N1 in PET-TC, BAC (carcinoma bronchiolo alveolare), presenza dilinfonodi con asse corto > 16 mm in TC. Possono essere omesse in Pz constadio clinico I (T1/T2N0M0) e PET-TC negativa a livello mediastinico. E’ inol-tre importante ricordare che tali metodiche non espongono il paziente a ra-diazioni.Nella VALUTAZIONE DELLA RISPOSTA AL TRATTAMENTO CT/RT indicato èl’esame TC cranio torace ed addome superiore con somministrazione ev dimdc (g.r. A): la valutazione della risposta si basa su variazioni dimensionalidella lesione parenchimale e dei linfonodi. L’accuratezza è limitata per la dif-ficoltà a differenziare il tessuto neoplastico da alterazioni post-attiniche. Lametodica PET-TC è anch’essa indicata (g.r. A) per l’elevata sensibilità nella

Tabella 1. Raccomandazioni per la gestione del nodulo polmonare solitario

Dimensioni (mm) Pazienti a basso rischio* Pazienti a alto rischio**

<4 FUP non necessarioTC a 12 mesiSe nodulo immodificato non ulteriore FUP

4-6TC a 12 mesiSe nodulo immodificato non ulteriore FUP

TC a 6-12 mesiSe nodulo immodificato CT a 18-24 mesi

6-8TC a 6-12 mesiSe nodulo immodificato CT a 18-24 mesi

TC a 3-6 mesiSuccessivamente TC a 9-12 mesi e a 24 se nodulo immodificato

>8TC a 3, 9, 24 mesiValutazione enhancement contrastografico Eventuale PET-TC e/o biopsia

TC a 3, 9, 24 mesiValutazione enhancement contrastograficoEventuale PET-TC e/o biopsia

Tabella 2. La flow-chart della indagini strumentali

Situazione clinica Indagine Raccomandazione Commento

Sospetto clinico di neoplasia polmonare(es. sintomo emoftoe)

Rx del torace (2 proiezioni)

Indicata (A)

Il quadro Rx è diverso a seconda della sede della neoplasia polmonare1) Endobronchiale: possibile atelettasia parziale o completa di un lobo o dell’in-tero polmone2) Intraparenchimale: nodulo (< 3 cm) o massa (> 3 cm) 3) Rx negativa pur in presenza di cellule neoplastiche nell’escreato bronchiale

TC del torace senza e con mdc

Indicata (A)Più sensibile dell’Rx nell’identificazione di lesioni di piccole dimensioni(In corso di validazione l’utilità della TC come mezzo di screening)

Situazione clinica Indagine Raccomandazione Commento

Caratterizzazionedi nodulo polmonaresolitario (NPS)

Rx del torace (2 proiezioni)

Indicata (C) Utile solo in presenza di nodulo interamente calcifico

TC del torace senza e con mdc

Indicata (A)

La TC è più sensibile e accurata. Esame impiegato per determinare:1) le caratteristiche morfologiche, la densità, (nodulo GGO, semisolido e solido,secondo le recenti raccomandazioni della International Association for the Studyof Lung Cancer 2011)2) la presenza di calcio, grasso 3) le caratteristiche densitometriche pre o post-contrasto (enhancement contra-stografico). Un valore di enhancement > 30 UH a 1, 2, 3, 4 min dall’inizio del-l’infusione ev di mdc come riferimento per la diagnosi di malignità della lesioneha elevati valori di sensibilità, specificità, accuratezza (98%, 58%,77%) e un ele-vato VPN4) la velocità di crescita del nodulo

PET-TC Indicata (A)

Elevata accuratezza diagnostica nella caratterizzazione di noduli solidi maligni >1 cm che presentano accumulo di FDG superiore all’attività vascolare nel me-diastino. L’accuratezza è tuttavia minore nel caso di noduli ground-glass (GGO)o semi-solidi

*Minima o assente storia di abitudine tabagica, assenza di ulteriori fattori di rischio (pregressa storia oncologica, storia di esposizioni professionali all’asbesto, all’uranio, al radon)**Storia di prolungata abitudine tabagica, associata ad ulteriori fattori di rischio (pregressa storia oncologica, storia di esposizioni professionali all’asbesto, all’uranio, al radon)

Figura 1. Stadiazione TNM del Tumore del polmone in funzione della disponibilità della metodica PET-TC

Quando è disponibile la metodica PET-TC

TC cranio-torace-addome sup

PET-TC

NegativaN0-M0

PositivaN2-3

Positiva M1

RMN cerebrale se TC encefalicapositiva Trattamento chirurgico Conferma cito-istologica

Metodiche di diagnostica invasive

Trattamento integratoCT/RT

Figura 2. Stadiazione TNM del Tumore del polmone in funzione della disponibilità della metodica PET-TC

Quando non è disponibile la metodica PET-TC

TC cranio-torace-addome sup e scintigrafia ossea

NegativaT1,N0,M0

PositivaN2-3

Positiva M1

RMN cerebrale se TC encefalicapositivaTrattamento chirurgico Conferma cito-istologica

Metodiche di diagnostica invasive

Trattamento integratoCT/RT

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma polmonare

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• T1b Tumore > di 2 ma < 3 cm , circondato da polmone o da pleuraviscerale, e alla broncoscopia non si rilevano segni di invasionepiù prossimale al bronco lobare (per esempio non nel broncoprincipale)

• T2a Tumore > di 3 ma < 5 circondato da polmone o da pleura vi-scerale, e alla broncoscopia non si rilevano segni di invasionepiù prossimale al bronco lobare (per esempio non nel broncoprincipale).Tumore < 5 cm con una qualsiasi delle seguenti caratteristichedi dimensione o estensione:- Interessamento del bronco principale a 2 cm o più distalmentealla carena- Invasione della pleura viscerale- Presenza di atelettasia o polmonite ostruttiva che si estendealla regione ilare, ma non interessa il polmone in toto

• T2b Tumore > di 5 ma < 7 cm circondato da polmone o da pleuraviscerale, e alla broncoscopia non si rilevano segni di invasionepiù prossimale al bronco lobare (per esempio non nel broncoprincipale)

• T3 Tumore > 7 cmTumore di qualunque dimensione che invade direttamente unadelle seguenti strutture: parete toracica (inclusi i tumori delsolco superiore), diaframma, pleura mediastinica, pericardio pa-rietale; o tumore del bronco principale a meno di 2 cm dalla ca-rena, ma senza interessamento della carena stessa; o associatoad atelettasia o polmonite ostruttiva del polmone in toto. Nodulo(i) neoplastico(i) separato(i) nello stesso lobo del primi-tivo.

• T4 Tumore di qualunque dimensione che invade una delle seguentistrutture: mediastino, cuore, grossi vasi, trachea, esofago, nervoricorrente, corpi vertebrali, carena. Nodulo(i) neoplastico(i) inaltro lobo del polmone omolaterale.

Linfonodi regionali: N• NX Linfonodi regionali non possono essere definiti• N0 Non metastasi nei linfonodi regionali• N1 Metastasi nei linfonodi omolaterali peribronchiali e/o omolate-

rali ilari e intrapolmonari, compreso l’interessamento per esten-sione diretta

• N2 Metastasi nei linfonodi mediastinici omolaterali e/o sottocari-nali

• N3 Metastasi nei linfonodi mediastini controlaterali, ilari controla-terali, omo- o controlaterali scalenici, o in quelli sovraclaveari

Metastasi a distanza: M• MX La presenza di metastasi a distanza non può essere definita• M0 Non metastasi a distanza • M1a Tumore con interessamento pleurico maligno, versamento o no-

duli, o versamento pericardico maligno• M1b Nodulo neoplastico in un lobo del polmone controlaterale.

Metastasi a distanza extratoraciche

Classificazione patologica pTNMLe categorie pT, pN e pM corrispondono alle categorie T, N e M, la valutazioneistologica avviene dopo una chirurgia con intento radicale, anche la media-stino scopia deve essere inclusa nella classificazione clinica cTNM.• p N0 L’esame istologico del materiale ottenuto con una linfoadenec-

tomia ilare e mediastinica include di norma 6 o più linfonodi. Sei linfonodi sono negativi, ma il numero di linfonodi è inferiore aquello usualmente esaminato, si classifica come pN0

Classificazione in Stadi

Per quanto riguarda il microcitoma (SCLC), la stadiazione attualmente ac-creditata è la seguente: • Malattia limitata (30% dei pazienti) = confinata ad un emitorace, con o

senza coinvolgimento dei linfonodi mediastinici, ilari, e clavicolari omo-laterali.

• Malattia estesa (70% dei pazienti) = tutto ciò che va oltre (oppure neo-plasia ricorrente).

Risk AssessmentL’analisi degli studi di correlazione dimostra che ancora oggi il principale fat-tore prognostico nel NSCLC rimane lo stadio di malattia. A parità di stadio dimalattia, i fattori prognostici più importanti sono il performance status (PS)e la recente perdita di peso. Le due scale usate per la definizione del PS sonola scala ECOG e il metodo di Karnofsky. In particolare, sembra utile dal puntodi vista prognostico suddividere i pazienti in due gruppi: pazienti con PS 0-1, e pazienti con PS maggiore o uguale a 2. Nelle serie di pazienti esaminateappare evidente come le sopravvivenze dei pazienti con PS pari a 2 siano si-gnificativamente inferiori a quelle dei pazienti con PS 0-1; in parte, tale fe-nomeno sembra essere dovuto alla maggiore incidenza di tossicità deltrattamento in questo sottogruppo di pazienti. Mentre il trattamento dei pa-zienti con PS 0-1 è indicato in modo incontrovertibile, tale approccio è tut-tora in fase di discussione per i pazienti con PS pari a 2. L’età è storicamenteun fattore prognostico importante, anche se le recenti analisi hanno eviden-ziato che l’impatto del trattamento sui pazienti maggiori di 70 anni non siacosì detrimentale come si riteneva in passato, anzi sia vantaggioso per i pa-rametri di sopravvivenza assoluti. I pazienti che hanno perso più del 5% delloro peso corporeo nei 3-6 mesi precedenti hanno una prognosi peggioredei pazienti che non hanno avuto questa sintomatologia. Numerosi studi pub-blicati negli ultimi 15 anni hanno indicato che la mutazione del proto-onco-gene ras, in particolare k-ras, determina una prognosi sfavorevole negliindividui con NSCLC, stadio IV. Inoltre, l’infiltrazione patologica e l’estensione

Situazione clinica Indagine Raccomandazione Commento

Stadiazione pretrattamento

TC cranio, toracee addome superiorecon mdc ev

Indicata (A)

T: accurata nel valutare diametri e l’infiltrazione di:• parete toracica• diaframma• mediastinoN: bassa sensibilità nella stadiazione linfonodale, parametro dimensionale (lin-fonodi con asse corto > 1 cm). Può essere utilizzata come “atlante anatomico”per le metodiche di diagnostica invasiva per la localizzazione linfonodale ai finidi eventuali procedure biopticheM: utile per localizzazioni extratoraciche craniche e addominali (surrenaliche)

TC PET Indicata (A)

Elevata accuratezza diagnostica in particolare nella valutazione di metastasilinfonodali (N) e a distanza (M). I casi di captazione patologica a livello linfono-dale mediastinico (N2-N3) devono essere sottoposti a stadiazione invasiva perelevati falsi positivi caratteristici della metodica)

Metodiche invasiveEUS, EBUS, TBNA, TBNB mediastinoscopia

Indicate in specifiche circostanze

Elevato grado di accuratezza diagnostica nella stadiazione mediastinica. Tali me-todiche possono essere omesse in pazienti con stadio clinico I e PET-TC nega-tiva a livello mediastinico. Sono indicate in caso di:1) tumore a localizzazione centrale2) tumore a localizzazione centrale con coinvolgimento linfonodale N1 in PET-TC3) carcinoma bronchioalveolare4) linfonodi con asse corto > 16 mm in TC

RMIndicata in specifichecircostanze

Non presenta vantaggi rispetto alla TC. Può essere utile nella valutazione deltumore dell’apice polmonare e nei pazienti con documentata importante rea-zione allergica al mdc iodato, e in caso di sospette lesioni encefaliche meta-statiche

Scientigrafia ossea Indicata in specifichecircostanze

Se non effettuata PET

Situazione clinica Indagine Raccomandazione Commento

Valutazione della risposta al trattamentoCT/RT

TC cranio, toracee addome superiorecon mdc ev

Indicata (A)La valutazione della risposta si basa su variazioni dimensionali della lesioneparenchimale e dei linfonodi. Accuratezza limitata per la difficoltà a differen-ziare il tessuto neoplastico da alterazioni postattiniche

TC PET Indicata (A)

Elevata sensibilità nell’identificazione di residuo di malattia metabolicamenteattivo a livello del T e del N. Per eventuali falsi positivi correlati a flogosi reat-tive l’indagine va eseguita non prima di 60 giorni dalla fine del trattamento.Elevato VPN

Follow-up

TC cranio, toracee addome superiorecon mdc ev

Indicata (A) Il ricorso all’indagine è indicato in caso di sospetto clinico di ripresa di malattiao per variazioni del piano di trattamento

TC PETIndicata in specifichecircostanze

Elevata accuratezza diagnostica in particolare nella valutazione di metastasilinfonodali (N) e a distanza (M). I casi di captazione patologica a livello linfono-dale mediastinico (N2-N3) devono essere sottoposti a stadiazione invasiva perelevati falsi positivi caratteristici della metodica

Definizione dei volumidel trattamentoradioterapico

TC PET Indicata (A)Uso della PET-TC come guida al trattamento radioterapico.Definizione del volume biologico (biologic target volume, BTV)

Occult carcinoma TX N0 M0

Stadio 0 Tis N0 M0

Stadio IA T1a, b N0 M0

Stadio IB T2a N0 M0

Stadio IIAT1a, bT2aT2b

N1N1N0

M0M0M0

Stadio IIBT2bT3

N1N0

M0M0

Stadio IIIAT1, T2T3T4

N2N1, N2N0, N1

M0M0M0

Stadio IIIBT4Any T

N2N3

M0M0

Stadio IV Any T Any N M1a, b

2.3 Stadio e “Risk assessment”La stadiazione del tumore del polmone è utile sia dal punto di vista progno-stico che per la valutazione e la scelta del tipo di trattamento. In accordo conla versione attualmente disponibile, la settima edizione del UICC-AJCC Sta-ging System, estensione e diffusione del NSCLC vengono definiti comesegue:Tumore primitivo: T• TX Tumore primitivo non può essere definito, o ne è provata l’esi-

stenza per la presenza di cellule atipiche nell’escreato o nel li-quido di lavaggio bronchiale; ma non è visualizzato con le tec-niche per immagini o con la broncoscopia

• T0 Tumore primitivo non evidenziabile• Tis Carcinoma in situ• T1a Tumore < 2 cm circondato da polmone o da pleura viscerale, e

alla broncoscopia non si rilevano segni di invasione più prossi-male al bronco lobare (per esempio non nel bronco principale)

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

Pagina 72

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma polmonare

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3.1 Trattamento della malattia “Early Stage”Terapia medica e strategia generaleNel Ca in situ e nel carcinoma microinvasivo, il trattamento endoscopico,condotto mediante laser, coagulatore ad argon plasma o, diatermocoagula-tore, presentano il migliore rapporto costo-beneficio. La chirurgia rappre-senta il trattamento elettivo nel carcinoma polmonare in stadio I II e IIIaminimo Gli stadi IIIa non-minimo, IIIb e IV sono il piú delle volte non reseca-bili; la chirurgia può trovare indicazione solo in casi selezionati. L’opportunitàdi terapie complementari post-chirurgiche (terapie adiuvanti) trova ragionenel limitato successo a lungo termine della sola chirurgia negli stadi II e IIIaminimo (sopravvivenza a 5 anni del 30-40% nello stadio II e del IIIa minimo)e nell’elevato numero di recidive, prevalentemente extratoraciche, entro iprimi 2 anni dall’intervento. L’impiego della chemioterapia adiuvante conte-nente cisplatino (4 cicli) migliora la sopravvivenza a 5 anni del 5%, dato ot-tenuto da studi randomizzati e riportato nelle metaanalisi pubblicate, e trovaindicazione negli stadi II-III ma non nello stadio I, in pazienti che rispondanoad alcuni requisiti (buon PS, buona compliance alla chirugia, non patologieconcomitanti, età inferiore ai 70 anni, etc).

Il ruolo della chirurgia Benché sia concordemente riconosciuto che la chirurgia rappresenti il mezzopiù efficace per ottenere una guarigione definitiva del carcinoma broncopol-

monare, i pazienti candidabili a chirurgia con intento curativo rappresentanoa tutt’oggi una limitata minoranza. Con criteri di selezione e rischio periope-ratorio ottimali, nel gruppo dei pazienti sottoposti a resezione completa (sta-dio I-IIIA), la probabilità di guarigione dovrebbe oscillare tra il 40 e 50%, cheapplicata alla frazione di casi resecabili si traduce in una sopravvivenza glo-bale a 5 anni del 12-14%. Utilizzando in maniera ottimale le tecniche di sta-diazione oggi disponibili, la frequenza di toracotomie esplorative non devesuperare il 5%.

Valutazione funzionale L’esame funzionale del paziente è un elemento cardine nella scelta della te-rapia ottimale. Nel forte fumatore, tale bilancio è spesso complicato dallapresenza di una comorbilità cardiovascolare e/o polmonare. Performancestatus e comorbilità contano molto più del dato anagrafico, e le tecnicheanestesiologiche e chirurgiche attuali permettono di eseguire un interventodi resezione polmonare al di sopra dei 75 anni con un profilo di rischio estre-mamente contenuto. Infarto miocardico recente (meno di 6 mesi), scom-penso cardiaco o aritmia grave, pregresso recente ictus cerebralecontroindicano generalmente l’intervento chirurgico, mentre una cardiopa-tia ischemica ben controllata sul piano sintomatico e con una buona frazionedi eiezione costituisce solamente un fattore di rischio relativo. Le terapie pro-lungate con farmaci anticoagulanti o steroidei richiedono un trattamento spe-

3. Carcinomi del polmone non a piccole cellule (NSCLC)

della resezione chirurgica possono fornire le informazioni prognostiche piùcritiche, ma la mutazione dell’oncogene k-ras e l’assenza di espressione delproto-oncogene H-Ras p21 possono aumentare le informazioni ottenute dal-l’esame istologico tradizionale.

2.4 Criteri di diagnosi e di stadiazione istologica e indagini molecolari

Come per tutte le neoplasie è determinante uno stretto rapporto tra chirurgo,.pneumologo, interventista, radiologo, oncologo ed anatomopatologo, al finedi ottenere il maggior numero di informazioni necessarie per una correttavalutazione prognostica ed una accurata definizione delle potenzialità di ri-sposta ai trattamenti successivi (radioterapia, chemioterapia, terapie a ber-saglio molecolare). Le procedure da seguire per un corretto campionamentodel pezzo operatorio ai fini della diagnosi e della stadiazione del tumore sonostate definite con accuratezza [Rosai, 2004]. È necessaria un’accurata de-scrizione del pezzo operatorio (peso e/o dimensioni, tipo di resezione chi-rurgica, condizioni della pleura viscerale), delle caratteristiche del tumore(dimensioni, localizzazione nel lobo, relazione con il bronco, presenza di areeemorragiche, di necrosi o di cavitazioni, presenza di invasione vascolare mi-croscopicamente visibile; rapporto con la pleura, distanza dal margine di re-sezione bronchiale e dalla pleura), dell’aspetto del parenchima polmonarenon neoplastico (enfisema, atelettasia, etc) e del numero ed aspetto dei lin-fonodi ilari repertati. Il campionamento del pezzo per gli esami istologici do-vrebbe prevedere almeno un prelievo per ogni cm di tumore, ilcampionamento di ogni lesione macroscopicamente repertata, prelievi sulparenchima polmonare non neoplastico, tutta la circonferenza del marginedi resezione bronchiale, tutti i linfonodi ilari e mediastinici prelevati sul pezzo

operatorio o inviati (e contrassegnati in maniera chiara) dal chirurgo. La clas-sificazione dei tumori del polmone attualmente in uso è quella WHO 2004[Travis 2004]. La diagnosi e classificazione dei tumori si basa su criteri mor-fologici (preparato istologico colorato con ematossilina & eosina). Le colora-zioni istochimiche ed immunoistochimiche, ancillari all’esame morfologico,se impiegate nel tentativo di definizione di istotipo, devono essere docu-mentate ed i risultati riportati nel referto. La scelta dei reagenti più appropriativaria a seconda del caso e si effettua dopo una prima valutazione morfolo-gica. La stadiazione patologica pTNM viene effettuata utilizzando i criteri il-lustrati nello AJCC Cancer Staging Manual (2009).Nella diagnostica delle piccole biopsie o di campioni citologici i termini "car-cinoma non a piccole cellule" (NSCLC) e "carcinoma non squamoso" do-vrebbero essere evitati a favore del costante tentativo di definizione diistotipo, anche mediante l'impiego di tecniche ancillari alla morfologia, rele-gando la diagnosi di NSCLC o di carcinoma non altrimenti specificabile (NOS)ad una quota inferiore al 10%.Dovrebbe essere sempre prevista un'adeguata ed efficace gestione del ma-teriale biologico, soprattutto nelle forme avanzate e non eleggibili per il trat-tamento chirurgico, con l'intento di preservare e conservare il materialebiologico per fornire direttamente od indirettamente il maggior numero diinformazioni utili al trattamento oncologico. E’ ormai routine effettuare lo stu-dio della mutazione del gene EGFR, prima di iniziare un trattamento neglistadi avanzati di malattia e sta diventando altrettanto importante studiare ilgene ALK, per cui saranno presto disponibili farmaci molto efficaci. Meeting multidisciplinari periodici che prevedano la partecipazione del pa-tologo dovrebbero essere formalizzati con l'intento, tra gli altri, di individuarela procedura diagnostica più efficace all'acquisizione del materiale biologicopiù adeguato per la diagnosi.

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cifico, allo scopo di prevenire possibili complicanze postoperatorie. Prima diprocedere all’intervento, il chirurgo deve accertare se il paziente sia in gradodi tollerare anche una asportazione totale del polmone, qualora le circostanzeintraoperatorie lo richiedano, valutando sia l’entità del rischio postoperato-rio immediato che la qualità di vita attesa a 6 mesi di distanza. Spirometriaed emogasanalisi rappresentano il primo livello, sufficiente se i valori fun-zionali sono prossimi a quelli normali (FEV-1 > 60% del predetto). Nei pazienticon limitata riserva respiratoria, particolarmente se si prevede una pneu-monectomia, la scintigrafia polmonare perfusionale consente di misurare lapercentuale di perfusione di ciascun polmone e stimare la FEV-1 postope-ratoria predetta. Un utile complemento della spirometria, nei pazienti confunzionalità respiratoria marginale, è il test di diffusione alveolo-capillare(DLCO), che esprime in maniera più accurata la capacità di scambio dei gas,e può evidenziare un’interstiziopatia o fibrosi polmonare latente, non altri-menti diagnosticabile.

BroncoscopiaIn fase prechirurgica tutti i pazienti che devono essere sottoposti ad inter-vento per neoplasia polmonare vengono sottoposti ad esame broncoscopicoper escludere localizzazioni tumorali endoluminali in sedi diverse da quellegià evidenziate con tecniche di imaging.In fase prechirurgica i pazienti con ostruzione delle basse vie aeree che de-terminino infezioni broncopolmonari ricorrenti da ristagno di secrezioni, o in-sufficienza respiratoria tale da condizionare la gestione anestesiologicadell’intervento, possono beneficiare di procedure di broncologia operativamediante ricanalizzazione del lume occluso.

Tecniche di anestesia I requisiti minimi di anestesia generale considerati necessari per garantire unlivello adeguato di efficacia e morbilitàa in chirurgia toracica sono gradual-mente aumentati nel corso di questo decennio. Per eseguire in condizione disicurezza un intervento di media difficoltà, come una lobectomia polmonare,si considera oggi indispensabile un monitoraggio continuo dei parametri car-diovascolari mediante cateterismo venoso centrale ed arterioso periferico. Laventilazione monopolmonare è ottenibile con una varietà di dispositivi, chesi adattano ad ogni condizione anatomica. Il broncoscopio sottile a fibre ot-tiche è divenuto un ausilio indispensabile per controllare il posizionamentodel tubo, ed eventualmente facilitare la pulizia del bronco durante l’inter-vento. Per un controllo del dolore più selettivo ed efficace, sia durante chedopo l’intervento, esistono numerose procedure che comprendono il posi-zionamento di un catetere peridurale in sede toracica o lombare o di un ca-tetere paravertebrale. L’anestesia loco-regionale consente di ridurre gli effettisistemici dell’infusione di morfina o derivati, con un eccellente controllo deldolore toracotomico durante le prime 72 ore.

Stadiazione chirurgicaIn caso di sospette adenopatie mediastiniche alla TAC (diametro > 1-1.5 cm)e positività PET, è sempre indicato un esame bioptico, per confermare lo sta-dio N2, o escludere la presenza di metastasi in pazienti altrimenti operabili.La mediastinoscopia cervicale rimane un esame endoscopico semplice edaffidabile, per le stazioni linfonodali pre- e paratracheali e carenali. E’ op-portuno che il prelievo sia effettuato a livello di 2-3 stazioni linfonodali di-stinte: paratracheale alta e bassa, sottocarenale (R o L 2-4-7), comprendendonaturalmente le adenopatie sospette alla TAC. Per le adenopatie della fine-stra aortica (L 5-6), è preferibile un accesso anteriore parasternale, o la to-racoscopia video-assistita (VATS). La VATS è la via più diretta al mediastinoinferiore (para-esofageo, retrocrurale, legamento polmonare), e trova un’in-

dicazione elettiva nei pazienti con versamento pleurico e/o pericardico, par-ticolarmente in caso di negatività citologica della puntura esplorativa, e ese-guire una pleurodesi chimica. Queste tecniche di stadiazione chirurgicasostituite o integrate dall’agobiopsia transbronchiale e transesofagea ecoguidata (EBUS ed EUS), ma restano essenziali per decidere la resecabilità incaso di sospetta infiltrazione degli organi mediastinici, prima o dopo la tera-pia d’induzione.

Approccio chirurgico curativoLa toracotomia postero-laterale rappresenta ancora l’approccio standard perla resezione polmonare anatomica, nella maggior parte dei reparti di chirur-gia toracica. Tuttavia, negli ultimi decenni si sono affermate tecniche più con-servative dell’integrità anatomo-funzionale del torace, come le toracotomielaterali o la toracotomia ascellare che prevedono la conservazione musco-lare o le procedure videoassistite (VATS). Non esistono tuttavia studi rando-mizzati che dimostrino un significativo impatto dell’approccio conservativosulla mortalità e morbilità, a parità di estensione del tumore e della rese-zione polmonare.

Esame intraoperatorio e linfadenectomia Nel trattamento del carcinoma polmonare non vi è in generale indicazione perresezioni incomplete con malattia residua macroscopica, impropriamentedefinite palliative in quanto peggiorano quasi sempre la qualità di vita. Per-tanto, prima di procedere alla resezione polmonare, il chirurgo deve accer-tarsi che il tumore primitivo e le eventuali localizzazioni linfonodali sianoresecabili con margini adeguati di radicalità. Anche se il ruolo terapeuticodella linfadenectomia mediastinica sistematica è in corso di valutazione, at-traverso lo studio randomizzato dell’American College of Surgeons, è dimo-strato che la stadiazione intraoperatoria accurata permette di fornire alpaziente una prognosi realistica, e di utilizzare al meglio le terapie comple-mentari disponibili. La dissezione linfonodale dovrebbe comprendere per itumori del polmone destro le stazioni R 2, 4, 7,9 e per il polmone sinistro lestazioni L 5, 6, 7, 9, oltre alle stazioni ilari specifiche (10-13). Per facilitare ilcompito del patologo ed ottenere un referto ben interpretabile, il chirurgodeve eseguire personalmente la mappatura dei linfonodi, e inviare separa-tamente le diverse stazioni.

Modalità di resezione e ricostruzione La lobectomia radicale, con dissezione dei linfonodi ilo-mediastinici, rap-presenta oggi l’intervento di elezione per tutte le neoplasie confinate in unsolo lobo, o con interessamento marginale e periferico del lobo adiacente,senza metastasi macroscopiche ai linfonodi ilari. Il sacrificio funzionale dopolobectomia è proporzionale al numero di segmenti, essendo massimo per lalobectomia inferiore destra, anche a causa del rapporto ventilazione/perfu-sione. La lobectomia può risultare adeguata anche in caso di interessamentodei linfonodi ilari, purché la resezione comprenda tutte le adenopatie e lestrutture ilari siano libere da tumore a livello del margine di sezione. Quandoil tumore o una metastasi linfonodale si estendono alla porzione prossimaledel bronco lobare (meno di 1 cm dall’origine), la lobectomia può essere an-cora possibile con una resezione a manicotto del bronco (sleeve resection)ed anastomosi bronchiale, associate o meno a resezione e ricostruzione del-l’arteria polmonare. In caso di piccole lesioni periferiche (T1-N0), la seg-mentectomia tipica può essere un’operazione altrettanto adeguata dellalobectomia, soprattutto nei pazienti con funzione respiratoria compromessa.La pneumonectomia deve essere riservata a neoplasie più estese localmente,non suscettibili di trattamento conservativo. Quando il tumore polmonare in-vade la parete toracica o il mediastino ma non vi sono metastasi linfonodali,

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la resezione chirurgica radicale può ottenere una guarigione definitiva, ed ilimiti di resecabilità anatomica sono oggi molto più ampi. Infatti, oggi è pos-sibile fare fronte alla gran parte dei problemi di demolizione e ricostruzionedella parete toracica e delle strutture mediastiniche. Il riscontro intraopera-torio di adenopatie sospette deve sempre essere confortato dall’esame pa-tologico estemporaneo per escludere una iperplasia reattiva o una formagranulomatosa. In presenza di metastasi linfonodali mediastiniche, la rese-zione polmonare è indicata purché i margini della dissezione linfonodale nonsiano interessati dalla malattia.

Complicanze della chirurgia La mortalità postoperatoria globale (entro 30 giorni dall’intervento) per il car-cinoma polmonare varia tra 4 e 8%; è meno del 1% per le resezioni sublo-bari, pari a circa 2-4% per le lobectomie e 4-7% per le pneumonectomie. Iproblemi più frequenti dopo resezione polmonare sono rappresentati dal do-lore toracotomico, che richiede terapia analgesica maggiore durante i primi2-3 giorni e tende talvolta alla cronicizzazione, e dalle difficoltà di espetto-razione che richiedono una fisioterapia intensiva eventualmente associata amanovre di broncoaspirazione. L’empiema pleurico si osserva oggi in meno del 5% dei resecati, con o senzafistola broncopleurica. È più frequente dopo pneumonectomia destra, dovepuò richiedere complesse manovre di riparazione chirurgica. La fistola bron-copleurica è oggi un’evenienza rara, se non eccezionale, laddove si utiliz-zino delle tecniche di sutura bronchiale adeguate. In caso di evidenza difistola bronchiale di piccole e medie dimensioni, si procederà, in primaistanza, al trattamento broncoscopico. Comune è invece la perdita aerea do-vuta a una comunicazione pleuro-parenchimale. L’aritmia cardiaca, e in par-ticolare la fibrillazione atriale, si osserva con maggiore frequenza nei pazientianziani o dopo pneumonectomia. L’infarto miocardico e l’ictus cerebrale sonorelativamente rari, e si verificano nell’1-2% dei pazienti. L’embolia polmonareè ormai un evento assai raro se viene sistematicamente applicata la profi-lassi eparinica.

Chirurgia dello stadio I-IIA (T1-2N0-1) Negli pazienti con tumore intrapolmonare, la chirurgia trova un’indicazioneassoluta: lobectomia per i tumori intralobari, con interessamento linfonodaleassente o limitato; pneumonectomia nelle neoplasie centrali di grandi di-mensioni o in presenza di metastasi linfonodali estese; segmentectomia ti-pica in pazienti selezionati con tumore periferico e diminuita riservarespiratoria. La resezione sub-lobare non anatomica deve essere consideratauna scelta di compromesso in pazienti con grave insufficienza respiratoria,tumori multipli sincroni, e/o pregresse resezioni polmonari maggiori. Qua-lora la chirurgia non sia attuabile, la radioterapia e la termoablazione rap-presentano un valido trattamento alternativo.

Chirurgia dello stadio IIB (T3N0) I tumori che interessano la pleura parietale, la muscolatura intercostale o lecoste sono generalmente suscettibili di resezione completa. L’exeresi radi-cale (margine minimo di tessuto sano superiore a 2 cm) conferisce unabuona probabilità di guarigione (fino al 50% a 5 anni), anche se la sopravvi-venza dipende dal grado di estensione nelle parti molli, mentre non si os-servano lungosopravviventi dopo resezione incompleta. Nelle neoplasiedell’apice polmonare che infiltrano la prima costa, il ganglio stellato, ed ilplesso brachiale (tumore del solco superiore o tumore di Pancoast), la rese-zione è indicata in assenza di metastasi linfonodali mediastiniche, e devecomprendere, oltre a polmone e parete, tutte le strutture coinvolte (simpa-tico, radice C8-D1). Talvolta può essere necessario resecare l’arteria suc-

clavia e sostituirla con una protesi. Studi non controllati indicano un poten-ziale beneficio del trattamento combinato di chemio-radioterapia preopera-toria, ma la probabilità di guarigione rimane correlata alla possibilità diottenere un’exeresi completa, e la sopravvivenza a 5 anni è nell’ordine del30-40%.

Radioterapia Nei tumori non a piccole cellule (NSCLC), la chirurgia rappresenta la princi-pale arma terapeutica. La radioterapia può rappresentare un valido tratta-mento con intento radicale, nei casi inoperabili per motivi medici o perestensione della malattia. La radioterapia, sola o in combinazione con la che-mioterapia , può infatti essere anche indicata in fase pre- e post-operatoria.I risultati della chirurgia da sola e della radioterapia da sola, impiegate conintento radicale, sono lungi dall’essere soddisfacenti. La chemioterapia solaha un ruolo esclusivamente palliativo. Pertanto, sono stati sviluppati schemidi trattamento combinato radiochemioterapico progressivamente più effi-caci, destinati sia ai pazienti inoperabili che alla combinazione con la chi-rurgia. La radioterapia sola o in combinazione con la chemioterapia puòinfatti essere anche indicata in fase pre- e postoperatoria. Le Linee Guida delNational Comprehensive Cancer Network © (v.2.2009) stabiliscono chiara-mente che: “If determined medically inoperable by thoracic surgeon, clinicalstage I and II patients should receive potentially curative RT as their localapproach”. Dello stesso tenore le indicazioni del Physician Data Query delNCI-USA (http://www.cancer.gov/): “I pazienti con stadio I inoperabile e suf-ficiente riserva polmonare possono essere candidati al trattamento radiantecon intento curativo. In un lavoro su pazienti al di sopra dei 70 anni con le-sioni resecabili minori di 4 cm, medicalmente inoperabili o che rifiutavanol’intervento, la sopravvivenza a 5 anni dopo terapia radiante con intento cu-rativo è risultata simile a quella di un controllo storico rappresentato da pa-zienti della stessa età che erano stati resecati con intento curativo. Nelle duepiù grandi serie retrospettive di radioterapia, i pazienti con malattia inope-rabile trattati con radioterapia definitiva hanno ottenuto una sopravvivenzaa 5 anni del 10% e 27%. Entrambe le serie hanno osservato che i pazienti con tumori T1N0 avevanouna migliore prognosi, con sopravvivenze del 60% e 32%. Anche i pazienticon stadio II inoperabile e sufficiente riserva polmonare sono candidabili altrattamento radiante con intento curativo. Nei pazienti con eccellente Per-formance Status, la sopravvivenza attesa a 3 anni è pari al 20% se la radio-terapia può essere portata a termine con intento curativo. Nella più grandeserie retrospettiva, 152 pazienti con NSCLC medicalmente inoperabile, chesono stati trattati con RT definitiva, la sopravvivenza globale a 5 anni è statadel 10%, ma nei 44 pazienti con tumori T1 la sopravvivenza libera da ma-lattia è stata del 60%. Questo studio retrospettivo ha dimostrato anche chela migliore sopravvivenza libera da malattia era ottenuta con dosi superioria 60 Gy.“(PDQ, ultima modifica 1.8.2008). Su questo punto vi è dunque uni-formità di indirizzi e tale indicazione può essere considerata del tutto ap-propriata, con un livello di evidenza II (consenso unanime degli esperti inassenza di trials randomizzati) secondo la scala del National ComprehensiveCancer Network © (NCCN). Le linee guida del NCCN considerano opportuna anche la associazione dellachemioterapia alla radioterapia (radiochemioterapia concomitante) in altrisottogruppi selezionati di pazienti in questa categoria. Si tratta dei pazientiin Stadio clinico I e II operati e con positività linfonodale mediastinica o po-sitività dei margini di resezione dimostrata dall’esame istologico. L’indica-zione è più controversa per i casi senza positività marginale, e le linee guidadel PDQ reputano opportuno l’arruolamento di pazienti con queste caratte-ristiche in studi clinici. Si veda in merito anche la discussione dello stesso ar-

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gomento per i casi in Stadio clinico III. Le linee guida del PDQ rimandanoanche a requisiti per la realizzazione del trattamento radioterapico. “Radia-tion therapy should consist of approximately 60 Gy delivered with megavol-tage equipment to the midplane of the known tumor volume usingconventional fractionation. A boost to the cone down field of the primarytumor is frequently used to enhance local control. Careful treatment planningwith precise definition of target volume and avoidance of critical normalstructures to the extent possible is needed for optimal results; this requiresthe use of a simulator.” Le già citate linee guida del NCCN ripetono nella so-stanza queste raccomandazioni e suggeriscono l’impiego della TC e di av-valersi di Treatment Planning Systems (TPS) adeguati per produrre piani ditrattamento 3D conformazionali. Nei tumori T1-T2 di dimensioni ≤ 5 cm esenza interessamento linfonodale, non operabili per comorbidità, età o ri-fiuto del paziente, la Radioterapia Stereotassica può rappresentare una va-lida alternativa con tassi di controllo locale e sopravvivenza maggiori rispettoa quelli della radioterapia esterna (Linee Guida NCNN v.2-2010).

3.2 Trattamento della malattia localmente avanzataTerapia medica e strategia generale Nei pazienti in stadio IIIA con interessamento linofonodale mediastinico untrattamento pre-operatorio (cosiddetto neoadiuvante o di induzione) basatosu chemioterapia, meglio se associata, in base all’attuale evidenza clinica, aradioterapia, consente la regressione dell’impegno adenopatico nel 50-70%dei casi, l’aumento del tasso di resecabilità, resezioni chirurgiche menoestese. Tuttavia l’attuale evidenza clinica indica che per la maggioranza deipazienti in questo stadio clinico di malattia il trattamento elettivo sia la che-mioterapia associata a radioterapia. Nei pazienti con malattia localmenteavanzata inoperabile (stadio IIIB) con buon performance status (Scala ECOG0 - 1) e con minima perdita di peso (meno del 5% nei tre mesi precedenti ladiagnosi di neoplasia polmonare) e assenza di versamento pleurico o meta-stasi sopraclaveari beneficiano di una sopravvivenza superiore se sottopo-sti ad un trattamento combinato chemioradioterapico e vanno accuratamentevalutati per questo tipo di approccio terapeutico. E’ raccomandata una ac-curata selezione del paziente (condizioni generali, estensione della malattianell’ambito del III stadio, funzionalità respiratoria, parametri dosimetrici ra-dioterapici in termini di predizione di tossicità polmonare ed esofagea) eduna completa discussione con il paziente stesso circa i benefici e le tossicitàdelle possibili opzioni terapeutiche.

Radioterapia Il ruolo della radioterapia come trattamento radicale in queste forme è assaiimportante. La frazione di casi operabili è infatti molto minore, rispetto aimalati in Stadio clinico I-II; nei casi inoperabili, la radioterapia rappresenta ilcardine del trattamento. Come indicato dalle linee guida del PDQ: “Patientswith clinical stage IIIA N2 disease have a 5-year survival rate of 10% to 15%overall; however, patients with bulky mediastinal involvement (i.e., visible onchest radiograph) have a 5-year survival rate of 2% to 5%. Depending on cli-nical circumstances, the principal forms of treatment that are considered forpatients with stage IIIA NSCLC are radiation therapy, chemotherapy, surgery,and combinations of these modalities. Although most patients do not achieve a complete response to radiation the-rapy, a reproducible long-term survival benefit in 5% to 10% of patients trea-ted with standard fractionation to 60 Gy occurs, and significant palliationoften results. Patients with excellent performance status (PS) and those whorequire a thoracotomy to prove that a surgically unresectable tumor is pre-sent are most likely to benefit from radiation therapy.” Il trattamento che-

mioradioterapico (specie concomitante), quando fattibile, migliora i risultatirispetto alla sola radioterapia. Ancora il PDQ: “The addition of chemotherapyto radiation therapy has been reported to improve survival in prospective cli-nical studies, including the RTOG-8808 and ECOG-4588 trials, for example,that have used modern cisplatin-based chemotherapy regimens. A meta-analysis of patient data from 11 randomized clinical trials showed that ci-splatin-based combinations plus radiation therapy resulted in a 10%reduction in the risk of death compared with radiation therapy alone”. Datinon dissimili valgono per i casi in categoria IIIB, con la evidente diversità chela stragrande maggioranza di questi pazienti non riconosce una indicazionechirurgica. Pertanto, è possibile affermare, ancora in accordo con le lineeguida del PDQ, che “…Patients with stage IIIB NSCLC do not benefit fromsurgery alone and are best managed by initial chemotherapy, chemotherapyplus radiation therapy, or radiation therapy alone, depending on the sites oftumor involvement and the performance status (PS) of the patient. Most pa-tients with excellent PS are candidates for combined modality therapy ..”. Perquanto riguarda i pazienti operabili o potenzialmente operabili (come già ri-petuto più volte, una minoranza), un piccolo numero di studi randomizzatiha poi evidenziato l’efficacia della radioterapia associata alla chemioterapiacome trattamento preoperatorio (Albain KS, Rusch VW, Crowley JJ, et al.:Concurrent cisplatin/etoposide plus chest radiotherapy followed by surgeryfor stages IIIA (N2) and IIIB non-small-cell lung cancer: mature results ofSouthwest Oncology Group phase II study 8805. J Clin Oncol 13 (8): 1880-92, 1995). Per quanto si tratti di casistiche selezionate, i risultati sono inco-raggianti e l’indicazione può considerarsi appropriata su base individuale edopo attenta valutazione dell’oncologo radioterapista. Per quanto vi sia evi-denza di Livello I che la radioterapia postoperatoria riduce l’incidenza di re-cidive mediastiniche in pazienti con Stadio III operati, non vi è evidenza adoggi di un miglioramento significativo della sopravvivenza. Tuttavia, un re-cente studio retrospettivo di oltre 7.000 casi ha evidenziato un vantaggio disopravvivenza per i pazienti in categoria N2 trattati con radioterapia posto-peratoria [Lally 2006]. Ciò determina difformità di indicazioni nelle linee guida internazionali. Quelledel NCCN, ad esempio, suggeriscono l’impiego della radioterapia postope-ratoria nei casi N2 sia che la categoria T iniziale fosse T1 o 2 che T3; il con-trario vale per le indicazioni del PDQ-NCI, che consigliano l’impiego dellaradioterapia postoperatoria solo nel contesto di studi clinici controllati. Il trat-tamento postoperatorio di questi casi può dunque essere considerato ap-propriato solo sulla base della valutazione caso per caso, da partedell’oncologo radioterapista, dei rischi competitivi di recidiva locale e di me-tastasi a distanza; in ogni caso deve essere considerata individualmente latossicità del trattamento. Analoghe considerazioni valgono per i casi con po-sitività marginale.

Chirurgia dello stadio IIIA (T1-3N2) Circa il 15-20% dei pazienti con linfonodi di aspetto normale alla TAC e PET,presentano metastasi linfonodali mediastiniche se sottoposti a linfadenec-tomia sistematica. La percentuale è inferiore ma sempre rilevante (10-15%)nei pazienti con T1N0 clinico. Molti di questi casi presentano una diffusionelimitata (singola stazione, metastasi embolica), e la resezione radicale si as-socia ad una sopravvivenza a 5 anni del 20-25%. Nei pazienti con N2 clinico,la chirurgia primaria ottiene raramente una exeresi macroscopicamentecompleta, e nelle serie retrospettive la sopravvivenza a 5 anni è ben al disotto del 10%, vale a dire simile se non peggiore a quella della radioterapia.Il trattamento di induzione con chemioterapia per 2-3 cicli (± radioterapia) èoggi la scelta più razionale e conveniente, per ridurre la malattia visibile eidentificare i casi in cui la chemiosensibilità locale possa predire una mag-

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Terapia medica e strategia generale La polichemioterapia è il cardine terapeutico sia per la malattia estesa cheper quella limitata. Nei pazienti con carcinoma polmonare a piccole cellulein stadio di malattia limitata la radioterapia toracica migliora il controllo lo-cale e la sopravvivenza complessiva e va incorporata in una strategia tera-peutica combinata. Nell’applicare questo principio terapeutico deve essere tenuto in considera-zione il volume tumorale e la sede della lesione nonché la funzionalità pol-monare del paziente. Vi sono evidenze di miglior controllo locale e miglioresopravvivenza ove il trattamento radiante concomitante alla chemioterapiasia inserito precocemente (2 cicli di chemioterapia) nel programma tera-peutico. La combinazione chemioterapica standard prevede l’impiego dell’associa-zione di un sale di platino ed etoposide oppure meno frequentemente vieneusata la combinazione di ciclofosfamide, adriamicina, vincristina. Non esisteevidenza per raccomandare uno specifico numero di cicli di terapia. Comu-nemente negli studi clinici si somministrano sei cicli Non c’è evidenza a fa-vore di una qualsivoglia terapia di mantenimento in grado di migliorare lasopravvivenza. La terapia radiante può svolgere un ruolo palliativo peraltroestremamente importante nel controllo delle metastasi cerebrali, delle sin-dromi da compressione della cava superiore, nelle metastasi ossee e nellecompressioni midollari da metastasi vertebrali. Nei pazienti con malattia li-mitata ed estesa in risposta dopo terapia di induzione è indicato il tratta-mento radioterapico encefalico profilattico da effettuarsi comunque altermine del trattamento di induzione.

Trattamento di II linea La maggioranza dei pazienti tende a recidivare e la scelta del trattamento diseconda linea dipende principalmente dalla risposta alla terapia inziale. Sela malattia è sensibile alla terapia (la ripresa di malattia è oltre i 3-6 mesi daltermine della fine del primo trattamento chemioterapico) si ripropone lastessa combinazione di farmaci; se la malattia è resistente, (ripresa di ma-

lattia entro i 3 mesi) o refrattaria (progressione in corso di chemioterapia diprima linea), si cambia farmaco, al momento l’unica molecola registrata peril trattamento in seconda linea del SCLC è il topotecan.

La chirurgia nel SCLC La chirurgia ha uno scarso impatto sul trattamento del microcitoma, e menodel 5% dei casi è operabile all’esordio. L'indicazione all'intervento chirur-gico si basa sullo stadio TNM, come nelle forme non a piccole cellule, madopo chemioterapia di induzione. Nei casi eccezionali operati senza diagnosipreoperatoria per un piccolo tumore periferico (T1N0), è consigliabile un trat-tamento di chemioterapia adiuvante, anche se alcune casistiche retrospet-tive mostrano una sopravvivenza a 5 anni del 40% con sola chirurgia.

Radioterapia La combinazione chemioradioterapica è lo strumento fondamentale per lagestione della minoranza dei casi con malattia limitata passibili di tratta-mento radicale. E’ di recente stata sottolineata per questi ammalati l’oppor-tunità di una precoce associazione della radioterapia alla chemioterapia. Ilmicrocitoma (SCLC) è altamente radiosensibile e, nei casi con “limited di-sease”, la radioterapia a livello toracico migliora significativamente la so-pravvivenza rispetto alla sola chemioterapia. Nei pazienti responsivi allachemioradioterapia, l’irradiazione panencefalica migliora ulteriormente laprognosi [Pignon 1992; Warde 1992; Murray 1993; Turrisi 1990]. Infatti, se-condo il già citato PDQ-NCI: “Combined modality treatment with chemothe-rapy and thoracic radiation therapy (TRT) is the standard treatment forpatients with limited-stage disease (LD) small cell lung cancer (SCLC).” Iltrattamento radioterapico deve essere iniziato se possible non oltre l’inizio delterzo ciclo di chemioterapia (inizio precoce) sulla base di dati che supportanoun Livello di evidenza I. Nei pazienti con “extensive disease”, l’unico possi-bile (e controverso) ruolo della radioterapia nel contesto di un trattamento ra-dicale è quello della irradiazione panencefalica nei pazienti in risposta[Slotman 2007].

4. Carcinomi del polmone a piccole cellule (NSCLC)

giore efficacia della resezione chirurgica. L’interessamento della carena per estensione diretta del tumore primitivo,senza metastasi mediastiniche, è un evento eccezionale, ed in casi ben se-lezionati, la pneumonectomia con resezione tracheale può essere tecnica-mente fattibile e conveniente. Le probabilità di guarigione chirurgica sononell’ordine del 20-25%, ma la mortalità perioperatoria è elevata (10-15%).

Chirurgia dello stadio IIIB (T4N0) La resezione della vena cava superiore, con eventuale sostituzione prote-sica, è un intervento efficace nei tumori che infiltrano direttamente il me-diastino, e può essere eseguito senza circolazione extracorporea, con unamortalità e morbilità limitate. Questa chirurgia, in combinazione con un trat-tamento medico di induzione, deve essere valutata in pazienti adeguata-mente selezionati per stadio e comorbilità. I progressi nel campo dellachirurgia della colonna, offrono nuove possibilità di intervento nei tumori cheinfiltrano marginalmente il corpo vertebrale, che è oggi possibile affrontarecon un intento curativo. Si tratta tuttavia di una procedura complessa, che ri-chiede la presenza simultanea del neurochirurgo e del chirurgo ortopedico,e d’indicazione eccezionale. La resezione dell’atrio sinistro per estensione di-retta del tumore alla confluenza delle vene polmonari non è un evento ec-cezionale nel corso di una pneumonectomia intrapericardica, e non comportaproblemi di carattere tecnico. Analoghe considerazioni valgono per la rese-zione tangenziale dell’esofago o dell’avventizia dell’aorta. L’infiltrazione mas-siva del miocardio, dell’esofago o dell’aorta costituiscono invece unacontroindicazione formale all’intervento, così come la presenza di un versa-mento citologicamente positivo, anche se di limitata estensione. Con unesame citologico negativo, è imperativo procedere ad esplorazione toraco-scopica e biopsie pleuriche multiple, prima di una eventuale toractomia.

Chirurgia dei noduli satelliti Il riscontro intraoperatorio di noduli satelliti, nello stesso lobo in cui ha sedeil tumore primario o in un altro lobo, e che si confermano dello stesso tipoistologico all’esame estemporaneo, pone ovvii problemi di interpretazione(metastasi o malattia multifocale) e di scelta terapeutica. Da un punto di vistapratico, laddove un’exeresi completa sia ottenibile, è ragionevole procederealla resezione polmonare.

3.3 Trattamento della malattia avanzata.Per i pazienti con Carcinoma polmonare in stadio IV le opzioni terapeuticheincludono la chemioterapia o la terapia di supporto, comprensiva della ra-dioterapia ad intento palliativo. Per questi pazienti il trattamento sistemicooffre la possibilità di controllare la sintomatologia correlata al tumore, mi-gliorare la sopravvivenza e la qualità di vita. Nello stadio IV il trattamentochemioterapico va riservato a pazienti ambulatoriali, senza considerevolecalo ponderale ed in buone condizioni generali. La chemioterapia prevedel’impiego di derivati del platino (cisplatino o carboplatino) in associazionecon uno dei seguenti farmaci: gemcitabina, vinorelbina, tassani (paclitaxel odocetaxel) o pemetrexed (limitatamente all’istologia non squamosa). Pazienticon tumori recanti mutazioni a carico del gene del recettore dell’EpidermalGrowth Factor possono avvalersi di un trattamento con inibitori della tirosinchinasi (gefitinib). Esistono sufficienti evidenze che l’impiego di bevacizu-mab (un anticorpo monoclonale contro il Vascular Endothelial Growth Factor)allorchè aggiunto alla chemioterapia migliora il tempo alla progressione e,con alcune combinazioni chemioterapiche, anche la sopravvivenza. La durataottimale del trattamento è di 4-6 cicli.

3.4 Trattamento di II linea e successive

La maggioranza dei pazienti tende a recidivare dopo la terapia di prima linea;la ripresa di malattia è solitamente accompagnata dalla presenza di sintomicon una aspettativa di vita limitata. I fattori predittivi di risposta al trattamento di seconda linea sono legati altempo di comparsa della recidiva rispetto al termine del trattamento di primalinea, alla risposta al trattamento precedente ed al tipo di terapia utilizzatadurante la fase di induzione. La maggioranza dei pazienti in questa fase riceve un trattamento mono-che-mioterapico secondo le specifiche indicazioni, ad oggi i farmaci registrati peruna terapia di seconda linea sono il docetaxel ed il pemetrexed come che-mioterapici, il gefitinib e l’erlotinib come terapie biologiche questi ultimi sonoregistrati anche per l’utilizzo in terza linea, il gefitinib è però indicato solonei pazienti con mutazione dell’EGFR. La terapia radiante con intento pallia-tivo riveste un ruolo importante nel controllo del dolore e/o dei sintomi da me-tastasi cerebrali, da sindromi mediastiniche da ostruzione della cavasuperiore e in particolare da metastasi ossee ove, integrata con una ade-guata terapia farmacologica antalgica, migliora la qualità di vita dei pazientie previene le complicanze maggiori quali le compressioni midollari e le frat-ture patologiche.

3.5 Pazienti anziani o con PS 2 Per i pazienti anziani (> 70 anni di età) e/o con Performace Status >2, ben-ché esista ancora una indicazione a trattamenti chemioterapici a 2 farmacila maggioranza di essi, viene prevalentemente trattato con una monoche-mioterapia o con terapie biologiche, dove indicate, per il co-esistere di co-morbilità.

3.6 Valutazione delle risposte e follow-up Nella maggior parte dei casi il medico effettua un controllo TC dopo 2-4 ciclidi chemioterapia per identificare quei casi che sono stabili o in progressione,e per i quali il trattamento andrebbe interrotto, e quelli che hanno risposto altrattamento, per i quali può ritenersi valido continuarlo. Il programma di fol-low-up deve necessariamente tenere conto della storia naturale della neo-plasia (tempo di raddoppiamento, sede e modalità di ripresa, rischio diripresa, tossicità tardive, beneficio della diagnosi precoce) e va contenuto alminimo in rapporto al vantaggio ottenibile dal paziente. Con l’esclusione dei pazienti che afferiscono a studi clinici controllati ove lacadenza del follow-up è fissata dal protocollo di studio occorre precisareche, per il carcinoma polmonare, non esistono evidenze cliniche a supportodella necessità di un follow-up particolarmente intenso, soprattutto alla lucedelle scarse possibilità terapeutiche in caso di recidiva con la sola esclu-sione del Microcitoma in recidiva tardiva (intervallo libero di almeno 3 mesidal termine della terapia primaria). Pazienti sottoposti a terapia primaria po-trebbero essere sottoposti a controlli di follow-up trimestrali per i primi 2anni, allorché è attesa la comparsa della maggioranza delle recidive, suc-cessivamente a cadenze semestrali.

3.7 Ricanalizzazione delle vie aereeIn pazienti con malattia avanzata, con ostruzione delle vie aeree da infiltra-zione neoplastica o compressione estrinseca, il decadimento delle funzionerespiratoria e le infezioni post-ostruttive possono causare un rapido e pro-gressivo peggioramento del PS e delle condizioni cliniche. In questi pazienti un intervento di disostruzione laser-assistita o il posizio-namento di una endoprotesi sono in grado di indurre un importante miglio-

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ramento respiratorio e clinico.La procedura va eseguita nei centri di II livello, con elevata esperienza, inpossesso di tutte le apparecchiature e dei diversi device endobronchiali di-sponibili. Essa prevede broncoscopia rigida ed anestesia generale, in regimedi ricovero. Il tasso di mortalità riportato in letteratura è del 4% ed un risul-tato efficace viene raggiunto nell’87% dei casi.

3.8 Chirurgia del IV stadio (metastasi solitarie) L’encefalo è una delle sedi più frequenti di metastatizzazione dopo terapiaprimaria. Nei casi di metastasi cerebrale unica, il trattamento con Radiochi-rurgia o craniotomia più o meno irradiazione panencefalica rappresenta iltrattamento di elezione. Nei casi con metastasi cerebrale unica sincrona al-l’esordio ,il trattamento focale della metastasi cerebrale (Chirurgia, Radio-chirurgia), seguito da resezione chirurgica polmonare e chemioterapiasistemica può ottenere una sopravvivenza a 5 anni compresa tra il 10% e il20%. Per le metastasi uniche in altre sedi (es. surrene), sono riportati casi aned-

dotici di lungo-sopravviventi dopo metastasectomia, ma non vi sono ele-menti sufficienti a suffragare il ruolo terapeutico di questa procedura.

3.9 Follow-up del paziente radicalmente operatoUna visita con esame radiologico standard ed esami emato-chimici è consi-gliata a distanza di 30 giorni dall’intervento per una valutazione degli esitichirurgici. Non sono disponibili dati EBM sul follow-up ottimale nei pazientioperati radicalmente e che non necessitano di ulteriori trattamenti. Lo standard consiste in una visita ambulatoriale con TAC Torace ogni 4 mesinei primi 2 anni, ogni 6 mesi nell’anno successivo, ed annualmente dopo 3anni dall’intervento chirurgico, per un possibile nuovo tumore primitivo (10-20% dei casi). Esami aggiuntivi come la PET o la broncoscopia, possono essere prescritti inpresenza di sintomi o segni sospetti per recidiva locale o metastasi a di-stanza, o per valutare una nuova lesione polmonare, ma non rientrano nel fol-low-up di routine.

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma polmonare

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nizzative, è necessario che l’oncologo radioterapista sia consultato nella fasedi programmazione terapeutica iniziale, dal momento che il trattamento ra-dioterapico deve essere definito in base alle condizioni cliniche del paziente,alla estensione della malattia, in rapporto alla potenziale tossicità del tratta-mento radioterapico, che a sua volta varia in rapporto alla associazione omeno con la chemioterapia e la chirurgia e a seconda del tipo di trattamentochirurgico o chemioterapico che venga eventualmente adottato. E’ infine indispensabile che siano disponibili per la radioterapia posti di de-genza (LETTI TECNICI) presso il quale seguire i pazienti in trattamento ra-diante che presentassero tossicità e/o morbosità di grado tale da renderenecessario il ricovero; è altamente auspicabile che questi spazi siano indivi-duati in reparti con adeguate caratteristiche clinico-organizzative. Dal puntodi vista dei livelli di attività necessari per l’accreditamento, essi sono meglioespressi in rapporto all’insieme della patologia neoplastica polmonare trat-tata, ben sapendo che la percentuale di trattamenti con finalità radicale sultotale dei casi trattati, con la conseguente richiesta di una maggiore com-plessità delle procedure terapeutiche da adottare, è relativamente ridotta(circa il 30%). Per quanto tutti i Centri di Radioterapia siano in grado di trat-

tare questa patologia, purché dispongano della dotazione strutturale e stru-mentale prima delineata, si ritiene che per l’accreditamento di eccellenzasia necessario che un Centro tratti oltre 40 casi di neoplasia polmonare/annocon un minimo di circa 15 pazienti/anno irradiati con finalità radicale (RTesclusiva o pre/postoperatoria) (tabella 2).

5.4 EndoscopiaCriteri di appropriatezza per la esecuzione di broncoscopie diagnosti-che e terapeutichePneumologia InterventisticaLa Pneumologia Interventistica è quel settore di attività pneumologica che sioccupa della diagnostica e della terapia delle malattie respiratorie con me-todiche invasive.Le attività sono focalizzate sull’utilizzo delle tecniche broncoscopiche (construmento flessibile e rigido), toracoscopiche e bioptiche in generale, per ladiagnosi ed il trattamento. di un ampio spettro di patologie dell’apparato re-spiratorio.

5.1 ChirurgiaVolumi di attività per accreditamento ed eccellenza Nella letteratura internazionale esiste una sufficiente evidenza che i risultatiglobali della terapia chirurgica (mortalità, morbilità e sopravvivenza a lungotermine) in ogni struttura siano legati al numero di interventi eseguiti an-nualmente, e che il volume di attività possa rappresentare un parametro in-diretto di eccellenza. In particolare, per quanto riguarda la chirurgia dei tumori polmonari, i dati delpiù affidabile registro americano (SEER), mostrano che nei centri che ese-guono più di 66 resezioni per tumore polmonare ogni anno, rispetto a quelliche ne eseguono meno di 15, si osserva una drastica riduzione della morta-lità (3% vs. 6%) e della morbilità (20% vs. 44%), ed un netto miglioramentodella sopravvivenza globale a 5 anni (44% vs. 33%) [Bach 2001].Gli standard di qualità per la chirurgia toracica sono stati approvati nel 2001dalle due Società Europee di Cardiochirurgia e Chirurgia Toracica Generale,ed individuano i seguenti parametri di attività [Klepetko 2001]:• il numero minimo di procedure maggiori, quali lobectomie e pneumo-

nectomie è pari a 100-200 casi anno per l'accreditamento, e 250-350casi anno per i centri di eccellenza clinica

• il livello minimo di attività per un chirurgo toracico senior è di 150 in-terventi per anno, e per un chirurgo in formazione di 50-100 interventiper anno

• la disponibilità di risorse per l'assistenza ed il monitoraggio postopera-torio deve essere pari ad 1 letto di terapia Intensiva, e 1-2 letti di tera-pia semi-Intensiva, ogni 300 interventi anno.

5.2 Terapia medicaDotazioni delle unità cliniche per accreditamento ed eccellenza Sono indispensabili adeguati locali di attesa a seconda dei volumi di attività.Ai fini dell’iter diagnostico le strutture da accreditare devono disporre ne-cessariamente dei servizi (radiologia, pneumologia, anatomia-patologica, la-boratorio di fisiopatologia respiratoria) che consentano di formulare unadiagnosi di natura e di candidare il paziente al più appropriato trattamento.E’ indispensabile la disponibilità di adeguati locali per la somministrazionedella chemioterapia che consentano il rispetto della privacy dei pazienti. Siritiene indispensabile una dotazione minima di 4 sedie per chemioterapiaper l’accreditamento e di 8-10 per i centri di eccellenza. Un minimo di 2 camere visita per l’accreditamento e di 4 per i centri di ec-cellenza. Debbono necessariamente sussistere un minimo di 3-4 posti letto di ap-poggio qualora si renda necessaria l’ospedalizzazione dei pazienti. Per esserequalificati quali centri di eccellenza debbono necessariamente insistere nellastessa struttura tutte le figure professionali che sono richieste per il gruppointerdisciplinare di cure. E’ richiesto la comprovata esecuzione di una riu-nione del gruppo interdisciplinare ogni 2 settimane per l’accreditamento esettimanale per i centri di eccellenza. Per l’accreditamento e per la qualificazione come centri di eccellenza è in-dispensabile disporre di farmacia oncologica centralizzata per la prepara-zione dei farmaci oncologici. Occorre disporre di sistemi di controllo di qualitàper la prescrizione dei farmaci al fine di minimizzare l’errore prescrittivo.L’esistenza d'infermiere di ricerca, di data managers e di psicologi è consi-derato criterio irrinunciabile per i centri di eccellenza. Per i centri di eccel-

lenza deve essere comprovata l’esistenza di dotazioni tecnologiche di labo-ratorio che consentano l’adesione a studi clinici che richiedano l’utilizzo dianalisi molecolari.

Volumi di attività per accreditamento ed eccellenzaSi ritiene che per l’accreditamento delle strutture dedicate alla sommini-strazione della chemioterapia per le neoplasie toraciche sia richiesto un vo-lume minimo di 4 nuovi pazienti/mese mentre per i centri di eccellenza sirichiede un numero minimo di 8-10 nuovi pazienti mese. Per i centri di eccellenza è richiesta la comprovata partecipazione a studiclinici in un numero minimo di 3/anno con un arruolamento di un minimodel 20% del totale dei pazienti. Sono altresì da richiedere alle strutture dieccellenza un numero minimo di uno studio clinico promosso dal centro dieccellenza ogni 3 anni.In tabella 1 sono riportati tutti i criteri necessari per l’accreditamento e l’ec-cellenza.

5.3 RadioterapiaDotazioni e volumi di attività per accreditamento ed eccellenza Dal punto di vista della dotazione strutturale, è altamente auspicabile (anchese non strettamente indispensabile, v.infra) che il Centro di Radioterapia cheesegue trattamenti per le neoplasie del polmone disponga al suo interno dipersonale infermieristico e di un ambiente clinico adeguatamente attrezzatopresso il quale effettuare terapie di supporto e/o trattamenti chemioterapiciconcomitanti alla radioterapia.La dotazione strumentale necessaria per l’accreditamento include le attrez-zature per la realizzazione di trattamenti 3D conformati (immagini TC da TCsimulatore o trasferite da una normale TC impiegata per diagnostica, TPScon potenzialità adeguata per produrre piani conformati 3D, acceleratore li-neare). Non vi sono al momento attuale evidenze di un sicuro vantaggio cli-nico con l’uso di apparecchiature complesse quali il Cyberknife™ o laTomotherapy™ che possono però essere consigliate in caso di ritrattamentio lesioni complesse per forma e/o dimensioni. Pur mancando al momentoevidenze di Livello di Evidenza di Tipo I, i risultati di molteplici studi non ran-domizzati suggeriscono l’uso della radioterapia stereotassica “body” (SBRT)nei pazienti con tumori polmonari in I/II stadio (diametro inferiore ai 4-5 cm)non passibili di intervento chirurgico per condizioni respiratorie, cardiache,comorbidità importanti, età. E’ altresì molto controversa (e in ogni caso limitata a casi estremamente se-lezionati) l’utilità di piani di trattamento IMRT (Intensity Modulated RadiationTherapy). Non vi è alcuna evidenza della superiorità in termini di outcome dipiani basati sulla coregistrazione di immagini TC e PET. L’uso di queste tec-niche è pertanto non appropriato al di fuori di studi clinici. Pertanto, la di-sponibilità di tutte queste metodiche non può essere considerato un requisitoper l’accreditamento. L’impiego di metodiche di “gating” respiratorio o co-munque di “breathing control” non può essere realizzato in tutti i pazienti edil suo impatto sull’outcome non è dimostrato. Analogamente, una valutazionein termini di outcome e di EBM dell’impiego di tecniche di Image Guided Ra-diation Therapy (IGRT) non è ancora disponibile; la possibilità di utilizzare talitecniche non può essere considerato un requisito per l’accreditamento stru-mentale. Tuttavia, le linee guida del NCCN suggeriscono il loro impiego“quando fattibile”. Dal punto di vista dell’expertise e delle necessità orga-

5. Valutazione per attività per accreditamento ed eccellenza Tabella 1. Requisiti minimi e criteri di eccellenza per la terapia medica

Risorse/Procedure Requisiti minimi Requisiti eccellenza

Numeri prime visite Nuovi casi mese > 4 Nuovi casi mese > 8-10

Posti Day Hospital ≥ 2 ≥ 12

Posti letto NO SI

Preparazione centralizzata dei farmaci NO SI

Continuous care NO SI

Prima visita oncologica > 1 settimana < 1 settimana

Completamento stadiazione > 2 settimane < 2 settimane

Inizio terapia > 2 settimane dalla decisione terapeutica < 2 settimane dalla decisione terapeutica

Presenza di gruppi multidisciplinariLa gestione del Paziente deve avvalersi della possibilità di discussione interdisciplinare

Riunioni settimanali con patologo, chirurgo, radiotera-pista, oncologo, radiologo, pneumologo interventista

Organizzazione interna per l’emergenza NO Reperibilità telefonica

DEA primo livello NO SI

Ambulatorio per impianti di CVC Disponibilità saltuaria Disponibilità settimanale

Terapia nutrizionale Disponibilità saltuaria Disponibilità settimanale

Struttura di terapia antalgica NO o disponibilità saltuaria SI con disponibilità continua

Counselling psicologico e/o psichiatrico NO o disponibilità saltuaria SI con disponibilità settimanale

Data management office NO SI

Studi clinici inerenti patologia polmonareN° pazienti inseriti negli studi clinici

<2 nuovi studi anno< 20% del totale trattati

>2 nuovi studi anno> 20% del totale trattati

Pubblicazioni su riviste scientifiche, libri o capitoliinerenti la patologia polmonare

< 2 anno ≥ 2 anno

Abstract, relazioni, o comunicazioni a Congressi inerenti la patologia polmonare

< 3 anno ≥ 3 anno

Per l’accreditamento devono essere soddisfatti almeno 10/12 requisitiPer l’eccellenza devono essere soddisfatti almeno 6/12 requisiti

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma polmonare

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Tabella 2. Requisiti minimi (fondo bianco) e criteri di eccellenza (fondo grigio) per la radioterapia

Risorse/Procedure DisponibilitàNumero pazienti trattatinel 2010

Radioterapia Oncologica Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati (*) e 3 dei 6 altri requisiti

Trattamenti radioterapici con fasci esterni sul tumore primitivo con intento radicale o palliativo

15*

Acceleratore lineare Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa

Simulazione con utilizzo di TC Idem

Piano di trattamento basato su immagini TC Idem

Immagini portali settimanali Idem

Sistemi di immobilizzazione Idem

DH Disponibilità di accesso

Trattamenti radioterapici con fasci esterni sul tumore primitivo con intento radicale o palliativo

40 *

Radioterapia conformazionale con collimatoremultilamellare

Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa

IMRT Il trattamento può avvalersi di questa risorsa

IGRT Idem

RT Stereotassica l trattamento può avvalersi di questa risorsa

Degenze Disponibilità posti letto dipartimentali o tecnici

Procedure Per l’eccellenza è necessario soddisfare entrambi i due requisiti richiesti

Prima visita specialistica Entro 1 settimana dalla richiesta di prenotazione

Completamento stadiazione Entro 4 settimane dalla prima visita

Inizio terapia Entro 6 settimane dalla prescrizione

Inizio terapia

I trattamenti con intento curativo radio o radio-chemioterapici dovrannoiniziare nel tempo più breve possibile dal completamento della stadiazionee/o della chemioterapia neoadiuvante. Nei trattamenti postoperatori l’intervallo sarà il più breve possibile com-patibilmente con la guarigione chirurgica,le condizioni cliniche del pazientee/o il completamento dell’eventuale programma chemioterapico adiu-vante.

Gruppo Oncologico MultidisciplinareLa gestione del paziente dovrebbe sempre avvalersi di questa risorsa

Attività Scientifica Per l’eccellenza è necessario soddisfare 2 dei 4 requisiti richiesti

Pubblicazioni

Pubblicazioni su riviste scientifiche Almeno una nell’anno

Abstracts in Congressi Almeno una nell’anno

Presentazioni a Congressi e Corsi

Relazioni, comunicazioni Almeno una partecipazione nell’anno

Partecipazione a studi multicentrici Almeno uno attivo

Tabella 3. Percorso assistenziale dei pazienti sottoposti a broncoscopia

Tempestività dellerisposte perl’esame broncoscopico diagnostico

N. pazienti contempi di attesaadeguati tra richiesta esame eesecuzione dellaprestazione

n.b. i tempi si in-tendono adeguatise variano da 1 a 5giorni (dipendedall’esame)

Indicatore che valuta i tempi di attesa per accederealla prestazione

>90% U.O. Documentazionesanitaria

Rilevazione a curadell’U.O.Valutazione annualesu campione statisticamente significativo

Correttezza diagnostica

% diagnosi eziologia corrette/100 esami diagnostici

>70% U.O Documentazionesanitaria

Rilevazione a curadell’U.O.Valutazione annualesu camipne statisticamente significativo

Rilevazione dellecomplicanze magggiori in corsodi broncoscopia

% complicanze*100 esami eseguiti

*per complicanzemaggiori si inten-dono: insufficienzarespiratoria, polmo-nite, pneumotorace,broncoostruzione,arresto cardiorespi-ratorio, aritmie,edema polmonare,emorragie

<2% U.O. Documentazionesanitaria

Rilevazione a curadell’U.O.Valutazione annualesu campione statisticamente significativo

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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Le attività, divise in diagnostiche ed operative, richiedono diversi livelli dicompetenza.Endoscopia diagnosticaSettore caratterizzato soprattutto dall’utilizzo di strumenti flessibili (fibro-broncoscopi). Sono compresi in questo settore attività come la fibrobronco-scopia senza e con prelievi (broncolavaggio, lavaggio bronchioloalveolare,brushing, biopsia mucosa, biopsia transbronchiale senza e con guida fluo-roscopica, agoaspirato e agobiopsie transbronchiali), la broncoscopia conautofluorescenza, l’agoaspirato transtoracico, le biopsie pleuriche a “cielocoperto” e la broncoscopia pediatrica.Endoscopia operativaOltre alle funzioni esercitate dal livello diagnostico si aggiungono: il tratta-mento endoscopico delle malattie bronco polmonari, la terapia palliativa e ra-dicale endoscopica dei tumori, la disostruzione tracheobronchiale nellepatologie benigne, l’impianto di protesi, la rimozione dei corpi estranei (pro-cedure che si avvalgono dell’utilizzo prevalente della strumentazione rigida,del laser, della criosonda e dell’elettrocoagulatore), la toracoscopia medica,la ultrasonografia.Oltre ai requisiti generali e specifici previsti dalla normativa vigente, devonoessere previsti i seguenti requisiti.

Requisiti tecnologici per broncoscopia di I livello• Sala endoscopica per Broncoscopia con strumento flessibile• Attrezzatura/strumentazione necessaria • Broncoscopi flessibili• Strumenti per prelievi: pinze, pinze per corpi estranei, aghi cito e istolo-

gici, brushing, dispositivi per la raccolta, la conservazione e l’invio deicampioni prelevati

• Fonti luminose per flessibile • Sistema di registrazione Video dell’esame (Opzionale ma consigliato)Sistema di monitoraggio paziente:• pulsossimetro, ECG, rilievo incruento della pressione arteriosa• materiale per incannulazione e mantenimento via venosa

• sala endoscopica per prelievi in controllo radiologico• disinfezioneNB: gli endoscopi non totalmente immergibili devono essere sostituiti• lavatrice ad ultrasuoni per accessori (preferibile)• dispositivo per la verifica di tenuta dei fibroscopi• apparato per la disinfezione di alto livello o sterilizzazione con una lava

disinfetta endoscopi automatica o sterilizzazione• la disinfezione manuale deve essere abbandonata• stoccaggio e smaltimento del disinfettante secondo la normativa vigente.

Requisiti tecnologici per broncoscopia di II livelloOltre ai requisiti previsti per le strutture di broncoscopia I livello devono es-sere previsti i seguenti:• sala endoscopica per Broncoscopia operativa• attrezzatura/strumentazione necessaria • stessa strumentazione del flessibile• tracheoscopi e broncoscopi rigidi• pinze rigide per biopsie e rimozioni corpi estranei• cateteri con palloncino per blocco bronchiale• sondini per aspirazione bronchiale• laser o elettrocoagulatore• protesi con introduttori.

Requisiti organizzativi (per le singole procedure)Durante l’attività broncoscopica sono necessari:• un medico con formazione specialistica e training specifico endosco-

pico• un infermiere professionale con formazione specifica.Per la attività di endoscopia operativa sono necessari:• con formazione specialistica e training specifico in endoscopia operativa

un medico anestesista• due infermieri professionali con formazione specifica in endoscopia.E’ necessario che in ogni centro dove si pratichi attività di pneumologia in-

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma polmonare

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terventistica, vi siano almeno due medici competenti, in grado di eseguire au-tonomamente una indagine di endoscopia diagnostica.E’ necessario che in ogni centro dove si pratichi attività di pneumologia in-terventistica, vi siano almeno due infermieri competenti, in grado di eseguireautonomamente le attività collegate alla endoscopia diagnostica.Nel campo della Oncologia Polmonare la stessa legge prevede anche alcuniparametri minimi di efficienza (tabella 3)Le linee guida stabiliscono i parametri minimi di esperienza per singolo ope-ratore, con un minimo di 120 broncoscopie diagnostiche per operatore, men-tre sono necessarie non meno di 10 procedure operative per operatore nelcampo della endoscopia terapeutica (broncoscopie rigide in anestesia ge-nerale).E’ indispensabile che i centri di endoscopia coinvolti nella rete oncologicaregionale siano in grado di eseguire correntemente broncoscopie in aneste-sia locale e sedazione, con esecuzione di prelievi bioptici endobronchiali, dibiopsie transbronchiali periferiche e di TBNA. Tali metodiche debbono essereimpiegate routinariamente nel processo diagnostico e stadiativo. Per le biop-sie transbronchiali l’impiego di sistemi di guida ha dimostrato un netto in-cremento del rendimento diagnostico, e fra questi sono considerati accettabilila radioguida, l’ecoguida e la navigazione elettromagnetica. L’impiego dellaROSE (Rapid On Site Examination), ha innalzato il rendimento diagnosticodella TBNA e ridotto tempi e complicanze, ed è pertanto anch’essa consi-

gliata. Per la TBNA su linfonodi inferiori al cm e pertinenti a stazioni non 7,4, 10, è consigliata l’ecoguida.I centri di eccellenza di II secondo livello debbono possedere un più elevatolivello di esperienza e devono garantire il completo iter diagnostico, stadia-tivo e terapeutico. Per essere inclusi nei centri di II livello è necessario di-sporre di almeno un sistema di guida per le biopsie periferiche e rispettarei criteri nazionali di accreditamento, quali quelli previsti dal disciplinare AIPOper la Pneumologia Interventistica o quelli della regione Emilia Romagna, inlarga parte sovrapponibili.Si allega la tabella 4 con la proposta di codifica dei criteri richiesti. Tali cri-teri debbono essere basati su dati obiettivi ricavabili dai dati dei Servizi In-formatici Regionali o Aziendali.

5.5 Patologia molecolareDotazioni e volumi di attività per accreditamento ed eccellenza La strutturadeve disporre di un laboratorio di istopatologia e di un laboratorio di biologiamolecolare attrezzato per estrazione, conservazione, amplificazione, e se-quenziamento di acidi nucleici. Per quanto riguarda i volumi di attività è dif-ficile oggi stabilire valori soglia in modo attendibile, anche se un volume divalutazioni di biologia molecolare di almeno 350 esami l’anno sembra indi-spensabile per garantire efficacia ed efficienza di attività. Le attrezzature ne-

Tabella 4. Requisiti minimi (fondo bianco) e criteri di eccellenza (fondo grigio) per l’endoscopia

Risorse/Procedure DisponibilitàNumero pazienti trattatinel 2010

Endoscopia Toracica Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati (*) e almeno 3 dei 5 altri requisiti

Broncoscopia diagnostica 360

Biopsie transbronchiali Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa

TBNA Idem

Disostruzione laser assistita 60

Biopsie trans bronchiali con sistema di guida Ogni esame può avvalersi di questa risorsa

Fluorescenza o NBI Idem

Assistenza anestesiologica Idem

Posizionamento di endoprotesi Idem

Degenze Disponibilità posti letto dedicati, dipartimentali o tecnici

Procedure Per l’eccellenza è necessario soddisfare entrambi i due requisiti richiesti

Broncoscopia diagnostica 1 settimana dalla richiesta

Stadiazione endoscopica 2 settimane dalla richiesta

Disostruzione laser o posizionamento endoprotesi 2 settimane dalle richiesta o 48 ore in urgenza

Attività Scientifica Per l’eccellenza è necessario 1dei 3 requisiti

Pubblicazioni

Pubblicazioni su riviste con impact factor Nell’anno

Adesione a protocolli nazionali e internazionali

Relazioni a Congressi e Corsi di rilevanza azionale Nell’anno

cessarie per un laboratorio di biologia molecolare sono numerose e specifi-che. Possiamo citare, a titolo esemplificativo, Heat Block, microdissettorelaser, cappa sterile per PCR, congelatore -20°C e -80°C, Frigo +4°C/ -20°C,Forni ventilati, centrifughe, termociclatori, bilancie, cappa chimica, Phmetro,agitatore rotante, piastra riscaldante, sequenziatore automatico. La strategiapiù efficace per garantire la qualità della prestazione è la obbligatorietà del-l’adesione ad un programma di controllo di qualità esterno, attraverso cuivenga verificata periodicamente la capacità operativa tecnica ed interpreta-tiva, per verificare periodicamente la capacità operativa in biologiamolecolare del centro".

5.6 RadiodiagnosticaDotazioni e volumi di attività per accreditamento ed eccellenza Il Gruppo di studio per la garanzia di qualità in radiologia diagnostica e in-terventistica ha pubblicato nel 2007, per conto dell’ Istituto Superiore di Sa-nità, le “Linee guida per la garanzia di qualità in radiologia diagnostica einterventistica” nelle quali sono elencati i requisiti strutturali e tecnologiciper strutture di 1°,2° e 3° livelloLa dotazione strumentale minima necessaria per l’accreditamento include,oltre agli spazi necessari per la diagnostica e l’accoglienza del paziente, conarea di attesa per pazienti allettati con postazione per l’assistenza infermie-ristica:• attrezzatura per Radiologia Convenzionale costituita da un telecoman-

dato digitalizzato e un teleradiografo, (1 apparecchio dedicato, nellestrutture ad alta attività (> 50 Rx torace/die))

• uno o più ecografi dei quali almeno uno dotato di modulo color-doppler;• una apparecchiatura di risonanza magnetica (RM) per le indagini del-

l’encefalo e del tronco• una apparecchiatura di radiologia vascolare e interventistica in presenza

di attività di radiologia interventistica• una apparecchiatura di Tomografia Computerizzata, volumetrica.Per l’eccellenza sono necessarie, oltre alle dotazioni previste per le attivitàdi 1° e 2° livello, almeno le seguenti apparecchiature di alta tecnologia:• una o più sale dotate di angiografi digitali per l’esecuzione di procedure

interventistiche con annessi spazi di attesa per pazienti allettati, conpresidio infermieristico. Dette strutture, nelle quali si eseguono proceduremininvasive, devono rispondere ai requisiti strutturali e impiantistici di ungruppo operatorio

• tomografia computerizzata volumetrica con tecnologia multidetettore(MSCT)

• una apparecchiatura di RM, con campo magnetico statico superiore a 1Tesla, per indagini dell’encefalo e del tronco e indagini angiografiche.

Presenza di un servizio di Medicina Nucleare dotata di TC-PETDal punto di vista dell’expertise è necessario personale medico dedicato eversato nella patologia polmonare, che possa strettamente collaborare conclinico e anatomo-patologo, soprattutto nella valutazione iniziale del tumoree nella valutazione e gestione del nodulo polmonare solitario (NPS), con par-ticolare attenzione alle ultime raccomandazioni dell’ATS e ERS del 2011. Necessaria la presa in carico del paziente (con liste dedicate), in modo dadare in tempi ristretti (max 1 settimana) risposta alla richiesta del Clinico siadi un primo accertamento che di successivo follow up. Auspicabile che l’iterdi prima diagnosi e i successivi controlli vengano eseguiti interamente nellastessa struttura ospedaliera e dalla stessa equipe.Devono essere previste riunioni collegiali periodiche, da parte di un gruppodedicato per valutazione degli aspetti clinici, radiologici, medico-nucleari e

istologici e per la valutazione dei risultati secondo protocollo RECIST.Necessario altresì servizio di radiologia interventistica capace di risponderein tempi adeguati alle richieste di biopsia diagnostica e, quando indicato, allerichieste di trattamento di termoablazione con radiofrequenza delle lesionipolmonari.Il personale deve mantenere la propria clinical competence con almeno 30ore/anno di aggiornamento dedicato.

Attività diagnostica non invasivaIl mantenimento della clinical competence da parte dello specialista cheopera nella struttura richiede l’esecuzione e la refertazione di almeno 1500esami (esami indentificati e contati come da nomenclatore tariffario) per levarie procedure diagnostiche ogni tre anni di presenza in servizio.Deve esistere un piano annuale di formazione dell’U.O. secondo quanto in-dicato negli obiettivi del Piano annuale delle attività.Il piano di aggiornamento del personale deve tenere conto della necessità diacquisire i crediti formativi secondo i criteri e le indicazioni previste dal-l’Educazione Medica Continua.

Attività di radiologia invasivaPer l’attività invasiva oltre ai requisiti generali sovraspecificati si richiede inparticolare che il professionista che operi in autonomia abbia eseguito fin dal-l’inizio del suo curriculum formativo come primo o secondo operatore almeno150 procedure complessive nei due settori, invasivo diagnostico e invasivoterapeutico-interventistico, con un casemix percentuale orientativamente noninferiore al 20% per l’attività terapeutico interventistica.

5.7 Counselling psicologico e/o psichiatricoI tumori del polmone possono impattare la sfera psicologica, affettiva e fa-miliare del paziente che si confronta con una malattia che minaccia la vita econ gli esiti dei trattamenti oncologici.Questa neoplasia colpisce in modo consistente la popolazione ultra sessan-tacinquenne (>55%) e gli ultrasettantenni (30%), è strettamente legata al-l’abitudine tabagica, che rappresenta il più importante fattore di rischio (85%dei casi osservati), ed all’inquinamento atmosferico (tra il 20% e il 50%-100% a secondo delle aree geografiche). In questa popolazione la presenza di pregressa morbidità psicologica legataall’età ed il significato attribuito dai pazienti a questa patologia ed alle pos-sibilità di cura determinano elevati livelli di distress psicologico (43%). Siraccomanda uno screening del distress psicologico fin dalla presa in caricodel paziente per il piano assistenziale individuale di trattamento (PAI) ed unintervento di prevenzione secondaria per i danni legati al fumo, al fine di of-frire, in ambiente ospedaliero e a domicilio, un supporto psicologico rivoltoal paziente e ai familiari.Tale supporto deve essere fornito da uno Psicologo e/o Psichiatra inseritonel Gruppo Interdisciplinare di cura, adeguatamente formato nel campo delleproblematiche personali, familiari e sociali del paziente con tumore al pol-mone. L’obiettivo del supporto psicologico è quello di favorire l’adattamentoalla malattia e la compliance all’iter terapeutico, la progettualità e la migliorequalità di vita.La presenza dello psicologo/psichiatra all’interno del Gruppo Interdiscipli-nare di cura è mirata anche all’offerta di training sulle abilità comunicativeagli operatori sanitari. La presenza di abilità comunicative negli operatoripermette ai pazienti una decisione informata sulle scelte terapeutiche, mi-nori livelli di distress psicologico, maggiore compliance all’iter terapeutico emaggiore soddisfazione per la cura ricevuta.

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma polmonare

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella

Criteri di appropriatezza clinicaed organizzativa nella diagnosi,

terapia e follow-up della neoplasiadella mammella

Coordinatore: Francesco Cognetti

V. Altomare, C. Amanti, M. Amini, A.Barca, E. Cossu, G. De Toma, F. Di Filippo, A. Fabi,F. Ferranti, L. Fortunato, T. Gamucci, G.B. Grassi, G. Guggiardo, P. Marchetti, R. Masetti,M. Mottolese, L. Nardone, G. Naso, L. Perrachio, G. Petrella, P. Pinnarò, P. Pistolese,

C. Pistolese, P. Pugliese, D. Terribile, S. Tomao, M. Valeriani.

Pagina 86

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella

1.1 Aspetti generaliIl tumore della mammella è la neoplasia di gran lunga più frequente nel sessofemminile; nel periodo 1998-2002 ha rappresentato il 24,9% del totale dellediagnosi tumorali. Anche in termini di mortalità è risultata la prima fra lecause tumorali con il 17,1% del totale dei decessi per tumore.Nell’area AIRT (Associazione Italiana Registri Tumori) sono stati diagnosticatiin media ogni anno 152 casi di tumore della mammella ogni 100.000 donne.Le stime per l’Italia indicano un totale di circa 38.000 nuovi casi diagnosti-cati nel nostro paese, mentre per quanto riguarda la mortalità nel 2003 sisono verificati 11.461 decessi per tumore della mammella femminile. La so-pravvivenza relativa a 5 anni è del 85%.Il rischio di avere una diagnosi di tumore della mammella femminile nel corsodella vita (fra 0 e 74 anni) è di 90,2‰ (1 caso ogni 11 donne), mentre il ri-schio di morire è di 19,8‰ (1 decesso ogni 50 donne). Nel Lazio i tassi diincidenza e mortalità sono in linea con i dati nazionali. Nel 2010 si sono sti-mati circa 4.000 nuovi casi (tasso di incidenza st. 110,1 per 100.000 donne),con una stima del numero di decessi di circa 700 casi (tasso di mtà st. 16.3per 100.000 donne). I dati nazionali ed internazionali hanno dimostrato l’efficacia dei programmidi prevenzione secondaria basati sulla sola mammografia (screening) nelle50-69enni eseguita ogni 2 anni: nelle donne che vi partecipano è dimostratariduzione della mortalità che può arrivare fino al 50%. Questi programmi pre-sentano criticità: soffrono infatti di incompleta copertura del territorio e dicarenze di adesione, talvolta non rispondono ai requisiti minimi di qualità,escludono la fascia d’età dai 45 ai 49 aa, oltre alla fascia dai 70 ai 74 aa, nonutilizzano estesamente la mammografia digitale e le nuove tecnologie com-plementari alla mammografia, quali CAD, ecografia e RM, e non tengonoconto del profilo di rischio della singola donna (es. rischio genetico/fami-liare).

1.2 Riferimenti normativiNell’ambito del Piano Nazionale della Prevenzione 2010-2012, la RegioneLazio con DGR 557/10 e 613/10 ha approvato le linee di intervento che ri-guardano il consolidamento e le innovazioni tecnologiche in ambito delloscreening organizzato per i timori della mammella, della cervice uterina edel colon retto. Nel DCA 59/2010 sono inseriti come parti integranti della rete, sottolineandol’importanza del monitoraggio effettuato attraverso il sistema di indicatoridell’Osservatorio Nazionale degli Screening (ONS) calcolati a livello regio-nale.

1.3 I datiNel Lazio l’estensione teorica dei programmi ha raggiunto il 100% in quantotutte le ASL hanno un programma di screening che si sviluppa sul proprio ter-ritorio. Nel 2009 i programmi hanno invitato il 70% della popolazione target.La popolazione residente da invitare ogni due anni è di circa 700.000 donnein fascia di età 50-69 anni. Delle donne invitate solo il 40% ha aderito al programma eseguendo la mam-mografia di screening. La partecipazione è più alta nelle zone fuori comunedi Roma (52% vs 34%). Il 5.8% delle donne che ha effettuato la mammo-grafia di screening ha proseguito l’iter di screening effettuando esami di ap-

profondimento, valore in linea con il tasso nazionale e con lo standard rac-comandato. Sono state inviate a trattamento chirurgico circa 500 donne ot-tenendo una Detection Rate del 3.36 per mille; il rapporto Benigni /Maligniregistrato è in linea con lo standard raccomandato (0.16 vs 0.5 standardONS). Se si considerano i dati della Multiscopo dell’Istat e dallo studio PASSI ri-sulta in realtà che la percentuale di copertura mammografica nel Lazio nelledonne in fascia di età 50-69 anni risulta essere superiore al 70%. Tale datoscaturisce dalla coesistenza di un doppio canale di offerta (organizzata ed op-portunistica) che genera inappropriatezza e dispendio di risorse.

1.4 Popolazione di riferimento dei Programmi di screening

Secondo le Raccomandazioni del Ministero della Salute tutte le regioni de-vono attuare programmi di screening per il tumore della mammella per ga-rantire l’offerta di un LEA alla popolazione bersaglio, ossia tutte le donne dietà compresa tra i 50 e i 69 anni. L’estensione alle fasce 45-49 e 70-74 anniè attuabile dalle Regioni solo dopo aver garantito l’estensione totale ed unaadeguata partecipazione alla fascia di elezione. Fascia 45-49 anni: L’ estensione dell’invito a questa fascia di età deve tenereconto dell’ utilizzo come test di screening della mammografia con doppiaproiezione, doppia lettura con frequenza a 12-18 mesi. Per le donne conmammelle radiologicamente più dense è opportuno integrare l’esame mam-mografico con l’ecografia. Qualora non ci siano le condizioni per estenderel’invito a tale fascia di età è necessario integrare nel percorso le donne chespontaneamente effettuano la mammografia attraverso lo screening oppor-tunistico.. Fascia 70-74 anni: i presupposti per una estensione a questa fascia di etàsono: migliore sensibilità mammografica, durata maggiore della fase precli-nica, maggiore aspettativa di vita e crescente disponibilità di trattamenti ef-ficaci; per le donne già inserite nel percorso si tratta di continuare ad invitaresecondo i controlli periodici (mammografia con doppia proiezione, doppialettura con frequenza biennale).

1.5 Ricerca e InnovazioneLa riduzione della mortalità è invariata da 40 anni ed è stata ottenuta conun’unica tecnica standard, la mammografia, E’ ipotizzabile che la persona-lizzazione dei programmi, con l’introduzione della mammografia digitale, delCAD e l’integrazione della Mammografia con l’Ecografia e la RM, adottandopercorsi e timing di controllo differenziati, possa ridurre ulteriormente la mor-talità. Per raggiungere tale scopo è indispensabile attuare sperimentazioni dimodelli organizzativi modulati sul profilo di rischio individuale. Sulla base dei risultati di tali sperimentazioni ogni singola donna dovrà es-sere classificata in base al proprio profilo di rischio, tenendo conto della sto-ria personale e familiare, dell’ assunzione o meno di terapia ormonalesostitutiva, delle caratteristiche di composizione della ghiandola mammaria(es. seno denso), di eventuali precedenti interventi/terapie per carcinomamammario, della presenza di impianti protesici. Le donne a rischio “normale” seguirebbero le modalità dello screening “tra-dizionale”, le altre verrebbero inviate ad un programma di prevenzione “per-sonalizzato”sulla base del rischio:

1. Prevenzione secondariaA. Barca, G. Gucciardo, C. Pistolese

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

INDICE

1. Prevenzione secondaria Pagina 3

1.1 Aspetti generali1.2 Riferimenti normativi1.3 I dati1.4 Popolazione di riferimento dei Programmi di screening1.5 Ricerca e InnovazioneALLEGATO 1 Articolazione delle strutture, funzioni, requisiti tecnici e strutturali nella prevenzione secondaria

2. Accertamento diagnostico e stadi azione Pagina X

3. Trattamento Pagina X

3.1. Malattia non invasiva3.2. Stadi iniziali3.3. Malattia localmente avanzata3.4. Malattia recidiva e metastatica3.5. Terapie di supporto e riabilitazione

4. Follow-Up Pagina X

5. Percorso psicologico nelle diverse fasi della neoplasia mammaria Pagina X

6. Criteri sull’appropriatezza delle dotazioni strutturali Pagina X

e delle expertise nel carcinoma della mammella ai fini della valutazione di accreditazione e della definizione di eccellenza

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1. Rischio medio = mammella densa (3°- 4° BI-RADS), terapia ormonalesostitutiva, precedenti terapie/interventi per Ca mammario, impianti pro-tesici.

2. Rischio alto = rischio genetico/familiare (lifetime risk = >25%)La stratificazione potrebbe essere fatta dal Medico Radiologo, che legge lamammografia di screening e valuta i dati della scheda anamnestica delladonna compilata dal tecnico radiologo che effettua il test; nel caso di so-spetta componente genetica la donna andrebbe obbligatoriamente inviata aicentri di counselling precedentemente identificati.

ALLEGATO 1 Articolazione delle strutture, funzioni, requisiti

tecnici e strutturali nella prevenzione secondariaCiascuna ASL, attraverso un comitato di coordinamento interdisciplinare,composto dai responsabili delle Unità Operative interessate e da un rappre-sentate dei Medici di Medicina Generale, svolge le seguenti funzioni:

• garantire l’applicazione dei controlli di qualità inclusi quelli di fisica sa-nitaria

• organizzare le modalità informative interne mettendo in rete tutte lestrutture e garantendo la registrazione tempestiva dei dati sul sistemainformativo

• valutare i bisogni formativi e assicurare la partecipazione del personalealle attività didattiche

• provvedere alla valutazione ed adeguamento delle tecnologie sanitarieed informatiche necessarie allo svolgimento del programma.

Le strutture che operano nell’ambito del programma di screening sono:Struttura di coordinamento: è la struttura organizzativa responsabile del-l’intero percorso. Svolge le seguenti attività: • identificazione della popolazione bersaglio• definizione del calendario di attività del centro di screening• invito dell’utenza (lettera con appuntamento prefissato in base al calen-

dario di attività• l’appuntamento può essere modificato dalle utenti)

Pagina 90

• invio del calendario giornaliero di attività al centro di screening• registrazione dei risultati della mammografia di screening:• negativo: invio della risposta all’utente tramite lettera• dubbio/positivo: contatto telefonico con appuntamento per esami di ap-

profondimento• registrazione dei risultati degli esami di secondo livello e comunicazione

delle indicazioni di follow up derivate all’utente• reperimento della documentazione clinica dei casi positivi• monitoraggio dell’attività con valutazione dell’ adeguatezza della per-

formance del programma in rapporto agli standard riconosciuti dal Mi-nistero della Salute e ai Criteri di Buona Pratica organizzazione di auditper il miglioramento continuo della qualità

• gestione del numero verde • allestimento dei report periodici• preparazione del materiale informativo, consensi informati, questionari

di soddisfazione dell’utenza.Struttura di I livello è la struttura dove viene effettuata la mammografia discreening bilateralmente in due proiezioni (medio laterale obliqua e craniocaudale). L’utente che si presenta per la mammografia di screening vieneaccolta e registrata; una breve anamnesi con particolare riguardo alla anam-nesi familiare e ad interventi precedenti sulla mammella con esame istolo-gico viene inoltre raccolta ed inserita nel sistema informativo, dal personaleinfermieristico.Il tecnico radiologo, esperto qualificato e dedicato, svolge i seguenti compiti:• esecuzione del test di screening di eccellente qualità sia dal punto di

vista del posizionamento che dal punto di vista tecnico.• esecuzione sistematica delle procedure di controllo di qualità per quanto

riguarda gli aspetti fisici e tecnici, in base ai protocolli di qualità definitidalle Linee Guida Europee sulla Quality Assurance (IV edition, 2006)

L’interpretazione del test di screening è affidata al medico radiologo chelegge i radiogrammi di screening; la lettura deve essere eseguita indipen-dentemente dai due radiologi. La doppia lettura aumenta sia la sensibilità che la specificità del test, ridu-cendo il tasso dei richiami. Secondo i criteri di Buona Pratica e le racco-mandazioni del Ministero, un radiologo che opera nello screening deve: • essere dedicato nell’attività senologica almeno il 50% della sua attività • leggere almeno 5.000 esami/anno• partecipare all’approfondimento delle lesioni identificate mediante

screening e alla discussione dei casi clinici nelle riunioni multidisciplinari;• partecipare alla revisione periodica della propria performance (tasso dia-

gnostico, tasso di richiami, revisioni dei cancri intervallo).Struttura di II livello: comprende tutti gli esami di approfondimento neces-sari in caso di mammografia “non negativa” e che devono essere effettuatipresso una struttura specialistica integrata (unità di senologia diagnostica). Tutti gli approfondimenti diagnostici devono essere svolti in un'unica sede edè necessario che l’attività di screening (I livello) sia connessa organizzativa-mente e strutturalmente all’unità di senologia che seguirà gli approfondi-menti diagnostici. Gli esami di approfondimento sui casi richiamati dallo screening devono es-sere eseguiti dai medici radiologi che effettuano la lettura di screening. In caso di positività o persistenza del dubbio la valutazione dei casi deve es-sere fatta insieme ad un’equipe multidisciplinare (radiologo, patologo, chi-rurgo, oncologo e radioterapista) per verificare la completezza della diagnosipreoperatoria e concordare il trattamento più adeguato da offrire.Struttura di III livello: ogni programma di screening deve avere almeno un’unità chirurgica di riferimento dove vengano trattati un minimo di 100/150casi di tumore mammario all’anno con almeno 50 casi/chirurgo per anno

sempre nell'ambito della stessa UO dedicata a cui indirizzare i casi diagno-sticati. In questa struttura deve essere presente una Breast Unit che garan-tisca funzioni di: chirurgia della mammella, radiologia senologica, chirurgiaplastica e ricostruttiva con chirurgo dedicato, anatomia patologica con pa-tologo dedicato; per le pazienti affette da tumore della mammella: oncologiamedica, medicina nucleare, radioterapia con radioterapista dedicato, riabili-tazione, psicologia, genetica medica. La necessità di unità operative dedicate è motivata dal fatto di garantire lamassima qualità degli interventi diagnostico terapeutici senza far uscire lapaziente da una Rete professionale integrata, ed anzi facilitandone l’accesso,qualunque sia il professionista per primo incontrato. Le Breast Unit, concepite nell’ottica di una razionalizzazione ed ottimizza-zione delle risorse umane ed economiche impiegate per la diagnosi e curadelle donne affette da carcinoma mammario, consentono inoltre di:riesaminare e completare, se necessario, l’iter diagnostico nei casi con do-cumentazione incompleta, evitare di trasferire la paziente che necessiti, peresempio, di una linfoscintigrafia mammaria per linfonodo sentinella pressoaltre strutture, o di far intervenire un chirurgo plastico non facente parte dellabreast unit proveniente da altri ospedali per garantire un approccio conser-vativo, evitando mutilazioni superflue e complicanze invalidanti e di offrire unintervento ricostruttivo dopo intereventi demolitivi o un trattamento onco-plastico in corso di terapia conservativa.Ogni Breast Unit deve inoltre aver elaborato un Percorso clinico assistenzialecondiviso e tenere riunioni multidiscplinari periodiche per la discussione deicasi clinici ed il miglioramento della qualità degli interventi diagnostici e te-rapeutici.

CONTROLLI DI QUALITA’ DEI MAMMOGRAFI DIGITALI• Mammografo Digitale (diretto/indiretto)• CAD (computer aided detection)• dual energy• monitor dedicati per la refertazione, con• possibilità di rielaborazione dati (postprocessing)Controlli effettuati dal tecnico radiologo con tempistica: giornaliera, settima-nale, mensile:• funzionalità del monitor di refertazione;• verifica ed omogeneità dei flat-panel• riproducibilità del sistema di controllo automatico dell’esposizione at-

traverso la verifica del rapporto contrasto-rumore• pulizia del plate e del lettore CR e verifica dell’assenza di artefatti su

tutte le cassette• verifica dell’eventuale “anodizzazione” del tubo radiogeno• calibrazione del rivelatore flat-panelControlli effettuati dall’esperto in Fisica Medica con tempistica: semestrale,annuale:• tubo radiogeno• generatore• griglia• compressore e controllo automatico dell’esposizione per tutti gli spes-

sori (2-7cm)• misura della dose ghiandolare media al variare degli spessori• verifica della soglia di contrastoControllo rivelatore digitale (sia flat-panel che cassette CR):• fnzione di risposta al variare della dose• assenza di sorgenti di rumore• omogeneità ed artefatti• calibrazione e controllo dei monitor delle Work-station di refertazione.

Pagina 91

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella

Prevenzione oncologica mammaria: screening personalizzatoIpotesi di inserimento nello scenario attuale della prevenzione secondaria modulata sul profilo di rischio di ciascuna donna

INTRODUZIONE

Screening MX50-69 aa (biennale) � riduzione della mortalità del 30-50%Non completa estensione dell’invito sulla popolazione target (70%);non inclusione delle 45-49enni; 70-74enni;Uso della Mx digitale poco esteso

POSSIBILITÀ DI IMPIANTARE SPERIMENTAZIONI SU LARGA SCALA NEI PROGRAMMI DI SCREENING PER:

Modalità di utilizzo di CAD, ecografia e RM, rispetto alle ultime linee guida disponibili; definizione del profilo di rischio per singola donna

Prevenzione oncologica mammaria: screening personalizzatoIpotesi di inserimento nello scenario attuale della prevenzione secondaria modulata sul profilo di rischio di ciascuna donna

profilo di rischio� personalizzazione del programma

Done a rischio normale (45-74 aa) screening tradizionale secondo LLGG

Donne con rischio intermedio (rischio familiare; HRT; mammella diens BI-RADS 3/4; LCis; iperplasia atipica; protesi)

40-59 aa Mx annuale (ev.US)

60-74 aa Mx biennale

Donne con rischio alto genetico/familiare; lifetime risk >25%; esitiRT mediastino; Li-Fraumeni ecc:

<39 aa* RM annuale e US annuale

40-49 aa* Mx annuale (ev. US) e RM annuale

50-74 aa Mx biennale

Integraziobe tra le sedi di senologia clinica & screening

Prevenzione oncologica mammaria: screening personalizzatoIpotesi di inserimento nello scenario attuale della prevenzione secondaria modulata sul profilo di rischio di ciascuna donna

INTERVENTI URGENTI

Identificazione del profilo fi rischio: normale,medio, elevatoDiffondere l’uso della Mx digitaleSperimentare l’utilizzo del CAD

Introdurre l’utilizzo di US e RM come da proposta operativaEstendere i Programmi di Screening alle fasce 45-49 aa; 70-74 aa

* NICE 2006 Familial Breast Cancer

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2. Accertamento diagnostico e stadiazioneV.Altomare , C.Amanti, M.Amini, F.Ferranti, M.Mottolese, L.Perracchio, P.Pistolese, P.Pugliese, S.Tomao

2.1 Diagnosi StrumentaleDiagnostica per ImmaginiProtocolli diagnostici da applicare presso le strutture eroganti prestazionidi senologia diagnostica.In accordo con le principali società Scientifiche Nazionali (SIRM, FONCAM) edInternazionali (RCR, ACR) i protocolli diagnostici da applicare presso le strut-ture eroganti prestazioni di senologia diagnostica, al fine di coniugare effi-cacia ed efficienza nelle principali situazioni cliniche nel rispettodell’evoluzione delle conoscenze e delle tecnologie, sono i seguenti:• sospetto clinico di carcinoma (nodulo, retrazione-ispessimento cute-ca-

pezzolo, Paget ecc.): la mammografia (MX), preferibilmente digitale contecnica FFDM, è indagine di elezione e preliminare a qualsiasi ulterioretest diagnostico. Da associare ad ecografia (US) nell’ambito della tripletta diagnostica(MX+US+FNAC/B) o in caso di MX non risolutiva (es. densità diffusa o fo-cale). US esame preliminare in donna giovane (specie se a basso so-spetto clinico), in gravidanza o allattamento. Risonanza magnetica (MRM)e scintigrafia (MN) da riservare a strutture altamente specialistiche qualidovrebbero essere quelle che comprendono una breast unit, secondoprotocolli validati e continuamente aggiornati alla luce delle nuove co-noscenze e tecnologie, in grado di gestire l’eventuale successivo iterdiagnostico

• sospetto clinico di carcinoma in portatrici di protesi: sarebbe opportunoche tale tipologia di soggetti (portatrici di protesi) fossero studiate in am-bienti specifici e dotati di MRM per la particolare validità diagnostica ditale esame nella specifica popolazione. MX ed US, sebbene raccoman-date, possono presentare, in particolare la prima, evidenti limitazioni dia-gnostiche

• dolore/tensione generalizzato ciclico e non: preliminare valutazione cli-nica ed anamnestica. MX può essere indicata in rapporto all’età, allastoria familiare/personale; US non indicata di routine

• flogosi acuta: US indicata come primo esame in particolare per valutareeventuali ascessi e come supporto per manovre interventistiche. MX nelsospetto clinico o strumentale di ca

• secrezione: preliminare valutazione clinica ed anamnestica. In caso disospetto clinico è indicata MX, es. citologico del secreto ed eventualegalattografia. Non evidenza clinica per US che può risultare indicata nel-l’impossibilità ad eseguire galattografia. MRM ancora in fase di valida-zione in questa situazione clinica.

• stadiazione pre terapia: MX ed US indicate per stadiazione locale. MRMindicata nel sospetto (non certezza) clinico/strumentale di multicentri-cità/multifocalità o bilateralità E nel monitoraggio delle chemioterapianeoadiuvante per carcinomi localmente avanzati. CT total body e scin-tigrafia ossea, o se del caso PET nei tumori con elevata probabilità dimetastasi a distanza, Rx mirati per metastasi a distanza solo su deci-sionalità multidisciplinare.

• follow-up di pz con neoplasia: MX annuale (eventuale associazione US).MRM a chiarimento di specifici problemi; PET nella valutazione della ri-sposta metabolica alla terapia e caratterizzazione di lesioni dubbie allealtre indagini.

La mammografia rappresenta sicuramente l’esame strumentale principaleper la diagnosi di neoplasia mammaria, eventualmente integrata dall’ eco-

grafia mammaria e dei cavi ascellari pre-operatoria.Il mammografo digitale deve prevedere le seguenti caratteristiche:• sistema CAD (computer aided detection)• dual energy• monitor dedicati per la refertazione, con possibilita’ di rielaborazione dati

(post-processing)L’ecografia deve essere eseguita con ecografo di ultima generazione e consonde dedicate ad alta frequenza (>=10Mhz); è preferibile che sia previstoun programma di rielaborazione immagini in 3D.La RMN mammaria è da considerare una metodica integrata nella ricerca diun carcinoma occulto, nella stadiazione loco-regionale (multicentricità, mul-tifocalità, infiltrazione del muscolo pettorale, linfonodi regionali), in caso dineoplasia localmente avanzata o di chemioterapia neo-adiuvante.Tale metodica è anche l’indagine più sensibile per valutare l’estensione deltumore invasivo ed ha permesso di evidenziare altri focolai neoplastici inat-tesi nel 16% delle pazienti. In uno studio prospettico, la RMN mammaria ha evidenziato un tumore dellamammella contro laterale nel 3.1% di donne a cui era stato diagnosticato untumore della mammella ma in cui sia l’esame clinico che la mammografiadella mammella controlaterale erano negativiLa RMN deve possedere i seguenti requisiti:• intensità di campo 1.5-3 Tesla• bobine dedicate• sequenze dedicate per spettroscopia• sistema di localizzazione stereotassica per biopsie vuoto-assistite e/o

localizzazione prechirurgicaTali metodiche strumentali devono inoltre consentire la possibilità di effet-tuare procedure interventistiche di caratterizzazione cito-istologica e di lo-calizzazione prechirurgica.Una stadiazione pre-operatoria con esami strumentali (ecografia epatica, rxtorace, scintigrafia ossea) non è strettamente necessaria in assenza di sin-tomi e/o segni di malattia sistemica nelle pazienti a basso rischio di recidiva(N-).Nelle pazienti a più alto rischio di recidiva (N+, T3-T4) o con segni clinici odi laboratorio sospetti per la presenza di localizzazioni secondarie è indicatauna stadiazione biochimica e strumentale completa con marcatori tumorali(CEA, CA 15-3), radiografia standard o TC del torace, ecotomografia o TC oRMN epatica e scintigrafia ossea.

2.2 Diagnosi Anatomo-patologicaDiagnosi preoperatoriaLa diagnosi pre-operatoria si basa essenzialmente sull’esecuzione di esameago aspirato per diagnosi citologica o di core biopsy o mammotome per dia-gnosi istologica

Diagnosi intraoperatoriaL’esame istologico intraoperatorio si esegue quando la natura della lesionesia dubbia nonostante indagini clinico-strumentali, è utile in pazienti con pro-blematiche particolari (cardiopatiche gravi, gravidanza, etc) e in casi con pre-cedente biopsia non diagnostica. L’esame istologico intraoperatorio consente la definizione di eventuale mul-

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tifocalità, bilateralità della neoplasia, la valutazione dello status dei margini,può dare indicazione a QUART o mastectomia; è indispensabile per la valu-tazione del tessuto al di sotto del complesso di areola e capezzolo in corsodi nipple sparing. E’ opportuno che la lesione da diagnosticare sia >1cm di diametro mas-simo. I vantaggi principali sono la possibilità di distinzione tra lesione beni-gna e lesione maligna. In caso di identificazione di lesioni complesse, qualilesioni papillari, lesioni sclerosanti, la diagnosi va differita alla valutazionedefinitiva.

Diagnosi postoperatoriaNella diagnosi post-operatoria è fondamentale il referto Anatomo patologico.Questo dovrebbe comprendere i dati anagrafici, il tipo di campione (ago-biopsia, biopsia escissionale, nodulectomia, quadrantectomia, riescissione,mastectomia) e lato della lesione, indicazione dell’orientamento del cam-pione e della sua integrità, i linfonodi (linfonodo sentinella e altri linfonodi),descrizione e dimensioni del campione (indicare la presenza di cute, capez-zolo, muscolo pettorale ed eventuale infiltrazione), descrizione e dimensionidella neoplasia, focalità (nodulo singolo o noduli multipli), valutazione ma-croscopica dei margini con inchiostratura e campionamento, indicazione del-l’istotipo della neoplasia (riferimento a Classificazione WHO 2003),valutazione della componente intraduttale e della sua estensione, indica-zione del grado della lesione (riferimento Score di Nottingham), valutazione

microscopica dei margini con indicazione della distanza dal carcinoma in-vasivo e dal carcinoma intraduttale, valutazione dell’invasione vascolare elinfatica, esame dei linfonodi, numero totale linfonodi esaminati, presenza dimacrometastasi, micrometastasi ed ICT, estensione extralinfonodale, me-todo di esame del linfonodo sentinella, valutazione della risposta alla even-tuale terapia neoadiuvante, Stato recettoriale, fattori prognostici, e il pTNM(riferimento AJCC 2010 7^ edizione).

2.3 Stadiazione TNMLa classificazione clinica e patologica attualmente in uso è quello dell’AJCC(American Joint Cancer Committee) VII edizione del 2010. E’ strutturata come segue nelle tabelle 1, 2, 3, 4 e 5.Dopo chemioterapia neo-adiuvante la ri-stadiazione viene preceduta dal pre-fisso “ycTNM” o “ypTNM” rispettivamente per la valutazione clinica e perquella patologica.

Biomarcatori Validati e di Corrente Uso ClinicoRecettori OrmonaliIl metodo attualmente più utilizzato per la valutazione dei recettori per estro-geno e progesterone è quello immunoistochimico (IHC). Tale metodo richiedeuna attenta valutazione di tutti gli aspetti tecnici e interpretativi, al fine digarantire una adeguata qualità dei test. I punti critici della metodica sono le

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella

Tabella 1. Tumore primitivo (T)a,b

TX Primary tumor cannot be assessed

T0 No evidence of primary tumor

Tis Carcinoma in situ

Tis (DCIS) DCIS

Tis (LCIS) LCIS

Tis (Paget)Paget disease of the nipple NOT associated with invasive carcinoma and/or carcinoma in situ (DCIS and/or LCIS) in the underlying bre-ast parenchyma. Carcinomas in the breast parenchyma associated with Paget disease are categorized based on the size and charac-teristics of the parenchymal disease, although the presence of Paget disease should still be noted

T1 Tumor ≤20 mm in greatest dimension

T1mi Tumor ≤1 mm in greatest dimension

T1a Tumor >1 mm but ≤5 mm in greatest dimension

T1b Tumor >5 mm but ≤10 mm in greatest dimension

T1c Tumor >10 mm but ≤20 mm in greatest dimension

T2 Tumor >20 mm but ≤50 mm in greatest dimension

T3 Tumor >50 mm in greatest dimension

T4 Tumor of any size with direct extension to the chest wall and/or to the skin (ulceration or skin nodules)c

T4a Extension to the chest wall, not including only pectoralis muscle adherence/invasion

T4bUlceration and/or ipsilateral satellite nodules and/or edema (including peau d'orange) of the skin, which do not meet the criteria for in-flammatory carcinoma

T4c Both T4a and T4b

T4d Inflammatory carcinoma

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Tabella 2. Linfonodi regionali (N)a

NX Regional lymph nodes cannot be assessed (e.g., previously removed)

N0 No regional lymph node metastases

N1 Metastases to movable ipsilateral level I, II axillary lymph node(s)

N2

Metastases in ipsilateral level I, II axillary lymph nodes that are clinically fixed or matted

OR

Metastases in clinically detectedb ipsilateral internal mammary nodes in the absence of clinically evident axillary lymph node metastases

N2a Metastases in ipsilateral level I, II axillary lymph nodes fixed to one another (matted) or to other structures

N2bMetastases only in clinically detectedb ipsilateral internal mammary nodes and in the absence of clinically evident level I, II axillary lymph nodemetastases

N3

Metastases in ipsilateral infraclavicular (level III axillary) lymph node(s) with or without level I, II axillary lymph node involvement

OR

Metastases in clinically detectedb ipsilateral internal mammary lymph node(s) with clinically evident level I, II axillary lymph node metastases

OR

Metastases in ipsilateral supraclavicular lymph node(s) with or without axillary or internal mammary lymph node involvement

N3a Metastases in ipsilateral infraclavicular lymph node(s)

N3b Metastases in ipsilateral internal mammary lymph node(s) and axillary lymph node(s)

N3c Metastases in ipsilateral supraclavicular lymph node(s)

Tabella 3. Linfonodi patologici (pN)a,b

pNX Regional lymph nodes cannot be assessed (e.g., previously removed or not removed for pathologic study).

pN0 No regional lymph node metastasis identified histologically.

Note: ITCs are defined as small clusters of cells ≤0.2 mm, or single tumor cells, or a cluster of <200 cells in a single histologic cross-section. ITCs may be detected by rou-tine histology or by IHC methods. Nodes containing only ITCs are excluded from the total positive node count for purposes of N classification but should be included in thetotal number of nodes evaluated.

pN0(i–) No regional lymph node metastases histologically, negative IHC.

pN0(i+) Malignant cells in regional lymph node(s) ≤0.2 mm (detected by H&E or IHC including ITC).

pN0(mol–) No regional lymph node metastases histologically, negative molecular findings (RT-PCR).

pN0(mol+) Positive molecular findings (RT-PCR), but no regional lymph node metastases detected by histology or IHC.

pN1

Micrometastases

OR

Metastases in 1–3 axillary lymph nodes.

AND/OR

Metastases in internal mammary nodes with metastases detected by sentinel lymph node biopsy but not clinically detectedc

pN1mi Micrometastases (>0.2 mm and/or >200 cells but none >2.0 mm).

pN1a Metastases in 1–3 axillary lymph nodes, at least one metastasis >2.0 mm.

pN1bMetastases in internal mammary nodes with micrometastases or macrometastases detected by sentinel lymph node biopsy but not cli-nically detectedc

Tabella 3. Linfonodi patologici (pN)a,b

pN1cMetastases in 1–3 axillary lymph nodes and in internal mammary lymph nodes with micrometastases or macrometastases detected bysentinel lymph node biopsy but not clinically detected

pN2

Metastases in 4–9 axillary lymph nodes.

OR

Metastases in clinically detectedd internal mammary lymph nodes in the absence of axillary lymph node metastases.

pN2a Metastases in 4–9 axillary lymph nodes (at least 1 tumor deposit >2 mm).

pN2b Metastases in clinically detectedd internal mammary lymph nodes in the absence of axillary lymph node metastases.

pN3

Metastases in ≥10 axillary lymph nodes

OR

Metastases in infraclavicular (level III axillary) lymph nodes

OR

Metastases in clinically detectedc ipsilateral internal mammary lymph nodes in the presence of one or more positive level I, II axillarylymph nodes

OR

Metastases in >3 axillary lymph nodes and in internal mammary lymph nodes with micrometastases or macrometastases detected bysentinel lymph node biopsy but not clinically detectedc

OR

Metastases in ipsilateral supraclavicular lymph nodes

pN3a

Metastases in ≥10 axillary lymph nodes (at least 1 tumor deposit >2.0 mm)

OR

Metastases to the infraclavicular (level III axillary lymph) nodes

pN3b Metastases in clinically detectedd ipsilateral internal mammary lymph nodes in the presence of one or more positive axillary lymph nodes

OR

Metastases in >3 axillary lymph nodes and in internal mammary lymph nodes with micrometastases or macrometastases detected bysentinel lymph node biopsy but not clinically detectedc

pN3c Metastases in ipsilateral supraclavicular lymph nodes.

Posttreatment ypN

Posttreatment yp "N" should be evaluated as for clinical (pretreatment) "N" methods above. The modifier "SN" is used only if a sentinel node evaluationwas performed after treatment. If no subscript is attached, it is assumed that the axillary nodal evaluation was by AND

The X classification will be used (ypNX) if no yp posttreatment SN or AND was performed

categories are the same as those used for pN

AND = axillary node dissectionH&E = hematoxylin and eosin stainIHC = immunohistochemicalITC = isolated tumor cellsRT-PCR = reverse transcriptase/polymerase chain reaction.aReprinted with permission from AJCC: Breast. In: Edge SB, Byrd DR, Compton CC, et al., eds.: AJCC Cancer Staging Manual. 7th ed. New York, NY: Springer, 2010, pp 347-76.bClassification is based on axillary lymph node dissection with or without sentinel lymph node biopsy. Classification based solely on sentinel lymph node biopsy without sub-sequent axillary lymph node dissection is designated (SN) for "sentinel node," for example, pN0(SN).c "Not clinically detected" is defined as not detected by imaging studies (excluding lymphoscintigraphy) or not detected by clinical examination.d"Clinically detected" is defined as detected by imaging studies (excluding lymphoscintigraphy) or by clinical examination and having characteristics highly suspicious for ma-lignancy or a presumed pathologic macrometastasis based on fine-needle aspiration biopsy with cytologic examination.

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella

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Tabella 4. Metastasi a distanza (M)a

M0 No clinical or radiographic evidence of distant metastases

cM0(i+)No clinical or radiographic evidence of distant metastases, but deposits of molecularly or microscopically detected tumor cells in circu-lating blood, bone marrow, or other nonregional nodal tissue that are ≤0.2 mm in a patient without symptoms or signs of metastases

M1 Distant detectable metastases as determined by classic clinical and radiographic means and/or histologically proven >0.2 mm

aReprinted with permission from AJCC: Breast. In: Edge SB, Byrd DR, Compton CC, et al., eds.: AJCC Cancer Staging Manual. 7th ed. New York, NY: Springer, 2010, pp 347-76.

Posttreatment yp M classification. The M category for patients treated with neoadjuvant therapy is the category assigned in the clinical stage, prior to initiation of neoadju-vant therapy. Identification of distant metastases after the start of therapy in cases where pretherapy evaluation showed no metastases is considered progression of disease.If a patient was designated to have detectable distant metastases (M1) before chemotherapy, the patient will be designated as M1 throughout.[1]

aReprinted with permission from AJCC: Breast. In: Edge SB, Byrd DR, Compton CC, et al., eds.: AJCC Cancer Staging Manual. 7th ed. New York, NY: Springer, 2010, pp 347-76.bT1 includes T1mi.cT0 and T1 tumors with nodal micrometastases only are excluded from Stage IIA and are classified Stage IB.- M0 includes M0(i+).- The designation pM0 is not valid; any M0 should be clinical.- If a patient presents with M1 prior to neoadjuvant systemic therapy, the stage is considered Stage IV and remains Stage IV regardless of response to neoadjuvant therapy.- Stage designation may be changed if postsurgical imaging studies reveal the presence of distant metastases, provided that the studies are carried out within 4 months of dia-gnosis in the absence of disease progression and provided that the patient has not received neoadjuvant therapy.- Postneoadjuvant therapy is designated with "yc" or "yp" prefix. Of note, no stage group is assigned if there is a complete pathologic response (CR) to neoadjuvant therapy, forexample, ypT0ypN0cM0.

Tabella 5. Stadi/Gruppi prognosticia,b

Stage T N M

0 Tis N0 M0

IA T1b N0 M0

IBT0 N1mi M0

T1b N1mi M0

IIA T0 N1c M0

T1b N1c M0

T2 N0 M0

IIBT2 N1 M0

T3 N0 M0

IIIA

T0 N2 M0

T1b N2 M0

T2 N2 M0

T3 N1 M0

T3 N2 M0

IIIB

T4 N0 M0

T4 N1 M0

T4 N2 M0

IIIC Any T N3 M0

IV Any T Any N M1

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procedure di fissazione del tessuto tumorale (max 24 - 48h in formalina tam-ponata) e di recupero dell’antigenicità, il tipo di anticorpi utilizzati, la quan-tificazione della immunoreattività, l’utilizzo di controlli appropriati di qualitàinterni ed esterni.HER2 immunoistochimicaL’iperespressione dell’oncogene HER2 è analizzata routinariamente su tuttii pazienti operati per carcinoma invasivo della mammella con metodica IHCutilizzando anticorpi validati. I più utilizzati sono l’anticorpo policlonale A0485(Dako, Milano) e l’anticorpo monoclonale CB11 (Menarini, Firenze). Viene de-terminato uno score della immunoreattività (0 e 1+ = negativo o reattività di-scontinua di membrana, 2+ e 3+= rispettivamente positivo con reattivitàdebole completa di membrana o intensa completa di membrana). HER2 amplificazione genicaNei tumori con score 2+ (reattività equivoca) , dovrà essere analizzata l’am-plificazione genica mediante FISH (ibridazione in situ fluorescente) oCISH/SISH (Ibridazione in situ cromogenica). Queste due ultime metodichepermettono la visualizzazione dell’amplificazione genica al microscopio ot-tico consentendo un’accurata valutazione della morfologia del tessuto e sonoparticolarmente utili nei preparati citologici, dove è importante visualizzareaccuratamente l’amplificazione nel contesto della morfologia cellulare. Se-condo le linee guida internazionali (American College of Pathologists) si con-siderano amplificati in FISH carcinomi con una ratio (gene/cromosoma 17)>2.2 e in CISH/SISH carcinomi con >6 segnali/nucleo. Ki-67è un antigene che si trova esclusivamente nel nucleo delle cellule prolife-ranti (dalla fase G1 alla mitosi) , ma è assente nelle cellule in G0. La deter-minazione dell’indice di proliferazione mediante ki-67 è effettuata medianteIHC e il cut-off accettato in letteratura varia tra il 13% e il 15%. La valuta-zione dell’indice di proliferazione mediante il ki-67 può fornire informazioniprognostiche e essere di ausilio clinico per pianificare piu’ accuratamente iltrattamento adiuvante in pazienti N0 (Viale G et al J Natl Cancer Inst 2008)e in donne post menopausa con recettori ormonali positivi ( Viale G et al J ClinOncol 2008). Come per tutte le indagini immunoistochimiche anche per lavalutazione del ki-67 le fasi preanalitiche della preparazione dei tessuti de-vono essere accuratamente standardizzate e controllate.

Biomarcatori in Corso di Validazione ClinicaTutti i geni e i loro prodotti coinvolti nei processi di invasione, migrazione emetastatizzazione, possono rappresentare potenziali fattori prognostici. Unaprima strategia è stata caratterizzata dall’analisi combinata di geni di cui ènoto il coinvolgimento nel processo di crescita neoplastica, portando allo svi-luppo dell’Oncotype; una seconda strategia è consistita nello studio su variecasistiche di un ampio numero di geni per poi validare, attraverso algoritmimatematici, un complesso di geni correlato con la prognosi sfavorevole eciò ha portato allo sviluppo di Mammaprint. La disponibilità della tecnologiadel micro-array, basata sull’ibridizzazione di catene di DNA con loro copiecomplementari di cDNA fluorescente o sequenze gnomiche provenienti datessuto, permette il confronto dell’espressione di tutti i geni in tessuti normalie tumori diversi; tutto questo analizzando l’intensità della fluorescenza nelmicro-array chip. Una delle più interessanti applicazioni della tecnologia deimicro-array è consistita nella possibilità di classificare i casi di carcinomamammario su base molecolare, cioè a seconda dei differenti profili di espres-sione genica.La presenza di cellule tumorali circolanti (CTC) nel sangue di donne con car-cinoma mammario in fase precoce necessita ancora di ulteriore definizionerelativamente alla sensibilità, specificità e riproducibilità sia qualitativa siaquantitativa delle metodiche utilizzate. La recente disponibilità di una tecnica

affidabile come quella Cell Search potrà consentire l’implementazione di pro-getti di ricerca che valutino prospettivamente questo fattore prognostico inrapporto ai trattamenti adiuvanti, contribuendo inoltre a fornire una valuta-zione e una stima dei marker di resistenza o sensibilità ai regimi chemiote-rapici e favorendo, quindi, una migliore comprensione degli eventi molecolariprecoci del processo di metastatizzazione. Un ulteriore interesse sul pianoprettamente clinico deriva dalla dimostrazione che le caratteristiche di mag-giore aggressività legate all’amplificazione di HER2 sono mediate da questasottopopolazione.La classificazione clinica e patologica attualmente in uso è quello dell’AJCC(American Joint Cancer Committee) L’analisi del profilo genico attraversol’utilizzo di DNA microarrays ha confermato che il tumore della mammellanon rappresenta un’unica patologia con diverse caratteristiche morfologi-che a specifici biomarkers, ma piuttosto un insieme di ben distinte patolo-gie molecolari. Quattro classi principali di tumore della mammella sono stateidentificate attraverso l’analisi del profilo genico. Secondo la classificazione“intrinseca” di Perou et al (Nature 2000) queste quattro categorie sono de-nominate basal-like, (tumori con recettori ormonali e HER2 non espressi), lu-minal A (tumori con recettori ormonali positivi e a basso grado diproliferazione), luminal B (tumori con recettori ormonali generalmenteespressi ma piuttosto debolmente e spesso ad alto grado di proliferazione)e tumori HER2 positivi che mostrano amplificazioni ed elevata espressionedel gene ERBB2 e di altri geni ad esso correlati. Questi sottogruppi corri-spondono ragionevolmente alla caratterizzazione clinica dei tumori dellamammella sulla base dello stato dei recettori ormonali e di HER2, oltre chedel grado istologico. Studi di Microarray hanno inoltre dimostrato che i tumoriluminali esprimono un’alta percentuale di citocheratine luminali e marcatorigenetici delle cellule epiteliali luminali del tessuto mammario normale. Alcontrario i tumori basal-like non esprimono recettore per l’estrogeno, recet-tore per il progesterone e non esprimono geni importanti che caratterizzanole cellule mioepiteliali del tessuto mammario normale. In alcuni tumori basal–like c’è un’alta espressione di citocheratine basali come CK5 e di una grandevarietà di recettori di fattori di crescita, inclusi alti livelli di epidermal growthfactor receptor, c–kit, e fattori di crescita come hepatocyte growth factor einsulina growth factor. I metodi di immunoistochimica per definire i tumoribasal – like non sono completamente sufficienti, in parte perché la corri-spondenza con la classificazione molecolare non è perfetta ed anche perchécomplessità logistiche limitano lòa possibilità di combinare 5 o più markersimmunoistochimici nella routine della pratica clinica. Un’altra caratteristicache differenzia i tumori basal-like sporadici dai tumori luminal-like è la di-sfunzione del pathway di BRCA1 causata dalla metilazione del promoter odalla inattivazione trascrizionale del gene BRCA1 o di entrambe. Infatti quasitutti i tumori associati a mutazioni di BRCA1, sia sporadici che ereditari,hanno un fenotipo basal-like. L’analisi del profilo genico è stata utilizzata persviluppare test genomici che possano predire l’outcome clinico in modo più“tailored”rispetto agli standard tradizionali clinici e patologici. Gli investiga-tori del Nederlands Cancer Institute hanno sviluppato una firma genetica(MammaPrint) a partire da una serie retrospettiva di 78 pazienti con tumoredella mammella con linfonodi negativi che non hanno ricevuto alcuna tera-pia sistemica adiuvante (Van’T Veer, Nature 2002). L’analisi,che misural’espressione di 70 geni e calcola un punteggio prognostico che categorizzale pazienti in alto e basso rischio , è stata recentemente approvata dalla FDA(anche se non è stata validata in uno studio prospettico) per le pazienti contumore della mammella che hanno meno di 61 anni, stadio I o II, linfonodi ne-gativi e dimensioni tumorali ≤ 5 cm (Van’T Veer, Nature 2002). Un confrontotra questa firma genetica e Adjuvant! Online Program (www.adjuvanton-line.com), che assegna un rischio sulla base dei criteri convenzionali come

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella

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3. Trattamento

3.1. Malattia non invasivaC. Amanti, M. Amini, O. Buonomo, E. Cossu, L. Nardone, G. Petrella.Carcinoma duttale in-situLo scopo del trattamento è quello di prevenire lo sviluppo della recidiva siain situ sia invasiva.Il trattamento del DCIS non è univoco ma si differenzia sulla base della pre-sentazione.Tipo ad alta malignità (comedonico): Alto grado• Lesioni unifocali< 3 cm: Resezione mammaria limitata, orientamento e

radiografia del pezzo operatorio per valutare la presenza e la corrispon-denza delle microcalcificazioni riscontrate all’esame mammografico.

• Lesioni multifocali: Quadrantectomia, orientamento e radiografia delpezzo operatorio.

• Lesioni multicentriche: mastectomia nipple o skin sparing con risparmiodel Complesso Areola Capezzolo, orientamento del pezzo operatorio. Va-lutazione istologica intraoperatoria e poi definitiva, del tessuto retroa-reolare che deve essere negativo per patologia neoplastica. La presenzadi tessuto neoplastico in tale sede impone la rimozione del Complesso.

Margini di resezione: liberi da malattia. In caso contrario va eseguito un ul-teriore intervento, salvo casi particolari da valutare in ambito multidisciplinare

La biopsia del Linfonodo Sentinella è consigliata nelle lesioni > 3 centimetridi diametro per il rischio della presenza di microinvasione.La biopsia del Linfonodo Sentinella è indicata in tutti i casi che devono es-sere sottoposti ad mastectomia skin sparing o nipple sparing.Tipo a bassa - media malignità (non comedonico):• Lesioni unifocali <3 cm: Resezione mammaria limitata, orientamento e

radiografia del pezzo operatorio per valutare la presenza e la corrispon-denza delle microcalcificazioni riscontrate all’esame mammografico.

• Lesioni multifocali: Quadrantectomia, orientamento e radiografia delpezzo operatorio.

• Lesioni multicentriche: mastectomia skin sparing o nipple sparing conrisparmio del Complesso Areola Capezzolo, orientamento del pezzo ope-ratorio. Valutazione istologica intraoperatoria e poi definitiva, del tes-suto retroareolare che deve essere negativo per patologia neoplastica.La presenza di tessuto neoplastico in sede retroareolare impone la ri-mozione del Complesso.

• Margini di resezione: liberi da malattia per almeno 5 mm. In caso con-trario va eseguito un ulteriore intervento, salvo casi particolari da valu-tare in ambito multidisciplinare.

Carcinoma duttale in-situ microinfiltrante: Neoplasia lobulare in-situ

Asportazione completa della lesione con margini liberi (se multifocale o moltoestesa:• Lesioni unifocali < 3 cm: resezione mammaria limitata, orientamento e

radiografia del pezzo operatorio per valutare la presenza e la corri-spondenza delle microcalcificazioni con quanto riscontrato all’esamemammografico.

• Lesioni multifocali: Quadrantectomia, orientamento e successiva radio-grafia del pezzo operatorio.

• Lesioni multicentriche: Adenomammectomia sottocutanea con rispar-mio del Complesso Areola Capezzolo, orientamento del pezzo operato-rio, valutazione istologica intraoperatoria e poi definitiva del tessutoretroareolare. La presenza di tessuto neoplastico in sede retroareolareimpone la rimozione del Complesso.

• Margini di resezione: liberi da malattia per almeno 5 mm. In caso con-trario va eseguito un ulteriore intervento, salvo casi particolari da valu-tare in ambito multidisciplinare

La biopsia del Linfonodo Sentinella è obbligatoria.

Neoplasia lobulare in-situAsportazione completa della lesione con margini liberi (se multifocale o moltoestesa: adenomammectomia sottocutanea con risparmio del ComplessoAreola Capezzolo, orientamento del pezzo operatorio, valutazione istologicaintraoperatoria e poi definitiva del tessuto retroareolare, la presenza di tes-suto neoplastico in sede retroareolare impone la rimozione del ComplessoAC).Le forme pleomorfe possono avere maggiore potenziale di svilupparsi in car-cinoma lobulare invasivo.

Lesioni non palpabili • Resezione ghiandolare su repere, orientamento e radiografia del pezzo

operatorio per valutare la presenza e la corrispondenza delle microcal-cificazioni e/o di eventuale clip metallica lasciata in sede in corso dellaprecedente procedura bioptica.

• Margini di resezione: liberi da malattia. In caso contrario va eseguito unulteriore intervento, salvo casi particolari da valutare in ambito multidi-sciplinare

• Tecnica di reperage: sono consigliati, in base all’esperienza e disponibi-lità dei vari centri, sia l’uso del filo guida metallico che del radiotrac-ciante (ROLL) posizionati sotto guida strumentale.

RadioterapiaCarcinoma lobulare in-situLa radioterapia nel LCIS non trova indicazione.Carcinoma duttale in-situLa RT è efficace indipendentemente dall’età alla diagnosi, dal metodo di dia-gnosi del DCIS, dalla stato dei margini, dalla focalità, dal grado istologico,dalla presenza di comedonecrosi e dalla architettura e dimensione del tu-more.E’ indicata l’irradiazione di tutta la mammella, con una dose totale di 50 Gy,secondo la tecnica adottata anche per le neoplasie invasive, senza inclu-sione nel target né della cute né delle stazioni linfonodali, come indicato neldocumento AIRO.La somministrazione del boost sul letto tumorale, nonostante sia stata uti-lizzata da alcuni Autori per estrapolazione dal trattamento delle forme infil-tranti, con dose totale di 10-20 Gy in 1-2 settimane, non può essereconsiderata al momento attuale uno standard di trattamento, con eccezione

in caso di minima focalità del margine e impossibilità al re-intervento. Al-cune pazienti giovani (di età < 45 anni) traggono un vantaggio maggiore sulcontrollo locale della malattia.L’ipofrazionamento è considerato uno standard validato nel carcinoma mam-mario invasivo, ma ancora da validare nel DCIS.La PBI (partial breast irradiation) è esclusa come trattamento per il DCIS, ec-cetto in trias randomizzatiNel DCIS dopo chirurgia conservativa è, pertanto, indicata la RT in tutti isottogruppi di pazienti.Il recente aggiornamento delle linee guida NCCN Versione 2.2011 indicala chirurgia conservativa associata alla RT con alto livello di evidenza ealto grado di raccomandazione.

OrmoterapiaCarcinoma lobulare in-situL’ormonoterapia in presenza di recettori estrogenici positivi riduce il rischiorelativo su riportato pertanto può essere proposta in terapia.Carcinoma duttale in-situI carcinomi duttali in situ esprimono frequentemente recettori per gli estro-geni . A tal fine si consiglia l’ormonoterapia preventiva (tamoxifene e ralo-xifene) in quanto svolge un ruolo determinante nel ridurre l’incidenza direcidive locali soprattutto di tipo invasivo

3.2 Stadi inizialiG.De Toma, F. Di Filippo, A. Fabi, P. Marchetti, R. Masetti, L. Perracchio, G. Pe-trella, P.Pinnarò, M.Valeriani

Terapia chirurgicaCarcinoma infiltrante operabileSecondo la classificazione dell’ AJCC gli stadi iniziali vanno dallo stadio I finoal III A (solo T3 N1 M0).La terapia si basa su resezione parziale o quadrantectomia quando l’esten-sione della malattia, anche se multifocale, sia entro i limiti anatomici di unachirurgia conservativa. Il rapporto tra il volume mammario e l’ampiezza del-l’intervento deve essere favorevole all’asportazione completa della neopla-sia con un risultato cosmetico accettabile. In caso di T2 o T3 con possibilitàdi terapia chirurgica conservativa impedita dalle dimensioni del tumore, vaconsiderata un chemioterapia neoadiuvante. Per resezione ampia o tumo-rectomia allargata si intende l’asportazione di una porzione di tessuto mam-mario comprendente il tumore ed un margine non inferiore al centimetro diparenchima circostante macroscopicamente sano. Su questo argomento non vi è un accordo unanime ma una recente metaa-nalisi sembrerebbe portare alla conclusione che 2 mm siano un marginesufficiente. Nelle donne giovani (< 40 anni, con componente intraduttaleestesa) 1cm di margine rimane obbligatorio. (Houssami).E’ da preferire un’incisione curvilinea, comprendente una porzione di cute,in caso di lesione superficiale. Quando è necessario asportare tutto il terri-torio duttale, può essere opportuna un’incisione radiale a losanga, come nellaquadrantectomia, con margini più limitati. Il pezzo chirurgico va orientato e mandato al patologo per la valutazione deimargini. La mastectomia è riservata a carcinomi estesi oltre un quadrante, multicen-trici, multifocali estesi o con sospetto radiologico o ecografico di multicen-tricità, e a tutte le situazioni nelle quali la quadrantectomia esiti in un risultatocosmetico scarso. Si adotta la tecnica della mastectomia totale con biopsiadel linfonodo sentinella e/o dissezione ascellare se necessaria (mastecto-

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dimensioni tumorali, stato linfonodale, grado, stato recettoriale, ha dimo-strato che 87 dei 302 pazienti aveva risultati discordanti (29%). Soprattuttoin questi casi discordanti il test genetico sembra essere più preciso nella di-scriminazione dei pazienti a basso o ad alto rischio. Una gene-signature at-tualmente utilizzata anche nella pratica clinica negli USA, approvata da FDAè l’Oncotype DX, in corso di validazione prospettica come fattore predittivoper il trattamento adiuvante nello studio TAILORX. Oncotype DX è un profilodi espressione di 21 geni che misura 16 geni, in triplice copia, e 5 geni di ri-ferimento; è attualmente applicabile come profilo prognostico in pazienti condiagnosi di neoplasia mammaria stadio I e II, con recettori per gli estrogenipositivi e i linfonodi negativi per discriminare coloro che si possano giovareanche di un trattamento chemioterapico antiblastico, oltre che dell’ormono-terapia.Linfonodo Sentinella La presenza di metastasi nei linfonodi ascellari è il più importante indicatoreprognostico del cancro della mammella. Lo stato del linfonodo sentinella ri-flette con precisione (>90%) la presenza o assenza di metastasi nei linfonodiascellari. La tecnica del linfonodo sentinella consente di ridurre di circa il70% le linfadenectomie ascellari. Il patologo deve fare il possibile per trovareeventuali metastasi in sede intraoperatoria. La condizione migliore è poterconcentrare l’attenzione su un linfonodo anziché su tutti i linfonodi ascellari.Quello che si vorrebbe è un metodo rapido, economico ed efficace per valu-tare lo stato del linfonodo, ma non esiste protocollo che possa essere rea-lizzato a basso costo e velocemente. Oltre alla normale procedura divalutazione (sezione congelata o touch imprint con successiva colorazioneematossilina-eosina, H&E) con cui è possibile analizzare solo una porzioneridotta del linfonodo, a causa del tempo limitato a disposizione durante l’in-tervento , in alcuni centri si utilizza il metodo OSNA (One Step Nucleic AcidAmplification), rapido, costoso, ma molto affidabile. Tale metodo è una pro-cedura isotermica che utilizza una tecnologia di amplificazione rapida degli

acidi nucleici (RT-LAMP*) per rilevare il livello di espressione dell'mRNA dellacitocheratina 19. Tenuto conto dell’importanza delle informazioni contenute nel linfonodo sen-tinella, il patologo deve fare il possibile per trovare eventuali metastasi. Lacondizione favorevole è di poter concentrare l’attenzione su un linfonodo an-ziché su tutti i linfonodi ascellari. Quello che si vorrebbe è un metodo rapido,economico ed efficace per valutare lo stato del linfonodo, ma non esiste pro-tocollo che possa essere realizzato a basso costo e velocemente. La valuta-zione intraoperatoria si effettua con il metodo OSNA (One Step Nucleic AcidAmplification). Tale metodo è una procedura isotermica che utilizza una tec-nologia di amplificazione rapida degli acidi nucleici (RT-LAMP*) per rilevareil livello di espressione dell'mRNA della citocheratina 19. L’analisi della CK19 consente di distinguere tra risultati positivi e negativi, efornisce anche una chiara indicazione quantitativa in termini di assenza dimetastasi (- < 250 copie mRNA/µL ), micro (+ 250 ≤ copie < 5000mRNA/µL)o macrometastasi (++ ≥ 5.000 copie mRNA/µL).La citocheratina 19 è un marcatore delle cellule epiteliali non espresso nellinfonodo e la sua reattività è indipendente dall’istotipo e dal sottogruppomolecolare del carcinoma della mammella. Il metodo OSNA permette di analizzare l’intero linfonodo e, in parallelo, finoa quattro linfonodi e i risultati sono disponibili in un tempo di circa 30 minuti;consente una risposta definitiva durante l’intervento chirurgico, evita unalinfoadenectomia consentendo di formulare una risposta definitiva durantel’intervento chirurgico, evita una linfoadenectomia ascellare non necessa-ria.Le valutazioni condotte su OSNA in tutto il mondo hanno evidenziato livelli disensibilità e specificità superiori al 96%, rispetto ai metodi tradizionali.Il sistema OSNA è conforme alla direttiva europea per la diagnostica in vitro98/79/CE (marchio CE-IVD), ed è pertanto approvato per l’uso diagnostico intutta Europa. In Italia è utilizzato ancora in un numero limitato di centri.

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella

Dose alla mammellaDopo chirurgia conservativa possono essere impiegati per l’irradiazione dellamammella una dose totale ed un frazionamento convenzionale (2 Gy/fr/die/5 fr/sett. Dose totale 50 Gy) o schemi ipofrazionati, la cui equivalenza, in ter-mini di efficacia, tossicità e risultato cosmetico emerge dai risultati a lungotermine di diversi studi prospettici e randomizzati.Poiché la maggior parte delle recidive locali è documentata in corrispon-denza o nelle immediate vicinanze del letto tumorale, al fine di ridurne l’in-cidenza, l’erogazione di un sovradosaggio al letto operatorio (c.d. boost) èpratica routinaria presso la maggior parte dei Centri di Radioterapia L’ese-cuzione del boost (10-16 Gy a seconda dello stato dei margini di resezione)è comunque soprattutto raccomandata in pazienti di età ≤ 40 anni ed inquelle ad elevato rischio di recidiva. Timing dei trattamenti adiuvantiQuando indicata, la chemioterapia adiuvante dovrebbe precedere la radio-terapia complementare. Un approccio concomitante può essere pianificatosolo nel caso in cui la paziente venga sottoposta a chemioterapia secondolo schema CMF. La radioterapia dovrebbe iniziare entro 3/4 settimane dallafine della chemioterapia.Per quanto riguarda la sequenza ottimale ormonoterapia/radioterapia en-trambi i trattamenti possono essere somministrati contemporaneamente. Nell’ambito della programmazione di un approccio conservativo dovrannoessere tenute in debita considerazione le controindicazioni all’approccio con-servativo specifiche per la radioterapia: • Gravidanza• Assoluta impossibilità a mantenere la posizione (supina o prona) indivi-

duata per l’esecuzione del trattamento• Alcune malattie del collageno quali lupus, sclerodermia, dermatomio-

site se in fase quiescente rappresentano una controindicazione relativa,se in fase attiva rappresentano una controindicazione assoluta, per l’am-plificazione delle tossicità segnalate (l’artrite reumatoide non è consi-derata controindicazione al trattamento)

• Pregressa irradiazione della parete toracica (neoplasie della regione me-diastinica e/o di altri volumi toracici).

Radioterapia dopo mastectomiaIn base ai dati della letteratura, si ritiene indicato l’impiego della RT dopomastectomia nei seguenti casi:• tumore superiore a 5 cm nella sua dimensione massima, indipendente-

mente dallo stato linfonodale• tumore di qualsiasi dimensione con estensione alla parete toracica, al

muscolo pettorale, alla cute, indipendentemente dallo stato linfonodale • metastasi ai linfonodi ascellari in numero uguale o superiore a 4• pazienti con margini positivi o close, soprattutto in presenza di altri fat-

tori di rischio, anche se i dati della letteratura non sono conclusivi a ri-guardo.

Nelle pazienti con malattia T 1-2 e un numero di linfonodi positivi da 1 a 3,il rischio di recidiva loco-regionale è compreso tra il 13% e il 16% e non viè sufficiente evidenza per raccomandare l’impiego routinario di un tratta-mento radiante postoperatorio.Dopo RT la riduzione del rischio relativo di recidiva loco-regionale è dellastessa entità in pazienti con 1-3 o 4 o più linfonodi positivi, ma il vantaggioassoluto è inferiore nel primo gruppo, a causa del minor rischio di recidiva.Di contro, il trattamento radiante postoperatorio ha determinato, in alcuneserie, un maggior vantaggio in termini di sopravvivenza globale in pazienticon 1-3 linfonodi positivi, a più basso rischio di sviluppare metastasi a di-stanza, rispetto a quelle con 4 o più linfonodi positivi. Sono stati identificatifattori prognostici che, in pazienti N1 possono aumentare il rischio di recidiva

al di sopra del 20% e avere un impatto sulla sopravvivenza globale: dimen-sioni tumorali superiori a 3,5-4 cm, assenza di recettori per gli estrogeni,presenza di invasione linfovascolare, età inferiore a 40-45 anni, numero dilinfonodi escissi e percentuale di linfonodi positivi superiore o uguale 20-25%. Pertanto, tenendo presente che l’argomento è ancora controverso, purin assenza di risultati di studi clinici randomizzati specificamente disegnatiper questo sottogruppo di pazienti, in presenza dei fattori di rischio sopra in-dicati, alcuni autori suggeriscono di proporre e discutere con la paziente lapossibilità di effettuare un trattamento radiante postoperatorio.In ultimo, per quanto riguarda i linfonodi della catena mammaria interna nonvi è ancora sufficiente evidenza per raccomandarne o sconsigliarne l’irra-diazione.Per ogni ulteriore approfondimento si rimanda alle Linee Guida AIRO.

Terapia medica degli stadi iniziali La decisione del trattamento adiuvante (chemioterapia e/o ormonoterapiae/o terapia biologica dopo la chirurgia) richiede un’attenta valutazione diquelli che sono i fattori prognostici e predittivi attualmente da considerare:il diametro del tumore, lo stato linfonodale e il numero dei linfonodi meta-statici, il grading istologico, la presenza di invasione vascolare peritumorale,l’attività proliferativa (ki67/Mib1), lo statodi HER2, lo stato dei recettori or-monali, l’età della paziente. Per la scelta terapeutica di quale trattamentoeffettuare in fase adiuvante a tutt’oggi esistono 2 fattori predittivi fonda-mentale: lo stato dei recettori ormonali e quello di HER2, mentre per la de-finizione del rischio ci si basa su quelli sopra elencati. La decisione di qualeo quali terapie effettuare alla singola paziente richiede la valutazione com-plessiva dei fattori predittivi di risposta ai trattamenti, del rischio di ripresadella malattia, dei benefici attesi dal trattamento, degli effetti collaterali edelle comorbidità (tabella 1).La classificazione in sottotipi istologici (Luminal A, Luminal B, HER2 like, tri-plo negativo) rappresenta un punto di partenza per la scelta del trattamentoadiuvante. I tumori classificati con profilo genico “luminal A” (Recettori or-monali+ / HER2-) sono quelli che possono beneficiare della sola terapia or-monale; il sottogruppo di tumori microinvasivi o di piccole dimensioni, inassenza di linfonodi e in assenza di altri fattori prognostici sfavorevoli: si puòanche decidere di non somministrare alcun trattamento. I benefici della or-monoterapia e della chemioterapia sono additivi. I benefici ottenuti con la chemioterapia in questo sottogruppo sembrano es-sere collegati ai livelli dei recettori ormonali ed alla presenza di altri fattoriprognostici. I tumori “luminal B” (recettori ormonali + elevati indici di proli-ferazione come Ki 67 >15 % e G3) sono quelli che invece possono benefi-ciare di una chemioterapia, ormonoterapia e terapia anti-HER2 nei rari casidi overespressione di HER2 .Mancano dati da studi prospettici sulla possibilità di combinare il trastuzu-mab con la sola ormonoterapia. I tumori “HER2 like” avendo la positività delrecettore HER2 e i recettori ormonali negativi/positivi beneficiano del tratta-mento con la chemioterapia in associazione con l’anticorpo monoclonale tra-stuzumab; nel sottogruppo di tumori microinvasivi o di piccole dimensionitra 0.6 e 1.0 cm si può prendere in considerazione la chemioterapia ± tra-stuzumab. I tumori “tripli negativi”, mancando dell’espressione dei recettoriper gli ormoni che per l’HER2 beneficia del solo trattamento chemioterapico;nel caso del sottogruppo di tumori microinvasivi o di piccole dimensioni (<0.5cm)con linfonodi negativi non è indicato alcun trattamento. Nel sottogruppodi tumori di dimensioni tra 0.6 e 1.0 cm si può effettuare la chemioterapia.La chemioterapia adiuvante riduce significativamente il rischio di ripresa emorte nelle pazienti con tumore della mammella operabile indipendente-mente dall’età, dallo stato linfonodale, dallo stato recettoriale e dallo stato

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

mia radicale modificata).Attualmente quando tecnicamente possibile el’esame estemporaneo del tessuto retroareolare è negativo si preferisce ese-guire la mastectomia “nipple sparing” che garantisce risultati estetici deci-samente migliori.La ricostruzione mammaria è il completamento della mastectomia, da ga-rantire sempre. La biopsia del linfonodo sentinella va eseguita in tutti i casi.Sono una controindicazione assoluta il carcinoma infiammatorio, adenopa-tia ascellare con agoaspirato C5 pazienti sottoposte a chemioterapia neoa-diuvante in cui persista un coinvolgimento linfonodale. e pazienti sottopostea chemioterapia neoadiuvante con coinvolgimento linfonodale. In caso didonne che si devono sottoporre a chemioterapia neoadiuvante senza com-promissione linfonodale , si raccomanda l’esecuzione della ricerca del linfo-nodo sentinella prima dell’inizio della terapia poiché il tasso di identificazioneritrovamento del linfonodo sentinella è più elevato.La tecnica che si preferisce è basata sul tracciante radioattivo legato a mi-croaggregati di albumina umana iniettati in prossimità del tumore ( sotto-cute, oppure area peritumorale); in alcuni Centri viene utilizzato il coloranteblu, accettabile ma meno preciso . In presenza di adenopatie ascellari so-spette, linfonodi ascellari esaminati con agoaspirato positivo per CTM o lin-fonodo sentinella positivo per metastasi , si esegue la dissezione ascellaretotale del I e II livello. La procedura è la stessa in caso di linfonodo sentinellanon “migrato” o non identificato, evenienza molto rara.In caso di presenza nel linfonodo sentinella di ITC non si esegue la disse-zione linfonodale ascellare completa, perché la situazione è paragonabile auna negatività del linfonodo sentinella ; nel caso di micrometastasi inferioriai 2 mm si può discutere l’inclusione della paziente in uno studio randomiz-zato che eviti la dissezione ascellare a favore di controlli regolare, ovvero incaso di fattori prognostici sfavorevoli della neoplasia (invasione angiolinfa-tica, G3 , K167 elevato, HER 2 positivo) si può discutere con la paziente l’op-portunità di una dissezione ascellare, perché in questi casi la positività deilinfonodi non sentinella supera il 30%. In caso di tumore ai quadranti internio quadrante centrale della mammella si può eseguire, la biopsia del linfonodosentinella nella catena mammaria interna, iniettando il tracciante in sedeprofonda peritumorale.

Ricostruzione mammaria dopo patologia oncologicaRicostruzione dopo chirurgia conservativaLa ricostruzione viene attuata, a seconda delle quantità di tessuto asportatoe della sede, mediante rimodellamento del parenchima residuo o applicandole varie tecniche di mastoplasticaRicostruzione dopo mastectomia Ricostruzione con materiale protesicoRicostruzione in uno o due tempi, immediata o differita medianteespansoree/o protesi. Indicazioni di tale metodica sono:• Tempi operatori relativamente brevi• Rapida guarigione• nessun ulteriore danno anatomico.• complicanza: possibile decubito ed eventuale esposizione protesica so-

prattutto nel caso di tessuti danneggiati dalla radio terapiaRicostruzione con materiale autologoQualora, per motivi di radicalità oncologica, venga asportata un’abbondanteporzione della cute mammaria è consigliabile utilizzare: lembi di vicinanza,lembo peduncolato muscolo-cutaneo di grandorsale, lembo Tram, lembi li-beri (DIEP – Gluteo etc….) che consentono un’adeguata ricostruzione delmantello cutaneo, più eventualmente espansore e/o protesi.Indicazioni lembi peduncolati:

• qualora la paziente non accettasse il materiale protesico o per la pre-senza di tessuto compromesso dalla radioterapia si potrebbe optare peruna ricostruzione con lembi peduncolati come il Tram o di Gran Dorsalerifornendo così l’area di neovascolarizzazione.

• controindicazione all’esecuzione di ricostruzione con lembi peduncolatisono: situazione clinica scadente della paziente, presenza di cicatricinelle aree dei lembi da scolpire, scarsa aspettativa di vita.

Indicazioni lembi liberi:• qualora la paziente non accettasse il materiale protesico, controindica-

zioni all’uso di lembi peduncolati.• controindicazioni: presenza di tessuto severamente danneggiato dalla

radioterapiaRicostruzione complesso Areola/Capezzolo• Capezzolo: Mediante lembi cutanei scolpiti in corrispondenza della sede

di impianto o mediante innesto di porzione del capezzolo contro late-rale.

• Areola: Mediante innesto a tutto spessore prelevato dalla regione ingui-nale o tatuaggio .

La ricostruzione del complesso areola/capezzolo è preferibile effettuarequando il trattamento ricostruttivo della mammella sia stato ultimato ed ilsuo risultato si possa considerare stabilizzato.Rimodellamento della mammella contro lateraleDa eseguire, in accordo con la paziente, quando non sia possibile ottenereuna buona simmetria ricostruttiva con le tecniche di mastoplastica (masto-pessi, mastoplastica riduttiva, mastoplastica additiva)LipofillingInnesto di tessuto adiposo autologo utile per ammorbidire le cicatrici deipregressi interventi, per mascherare i margini protesici,per migliorare la qua-lità della cute irradiata per la presenza di cellule staminali mesenchimali.

RadioterapiaRadioterapia dopo chirurgia conservativaL’irradiazione dell’intero parenchima mammario (la cute non e’ parte del vo-lume bersaglio a meno di un suo coinvolgimento da parte della neoplasia) vaconsiderato come lo standard nell’approccio conservativo del carcinomadella mammella. La radioterapia è parte integrante del trattamento conservativo e fattori checontroindichino la radioterapia controindicano l’intera strategia.L’irradiazione parziale della mammella c.d. PBI : partial breast irradiation oAPBI: accelerated partial breast irradiation) si ritiene vada considerata, almomento, solo nell’ambito di studi clinici controllati e non può essere quindiconsiderata uno standard terapeutico Infatti, nonostante studi in corso riportino, in gruppi selezionati di pazienti abasso rischio di recidiva sottoposte a irradiazione parziale della mammella,percentuali di controllo locale analoghe a quelle ottenute in pazienti sotto-poste a irradiazione dell’intero corpo mammario, tali risultati vanno consi-derati ,visto il breve follow up, come preliminari sia per quanto attiene ilcontrollo locale sia per quanto riguarda i dati di tossicità e di risultato co-smetico.Per quanto riguarda l’irradiazione delle stazioni linfonodali, nonostante l’as-senza, al riguardo, di risultati di studi clinici randomizzati precipuamentecondotti in pazienti sottoposte a chirurgia conservativa, vengono general-mente estesi a tale tipologia di pazienti gli atteggiamenti terapeutici adottatinelle pazienti sottoposte a mastectomia (vedi).Trova quindi una forte raccomandazione, nelle pazienti con 4 o più linfonodiascellari positivi, sottoposte a chirurgi a conservativa, l’irradiazione dei lin-fonodi infra/sovraclaveari omolaterali.

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piego, essere necessariamente integrato con l’uso degli inibitori dell’aroma-tasi. Dose: 20 mg al giorno x 5 anni nelle donne in premenopausa alla fine dellachemioterapia; 2-3 anni in quelle in peri-post-menopausa.La somministrazione di tamoxifene per più di 5 anni è da ritenere non stan-dard. Nelle donne in premenopausa può essere indicata l’associazione conLHRH analogo. Gli antidepressivi SSRI (selective serotonin reuptake inhibitors), impiegatianche per il trattamento delle vampate di calore nelle pazienti che assumonotamoxifene, possono interferire con il metabolismo del farmaco attraversol’inibizione del CYP2D6, pertanto non dovrebbero essere utilizzati in questepazienti. Unica eccezione sembrerebbe essere la venlafaxina. Inibitori dell’Aromatasi Sono i farmaci di prima scelta nelle donne in postmenopausa da soli per 5anni o in sequenza a tamoxifene dopo 2-3 anni e per 5 anni complessivi onelle pazienti che hanno completato i 5 anni di terapia con tamoxifene peraltri 5 anni, soprattutto se a elevato rischio di ripresa (evidenza di beneficionelle donne con linfonodi positivi). Ove non vi siano controindicazioni elettive, la scelta di un inibitore per 5 anni,al di fuori di studi clinici, è da ritenersi il trattamento di scelta. Le sequenze(inibitore seguito da tamoxifene, o tamoxifene seguito da inibitore) sono dariservare a studi clinici, o a situazioni cliniche particolari. Il valore del recet-tore per il progesterone non modifica sostanzialmente la scelta, mentre unapositività dell’HER2 segnala una generale bassa endocrino-responsività, piùvera in particolare per tamoxifene. Gli effetti collaterali degli inibitori dell’aromatasi sono sopratutto a carico delsistema osteoscheletrico con sindromi fibromialgiche e osteoporosi, iperco-lesterolemia, quest’ultimo effetto potrebbe determinare un aumento deglieventi cardiovascolari anche se non in modo significativo.La comparsa di artralgie è stata riportata come la causa più frequente di so-spensione del trattamento. Per la prevenzione dell’osteoporosi e di eventualifratture da inibitori dell’aromatasi sono state stilate delle raccomandazioniche tengono in considerazione il T-score basale (Dexa-MOC) e altri fattori dirischio. Per le donne in premenopausa che sviluppano amenorrea o con la chemio-terapia o con il tamoxifene gli inibitori dell’aromatasi possono determinareuna ripresa del ciclo mestruale anche dopo molti mesi di amenorrea. Per-tanto, il loro impiego da soli è sconsigliato. Analoghi del luteinizing hormone-releasing hormone (LHRH) o misure lo-cali (solo in casi particolari: ovariectomia chirurgica o radioterapica)Durata del trattamento con analoghi del LHRH: almeno 2-3 anni; nelle pa-zienti ad alto rischio o in età molto giovane (inferiore a 35-40 anni) si può va-lutare di continuare la terapia con analogo del LHRH per complessivi 5 anni.L’impiego del LHRH da solo non sembra dare buoni risultati e va utilizzato incasi selezionati. L’associazione di tamoxifene e analogo del LHRH sembra preferibile, sia peri dati di efficacia disponibili nella malattia metastatica, sia per la riduzionedegli effetti di tamoxifene sulle ovaie. I risultati di alcuni studi randomizzati indicano che l’ablazione ovarica asso-ciata a tamoxifene, nelle pazienti endocrinore-sponsive in premenopausa,potrebbe essere equivalente alla chemioterapia prevalentemente con il re-gime CMF (un solo studio ha utilizzato un regime contenente antracicline). Alcuni studi segnalano un possibile vantaggio nelle donne con età < 40 annio in quelle che non vanno in amenorrea. Non sono ancora da ritenersi standard trattamenti in donne in premenopusacon inibitori di aromatasi + goserelin +/- acido zoledronico, in attesa di ul-teriori conferme di studi randomizzati e di follow- up più lunghi.

3.3 Malattia localmente avanzataL. Fortunato, T. Gamucci, G.B. Grassi, M. Mottolese, L. Nardone, G. Naso, P.Pinnarò

PremessaIl Carcinoma della Mammella Localmente Avanzato (LABC) e il Carcinoma In-fiammatorio della Mammella (IBC) pur essendo due entità nosologiche di-stinte sostenute da una diversa biologia e con differenti modalità dipresentazione clinica, richiedono entrambe, per un trattamento quanto più ef-ficace possibile, una discussione collegiale alla presenza di un gruppo multi-disciplinare integrato che comprende la figura dell’oncologo medico, delradiologo, del chirurgo e del radioterapista. Da un punto di vista prettamenteclinico sia il tumore della mammella localmente avanzato che il tumoredella mammella infiammatorio, possono essere definiti come tumori che purnon essendo metastatici alla loro presentazione, risultano comunque funzio-nalmente non operabili, cioè non radicalmente asportabili per le loro dimen-sioni o per la loro estensione ai linfonodi ascellari (clinico N+). Questi tumoriche anche in presenza di una chirurgia apparentemente radicale, presentanouna alta percentuale di recidive sia locali che metastatiche e un basso indicedi sopravvivenza se trattati con i soli trattamenti loco regionali ( Chirurgia +Radioterapia). Allo scopo sia di ottenere un minore tasso di recidive locali cheper abbassare le probabilità di una ripresa a distanza è consigliabile nellamaggior parte dei casi proporre alla paziente una “Terapia Primaria” dettaanche “Terapia Neo-Adiuvante” (chemio o ormonoterapia). La percentuale dirisposte cliniche risulta pari al 60-90% con una percentuale di risposte clini-che complete oscillanti tra il 6 ed il 65% e la possibilità di effettuare un in-tervento conservativo nei casi candidati alla mastectomia è pari al 20-30%.La percentuale di risposte patologiche complete, che sembrerebbe correlarsiad un miglioramento della sopravvivenza, oscilla tra il 10 ed il 30%. E’ statapubblicata una meta analisi di 9 studi randomizzati e pubblicati su riviste in-ternazionali che hanno confrontato la chemioterapia preoperatoria con la che-mioterapia adiuvante convenzionale utilizzando lo stesso regime nei duebracci. Sono stati anche inclusi studi in cui una terapia neoadiuvante era se-guita dopo l’intervento chirurgico da una terapia adiuvante con lo stesso re-

Regimi sequenziali (N0 alto rischio)

Regimi sequenziali (N+)

ADM o EPI x 4 q 21 �CMF x 4 1,8 q 28

FEC o FAC x 4 q 21 �Taxotere x 4 q 21

FEC x 3 q 21 �Taxotere x 3 q 21

FEC o FAC x 4 q 21 �Taxolo x 16 sett

FEC x 3 q 21 �Taxolo x 12 settimane

EC o AC x 4 q 21 �Taxotere x 4 q 21

EC o AC x 4 q 21 �Taxolo x 16 sett

Regimi concomitanti (N0 basso rischio*)

Regimi concomitanti

(N0 alto rischio, N+)

FEC o FAC x 6 q 21 TAC x 6 q 21 (+ GCSF)

EC o AC x 6 q 21

CMF x 6 1,8 q 28

* La scelta del trattamento chemioterapico in pazienti con N0 va effettuata sullabase dei fattori prognostici, età della paziente e comorbidità (vd testo)

menopausale, anche se il beneficio assoluto è proporzionale al rischio di ri-presa della malattia e diminuisce con l’aumentare dell’età (tabella 2). • La polichemioterapia è superiore alla monochemioterapia. • In generale la chemioterapia deve essere iniziata entro 4-6 settimane

dall’intervento chirurgico pur non essendoci un accordo unanime sul ti-ming ottimale.

• La durata di 4-8 cicli di terapia è considerata lo standard. • La chemioterapia “dose-dense” non trova indicazione al di fuori di studi

clinici, anche se nel sottogruppo di pazienti con recettori ormonali ne-gativi e nelle pazienti HER2 positive sembrano giovarsi maggiormentedella terapia dose-dense.

• I regimi contenenti antracicline con due farmaci (AC o EC) non sono su-periori al regime ciclofosfamide, metotrexato e fluorouracile (CMF) (4cicli di AC o EC = a 6 cicli di CMF).

• I regimi a tre farmaci sono superiori al CMF, anche se il beneficio asso-luto è correlato al rischio di ripresa della malattia, aumenta con l’au-mentare del rischio di ricaduta.

Schemi includenti antraci cline di più comune utilizzo:• A o E � CMF (adriamicina 75 mg/m2 o epirubicina 100 mg/m2 ev ogni

21 giorni per 4 cicli � ciclofosfamide 600 mg/m2 ev; metotrexate 40mg/m2 ev; fluorouracile 600 mg/m2 ev ogni 21 giorni per 8 cicli oppureCMF classico x 4

• FAC (ciclofosfamide 100 mg/m2/die per os giorni 1-14; adriamicina 30mg/m2 ev giorni 1, 8; fluorouracile 600 mg/m2 ev giorni 1, 8 ogni 28giorni) per 6 cicli

• CEF (ciclofosfamide 75 mg/m2/die per os giorni 1-14; epirubicina 60mg/m2 giorni 1, 8; fluorouracile 500 mg/m2 ev giorni 1, 8 ogni 28 giorni)per 6 cicli

• FEC 75-100 (fluorouracile 600 mg/m2; epirubicina 75-90-100 mg/m2;ciclofosfamide 600 mg/m2 ogni 21 giorni) per 6 cicli.

Ruolo dei taxani Molti studi randomizzati e tre metanalisi suggeriscono un piccolo vantaggiodei regimi contenenti taxani (docetaxel o paclitaxel), indipendentemente dal-l’età, dallo stato linfonodale, dall’espressione dei recettori ormonali e dallostato dell’HER2. Le raccomandazioni a tal riguardo sono: 1) Regimi sequenziali sono efficaci quanto i regimi concomitanti, ma gra-

vano di minori effetti collaterali soprattutto midollari. 2) Il trattamento sequenziale con docetaxel trisettimanle (100 mg/m2 ogni

21 gg) è stato quello maggiormente testato in studi randomizzati.3) Nei regimi sequenziali la migliore schedula con paclitaxel è settimanale

(80-100 mg/m2).4) La durata del trattamento va considerata in base al regime utilizzato (6

cicli regimi concomitanti, 4 cicli in quelli sequenziali dopo antraci cline). Pertanto la scelta del regime da utilizzare va considerata sulla base del sin-golo paziente. Di seguito i regimi che possono essere di indicazione:• A/E C x 4 q 21 (adriamicina 60 mg/m2/epirubicina 90mg/m2) Ciclofo-

sfamide 600 mg/m2) seguito da • da Taxotere 100 mg/m2 x 4 q 21 oppure da taxolo 80 mg/m2 ogni 7

giorni per 12 settimane consecutive;• AC (taxotere 75 mg/m2; adriamicina 50 mg/mq; ciclofosfamide 500

mg/m2 ogni 21 giorni) per 6 cicli con il supporto del G-CSF come profi-lassi primaria (per rischio di neutropenia febbrile > 20%);

• FEC x 3 o 4 q 21(fluorouracile 600 mg/m2; epirubicina 90-100 mg/m2;ciclofosfamide 600 mg/m2 ) seguito da Taxotere x 3 o 4 q 21 (100mg/m2 ogni) 21.

Per i tumori con istotipo “triplo negativo” non esiste ad oggi un trattamentochemioterapico adiuvante standard, pertanto i regimi più utilizzati riman-

gono quelli a base di antracicline e taxani.I tumori tubulari, mucinosi ed i papillari hanno una prognosi migliore per cuisoprattutto in assenza di interessamento dei linfonodi ascellari possono es-sere trattati con la sola ormonoterapia e se di dimensioni < 1 cm non rice-vere alcun trattamento sistemico. Anche alcuni tumori “tripli negativi” quali il carcinoma midollare, l’adenoidoci-stico e l’apocrino hanno una prognosi favorevole ed in assenza di inte-ressamento dei linfonodi ascellari e di altri fattori di rischio non necessitanodi trattamenti sistemici adiuvanti. Il carcinoma lobulare infiltrante (5-15% di tutti i tumori della mammella) sem-brerebbe essere meno responsivo al trattamento chemioterapico rispetto alcarcinoma duttale infiltrante come riportato in studi retrospettivi di chemio-terapia neoadiuvante in cui sono state ottenute più basse percentuali di ri-sposte patologiche complete e di interventi conservativi anche se la prognosia lungo termine è stata migliore. I carcinomi lobulari sono diagnosticati in uno stadio più avanzato all’esordio,esprimono più frequentemente i recettori ormonali ed hanno un grado di dif-ferenziazione più basso. La presenza di coinvolgimento metastatico linfono-dale fa comunque consigliare l’uso della chemioterapia seguita daormonoterapia.

Terapie biologicheIl Trastuzumab è un anticorpo monoclonale ricombinante umanizzato controil dominio extracellulare dell’HER2. Il trattamento standard per i tumori che esprimono il recettore per l’HER2(IHC 3+ o FISH/CISH/SISH amplificati) determina un beneficio significativo intermini di rischio di recidiva e, in alcuni studi, di morte, come ampliamentedimostrato da studi randomizzati includenti oltre 15.000 donne. Il trastuzumab si può somministrare sia concomitante alla chemioterapia chesequenziale alla chemioterapia. Rimane al momento da definire la sicurezzadel trastuzumab concomitante al regimi includenti antracicline a causa dellacardiotossicità cui il farmaco determina (incidenza di cardiotossicità circadel 5%).Il trastuzumab, al momento in assenza di conclusione di studi randomizzati,si somministra per un anno o in regime trisettimanale (8 mg/kg dose loadingseguito da 6 mg/kg q 21 gg x 18 somministrazioni) oppure in regime setti-manale 4 mg/kg dose loading seguito da 2 mg/kg/settimanale x 1 anno). E’ necessario un adeguato monitoraggio cardiaco (con ecocardiogramma oMUGA scan) prima, durante e dopo la terapia con trastuzumab.Al momento non sono indicati altri trattamenti anti-HER2 in fase adiuvante(lapatinib) in attesa di risultati di studi randomizzati.

Terapia ormonaleE’ indicata in tutte le pazienti con tumori ormonoresponsivi indipendente-mente dallo stato linfonodale, dall’età, dallo stato menopausale, dal-l’espressione di HER2 e dall’utilizzo o meno della chemioterapia. Nessunaindicazione nei tumori con recettori ormonali negativi.La definizione di recettori ormonali negativi è da intendersi come assenza deirecettori all’immunoistochimica. Le pazienti con recettori ormonali tra 1% e 9%, già trattate con chemiotera-pia adiuvante devono essere successivamente sottoposte ad ormonotera-pia.Per quanto riguarda l’ormonoterapia adiuvante esclusiva, questa può essereindicata quando il tumore esprime i recettori ormonali in misura ≥ 10%.Tamoxifene Rappresenta il trattamento standard per le donne in premenopausa, mentreper quelle in postmenopausa deve, nel caso se ne ritenga opportuno l’im-

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella

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gime. La percentuale di interventi conservativi è stata estremamente varia-bile tra i diversi studi anche se in cinque era significativamente più elevata nelbraccio della chemioterapia primaria. A tutt’oggi il regime chemioterapico ot-timale non è noto anche se la percentuale di risposte patologiche completepiù elevate è stata osservata con regimi contenenti antracicline e taxani. Unameta-analisi basata sui dati della letteratura ha incluso 7 studi randomizzatiche hanno confrontato regimi contenenti antracicline con regimi contenentiantracicline e taxani in associazione o in sequenza. L’aggiunta dei taxani haaumentato la percentuale di pCR e di interventi conservativi. La durata otti-male della chemioterapia primaria non è nota, ma almeno 6 cicli di terapiasono in genere necessari per raggiungere il massimo della risposta. Nelle pa-zienti con tumori che presentano una aumentata espressione di HER-2, lasomministrazione contemporanea di trastuzumab alla chemioterapia conte-nente antracicline e taxani determina percentuali di risposte patologiche com-plete nell’ordine del 40% -60%, e sono da ritenersi lo standard terapeuticoattuale. Va attuata una attenta valutazione della funzione cardiaca. L’ormo-noterapia primaria è stata valutata nelle pazienti in postmenopausa con tu-mori ormonoresponsivi e non suscettibili di interventi conservativi. Gli inibitoridella armatasi hanno una maggiore percentuale di risposte obiettive e di in-terventi conservativi rispetto al tamoxifene. Tuttavia la percentuale di rispo-ste complete patologiche rimane molto bassa, e a parte casi particolari nonè da considerarsi uno standard terapeutico. Mancano studi sulla durata dellaormonoterapia, ma è probabile che una volta iniziata vada continuata per unlungo periodo (almeno 6 mesi). Il posizionamento di un marcatore radioopaconella sede del tumore prima chemioterapia neo-adiuvante è associato con unmiglior controllo locale, in virtù di una più precisa individuazione della sede tu-morale al momento della successiva escissione chirurgica. Anche il posizio-namento di clips chirurgiche sul letto operatorio, secondo linee guidacodificate, in corso di chirurgia conservativa ne rende più agevole l’identifi-cazione per una più efficace la somministrazione del boost radioterapico. Taliprocedure dovrebbe essere parte integrante dell’iter diagnostico-terapeuticodi queste pazienti. Come per i tumori mammari in fase iniziale, la radiotera-pia post-operatoria è parte integrante del trattamento delle pazienti con tu-mori localmente avanzati o infiammatori, sia in caso di chirurgia conservativasia di mastectomia.La tecnica di irradiazione è identica, anche se alcune controversie non chia-rite rimangono per quanto riguarda l’irradiazione linfonodale nelle pazienticon risposta clinica completa o maggiore (R0-R1) al trattamento chemiotera-pico primario, in rapporto alla scelta dei volumi da irradiare. In particolare lo stato linfonodale patologico è stato tradizionalmente usato

per stimare il rischio di recidiva loco-regionale e per identificare le pazienti chesi possano giovare della radioterapia sulle stazioni linfonodali claveo-ascellarie della catena mammaria interna. La maggior parte delle Istituzioni considerail piano terapeutico secondo i volumi identificabili prima della chemiotera-pia,sia per il tumore primario che per l’interessamento linfonodale, anche sea maggior rischio di linfedema del braccio nella irradiazione linfonodale econ inferiore risultato cosmetico mammario per un più ampio volume del so-vradosaggio (boost) sul letto tumorale e una più frequente necessità di irra-diazione linfonodale. Il trattamento ormonale e il trattamento con trastuzumabdevono essere effettuati sulla base dei fattori biologici valutati sulla biopsia ini-ziale poiché tali fattori possono variare dopo chemioterapia neo-adiuvante.Anche la radioterapia deve essere effettuata sulla base delle caratteristicheiniziali del tumore.Ruolo della biopsia del Linfonodo Sentinella (LS)La questione se la biopsia del linfonodo sentinella debba essere effettuataprima o dopo una terapia neoadiuvante in quei pazienti con linfonodi clinica-mente negativi alla stadiazione pre-trattamento sistemico è ancora ampia-mente dibattuta, considerando che i vantaggi di una biopsia linfonodale dopola chemioterapia potrebbero superare gli svantaggi. In effetti però la tecnicadel Linfonodo Sentinella effettuato al momento della chirurgia definitiva dopola terapia neoadiuvante, ha prodotto una percentuale di identificazione dieventuali linfonodi positivi più bassa, se confrontata con la ricerca del Linfo-nodo Sentinella effettuata prima della terapia. Questo fatto è stato spiegatocon i possibili cambi strutturali che si potrebbero verificare nelle vie linfatichedi drenaggio della mammella dopo la terapia sistemica. Una sistematica re-view di 27 studi con un totale di 2148 pazienti ha mostrato una percentualedi identificazione del Linfonodo Sentinella dopo terapia neoadiuvante del 91%,e una percentuale di falsi negativi del 10.5%. I risultati dei falsi negativi po-trebbero essere notevolmente superiori nel caso nel Carcinoma della Mam-mella Infiammatorio. Sebbene la ricerca del Linfonodo Sentinella dopo laterapia neoadiuvante sistemica potrebbe ridurre la percentuale di Linfoade-nectomie quale chirurgia non necessaria qualora il LS risultasse negativo, ilsignificato clinico del LS negativo dopo chemioterapia neoadiuvante non èchiaro. Pertanto, anche se ancora questi dati non sono stati pesati in studi cli-nici randomizzati per valutare il reale beneficio o gli svantaggi di effettuare laricerca del Linfonodo Sentinella prima o dopo la terapia neoadiuvante, ap-pare prudente allo stato attuale adottare le linee guida suggerite sia dall’ASCO(ASCO consensus guidelines for SLNB 2005) sia le linee guida NCCN (2. 2011)che raccomandano entrambe di effettuare la ricerca del Linfonodo Sentinellaprima di somministrare la terapia sistemica (figure 1 e 2).

3.4. Trattamento della malattia recidivao metastatica

F. Cognetti, A. Fabi, T. Gamucci, G. Naso, P. Pinnarò.

Per effetto dei progressi sia dei programmi di screening che dei trattamentiadiuvanti, l’occorrenza di malattia recidiva o metastatica è in sensibile dimi-nuzione nei paesi occidentali dall’inizio degli anni ’90.Solo il 7% circa dei tumori della mammella si presenta all’esordio come ma-lattia metastatica. La maggior parte dei casi viene diagnosticata in pazienti conpregressa storia di neoplasia mammaria già trattata per malattia locale, ed inparticolare fino al 30% delle pazienti con linfonodi ascellari negativi e fino al70% delle pazienti con linfonodi ascellari positivi. Dopo aver documentato una ripresa della malattia è opportuno eseguire unaristadiazione. Innanzitutto la paziente deve essere sottoposta ad una attentae completa anamnesi includente la valutazione dello stato menopausale edelle eventuali comorbidità, una dettagliata caratterizzazione molecolare deltumore primario, con particolare attenzione alla biologia tumorale, al tratta-mento e allo stato dell’ultimo follow-up, la storia della malattia metastaticacompresa la durata e i siti originariamente coinvolti, i precedenti trattamentie i loro effetti, i sintomi attuali , il performance status, il background socio-eco-nomico e le preferenze della paziente. Successivamente sarà effettuato l’esame obiettivo, esami ematobiochimici includenti anche i markers tumorali(CEA, Ca15.3), soprattutto nel caso di pazienti con lesioni non misurabili alloscopo di monitorare l’efficacia del trattamento,Rx torace, ecografia addome, scintigrafia ossea, se necessario TC torace oTC o RM addome. Una PET-TC può essere utilizzata, anche se al momento idati sono ancora limitati, soprattutto in casi di lesione metastatica singola dalmomento che queste pazienti possono giovarsi di approcci urgenti, più ag-

gressivi e multidisciplinari o quando le comuni metodiche esprimono risultatinon univoci. Inoltre tutte le pazienti dovrebbero essere sottoposte a tests car-diologici (ECG ed ecocardiogramma) soprattutto se è previsto l’uso di Trastu-zumab o Antracicline.In base alle caratteristiche cliniche della malattia le pazienti vengono suddi-vise come malattia indolente o come malattia aggressiva. Nella definizione dimalattia indolente e malattia aggressiva rimane fondamentale il giudizio cli-nico e si può fare riferimento ai seguenti parametri: • Malattia indolente: lungo DFS, precedente risposta a OT, età > 35 anni,

metastasi ossee e/o ai tessuti molli, numero limitato di lesioni metasta-tiche

• Malattia aggressiva: breve DFS, no risposta a OT, età < 35 anni, metastasiviscerali, presenza di numerose lesioni, malattia fortemente sintomatica.

La scelta della terapia sistemica verrà effettuata tenendo conto di queste ca-ratteristiche a cui va aggiunta sempre la preferenza della paziente, oltre chedei due fattori biologici predittivi validati e cioè lo stato recettoriale ormonalee l’aumentata espressione di HER-2, la cui determinazione dovrebbe essereeffettuata anche nelle lesioni metastatiche quando possibile. Possibili ecce-zioni alla biopsia delle lesioni metastatiche sono le seguenti:• situazioni nelle quali la biopsia è rischiosa• intervallo libero tra intervento sul tumore primitivo e la comparsa di me-

tastasi molto breve.• nel caso in cui i risultati della biopsia non muterebbero l’atteggiamento

terapeutico (controindicazioni alla chemioterapia o alle terapie anti-Erb2).

Malattia loco regionaleLa recidiva loco regionale isolata dovrebbe essere considerata come un nuovotumore primitivo quindi con un approccio terapeutico ad intento curativo. Se

Figura 1. Diagramma di flusso suggerito sul trattamento del linfonodo sentinella

E’ accettabile anche LS dopo terapia adiuvante

Per N0 clinico effettuare LS primadi somministrare la terapia sistemica

Se LS + linfoadenectomia

Se LS + linfoadenectomia NON necessaria

Per N+ clinico non necessarioLS prima della terapia

Linfectomia

Linfectomia I livello +/- linfectomia allargata

Se alla ristadiazione cN0 LS +/- linfoadenectomia

Figura 2. Diagramma di flusso nella gestione della chemioterapia primaria

Programmare 4-8 cicli di chemioterapia(4 cicli possono essere sufficienti in caso di cRC per pazienti ER-)

(per pazienti ER+ tendere a completare i cicli programmati anche in presenza in una cRc)

Rivalutare ogni 2 cicli con ECO o RMN

Se RP alla prima rivalutazioneancora 2 cicli della stessa terapia

Se SD alla prima rivalutazioneancora 2 cicli della stessa terapia

Se P alla prima rivalutazioneConsiderare 2 cicli di una terapia

cross-resistente

Se RP alla seconda rivalutazioneancora 2 cicli della stessa terapia

Se SD alla seconda rivalutazioneProporre 2 cicli di una terapia

non cross-resistenteSe P alla seconda rivalutazione

(una terapia endocrina con un I.A. può essere considerata per le pazienti in post-menopausa ormono responsive)

Se cRC alla seconda rivalutazione

Se ER-: chirurgia (valutare su istologico definitivo eventuale terapia adiuvante

Se ER+ uteriori 2 cicli di chemioterapia programmata

Se ER+ valutare chirurgiae poi adiuvante ORMONO

Se ER- proporre 2 ciclidi chemioterapia non

cross-resistente

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella

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possibile la raccomandazione è effettuare l’escissione radicale della recidivatumorale. Nei pazienti che non hanno eseguito la radioterapia post-operato-ria, la radioterapia sulla parete toracica e, se del caso, sui linfonodi loco-re-gionali dovrebbe seguire l’intervento chirurgico. Nei tumori precedentementeirradiati il valore di una nuova radioterapia è ancora oggetto di studio; co-munque la re-irradiazione su aree limitate della parete toracica può essere ef-fettuata dopo un’attenta valutazione del rapporto rischio/beneficio, tenendo inconsiderazione la durata del periodo libero da radioterapia, l’intensità dei cam-biamenti strutturali post-radioterapia ed il rischio di ripresa di malattia loco-regionale. I pazienti inoperabili possono se possibile essere sottoposti aradioterapia radicale sulla parete toracica e linfonodi regionali. Comunque inqueste pazienti la terapia sistemica primaria con l’intento di ridurre le di-mensioni del tumore e renderlo operabile, rappresenta la prima scelta di trat-tamento. Il valore della chemioterapia “pseudo-adiuvante” e cioè praticatadopo l’esecuzione della recidiva loco regionale, non è del tutto provato ed èancora oggetto di studio in trials randomizzati.

Malattia metastaticaIl trattamento del carcinoma mammario metastatico deve essere svolto daun team multidisciplinare che include l’oncologo medico, il radioterapista, ilchirurgo, il radiologo, lo specialista in cure palliative e dovrebbe comprendereun supporto psicologico. Tutte le decisioni relative all’impostazione terapeu-tica devono perciò essere assunte attraverso l’interazione di queste figureprofessionali. E’ importante ricordare che il trattamento della malattia meta-statica è essenzialmente palliativo considerando che solo poche pazienti chepossono ottenere la guarigione (2-3%). Quindi gli obiettivi sono il prolunga-mento della sopravvivenza ed il miglioramento dei sintomi che devono peròessere bilanciati con il mantenimento di una adeguata qualità di vita e con unatossicità accettabile. La prevalenza della malattia metastatica è alta poiché unnumero sempre più crescente di pazienti sopravvivono con la malattia perperiodi di tempo sempre più prolungati, anche in ragione della possibilità diapplicare loro in sequenza molteplici opzioni di trattamento ormonale, che-mioterapico e biologico. La paziente e i suoi familiari dovrebbero essere com-piutamente informati fin dall’inizio e dovrebbero essere stimolati a parteciparea tutte le decisioni terapeutiche. Le singole realtà delle pazienti devono sem-pre essere considerate con attenzione. Le opzioni terapeutiche nel carcinomamammario metastatico sono l’ormonoterapia, la chemioterapia, gli agenti bio-logici (trastuzumab, lapatinib e bevacizumab), e la radioterapia:

• La scelta della terapia più appropriata deve sempre prevedere l’analisi difattori vari relativi alle caratteristiche della malattia (numero e siti dellemetastasi, stato dei recettori ormonali e di HER-2, intervallo libero da ma-lattia) alle precedenti terapie adiuvanti (dosi cumulative di antracicline,uso dei taxani e di trastuzumab, effetti collaterali a lungo termine) ed allecaratteristiche della paziente (età, PS, comorbidità, preferenza).

La continuazione del trattamento oltre la terza linea è giustificata nelle pazienticon buon PS e che abbiano risposto alle chemioterapie precedenti. La chemioterapia ad alte dosi non dovrebbe essere considerata. Il ruolo del Bevacizumab viene definito nella sezione seguente riguardante glialtri agenti biologici.Dal momento che non esistono o sono pochi i trattamenti definibili standardnel trattamento della malattia metastatica, l’inserimento di pazienti in studiprospettici randomizzati rappresenta una priorità.Dal punto di vista biologico, strettamente correlato al comportamento clinicoed alla scelta del trattamento, le pazienti possono essere così classificate:1) pazienti con tumore della mammella di tipo luminale ( recettori ormonali

positivi):- la terapia ormonale rappresenta l’opzione di scelta con l’eccezione deicasi nei quali il comportamento aggressivo della malattia richiede una ri-sposta rapida. La scelta del tipo di trattamento ormonoterapico deve es-sere individualizzato, ma deve essere scelto tenendo conto delle seguenticonsiderazioni:- Il valore del trattamento ormonale di mantenimento dopo chemiotera-pia non è dimostrato da studi controllati, ma può considerarsi un ap-proccio ragionevole.

- La combinazione simultanea di chemio e ormonoterapia è da non ap-plicare.

- In caso di iperespressione o amplificazione di HER-2, l’aggiunta al-l’ormonoterapia di terapie anti HER-2 conferisce un beneficio aggiun-tivo.

- con l’eccezione della combinazione di tamoxifene e LHRH agonisti inpremenopausa, non esiste alcun razionale all’uso delle terapie ormo-nali in combinazione.

Gli schemi nella figura 3 indicano il possibile atteggiamento in pre e post me-nopausa, ove vi sia l’indicazione ad una ormonoterapia di prima linea sullabase dei precedenti trattamenti ormonali nel setting adiuvante (pazienti conrecettori ormonali positivi e malattia indolente).

2) Pazienti con tumore della mammella triplo negative (recettori ormonalinegativi e HER-2 non iperespresso/ non amplificato): Queste pazienti sono candidate alla chemioterapia.Quando vi è l’indicazione alla chemioterapia (malattia non più ormono-responsiva, malattia con recettori ormonali negativi, malattia aggressivacon metastasi viscerali multiple o “life threatening”, pazienti giovani conmetastasi viscerali) la scelta può cadere su una polichemioterapia o suuna monochemioterapia. La Polichemioterapia: più attiva della monochemioterapia anche se unaumento delle risposte obiettive determina raramente un beneficio in so-pravvivenza che viene invece influenzata dai trattamenti messi in attoalla progressione. I regimi devono essere scelti anche in base al prece-dente trattamento adiuvante. • pazienti non pretrattate con antracicline:- CAF/FAC, FEC, A/ED (doxorubicina/epirubicina e docetaxel); A/ET (do-xorubicina/epirubina e paclitaxel)

• pazienti pretrattate con antracicline- Nab-Paclitaxel (approvato per pazienti in fallimento dopo terapia diprima linea metastatica e per le quali la terapia standard con antraci-cline è controindicata), docetaxel/capecitabina o paclitaxel/gemcita-bina (questi ultimi due regimi sono approvati per le pazienti pretrattatecon antracicline), CMF

• pazienti pretrattate con antracicline e/o taxani- Nab-Paclitaxel capecitabina, vinorelbina, gemcitabina,doxorubicineliposomiali

• La monochemioterapia: è da preferire• nella malattia indolente, • nelle pazienti anziane (>70 anni), • nelle pazienti con riserva midollare ridotta a causa di metastasi osseemultiple e/o pregressa RT palliativa o

• nei casi in cui sia necessario limitare gli effetti collaterali (ad es. co-morbidità).

I regimi di combinazione sono da preferire in presenza di una malattia ag-gressiva allorchè è necessaria una rapida riduzione della massa tumoralementre una monochemioterapia può rappresentare il trattamento di sceltanella malattia indolente, nelle pazienti anziane (>70 anni), nelle pazienti conriserva midollare ridotta a causa di metastasi ossee multiple e/o pregressa RTpalliativa o nei casi in cui sia necessario limitare gli effetti collaterali (ad es.comorbidità). La durata ottimale del trattamento chemioterapico non è notasoprattutto con i “nuovi” agenti chemioterapici per la comparsa di effetti col-laterali. L’obiettivo è quello di ottenere una risposta il più possibile duraturamantendo però una qualità di vita accettabile.Uno degli ultimi farmaci approvati in questo setting di pazienti è il Nab-Pacli-taxel, un farmaco contenente nano particelle di Paclitaxel legate ad albuminadi siero umano. Questo legame contribuirebbe ad avere una maggiore quan-tità di farmaco nelle regioni in cui è presente il tumore. Il farmaco si è rive-lato essere superiore in termini di risposte obiettive e sopravvivenza libera daprogressione peraltro producendo una minore tossicità, rispetto al Paclitaxelin pazienti affette da carcinoma della mammella metastatico, in uno studio difase III che ne ha permesso l’approvazione.3) pazienti con tumore della mammella HER2 positivo (iperespresso/ampli-

ficato):• Il trastuzumab dovrebbe essere proposto precocemente a tutte le pa-zienti con tumore della mammella metastatico HER2 positivo con som-ministrazione settimanale alla dose 2mg/Kg dopo una dose carico di4mg/Kg con una somministrazione trisettimanale 8-6 alla dose di6mg/Kg dopo una dose di carico di 8mg/Kg.

• Il monitoraggio della funzionalità cardiaca deve essere effettuato primae durante il trattamento con trustuzumab.

• L’insieme dei dati retrospettivi e i risultati dello studio di fase III hannodimostrato che continuare il trattamento con trastuzumab dopo unaprima progressione, con l’aggiunta di un differente regime chemiote-rapico, è superiore rispetto alla sospensione dell’anticorpo monoclo-nale. In seguito all’approvazione del lapatinib per il trattamento deltumore della malattia metastatica, il problema se continuare il trastu-zumab o passare al lapatinib, al momento è ancora oggetto di discus-sione.

• Il lapatinib ha dimostrato un aumento significativo del tempo alla pro-gressione in combinazione con la capecitabina nei pazienti in pro-gressione dopo trastuzumab.

• L’aggiunta di agenti anti-HER-2 ( trastuzumab e lapatinib) alla terapiaormonaleha determinato un prolungamento della sopravvivenza liberada progressione e deve essere considerata una opzione per le pazienticon tumori che esprimono recettori ormonali positivi ed HER2 postivo.

• Altri agenti ant-HER2 o pan-anti-HER, come il Pertuzumab, il T-DM1, ilNeratinib, sono al momento oggetto di studio così come le combina-zioni di Trastuzumab con altri agenti biologici in combinazione o menoalla chemioterapia per cercare di superare il problema della resistenzaal Trastuzumab.

4) Altri agenti biologici• Bevacizumab, un agente anti-angiogenetico è stato approvato dall’FDA e dall’EMA in combinazione con il Paclitaxel come trattamento diprima linea per il tumore della mammella metastatico dopo aver di-mostrato un beneficio di 6 mesi in termini di sopravvivenza libera daprogressione nello studio ECOG2100. Di recente il Bevacizumab è statoapprovato in II linea in combinazione con Capecitabina (RIBBON 2). Neisuccessivi studi randomizzati di fase III (AVADO, RIBBON), il beneficiodel Bevacizumab in una popolazione non selezionata di pazienti con tu-mori della mammella, era solo di un mese in termini di sopravvivenzalibera da progressione, senza alcun beneficio in termini di sopravvi-venza globale. Le evidenze scientifiche devono continuare ad appro-fondire quali pazienti possono trarre beneficio da una terapia cosìcostosa.

• Altre terapie biologiche innovative e targeted sono attualmente og-getto di studi importanti sia come agenti singoli sia come combina-zione di più agenti.

5) La radioterapia• Svolge un ruolo importante nella palli azione dei sintomi e in alcunesituazioni di emergenza (compressioni midollari sindrome mediasti-nica) per ridurre la sintomatologia e contribuire insieme alle terapie si-stemiche al miglioramento della qualità della vita.

• Nelle metastasi ossee, mediante l’utilizzo di frazionamenti convenzio-nali o ipofrazionamenti, consente un rapido sollievo dal dolore nel 60-80% dei casi e con remissione completa nel 20%. In caso dicompressione midollare può essere associata ad interventi di decom-pressione, stabilizzazione o vertebroplastica.

• Nelle metastasi cerebrali la scelta del trattamento di rradiazione pan-cencefalica ± boost stereotassico o solo trattamento stereotassico,eventualmente preceduto dalla asportazione chirurgica della/e meta-stasi, dipende dal numero e dalla sede delle stesse, dal PS della pa-ziente e dalla estensione della malattia in sede extracranica. La dosedi 30 Gy in 10 frazioni consente una risposta clinica nel 75% dei casi.

La radioterapia sterotassica si è dimostrata efficace nel controllare lesionifino a 4 cm, con risultati analoghi alla irradiazione panencefalica.

Figura 3. Xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx

Ormonoterapia adiuvante

No Tamoxifene LhRh Tamoxifene + LhRh

Prima lineatamoxifene + LhRg

Prima lineainibitori aromatasi + LhRh

Prima lineatamoxifene + LhRh

Prima lineainibitori aromatasi + LhRh

Seconda lineainibitori aromatasi + LhRh

Seconda lineaMAP/megestrolo acetato

Seconda lineainibitori aromatasi + LhRh

Seconda lineaMAP/megestrolo acetato

Terza lineaMAP/megestrolo acetato

Terza lineaMAP/megestrolo acetato

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella

Il rapporto carcinoma mammario-fertilità racchiude distinti ordini di problemi:• La gestione dei casi di neoplasia mammaria insorti durante una gravi-

danza • Gravidanza dopo carcinoma mammario• La preservazione della fertilità durante il trattamento per carcinoma

mammario.

Gestione dei casi di carcinoma mammario insorti in gravidanzaI tumori della mammella diagnosticati durante una gravidanza presentanomediamente uno stadio più avanzato rispetto alle neoplasie mammarie ri-scontrate in donne non gravide. L’incidenza di casi con interessamento lin-fonodale nelle pazienti gravide risulta infatti 2,5 volte superiore rispetto aquella riscontrata nelle pazienti non gravide. Procedure diagnosticheLe procedure diagnostiche preoperatorie da adottare di fronte ad una pa-ziente gravida che presenti un nodulo mammario sono: • Ecografia mammaria priva di rischi teratogenici ed in grado di distin-

guere lesioni solide e lesioni liquide. Qualora la immagine solida pre-senti caratteri ecografici di dubbia malignità, occorre procedereall’esecuzione di una mammografia con schermatura addominale (ta-lora peraltro di scarsa utilità a causa della densità radiologica dellaghiandola mammaria in gravidanza), seguita da biopsia. La dose ra-diante assorbita dal feto durante una mammografia con schermaturaaddominale è sostanzialmente nulla: non esistono quindi rischi terato-genici legati alla indagine mammografica

• Ecografia addominale• Rx torace con scheramatura addominale• Deve essere evitata l’esecuzione di TC total body e di scintigrafia ossea. La condotta terapeutica di fronte ad una paziente gravida in cui si sia dia-gnosticato un carcinoma mammario può variare in relazione al periodo ge-stazionale. Chiaramente devono essere tenuti presenti gli articoli della legge194/1978 relativi all’interruzione di gravidanza (articoli 6 e 7 riportati in ap-pendice). Circa il 60% delle donne in stato di gravidanza con diagnosi di neo-plasia mammaria può essere trattata con intento curativo (diagnosi di earlybreast cancer).Trattamento early breast cancerChirurgiaPrimo trimestre: • Discutere con la paziente e con il partner circa la possibiltà di un’inter-

ruzione di gravidanza• Se possibile, evitare la chirurgia fino al completamento della dodicesima

settimana di gestazione• In caso di intervento chirurgico: mastectomia e dissezione ascellare (im-

possibilità di eseguire un trattamento radioterapico in tempi adeguati).Secondo e terzo trimestre:• Dopo colloquio con la paziente ed il partner, si può valutare una chirur-

gia conservativa (se applicabile) e dissezione ascellare• Va considerato, ove possibile, l’induzione del parto.La biopsia del linfonodo sentinella non può essere raccomandata durante ilperiodo gestazionale per il rischio di esposizione a radiazioni.Radioterapia• Non raccomandata durante l’intero periodo gestazionaleChemioterapia adiuvante Primo trimestre: • Da evitare.Secondo trimestre:• Necessaria ampia discussione con paziente e partner

• Si può ricorrere ad un trattamento chemioterapico (non escludendo conassoluta certezza eventuali effetti teratogeni e malformazioni)

• E’ da escludere un trattamento con farmaci antimetaboliti• Con maggiore sicurezza possono essere utilizzati antracicline . • Per i Taxani non si hanno molti dati a disposizione circa eventuali danni

teratogeni.Terzo trimestre:• Se possibile, ricorrere all’induzione del parto in modo da poter pro-

grammare un iter terapeutico non più condizionato dallo stato gravidico• Se non possibile un’induzione del parto, dovrebbero valere le stesse in-

dicazioni del secondo trimestre.

Terapie biologiche ed ormonoterapiaTrastuzumab• Non raccomandato in corso di gravidanza per casi di oligoidramnios, al-

cuni associati a ipoplasia polmonare del feto ad esito fatale, in donne ingravidanza trattate con Trastuzumab.

Terapia ormonale• Non raccomandata in corso di gravidanza.

Trattamento della malattia avanzataIn caso di diagnosi di carcinoma mammario metastatico le condotte da met-tere in pratica sono le seguenti: • Colloquio con paziente e partner• Primo trimestre: se necessario ed accettato un trattamento antitumo-

rale da parte della paziente, interruzione di gravidanza • Secondo e terzo trimestre: valgono le stesse indicazioni riportate per il

trattamento antitumorale adiuvante.

Gravidanza dopo un intervento per carcinoma mammarioLa maternità non sembra influenzare negativamente la prognosi di una pa-ziente precedentemente sottoposta a trattamento chirurgico e chemio-ra-dioterapico per carcinoma mammario. Alcuni studi evidenzierebbero una piùelevata sopravvivenza libera da malattia a 5 anni nelle donne che hanno in-trapreso una gravidanza dopo un trattamento per neoplasia mammaria, fa-cendo supporre un possibile effetto protettivo della gravidanza stessa.Il suggerimento non perentorio per una paziente che voglia programmareuna maternità dopo una neoplasia della mammella, è di attendere almenodue anni dalla diagnosi posto che questo è considerato il periodo a maggiorrischio di recidivaEmbriotossicità e fetotossicità di precedenti trattamenti antineoplasticiUn precedente trattamento chemioterapico non determina evidenti fenomenidi embrio o fetotossicità. I dati a disposizione riguardo a pazienti sottopostea trattamenti antineoplastici evidenziano solo casi più frequenti di abortospontaneo, parto prematuro o basso peso alla nascita. Le donne che assu-mono Tamoxifene possono diventare gravide durante il trattamento (trannenei casi in cui il Tamoxifene determini una amenorrea). Il Tamoxifene ha peròevidenziato, in studi di laboratorio sul topo, effetti teratogenici, in particolarea carico degli organi urogenitali. Le pazienti che desiderano una gravidanzadevono perciò interrompere la terapia con Tamoxifene alcuni mesi prima delconcepimento. Durante il trattamento le donne devono inoltre essere sotto-poste ad attenti controlli per escludere la possibilità di una gravidanza inatto.Effetti di precedenti trattamenti antineoplastici sulla lattazioneLa resezione conservativa di neoplasie localizzate al quadrante centrale dellamammella danneggia in genere la lattazione in modo irreversibile, più diquanto possa verificarsi in seguito a quadrantectomie per neoplasie localiz-

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

• Altre sedi metastatiche come lesioni cutanee isolate, stazioni linfonodalisopraclaveari, ascellari, localizzazioni coroidee, singole lesioni polmonariperiferiche, lesioni epatiche di piccole dimensioni (max 3 cm ) in numeronon superiore a 2-3, si possono giovare di irradiazione focalizzata, anchemediante nuove tecniche e tecnologie (sterotassia, IMRT, IGRT…)

3.5. Terapie di supporto e riabilitazioneT. Gamucci, P. Marchetti, P. Pugliese, S. Tomao

Le terapie di supporto e di riabilitazione per le pazienti affette da neoplasiamammaria costituiscono un settore estremamente importante in ambito on-cologico nei diversi stadi della malattia. Riabilitazione dopo chirurgia sulla mammellaTra le principali problematiche di interesse riabilitativo nelle pazienti operateper carcinoma mammario ci sono sicuramente la limitazione funzionale del-l’articolarità scapolo-omerale, le neuropatie periferiche e il linfedema. In par-ticolare la limitazione articolare può essere causata dal dolore conseguenteall’intervento o da un atteggiamento di difesa che la paziente assume ancheinconsciamente nei confronti della zona operata; tale postura, se mantenutanel tempo, può portare ad un’alterazione permanente della biomeccanicadella spalla. Il linfedema rappresenta una delle complicanze più temute peril decorso cronico e progressivo, l’esordio anche tardivo e la necessità di nu-merosi e ripetuti cicli di fisioterapia per il suo contenimento. Fortunatamente,nel corso degli ultimi anni tali problematiche si sono notevolmente ridottenella numerosità grazie al sempre più frequente ricorso ad interventi chirur-gici di tipo conservativo.Il setting riabilitativo deve estrinsecarsi come di seguito riportato:1) Fase preoperatoria

• informare la paziente sulle possibili strategie di recupero funzionale(libretto informativo)

• valutare alcuni parametri funzionali dell’arto superiore ed in modoparticolare la presenza di limitazioni funzionali dovute a patologie pre-gresse e/o concomitanti.

2) Fase postoperatoria. È distinta in due periodi:• Acuto: relativo al periodo della degenza ospedaliera post-chirurgica• Post-acuto: relativo ai 40-60 giorni successivi alla dimissione ospe-daliera.

Il trattamento riabilitativo post-operatorio deve essere iniziato il più preco-cemente possibile fin dal giorno successivo all’intervento e durare per tuttoil periodo del ricovero proseguendo anche a dimissione avvenuta. A tal pro-posito è opportuno consegnare alla paziente una sorta di diario con dei sem-plici esercizi da svolgere a domicilio.La valutazione funzionale deve comprendere:• ROM (riduzione della mobilità articolare) attivo e passivo del complesso

articolare di spalla• test muscolari dei muscoli potenzialmente compromessi• valutazione di deficit a carico del sistema nervoso periferico con parti-

colare attenzione alle sensibilità dell’arto superiore e della zona toracicainteressata

• misurazione antropometrica degli arti superiori e caratteristiche del-l’edema

• valutazione del dolore con scala analogico-visiva (VAS)• valutazione delle cicatrici (aderenti, retraenti, ipertrofiche, cheloidee)• valutazione posturale• valutazione funzionale globale.Gli obiettivi del trattamento sono:

• adeguata informazione della paziente• educazione al controllo della sintomatologia dolorosa• facilitazione all’espansione dell’emitorace interessato• prevenzione degli atteggiamenti posturali viziati• prevenzione e controllo dell’instaurarsi di aderenze cicatriziali• prevenzione delle retrazioni mio-cutanee, mio-tendinee e mio-fasciali• recupero dell’escursione articolare dei cingoli scapolo-omerale e sca-

polo-toracico• educazione all’auto-prevenzione delle complicanze tardive con partico-

lare riferimento al linfedema.3) Fase degli esiti tardivi

Questa fase si può collocare temporalmente trascorsi i 60 giorni dall’in-tervento chirurgico.L’edema linfatico rimane oggi l’esito cronico più importante per le donneoperate, anche se si presenta con una frequenza inferiore rispetto alpassato. L’edema viene classificato in lieve, moderato, grave, gravis-simo con lesione del plesso brachiale. L’edema lieve è molle, recede conil riposo notturno e insorge generalmente a breve distanza dall’inter-vento chirurgico o radioterapico, presenta una differenza di diametrocon l’arto contro-laterale sano di 1-3 cm. La cute mantiene l’elasticità enon si evidenziano lesioni trofiche; la fovea è positiva ma rientra subito.La paziente non riferisce episodi precedenti di linfangiti. In questi casil’intervento riabilitativo prevede una maggiore attenzione all’educazionepreventiva finalizzata alla cura dell’arto, al corretto posizionamento in-segnando posture ed esercizi drenanti e, a discrezione degli specialisti,il linfodrenaggio manuale (LDM) con bendaggio elastocompressivo.L’edema moderato è duro-elastico, non recede con il riposo notturno,presenta una differenza di diametro con l’arto controlaterale sano di 3-5 cm. La cute perde d’elasticità, la fovea è positiva e stabile. Il pazientepuò riferire episodi di linfangite. Ci può essere alterata funzionalità del-l’arto. In questi casi l’intervento fisioterapico dovrebbe essere così strut-turato:• linfodrenaggio manuale (LDM) + bendaggio elastocompressivo +guaina elastica confezionata su misura + esercizi da eseguire con lacompressione;

e/o• linfo-pressoterapia sequenziale preceduta da manovre di apertura se-condo LDM + guaina elastica confezionata su misura.

L’edema grave è duro, non recede con il riposo notturno e presenta unadifferenza di diametro con l’arto controlaterale sano maggiore di 5 cm.La cute ha perso d’elasticità, la fovea è profonda e stabile. La funziona-lità dell’arto è modificata con limitazione dei movimenti in rapporto al-l’aumento di peso dell’arto ed alla fibrosi. L’intervento riabilitativodovrebbe essere così articolato:• linfodrenaggio manuale (LDM) + bendaggio elastocompressivo +guaina elastica confezionata su misura + esercizi da eseguire con lacompressione

e/o• linfo-pressoterapia sequenziale preceduta da manovre di apertura se-condo LDM.

L’edema gravissimo con interessamento del plesso brachiale: in questocaso il quadro clinico è complicato dall’interessamento del plesso bra-chiale. Il programma riabilitativo dovrebbe essere come sopra con l’ag-giunta di ausili di supporto per l’arto paretico/plegico. La valutazionedella paziente deve sempre prevedere un approccio diagnostico multi-disciplinare per escludere eventuali riprese di malattia.

Carcinoma mammario - fertilità

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4. Follow upS. Tomao, F. Cognetti

Allo stato attuale non esiste una evidenza che l’esecuzione di routine di al-cuni esami (esame emocrocitometrico e profilo biochimico, rx torace, scin-tigrafia ossea, ecografia epatica, marcatori tumorali) possa portare a dei realibenefici nella gestione del tumore della mammella. Tali conclusioni si basano sulle linee guida dell’ASCO la cui revisione è statarecentemente pubblicata. L’osservazione che alcuni sottogruppi ristretti dipazienti con carcinoma mammario metastatico possono essere guarite (pa-zienti con localizzazioni singole), può spingere verso un follow-up più inten-sivo allo scopo di diagnosticare la malattia metastatica in una fase il più

precoce possibile. Non vi sono però dati a sostegno di questo atteggiamento.Neppure è noto se l’utilizzo di metodiche diagnostiche più avanzate possaportare a dei benefici (TC, RMN, TC-PET). Per le pazienti asintomatiche in trattamento con tamoxifene è consigliabileuna semplice visita ginecologica annuale senza alcun esame strumentale.Una valutazione basale della densità ossea con metodica DEXA è consiglia-bile per le pazienti in postmenopausa in trattamento con AI. Lo schema sottostante da un indirizzo generale delle tempistiche di follow-up (figura 4).

5. Percorso psicologico nelle diverse fasi della neoplasia mammariaP. Pugliese

La neoplasia mammaria può impattare significativamente la sfera psicolo-gica, affettiva, familiare e sessuale della paziente determinando, durante lediverse fasi della malattia oncologica, livelli di distress psicologico più o menoseveri, nel 35-40 % delle donne. Il distress psicologico è determinato dal confronto con una malattia che mi-naccia la vita e dagli esiti dei trattamenti oncologici, che mettono in discus-sione l’identità femminile della donna. Ogni fase della malattia oncologica ha un preciso correlato psicologico chegenera distress, anche molti anni dopo la fine dei trattamenti attivi, e peg-giora la qualità della vita delle donne: nella fase degli accertamenti diagno-stici la percezione di vulnerabilità; nella fase della comunicazione delladiagnosi le importanti paure e preoccupazioni per la morte e la mutilazione;durante la fase dei trattamenti attivi e nel follow-up il danneggiamento del-l’immagine corporea, le alterazioni della femminilità, della sessualità, dellacapacità riproduttiva e del funzionamento relazionale, le disfunzioni cognitive,la fatigue, il linfedema, il dolore, il corredo sintomatologico della menopausaindotta nelle donne giovani; nella ripresa di malattia la perdita della possibi-lità di guarire e nella fase avanzata la limitata aspettativa di vita.Ugualmente elevato è il fenomeno nei familiari delle pazienti che mostrano,a seconda delle varie fasi di malattia, un distress psicologico che varia dal20% al 71%.Diversi studi hanno rilevato una relazione del distress psicologico con il peg-gioramento della qualità della vita, con l’aumento del rischio di disagio psi-chico nella famiglia, con la riduzione dell’aderenza ai trattamenti ormonali,con l’alterazione della relazione medico-paziente, con l’aumento dei tempi direcupero, riabilitazione e degenza, con una minore efficacia biologica della

terapia, con una riduzione della sopravvivenza ed un maggiore rischio di ri-correnza. Il benessere psicologico può inoltre essere correlato all’abilità degli operatoridi dare informazioni chiare, sollecite e modulate sul bisogno di sapere delledonne, riguardo alla malattia, alle procedure diagnostiche, alle opzioni tera-peutiche e alle loro conseguenze ed un giudizio ponderato sulle aspettative esulla qualità della vita. Tale abilità permette alle pazienti di partecipare allascelta tra diverse strategie chirurgiche, tra trattamenti chemioterapici diuguale efficacia in fase avanzata di malattia ed alla scelta tra trattamenti ag-gressivi di seconda linea ed il riferimento ai centri di cure palliative.Training sulle abilità comunicative agli operatori sanitari hanno mostrato unmiglioramento della comunicazione.Gli studi hanno messo in evidenza la difficoltà di rilevare routinariamente iproblemi psicologici da parte degli operatori medici, in quanto non formati atali aspetti. La morbidità psicologica viene sottostimata e, quindi, non trattata.C’è evidenza dell’efficacia di terapie psicologiche che legittimano lo scree-ning del distress psicologico ed in alcuni paesi sono ormai disponibili lineeguida che forniscono raccomandazioni, basate sull’evidenza, riguardo la curapsicosociale dei pazienti (NCCN, 2011). Trial randomizzati, review sistema-tiche e meta-analisi sostengono che una cura per il cancro per essere “diqualità” deve integrare routinariamente la cura psicosociale. Altro dato dievidenza è la consapevolezza sempre più alta della sofferenza psicologica daparte delle pazienti e dei loro familiari e, quindi, la richiesta di supporto psi-cologico e di una comunicazione efficace.Il supporto psicologico è un’indicazione del Piano Oncologico Nazionale2011-2013 e della Rete Oncologica del Lazio.

Figura 4. Xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx

Trattamento loco-regionali

Linfonodi ascellari negativi Linfonodi ascellari positivi

Trattamenti sistemici

Follow-up

Mammografia

Prima MX:9-12 mesi dopo RT

Successivamenteogni anno

1°-3° anno

Ogni 3-6 mesi

Visita clinica

4°-5° anno

Ogni 6-12 mesi

Dopo 5° anno

Ogni anno

zate in aree ghiandolari periferiche. L’irradiazione della mammella può a suavolta compromettere la capacità di lattazione della mammella stessa, a causadella induzione di fibrosi dei lobuli ghiandolari. Una mammella che sia statasottoposta a chirurgia conservativa e terapia radiante presenta difficoltà nellosviluppo della ipertrofia durante la gravidanza ed il puerperio, per cui si as-siste in questi casi nelle pazienti ad un ingrossamento mammario asimme-trico.Alcune donne sono comunque in grado di allattare dalla mammella trattatacon chirurgia conservativa e radioterapia; nella maggioranza dei casi ciò av-viene però con difficoltà e con produzione di quantità inadeguate di latte.

Preservazione della fertilitàStrategieChemioprotezione ovaricaIl razionale dell’uso degli agonisti del GnRH è quello di rallentare l’attivitàcellulare delle gonadi rendendole meno sensibili all’aggressione degli agenticitotossici. Studi osservazionali ne validano l’efficacia corroborati da un unicostudio di fase II randomizzato (Promice).Pertanto, ad oggi, il loro utilizzo potrebbe essere consigliato alle pazienti de-siderose di gravidanza in concomitanza al trattamento chemioterapico. Criopreservazione ovocitariaTecnica prevede la necessità di sottoporre la paziente ad una stimolazioneormonale. I protocolli di stimolazione ovarica sono finalizzati a prelevare ilmaggior numero possibile di ovociti in un arco di tempo generalmente noninferiore alle due settimane. Da ciò emergono due problemi:• necessità di avere a disposizione il tempo necessario alla crescita fol-

licolare (ritardando un trattamento antitumorale)• la stimolazione determina un notevole incremento dei livelli estrogenici

circolanti, rischiose in pazienti affette da neoplasie mammarie ormono-sensibili.

Per il congelamento ovarico, i tassi di sopravvivenza e fecondazione sonoaumentati nel tempo (surviavl rate 75% e fertilization rate 83%). Restano tut-tavia limitati i tassi di gravidanza e di nascita per ovocita crioconservato (2%e 1.9%).Pertanto la tecnica della criopreservazione dell’ovocita è da considerarsi spe-rimentale e dovrebbe essere praticata in Centri qualificati ed in possesso diadeguata esperienza clinica e scientifica e di apposita certificazione. Congelamento di tessuto ovaricoQuesta tecnica prevede l’asportazione per via laparoscopica di striscioline dicorticale ovarica che vengono poi messe a contato con crioprotettori ed espo-

ste a basse temperature. In un secondo momento, quando le condizioni cli-niche della paziente lo permettono, si procede all’autotrapianto del tessuto.Purtroppo, una grossa parte del contenuto follicolare potrebbe essere persoa causa del danno ischemico durante la fase di rivascolarizzazione del tes-suto. Inoltre per escludere la possibilità che il tessuto ovarico trapiantatopossa contenere cellule neoplastiche, esso deve essere sottoposto sempread analisi istologica ed immunoistochimica. La tecnica di congelamento ditessuto ovarico va considerata sperimentale e dovrebbe essere praticata inCentri qualificati ed in possesso di adeguata esperienza clinica e scientificae di apposita certificazione.

3.6 Appendice Articoli Legge 194/1978

Articolo 6L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può es-sere praticata: a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita

della donnab) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti

anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pe-ricolo per la salute fisica o psichica della donna.

Articolo 7I processi patologici che configurino i casi previsti dall’articolo precedentevengono accertati da un medico del servizio ostetrico-ginecologico dell’enteospedaliero in cui deve praticarsi l’intervento, che ne certifica l’esistenza. Ilmedico può avvalersi della collaborazione di specialisti. Il medico è tenuto afornire la documentazione sul caso e a comunicare la sua certificazione al di-rettore sanitario dell’ospedale per l’intervento da praticarsi immediatamente.Qualora l’interruzione della gravidanza si renda necessaria per imminentepericolo per la vita della donna, l’intervento può essere praticato anche senzalo svolgimento delle procedure previste dal comma precedente e al di fuoridelle sedi di cui all’articolo 8. In questi casi, il medico è tenuto a darne comunicazione al medico provin-ciale. Quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l’interruzionedella gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui alla lettera a) del-l’articolo 6 e il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misuraidonea a salvaguardare la vita del feto.

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella

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6. Criteri sull’appropriatezza delle dotazioni strutturali e delle expertise nel carcinoma della mammella ai fini della valutazione di accreditazione e della definizione di eccellenzaF. Cognetti

L’Unità Clinica di Senologia, nel rispetto della multidisciplinarietà e della qua-lificazione che “in primis” la definiscono, è composta da un gruppo di pro-fessionisti ben individuati (c.d. Core Team) accreditati come specialisti nelcampo del tumore della mammella in funzione di:• comprovata esperienza in materia di patologia mammaria • numero di casi trattati per anno e tempo dedicato all’assistenza per que-

sta patologia• regolare partecipazione ad incontri interdisciplinari dedicati alla pianifi-

cazione diagnostico-terapeutica dei singoli casi clinici• regolare aggiornamento professionale specifico e partecipazione ai pro-

grammi di Assicurazione di Qualità.

Criteri minimi di composizione del “Core Team”• Un Coordinatore Clinico cui compete la responsabilità organizzativa del-

l’Unità• Due o più Chirurghi dedicati, con formazione specifica e direttamente

coinvolti nella chirurgia dei tumori mammari• Un chirurgo plastico direttamente coinvolto nella chirurgia ricostruttiva

dopo intervento per tumori della mammella• Due Radiologi con comprovata esperienza nel campo della patologia

mammaria, dell’“imaging” ad essa associato e delle procedure ecogra-fiche e stereotassiche di localizzazione e prelievo bioptico. (Numero mi-nimo di mammografie refertate ≥ 1000/anno)

• Un Patologo responsabile con formazione specifica nella diagnosi isto-logica e citologica delle lesioni mammarie

• Un Oncologo Medico con specifica esperienza nel campo dei tumorimammari

• Un Radioterapista Oncologo con specifica esperienza nel campo dei tu-mori mammari

• Un Fisico Medico • Due Tecnici di Radiologia dedicati con specifica formazione ed espe-

rienza nel campo della diagnostica strumentale senologica • Due Infermiere Professionali dedicate con formazione professionale

specifica anche nell’area della comunicazione• Uno Psicologo (o preferibilmente Psico-oncologo) con specifica forma-

zione nel campo delle problematiche personali, familiari e sociali riferi-bili a donne affette da tumore della mammella

• Un Data Manager responsabile della raccolta e dell’analisidi tutti i daticlinici Tali dati dovranno essere disponibili per le sessioni periodiche diAudit Clinico

• Un Amministrativo per il supporto segretariale.Più in particolare, per l’accreditamento dei Professionisti di cui ai punti A-I,come specialisti nell’ambito della patologia mammaria (così da soddisfare glistandard richiesti ai componenti di una Unita’ Clinica di Senologia), verrannoseguiti i criteri indicati nel documento a cura dell’EUSOMA: ”Guidelines on thestandards for the training of specialised health professinals dealing with bre-ast cancer”.Professionisti che affiancano il “Core Team” ma che non ne fanno parte(c.d. Consulenti)• Un Fisiatra con particolare esperienza in tema di linfedema• Un Anestesista con specifica formazione nel settore delle metodologie

atte a contrastare il dolore.• Un Genetista/Consulente Genetico• Un Chirurgo Ortopedico con esperienza nell’ambito degli interventi sulle

metastasi ossee.• Un Neurochirurgo.L’Unità Clinica dovrà produrre percorsi diagnostico-terapeutici scritti per lagestione della malattia in tutti i suoi stadi. Periodicamente tali protocolli dovranno essere ridiscussi e ove necessariocollegialmente modificati. Il “Core Team” dovrà avere incontri settimanalimultidisciplinari per la discussione di tutti i casi clinici e incontri periodici diAudit Clinico A tal fine andranno identificati degli indicatori di processo, di ri-sultato e di qualità del servizio. L’attivita’ di ricerca e l’attivita’ didattica sono parte fondamentale della fun-zione dell’Unità Clinica ed il loro monitoraggio sarà’ oggetto di analisi nel-l’ambito delle riunioni di Audit clinico

Volume criticoAll’Unità Clinica di Senologia, per mantenere gli elevati standard che la de-finiscono e per giustificarne l’impegno economico, dovranno afferire almeno

7. Bibliografia

• Linee guida concernenti la prevenzione, la diagnosi e l’assistenza in oncologia,

contenute nell’accordo tra ministero della Sanità e le Regioni e Province auto-

nome”. Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 100 del 2 maggio 2001.

• Perry N, et al. European Guidelines for Quality Assurance in Breast Cancer Scree-

ning and diagnosis. IV Edition.

• Raccomandazione del Consiglio d’Europa 2003 e 2009

• Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001, Gazzetta

Ufficiale n. 33, Supplemento Ordinario n. 26 del 8 febbraio 2002.

• Delibera della Giunta Regionale 8 luglio 1997, n. 4236.

• Decreto del Commissario ad Acta 13 luglio 2010, n. 59 “Rete Oncologica”

• Delibera della Giunta Regionale n.557 “Approvazione del Piano Regionale della

Prevenzione 2010-12 - Quadro Strategico, individuazione del Modello Organiz-

zativo integrato territoriale e vincolo annuale ai risultati raggiunti della quota parte

del Fondo Sanitario”

• Delibera della Giunta Regionale n. 613 “Approvazione del Piano Regionale della

Prevenzione 2010-2012”

Il supporto psicologico alle donne con carcinoma mammario è mirato a fa-vorire l’adattamento alla malattia, una migliore qualità di vita ed un reinve-stimento della progettualità a lungo termine. Percorso psicologico per le pazienti con cancro della mammella nelle diversefasi di malattia:• presenza di uno psicologo adeguatamente formato nelle problematiche

personali, familiari, sociali e sessuali delle pazienti affette da carcinomamammario tra i costituenti del GIC (raccomandazione C).

• rilevazione precoce del distress psicologico della paziente nelle diversefasi della malattia (primo accesso presso la struttura, fase pre e post-operatoria, fase dei trattamenti medici, fase di follow-up, fase terminale)

ed ad ogni cambiamento nello stato di malattia (remissione, ripresa, pro-gressione), attraverso uno strumento di autovalutazione (raccomanda-zione B).

• invio allo psicologo delle pazienti a rischio (presenza di livelli di distresspsicologico superiori al cut-off) da parte degli operatori dell’equipe me-dico-sanitaria. (raccomandazione B).

• supporto psicologico o più specificatamente psicoterapeutico (indivi-duale, di gruppo, di coppia, familiare), durante tutte le fasi della malat-tia, alle pazienti ed ai familiari che ne abbisognano (raccomandazione A).

• training per il miglioramento delle abilità comunicative degli operatori(raccomandazione A).

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150 nuovi casi di tumore della mammella ogni anno di cui l’Unità stessadovrà gestire diagnosi, terapie chirurgiche , radioterapiche, mediche e fol-low-up.

Requisiti tecnologiciRadiodiagnostica• Mammografi digitali con dispositivi dedicati per eseguire approfondi-

menti diagnostici mirati• Ecografi dedicati con sonde lineari o anulari ad alta frequenza• Apparecchiature per i prelievi bioptici vuoto-assistiti (VABB)• RM con campo magnetico di almeno 1,5 T e gradienti di campo di al-

meno 20mT/m.Radioterapia• Sistemi di immobilizzazione personalizzati• TC-Simulatore• Stazione di contornamento per la definizione dei volumi di interesse e per

la fusione di immagini multimodali (TC ± RM ± PET ecc.)• Rete di trasferimento immagini tra TC e Sistema di Pianificazione del

Trattamento (TPS)• Sistema di elaborazione tridimensionale del piano di terapia completo di

modulo di pianificazione inversa (IMRT) e di sistemi per la validazione do-simetrica dei trattamenti

• Due Acceleratori Lineari dotati di: collimatore multi lamellare, dispositivoelettronico per l’acquisizione di immagini digitali del fascio di fotoni e disistema di verifica e controllo.

Organizzazione dell’Ambulatorio di Prime Visite di donne sintomatiche• Frequenza: ≥1 a settimana (in una Breast Unit il cui volume critico è di

150 nuovi casi/anno il numero di nuove visite attese è pari a 1500/annoo 30/settimana)

• Tempi di attesa: non superiori a 10 giorni lavorativi dal momento dellarichiesta

• Presenze: Chirurgo, del Radiologo, Tecnico di radiologia,Patologo, Infer-miere professionale

• Obiettivo Triplo test in un’unica seduta • Comunicazione della diagnosi: entro 5 giorni lavorativi. I tempi di attesa prima dell’intervento chirurgico non dovranno essere supe-riori a tre settimane.Requisiti di accreditamento per l’eccellenza: Tutti i requisiti elencati sono ne-cessari per accreditare una Unità Clinica di Senologia (UCS) per l’eccellenza.

Requisiti relativi alla composizione della UCS 1) I professionisti che costituiscono il Core Team della UCS devono avere

competenze riconosciute nell’ambito della diagnosi e trattamento delcarcinoma mammario.E’ necessario quindi che sia documentabile, complessivamente, per ilCore Team nel suo insieme:• una attività scientifica, con pubblicazione di almeno 10 lavori su rivi-ste scientifiche con Impact Factor superiore ad 1, negli ultimi 5 anni( sia come primo autore che come co-autore)

• un coinvolgimento, negli ultimi tre anni, in almeno 10 studi clinici inGCP in ambito mammario

Deve essere documentabile, per ogni partecipante del Core Team:• la partecipazione ad almeno due congressi/corsi/convegni regio-nali/nazionali specifici sul carcinoma mammario/anno

• la partecipazione ad almeno un congresso/corso/convegno interna-zionale/anno in oncologia.

2) Tutti i componenti del Core Team devono aver ricevuto una comprovataformazione in modalità di comunicazione.

3) I Consulenti del Core Team devono far parte della stessa struttura sani-taria nella quale opera la UCS alla quale afferiscono.

Requisiti tecnologici/strutturali• Le apparecchiature per i prelievi per esame istologico vuoto-assistiti

(VABB) e la Risonanza Magnetica (RM), con campo magnetico di almeno1,5 T e gradienti di campo di almeno 20mT/m, per lo studio mammario,debbono essere disponibili nella struttura sanitaria nella quale opera laUCS.

• E’ necessaria la presenza, nella struttura ove opera la UCS, di una La-boratorio di Biologia Molecolare per:- la valutazione del gene BRCA1-2;- per studi di ricerca traslazionale nel carcinoma mammario.

Requisiti di attività (Volume critico)Ad ogni Unità Clinica Senologica di eccellenza dovranno afferire ≥ 400 nuovicasi di carcinoma mammario/anno (tutti gli stadi) di cui l’Unità stessa dovràgestire diagnosi, terapie chirurgiche e mediche e follow-up.

Requisiti organizzativiDeve essere presente, nella stessa struttura nella quale opera la UCS, unambulatorio di Counseling genetico per le donne ad alto rischio eredo-fami-liare di carcinoma mammario. L’ambulatorio dovrà essere aperto almeno unavolta ogni 10-14 giorni. Dovrà essere presente un oncologo medico ed inconsulenza un genetista. Dovrà inoltre essere garantita la presenza di unopsicologo esperto in queste problematiche.

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma del colon-retto

Criteri di appropriatezza clinicaed organizzativa nella diagnosi,terapia e follow-up del carcinoma

del colon-retto

Coordinatore: Carlo Barone

Componenti del Gruppo di lavoro: M. Anti, L. M. Larocca, B. Barbaro, G. Nuzzo,

M. Crecco, I. Pavese, M. D’Aprile, L. Petruzziello, G.B. Doglietto, A. Romit, M. Ferri,L. Ruco, E. Fiori, R. Terzighi, G.M. Ettorre, G. Tonini, G.B. Grassi, M. Zeuli, G.L. Grazi

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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1. Prevenzione secondaria

1.1 Aspetti generaliIl carcinoma del grosso intestino è una delle principali cause di morbilità e mor-talità per tumori, in tutti i Paesi occidentali. In Europa, è il tumore più frequentenei non fumatori dei due sessi combinati. In Italia, l’incidenza stimata è di 40-45.000 nuovi casi l’anno e la mortalità di circa 20.000 persone ogni anno. Il rap-porto di mortalità tra i due sessi (M/F) per il tumore dell’intestino è cresciuto da1,2 negli anni ’50 fino ad arrivare a 1,5. Secondo i dati AIRTUM nel centro-Italial’incidenza è di 47 per 100000 e di 31 per 100000, rispettivamente per i maschie le femmine. La mortalità nel Lazio, in riduzione come nel resto d’Italia, è di 29per 100000 e 19 per 100000 rispettivamente per gli uomini e le donne.Circa il 10% dei tumori del colon hanno una base genetica o una più o menospiccata familiarità. Le principali sindromi genetiche sono la sindrome di Lyncho cancro colorettale ereditario non associato a poliposi (hereditary non-polypo-sis colorectal cancer, HNPCC) e la poliposi adenomatosa familiare (familial ade-nomatous polyposis, FAP) con la sua variante attenuata (1-3). La prima è dovutaa mutazioni costitutive nei geni di riparazione degli errori di appaiamento del DNA(mismatch repair, MMR), la seconda a mutazioni nel gene APC. Entrambe que-ste forme ereditarie si trasmettono in maniera autosomica dominante. Recente-mente, è stata identificata una particolare forma di poliposi intestinale atrasmissione recessiva, dovuta a mutazioni del gene MUTYH (4) e denominata po-liposi adenomatosa associata a MUTYH (MUTYH-associated adenomatous poly-posis, MAP). I più importanti fattori di rischio ambientale sono di tipo alimentaree sono piuttosto numerosi. Tra questi i più documentati sono: il sovrappeso, l’obe-sità e il diabete mellito; la dieta ipercalorica, povera di fibre e ricca di cereali adelevato indice calorico e carico glicemico; l’eccessivo consumo di carni rosse;l’eccessivo consumo di alcool. Tra i fattori non legati all’alimentazione, è contro-verso il ruolo del fumo di tabacco, mentre vi è accordo sul fatto che l’attività fi-sica svolga un ruolo protettivo, indipendentemente dal peso corporeo (5). Varistudi hanno rilevato associazioni dirette tra peso corporeo, in particolare rapportovita/fianchi, e tumori del colon e, in misura minore, del retto (9). Nonostante il ri-schio relativo di tali fattori sia piuttosto modesto, essi sottolineano un ruolo im-portante del medico di medicina generale nella prevenzione. Un ruolo protettivosembra essere svolto dall’assunzione di piccole dosi di acido acetilsalicilico, comequelle assunte con finalità anti-aggregante. Una revisione dei risultati ottenuti dacirca 15 studi osservazionali sul ruolo dell’aspirina ha confermato che l’assun-zione a lungo termine di questo farmaco è associato ad una riduzione del rischiodi tumore del colon-retto di circa il 20-30%. Anche altri farmaci anti-infiamma-tori non steroidei sembrerebbero avere un ruolo analogo.Per le caratteristiche della sua storia naturale, la presenza di una possibile basegenetica, la disponibilità di trattamenti efficaci e la sua frequenza, il carcinomadel colon (e del retto) è diventato argomento di particolare interesse per i pro-grammi di prevenzione ed, in particolare, per i programmi di screening. Infatti, ègeneralmente accettato che la maggior parte dei cancri colorettali deriva da ade-nomi con un anticipo di circa 10 anni. L’individuazione e l’asportazione degli ade-nomi, con conseguente interruzione della sequenza adenoma-cancro,rappresenta un’importante strategia nella prevenzione del carcinoma coloret-tale. Lo screening a cui si fa riferimento è quindi quello organizzato, rivolto al-l’intera popolazione bersaglio con l’obiettivo di ridurre la mortalità causa-specificae caratterizzato dall’equità di accesso, a differenza di quello opportunistico, cheè un approccio singolo ed individualizzato, non causa- ma cancro-specifico esostanzialmente discriminatorio in favore delle fasce di popolazione più abbientio informate. La storia clinica delle neoplasie intestinali (adenoma/carcinoma) ècaratterizzata dal sanguinamento nel lume intestinale, discontinuo e con carat-

teristiche differenti in funzione della sede e delle dimensioni della neoplasia. Ilsanguinamento occulto può essere rilevato attraverso specifici test fecali, cheper lo più fanno riferimento al metodo del guaiaco o al metodo immunologico, che– a differenza del primo – non è influenzato dalla dieta. La specificità di questotest è elevata, ma la sensibilità è relativamente bassa in particolare per gli ade-nomi o i carcinomi di piccole dimensioni o non ulcerati. L’indagine più importante nello screening del cancro del colon è quindi l’endo-scopia, rettosigmoidoscopia e colonscopia. La sensibilità degli esami endosco-pici per le neoplasie presenti nei segmenti colici esaminati è considerata moltoelevata, oltre il 90% per le lesioni ≥ 10 mm. La colonscopia virtuale è una me-todica meno invasiva dell’endoscopia con una sensibilità inferiore specialmenteper le lesioni più piccole; il principale limite risiede nella necessità di dover ri-correre comunque all’endoscopia di conferma in caso di esame positivo. La com-binazione di FOBT annuale ed endoscopia (RSS ogni 5 anni o colonscopia ogni7-10 anni) consente di ottimizzare la sensibilità dello screening.

1.2 Popolazione di riferimento dei Programmi di screening

Nei pazienti asintomatici ed a rischio intermedio si stima che lo screening debbainiziare intorno ai 50 anni; l’inizio deve essere anticipato all’età giovanile nelleforme genetiche, mentre nelle forme cosiddette familiari complesse si ritiene chedebba essere anticipato di 10 anni rispetto all’età di insorgenza nel caso indicepiù giovane. Nella regione Lazio la diffusione dei programmi di screening è amacchia di leopardo ed è quindi necessaria una maggiore sensibilizzazione siadella popolazione che dei medici di base. Inoltre è necessario adeguare le strut-ture diagnostiche all’incremento di volumi di attività endoscopica che consegui-ranno inevitabilmente alla diffusione dei programmi di screening.

Criteri di appropriatezza dei programmi di screening organizzato• Informazione dell’utenza per lettera (ripetuta)• Coinvolgimento dei medici di base• Offerta dell’esame di II livello entro 15 gg. dall’esito positivo del SOF• Organizzazione delle risorse in funzione del numero atteso di endoscopie• Individuazione della popolazione a maggior rischio• Inizio:

- Popolazione a rischio intermedio: 50 anni- Familiarità semplice (1 solo parente di I grado diagnosticato >50 aa.): 40anni- Familiarità complessa: 10 anni prima rispetto al caso indice più giovane- Sindrome di Lynch: 20-25 anni- Poliposi familiare: 10-12 anni

• Tipo di test:- Popolazione a rischio intermedio e Familiarità semplice- Sangue occulto nelle feci ogni 1-2 e rettosigmoidoscopia ogni 5-7 anni- Sangue occulto nelle feci ogni anno e colonscopia ogni 10 anni

- Familiarità complessa- Colonscopia ogni 3-5 anni

- Sindrome di Lynch- Colonscopia ogni 1-2 anni

- Poliposi familiare- Rettosigmoidoscopia ogni 2 anni sino alla comparsa di polipi, poi colon-scopie annuali sino all’intervento chirurgico

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INDICE

1. Prevenzione secondaria.1.1 Aspetti generali.1.2 Popolazione di riferimento dei programmi di screening

2. Criteri di diagnosi e stadi azione2.1 Diagnosi Clinica2.2 Diagnosi di natura2.3 Diagnosi di estensione (Stadiazione)

3. Valutazione Anatomo-patologica e di Biologia Molecolare

4. Terapia Chirurgica4.1 Terapia endoscopica4.2 Terapia chirurgica

5. Terapia Medica 5.1 Terapia Adiuvante.5.2 Terapia della malattia metastatica.5.3 Fattori predittivi

6. Terapia Integrata della malattia metastatica

7. Terapie loco-regionali

8. Terapie palliative.8.1 Sindromi Ostruttive8.2 Dolore8.3 Nutrizione8.4 Sindromi Compressive8.5 Fratture Patologiche8.6 Assistenza al paziente terminale

9. Follow-up

10. Bibliografia

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma del colon-rettoRETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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2. Criteri di diagnosi e stadiazione

2.1 Diagnosi ClinicaFra esordio dei sintomi e terapia chirurgica intercorrono in media 4 mesi per lelocalizzazioni nel colon sinistro e 7 mesi per quelle nel colon destro. La tardivitàdella diagnosi correla con la prognosi, ma i sintomi tipici delle neoplasie delcolon sono presenti nelle fasi iniziali della malattia nel 40% dei casi. Tuttavia, poi-ché si stima che ad un medico di medicina generale con 1500 assistiti si pre-sentino 1 caso di cancro del colon-retto all’anno e circa 15 casi sospetti, èimportante che tali pazienti vengano individuati e tempestivamente indirizzatialla visita ed agli accertamenti specialistici. Questo intervallo non deve superarele due settimane con l’obiettivo di giungere alla diagnosi definitiva entro unmese. In questo processo sono quindi importanti due aspetti: il riconoscimentodei sintomi e l’accesso alla diagnostica. I principali sintomi evocativi di patolo-gia neoplastica colo-rettale sono: sanguinamento rettale in pazienti di età ≥45anni e sintomi persistenti e/o di recente insorgenza potenzialmente attribuibilia patologia colo-rettale in pazienti di età ≥45 anni (dolore addominale, altera-zioni dell’alvo specialmente in senso stitico e/o delle caratteristiche delle feci,mucorrea, anemizzazione). Questi pazienti devono essere sottoposti ad un ac-curato esame obiettivo comprensivo di esplorazione digitale del retto, che puòconsentire la diagnosi del 10-15% dei tumori del grosso intestino e quindi in-dirizzati al successivo accertamento diagnostico, che di norma è l’endoscopia. In presenza di sintomi clinici o di SOF positivo la colonscopia deve essere ef-fettuata entro due settimane.

2.2 Diagnosi di naturaLa rettosigmoidoscopia in genere non è un esame appropriato per la diagnosiperché esplora solo la parte più distale del colon e perché non esclude una se-conda neoplasia a monte nel caso di identificazione di una neoplasia nel seg-mento esplorato. Per la diagnosi di tumori del grosso intestino la colonscopia èl’esame con maggior accuratezza diagnostica, sensibilità e specificità superiorial 95% per lesioni di diametro superiore a 10 mm. Il rischio di falsi negativi èinversamente correlato agli standard di qualità dell’esame, che comprendono labuona preparazione intestinale, l’accuratezza dell’esplorazione e l’esperienzadell’operatore. La colonscopia è un esame invasivo e, quando non doloroso, èsicuramente poco gradito al paziente. Per questi motivi la sedazione/analgesiaè altamente raccomandata anche al fine di consentire una maggior accuratezzadell’esame e non deve essere proposta come alternativa all’effettuazione del-l’esame in condizioni di coscienza, ma - viceversa - deve essere l’opzione prio-ritaria ed essere esclusa solo su specifica richiesta del paziente. La “sedazionecosciente” viene in genera effettuata con midazolam eventualmente associatoa petidina e richiede l’attenta sorveglianza dell’operatore e dell’infermiere. La se-dazione più profonda con propofol richiede la presenza dell’anestesista. Il mo-nitoraggio strumentale dei parametri vitali è comunque essenziale.

Criteri di appropriatezza della fase diagnostica iniziale• Riconoscimento dei sintomi di possibile patologia colo-rettale• Accurato bilancio clinico di base

- Valutazione del rischio- Esame obiettivo comprensivo di esplorazione digitale del retto

• Invio all’accertamento endoscopico- Definizione e fruibilità delle modalità di accesso- Tempistica non superiore a 2 settimane

In presenza di polipi, oltre alla diagnosi, la colonscopia consente il trattamento

delle lesioni mediante polipectomia o mucosectomia. La procedura interventi-stica incrementa il rischio di complicanze; l’incidenza complessiva di emorra-gia varia fra 0.2% e 2.5% mentre quella di perforazione oscilla fra 0.07% e0.7% per gli esami puramente diagnostici per raggiungere il 3% nelle procedureinterventistiche specialmente in presenza di condizioni favorenti come la diver-ticolosi e l’imperfetta preparazione intestinale.

Indicatori di qualità della colonscopia• Consenso informato• Appropriata gestione della terapia anticoagulante/antiaggregante• Uso della sedazione/analgesia

- Presenza dell’anestesista in caso di sedazione profonda• Preparazione intestinale adeguata (bassi volumi di soluzioni, tempistica ap-

propriata, eventuale regime in due fasi)• Adeguate procedure di disinfezione e sterilizzazione• Percentuale di intubazione ciecale• Monitoraggio strumentale dei parametri vitali• Polipectomia sincrona contestuale di polipi <2 cm• Adeguato campionamento bioptico• Percentuale di complicanze• Completezza del referto• Corretta procedura di pro cessazione dei campioni• Soddisfazione del pazienteIl clisma opaco con doppio mezzo di contrasto ha una sensibilità inferiore allacolonscopia con una accuratezza molto variabile in rapporto all’esperienza delradiologo. Richiede una accurata preparazione e, seppure raramente, presentail rischio di perforazione. Inoltre non consente la tipizzazione istologica. Per tuttiquesti motivi è una metodica diagnostica che ormai viene utilizzata molto rara-mente, per esempio nelle condizioni in cui l’accertamento diagnostico è statoeffettuato mediante rettosigmoidoscopia al fine di valutare la presenza di neo-plasie sincrone a monte del tratto esplorato endoscopicamente. La colonscopiavirtuale può essere realizzata sia mediante RMN che, più frequentemente, me-diante TC. La sensibilità è piuttosto variabile in caso di neoplasie di piccole di-mensioni, più omogenea ed intorno al 95% per le lesioni maggiori con unaaccuratezza vicina a quella dell’endoscopia. L’esame è gravato da un numeropiuttosto elevato di falsi positivi legati a residui fecali. Inoltre, come il clismaopaco, richiede il complemento endoscopico per la tipizzazione istologica. Perquesti motivi il suo ruolo è inferiore rispetto a quello dell’endoscopia nella fasediagnostica, ma la minore invasività giustifica l’incremento del suo campo diimpiego alle situazioni in cui la colonscopia presenta rischi maggiori o in cuil’accertamento istologico non sia necessario.

2.3 Diagnosi di estensione (Stadiazione)Per valutare l’estensione della neoplasia la moderna diagnostica per immaginioffre numerosi strumenti che si aggiungono agli esami radiologici più tradizio-nali come la radiografia del torace e l’ecografia epatica.Rx toraceE’ utile nella valutazione pre-operatoria in mancanza della TC del toraceEcografia epaticaE’ indispensabile nella stadiazione preoperatoria e nella sorveglianza dopo l’in-tervento. La sensibilità è piuttosto bassa nel riconoscimento delle metastasiepatiche (53-77%) e varia anche in maniera operatore-dipendente. La sommi-

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nistrazione del mezzo di contrasto consente di migliorare la sensibilità e il po-tere diagnostico (sensibilità 80%, specificità 98%). L’ecografia epatica consentel’effettuazione di ago-biopsie eco-guidate. Inoltre, ha una importante utilizza-zione (con o senza mezzo di contrasto) nel corso degli interventi di metasta-sectomia epatica consentendo l’individuazione di metastasi occulte o nonevidenziate dalla TC preoperatoria.EcoendoscopiaNella fase di stadiazione non ha un ruolo importante nei tumori del colon comequello nei tumori del retto, tuttavia mantiene una certa importanza nel ricono-scimento e nella caratterizzazione delle recidive per esempio dei tumori delsigma o del colon ascendente.TC torace e addominopelvicaE’ prevalentemente utilizzata per la valutazione dell’estensione loco- regionalee della presenza di metastasi, mentre la sua accuratezza nella fase iniziale ècontroversa. La TC multistrato consente di incrementare notevolmente la velo-cità di esecuzione e la risoluzione spaziale, tissutale e temporale. Queste ca-ratteristiche, insieme all’indipendenza dall’operatore ed alla facile confrontabilitàla rendono la metodica di imaging più utilizzata sia nella stadiazione che nellasorveglianza. La sensibilità è molto elevata per i noduli polmonari e l’accuratezzanel riconoscimento delle metastasi epatiche è considerata la migliore oggi pos-sibile per una singola metodica diagnostica.Risonanza MagneticaL’introduzione delle sequenze veloci e dei mezzi di contrasto epato-specifici hareso la RM complessivamente accurata quanto la TC multi-strato. La RM puòavere una maggiore accuratezza nella definizione dei rapporti delle metastasiepatiche con alcune strutture (grossi vasi, ecc.) nel bilancio preoperatorio dellemetastasi epatiche. Può essere più accurata della TC nella valutazione dellemetastasi in fegato steatosico.PET e PET-TCViene utilizzata per chiarire la natura di lesioni dubbie evidenziate da esami diprimo livello, oppure quando nel corso della sorveglianza si evidenzia un au-mento del marcatore. Può essere utilizzata prima di una eventuale resezioneepatica per verificare l’assenza di metastasi extra-epatiche.Scintigrafia osseaNon è indicata nella fase di stadiazione in assenza di sintomi di riferimento.

Appropriatezza delle indicazioni della diagnostica per immagini• Colonscopia

- Screening programmato/opportunistico (SOF/sintomi di allarme)- Stadiazione iniziale- Sorveglianza- Condizioni ad alto rischio (IBD, sindromi genetiche, “imaging”)- Dopo polipectomia/resezione endoscopica: 6/12 mesi, se negativa 3 anni- Dopo resezione chirurgica- Colon dx: dopo 1 e 3 anni e poi ogni 5 se negativa

- Colon sin: dopo 6 mesi e poi dopo 1, 3 e 5 anni se negativa

• Colonscopia virtuale- Stadiazione iniziale: solo in caso di colonscopia incompleta o non effet-tuabile- Bilancio post-operatorio: solo in alternativa alla colonscopia, quando noneffettuabile- Sorveglianza: come sopra

• Ecografia addome- Stadiazione iniziale- Bilancio post-operatorio- Sorveglianza e follow-up- Valutazione della risposta alla terapia

• TC multistrato- Stadiazione iniziale: opportuna, ma non indispensabile- Bilancio post-operatorio: opportuna, ma non indispensabile- Sorveglianza: in caso di presenza di metastasi, di sintomi o di aumento deimarcatori- Valutazione della risposta alla terapia

• RMN- Stadiazione iniziale: non indicata- Sorveglianza: in caso di lesioni epatiche o pelviche dubbie- Prima della resezione delle metastasi dopo chemioterapia

• PET-TC- Stadiazione iniziale: non indicata- Bilancio prima della metastasectomia- Sorveglianza: in caso di aumento non spiegato dei marcatori

Requisiti minimi per la colonscopia• Spazi dedicati per l’attesa, lo spogliatoio, la sala endoscopica, la disinfezione• Servizi igienici• Procedure per il controllo dei rischi da gas anestetici• Procedure di integrazione con l’istopatologia e la chirurgia• Sistema di registrazione delle immagini• Disponibilità di anestesista e carrello per le emergenze• Disponibilità di attrezzatura per la polipectomia

Requisiti minimi per la diagnostica per immagini• Completezza referto

- Diagnosi radiologica• Ecografia

- Sonda convex addominale• TC spirale multistrato

- Almeno 4 strati• RM

- Campo magnetico di almeno 1.5 T - Gradienti di campo di almeno 20mT/m - Bobine phased-array

Requisiti tecnologici di eccellenza per la diagnostica endoscopica e perimmagini*• Colonscopia

- Magnificazione di immagine- Procedure codificate per la sedazione cosciente- 700 colonscopie/anno- Asportazione contestuale completa dei polipi > 5 mm- Protocollo operatore/paziente dipendente di asportazione di polipi multi-pli (> 3) - Possibilità di effettuare mucosectomia e dissezione endoscopica sotto-mucosa

• TC spirale multistrato- Minimo 16 strati- Post-processing per l’analisi volumetrica e di perfusione

• RM - Bobine phased-array (>4 canali)- Disponibilità di sequenze volumetriche e DWI- Post-processing per l’analisi volumetrica, di diffusione e di perfusione- >3 Tesla

• PET-TC* Per ogni singola procedura sono essenziali tutti i requisiti)

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma del colon-retto

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3. Valutazione Anatomo-patologica e Biologia Molecolare

4.1 Terapia endoscopicaAttraverso le tecniche di polipectomia o di mucosectomia è possibile rese-care neoformazioni peduncolate, sessili o piatte in un unico frammento o,anche, in più frammenti, purchè possano essere tutti recuperati per l’esameistopatologico. Un adenoma con cancerizzazione iniziale confinata entro lamuscolaris mucosae (pTis) viene considerato come un adenoma con displa-sia con alto grado, condizione che non si configura come invasiva ed esenteda disseminazione neoplastica per la quale la resezione endoscopica è ap-propriata. L’adenoma con focolaio di cancerizzazione che supera la musco-laris mucosae ed infiltra la sottomucosa (pT1) è considerato inizialmenteinfiltrante e dotato di potenzialità metastatica. In questo caso la resezione endoscopica può essere considerata oncologi-camente sufficiente solo quando si verificano alcune condizioni: completezzadell’asportazione con margine di resezione di almeno 1 mm per i polipi pe-duncolati o infiltrazione della sottomucosa entro 1000 micron per le formesessili, grading 1-2, assenza di invasione linfatica o vascolare della sotto-mucosa. In mancanza anche di una sola di queste condizioni il paziente dovrebbe es-sere indirizzato all’intervento; è importante in questi casi la marcatura dellasede della lesione asportata endoscopicamente.

Indicatori istopatologici di appropriatezza della resezione endoscopica* • Asportazione completa della lesione (o recupero di tutti i frammenti)• Margine di resezione di almeno 1 cm• Livello di infiltrazione della sottomucosa entro 1000 micron (nelle lesioni

sessili o piatte)• Grado 1-2 di differenziazione• Assenza di invasione linfatica o vascolare della sottomucosa• Prevalenza quantitativa del tessuto adenomatoso rispetto a quello car-

cinomatoso(* Gli elementi indicati devono essere tutti presenti)

Poichè il rischio di recidiva o di malattia residua o di metastasi linfonodali èdifferente a seconda dell’indicatore mancante, in alcune situazioni cliniche

(soggetti anziani, comorbidità importante, disponibilità del paziente a sotto-porsi all’intervento chirurgico o a controllo endoscopico periodico) la deci-sione terapeutica può essere oggetto di una valutazione multidisciplinare.

4.2 ChirurgiaLa chirurgia rappresenta la principale opzione terapeutica con intento cura-tivo nelle neoplasie del colon e dovrebbe essere effettuata in tempi ragione-volmente brevi. Il tempo di attesa fra diagnosi e ricovero per l’intervento nondovrebbe superare le 4 settimane e il ricovero dovrebbe avvenire subitoprima dell’intervento. E’ quindi da favorire la preospedalizzazione al fine dieffettuare le valutazioni preliminari all’intervento. Prima dell’intervento deve essere effettuata una preparazione intestinalemeccanica, salvo nei casi di occlusione. In assenza di specifiche controindi-cazioni si raccomanda di utilizzare l’eparina a basso peso molecolare comeprofilassi della trombosi venosa profonda e dell’embolia polmonare. La pro-filassi antibiotica consente di ridurre le infezioni nel sito chirurgico; si rac-comanda l’uso prima dell’intervento di una cefalosporina di I o II generazione,da proseguire per 1-3 giorni in funzione dell’entità della contaminazione del-l’intervento. Nel caso di interventi che prevedano una stomia, è necessariaun’adeguata informazione e il sito della stomia deve essere marcato sullacute prima dell’intervento. Tutti i pazienti devono essere informati della pos-sibilità di una eventuale emotrasfusione, che deve essere effettuata quandole condizioni cliniche la rendono necessaria.La degenza post-operatoria non dovrebbe superare gli 11-15 gg.

Requisiti minimi di appropriatezza della gestione clinica del ricoveroper l’intervento chirurgico* • Durata del ricovero: <20 giorni• Preparazione intestinale meccanica• Informazione

- Foglio informativo dettagliato- Possibilità o necessità di una stomia

4. Terapia chirurgica

La diffusione negli ultimi 15 anni dei trattamenti integrati medico-chirurgici,in particolare in presenza di malattia con metastasi solo epatiche o polmo-nari o con metastasi discrete in due o tre sedi metastatiche pone all’istopa-tologo ulteriori quesiti concernenti la valutazione della risposta edell’eventuale danno da farmaci. Le principali lesioni epatiche associate alla terapia medica delle metastasiepatiche da cancro del colon sono la steatoepatite e la dilatazione sinusoi-dale che presenta molte analogie con la malattia veno-occlusiva. Tali lesioni probabilmente non influenzano significativamente la mortalità ela morbilità post-operatoria, ma in alcuni casi possono giustificare altera-zioni ematologiche (per esempio piastrinopenia) che precludono ulteriori trat-tamenti oncologici. Per quanto riguarda la risposta alla terapia medica è necessario distinguereil grado di necrosi delle metastasi e l’entità e la disposizione del tumore re-siduo. In relazione alla radicalità della resezione chirurgica delle metastasiepatiche oggi si ritiene che il margine di sicurezza debba essere almeno di0.5 cm.

Requisiti di eccellenza per l’Istopatologia• Referto dell’esame istologico standard in meno di 2 settimane*• Presenza di un Laboratorio di Biologia Molecolare nell’Unità di Istopato-

logia*• Possibilità di effettuare analisi molecolari*

- Stato mutazionale di KRAS con metodica standard*- Possibilità di utilizzare metodiche alternative per KRAS- Stato mutazionale di altri codoni di KRAS- Possibilità di analizzare altri geni del pathway di EGFR- Possibilità di effettuare altre analisi molecolari

• Validazione della valutazione di KRAS secondo indicazioni AIOM-SIAPEC*• Volume di determinazioni dello stato mutazione di KRAS: >30 all’anno*• Referto dell’analisi mutazionale di KRAS entro due settimane*• Formulazione del referto di biologia secondo indicazioni AIOM-SIAPEC* • Descrizione del metodo

- Chiarezza e completezza, evitando formule equivoche(* Requisiti essenziali)

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In linea generale dal punto di vista genetico-molecolare si distinguono dueprincipali modelli di cancerogenesi del cancro del colon. Il primo, più fre-quente, è caratterizzato da instabilità cromosomica e progredisce secondola sequenza adenoma-carcinoma, il secondo (circa il 15%) è caratterizzatoda instabilità dei micro-satelliti, conseguente a deficit del sistema di ripara-zione del DNA e della regolazione epigenetica. Negli ultimi anni è stata dimostrata l’esistenza di un terzo modello di can-cerogenesi caratterizzato da elevati livelli di metilazione del promoter di nu-merosi geni (oncosoppressori e BRAF) e da una sequenza che comprende ilcosiddetto adenoma serrato.Gli adenomi vengono classificati in base all’istotipo ed al grado di displasia.Secondo la classificazione WHO si distinguono tre tipi di adenoma: tubulare(componente tubulare >80%), villoso (componente villosa >80%), tubulo-villoso (entrambe le componenti presenti fra 20% e 80%). La displasia puòessere di basso grado e di alto grado in base alle alterazioni dell’architetturaghiandolare e citologiche.La classificazione WHO distingue i seguenti istotipi: adenocarcinoma (85%),adenocarcinomi mucoidi (10%), carcinoma con cellule ad anello con castone,carcinoma midollare, carcinoma indifferenziato, carcinoma a piccole cellule,carcinoma adenosquamoso, carcinoma squamoso. In base alle caratteristi-che delle ghiandole gli adenocarcinomi possono essere distinti in due o tregradi di differenziazione, anche se recentemente il sistema preferito è a dueclassi: basso grado (>50% del tumore produce ghiandole) o alto grado(<50% del tumore produce ghiandole). Nel carcinoma del colon vengono prese in considerazione altre caratteristi-che istopatologiche, in funzione di una possibile correlazione con il decorsoclinico e la prognosi: invasione perineurale e perivascolare, tipo di crescita,grado di infiltrazione linfocitaria, presenza di aggregati nodulari linfocitariperitumorali, numero di linfociti compenetranti le cellule neoplastiche, ec-cetera.Lo stadio è il più importante fattore prognostico nel carcinoma del colon; siraccomanda l’utilizzazione del sistema di classificazione UICC-TNM, alla cuiedizione del 2009 si rimanda. Il numero di linfonodi asportati chirurgica-mente è correlato all’estensione della resezione del mesocolon e dell’inter-vento chirurgico; si è convenuto che meno di 12 linfonodi non rappresentinouna adeguata garanzia di radicalità chirurgica anche se non esiste un valoresoglia per una stadiazione adeguata. Tuttavia, è stato dimostrato che un numero inferiore di linfonodi esaminati siassocia a una minore sopravvivenza. I casi con cellule tumorali isolate o inpiccoli aggregati di ≤0.2 mm (ITC) nei linfonodi sono classificati con pN0 siache l’identificazione avvenga mediante immunoistochimica che con meto-diche molecolari. La presenza di micro-metastasi (dimensioni comprese fra 0.2 e 2 mm) neilinfonodi può essere indicata con l’aggiunta della sigla “mi”. Nella descrizione del referto istopatologico in un carcinoma del colon de-vono essere indicati l’istotipo, il grado di differenziazione, il livello di infiltra-zione, la distanza dai margini di resezione, il numero di linfonodi esaminatie di linfonodi metastatici, la presenza o assenza di invasione vascolare.Numerose osservazioni cliniche hanno recentemente evidenziato il ruolo pre-dittivo e, forse, prognostico di alcuni pathway di segnale intracellulare e dialtri biomarcatori tissutali coinvolti nella cancerogenesi. Un ruolo consolidato nella clinica ha lo stato mutazionale di KRAS e forseanche di altri geni coinvolti nello stesso pathway di segnale intracellulare

(BRAF, PI3K, PTEN). Inoltre, sembra che, non tanto l’espressione, quanto ilnumero di copie del gene di EGFR determinato mediante FISH possa avereruolo predittivo. L’instabilità micro-satellitare, oltre a caratterizzare uno deimodelli di cancerogenesi, sembra essere non solo un fattore prognostico,ma anche un fattore predittivo sfavorevole di risposta al 5-fluorouracile nellaterapia adiuvante.Non è questo il contesto per parlare delle metodiche di determinazione ditali biomarcatori tissutali, che si distinguono anche per la diversa sensibilità.Per quanto riguarda il KRAS, che attualmente è il biomarcatore tissutale piùimportante, esistono linee-guida emanate congiuntamente dalla SIAPEC edall’AIOM a cui si deve fare riferimento. Le metodologie, comunque, richiedono strumentazioni ed “expertise” parti-colari, che non sono tuttavia sufficienti a garantire la riproducibilità del teste gli operatori devono quindi aderire a programmi di controllo reciproco diqualità.La possibilità che un laboratorio di istopatologia possa ricorrere ad analisi delDNA per l’identificazione di biomarcatori tissutali avvalora la necessità chenel consenso informato prima di ogni campionamento sia bioptico che ope-ratorio sia incluso un riferimento al tipo di esame istologico che verrà effet-tuato e alla durata della conservazione del campione tissutale.

Criteri di appropriatezza dell’Anatomia Patologica• Aderenza alla classificazione WHO

- Adenomi• Architettura, displasia, livello di infiltrazione, embolizzazione linfatica o

venosa, margine di resezione, rapporto tessuto adenomatoso/carcino-matoso, “budding” tumorale- Adenocarcinomi

• Descrizione chiara e dettagliata del referto- Descrizione macroscopica- Istotipo e grado di differenziazione- Livello di infiltrazione- Distanza dai margini di resezione- Numero di linfonodi interessati e di linfonodi metastatici- Presenza o meno di invasione vascolare

• Stadiazione secondo UICC-TNM 2009• Indicazione nel foglio informativo della possibilità che sul campione isto-

logico venga una analisi del DNA

Requisiti minimi per l’istopatologia• Presenza di una Unità di Istopatologia nella struttura dove viene effet-

tuata la procedura endoscopica o chirurgica• Possibilità di effettuare un esame istologico estemporaneo• Tempo di risposta dell’esame istologico tradizionale non superiore a 2

settimane• Completezza del referto istologico tradizionale secondo quanto indicato

nei criteri di appropriatezza• Accuratezza del referto relativo alle metastasi epatiche

- Numero e sede- Percentuale di necrosi- Studio dei margini di resezione chirurgica- Caratteristiche e disposizione del tumore residuo- Caratteristiche del fegato non interessato da tumore

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma del colon-rettoRETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma del colon-retto

giore rispetto alla chirurgia in elezione (19-20% versus 5-6%) e la soprav-vivenza a 5 anni peggiore. Si calcola che il 75% delle morti post-operatorieriguarda i pazienti operati in regime d’urgenza. Per questo ogni sforzo deveessere compiuto per ricondurre il paziente in condizioni ottimali all’interventoin elezione con un chirurgo ed una “equipe” esperta, con le ovvie eccezionidelle perforazioni e delle occlusioni con dilatazione eccessiva del cieco. In al-cune circostanze l’inserimento di una endoprotesi per via endoscopica daparte di un endoscopista esperto o un trattamento laser endoscopico puòconsentire di risolvere temporaneamente la stenosi e portare il paziente al-l’intervento in elezione. In emergenza il tipo di intervento nelle neoplasie delcolon di destra è l’emicolectomia, come nella chirurgia di elezione, mentrenelle lesioni del colon sinistro può essere considerata la possibilità di un in-tervento in due tempi con confezionamento di una stomia temporanea, masolo come scelta derivante dalla valutazione della situazione clinica, noncome conseguenza di un difetto di esperienza del chirurgo.

Requisiti Minimi di appropriatezza per la chirurgia d’urgenza• Adeguata valutazione delle reali condizioni di emergenza

- Posporre quando possibile l’intervento in elezione- Ottimizzare le condizioni cliniche prima dell’intervento

• Adeguatezza dell’intervento chirurgico- Resezione con anastomosi ileo-colica nelle lesioni di dx- Resezione del tumore nelle lesioni di sinistra

• Ricostruzione con intervento di Hartmann• Anastomosi con eventuale stomia di protezioneLa qualità della chirurgia in termini di risultati può essere valutata sulla basedi alcuni indicatori, in cui l’esperienza e l’addestramento del chirurgo da unlato e l’accuratezza dall’altro hanno un ruolo indiscutibile. La mortalità ope-ratoria varia in base alle condizioni in cui si svolge l’intervento ed al tipo diintervento. Valori accettabili dovrebbero essere contenuti entro il 5% per lachirurgia di elezione e il 20% per quella di emergenza. La percentuale di re-interventi e di recidive locali dovrebbe essere inferiore al 2% e al 10%, ri-spettivamente. La sopravvivenza a lungo termine non dovrebbe discostarsi per i diversi stadida quella dei registri nazionali. Anche se non è possibile specificare il numerominimo di interventi/anno, dati recenti indicano che la mortalità e le recidivesono più elevate per gli operatori che eseguano un numero ridotto di inter-venti all’anno e – a parità di esperienza dell’operatore – i risultati tendono adessere migliori negli ospedali che trattano un elevato numero di pazienti. Lavalutazione dell’accuratezza dell’intervento non può prescindere dalla cor-retta registrazione dei dati operatori, che è indispensabile sia ai fini epide-miologici e di ricerca, ma anche per la corretta pianificazione dei trattamentisuccessivi.Gli indicatori di qualità dovrebbero essere oggetto di analisi ai fini della de-finizione di eccellenza del singolo centro e/o dei singoli chirurghi.

Requisiti di eccellenza per la chirurgia del tumore del colon• Volume operatorio del chirurgo e del centro superiore alla media regio-

nale• Curva di apprendimento e addestramento che consentono interventi in

laparoscopia• Presenza di risorse per trattamento endoscopico delle ostruzioni neo-

plastiche• Mortalità

- Elezione <5%- Urgenza <20%

• Deiscenze <4%

• Reinterventi- <2%

• Recidive- <10%

• Sopravvivenza- In linea con i registri nazionali

Chirurgia nella malattia metastaticaNel cancro del colon la presenza di metastasi non costituisce una condizioneche preclude la possibilità di intervento chirurgico con intento di radicalità.Le sedi metastatiche che possono essere suscettibili di resezione radicalesono il fegato, il polmone, l’ovaio e – entro certi limiti – il peritoneo e i linfo-nodi addominali. E’ necessario distinguere innanzitutto se la diagnosi di malattia avanzataviene effettuata alla laparotomia o nell’ambito della valutazione pre-opera-toria. Nel primo caso appare appropriata la resezione del tumore primario oalmeno un intervento palliativo, associato o meno alla resezione della meta-stasi, se possibile. Nel secondo caso occorre distinguere differenti scenari:a) malattia che non sarà mai resecabile in maniera radicale; b) metastasiepatiche (e/o polmonari) che potrebbero diventare resecabili; c) metastasiepatiche (e/o polmonari) operabili.Nel caso di malattia plurimetastatica, mai resecabile, l’intervento chirurgicodeve essere effettuato in presenza di chiari sintomi di occlusione o di perfo-razione o emorragia in atto. In tutte le altre circostanze è necessario un at-tento bilancio clinico, ma in linea generale la priorità spetta alla terapiasistemica, mentre l’intervento – a seconda dell’evoluzione – può essere po-sposto o addirittura evitato.Nel caso di metastasi che potrebbero diventare resecabili dopo adeguatotrattamento medico, in assenza di sintomi di imminente occlusione o di per-forazione, la tempistica dell’intervento chirurgico deve essere valutata nel-l’ambito di un gruppo multidisciplinare, che comprenda – fra gli altri – ilchirurgo addominale, il chirurgo epatobiliare, l’oncologo medico, il radiologo,il radiologo interventista, l’istopatologo. In linea generale, in caso di conver-sione all’operabilità con la terapia medica, il successivo intervento chirurgicodeve consentire la resezione del tumore primario e delle metastasi epatiche(e/o polmonari), in uno o due tempi. I progressi nella chirurgia epatobiliare degli ultimi anni hanno ampliato i cri-teri di resecabilità anatomica delle metastasi epatiche; attualmente le me-tastasi epatiche vengono ritenute operabili se è possibile una resezione R0,se possono essere preservati due segmenti epatici contigui, se può essererisparmiato il 20-30% di fegato. Il limite di questi criteri di resecabilità ri-siede principalmente nell’assenza di indicatori della biologia più o meno ag-gressiva della neoplasia. Anche per questo motivo, per quanto non vi sianochiare evidenze sull’efficacia della terapia medica post-operatoria, la ten-denza generale è quella di completare il programma terapeutico con una ul-teriore terapia medica post-operatoria, utilizzando la stessa combinazionedella fase di induzione.Quando le metastasi sono resecabili, sono possibili due strategie. L’inter-vento chirurgico contestuale sul tumore primario e sulla metastasi è l’ap-proccio da privilegiare in caso di metastasi epatica singola resecabile, siaessa metacrona o anche sincrona, se l’operatore ha le competenze e l’espe-rienza adeguate per effettuare la resezione epatica. In tutti gli altri casi, èpossibile optare per una terapia medica perioperatoria o per l’intervento chi-rurgico. Nel caso in cui non venga effettuata una terapia perioperatoria, un tratta-mento medico adiuvante viene in genere consigliato, anche se le evidenzein tale direzione sono piuttosto modeste.

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

• Preparazione per eventuale stomia prima dell’intervento • Esistenza di indicazioni per la prevenzione delle complicanze

- Pazienti sottoposti a profilassi della TVP: >80%- Pazienti sottoposti ad antibiotico-profilassi: >80%

• Direttive per la sicurezza in sala operatoria• Controllo preventivo del dolore post-operatorio: >90%• Risorse per la gestione delle perdite ematiche• Possibilità di consulenza oncologica (almeno due giorni alla settimana)• Supporto

- Personale di riferimento per la gestione delle stomie- Possibilità di consulenza nutrizionale o autonomia gestionale

* I requisiti devono essere tutti presenti

Requisiti di eccellenza per la gestione clinica del ricovero per l’inter-vento chirurgico • Durata del ricovero*

- Preintervento: < 3 giorni- Post-intervento: < 15 giorni

• Linee-guida*- Profilassi della TVP e dell’EP- Antibioticoprofilassi- Uso corretto delle trasfusioni- Trattamento del dolore post-operatorio- Sicurezza in sala operatoria

• Predeposito sangue*• Team multidisciplinare costituito• Supporto

- Centro specializzato per la gestione delle stomie* Requisiti necessari

Chirurgia negli stadi pT1-4 pN0-2 M0L’obiettivo della terapia chirurgica delle neoplasie del colon è l’exeresi delsegmento di grosso intestino sede del tumore con adeguati margini liberiassociata all’asportazione completa delle rispettive stazioni linfonodali re-gionali. Ciò comporta che i tumori del colon debbano essere trattati da chi-rurghi con adeguato “training” ed esperienza e che debbano essere rispettatialcuni principi generali. Il tumore deve essere rimosso integro con margineprossimale e distale di almeno 5 cm. Il peduncolo vascolare deve essere le-gato alla sua origine; questo non rappresenta un problema per i vasi ileo co-lici, colici destri e medi nelle resezioni del colon prossimale, ma nel caso deitumori del colon distale la legatura dell’arteria mesenterica inferiore all’ori-gine, prima dell’origine della colica sin, può determinare un deficit di vasco-larizzazione del moncone colico prossimale, e deve quindi essere sezionataa 1.5-2 cm dall’origine. Il livello della sezione del peduncolo vascolare con-diziona anche il volume della linfoadenectomia, che – a sua volta – ha im-portanti implicazioni prognostiche e terapeutiche. Per quanto non vi siaunanimità di vedute, si ritiene che sia adeguato un campione di almeno 12linfonodi, anche se alcuni studi suggeriscono un incremento della sopravvi-venza con l’aumento dei linfonodi asportati. In circa il 3-5% dei casi vi puòessere un interessamento degli organi adiacenti, che devono essere resecatiin blocco in quanto la mortalità e il tasso di recidiva sono maggiori quandonon viene effettuata la resezione in blocco. Analogamente quando vi sia unaperforazione della neoplasia, spontanea o involontaria, l’intervento è consi-derato non radicale. La radicalità delle resezione deve essere confermatasia dal giudizio intraoperatorio che dal successivo esame istologico; a talfine eventuali lesioni sospette per residuo o metastasi devono essere sotto-poste a biopsia. La mortalità operatoria globale è inferiore al 4%.

Appropriatezza della tecnica chirurgica• Emicolectomia destra

- Legatura dell’arteria ileo-colica, della colica dx e del ramo dx della co-lica media

• Emicolectomia destra allargata al trasverso- Legatura dell’arteria ileo-colica, della colica dx, dei vasi colici medi

• Trasversectomia o resezione segmentaria del trasverso- Legatura del ramo superiore della colica dx e della colica media

• Emicolectomia sinistra- Legatura all’emergenza della colica sinistra oppure della mesentericainferiore a 1.5-2 cm dall’origine

• Sigmoidectomia- Legatura dell’arteria mesenterica inferiore oppure dell’emorroidariasuperiore

• Colectomia totale- In caso di tumori sincroni multipli o di tumori associati a poliposi dif-fusa

Criteri di appropriatezza della chirurgia sul tumore del colon• Margini di resezione adeguati

- 5 cm• Legatura dei vasi colici principali all’origine

- Cautela nella legatura della arteria mesenterica inferiore• Adeguata dissezione linfonodale

- 12 o più linfonodi• Resezione in blocco• Integrità del tumoreNel carcinoma del colon la chirurgia laparoscopica rappresenta una correttaalternativa ala chirurgia laparotomica, in particolare per i tumori del colon si-nistro, con risultati simili in termini di recidive e sopravvivenza a 3 anni evantaggi per quanto concerne il dolore post-operatorio, la ripresa dell’ali-mentazione e delle normali attività quotidiane. L’esperienza del centro e lacurva di apprendimento del chirurgo rappresentano tuttavia i principali limitidi questa metodica, né bisogna dimenticare che per i tumori del colon de-stro i benefici sono meno evidenti e che nella maggior parte degli studi cli-nici di confronto con la tecnica laparotomica sono stati di volta in volta esclusii pazienti obesi od occlusi, precedentemente operati, con tumori multipli o af-fioranti alla sierosa o localizzati al colon trasverso.La deiscenza dell’anastomosi è la principale fonte di morbilità operatoria, in-dipendente dalla modalità meccanica o manuale della sutura, ed è riportatanel 2-4% delle resezioni coliche con una mortalità del 20-23%.

Requisiti minimi per la chirurgia del tumore del colon• Aderenza ai criteri di appropriatezza ≥90% • Aderenza ai principi di tecnica chirurgica: 100%• Appropriato addestramento ed adeguata esperienza• Registrazione dei dati

- Descrizione dei componenti dell’équipe- ASA del paziente, classe di contaminazione dell’intervento

• Descrizione dell’intervento- Reperti- Tecnica operatoria- Valutazione della radicalità macroscopica dell’intervento

Un accenno a parte deve essere fatto per la chirurgia in regime di urgenza.Nel cancro del colon la più comune emergenza è rappresentata dall’occlu-sione (11-16% dei casi), mentre emorragia non controllabile e perforazionesono meno comuni. Nella chirurgia d’urgenza la mortalità operatoria è mag-

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La terapia medica oncologica è frequentemente utilizzata nel cancro delcolon. Gli obiettivi sono differenti nelle diverse situazioni cliniche.

Uso e Obiettivi della terapia medica oncologica nel cancro del colon• Fase post-resezione del tumore primario e/o della metastasi

- Miglioramento della sopravvivenza globale- Miglioramento dell’intervello libero da malattia

• Malattia avanzata resecabile- Prolungamento della sopravvivenza- Riduzione della mortalità cancro-specifica- Miglioramento dell’intervallo libero da malattia

• Malattia avanzata potenzialmente resecabile- Conversione alla resecabilità- Prolungamento della sopravvivenza globale- Riduzione della mortalità cancro-specifica- Controllo dei sintomi- Miglioramento della sopravvivenza libera da progressione

• Malattia avanzata non resecabile- Prolungamento della sopravvivenza globale- Controllo dei sintomi- Ritardo della progressione- Miglioramento della qualità di vita

• Malattia avanzata pretrattata- Controllo dei sintomi- Miglioramento della qualità di vita- Ritardo della progressione- Prolungamento della sopravvivenza globale

5.1 Terapia adiuvanteNumerosi studi hanno dimostrato che nei pazienti con carcinoma del colon allostadio III la terapia medica post-operatoria migliora la sopravvivenza globalee la sopravvivenza libera da malattia. Il vantaggio è maggiore con la terapiadi combinazione comprendente una fluoro-pirimidina e l’oxaliplatino (schemiFOLFOX, XELOX e FLOX). La fluoropirimidina da sola in questo stadio può es-

sere utilizzata quando vi siano controindicazioni all’uso dell’oxaliplatino per co-morbidità, fragilità, problematiche professionali, eccetera. L’età di per se noncostituisce una controindicazione all’oxaliplatino, anche se la percentuale dipazienti di età superiore a 75 anni, inseriti negli studi clinici, è molto bassa.Per quanto riguarda i pazienti allo stadio II le indicazioni sono più confuseanche perché non esistono studi clinici di dimensioni sufficientemente ampieper dimostrare un beneficio statisticamente significativo in una categoria dipazienti con una prognosi già abbastanza buona con il solo intervento chi-rurgico. Le indicazioni derivano da meta-analisi o da valutazioni retrospettivedi sotto-gruppi o da pareri di esperti. Esiste un consenso che nello stadio II laterapia adiuvante non abbia indicazione in linea generale. Vi sono tuttavia deisottogruppi, a maggior rischio di recidiva per motivi clinici, istopatologici, bio-logici, in cui la terapia post-operatoria può essere consigliabile. Le condizionidi maggior rischio sono diverse: età <50 anni, stadio pT4, esordio con occlu-sione o perforazione, basso numero di linfonodi esaminati (<12), invasionevascolare o linfatica o perineurale, stato dei micro-satelliti, eccetera. Il pesodi ognuno di questi fattori non è ben chiaro, tuttavia ognuno di essi può avereun impatto prognostico sfavorevole e, specialmente se è presente più di unfattore, il rischio di recidiva diventa uguale o superiore a quello dello stadio IIIe giustifica quindi un trattamento adiuvante. I criteri di scelta della terapiaadiuvante sono gli stessi indicati per lo stadio III. Il ruolo della chemioterapiaadiuvante nell’anziano è controverso e sembrerebbe che i regimi di combi-nazione potrebbero essere associati ad un incremento di effetti tossici. Pur nonesistendo dati certi in merito, è consigliabile una maggiore cautela nella sceltae nella effettuazione del trattamento nei soggetti molto anziani specialmentese le loro condizioni psicofisiche non sono ottimali.

Criteri di appropriatezza della terapia adiuvante• Timing di inizio: <8 settimane dall’intervento chirurgico• Aderenza a linee-guida

- Fluoropirimidina + Oxaliplatino nello stadio III e II a rischio- Fluoropirimidina da sola in caso di controindicazione all’oxaliplatino

• Durata complessiva della terapia: 5-7 mesi• Risosrse per il trattamento delle complicanze

- PS e/o degenza

5. Terapia medica

Criteri di appropriatezza della chirurgia nella malattia metastatica• Malattia plurimetastatica, definitivamente non resecabile con radicalità

- Occlusione, perforazione, emorragia in atto- Resezione del tumore primario o intervento palliativo

- Assenza di sintomi critici- Valutazione delle priorità cliniche nel gruppo multidisciplinare - Pospsosizione o esclusione dell’intervento

• Malattia metastatica, potenzialmente resecabile- Valutazione in gruppo multidisciplinare- Terapia di conversione- Intervento sul tumore primario contestuale all’intervento sulle meta-stasi epatiche

• Malattia metastatica resecabile- Valutazione in gruppo multidisciplinare- Metastasi epatica singola

- Intervento su tumore primario e metastasi- Metastasi epatiche multiple- Terapia perioperatoria o intervento chirurgico

- Metastasi polmonari- Intervento chirurgico dopo l’intervento sul tumore primario e/o me-tastasi epatica/che

La possibilità di trattare chirurgicamente le metastasi di cancro del colon ri-chiede quindi una costante interazione di molteplici competenze, diagnosti-che e terapeutiche, e la presenza di risorse aggiuntive e qualificanti, comeuna chirurgia epatobiliare e toracica dedicata, la disponibilità di una terapiaintensiva post-operatoria ed una specifica competenza oncologica. Ne derivache solo i centri che possiedano le competenze e l’organizzazione multidi-sciplinare necessarie possono essere qualificati per l’eccellenza nel tratta-mento della malattia metastatica. Si rimanda al paragrafo sulla terapia dellemetastasi epatiche per la definizione in dettaglio dei criteri di eccellenza.

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5.2 Terapia della malattia metastaticaNegli ultimi anni la prognosi del carcinoma del colon in fase metastatica, purrimanendo spesso infausta, è andata incontro a significativi miglioramenti,grazie all’introduzione di nuovi farmaci, sia citotossici che biologici, e allosviluppo della strategia terapeutica. L’incremento globale della sopravvivenzaè sostenuto dalla possibilità di effettuare più linee di trattamento con far-maci o combinazioni di farmaci che possono presentare una parziale resi-stenza crociata. Il concetto di “linee di terapia” successive, tuttavia, è piuttosto riduttivo ri-spetto alla strategia globale della continuità terapeutica che prevede unapianificazione a priori di un programma terapeutico flessibile, che oltre allerigide linee terapeutiche preveda anche fasi di terapia di mantenimento o diinterruzione programmata, ma anche la possibilità di “re-challenge” con far-maci utilizzati precedentemente. Il razionale biologico del “continuum of care” risiede nella eterogeneità deicloni neoplastici, nella loro differente sensibilità ai farmaci e nella loro di-versa velocità e cronologia di accrescimento. Nell’ottica di una rete oncolo-gica questo implica la necessità che tutti i pazienti possano accedere a centriforniti di tutte le risorse necessarie o – almeno – che esistano percorsi te-rapeutici condivisi e accessibili.I farmaci attivi nella malattia metastatica sono le fluoropirimidine, l’irinote-cano, l’oxaliplatino, gli anticorpi monoclonali anti-VEGF (bevacizumab) e anti-EGFR (cetuximab e panitumumab). In linea generale le combinazioni di farmaci sono più efficaci (ma anche piùtossiche) rispetto ai farmaci singoli e l’aggiunta di un farmaco biologico mi-gliora molti parametri di efficacia. La potenziale tossicità è una criticità datener presente in qualunque contesto si faccia ricorso alla terapia antineo-plastica, perchè non infrequentemente può essere grave o addirittura a ri-schio di mortalità. Effetti collaterali gravi possono manifestarsi con maggior frequenza nei trat-tamenti protratti e più complessi, ma anche nella terapia adiuvante o - inrari casi di deficit degli enzimi deputati al metabolismo delle fluoro-pirimidine- dopo la prima somministrazione di trattamenti teoricamente poco invasivi.La pratica della terapia antineoplastica non può essere disgiunta dalla ca-pacità di gestire i possibili eventi avversi, ma anche di farsi carico del rico-vero in caso di tossicità gravi. La numerosità delle opzioni terapeutiche, la mancanza di una ampia gammadi confronti diretti fra le diverse combinazioni terapeutiche e l’incompleta co-noscenza dei fattori predittivi e prognostici impone un accurato bilancio nonsolo dello stato della malattia, ma anche delle caratteristiche del paziente edella biologia tumorale in ogni momento decisionale. La rete oncologica deve favorire la possibilità che le analisi biomolecolari efarmacogenetiche, che sempre più stanno modificando la strategia dell’ap-proccio terapeutico, siano già disponibili per tutti i pazienti al momento incui sono necessarie e deve prevenire il rischio di scelte inappropriate o di ri-tardi terapeutici, dovuti alla mancanza dei dati biologici. Alcuni di questi elementi sono ormai entrati nella pratica terapeutica cor-rente, ma la ricerca in questo campo è molto attiva e promettente.Senza entrare nello specifico, si possono fare alcune affermazioni di carat-tere generale che sono alla base dell’appropriatezza delle scelte terapeuti-che:• i bisogni del paziente e gli obiettivi razionalmente raggiungibili devono

essere alla base delle decisioni cliniche• la posticipazione del trattamento alla comparsa dei sintomi non è van-

taggiosa• nonostante la politerapia sia superiore rispetto alla monoterapia, esi-

stono situazioni cliniche (malattia multimetastica indolente, pazienti an-

ziani fragili, malattia indolente asintomatica, ecc.), peraltro non semprefacilmente identificabili, in cui la monoterapia sequenziale può ancoraessere considerata. Non vi sono, però, preclusioni di principio per quanto riguarda la terapiadi combinazione nei confronti dei pazienti anziani in buone condizionipsico-fisiche

• le fluoro-pirimidine orali, in particolare la capecitabina, possono sostituireil 5-fluorouracile per via endovenosa sia in monoterapia che nelle com-binazioni, ad eccezione – probabilmente – della combinazione con iri-notecano, che spesso è associata ad un incremento di effetti collaterali

• la combinazione di tutti e tre i farmaci citotossici (5-fluorouracile, irino-tecano e oxaliplatino) è più efficace rispetto alla combinazione di duefarmaci, ma si associa ad un moderato incremento di tossicità

• prima dell’inizio del trattamento devono essere disponibili tutte le infor-mazioni cliniche, istopatologiche e biologiche necessarie

• l’aggiunta di bevacizumab alla chemioterapia migliora i risultati in ma-niera più o meno clinicamente significativa sia in prima linea che, limi-tatamente alle combinazioni con oxaliplatino, anche in seconda linea.

• l’aggiunta di Cetuximab ad una doppietta di farmaci citotossici miglioral’efficacia nei pazienti con K-RAS wild-type

• gli anticorpi monoclonali anti-EGFR possono essere efficaci anche dasoli nei pazienti K-RAS wild type in qualunque linea di trattamento

• i dati disponibili escludono la possibilità di utilizzare contemporanea-mente il bevacizumab ed un anticorpo anti-EGFR

• la scelta del trattamento deve in ogni momento ed in ogni situazionetener conto degli obiettivi che si possono raggiungere nel singolo pa-ziente e delle caratteristiche e disposizione caratteriale del pazientestesso: conversione alla resecabilità, prolungamento della sopravvivenza,controllo dei sintomi, eccetera

• esistono molte osservazioni che convergono a suggerire che possa es-sere utile, almeno in termini di qualità di vita, intercalare trattamenti piùintensi a trattamenti meno intensi o anche effettuare interruzioni pro-grammate di un trattamento anche quando si stia dimostrando efficace.

• nei pazienti, che - nonostante la progressione di malattia dopo il primotrattamento - mantengono buone condizioni generali, deve essere presain considerazione una terapia di seconda lineaIn un buon numero di casi può anche essere ipotizzato un trattamentodi terza linea.

La complessità e la costante evoluzione delle scelte terapeutiche implica lanecessità di un continuo aggiornamento del bagaglio culturale.

Sintesi dei principali criteri di appropriatezza nella terapia della ma-lattia avanzata• Centralità del paziente e dei suoi bisogni• Possibilità di impianto e corretta gestione del CVC• Applicazione delle linee-guida derivanti dagli studi clinici• Discostamento rilevante dalle linee-guida solo per consistenti motiva-

zioni cliniche• Disponibilità o facilità di accesso alle indagini biologiche e farmaco-ge-

netiche necessarie • Capacità di gestione di trattamenti complessi• Trattamento appropriato dei pazienti fragili• Possibilità di gestione degli eventi avversi e delle complicanze

- PS e/o degenza• Effettuazione di seconde e terze linee di trattamento nei pazienti idonei• Partecipazione a studi clinici tesi a migliorare o a innovare la pratica cli-

nica

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma del colon-retto

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Come si è detto, la terapia chirurgica può essere proponibile anche nella ma-lattia metastatica. Per quanto riguarda le metastasi resecabili esiste un solostudio che ha dimostrato che la terapia medica peri-operatoria con la com-binazione FOLFOX possa migliorare la sopravvivenza nei pazienti sottopostia resezione delle metastasi epatiche. Nonostante ciò, esiste un generaleorientamento sul fatto che sia preferibile sottoporre direttamente all’inter-vento le metastasi epatiche singole operabili. Come si è detto, la chirurgia delle metastasi epatiche deve essere effettuatasolo da chirurghi esperti e dedicati. Questo implica che le metastasi sincrone operabili potrebbero anche esserenon sottoposte ad immediata resezione se il chirurgo addominale non ha leadeguata competenza. Non ci sono dati sul ruolo dei farmaci biologici in questo contesto, né sullaterapia peri-operatoria nei pazienti con metastasi resecabili in altre sedi di-verse dal fegato. La possibilità di integrare la resezione radicale delle meta-stasi operabili con una terapia medica post-operatoria non è supportata daevidenze chiare, tuttavia viene in genere consigliata; in questo caso il re-gime più appropriato è la combinazione FOLFOX o anche una fluoro-pirimi-dina da sola, qualora vi fossero controindicazioni all’uso dell’oxaliplatino.Le più importanti acquisizioni nella terapia integrata della malattia metasta-tica riguardano la possibilità che la terapia medica renda operabili metastasiepatiche (e – limitatamente ad alcune condizioni – anche extra-epatica) inprecedenza non operabili (“terapia di conversione”). I criteri di operabilità si sono molto modificati negli ultimi anni grazie al pro-gresso delle tecniche chirurgiche ed attualmente non si basano tanto sulledimensioni e la sede delle metastasi, ma sulla quantità minima di fegato re-siduo che consenta una adeguata funzione dell’organo; un limite di questoapproccio risiede nella mancanza di criteri biologici che consentano una stra-tificazione anche sulla base dell’aggressività della neoplasia. Sia le doppietteche le triplette di farmaci citotossici sono in grado di rendere resecabili me-tastasi epatiche inizialmente non resecabili. Molte osservazioni suggeriscono che l’aggiunta dei farmaci biologici può mi-gliorare la percentuale di resecabilità, implementando il tasso e l’entità dellarisposta obiettiva. Ciò è vero in particolare per le combinazioni comprendenti

l’anticorpo anti-EGFR cetuximab nei pazienti K-RAS wild type. Osservazioni analoghe esistono anche con le combinazioni comprendentil’anticorpo anti-VEGF bevacizumab, ma in questo caso la somministrazionedell’anti-angiogenetico deve essere interrotta almeno 5 settimane prima dellaresezione epatica. La resezione R0 rappresenta il parametro che correla maggiormente con ilprolungamento della sopravvivenza, ma anche i pazienti con resezione R1sembrano avere una sopravvivenza superiore ai pazienti non sottoposti a re-sezione. Un aspetto della terapia di conversione spesso ritenuto critico concerne la du-rata della terapia pre-operatoria, sia per il rischio di tossicità epatica che ilrischio di risposta clinica completa che renderebbe difficile l’identificazionedella sede da sottoporre a resezione. In realtà, entrambi questi rischi sonoforse sopravvalutati perché studi recenti hanno evidenziato che non c’è unincremento del rischio operatorio dopo terapia di conversione nella popola-zione generale, ma solo nei soggetti con “body mass index” elevato, cheprobabilmente hanno una condizione pre-esistente di steato-epatite. Tutta-via, non sono ancora quantizzabili gli eventuali danni a distanza nei soggettilungo-sopravviventi. D’altra parte il rischio di non riuscire a identificare le sedi da resecare in casodi risposta clinica completa è realmente piuttosto contenuto perchè con glistrumenti di indagine pre- ed intra-operatoria (ecografia intra-operatoria) di-sponibili non è impossibile identificare le sedi da sottoporre a resezioneanche in caso di risposta completa. Tenendo conto dell’insieme di questeconsiderazioni, allo stato attuale tuttavia si suggerisce di proseguire la tera-pia di conversione per il tempo minimo necessario a rendere le metastasioperabili.Nella terapia di conversione, partendo dal presupposto che la riduzione deltumore con la terapia medica sia una dimostrazione di chemio-sensibilità“in-vivo”, viene effettuato un trattamento post-operatorio con la stessa com-binazione utilizzata precedentemente. In realtà, non è detto che questo sia completamente vero dal punto di vistabiologico se si pensa alla eterogeneità del tumore, tuttavia negli studi sinoraeffettuati questa strategia è sempre stata rispettata raggiungendo un totale

6. Terapia integrata della malattia metastatica Le terapie loco-regionali hanno come obiettivo il controllo locale della ma-lattia e, pertanto, hanno in linea generale un ruolo sostanzialmente palliativonella malattia multi metastatica, ma possono rappresentare una opzione utilenelle metastasi epatiche e/o polmonari a complemento o integrazione deltrattamento sistemico e chirurgico. La termoablazione mediante radiofre-quenze consente di produrre una necrosi coagulativa di metastasi non su-periori a 3 cm. Allo stato attuale non può essere considerata equivalente allachirurgica nelle metastasi epatiche o polmonari resecabili e quindi non è unaalternativa di pari efficacia, anzi in alcune circostanze può rendere più com-plesso il successivo intervento chirurgico. Può tuttavia essere utilizzata acompletamento di un intervento con residuo di malattia macroscopica oquando l’intervento chirurgico non sia fattibile. Le criticità sono rappresen-tate dalle dimensioni, dalla sede della metastasi e dalla sua accessibilità.Nonostante la percentuale di risposte cliniche ottenute con la chemio-tera-pia intra-arteriosa epatica sia risultata a volte superiore rispetto alla terapiasistemica, non vi è allo stato attuale una chiara evidenza di superiorità diquesto approccio nel trattamento integrato delle metastasi epatiche. Perl’elevata attività locale, tuttavia, in alcune circostanze potrebbe essere presain considerazione in casi selezionati in associazione agli altri trattamenti onell’ambito di studi clinici in centri con adeguato addestramento. Le criticitàsono legate all’effetto di “primo passaggio”, alla necessità di un catetereintra-arterioso e di pompe infusionali dedicate e ai possibili effetti tossiciloco regionali. La radioterapia interstiziale con ittrio o con altri isotopi dellemetastasi epatiche multiple non suscettibili di altri trattamenti comincia a

diffondersi in alcuni centri selezionati. Non sono tuttavia disponibili studi sularga scala e non è noto l’impatto sulla sopravvivenza globale, mentre nonsono da sottovalutare i rischi. Pertanto il suo impiego deve essere riservatoa studi clinici ed a pazienti accuratamente selezionati. La criticità principaleè il rischio di insufficienza epatica che non deve essere sottovalutato in pa-zienti con diffuso interessamento epatico e pluritrattati. La radioterapiaesterna è efficace e deve essere considerata come trattamento palliativodelle metastasi ossee o cerebrali e citoriduttivo di recidive pelviche.

Appropriatezza delle terapie loco-regionali• Termo-ablazione mediante radiofrequenze

- Residuo macroscopico dopo intervento chirurgico di metastasectomiaepatica- Trattamento di metastasi epatiche o polmonari per le quali l’interventonon è indicato

• Chemioterapia intra-arteriosa- Casi selezionati in associazione ad altri trattamenti (sistemico o chi-rurgico)- Studi clinici

• Radioterapia interstiziale- Metastasi epatiche multiple non suscettibili di altri trattamenti

• Radioterapia esterna- Trattamento palliativo: metastasi ossee e cerebrali- Trattamento citoriduttivo: metastasi pelviche

7. Terapie loco-regionali

Nei tumori metastatici del colon la terapia palliativa si sviluppa lungo tutto ildecorso della malattia e riguarda il trattamento delle complicanze e degli ef-fetti collaterali delle altre terapie, ma ha ruolo preminente nella fase termi-nale in particolare quando i sintomi della malattia costituiscono di per semalattie che necessitano di cura. Sono quindi importanti i seguenti aspetti:a) Competenza personale nel trattamento degli effetti tossici delle terapie

oncologicheb) Competenza nella gestione delle principali sindromi cliniche terminali

(dolore, sindromi ostruttive, iponutrizione e sindromi discrasiche, sin-dromi compressive, sindromi neurologiche)

c) Interazione strutturata con specialisti di riferimentod) Coordinamento con unità per le cure palliative del paziente terminale.

8. Terapia palliativa

5.3 Fattori predittiviIl progresso delle conoscenze biologiche e la disponibilità di farmaci biolo-gici con un bersaglio molecolare più o meno rilevante nel processo cance-rogenetico ha aperto un nuovo vasto campo di ricerca volto a identificarefattori misurabili in grado di consentire la selezione dei pazienti potenzial-mente responsivi. Parallelamente si sta sviluppando anche la ricerca di fat-tori in grado di predire la prognosi, che non ha un impatto immediato sullascelta terapeutica, ma può consentire di identificare futuri bersagli terapeu-tici e, comunque, ha un impatto sulla strategia terapeutica generale.Lo stato mutazionale del K-RAS è il fattore predittivo di resistenza agli anti-corpi anti-EGFR sinora identificato, che ha la maggiore importanza nella te-rapia. Oltre al K-RAS altri fattori molecolari sono in corso di valutazionenell’ambito dello stesso “pathway” di EGFR e almeno uno di questi, il B-RAF,sembrerebbe poter svolgere un ruolo prognostico. Al di fuori di tale “pa-thway” sono oggetto di studio intenso lo stato dei micro-satelliti e lo statomutazionale di geni coinvolti nell’angiogenesi, senza dimenticare che varia-

zioni dell’espressione genetica di una serie enzimi coinvolti nel metabolismodei farmaci utilizzati nel trattamento del carcinoma del colon possono avereuna estrema rilevanza sia nella risposta che nella tossicità. Questo vale inparticolare per la DPD che è correlata alla tossicità delle fluoro pirimidine, manon è ancora entrata nell’uso corrente.Nell’ottica della rete oncologica almeno lo stato mutazionale del K-RAS deveessere disponibile al momento in cui è necessario e cioè, allo stato attualedelle conoscenze, al momento del trattamento della malattia avanzata. Inuna corretta valutazione costo-benefici probabilmente non è appropriato ef-fettuare tale test in tutti i pazienti, ma deve essere effettuato in tutti i pa-zienti con malattia metastatica e, probabilmente, in tutti i pazientiradicalmente operati, ma a rischio più elevato di recidiva. Inoltre, l’accessoai centri di riferimento in grado di effettuare questa, come altre determina-zioni biologiche potenzialmente utili, deve essere garantito a tutti i pazientie quindi devono essere previste le modalità di accesso a tali centri e le re-lative facilitazioni.

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di 6-8 mesi di trattamento medico comprendendo sia la fase pre- che post-operatoria. Certamente l’aspetto più cruciale e indispensabile della terapia in-tegrata della malattia metastatica è la presenza di un “team”multidisciplinare che comprenda almeno chirurgo/i dedicato/i, oncologo, ra-diologo e, all’occorrenza, altre figura professionali come il radiologo inter-ventista, il radioterapista, lo psicologo.

Criteri di appropriatezza della terapia integrata della malattia meta-statica• Valutazione multidisciplinare• Equipé chirurgica dedicata Possibilità di gestire eventi avveersi• Terapia intensiva post-operatoria• Terapia di conversione

- Doppietta o tripletta di farmaci citotossici- Possibile utilizzazione dei farmaci biologici

• Terapia peri-operatoria- Doppietta di farmaci citotossici- Biologici solo nell’ambito di studi clinici

• Terapia adiuvante- Stessa combinazione della terapia preoperatoria- Doppietta o fluoro pirimidina nelle resezioni senza terapia pre-opera-toria

• Tempestività dell’intervento- Rischio di epatotossicità (specialmente nei pazienti con BMI elevato)- Rischio di sottovalutazione delle metastasi

• Durata totale della terapia medica 6-8 mesi

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma del colon-retto

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La sorveglianza endoscopica dopo la polipectomia ha un indubbio impattosulla mortalità cancro-specifica, visto l’aumentato rischio di nuovi polipi o diadenocarcinomi. Per quanto riguarda i pazienti sottoposti a resezione chirurgica solo negli ul-timi anni è stato dimostrato il beneficio di adeguato programma di sorve-glianza con una riduzione del rischio di morte del 20-33% ed un beneficioassoluto intorno al 10%. Non esistono tuttavia indicazioni certe relativamente al tipo di esami da ef-fettuare e alla durata della sorveglianza stessa, ma è stato evidenziato chela maggior parte delle recidive si verifica nei primi 3 anni dopo l’interventochirurgico.I recenti progressi nella terapia integrata della malattia metastatica e la pos-sibilità di migliorare i risultati della terapia farmacologica con il trattamentoprecoce rendono sempre più importante la corretta gestione della sorve-glianza. Una pianificazione di media intensità, inoltre, è in genere ben accetta dal pa-ziente. I centri coinvolti nella diagnosi e nel trattamento dei tumori del colondevono quindi disporre delle risorse idonee per gestire un programma di sor-veglianza che sia sufficientemente aderente alle indicazioni condivise o sug-gerite dalle poche linee-guida disponibili. Per semplificare possiamo distinguere il programma di follow-up in 3 di-verse condizioni: a) dopo polipectomiab) dopo resezione di tumori in fase precoce (pT1N0M0)c) dopo resezione di tumori allo stadio II-III.

Programma di sorveglianza negli adenomi ed adenocarcinomi del colon• Dopo polipectomia

- Adenoma singolo: pan-colonscopia a 5 anni- Adenomi multipli: pan-colonscopia a 1 e 3 anni; se negative ogni 5anni successivamente- Polipo maligno: pan-colonscopia a 1 e 3 anni; se negative ogni 5 annisuccessivamente

• Dopo resezione di adenocarcinomi in fase precoce (pT1N0M0)- Visita clinica: dopo 3 mesi, 1 anno, 3 anni- Colonscopia: a 1 e 3 anni e poi ogni 5 anni- CEA: dopo 3 mesi, 6 mesi, 1 anno, 2 anni, 3 anni- Ecografia epatica: dopo 1 anno

• Dopo resezione di adenocarcinomi allo stadio II-III- Visita clinica - Ogni 3-6 mesi nei primi 3 anni- Ogni 6 mesi nel 4° e 5° anno; successivamente a discrezione

- CEA: Entro due mesi in caso di CEA pre-operatorio elevato- Ogni 3 mesi nei primi 3 anni per tutti i pazienti- Ogni 6 mesi nel 4° e 5° anno

- Colonscopia- Entro 6 mesi nei pazienti senza studio preoperatorio completo- Entro 6-12 mesi in tutti i pazienti- Dopo 3 e 5 anni

- TC torace+addome con contrasto- Ogni 6-12 mesi per i primi 3 anni

- Ecografia epatica- Ogni 6 mesi nei primi 3 anni (intervallata alla TC)

Non vi sono evidenze a favore dell’utilizzazione routinaria della radiografia deltorace o di particolari esami ematochimici (al di fuori di altre indicazioni) neiprogrammi di sorveglianza.

9. Follow-up

8.1 Sindromi ostruttiveLe più sindromi ostruttive nel carcinoma del colon riguardano l’apparatogastrointestinale, il sistema biliare e l’apparato urinario. I moderni presidi di drenaggio biliare, urinario e peritoneale, degli “stent” in-testinali, biliari ed urinari hanno un evidente effetto sulla qualità di vita deipazienti. Non è stato mai quantizzato il loro effetto sulla sopravvivenza, ma sicura-mente una quota almeno dell’incremento della sopravvivenza nel carcinomadel colon è da attribuire ad essi se non altro perché la risoluzione di unaostruzione biliare o urinaria può consentire l’effettuazione di una terapiaoncologica che altrimenti sarebbe preclusa. Pertanto l’accesso a tali presidiè un diritto di tutti i pazienti.

8.2 DoloreIl dolore è una delle esperienze più devastanti in oncologia. Pertanto gli on-cologi devono avere un addestramento in terapia del dolore; in alternativain tutti i centri deve esserci un consulente dedicato. Nei centri qualificatideve essere inoltre presente la possibilità di trattamenti invasivi del dolore,a cui possano riferirsi anche i centri periferici. A volte la gestione ottimale del dolore richiede competenze multidiscipli-nari che comprendono l’oncologo medico, il radioterapista, l’anestesista oil neurochirurgo e lo psicologo.

8.3 Nutrizione La maggior parte dei pazienti sperimentano deficit nutrizionali nel corsodella malattia, specialmente nelle fasi terminali. L’aspetto nutrizionale è cruciale nelle fasi chirurgiche, ma è altrettanto im-portante nelle fasi avanzate e terminali. Nel primo caso è necessario mantenere un bilancio calorico adeguato perevitare un eccesso di complicanze. Nel secondo caso è importante cercare garantire il livello di idratazione e dinutrizione che prevenga l’insorgenza di ulteriori complicanze. Sono necessarie competenze in ambito nutrizionale sia da parte del chi-rurgo che dell’oncologo o - in alternativa - la possibilità di usufruire di unaconsulenza nutrizionale. ma in alcuni casi. Questo può avvenire nelle fasi chirurgiche. Anche per questo aspetto è necessario che gli oncologi abbiano compe-tenze di base per la gestione dei problemi nutrizionali.

8.4 Sindromi compressiveLe principali sindromi compressive sono la sindrome da compressione me-diastinica e la sindrome da compressione midollare. Si tratta spesso di eventi che intercorrono nella fase terminale della malat-tia, ma che comunque impattano negativamente sulla qualità di vita. Anche la gestione di questi eventi richiede da un lato un certo grado di pre-parazione dell’oncologo, il coordinamento con gli specialisti di riferimentoin qualità di consulenti interni o esterni, la valutazione multidisciplinare.

8.5 Fratture patologicheLe fratture patologiche sono eventi che richiedono sia il trattamento del do-lore che di eventuali danni neurologici. Oltre all’oncologo possono svolgere un ruolo il radiologo, il radioterapista, ilchirurgo vertebrale o il neurochirurgo, eccetera.

L’approccio anche in questo caso è multidisciplinare, per cui diventa es-senziale la disponibilità delle comptenze necessarie o la istituzionalizza-zione della possibilità di riferire questi pazienti in centri adeguati.

8.6 Assistenza al paziente terminaleSenza entrare nel merito della definizione di terminalità e delle decisionigestionali burocratiche che ne derivano, è certo che nei tumori in fase avan-zata prima o poi i presidi terapeutici specifici si esauriscono e tutti i pa-zienti entrano in una fase più o meno lunga in cui gli obiettivi terapeuticisono il controllo dei sintomi e la preservazione della qualità di vita. E’ importante comprendere che, nell’ambito di una neoplasia solida meta-statica, l’esaurimento delle terapie oncologiche non significa “fine” dellecure, ma passaggio ad un tipo diverso di cura; in altri termini, in questa fasedella malattia le cure palliative e di supporto non sono “assenza” di cura, mala miglior cura proponibile. Proprio per attenuare la sensazione di “cesura” fra un trattamento e l’altroè auspicabile che le cure palliative siano in qualche maniera simultaneealle terapie oncologiche. La cura del paziente terminale è spesso affidata ad equipe costituite da me-dici diversi da quelli che hanno tenuto in cura il paziente nella fase “attiva”di trattamento oncologico e l’organizzazione stessa della presa in carico delpaziente terminale prevede modelli organizzativi differenti, assistenza do-miciliare e hospice, da quelli a cui il paziente era abituato, ambulatorio, DH,degenza ospedaliera. Pertanto sarebbe auspicabile un coinvolgimento delle equipé oncologichenelle cure terminali e, viceversa, un coinvolgimento delle equipé palliativeprima che il paziente sia dichiarato non più suscettibile di terapie attive. Con l’attuale organizzazione questo obiettivo è difficilmente realizzabile, mala possibilità di interazione precoce deve essere considerato un indicatoredi qualità assistenziale; in questa ottica sarebbe auspicabile che ogni cen-tro avesse sempre gli stessi referenti, anche territoriali, per le cure nellafase terminale al fine di poter realizzare modelli di interazione ottimali.

Appropriatezza delle terapie palliative• Disponibilità delle risorse per il trattamento delle complicanze

- Degenza e/o PS• Competenze e formazione in terapia del dolore e terapia nutrizionale• Adeguate risorse per la gestione delle sindromi ostruttive e compres-

sive• Accesso a terapie invasive del dolore• Adeguate risorse per il trattamento delle fratture patologiche• Regolare interazione con associazioni deputate alla cura del paziente

terminale- Concetto di simultaneità delle cure- Accesso all’assistenza domiciliare- Accesso all’hospice

Requisiti minimi per la terapia medica• Indicatori di attività

- Numero minimo di prime visite: 3-4 al mese- Numero minimo di posti di DH/ambulatorio: 2- Numero minimo di terapie al giorno: 4

• Indicatori di qualità- Disponibilità della cappa per la preparazione di farmaci- Tempo massimo di attesa per la I visita: 20 giorni- Tempo massimo per il completamento della stadiazione: 6 settimane

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- Tempo massimo di attesa per l’inizio della terapia dopo la decisioneterapeutica: 2 settimane- Possibilità di confronto interdisciplinare- Possibilità di impianto di CVC

• Indicatori di multidisciplinarietà- Competenze autonome di terapia del dolore o consulenza almeno 2volte alla settimana- Competenze autonome di terapia nutrizionale o consulenza almeno 1volta alla settimana- Disponibilità di consulenza psicologica almeno 2 volte alla settimana

• Aggiornamento- Partecipazione almeno a 2 Congressi nazionali o regionali all’anno- Almeno 2 abstract a congressi nazionali all’anno- Partecipazione almeno ad uno studio clinico all’anno

Requisiti di eccellenza per la terapia medica• Indicatori di attività*

- Numero di prime visite ≥8 al mese- Numero di posti di DH/Ambulatorio ≥ 8- Numero di letti di degenza dedicati ≥ 8

• Indicatori di qualità- Presenza di una unità per la preparazione dei farmaci*

- Ambulatorio dedicato per le terapie orali*- Tempo massimo di attesa per la prima visita: 10 giorni*- Tempo massimo per la stadiazione: 3 settimane*- Attesa per l’inizio della terapia dopo la decisione terapeutica: 10 giorni*- Numero di secondi pareri: ≥2 al mese- Presenza di radiologia interventistica*

• Indicatori di multidisciplinarietà- Team strutturato multidisciplinare*- Presenza di specialisti in terapia del dolore*- Presenza di specialisti in nutrizione clinica*- Presenza di consulenza psicologica*- Autonomia di impianto e gestione dei CVC*- Risorse per la gestione delle emergenze e delle complicanze*- Organizzazione strutturata per le cure palliative*

• Possibilità di gestione condivisa della malattia terminale• Aggiornamento

- Partecipazione almeno a 1 Congresso internazionale e 2 nazionali al-l’anno*- Almeno 6 abstract in congressi internazionali o nazionali all’anno- Almeno 1 pubblicazione su riviste con IF all’anno*- Partecipazione ad almeno 3 studi clinici all’anno*

* Requisiti essenziali

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma del colon-retto

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Pagina 133

• Autori vari. Linee-Guida dell’Oncologia Italiana. Tecnografica Edizioni, 2009.

• Autori vari. Basi scientifiche per la definizione di linee-guida in ambito clinico per

i Tumori del Colon-Retto e dell’Ano. Alleanza contro il cancro 2009. www.allean-

zacontroilcancro.it.

• Autori vari. Quaderni di Appropriatezza del Ministero della Salute. Criteri di ap-

propriatezza diagnostico-terapeutica in oncologia. Poligrafico dello Stato, Roma

2010.

• NCCN Clinical Practice Guidelines in Oncology, 2011

• Labianca R, Nordlinger B, Beretta GD, et al. Primary colon cancer: ESMO Clini-

cal Practice Guidelines for diagnosis, adjuvant treatment and follow-up. Ann Oncol

2010, 21 (suppl 21): v70-v77.

• Autori vari. Prevenzione e Diagnosi precoce dei Tumori del Colon Retto. Modello

organizzativo e protocollo diagnostico-terapeutico dei programmi di screening

nella regione Lazio. Laziosanità - ASP. Roma 2011.

10. Bibliografia

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Coordinatore: Giulio Maira

C.M. Carapella, C. Colosimo, U. De Paula, A. Fabi, F. Giangaspero, A. Pace, A. Turriziani

Con la collaborazione di:M. Antonelli, M. Balducci, G. Colicchio, G. Lanzetta, A. Mangiola, G. Mansueto, G. Minniti,

A. Mirri, G. Moscati, I. Penco, M. Salvati, A. Scopa

Versione finale, 15 maggio 2011

Criteri di appropriatezza clinicaed organizzativa nella diagnosi,

terapia e follow-up delle neoplasiedel retto

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie del retto

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1. Definizione anatomico-chirurgica del retto

Il carcinoma del colon-retto (CCR) è per frequenza la seconda causa di morteper cancro nel mondo (1 milione di nuovi casi), dopo il tumore del polmonenell’uomo e della mammella nella donna. In Italia si registrano 20.457 nuovicasi fra i maschi e 17.276 quelli fra le femmine, in media 77-78 personeogni 100.000 abitanti. In 9 casi su 10 colpisce dopo i 50 anni. Il tasso d’in-cidenza per i maschi è 64,2 (il 4° in Europa), per le donne 52,5 (il 9° - tra ipiù bassi - in Europa) su 100.000 abitanti. I tassi di incidenza e mortalità piùelevati si registrano nell’Italia centro-settentrionale, quelli più bassi nel me-ridione e nelle isole. Negli ultimi 15 anni, in Italia, come in gran parte del-l’Europa, si è assistito ad una diminuzione d’incidenza di oltre il 20%. Per quanto riguarda il quadro epidemiologico approssimabile a quello delLazio ci si può riferire ai tassi standardizzati di incidenza per cancro del colone del retto, provenienti dalla base dati AIRTUM, che raccoglie i dati reali deiRegistri Tumori italiani suddivisi per macroarea geografica. Per il Centro-Ita-lia si registrano i seguenti valori: 47 per 100.000 (cancro del colon, maschi);31 per 100.000 (cancro del colon, femmine); 21.9 per 100.000 (cancro delretto, maschi); 12.1 per 100.000 (cancro del retto, femmine). Per quanto ri-guarda la sopravvivenza a 5 anni (relativa a casi incidenti negli anni 1995-1999) essa si colloca fra il 58 e il 60% per entrambi i tipi di tumore e inambedue i generi. Infine, per quanto concerne la mortalità per cancro del colon-retto sono di-sponibili stime recenti ottenute da modelli previsionali, che per il Lazio cor-rispondono a valori di circa 29 per 100.000 nei maschi e di circa 19 per100.000 nelle femmine. Anche nel Lazio come nel resto d’Italia la mortalità

è in diminuzione. I Programmi organizzati di screening per il CCR rappre-sentano un livello essenziale di assistenza e sono rivolti alla popolazione ge-nerale a partire dai 50 anni di età. L’età di inizio della sorveglianza attiva puòessere minore per soggetti con poliposi ad elevato rischio familiare. La re-sponsabilità dell’attivazione dello screening di popolazione spetta alle Re-gioni e la diffusione sul territorio nazionale segue un gradiente Nord-Sud,privilegiando le regioni settentrionali, mentre nel centro Italia la situazione èvariegata. Allo stato attuale nel Lazio (dati di attività 2009) i programmi discreening sono attivi solo in alcune ASL e la copertura della popolazione tar-get su base territoriale (età 50-74 anni) è ancora incompleta. In media lapercentuale dei soggetti invitati al test di primo livello (test del sangue oc-culto nelle feci) è del 9%, e di questi ultimi solo il 35% aderisce all’invito ef-fettuando il test. La percentuale di positività al test rilevata è mediamente del5,3%, in linea con il dato nazionale, registrato dall’Osservatorio NazionaleScreening.

2.1 Risk assessmentIl tumore del colon-retto è una patologia a genesi multifattoriale ed eziolo-gia complessa. I fattori di rischio sono di tipo alimentare, ambientale e ge-netico. Numerosi studi dimostrano che una dieta ad alto contenuto di calorie,ricca di grassi animali e povera di fibre è associata a un aumento dei tumoriintestinali; viceversa, diete ricche di fibre sembrano svolgere un ruolo pro-tettivo. Altri fattori di rischio sono rappresentati dall’età (l'incidenza è 10 volte

2. Incidenza e mortalità

INDICE

1. Definizione anatomico-chirurgica del retto

2. Incidenza e Mortalità 2.1. Risk assessment

3. Diagnosi

4. Stadiazione 4.1. Stadiazione TNM

5. Esami diagnostici 5.1. Diagnostica per immagini. 5.2. Esami di Follow-Up post-operatorio5.3. Esami minimali di stadiazione

6. Terapia delle Neoplasie rettali Non Metastatiche6.1. Trattamento degli stadi iniziali6.2. Trattamento della malattia localmente avanzata6.3. Lesioni non resecabili

7. Trattamento della Malattia metastatica 7.1. Terapia medica (chemioterapia e farmaci biologici) 7.2. Fattori predittivi di risposta7.3. Trattamento chirurgico della malattia avanzata7.4. Chemioterapia dopo resezione radicale di metastasi epatiche7.5. Terapie locoregionali7.6. Trattamento della malattia metastatica nell’anziano7.7. Valutazione della risposta

8. Follow-up dei pazienti con neoplasia del retto

9. Dotazioni delle unità cliniche e volumi di attività per accreditamento e definizione di eccellenza

10. Bibliografia

RettoE’ l’ultima porzione dell’intestino crasso, la lunghezza è variabile ma oscillain genere tra i 15 ed i 12 cm. Tradizionalmente il retto viene diviso anatomi-camente in tre segmenti (superiore, medio ed inferiore) ed in una parte in-traperitoneale ed in una extraperitoneale. I 3 segmenti sono in genereconsiderati di uguale lunghezza e oscillano tra i 4-5 cm. Questi segmentisono approssimativamente separati da 3 pliche interne o valvole di Houston(2 a sn sup ed inf, ed una a destra mediana): la plica mediana anche notacome plica di Kouhlraush è la più costante ed in genere situata tra i 9-11 cmdel retto corrisponde alla riflessione anteriore peritoneale.Tutto il retto è extraperitoneale nella sua parete posteriore.Il retto superiore è intraperitoneale nelle sue pareti laterali ed anteriore.Il retto medio è prevalentemente extraperitoneale ma può essere parzial-mente intraperitoneale nella sua parete anteriore se la riflessione del Dou-glas è bassa. Il retto inferiore è tutto extraperitoneale.I limiti sia superiore che inferiore sono spesso oggetto di dibattito.

Limite superioreIntraoperatoriamente il limite superiore è identificabile nel punto dove si in-terrompono le taenie e il crasso manifesta una tipica curvatura (giunzioneretto sigmoidea). Corrisponde spesso al livello del promontorio sacrale. Non esiste un chiaro riferimento interno che sia visibile endoscopicamente

se si esclude la terza plica di Houston. Secondo alcuni la terza plica di Hou-ston non corrisponde al passaggio retto-sigma.Anche radiologicamente non è facile dare un limite superiore preciso.

Limite inferioreI chirurghi spesso considerano come limite inferiore l’anorectal ring o orifi-zio anale interno che è situato al limite superiore del canale anale, dividel’ano dal retto ed ha un preciso significato chirurgico in quanto spesso sededelle anastomosi colo-anali. Gli anatomici considerano spesso come limiteinferiore la linea pettinata o dentata che è situata a circa metà del canaleanale nel pieno del complesso sfinterico. Gli endoscopisti considerano in ge-nere come limite inferiore la rima ano-cutanea o anal verge che è situata albordo inferiore od esterno del canale anale poiché misurano da questo puntodi riferimento la distanza dal limite distale di un tumore del retto.Poiché il canale anale ha una lunghezza anatomica variabile in media dai2,5 ai 4 cm si comprende bene come il differente punto di riferimento comelimite inferiore del retto può ingenerare molta confusione sulla definizionedella sede di una neoplasia.In queste linee guida verranno prese in considerazione solo le lesione neo-plastiche che originano dalla mucosa colica (adenocarcinoma), limitandopertanto le raccomandazioni al tratto anatomico di organo rivestito da que-sta.

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie del retto

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4.1 Stadiazione TNM (Classificazione TNM 2009)Nota• cTNM è la classificazione clinica, pTNM è la classificazione patologica • il prefisso “y” è usato per quei cancri dopo trattamento neoadiuvante

(es, ypTNM)• i pazienti che hanno una risposta patologica completa sono classificati

come ypT0N0cM0che può essere simile allo Stadio 0 o allo Stadio I• il prefisso “r” deve essere usato per quei cancri che recidivano dopo un

intervallo libero.

I linfonodi regionali sono quelli rettali superiori medi e inferiori (emorroidari),mesenterici inferiori, iliaci interni, mesorettali (pararettali), sacrali laterali,presacrali, del promontorio sacrale (linfonodi di Gerota).

Per quanto riguarda le metastasi a distanza si applica il seguente schema

La stadiazione viene dunque compiuta seguendo lo schema in tabella (i nu-meri indicano la percentuale di sopravvivenza a 5 anni):

La tempestività della diagnosi clinica definitiva di cancro del colon-retto(CCR), sia come capacità di “anticipazione (diagnosi precoce) che di “ridu-zione dei tempi di accesso”, minimizzando il ritardo dell’intervento terapeu-tico efficace, fa parte degli aspetti tecnico-organizzativi evidenziati dal PSN1998-2000 e dal D.L. 229/99 per la patologia neoplastica. La prognosi delcancro CCR migliora in modo drammatico se la neoplasia viene riconosciutae trattata in uno stadio precoce, mentre se la neoplasia è avanzata qualun-que trattamento è statisticamente inefficace in termini di sopravvivenza. I sintomi di allarme per l’identificazione dei casi “sospetti”, che dovrebberopilotare l’accesso alla visita specialistica proposti sono: • emorragia rettale persistente senza sintomi anali in pazienti età > 65

anni e nessuna evidenza di patologia anale benigna• emorragia rettale e/o cambiamento delle abitudini intestinali per almeno

6 settimane• modifiche recenti nelle abitudini intestinali con feci poco formate e/o au-

mento della frequenza della defecazione, persistente per più di 6 setti-mane

• anemia sideropenica con Hb < 10 g/dl senza causa evidente• massa rettale evidenziabile alla esplorazione rettale o massa addominale

palpabile.L’obiettivo è che tutti i pazienti che presentano sintomatologia di sospetta na-tura neoplastica possano accedere alla visita specialistica entro le due set-timane ed avere una diagnosi definitiva entro un mese.La conferma istologica è da ricercare in tutti i casi di sospetto della presenzadi una neoplasia primitiva o recidiva prima di procedere alle terapie, trannenelle situazioni di urgenza clinica o di complessità nella esecuzione di tale ac-certamento. In queste situazioni si deve sempre disporre di un consenso informato daparte del paziente che indichi l’assenza di esame istologico e l’orientamentodiagnostico del medico curante.

3. Diagnosi

Al di fuori delle urgenze cliniche, il paziente deve essere stadiato prima diprocedere alla terapia. Lo stadio della neoplasia è definito in base agli esamiclinico-strumentali appropriati per le differenti presentazioni di malattia.Le classificazioni raccomandata per la stadiazione del carcinoma del retto èquella TNM (Union Internationale Contra le Cancer [UICC]) del 2009 (VIIª Edi-zione).Questa versione ha introdotto alcuni cambiamenti rispetto la precedente ver-sione. In particolare un nodulo presente nel tessuto adiposo perirettale, anchesenza evidenza istologica di residuo linfonodale nel nodulo, deve essere clas-sificato come metastasi linfonodale regionale (pN1c). Alcuni Autori hannocommentato che questo può generare confusione nella stadiazione del coin-volgimento linfonodale raccomadando di utilizzare la versione 5 del TNMIl TNM non tiene in considerazione il margine circonferenziale o “circunfe-rential resection margin (CRM) nel definire lo stadio patologico complessivodella malattia. Esso è un importante parametro prognostico nel cancro del

retto, in quanto il retto è per la maggior parte sprovvisto di sierosa perito-neale. Il CRM viene definito come la distanza tra il punto di maggior pene-trazione del tumore ed il margine dei tessuti resecati attorno al retto,corrispondente al mesoretto, e si misura in millimetri. Un CRM viene definito“positivo” per una distanza inferiori ad 1 mm dal margine di resezione. IlCRM positivo è un forte fattore di rischio per recidiva locale e per la soprav-vivenza. Il referto dell’esame istologico nei pazienti che hanno ricevuto trat-tamento neoadiuvante prima della chirurgia deve anche prevedere ancheuna valutazione del “TRG” ovvero del Tumor Regression Grade secondoMandard, avente significato prognostico. Tale valutazione classifica il tumore residuo in cinque gradi che vanno daTRG 1 (assenza di cellule neoplastiche) a TRG 5 (tumore non modificato dallaterapia). I gradi intermedi TRG 2, TRG 3 e TRG 4 sono rispettivamente previ-sti per rare cellule neoplastiche (TRG 2), per fibrosi maggiore della neopla-sia residua (TRG 3) e per neoplasia residua maggiore della fibrosi (TRG 4).

4. Stadiazione

L’esplorazione rettale digitale è irrinunciabile e fornisce utili informazioni aifini del trattamento chirurgico (distanza in cm. libera da tumore dall’orifizioanale interno, rapporti con la prostata, fissità sul piano sacrale, ecc.), primae dopo eventuale radiochemioterapia neoadiuvante e durante il follow-up. La colonscopia ha lo scopo di:• diagnosticare e tipizzare, attraverso l’istologia, il cancro al retto • escludere neoplasie sincrone• bonificare lesioni asportabili endoscopicamente.

La sensibilità degli esami endoscopici per le neoplasie presenti nei segmenticolici esaminati è considerata molto elevata, più del 90% per le lesioni ≥ 10mm. Gli indicatori più condivisi sono: la completezza del referto, l’uso della seda-zione, la registrazione delle complicanze, la soddisfazione del paziente, lapercentuale di esami impossibili per inefficace preparazione intestinale, lapercentuale di raggiungimento del fondo cecale. Sebbene alcuni centri continuino ad eseguire un dosaggio preliminare dei

5. Esami diagnostici

T Tumore primitivo

TX Tumore primitivo non valutabile

T0 Non evidenza di tumore primitivo

TisCarcinoma in situ: tumore intraepiteliale o invasione della laminapropria

T1 Invasione della sottomucosa

T2 Invasione della muscolare propria

T3 Invasione della sottosierosa o dei tessuti perirettali

T4a Infiltrazione del peritoneo viscerale

T4b Invasione di altri organi o strutture

Stadio T N M

Stadio 0 Tis N0 M0

Stadio I T1,T2 N0 M0

Stadio IIA T3 N0 M0

IIB T4a N0 M0

IIC T4b N0 M0

Stadio IIIAT1-T2 N1/N1c M0

T1 N2a

IIIB

T3-T4a N1/N1c M0

T2-T3 N2a

T1-T2 N2b

IIIC

T4a N2a M0

T3-T4a N2b

T4b N1-N2

Stadio IVA ogni T ogni N M1a

IVB ogni T ogni N M1b

N Linfonodi regionali

NX Linfonodi regionali non valutabili

N0 Assenza di metastasi

N1 Metastasi in 1-3 linfonodi regionali

N1a Metastasi in 1 linfonodo regionale

N1b Metastasi in 2-3 linfonodi regionali

N1cAssenza di metastasi nei linfonodi regionali ma presenza di deposito/i tumorale/i nella sottosierosa o nel tessuto perirettale non peritonealizzato

N2 Metastasi in 4 o più linfonodi regionali

N Linfonodi regionali

N2a Metastasi in 4-6 linfonodi regionali

N2b Metastasi in 7 o più linfonodi regionali

M Metastasi a distanza

MX Metastasi a distanza non accertabili

M0 Metastasi a distanza assenti

M1 Metastasi a distanza presenti

M1aMetastasi confinate ad un organo (fegato, polmone, ovaio, linfo-nodo/i non regionale/i)

M1b Metastasi in più di un organo o nel peritoneo

superiore tra le persone di età compresa tra i 60 e i 64 anni rispetto a coloroche hanno 40-44 anni), le malattie infiammatorie croniche intestinali comela rettocolite ulcerosa ed il morbo di Crohn, una precedente storia clinica dipolipi del colon o di un tumore del colon-retto. Polipi e carcinomi che nonrientrano tra le sindromi ereditarie vengono definiti "sporadici", sebbeneanche in questo caso sembra vi sia una certa predisposizione familiare. Sistima che il rischio di sviluppare un tumore del colon aumenti di 2 o 3 voltenei parenti di primo grado di una persona affetta da cancro o da polipi delgrosso intestino. Anche il fumo di sigaretta e l’utilizzo di alcolici sembranocorrelare con un aumentato rischio di sviluppare questo tipo di neoplasia,mentre effetto protettivo sembra essere svolto da una corretta attività fisica.Esistono delle sindromi genetiche familiari che sono alla base di un certonumero di carcinomi del colon retto nell’adulto.

Le principali sono la sindrome di Lynch o cancro colorettale ereditario non as-sociato a poliposi (hereditary non-polyposis colorectal cancer, HNPCC), lapoliposi adenomatosa familiare (familial adenomatous polyposis, FAP) e lasua variante attenuata (AFAP), che si trasmettono in maniera autosomica do-minante. La FAP è responsabile dell’1% di tutti i tumori del colon, con una fre-quenza nella popolazione di 1/10000 (tabella 1 e 2). Altre sindromi ereditariesono la sindrome di Gardner e quella di Turcot e la poliposi MUTYH-asso-ciata. La sindrome di Lynch è responsabile di circa il 3% di tutti i casi di car-cinoma del colon-retto; è causata da una mutazione a carico di geni implicatinel mismatch repair (MMR). I soggetti portatori di una mutazione a caricodei geni MMR hanno un rischio di sviluppare un tumore del colon-retto chepuò arrivare all’80%, oltre ad altri tipi di neoplasie, come il tumore dell’en-dometrio.

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie del retto

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5.1 Diagnostica per immagini

Indicazione Metodica Commento

Diagnosi Colonscopia Metodica di scelta. Consente identificazione e caratterizzazione bioptica.

Colonscopia virtuale (in caso di indisponibilità:clisma a d.c.)

Da effettuarsi in caso di colonscopia incompleta o non effettuabile.

Stadiazione T Ecografia con sonda trans-rettale o Eco-en-doscopia

E’ la metodica più accurata per la stadiazione dei tumori superficiali (T1/T2).Scarsa accuratezza per la stadiazione dei tumori invasivi (T3/T4) e per la valuta-zione del margine di resezione circonferenziale.Non eseguibile nel caso di tumori stenosanti il lume. Difficoltosa valutazione deitumori del retto alto.

RM Il gold standard ad oggi è lo studio utilizzando bobine “phased-array”.E’ la metodica più accurata nel caso di tumore con infiltrazione extra-parietaleper la valutazione del margine di resezione circonferenziale. Può stratificare il ri-schio dei pazienti a seconda della profondità di infiltrazione del tessuto adiposomesorettale.

TCMS Può essere utilizzata per la stadiazione locale solo nel caso di tumori del rettomedio-alto. Risoluzione di contrasto insufficiente per i tumori del retto medio-basso.

Stadiazione N/M Ecografia con sonda trans-rettale Eco-endoscopiaEcografia addominale

Limitata per la valutazione dei linfonodi perirettali. Possibilità di bioptizzare le lesioni linfonodali sospette (Esame di II livello).Non si raccomanda come esame di staging.

TCMS Ha una sensibilità elevata per linfonodi delle dimensione maggiore di 8 mm.Molto meno accurata per linfonodi di dimensioni minori.Ai fini della valutazione del parametro N tutte le indagini radiologiche a oggi di-sponibili presentano limitazioni essendo la diagnosi basata su criteri dimensio-nali.La TCMS consente una rapida e accurata valutazione di metastasi a distanzaepatiche e polmonari.

RM Ha una sensibilità elevata per linfonodi delle dimensione maggiore di 8 mm.Molto meno accurata per linfonodi di dimensioni minori.Ai fini della valutazione del parametro N tutte le indagini radiologiche a oggi di-sponibili presentano limitazioni essendo la diagnosi basata su criteri dimensio-nali. Consente la valutazione di eventuali metastasi epatiche. Da utilizzarsi in caso dilesione epatica dubbia alla TCMS.

SCINTIGRAFIA OSSEA Metodica che evidenzia precocemente le lesioni scheletriche. Non indicata routi-nariamente nello staging.

PET-TC Metodica che consente la valutazione delle metastasi a distanza (parametro M) el’interessamento linfonodale di malattia (parametro N). La metodica trova una li-mitazione nelle forme istologiche di tipo mucinoso. Non indicata routinariamentenello staging.

5.1 Diagnostica per immagini

Valutazione della rispostaalla terapia (RT / RT + CHT)

Ruolo dell’imaging controverso

Rettoscopia Viene utilizzata per valutare la riduzione dell’estensione endoluminale della lesione

Ecografia endocavitaria / Eco-endoscopia

L’ecografia, non avendo un valore diagnostico nella stadiazione delle lesioni local-mente avanzate (T3 e oltre), suscettibili di trattamento neo-adiuvante, non è racco-mandata per la valutazione della risposta.Eco-endo: utile per bioptizzare le lesioni linfonodali sospette (esame di II livello).

TCMS Valutazione variazione volumetrica della neoplasia.

RM Esame di I scelta.La RM è superiore alla TCMS nell’individuare e localizzare il residuo macroscopico,ma senza differenziare fibrosi con cancro residuo dalla fibrosi senza cancro residuo.

PET-TC Utilità nella routine ancora da validare negli studi clinici.

5.2 Esami di Follow-Up post-operatorio

Rettoscopia Timing: si raccomanda ogni 6 mesi nei primi 2 anni, poi con frequenza annuale fino a 5 anni.

Colonscopia Timing: al 1° anno se non eseguita precedentemente, altrimenti al 3° anno; se negativa ogni 3 anni.

TCMS Esame di I scelta per il F/U post-operatorio. Studio Torace-addome-pelvi; Timing: una volta all’anno per almeno 5 anni.

Rx Torace Non raccomandato.

Ecografia Non raccomandata. Utile per la sola ricerca di metastasi epatiche, in Pz a basso rischio e adeguatamente valutabili.

RM Fegato: in caso di lesione epatica dubbia alla ecografia e/o TCMS. Particolarmente utile in caso di fegato marcatamentesteatosico, dove la TCMS ha un valore diagnostico limitato.Pelvi: utile in caso di dubbio alla TC pelvi.

PET-TC Indicata nel caso di un rialzo dei marcatori in presenza di indagini strumentali negative o dubbie e nella diagnosi diffe-renziale fra recidiva locale e fibrosi.

Dal punto di vista diagnostico e terapeutico, il carcinoma del retto medio ebasso, cioè extraperitoneale (normalmente fino a 11-12 cm dal margineanale) presenta delle peculiarità che lo distinguono nettamente dal carci-noma del colon, mentre l’approccio al carcinoma del retto alto non si diffe-renzia sostanzialmente da quello del sigma. La chirurgia del carcinoma del retto medio-basso presenta delle difficoltàtecniche al punto che in alcuni paesi europei e nord-americani essa viene de-mandata a centri specialistici. I cardini di questa chirurgia, al momento at-tuale, riguardano: l’escissione totale del mesoretto, nota come total

mesorectal excision (TME), nei limiti del possibile la conservazione dell’in-nervazione simpatica e parasimpatica, detta anche nerve-sparing techni-que, il margine di sezione distale alla neoplasia libero da neoplasia.I principali interventi chirurgici per il carcinoma del retto medio-bassosono: la resezione anteriore (bassa) del retto (con o senza stomia derivativa)e ricostruzione con anastomosi colo-rettale bassa o colo-anale, l’amputa-zione addomino-perineale (intervento di Miles), e la escissione locale.La procedura laparoscopica deve ancora essere validata dal punto di vistaoncologico, ma fattibilità, bassa morbilità e qualità di vita postoperatoria sono

6. Terapia delle neoplasie rettali non metastatiche

marcatori virali (HBV, HCV ed HIV), le attuali tecniche di disinfezione deglistrumenti, se correttamente eseguite, consentono un’assoluta tranquillità.

Sedazione per colonscopiaE’ fortemente raccomandata la sedazione /analgesia in corso di colonscopia,che può essere un esame doloroso e stressante per il paziente. La sedazione/analgesia, se ben condotta, garantisce inoltre una più facile edaccurata esecuzione della procedura. Al fine di ridurre l’incidenza di eventi avversi è necessaria una attenta ed ac-curata valutazione complessiva del paziente stesso, mediante la raccolta

dell’anamnesi e l’individuazione di condizioni di rischio. E’ altresì mandatorio un continuo monitoraggio del paziente durante la se-dazione/analgesia, verificando con periodicità ravvicinata il livello di co-scienza, controllando ventilazione ed ossigenazione (monitoraggiopulsossimetrico senza esclusione degli allarmi acustici) e monitorando i pa-rametri emodinamici.Relativamente alla “sedazione cosciente” è raccomandata la somministra-zione e.v di midazolam (2-4 mg) ed eventualmente di petidina alla dose di25-75 mg o di farmaci equivalenti. Nel caso di “sedazione profonda “ conpropofol è raccomandata la presenza dell’anestesista.

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5.3 Esami minimali di stadiazioneLa stadiazione deve sempre comprendere un esame clinico completo, in-clusa l’esplorazione rettale, una colonscopia ed una TC multistrato estesa altorace all’addome ed alla pelvi con mdc. Nei casi in cui vi sia una stenosi del retto non superabile con lo strumentopuò essere sufficiente la sola rettoscopia. Vi sono poi esami strumentali che

hanno una loro indicazione preferenziale a seconda dell’estensione inizialedella malattia.• Stadi iniziali: eco-transrettale o eco-endoscopia• Malattia localmente avanzata: RM pelvica• PET/TC e Scintigrafia Ossea solo in presenza di sintomi o rilevanti dubbi

diagnostici.

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie del retto

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• Escissione locale (es.: TEM)• Resezione radicale, se fattori istopatologici sfavorevoli• La radio(chemio) terapia postoperatoria non è generalmente indicata.Cancro Medio del Retto: T2• Resezione radicale senza terapia adiuvante (scelta raccomandata)• Escissione locale con terapia radio(chemio)terapia preoperatoria o po-

stoperatoria (in base a presentazioni cliniche particolari e/o rifiuto delpaziente alla chirurgia maggiore).

Cancro Prossimale del Retto: T1 e T2• Resezione radicale, usualmente una resezione anteriore bassa.

6.2 Trattamento della malattia localmente avanzata. Comprende il trattamento di neoplasie che alla stadiazione clinica hanno unaestensione extraparietale o che coinvolgono i linfonodi regionali, senza infil-trare organi pelvici al punto tale da impedire una resezione chirurgica radi-cale (T3 N0, T4 resecabile ogni N, ogni T N+) in assenza di metastasi adistanza (M0).Nei tumori a sviluppo extraperitoneale (retto medio-inferiore) è indicata laradioterapia preoperatoria. La radioterapia pre operatoria è dunque raccomandata nei pazienti con car-cinoma del retto extraperitoneale localmente avanzato.Sono utilizzate due modalità di trattamento radioterapico preoperatorio: • una prevede la combinazione di radioterapia per circa 5-6 settimane con

dosi convenzionali (1.8-2 Gy) combinata con il 5FU in infusione continua• l’altra prevede la sola radioterapia per 5 giorni precedenti la chirurgia con

dosi singole elevate (5Gy).

Dall’analisi dei singoli studi randomizzati, non vi è evidenza di differenzadella riduzione dell’incidenza di recidive locali tra un regime ipofrazionatoseguito da chirurgia immediata ed un regime radiochemioterapico seguito dachirurgia posticipata. Una recente pooled analisi dei dati degli studi randomizzati ha mostrato unbeneficio in sopravvivenza per la radiochemioterapia. La radiochemioterapia pre-operatoria è in grado di determinare down-sta-ging della neoplasia rettale con la completa negativizzazione del pezzo ope-ratorio in percentuali variabili dal 10 al 25%, e facilita l’esecuzione degliinterventi di salvataggio degli sfinteri (con conseguente riduzione degli in-terventi di resezione addomino-perineale, soprattutto nei pazienti con lesionidel retto basso non candidabili a escissione locale). Nei casi con coinvolgimento della fascia mesorettale (CRM+) o cT4 un so-vradosaggio sul T ha evidenziato percentuali elevate (> 80%) di resecabiltàR0 in studi di fase II di radiochemioterapia preoperatoria.Un ruolo può avere l’impiego della capecitabina in sostituzione dell’infusionedi 5FU in pazienti con controindicazioni al posizionamento di CVC. I trattamenti polichemioterapici associati alla radioterapia devono, allo statoattuale, essere limitati a protocolli di ricerca, in assenza di studi randomiz-zati che ne dimostrino la superiorità rispetto all’impiego del solo 5FU/folato.Si consiglia la valutazione della risposta della neoplasia dopo il trattamentopreoperatorio radiochemioterapico al fine di pianificare in maniera appro-priate il successivo intervento chirurgico. Gli esami di imaging dovranno essere gli stessi condotti per la stadiazione ini-ziale di T e N. Nei casi di risposta clinica completa è possibile avviare i pazienti a studi diconservazione dell’organo, che prevedono l’escissione locale della cicatrice

Figura 1. Trattamento degli stadi iniziali

Stadioclinico

Trattamentoprimario

Trattamento adiuvante(6 MO trattamento perioeratorio consigliato)

Attesa

SC

OcT1, N0

Escissionetransanalese possibile

T1, NX;Margini negativi

T1, NX concaratteristichead alto rischio

o T2, NX

ResezioneChirurgica

addominale

pT1-2,N0, M0

pT3, N0, M0o

pT1-3, N1-3

5-FU± leucovorina o poi 5-FUic/RTo 5-FU a bolo + leucovorina/RT ocapecitabina RT, poi 5-FU ± leucovorinao5-FUic/RT o 5-FU a bolo + leucovorina/RT o capecitabina/RT, seguita da 5-FU ± leucovorina

Nei pazienti con pN+ si suggerisce l’impiego dell’oxaliplatino

AttesacT1-2,

N0

Resezionechirurgica

addominale 5-FU± leucovorina o poi 5-FUic/RT o 5-FU a bolo + leucovorina/RT o capecitabina RT, poi 5-FU ± leucovorinao5-FUic/RT o 5-FU a bolo + leucovorina/RT o capecitabina/RT, seguita da 5-FU ± leucovorina

Nei pazienti con pN+si suggerisce l’impiego dell’oxaliplatino

pT1-2,N0, M0

pT3, N0, M0o

pT1-3, N1-3

ampiamente dimostrate e pongono questa opzione in forte competizione conla tecnica tradizionale. La procedura robotica è invece ancora alla fase di studi di fattibilità. Una sto-mia cautelativa è caldeggiata nei pazienti trattati dopo radiochemioterapianeoadiuvante. La valutazione istologica del pezzo operatorio deve fornire dei criteri dia-gnostici minimi (da riportare sempre nel referto): istotipo, grado di differen-ziazione, livello di infiltrazione della parete e eventuale infiltrazione dellasierosa, e del grasso periviscerale, la distanza dei margini di resezione pros-simale, distale, numero di linfonodi esaminati e numero di linfonodi meta-statici, presenza/assenza di invasione vascolare e/o linfatica. Nei tumori delretto in particolare deve essere indicata anche l’integrità della fascia meso-rettale e la distanza del margine di resezione radiale dalla neoplasia espressain mm. Nei pazienti trattati con terapia neo-adiuvante dovrebbe essere riportato ilgrado di regressione tumorale (TRG). Nel caso dei tumori del retto deve es-sere sempre eseguita una stadiazione integrata prima di qualsiasi proceduraterapeutica, escluse ovviamente le situazioni di emergenza per occlusioni esanguinamenti. La tipologia e la sequenza delle terapie adiuvanti alla chirurgia (radioterapiae chemioterapia) variano secondo lo stadio della malattia, la posizione del tu-more e le condizioni cliniche del paziente.

6.1 Trattamento degli stadi iniziali Si definisce stadio iniziale un paziente affetto da una lesione del retto stadioI. Attualmente, possiamo annoverare tre opzioni chirurgiche curative maggiori:escissione locale, chirurgia addominale con preservazione sfinteriale(“sphincter-saving“) e la resezione addominoperineale (“abdominoperinealresection” - APR). I candidati ideali per la escissione includono quei pazienti affetti da piccolelesioni T1 (invasione soltanto della submucosa) e lesioni T2 (invasione dellamuscularis propria). Probabilmente i pazienti con lesioni T2 non dovrebberoessere sottoposti alla sola procedura chirurgica: la recidiva locale è infattielevata. Ci sono tre approcci differenti per l’escissione locale del cancro rettale: tran-sanale, transcoccigeale, e trans-sfinterica. Quest’ultimo è stato associato aincontinenza fecale secondaria a disfunzione sfinteriale, e ciò ha fatto ridurredi molto il numero di esecuzioni di tali procedure. Recentemente, una nuovatecnica, la microchirurgia endoscopica transanale (“Transanal EndoscopicMicrosurgery” - TEM), rappresenta una opzione mini-invasiva per l’escis-sione locale capace di aggredire lesioni rettali prossimali che non sono ac-cessibili per via transanale, transsfincterica, o transcoccigeale. In contrasto ai risultati favorevoli, questa tecnica relativamente nuova non haottenuto grande popolarità a causa del costoso equipaggiamento, dellascarsa familiarità con il setup, e la complessità del sistema operativo dellaTEM stessa. Il sistema radiante endocavitario per contatto (“Endocavitary Contact Radia-tion therapy” - ECR) è un trattamento mini-invasivo i cui risultati sono com-parabili con i rilievi di radicalità oncologica di altre terapie locali per leneoplasie rettali T1 e T2 stadiate con ERUS. A causa della possibilità di nonricorrere alla anestesia generale, l’ECR è un’attraente opzione per i pazientifragili. I dati clinici che comparano la chirurgia radicale agli approcci locali per earlyCRC sono eterogenei a causa della selezione dei pazienti, dei disegni deglistudi e riguardo l’uso di terapia adiuvante e/o neoadiuvante.

I tassi di recidiva sono elevati nei pazienti sottoposti a escissione locale o aECR, che dovrebbe essere riservata a neoplasie a basso rischio ed in quei pa-zienti che accettino una probabilità aumentata di recidiva neoplastica e ac-cettino di sottoporsi ad un periodo prolungato postoperatorio di sorveglianzaoncologica; in questi casi un ruolo importante è giocato dalla chirurgia di“salvataggio”. Per i pazienti con tumore rettale T1, la selezione per l’escissione locale èconsigliata per lesioni piccole, di basso grado, distali e senza evidenza di in-vasione linfovascolare. Dunque, la decisione riguardo l’escissione locale versus la resezione stan-dard in questa popolazione di pazienti richiede un’analisi individualizzata deirischi e dei benefici. Per i pazienti con neoplasie T2, la selezione per l’escissione locale è estre-mamente ristretta dai fattori e dagli indicatori di rischio correlati ai pazientied al tumore.Nei casi di tumore del retto agli stadi iniziali (early cancer) T1 e T2 N0 M0,il trattamento radioterapico adiuvante o neoadiuvante ad una chirurgia locale(local excision), +/- eventualmente associato a trattamento chemioterapicoconcomitante, dovrebbe essere indicato solo per i casi che non possono es-sere sottoposti per controindicazioni cliniche ad una chirurgia radicale o cherifiutino espressamente quest’ultima. I trattamenti di radioterapia a fasci esterni adiuvanti ad una local excision,possono avere un ruolo:• Nei pT1 con fattori patologici avversi (margini chirurgici positivi, tumore

poco differenziato, invasione linfo-vascolare).• Nei pT2 con assenza di fattori patologici avversi (margini chirurgici po-

sitivi, tumore poco differenziato, invasione linfo-vascolare). In questocaso comunque si deve accettare un rischio di fallimento loco regionaleche si attesta tra il 18-25%.

I trattamenti di radioterapia neoadiuvanti seguiti da una local excision pos-sono avere un ruolo:• Nei cT2 Nei casi in cui non è possibile eseguire trattamenti di radio chemioterapia afrazionamenti convenzionali, può essere somministrato un trattamento ipo-frazionato (short course) di sola radioterapia.

SintesiPrincipi di tecnica chirurgica • Escissione transanale: criteri � < 30% della circonferenza enterica, dia-

metro massimo (< 3 cm), margini liberi (> 0.3 cm), mobile (non fisso aipiani profondi), entro gli 8 cm dalla rima anale, T1, T2, assenza di inva-sione linfovascolare o perineurale, ben differenziato, adeguata identifi-cazione rettale.

• Resezione transaddominale: resezione addominoperineale o resezioneanteriore bassa o anastomosis coloanale usando l’escissione mesoret-tale totale, affinchè si riduca il tasso di margini radiali positivi ed si ese-gua una completa mobilizzazione rettale.

Cancro Distale del Retto: T1• Escissione locale • Resezione radicale, se fattori istopatologici sfavorevoli • La radio(chemio) terapia postoperatoria non è generalmente indicata.Cancro Distale del Retto: T2• Resezione radicale senza terapia adiuvante (scelta raccomandata)• Escissione locale con terapia radio(chemio)terapia preoperatoria o po-

stoperatoria (in base a presentazioni cliniche particolari e/o rifiuto delpaziente alla chirurgia maggiore).

Cancro Medio del Retto: T1

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie del retto

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residua o la sola osservazione. Tra il termine del trattamento chemio-radiante e la chirurgia devono inter-correre non meno di 4 settimane e non più di 8-10 settimane. Nei pazienti sottoposti a trattamento radiochemioterapico pre-operatorio puòessere valutato l’impiego di un trattamento adiuvante dopo l’intervento diresezione, anche se non ci sono sicure evidenze di un benefico della che-mioterapia basata su 5FU sia la base di singoli studi randomizzati; la sceltaspetta al clinico e alla paziente (l’uso di modelli matematici sembra quanti-ficare meglio il rischio di ripresa di malattia).Si raccomanda l’introduzione dei pazienti in studi clinici. I pazienti in stadio II, III che per sottostadiazione iniziale non avessero effet-tuato trattamento pre-operatorio sono candidati a radiochemioterapia adiu-vante (irradiazione con 45-50 Gy associata a schemi di chemioterapia basatisul 5FU).

SintesiStadio II-III (T3-4[resecabile] N0-2, T1-2N1-2, M0)Cancro del Retto Distale e Medio cT3, CRM–, N0: • la radiochemioterapia (45-50 Gy + 5FU infusione o capecitabina) se-

guita dopo 8-10 settimane da chirurgia• la radioterapia preoperatoria (5Gy x 5gg) seguita da chirurgia immediata• in caso di risposte maggiori dopo trattamento radiochemioterapico la

conservazione d’organo (escissione locale, wait and see) può esserepraticata solo all’interno di studi clinici

• la chemioterapia adiuvante può essere valutata. Si raccomanda l’intro-duzione dei pazienti in studi clinici.

Cancro del Retto Distale e Medio cT3, CRM-, N+:• la radiochemioterapia (50 Gy + 5FU infusione o capecitabina) seguita

dopo 8-10 settimane da chirurgia• in caso di risposte maggiori dopo trattamento radiochemioterapici la

conservazione d’organo (escissione locale, wait and see) può esserepraticata all’interno di studi clinici

• la chemioterapia adiuvante può essere valutata. Si raccomanda l’intro-duzione dei pazienti in studi clinici.

Cancro del Retto Distale e Medio cT3 CRM+ o cT4 resecabile:• la radiochemioterapia (45-50 Gy sulla pelvi, con possibile sovradosag-

gio fino a 55 Gy di dose totale sul T, + 5FU infusione o capecitabina) se-guita dopo 8-10 settimane da chirurgia

• in caso di risposte maggiori dopo trattamento radiochemioterapici la

conservazione d’organo (escissione locale, wait and see) può esserepraticata all’interno di studi clinici

• la chemioterapia adiuvante può essere valutata. Si raccomanda l’intro-duzione dei pazienti in studi clinici.

Cancro del Retto Distale e Medio pT3-4 o pN+:• questa situazione si può verificare solo per sottostadiazione diagnostica,

perché altrimenti il trattamento radio(chemio)terapico deve precederela chirurgia

• radiochemioterapia secondo la successione: chemioterapia 2 mesi(5FU/Folato), radio chemioterapia /45-50 Gy + infusione di 5FU o cape-citabina), 2 mesi (5FU/Folato)

• particolare attenzione va posta alla valutazione della presenza di anse in-testinali nello scavo pelvico postoperatorio, condizione che controindi-cherebbe il trattamento radioterapico.

Cancro del Retto Prossimale: • Il trattamento preoperatorio radio(chemio)terapico va eseguito nelle mo-

dalità precedentemente indicate quando il polo inferiore della lesionearriva al terzo medio o la lesione sia CRM+ posteriormente o cT4(perinfiltrazione di organi pelvici ma non per infiltrazione del tenue, nel qualcaso va eseguita immediatamente la chirurgia)

6.3 Lesioni non resecabili Comprendono neoplasie che alla stadiazione clinica infiltrano organi pelvicinon consentendo una resezione chirurgica radicale (T4 [non resecabile], M0).Il trattamento radiochemioterapico è raccomandato, seguito da chirurgia al-largata all’organo pelvico infiltrato alla diagnosi, da eseguire preferibilmenteanche quando si è di fronte ad una riduzione della neoplasia rispetto alla suaestensione precedente il trattamento radiochemioterapico.

SintesiStadio III (T4[ non resecabile], M0)• la radiochemioterapia (45-50 Gy sulla pelvi, con sovradosaggio fino a

55 Gy di dose totale sul T, + 5FU infusione o capecitabina) seguita dopo8-10 settimane da chirurgia

• in caso di risposte maggiori dopo trattamento radiochemioterapici l’or-gano infiltrato prima del trattamento neoadiuvante va comunque rimosso

• la chemioterapia adiuvante deve essere somministrata

Figura 2. Terapia della malattia localmente avanzata e delle lesioni non resecabili

Stadioclinico

Trattamentoprimario

Trattamento adiuvante(6 mesi trattamentoperioperatorio consigliato)

T3,N05FUic/RTo capecitabina/RTo 5x5 Resezione

Chirurgicaaddominale

De Gramont/capecitabinaoFOLFOX/XELOX

T qualsiasi,N1-2

5FUic/RTo capecitabina/RT

De Gramont/capecitabinaoFOLFOX/XELOX

T4 e/onon resecabile

5FUic/RTo capecitabina/RT

Resezione,se possibile

QualsiasipT

7. Trattamento della malattia metastatica

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Circa il 20% dei pazienti con carcinoma del retto presenta malattia meta-statica alla diagnosi ed il 35% dei pazienti trattati con intento curativo svi-lupperà delle metastasi. La terapia dei malati con carcinoma del retto in faseavanzata deve essere concepita come una strategia globale e non più comesemplici linee di trattamento (continuum care). In questa logica va collocatala chirurgia, quando possibile, e periodi di momentanea interruzione dellaterapia medica o di mantenimento con farmaci biologici. Questa strategiadeve essere governata dai risultati scientifici, dall’esperienza e dagli obiet-tivi che si vogliono raggiungere nelle varie fasi della malattia.Gli obiettivi del trattamento nei pazienti con malattia metastatica possonoessere:• la cura (possibile solo in un numero limitato di casi)• il prolungamento della sopravvivenza• la palliazione dei sintomi• il miglioramento della qualità della vita• il ritardo della progressione della malattia• la riduzione delle dimensioni della neoplasia.In considerazione delle varie terapie attualmente disponibili, la strategia cli-nica nei pazienti con neoplasia avanzata non resecabile deve tenere contodi quale sia il principale obiettivo del trattamento: potenzialmente curativo opalliativo. E quindi è possibile identificare 3 scenari clinici con 3 diversi ap-procci:1) pazienti con malattia disseminata limitata ma non resecabile (situazione

potenzialmente curabile): uso di terapie ad alta percentuale di rispostaper “convertire”la malattia in resecabile (concetto di “conversion the-rapy”)

2) pazienti sintomatici con qualità di vita e prospettive di sopravvivenzacompromesse dalla malattia (situazione palliativa): uso di terapie checonsentano un rapida riduzione della massa tumorale

3) pazienti asintomatici (situazione palliativa): uso di una strategia che pre-veda un trattamento sequenziale con i vari farmaci a disposizione con at-tenzione alla tossicità (concetto di “continuum of care”).

7.1 Terapia medica (chemioterapia e farmaci biologici)

La terapia medica, mediante l’utilizzo della chemioterapia e dei farmaci bio-logici, risulta efficace nel prolungare la sopravvivenza (OS), il tempo libero daprogressione (PFS) e la qualità di vità (QoL) dei pazienti con tumore avanzatoo metastatico. Attualmente la sopravvivenza globale oscilla intorno ai 25mesi.La disponibilità di diversi farmaci efficaci e la dimostrazione che la soprav-vivenza è correlata all’impiego di tutti i chemioterapici attivi nel corso dellamalattia rende giustificato l’utilizzo della chemioterapia anche in linee suc-cessive alla prima nei pazienti in buone condizioni generali. La sommini-strazione del trattamento alla diagnosi presenta dei vantaggi rispetto allasomministrazione al momento della comparsa dei sintomi sia in termini di so-pravvivenza che di qualità della vita (Livello di evidenza I).I farmaci che hanno dimostrato utilità nel trattamento della malattia avanzatasono le fluoropirimidine sia orali che endovenose, l’irinotecan, l’oxaliplatino,gli anticorpi monoclonali anti-VEGF (bevacizumab) e anti-EGFR (cetuximab epanitumumab). Le associazioni di 5FU (preferibilmente somministrato per via infusionale) e

acido folinico con oxaliplatino (FOLFOX) o irinotecan (FOLFIRI) sono da im-piegare in tutti i pazienti in grado di essere trattati con una polichemiotera-pia. Non esiste differenza tra l’impiego in prima linea di una combinazionerispetto all’altra, mentre differente è il profilo di tollerabilità. Nei pazienti non suscettibili di una polichemioterapia o nell’ottica di una stra-tegia sequenziale il farmaco di scelta è il 5FU preferibilmente somministratoin infusione continua ed associato ad acido folinico. La capecitabina può sostituire la monoterapia con 5FU + acido folinico pro-ducendo risultati sovrapponibili ma con diversi aspetti di tossicità (hand- footsyndrome, diarrea, mucosite). Allo stato attuale l’uso della capecitabina in combinazione con oxaliplatinopuò sostituire i regimi infusionali. La sua associazione con irinotecan deve es-sere impiegata, con attenzione agli effetti collaterali gastrointestinali, solonei pazienti in cui esistano controindicazioni all’impiego di regimi infusionalicon 5FU e all’impianto di un catetere venoso centrale.Il regime a tre farmaci FOLFOXIRI (5-FU/acido folinico infusionale, oxalipla-tino, irinotecan) è risultato significativamente superiore in termini di attività,di prolungamento del tempo a progressione e della OS rispetto al regime adue farmaci FOLFIRI ottenendo un’elevata percentuale di resezioni epaticheR0 in pazienti inizialmente non suscettibili di chirurgia.Bevacizumab (anticorpo monoclonale anti-Vascular Endothelial Growth Fac-tor) può essere considerato in associazione alla chemioterapia con Fluorou-racile ± CPT-11 nei pazienti non pre-trattati. Tale trattamento è superiore intermini di sopravvivenza rispetto alla sola combinazione tra 5FU e Irinotecane può essere considerato di prima scelta in pazienti in buone condizioni ge-nerali senza controindicazioni, K-ras mutati. Bevacizumab è efficace in primalinea anche in associazione a regimi contenenti oxaliplatino anche se il be-neficio è limitato. L’attività della combinazione di FOLFOX e bevacizumab inseconda linea è stata documentata nello studio E3200, inoltre due studi difase IV, lo studio BRITE e lo studio BEAT, hanno confermato l’attività del be-vacizumab anche in linee successive alla prima. ABevacizumab può essereimpiegato in seconda linea nei pazienti che non lo abbiano impiegato in primalinea. L’associazione di capecitabina e bevacizumab può rappresentare la primalinea in quei pazienti con malattia non resecabile paucisintomatica, nell’ot-tica di una strategia sequenziale.Un mantenimento con solo bevacizumab può essere considerato in quei pa-zienti che presentano una risposta al trattamento chemio-immunoterapicodopo il completamento della chemioterapia.Bevacizumab è controindicato in pazienti con ipertensione non controllata,diatesi emorragica; il suo utilizzo va attentamente valutato nei pazienti conprecedenti eventi atero-embolici.Cetuximab (anticorpo monoclonale anti-Epidermal Growth Factor - Receptor)può essere impiegato in pazienti EGFR + e K-ras non mutato (WT wild type),indipendentemente dalla linea di trattamento, sia in associazione a regimicon irinotecan ± fluoropirimidine, sia in monoterapia nei pazienti pretrattaticon intolleranza ad irinotecan. Meno consistenti sono i dati relativi all’asso-ciazione del cetuximab con l’oxaliplatino, mentre dati recenti non sembranosuggerire l’utilizzazione del cetuximab in associazione alle sole fluoropirimi-dine. L’associazione FOLFIRI + cetuximab per l’elevata attività in termini dirisposte va consigliata nei pazienti con malattia potenzialmente resecabile K-ras WT.Panitumumab (anticorpo monoclonale anti-Epidermal Growth Factor - Re-

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie del retto

Ablazione termicaL’ablazione di metastasi usando le radiofrequenze si è dimostrata un me-todo efficace che induce una necrosi coagulativa mediante effetto termico.È una tecnica minimamente invasiva i cui potenziali benefici includono lapossibilità di effettuazione per via percutanea e la possibilità di effettuazioneambulatoriale, oltre alla facilità di controllo strumentale dell’efficacia. La me-todica può essere effettuata anche per via laparoscopica. Le casistiche di-sponibili sono però ancora limitate e la procedura deve essere limitata a casiselezionati in attesa di studi clinici che valutino il significato terapeutico dellametodica e la sua integrazione con gli altri trattamenti. La termoablazione conradiofrequenze non può essere sostitutiva della chirurgia e/o della chemio-terapia.

Radioterapia stereotassicaLa radioterapia stereotassica su singole lesioni metastatiche può essere pro-posta in pazienti non candidabili a resezione chirurgica. È una tecnica non in-vasiva di effettuazione ambulatoriale. Le casistiche disponibili sono peròancora limitate e la procedura deve essere limitata a casi selezionati in at-tesa di studi clinici che valutino il significato terapeutico della metodica e lasua integrazione con gli altri trattamenti. La radioterapia stereotassica nonpuò essere sostitutiva della chirurgia e/o della chemioterapia.

RadioembolizzazioneLa radioembolizzazione epatica con sfere di Yttrio 90 può essere proposta inpazienti con esclusiva malattia epatica, con PS conservato, non suscettibilidi ulteriori trattamenti antineoplastici. La sua utilizzazione in associazionealla chemioterapia è attualmente fattibile solo nell’ambito di studi clinici. Lecasistiche sono al momento limitate e i pazienti vanno indirizzati in centrispecializzati e con esperienza nei confronti di tale trattamento.

7.6 Trattamento della malattia metastatica nell’anziano

In presenza di malattia metastatica i regimi di associazione di 5-fluoroura-cile con oxaliplatino o irinotecan hanno mostrato una maggiore attività ri-spetto alle sole fluoropirimidine anche nel paziente anziano. Una pooledanalysis ed una metanalisi su tre studi randomizzati hanno evidenziato unlieve incremento dei casi di neutropenia e piastrinopenia G3-4 e della sto-matite G3-G4 nei pazienti ultrasettantenni rispetto ai più giovani, senza tut-tavia un aumento della mortalità a 60 giorni, ed una sovrapponibile attività(in termini di RR, OS, PFS).I regimi di associazione 5fluorouracile-oxaliplatino e 5fluoruracile-irinotecanpossono essere messi in atto anche nel paziente anziano ultrasettantennenell’ambito di una valutazione multidimensionale che possa selezionare isoggetti “fit” e con un attento monitoraggio delle eventuali tossicità.La capecitabina, analogamente al soggetto non anziano, può essere impie-gata in sostituzione del 5FU in presenza di controindicazioni al posiziona-mento di CVC e di un care-giver attendibile ed in assenza di insufficienzarenale.L’impiego di anti-VEGF nel paziente ultrasettantenne deve essere valutatocon attenzione per la potenziale maggiore tossicità in termini tromboembo-lici. L’impiego di cetuximab sembra sovrapponibile per efficacia e tossicità aquanto evidenziato nei pazienti non anziani ma i dati preliminari dello studioCALGB 80203 , che ha valutato l’aggiunta o meno di cetuximab al FOLFOXe al FOLFIRI, hanno mostrato un aumento della tossicità nei pazienti anziani. I regimi di associazione 5fluorouracile-oxaliplatino e 5fluoruracile-irinotecan

possono essere messi in atto nel paziente anziano ultrasettantenne nel-l’ambito di una valutazione multidimensionale che possa selezionare i sog-getti “fit” e con un attento monitoraggio delle eventuali tossicità.

7.7 Valutazione della risposta al trattamentoNella malattia avanzata la risposta al trattamento farmacologico viene valu-tata tramite i parametri codificati dai criteri RECIST utilizzando l’esame cli-nico e la diagnostica per immagini. Le lesioni misurabili ( dimensioni > 10mm alla TC in caso di lesioni viscerali) vengono identificate come lesioni Tar-get. Tutte le altre lesioni sono identificate come lesioni non Target. I criteri RE-CIST codificano 4 tipi di risposta al trattamento come riportato nella legendasottostante. La risposta globale al trattamento è definita come la migliore ri-sposta dall’inizio del trattamento fino a progressione o recidiva di malattia.

Valutazione lesioni targetRisposta Completa (CR): scomparsa di tutte le lesioni target. Risposta Parziale (PR): riduzione di almeno il 30% della somma dei maggiordiametri, prendendo come riferimento la somma basale dei maggior diame-tri.Malattia Stabile (SD): riduzione insufficiente per essere qualificata come PRo incremento insufficiente per essere qualificato come PD, prendendo comeriferimento la somma basale dei maggiori diametri. Malattia in Progressione (PD): incremento di almeno il 20% nella somma deimaggior diametri delle lesioni target, prendendo come riferimento la più pic-cola somma dei maggior diametri registrata dall'inizio del trattamento, ocomparsa di una o più lesioni nuove.

Valutazione lesioni non-targetRisposta Completa (CR): scomparsa di tutte le lesioni non-target e normaliz-zazione del marker tumorale. Risposta incompleta/Malattia Stabile (SD): persistenza di una o più lesioninon-target e/o livelli anormali di marcatore tumorale.Malattia in Progressione (PD): comparsa di una o più nuove lesioni e/o sicuraprogressione delle lesioni non-target esistenti.

Valutazione della miglior risposta obiettivaLa miglior risposta obiettiva è la miglior risposta registrata dall'inizio del trat-tamento fino alla progressione/recidiva.

SintesiLa terapia medica effettuata in fase asintomatica risulta più efficace in ter-mini di sopravvivenza e qualità della vita, rispetto a quella eseguita alla com-parsa di sintomi (Livello di evidenza I):• Le associazioni di 5FU (preferibilmente somministrato per via infusio-

nale) e AF con oxaliplatino (FOLFOX) o irinotecan (FOLFIRI) sono da im-piegare in tutti i pazienti in condizioni di essere trattati con unapolichemioterapia; in alternativa il farmaco di scelta è il 5FU, preferibil-mente somministrato in infusione continua ed associato ad AF. Non esi-ste differenza tra l’impiego in prima linea di una combinazione rispettoall’altra. Le fluoropirimidine orali (capecitabina, UFT) possono sostituirela monoterapia con 5FU + AF. (Livello di evidenza I)

• Allo stato attuale l’uso della capecitabina in combinazione con oxalipla-tino (CAPOX) può sostituire i regimi infusionali, mentre la sua associa-zione con irinotecan (CAPIRI) deve essere impiegata, con attenzione aglieffetti collaterali, solo nei pazienti in cui esistano controindicazioni al-l’impiego di regimi infusionali con 5FU (livello evidenza II).

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

ceptor) può essere al momento impiegato in monoterapia in pazienti EGFR+e K-ras WT sottoposti a precedenti trattamenti chemioterapici comprensividi irinotecan e oxaliplatino che non abbiano precedentemente impiegato ce-tuximab, o in pazienti che hanno sospeso cetuximab, in assenza di progres-sione, per reazioni avverse.Allo stato attuale non devono essere utilizzate combinazioni di più farmacibiologici con o senza CT. In caso di malattia a lenta aggressività può essere considerato l’impiego diuna strategia sequenziale e la possibilità di prevedere delle pause nel trat-tamento, allo scopo di ridurre la tossicità e migliorare la QoL.In caso di malattia aggressiva o nell’intento di convertire una malattia ini-zialmente inoperabile può essere considerata una combinazione compren-dente la doppietta con il biologico o la tripletta (FOLFOXIRI). I regimi e lesequenze ottimali di trattamento sono ancora in ampia misura da definire: pertale motivo tutti i pazienti eleggibili dovrebbero essere preferibilmente inse-riti in trial clinici.

7.2 Fattori predittivi di rispostaLa disponibilità di farmaci biologici ad attività target ed i miglioramenti dellabiologia molecolare consentono di ipotizzare il riconoscimento dei pazientipotenzialmente responsivi al trattamento.I dati attualmente disponibili non evidenziano fattori predittivi di risposta peri chemioterapici né per gli anti-VEGF. Per quanto riguarda gli anti-EGFR sonoinvece disponibili numerosi dati, tutti retrospettivi, relativi all’inutilità delladeterminazione immunoistochimica del recettore EGFR. Esistono poi altridati, per lo più retrospettivi, relativi alle mutazioni di K-Ras. La presenza diuna mutazione di K-Ras, solitamente nei codoni 12 e 13, condiziona la as-senza di risposta ai farmaci anti-EGFR, Cetuximab e Panitumumab, ed al-cuni studi evidenziano addirittura un possibile effetto detrimentaledell’impiego di tali farmaci nei pazienti mutati. In contrapposizione a ciò, laselezione dei pazienti basata sull’assenza di mutazione di K-Ras (K-Ras WildType WT) determina un miglioramento di tutti i parametri di efficacia (RR,PFS e OS) rispetto al trattamento di pazienti non selezionati e comporta be-nefici anche in termini economici, per il minor numero di pazienti sottopostial trattamento. Inoltre la selezione dei pazienti consente di evitare tossicità inutili legate al-l’impiego in un gruppo di pazienti sicuramente non responsivi.Altri fattori predittivi sono in studio (B-raf, p-ten, PIK3CA) ma il loro ruolodeve ancora essere definito.Lo stato mutazionale di K-Ras deve essere determinato ogni qualvolta lastrategia terapeutica preveda il possibile impiego di farmaci anti-EGFR. L’im-piego di anti-EGFR è da evitare in tutti i pazienti K- Ras mutati. L’uso di altri fattori predittivi è al momento da riservarsi ai soli studi clinici.

7.3 Trattamento chirurgico della malattia avanzataL’opzione chirurgica è proponibile anche nella malattia avanzata. Vanno va-lutate per la chirurgia le metastasi a livello epatico, polmonare, ovarico e lasede primitiva di malattia (qualora non precedentemente rimossa). Anche larecidiva pelvica può essere considerata una indicazione chirurgica, se unicasede di malattia e potenzialmente resecabile R0 dopo chemioradioterapiapre-operatoria.I pazienti giudicati operabili vanno avviati direttamente alla chirurgia; unostudio dell’EORTC ha valutato la possibilità di un trattamento chemiotera-pico pre e post-operatorio nei pazienti candidabili a chirurgia epatica con in-tento radicale apprezzando un incremento della PFS a 3 anni, non sono

ancora tuttavia disponibili i dati sulla sopravvivenza e al momento la chirur-gia sembra la soluzione più accreditata in questo subset di pazienti. In considerazione dell’efficacia delle moderne combinazioni chemioterapichel’opzione chirurgica deve essere valutata in tutti i pazienti in cui la chemio-terapia abbia ottenuto una riduzione di malattia che ne consenta l’exeresi. Il trattamento medico va sospeso non appena la malattia risulti resecabile.La prosecuzione del trattamento dopo tale momento espone il paziente a ri-schi di tossicità epatica ed aumenta il rischio operatorio.Il raggiungimento di una remissione completa strumentale non garantisce laremissione completa patologica e può creare difficoltà al chirurgo nell’indi-viduazione della sede di resezione.Il numero delle metastasi epatiche non è più riconosciuto come fattore pro-gnostico sfavorevole se l’intervento chirurgico è eseguito da chirurghi esperti.Il margine di resezione negativo è fattore prognostico favorevole anche semillimetrico. L’approccio laparoscopico è fattibile anche per resezioni epati-che maggiori, ma solo in centri con adeguata esperienza.La resezione epatica R0 rappresenta attualmente l’unico mezzo terapeuticocurativo. La resezione epatica R1 può rappresentare una strategia accetta-bile se in grado di produrre un significativo beneficio al paziente.Qualora la combinazione impiegata in terapia neo-adiuvante comprenda be-vacizumab tale farmaco deve essere sospeso 8 settimane prima della rese-zione.Allo stato dell’arte i pazienti con malattia sicuramente resecabile devono es-sere inviati al chirurgo od a trattamento neoadiuvante in base ad una valu-tazione multidisciplinare che consideri elementi quali l’intervallo libero dalprecedente trattamento primario.La resezione chirurgica di metastasi del polmone o dell’ovaio può essere cu-rativa in casi selezionati.

7.4 Chemioterapia dopo resezione radicaledi metastasi epatiche

La possibilità di integrare la resezione radicale di metastasi epatiche conchemioterapia “adiuvante” con 5FU è stata indagata da diversi studi senzagiungere a conclusioni definitive. I risultati più interessanti sono emersi dadue studi randomizzati che hanno dimostrato un vantaggio dalla combina-zione di chemioterapia intra-arteriosa associata a una chemioterapia siste-mica. Un singolo studio sembra evidenziare il vantaggio in DFS di untrattamento pre- e post-operatorio con regime FOLFOX rispetto alla sola chi-rurgia. Risultati negativi sono invece emersi dall’impiego del regime FOLFIRIdopo resezione R0.

7.5 Terapie locoregionaliChemioterapia locoregionaleNon vi è attualmente una chiara evidenza di una maggiore efficacia di que-sta via di somministrazione rispetto a quella sistemica.Seppure la percentuale di risposte cliniche osservata con l’impiego della te-rapia loco-regionale, in alcuni casi, sia più elevata di quella osservata con laterapia sistemica, l’impatto sulla sopravvivenza risulta essere marginale. La metodica è, inoltre, gravata da frequenti problemi “tecnici” legati all’im-piego di cateteri intrarteriosi e pompe infusionali. Tale trattamento devequindi essere riservato a casi selezionati o a studi clinici, in centri con ade-guato training. La chemioterapia intra-arteriosa può essere considerata nell’ambito di pro-tocolli di ricerca o in pazienti selezionati. Tale metodica deve essere effettuatada personale con adeguata preparazione.

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Un programma di follow up viene correntemente applicato nei pazienti conneoplasie del retto, ma non vi sono inequivocabili evidenze dell’efficacia diun regime particolarmente intensivo in termini di aumento di sopravvivenza,proporzione di pazienti ri-operati con intento curativo, QoL, anche se l’ormaiconsolidato trattamento combinato chemio-chirurgico dei pazienti oligome-tastatici favorisce sopravvivenza prolungate, tale da giustificare un FUP in-tensivo. Le principali finalità del follow-up sono: favorire una diagnosi direcidiva locale/metastasi in fase precoce, valutare e intervenire in caso ditossicità tardiva legata ai trattamenti integrati eseguiti, sorvegliare sull’in-sorgenza di neoplasie metacrone, offrire supporto psicologico ai pazienti(rassicurazione), in parte contrastato tuttavia dall’effetto opposto di ansiadell’esame; consentire l’ ‘audit’ (controllo di qualità) delle terapie effettuate. Gli obiettivi di un programma di follow-up sono rappresentati da:• identificazione precoce, in fase asintomatica, di recidive locali e/o di me-

tastasi a distanza, nonché di tumori primitivi metacroni;

• ottenimento di benefici in termini di sopravvivenza libera da malattia;• mantenimento di una buona QoL e compliance della popolazione sotto-

posta a follow-up;• accettabile rapporto costi-benefici.L’esigenza di coordinamento tra specialisti pone la necessità della costitu-zione di un gruppo interdisciplinare al quale far afferire i pazienti per la dia-gnosi ed il trattamento. In queste neoplasie, l’esigenza di coordinamento traspecialisti è particolarmente rilevante per il carattere multidisciplinare del-l’iter terapeutico di molti casi. Si pone, quindi, la necessità della costituzionedi un gruppo interdisciplinare al quale far afferire i pazienti per la diagnosied il trattamento. E’ consigliata, laddove possibile, la costituzione di tale gruppo con lo scopodi pianificare e verbalizzare le decisioni diagnostico-terapeutiche di ogni sin-golo paziente. In assenza di qualcuna delle figure coinvolte nella pianifica-zione terapeutica dovrebbe essere creata una consulenza sistematica con

Figura 3. Trattamento della malattia metastatica

Stadioclinico

Trattamentoprimario

Trattamento adiuvante

UPFRONT chemioterapiacombinata (2-3 mesi)FOLFIRI o FOLFOXo CapeOX ± agentibiologici

Qualsiasi Te N, M1

Metastasisincroneresecabili Resezione della lesione

rettale e delle metastasi

pT1-2, N0, M1

pT3-4, qualsiasi N, M1oQualsiasi T, N1-2, M1

Regime chemioterapico attivoper la malattia avanzata

Regime chemioterapico attivoper la malattia avanzata

Considerare 5FUic/RTocapecitabina/RT

Resezione concomitante della lesionerettale e delle metastasi

FOLFOX o capecitabina ± oxaliplatinopoi 5-FUic/RT o capecitabina/RT, poiFOLFOX o capecitabina ± oxaliplatino

5FUic/RTo capecitabina/RT

O

O

Considerare 5-FUic/RTo capecitabina/RT

O

Resezione della lesionerettale e delle metastasi

Resezione della lesionerettale e delle metastasi

8. Follow-up dei pazienti con neoplasia del retto

Il gruppo multidisciplinare (Core Team) della patologia neoplastica del retto ècomposta da un gruppo di professionisti di diverse specialità (oncologi medici,radioterapisti, gastroenterologi, chirurghi, anatomopatologi, endoscopisti e ra-diologi) accreditati come esperti della materia in funzione di:• comprovata esperienza in materia di patologia colorettale • numero di casi trattati per anno e tempo dedicato all’assistenza per que-

sta patologia• regolare partecipazione ad incontri interdisciplinari dedicati alla pianifica-

zione diagnostico-terapeutica dei singoli casi clinici• regolare aggiornamento professionale specifico e partecipazione ai pro-

grammi di assicurazione di qualità.

Professionisti componenti il “Core Team”• Un Direttore Clinico cui compete la responsabilità organizzativa del Core

Team. • Chirurghi dedicati, con formazione specifica. • Radiologi con comprovata esperienza nel campo della dell’“imaging” (Eco-

grafia, TAC, RM) addominale. • Patologo responsabile con formazione specifica nella diagnosi istologica

e citologica dei tumori del colon-retto e diagnostica molecolare.• Oncologo Medico con specifica esperienza nel campo dei tumori del colon-

retto.• Radioterapista Oncologo con specifica esperienza nel campo dei tumori del

retto.

• Gastroenterologo-endoscopista.• Psicologo con specifica formazione nel campo delle problematiche per-

sonali, familiari e sociali riferibili a pazienti con ca del colon-retto, in par-ticolare i colostomizzati.

• Un Data Manager responsabile della raccolta e dell’analisi di tutti i dati cli-nici. Tali dati dovranno essere disponibili per le sessioni periodiche di AuditClinico.

• Un Amministrativo per il supporto segretariale.

Professionisti che affiancano il “Core Team” ma che non ne fanno parte(c.d. Consulenti)• Infermiere esperto nella gestione delle colostomie• Terapista del dolore • Un genetista/consulente genetico• Rappresentante degli ammalati.Il Core team dovrà produrre percorsi diagnostico-terapeutici scritti per la ge-stione della malattia in tutti i suoi stadi. Periodicamente tali protocolli dovrannoessere ridiscussi e ove necessario collegialmente modificati. Il “Core Team”dovrà avere incontri settimanali multidisciplinari per la discussione di tutti icasi clinici e incontri periodici di Audit Clinico. A tal fine andranno identificatidegli indicatori di processo, di risultato e di qualità del servizio. L’attività di ri-cerca e l’attività didattica sono parte fondamentale della funzione dell’UnitàClinica ed il loro monitoraggio sarà oggetto di analisi nell’ambito delle riunionidi Audit clinico (tabella 2).

9. Dotazioni delle unità cliniche e volumi di attività per accreditamento e definizione di eccellenza

Tabella 1. Carcinoma del retto extraperitoneale

1° anno 2° anno 3° anno 4° anno 5° anno

Mesi 1 3 6 9 12 3 6 9 12 6 12 6 12 6 12

Anamnesi ed esame clinico x x x x x x x X X X

Markers (CEA, Ca19.9) x x x x x x x X X X

Rettoscopia x x x x x X X

Ecografia epatica x x x X X

Colonscopia x* x

TC torace/addome/pelvi x x x X X

RM (in caso di dubbio alla TC)

TC-PET con fdg (a giudizio del clinico)

*se non eseguita prima della chirurgiaN.B:La colonscopia va ripetuta dopo il terzo anno ogni 3 anni

• L’associazione di bevacizumab (anti-VEGF) alla chemioterapia con 5FUo capecitabina e Irinotecano o Oxaliplatino nei pazienti non pre-trattatiè superiore in termini di sopravvivenza rispetto alla sola chemioterapiae può essere considerata di prima scelta in pazienti senza controindi-cazioni. Bevacizumab in associazione alla chemioterapia può essere im-piegato in seconda linea nei pazienti che non lo abbiano impiegato inprima linea (livello evidenza II)

• Nei pazienti in buone condizioni generali, che sono in progressione dimalattia dopo un precedente trattamento chemioterapico, deve esseresempre preso in considerazione un trattamento di seconda linea (Livello

di evidenza I). • I regimi di associazione 5FU-oxaliplatino (FOLFOX) e 5FU-irinotecano

(FOLFIRI) possono essere utilizzati nel paziente anziano ultrasettantennedopo una valutazione multidimensionale che possa selezionare i sog-getti con buon performance status e con un attento monitoraggio delleeventuali tossicità (Livello di evidenza II).

• Lo stato mutazionale di K-Ras deve essere determinato ogni qualvolta lastrategia terapeutica preveda il possibile impiego di farmaci anti-EGFR.L’impiego di anti-EGFR è da evitare in tutti i pazienti K- Ras mutati (Li-vello di evidenza II).

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strutture dove tali competenze sono disponibili. La qualità del trattamentomigliora con l’aumentare del numero di pazienti gestiti. Di seguito (tabella 1) sono riportati gli schemi relativi agli esami consigliati

per il follow-up dei pazienti con cancro del retto: le indicazioni riportate sonobasate sulle linee guida delle principali società scientifiche aggiornate al2011 (NCI, AIOM, ESMO, ASCO, EURECA).

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie del retto

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Tabella 2. Requisiti minimi (fondo bianco) e criteri di eccellenza (fondo grigio)

Risorse/Procedure DisponibilitàNumero pazienti trattati nel 2010

Chirurgia: interventi chirurgici per neoplasie del retto in qualsiasi stadio, anche con intento non radicalePer l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati (*) e 1 dei 2 altri requisiti

Resezione anteriore, Amputazione addominoperineale, stomia derivativa

20

Resezione anteriore, Amputazione addominoperineale, stomia derivativa

50 *

Microchirurgia Endoscopica Transanale (TEM) Il trattamento può avvalersi di questa risorsa

Resezione laparoscopica Il trattamento può avvalersi di questa risorsa

Radioterapia Oncologica Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati (*) e 3 dei 5 altri requisiti

Trattamenti radioterapici con fasci esterni sul tumore primitivocon intento radicale o palliativo

15

Acceleratore lineare Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa

Simulazione con utilizzo di TC Idem

Piano di trattamento basato su immagini TC Idem

Immagini portali settimanali Idem

Sistemi di immobilizzazione o dislocamento Idem

DH Disponibilità di accesso

Trattamenti radioterapici con fasci esterni sul tumore primitivo con intento radicale o palliativo

35

Radioterapia conformazionale con collimatore multilamellare Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa

IMRT Il trattamento può avvalersi di questa risorsa

IGRT Idem

IORT Idem

DEGENZEDisponibilità posti letto sotto la responsabilità dell’oncologo radioterapista

Oncologia Medica Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati (*) e l’altro requisito

DH 25

DH 50 *

DegenzeDisponibilità posti letto sotto la responsabilità dell’oncologo medico

Radiodiagnostica Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati in 3 dei 5 esami

Eco transrettale (sonda radiale ad alta frequenza)Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa secondo quantoindicato nel documento sulla appropriatezza

15

TC multistrato (≥4 strati) Idem 15

RM ad alto campo con bobine “phased-array” (almeno 4 canali) Idem 15

Eco transrettale (sonda radiale ad alta frequenza) Idem 40

TC multistrato (≥16 strati); post-processing per l’analisi volu-metrica e di perfusione

Idem 40

RM ad alto campo con bobine “phased-array” (>4 canali); di-sponibilità di sequenze volumetriche e DWI; post-processing perl’analisi volumetrica, di diffusione e di perfusione

Idem 40

TAC PET La diagnostica può avvalersi di questa risorsa

RM > 3 Tesla Idem

Risorse/Procedure DisponibilitàNumero pazienti trattati nel 2010

Anatomia Patologica Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati (*) e l’altro requisito

Refertazione secondo linee guida validate 20

Refertazione secondo linee guida validate 50 *

Laboratorio di biologia molecolare La diagnostica può avvalersi di questa risorsa

Gastroenterologia Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati (*) e 1 dei 2 altri requisiti

Videoendoscopia 20

Videoendoscopia 50 *

Mucosectomia e dissezione sottomucosa endoscopica Il trattamento può avvalersi di questa risorsa

Ecoendoscopia La diagnostica può avvalersi di questa risorsa

Procedure Per l’eccellenza è necessario soddisfare 2 dei 3 requisiti

Prima visita specialistica 1 settimana dalla diagnosi

Completamento stadiazione 3 settimane dalla prima visita specialistica

Programmazione terapeutica tramite Gruppo Oncologico Multidisciplinare

La gestione del paziente si avvale di questa risorsa

Inizio terapia 4 settimane dalla prescrizione del gruppo multidisciplinare

Inizio terapia 2 settimane dalla prescrizione

Prenotazione Esami Diagnostici centralizzata La diagnostica può avvalersi di questa risorsa

Follow-up tramite Gruppo Oncologico Multidisciplinare La gestione del paziente può avvalersi di questa risorsa

Attività Scientifica Per l’eccellenza è necessario 3 dei 6 requisiti

Disponibilità data center

Pubblicazioni

Pubblicazioni su Riviste Scientifiche sul ca del retto Presenza di pubblicazione nell’anno

Libri o Capitoli di libri sul ca del retto Idem

Abstract in Congressi sul ca del retto Idem

Presentazioni a Congressi e Corsi

Relazioni, comunicazioni Presenza di pubblicazione nell’anno

Materiale audiovisivo scientifico Idem

* Per ottenere l’eccellenza un Centro deve soddisfare i criteri indicati in 6 degli 8 aspetti presi in considerazione.

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10. Bibliografia

Pagina 148 Pagina 149

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie del retto

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori del rene

Criteri di appropriatezza clinicaed organizzativa nella diagnosi,

terapia e follow-updei tumori del rene

Coordinatore: M. Milella

P.F. Bassi, E. Sacco, G. Schinzari, A. Tubaro, A. Aschelter, E. Cortesi, G. D’Elia, C. Sternberg, G. Vespasiani, P. Bove, R. Longo, M. Buscarini, G. Tonini, M. Gallucci, G. Simone,

R. Papalia, M. Milella, S. Sentinelli, E.M. Ruggeri, S. Tomao, P. De Carli, V. Panebianco, P. Berloco, A. D’Angelo

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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1. Introduzione

2.1 Fattori di rischio e screeningNel periodo 1998-2002 il tumore del rene (con questo termine si includonoanche i tumori della pelvi renale, dell’uretere e dell’uretra) ha rappresentatoil 3,2% del totale delle diagnosi tumorali nei maschi e il 2,1% nelle femmine;in termini di mortalità ha rappresentato il 2,5% del totale dei decessi neo-plastici nei maschi e l’1,8% nelle femmine. Nell’area AIRT sono stati diagnosticati in media ogni anno 25,2 casi di tumoredel rene ogni 100.000 uomini (21,0 casi di tumore del rene, 1,7 dell’uretra,1,2 della pelvi e 1,3 dell’uretere) e 12,9 ogni 100.000 donne (11,2 casi di tu-more del rene, 0,7 dell’uretra, 0,6 della pelvi e 0,4 dell’uretere). Le stime per l’Italia indicano un totale di 5.568 nuovi casi diagnosticati ognianno tra i maschi e 2.639 tra le femmine, mentre per quanto riguarda lamortalità nel 2002 si sono verificati 2.052 decessi per tumore del rene tra gliuomini e 1.133 tra le donne. Il rischio di avere una diagnosi di tumore delrene nel corso della vita (fra 0 e 74 anni) è di 16,2‰ fra gli uomini (1 casoogni 62 uomini) e di 6,8‰ fra le donne (1 caso ogni 148 donne), mentre ilrischio di morire è di 4,7‰ per gli uomini e di 1,6‰ per le donne. I tassi di incidenza variano considerevolmente nel nostro paese con un rap-porto fra i valori più alti e quelli più bassi (rilevati nel Sud Italia) attorno a 3. L’incidenza del tumore del rene è in crescita nel corso del tempo, forse ancheper una migliorata possibilità di diagnosi anticipata grazie all’imaging dia-gnostico, mentre la mortalità è in riduzione. Fumo e obesità sono da considerarsi i principali fattori di rischio, particolar-mente negli uomini di età compresa tra 50 e 65 anni. Tuttavia, allo stato attuale non vi sono sufficienti dati a supporto di programmidi screening nella popolazione generale.(Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN)

2.2 Approccio diagnostico al paziente con massarenale di riscontro occasionale

Nella caratterizzazione di masse renali indeterminate di riscontro occasio-nale, sia la TC che la RM con mdc sono da considerarsi appropriate; eco-grafia e RM senza mdc possono essere considerate adeguate per lacaratterizzazione di lesioni cistiche benigne visualizzate con altre metodichecome reperto occasionale o nei pazienti con insufficienza renale e controin-dicazioni alla somministrazione di mdc e.v. (vedi anche Appendici 3.2 e 3.4). (Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN, ACR)

3. Approccio diagnostico al paziente con ematuriaL’uro-TC è da considerarsi l’esame di scelta nella valutazione dell’ematuriain tutti i soggetti, fatta eccezione per i pazienti con nefropatie mediche o gio-vani donne con cistite emorragica, nei quali l’ecografia può essere conside-rata appropriata; tuttavia, nella caratterizzazione delle masse renali, l’uro-TCha un ruolo molto limitato, per cui nei casi ematuria con riscontro ecograficodi massa renale si raccomanda di seguire l’algoritmo precedente.(Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN, ACR)

4. Stadiazione e diagnosi istologicaLa TC (o RM) con mdc dell’addome superiore ed inferiore e la TC del to-race (con o senza mdc) sono gli esami di scelta per il corretto inquadra-mento stadiativo delle neoplasie renali; l’esame ecocontrastografico puòessere considerato nei pazienti con insufficienza renale. TC o RM del cranio,scintigrafia ossea e PET/TC total body sono da riservare a condizioni di so-

2. Algoritmi presi in esame

Lo scenario della diagnosi, stadiazione e trattamento dei tumori renali è ra-dicalmente cambiato negli ultimi dieci anni. Da un lato la diffusione degliesami ecografici ha portato ad un incremento della diagnosi di forme precociasintomatiche (incidentalomi), dall’altro lo sviluppo di farmaci interferenticon l’asse HIF/VEGF e con il pathway di mTOR, i due principali meccanismimolecolari alla base della cancerogenesi renale, ha completamente rivolu-zionato il panorama del trattamento medico delle forme avanzate. Ciò causa trends apparentemente opposti nella gestione di questi pazienti:da un lato lo sviluppo di una chirurgia sempre più conservativa e meno in-vasiva nelle forme precoci, che però richiede un elevato grado di esperienza(rispetto alla tradizionale nefrectomia open) e quindi la centralizzazione delleprocedure presso centri altamente specializzati; dall’altro la diffusione ditrattamenti, somministrabili per lo più per via orale, per la malattia avanzatache, unitamente all’incremento della sopravvivenza dei pazienti ed alla di-sponibilità di molteplici linee di trattamento, tende a spostare la gestione delpaziente metastatico (prima appannaggio di pochi centri altamente specia-lizzati con esperienza nella somministrazione di schemi contenenti IL-2)verso il territorio.

Questa rapida evoluzione degli scenari scientifici, legislativi e gestionali rap-presenta un reale challenge e richiede un processo di continuo ripensamento,adattamento e verifica. L’intento del presente documento è quello di costituire un punto partenzaper questo processo, cercando di stabilire quali sono, ad oggi, gli scenari egli approcci condivisi e quelli più controversi. Per tale motivo, l’impostazioneè estremamente sintetica e pragmatica e si basa, non tanto sull’analisi det-tagliata della letteratura scientifica, quanto sulla revisione e confronto di do-cumenti di indirizzo (linee guida nazionali ed internazionali), che in qualchemodo traducono l’evidenza scientifica in raccomandazioni di comportamentoclinico di utilizzo quotidiano, tenendo conto anche della realtà legislativa delnostro Paese, che costituisce comunque un elemento di indirizzo importantedella pratica clinica corrente. Si è ritenuto, altresì, utile fornire, in una sintetica appendice al documento,alcune indicazioni sulla gestione del paziente nefropatico e/o dializzato (con-dizione frequente nei pazienti affetti da carcinoma renale) sia per quanto ri-guarda la gestione delle terapie farmacologiche sia per quanto riguarda lapianificazione ed esecuzione di esami contrastografici.

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INDICE

1. Introduzione Pagina 3

2. Algoritmi presi in esame 2.1 Fattori di rischio e screening2.2 Approccio diagnostico al paziente con massa renale di riscontro occasionale 2.3 Approccio diagnostico al paziente con ematuria2.4 Stadiazione e diagnosi istologica 2.5 Terapia chirurgica degli stadi precoci2.6 Terapia chirurgica degli stadi localmente avanzati, non metastatici2.7 Terapia chirurgica della malattia metastatica2.8 Terapie loco-regionali in pazienti con controindicazioni alla chirurgia2.9 Follow up del paziente operato per neoplasia renale2.10 Terapia sistemica adiuvante e neoadiuvante2.10 Terapia sistemica di I linea2.12 Terapia sistemica di II linea2.13 Linee di trattamento successive alla II2.14 Trattamento sistemico dei tumori non a cellule chiare

3. Appendici3.1 Considerazioni sull’utilizzo di specifici farmaci a bersaglio molecolare nel pa-ziente nefropatico3.2 Insufficienza renale acuta indotta da mezzo di contrasto (CIN)3.3 Stadiazione dei tumori renali (TNM 2009)3.4 Requisiti minimi e di eccellenza relativi alla diagnosi ed al trattamento dei tu-mori renali (Radiologia diagnostica ed interventistica e Medicina Nucleare) 3.5 Requisiti minimi e di eccellenza relativi alla diagnosi ed al trattamento dei tu-mori renali (Urologia)3.6 Requisiti minimi e di eccellenza relativi alla diagnosi ed al trattamento dei tu-mori renali (Anatomia Patologica)3.7 Requisiti minimi e di eccellenza relativi alla diagnosi ed al trattamento dei tu-mori renali (Oncologia Medica)3.8 Requisiti minimi e di eccellenza relativi alla diagnosi ed al trattamento dei tu-mori renali (Radioterapia)

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori del reneRETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori del rene

2.9 Follow-up del paziente operato per neoplasia renale

La valutazione nel tempo della funzionalità renale residua si basa sui daticlinico-anamnestici e sul dosaggio della creatinina sierica. L’impiego del-l’imaging è da riservare a casi selezionati, in cui esiste un fondato sospettodi complicanze. Per quanto riguarda il follow-up oncologico, bisognerebbe scoraggiare i pa-zienti da un monitoraggio particolarmente intenso, così come l’utilizzo rou-tinario di metodiche non validate in questo setting (ad esempio PET/TC totalbody), a meno che il paziente non ricada in una categoria a intermedio/altorischio di metastatizzazione o non sussistano specifici dubbi diagnostici. Ilfollow-up del paziente trattato per neoplasia renale andrebbe individualiz-zato in base al profilo di rischio ed al tipo di procedura chirurgica o ablativaeffettuata. La TC con mdc del torace e dell’addome costituisce l’esame discelta ed andrebbe effettuata a 4-6 mesi dal trattamento primario e con pe-riodicità variabile in base al profilo di rischio successivamente; Rx o TC senzamdc del torace e RM dell’addome possono essere considerate in alterna-tiva; PET e scintigrafia ossea possono essere utili nell’identificazione e ca-ratterizzazione di eventuali lesioni ossee comparse in corso di follow-up.(Raccomandazione supportata da LG: NCCN, ACR)

2.10 Terapia sistemica adiuvante e neoadiuvanteI dati oggi disponibili, ancorché ottenuti prevalentemente con citochine (IL-2/IFN), farmaci ormonali o protocolli vaccinali, piuttosto che con farmaci abersaglio molecolare oggi di uso comune nella malattia avanzata, non sup-portano l’uso di una terapia sistemica adiuvante o neoadiuvante, che an-drebbero utilizzate esclusivamente nell’ambito di studi clinici controllati.Tale concetto si applica anche alla terapia sistemica ‘neoadiuvante’, alla ne-frectomia citoriduttiva ed alla terapia sistemica ‘adiuvante’ alla chirurgia ra-dicale nel paziente con metastasi sincrone.(Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN)

2.11 Terapia sistemica di I lineaLa scelta terapeutica di I linea si basa essenzialmente sulla valutazione delrischio secondo i criteri del MSKCC. Varie modificazioni del modello progno-stico di Motzer, inclusa quella proposta da Heng et al., maturata su una ca-sistica di pazienti trattati con agenti a bersaglio molecolare, che introduce inaggiunta ai classici fattori prognostici anche la neutrofilia e la piastrinosi,sono state sviluppate per meglio riflettere l’impatto delle terapie a bersagliomolecolare; tuttavia, poiché gli studi randomizzati che hanno condotto alla re-gistrazione dei farmaci attualmente in uso sono stati condotti utilizzando lastratificazione prognostica del MSKCC, si ritiene che l’utilizzo dei criteri ori-ginali di Motzer sia ancora la guida più affidabile per la pianificazione delpercorso terapeutico del paziente affetto da carcinoma renale avanzato. Premesso che per alcuni pazienti altamente selezionati (malattia indolente,tumor burden limitato, metastasi esclusivamente polmonari, eccellente PS,giovane età ed assenza di comorbidità) rimane una possibile indicazione altrattamento con HD-IL2/IFN od, all’estremo opposto, ad un atteggiamentodi sorveglianza attiva, 4 farmaci hanno ad oggi dimostrato di essere supe-riori ad IFN (o a placebo, nel caso di Pazopanib) come trattamento di I lineadel carcinoma renale metastatico:Pazienti a rischio basso/intermedio:• bevacizumab/IFN• sunitinib• pazopanib.

Pazienti ad alto rischio (≥3 su 6 fattori di rischio secondo i criteri di Motzermodificati):• Temsirolimus.L’utilizzo di sorafenib come trattamento di I linea è un’opzione possibile inpazienti non candidati a trattamento con citochine, ma non supportata dal-l’evidenza nel contesto della I linea di trattamento. Si raccomanda altresì,ove possibile, l’inclusione dei pazienti in studi clinici.(Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN)

2.12 Trattamento sistemico di II lineaPer i pazienti progressivi dopo un trattamento di I linea si raccomanda, ovepossibile, l’inclusione in studi clinici. La scelta terapeutica evidence-baseddipende dal tipo di trattamento ricevuto in I linea:Pazienti pretrattati con citochine:• sorafenib• pazopanib.Pazienti pretrattati con anti-VEGF:• everolimus.(Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN)Evidenze di grado largamente inferiore e provenienti da piccole casistichenon randomizzate (e in molti casi retrospettive) suggeriscono che non vi ècompleta cross-resistenza tra i diversi agenti anti-VEGF, rendendo perciò ra-gionevole l’utilizzo di un secondo VEGF-TKI dopo Bevacizumab/IFN, Sunitinibo Sorafenib. Sunitinib e Temsirolimus hanno attività documentata, ma nonsupportata da studi randomizzati, anche dopo trattamento di I linea con ci-tochine.(Raccomandazione supportata da LG: NCCN)

2.13 Linee di trattamento successive alla IIPer i pazienti progressivi dopo un trattamento di I e II linea si raccomanda,ove possibile, l’inclusione in studi clinici. Everolimus ha dimostrato, in unostudio randomizzato di fase III, di essere superiore al placebo anche in pa-zienti trattati con più linee di terapia e risulta pertanto l’unico agente indicatoin questo tipo di situazione clinica. Evidenze provenienti da piccole casisti-che non randomizzate (e in molti casi retrospettive) suggeriscono che non viè completa cross-resistenza tra i diversi agenti anti-VEGF, rendendo perciòragionevole anche l’utilizzo di un VEGF-TKI non somministrato nelle prece-denti linee di trattamento.

2.14 Trattamento sistemico dei tumori non a cellule chiare

Nei pazienti con carcinoma renale di tipo papillare di tipo I e II, cromofobo edaltre varietà istologiche rare (escluse le forme sarcomatoidi ed il carcinomadei dotti di Bellini) si raccomanda l’inclusione in studi clinici. Nei pazienticon almeno 3/6 fattori di rischio (secondo il MSKCC score modificato) è in-dicato l’utilizzo di temsirolimus. L’utilizzo di VEGF TKI rappresenta una scelta alternativa ragionevole, ancor-ché non supportata da evidenze di livello elevato.Sopratutto nelle forme cromofobe, la chirurgia della malattia metastaticaandrebbe sempre presa in considerazione se tecnicamente perseguibile conintento radicale ed in assenza di controindicazioni mediche o chirurgiche.Le forme sarcomatoidi sono ritenute una variante/evoluzione delle altreforme istologiche (cellule chiare, papillare, etc.) ed andrebbero trattate se-condo l’algoritmo terapeutico della forma di base (tenendo conto dell’im-

Pagina 154

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

spetto clinico e non sono indicate nella routine stadiativa dei tumori renali.(Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN, ACR)

La biopsia renale è ritenuta utile in casi selezionati e dinanzi a determinatidubbi diagnostici (lesioni renali < 3 cm, possibile benignità della lesione re-nale, massa renale in paziente con tumore extrarenale pregresso o sincrono,sospetto linfoma renale, etc) e nei tumori metastatici, nei quali l’indicazionealla nefrectomia può essere discutibile.(Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN)

Una corretta definizione dell’istotipo appare oggi di fondamentale impor-tanza per la definizione prognostica ed una corretta scelta terapeutica; l’usodi pannelli immunoistochimici rende più agevole la diagnostica differenziale.I tipi istologici più comuni comprendono il carcinoma a cellule chiare (anchedefinito “convenzionale”), i carcinomi papillari (suddivisi in tipo I e II) ed il car-cinoma cromofobo. Il carcinoma dei dotti collettori è da considerare un isto-tipo a sé stante con variante e sottotipi esibenti morfologia e prognosi diverse.Il grading di Fuhrman, articolato in 4 gradi e basato sulle dimensioni del nu-cleo e la forma e la prominenza del nucleolo, rimane un parametro consoli-dato e universalmente accettato; è necessario, tuttavia, ribadire che il suovalore è limitato al carcinoma a cellule chiare e non agli altri istotipi. La pre-senza di componente sarcomatoide rappresenta un fattore prognostico ne-gativo consolidato e può essere presente in tutti gli istotipi. (Raccomandazione supportata da LG: EAU)

Il sistema TNM, versione 2009 (Appendice 3.3), è raccomandato per la sta-diazione e la valutazione prognostica.(Raccomandazione supportata da LG: EAU)

2.5 Terapia chirurgica degli stadi precociIl trattamento chirurgico rappresenta il gold standard nell’ambito della ma-lattia localizzata e le indicazioni alla chirurgia conservativa sono in grandemaggioranza condivise. La nefrectomia radicale è stata a lungo sovrautiliz-zata nel trattamento delle neoplasie renali in stadio clinico cT1. L’evidenzadi un incremento della morbilità cardiovascolare legata all’insorgenza di unainsufficienza renale post nefrectomia radicale impone la chirurgia conser-vativa per neoplasie in questo stadio clinico, purché completamente rese-cabili, anche in presenza di un rene controlaterale sano (vedi ancheAppendice 3.5). Un aspetto controverso sul piano tecnico chirurgico riguardal'eventuale definizione del margine minimo di parenchima renale sano chedovrebbe essere asportato contemporaneamente al tumore primitivo. Seb-bene le linee guida non approfondiscano questo punto, negli ultimi anni que-sto è stato argomento di confronto nell'ambito della comunità urologica. Icanoni inizialmente condivisi dalla comunità urologica prevedevano che con-testualmente al tumore primitivo dovesse essere asportato anche un cer-cine di parenchima sano di 1 cm. Successivamente venne proposto che talemargine di sicurezza potesse essere ridotto a 0,5 cm prima e a 0,1 cm dopo.A questo propostio, dati recenti provenienti da casistiche europee includenticomplessivamente > 700 pazienti indicano un impatto marginale della pre-senza di margini chirurgici positivi sul rischio di recidiva e nessun impattosulla sopravvivenza cancro-specifica. Nelle forme localizzate di carcinoma acellule renali convenzionale in stadio 1 (dimensioni della massa ≤ 7 cm, li-mitata al rene) le tecniche di nefrectomia nephron-sparing (NNS) sono oggida considerarsi il gold standard. Pertanto, per i tumori renali solitari e loca-lizzati (T1a/b) la NSS dovrebbe sempre essere eseguita come trattamentoprimario. Un minimo margine chirurgico istologicamente esente da patolo-gia successivo alla rimozione parziale di un carcinoma a cellule renali con-venzionale localizzato è oggi considerato sufficiente per evitare recidivelocali. Viceversa, per lesioni di dimensioni > 7 cm trattate con NSS o in pre-

senza di positività dei margini esiste un rischio più elevato di recidive localiintrarenali, anche se ciò non sembra impattare in modo significativo sullasopravvivenza cancro-specifica. In mani esperte, la chirurgia laparoscopicaè un’alternativa alla chirurgia open nei tumori renali T1-T2.Fatta eccezione per gli angiomiolipomi, le altre forme meno comuni di tumorerenale dovrebbero essere trattate come il carcinoma a cellule renali con-venzionale; le cisti di Bosniak tipo III e gli angiomiolipomi > 4 cm possono es-sere parimenti trattati con NSS.(Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN)

2.6 Terapia chirurgica degli stadi localmente avanzati, non metastatici

La nefrectomia radicale rimane l’approccio standard nei tumori renali dallostadio II in poi; la linfoadenectomia è considerata opzionale, ma è racco-mandata in tutti i casi con sospetto coinvolgimento linfonodale all’imagingpre- od intra-operatorio.(Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN)

2.7 Terapia chirurgica della malattia metastaticaLa nefrectomia radicale è indicata nei casi di tumore renale con metastasisincrona unica in associazione alla chirurgia radicale sul sito metastatico.(Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN)

La chirurgia radicale sul sito metastatico è altresì appropriata in pazienti conmetastasi unica (sincrona o metacrona) od in pazienti altamente selezionaticon malattia oligometastatica (sincrona o metacrona) suscettibile di chirur-gia radicale, in particolare in pazienti responsivi ad un precedente tratta-mento immunoterapico.(Raccomandazione supportata da LG: EAU)

La nefrectomia citoriduttiva prima del trattamento sistemico è da conside-rarsi appropriata in pazienti metastatici selezionati con buon performancestatus e senza controindicazioni chirurgiche, in particolare in pazienti po-tenzialmente candidati a trattamento immunoterapico; in questi casi, l’in-clusione in studi clinici controllati è fortemente raccomandata.(Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN)

2.8 Terapie loco-regionali in pazienti con controindicazioni alla chirurgia

Indicazioni a trattamenti mini-invasivi includono: lesioni piccole, esofitiche,incidentali nel paziente anziano, pazienti con predisposizione genetica a tu-mori renali multipli, pazienti con rene solitario o con tumore bilaterale, lad-dove sussitano rischi chirurgici elevati per procedure radicali open olaparoscopiche. Controindicazioni alle tecniche citate sono invece: aspetta-tiva di vita inferiore ad 1 anno, la presenza di metastasi multiple ovvero sedee dimensioni del tumore non adeguati a garantire la riuscita del trattamento.In generale tumori > 5 cm o localizzati a livello dell’ilo renale, dell’uretereprossimale o del sistema collettore non sono raccomandabili per un’abla-zione con radiofrequenza. Controindicazioni assolute sono una coagulopatiairreversibile o condizioni mediche che determinino una severa instabilità,come la sepsi. Le tecniche mini-invasive più utilizzate sono: ablazione del tu-more mediante radiofrequenze, crioterapia, microonde, laser o ultrasuoni fo-calizzati ad alta intensità (HIFU). L’esecuzione di queste tecniche prevede,comunque, l’ottenimento di una diagnosi isto/citologica di natura ed an-drebbe preferita nell’ambito di studi clinici controllati.(Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN)

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3.1 Considerazioni sull’utilizzo di specifici farmaci a bersaglio molecolare nel paziente nefropatico

I pazienti affetti da carcinoma renale presentano con elevata frequenza unacondizione di insufficienza renale subclinica, in parte legata all’asportazionechirurgica di una cospicua quota di parenchima renale ed in parte legata amalattie renali preesistenti, e, in una percentuale minore ma non trascura-bile di casi, una condizione di franca insufficienza, tale da richiedere un trat-tamento dialitico. Entrambe queste condizioni, unitamente alla possibilitàche alcuni dei farmaci utilizzati abbiano di per sé un effetto nefrotossico,pongono un problema nella scelta dei farmaci e nella gestione della terapia. Nonostante i dati di letteratura su questo argomento siano frammentari enon esistano raccomandazioni specifiche nelle linee guida nazionali ed in-ternazionali, abbiamo ritenuto opportuno riportare alcune considerazioni sul-l’utilizzo di specifici farmaci in una condizione di insufficienza renale:1) Bevacizumab: il suo utilizzo può essere complicato da proteinuria (21-

63% dei pazienti), raramente nefrosica (< 2%). I fattori associati a questa evenienza e alla severità della proteinuria sonosconosciuti. Sono stati riportati casi rari di glomerulonefrite proliferativa e di insuffi-cienza renale acuta. Raccomandazioni:• esame periodico delle urine per controllo proteinuria• sospensione temporanea della somministrazione per proteinuria>2g/24h

• sospensione definitiva della somministrazione per proteinuria>3g/24h

• non richiesto aggiustamento posologico nell’insufficienza renale.2) Sunitinib: Ancorché non descritto con particolare frequenza negli studi

clinici sin qui condotti, la comparsa di proteinuria può complicare l’uti-lizzo di Sunitinib ed andrebbe periodicamente monitorizzata. La farma-cocinetica e la sicurezza del sunitinib sono state valutate in un piccolonumero di pazienti con insufficienza renale. La farmacocinetica è risul-tata inalterata in pazienti con GFR > 42 ml/min. Limitati case reports delsuo utilizzo in pazienti con carcinoma renale in emodialisi riportano l’ef-ficacia del farmaco. I dati ottenuti non suggeriscono la necessità di unariduzione delle dosi anche nei pazienti con insufficienza renale severao in dialisi.

3) Sorafenib: ancorché non descritto con particolare frequenza negli studiclinici sin qui condotti, la comparsa di proteinuria può complicare l’uti-lizzo di Sunitinib ed andrebbe periodicamente monitorizzata. Uno studioin fase 1 sulla sicurezza e farmacocinetica in vari gradi di insufficienzarenale indica le dosi empiriche da somministrare nei vari gradi di fun-zionalità renale, basati sulla tolleranza del paziente:a) Insufficienza renale lieve (GFRr 40-59 mL/min): 400 mg 2 volte al dìb) Insufficienza renale moderata (GFRr 20-39 mL/min): 200 mg 2 volte aldì

c) Insufficienza renale severa (GFRr <20 mL/min): dati insufficienti a de-finire la dose d) Emodialisi: 200 mg una volta al dì.Altri dati, invece, non suggeriscono grossolane differenze in termini difarmacocinetica e tollerabilità nei pazienti con insufficienza renale severao in dialisi e non supportano la necessità di una riduzione delle dosi inqueste fattispecie cliniche.

4. Pazopanib: non è richiesto alcun aggiustamento posologico in caso di in-sufficienza renale.

5. Temsirolimus: pochi studi in letteratura. Minima eliminzione renale(<5%) per cui non è richiesto aggiustamento posologico nell’insuffi-cienza renale. Non ci sono studi in pazienti in emodialisi, anche se l’espe-rienza clinica suggerisce la possibilità di utilizzare il farmaco a dosaggistandard.

6. Everolimus: può causare proteinuria in particolare se utilizzato ad altedosi o associato a ciclosporina. Lievi aumenti della creatininemia sono stati osservati in corso di terapiaper carcinoma renale.

7. Interferone: può causare proteinuria nefrosica per comparsa di glome-rulonefrite a lesioni minime. Rari casi di microangiopatia trombotica.

3.2 Insufficienza renale acuta indotta da mezzo di contrasto (CIN)

La presenza di un quadro di insufficienza renale, più o meno conclamato,pone anche alcune limitazioni relative all’uso di mezzi di contrasto (mdc) ra-diologici. L’utilizzo del mezzo di contrasto (mdc) a scopi diagnostico-terapeutici può,di per sé, indurre una insufficienza renale acuta da mezzo di contrasto(CIN) con quadro clinico variabile da incrementi relativamente modesti dellacreatininemia fino a gradi severi di compromissione renale in pazienti conuno o più fattori di rischio. E’ quindi opportuno identificare il paziente a rischio e pianificare la tipologiae il numero delle indagini contrastografiche.Definizioni:• Aumento della creatininemia di 0.5 mg/dl in pazienti con creatininemia

basale inferiore a 2 mg/dl• Aumento della creatininemia basale di almeno il 25%• Diminuzione del GFR più del 25%Caratteristiche:• Aumento della creatininemia nel 2- 3 giorno dopo infusione del mdc• Ritorno ai valori di normalità in 2 settimaneIncidenza: In circa il 15% delle indagini contrastografiche, anche se è riportata in let-teratura ampia variabilità per la mancanza di univoca valutazione prospetticao retrospettiva dell’incidenza e delle caratteristiche della procedura diagno-

3. Appendice

3.3 Stadiazione dei tumori renali (TNM 2009 e confronto con la precedente versione del 2002)

T (tumore primitivo) 2002 2009*

TxT0T1T1aT1b

Tumore primitivo non misurabileTumore primitivo non dimostrabileTumore limitato al rene, ∅ max ≤ 7 cmTumore limitato al rene, ∅ max ≤ 4 cmTumore limitato al rene,∅ max > 4 cm ≤7 cm

IdemIdem

Idem

T2T2aT2b

Tumore limitato al rene, ∅ max < 7 cm--

Idem∅ max >7 cm ≤ 10cm∅ max >10 cm

T3

T3a

T3b

T3c

Tumore esteso alle vene maggiori, invasione diretta dellaghiandola surrenale o del grasso perirenale, ma non oltre lafascia di Gerota.Invasione diretta della surrenale o del grasso perirenale(compresa l’invasione del seno renale).Invasione delle vene renali e delle loro diramazioni e dellavena cava sottodiaframmatica.Invasione macroscopica della vena cava o della sua parete aldi sopra del diaframma

Tumore esteso alle vene maggiori o invasione del grasso peri-renale, ma non della ghiandola surrenale omolaterale e nonoltre la fascia di Gerota.Invasione delle vene renali e delle loro diramazioni o delgrasso perirenale (compresa l’invasione del seno renale).Invasione della vena cava sottodiaframmatica.

Invasione della vena cava sopradiaframmatica o invasionemacroscopica della parete venosa.

T4 Invasione oltre la fascia di Gerota Invasione oltra la fascia di Gerota (compresa l’invasione percontinuità della ghiandola surrenale omolaterale).

N (linfonodi regionali)NxN0N1N2

Linfonodi regionali non valutabiliLinfonodi regionali assentiMetastasi in 1 linfonodo regionaleMetastasi in >1 linfonodo regionale

IdemIdemIdemIdem

M (metastasi a distanza)MxM0M1

Metastasi a distanza non valutabiliMetastasi a distanza assentiMetastasi a distanza presenti

IdemIdemIdem

Stadiazione TNMStadio IStadio IIStadio III

Stadio IV

T1; N0; M0T2; N0; M0T3; N0; M0T1-3; N1; M0T4; N0-1; M0Qualsiasi T; N2; M0Qualsiasi T; qualsiasi N; M1

IdemIdemIdem

Idem

Adattato da Gasbarrini G, Trattato di Medicina Interna, Capitolo 255: I Tumori del Rene

patto prognostico sfavorevole della presenza di una componente sarcoma-toide significativa). Unicamente per la variante sarcomatoide del carcinomaa cellule chiare, può essere considerata la chemioterapia con gemcita-bina/doxorubicina.

(Raccomandazione supportata da LG: NCCN)

Nel carcinoma dei dotti collettori (di Bellini) la chemioterapia con cispla-tino/gemcitabina o carboplatino/paclitaxel è considerata l’approccio stan-dard.

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stica.Stratificazione del rischio di CIN sulla base del GFR:• GFR > 60 ml/min: rischio estremamente basso , non necessaria profi-

lassi• GFR 30 - 60 ml/min: rischio basso-moderato• GFR < 30 ml/min: rischio altoMisure preventive per pazienti a rischio basso-moderato e alto:• Sospendere o evitare, se possibile, farmaci nefrotossici e metformina

48 ore prima della somministrazione del mdc• Sospendere diuretici il giorno dell’esame e il precedente• Non iniziare terapia o variare dosi di ACE-inibitori nel periodo immedia-

tamente precedente o successivo alla somministrazione del mdc• Infusione del mdc con un intervallo di almeno 7 gg da una chemiotera-

pia• Utilizzare mdc iodati a bassa osmolarità o iso-osmolari• MDC a dosi inferiori a 30 ml per esami diagnostici

Idratazione:• Nei pazienti con GFR > 60 ml/min con più fattori di rischio si può con-

siderare idratazione ev• Nei pazienti con GFR fra 60 e 30 ml/min idratazione

- per os: 500 cc di acqua o soluzione salina (citrosodina 3 buste in 500ml) il giorno prima e la mattina dell’esame. L’assunzione di liquidi do-vrebbe essere proseguita nelle 24 ore successive oppure, in particolarese coesistono altri fattori di rischio,- ev: Na Cl 0,9% 1 ml/Kg/ora da almeno 2 ore prima fino a 6-12 oredopo iniezione del mdc

• Nei pazienti con GFR < 30 ml/min idratazione ev con:- NaHCO3 1,4% 3 ml/kg/ora per 1 ora prima della procedura; dopo laprocedura continuare per 6 ore ad 1 ml/kg/ora, oppure- NaCl 0.9% 1 ml/Kg/ora da almeno 2 ore prima ma preferibilmente 6-12 ore prima e continuata per 6-12 dopo. La durata dell’infusione do-vrebbe essere proporzionale al danno renale.

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori del rene

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3.4 Requisiti minimi e di eccellenza relativi alla diagnosi ed al trattamento dei tumori renali(Radiologia Diagnostica ed Interventistica e Medicina Nucleare)

Tipologia Requisiti minimi Requisiti d’eccellenza

Rx Torace X X

Ecografia Apparecchio con sonda addominaleconvex multifrequenza e Color-Doppler

Apparecchio con sonda addominaleconvex multifrequenza e possibilità dielaborazione delle immagini sulla II armonica per utilizzo di mdc; Color-Doppler

TC Tecnologia multistrato; scan time: ≤ 2sec; minimum slice thickness: ≤ 2 mm;interscan delay: 1 sec; limiting spatialresolution: ≥ 8 lp/cm for ≥ 32 cm displayfield of view (DFOV) and ≥ 10 lp/cm for< 24 cm DFOV; elaborazione 3D delleimmagini

Tecnologia multistrato (a partire da 16strati per studi di perfusione TC); consolle di elaborazione 3D delle imma-gini e software dedicato pervalutazione qualitativa e quantitativadella perfusione renale

RM 1.5 Tesla; bobina di superficie multicanale (almeno 4); software per sequenze morfologiche, da acquisireanche durante somministrazione dinamica ev di mdc e AngioRM; elaborazione 3D delle immagini

1.5 o 3 Tesla; bobina di superficie multicanale (almeno 8), con uso di parallel imaging; software completo disequenze morfologiche, AngioRM e tecniche funzionali da acquisire siasenza (BOLD, DWI) che con somministrazione ev di mdc; elaborazione 3D delle immagini e software dedicato per valutazione qualitativa e quantitativa della perfusione renale

Angiografia (embolizzazione fistole e sanguinamenti) X

Trattamenti ablativi percutanei (crioablazione, HIFU, brachiterapia)

X

Gammacamera (scintigrafia renale con DTPA) X

Possibilità di eseguire agobiopsie di lesioni dubbie sotto guidaEco o TC

X

3.6 Requisiti minimi e di eccellenza relativi alla diagnosi ed al trattamentodei tumori renali (Anatomia Patologica)

Tipologia Requisiti minimi Requisiti d’eccellenza

Agobiopsia ed agoaspirato Campione quantitativamente adeguato; i frustoli devono essere fis-sati immediatamente in formalina e gli agoaspirati con spray fissa-tivo

Archiviazione del materiale in Banca Tessuti me-diante congelamento in azoto liquido e conserva-zione a -80°C per studi genetici o molecolari

Nefrectomia parziale • Misurazione del pezzo operatorio (3 misure) e descrizione ma-croscopica

• Inchiostratura del margine di resezione• Sezioni secondo piani perpendicolari alla superficie con eviden-

ziazione dei margini della neoplasia• Registrazione della distanza minima dal margine di resezione e

del diametro massimo del tumore• Campionamento della neoplasia con i margini di resezione• Campionamento della neoplasia con la capsula ed eventuale

grasso perirenale• I tumori di piccole dimensioni possono essere inclusi in toto, per

quelli più grandi vale la regola di almeno un prelievo per cm didiametro

• Esame intraoperatorio della neoplasia con va-lutazione del margine di exeresi ed eventualeistotipo

• Archiviazione del materiale in Banca Tessutimediante congelamento in azoto liquido econservazione a -80°C per studi genetici omolecolari

Nefrectomia totale e radicale • Misurazione del pezzo operatorio (3 misure) e descrizione ma-croscopica.

• Inchiostratura della superficie solo in caso di evidenza macro-scopica di estensione extrarenale della neoplasia

• Esame macroscopico dell’ilo con identificazione di vena, arteriaed uretere. campionamento di sezioni trasversali ed aperturalongitudinale della vena e dell’uretere

• Sezione sagittale del pezzo operatorio dalla periferia verso l’ilo• Descrizione della lesione neoplastica (dimensioni, sede, forma,

colore) e valutazione dei suoi rapporti con il parenchima renale,il grasso perirenale, la pelvi, l’uretere, il seno renale, i vasi del-l’ilo e il surrene (se presente)

• Un prelievo per cm della lesione cercando di rappresentare isuoi rapporti con la capsula, il grasso perirenale, il parenchimaadiacente, la pelvi, il surrene e tutte le zone di sospetto coinvol-gimento neoplastico di vasi o seno renale. Un prelievo di paren-chima non neoplastico.

• Un prelievo di surrene e di eventuali (rari) linfonodi dell’ilo

• Esame intraoperatorio del campione in casodi dubbi sulla natura corticale o urotelialedella neoplasia

• Archiviazione del materiale in Banca Tessutimediante congelamento in azoto liquido econservazione a -80°C per studi genetici omolecolari

Diagnosi istologica • Istotipo della neoplasia sec. WHO 2004• Grading della neoplasia sec. lo schema di Fuhrman per i carci-

nomi renali convenzionali (nei carcinomi cromofobi non è atten-dibile)

• Grading sec. Eble dei carcinomi a cellule renali papillari.• Indicare la presenza di necrosi tumorale e di aspetti sarcoma-

toidi.• Indicare se il tumore è limitato al rene o si estende oltre la cap-

sula o nel seno renale.• Indicare se il tumore si estende ai calici o alla pelvi.• Indicare se il tumore infiltra i vasi venosi maggiori o i vasi seg-

mentali.• Indicare se presente estensione diretta (T4) o discontinua (M1)

del surrene.• Valutazione dello stato dei margini chirurgici: parenchimale e

capsulare nella nefrectomia parziale, grasso perirenale, ureteree vena nella nefrectomia totale

• Staging patologico (pTNM) sec. AJCC 2010

Studio dei fattori molecolari che potrebbero in-fluenzare la prognosi (CA9, HIF-1-α, CXCR3,CXCR4, B7-H1, PTEN, Ki67, ecc)

3.5 Requisiti minimi e di eccellenza relativi alla diagnosi ed al trattamento dei tumori renali (Urologia)

Tipologia Requisiti minimi Requisiti d’eccellenza

Chirurgia nephron-sparing negli stadi I X X

Chirurgia nephron-sparing laparoscopica o robotica X

Nefrectomia radicale laparoscopica o robotica X

Nefrectomia radicale open X X

Dati raccolti in database istituzionali X

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori del rene

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3.7 Requisiti minimi e di eccellenza relativi alla diagnosi ed al trattamento dei tumori renali (Oncologia Medica)

Tipologia Requisiti minimi Requisiti d’eccellenza

Team multidisciplinare (con discussione periodica strutturata dei casi clinici)

Urologo, Oncologo, (Radioterapista)

Urologo, Oncologo, Radioterapista, Radiologo (diagnostica/interventistica),Patologo, Medico Nucleare, Nefrologo,Specialisti dedicati per la gestione delletossicità dei farmaci a bersaglio moleco-lare.

Tempo alla prima visita < 14 gg < 7 gg

Tempo dalla decisione terapeutica all’inizio del trattamento 14-30 gg < 14 gg

Reparto di degenza per gestione complicanze X X

Data managers dedicati X

Accesso a studi clinici X

Pubblicazioni scientifiche X

3.8 Requisiti minimi e di eccellenza relativi alla diagnosi ed al trattamento dei tumori renali (Radioterapia)

Tipologia Requisiti minimi Requisiti d’eccellenza

Acceleratore Lineare X X

Simulazione TC X X

Immagini portali settimanali X X

Sistemi d’immobilizzazione X X

Definizione dei volumi di trattamento e critici mediante pro-gramma di fusione delle immagini RM

X

3D-CRT X

IMRT X

IGRT X

Degenze e DH per terapia di supporto X

Tempo alla prima visita 14-28 gg < 14 gg

Tempo all’inizio del trattamento 28-56 gg < 28 gg

Partecipazione a studi multicentrici X

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Coordinatore: Giovanni Scambia

P.A. Margariti, V. Di Donato, R. Angioli, F. Maneschi, F. Patacchiola, G. Nicolanti, G. Vittori, P. Palazzetti, A. Micheli, L. Pompei, V. Donato, G. Arcangeli, A. Savarese, L. Bonomo, V. David, M. Crecco,

G.F. Zannoni, V. Gomes, S. Rahimj, G. Manlio

Criteri di appropriatezza clinicaed organizzativa nella diagnosi,

terapia e follow-up del carcinoma della cervice

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della cervice

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• Infezioni da Papillomavirus (HPV) • Precocità di inizio dell’attività sessuale • Elevato numero di partners o partner singolo ma che ha avuto diversi

rapporti promiscui• Terapie immunosoppressive

• Basso livello socio-economico• Multiparità• Giovane età alla prima gravidanza• Fumo di sigaretta.

1. Fattori di rischio

Le fasi iniziali del tumore cervicale sono in genere asintomatiche. Quandopresenti i sintomi più comuni possono essere legati ad altre patologie di tiponon tumorale.Il sanguinamento vaginale anomalo è il sintomo più importante: può essere

post-coitale, intermestruale o del tutto inaspettato, come accade nel periodomenopausale. In caso di malattia avanzata può essere presente dolore pelvico (irradiatoalle gambe), accompagnato da secrezioni maleodoranti.

2. Sintomi

Il principale test di screening per il carcinoma del collo dell’utero con il qualeè possibile effettuare la prevenzione secondaria, è rappresentato dal Pap-test(striscio colpo citologico). Nonostante questa metodica sia, in qualche caso, in grado di identificareanche carcinomi dell’endometrio, della vagina o di altre sedi perineali, il suoutilizzo è rivolto alla diagnosi precoce delle displasie cervicali e dei carci-nomi della cervice. Lo striscio deve essere eseguito in donne che non abbiamo eseguito lavandevaginali o utilizzato lubrificanti da almeno 24 ore, che non abbiano sangui-namenti in atto e/o processi infiammatori intensi, che non abbiano svoltopratiche sessuali nelle 24 ore precedenti; è consigliabile eseguire lo striscioprima della visita digitale ginecologica. La raccolta del materiale avviene mediante l’utilizzo di specifici strumenti,quali cytobrush per la raccolta di cellule endocervicali e la spatola di Ayre perla raccolta di cellule dell’esocervice.L’affidabilità del Pap-test è sensibilmente influenzata dal grado di esperienzadel citologo esaminatore e dal modo con cui viene prelevato e allestito il pre-parato nei diversi vetrini. Al fine di eliminare, o quanto meno ridurre la percentuale di falsi negativi, siutilizzano da non molto tempo nuove presidi in fase liquida o in monostratoche modificano le modalità con le quali le cellule vengono raccolte e pro-cessate.

La modalità di refertazione del pap test può essere effettuata attraverso di-versi sistemi di classificazione. Il sistema attualmente più utilizzato è rappresentato da Bethesda Systemelaborato nel 1991 e revisionato nel 2001.

Il sistema Bethesda 2001Adeguatezza del preparato• Soddisfacente per la valutazione• Non soddisfacente per la valutazione (specificare il motivo)

- preparato rifiutato/non processato (specificare il motivo)- preparato processato ed esaminato, ma non soddisfacente per la va-lutazione di anormalità delle cellule epiteliali a causa di... (specificare ilmotivo)

Classificazione generale• Negativo per lesioni intraepiteliali o malignità• Anormalità delle cellule epiteliali• AltroInterpretazione/risultati• Negativo per lesioni intraepiteliali o malignità

Organismi- Trichomonas vaginalis- funghi del tipo Candida

3. Screening

Il tumore della cervice uterina è la seconda causa di morte nelle aree eco-nomicamente meno sviluppate mentre occupa solo il 13° posto nei paesi in-dustrializzati, come gli Stati Uniti d'America; in Italia scende addirittura al16° posto (ISTAT 2006 e 2007). L’enorme discrepanza di questo dato si puògiustificare sulla base della nota differenza nella esposizione ai fattori di ri-schio, nella disponibilità di risorse impiegate per la prevenzione primaria e

secondaria ed infine nella qualità delle cure.Il numero dei nuovi casi diagnosticati ogni anno in tutto il mondo è pari a493000 e 274000 morti. In Italia vengono stimati circa 3700 nuovi casi/annocon una incidenza dei 12/100000 donne/anno. L’età mediana di insorgenzaper le forme invasive è di 51 anni, ma si abbassa a 32 per le forme intrae-piteliali.

Pagina 163

INDICE

1. Fattori di rischio Pagina 163

2. Sintomi Pagina 163

3. Screening Pagina 163

4. Diagnosi Pagina 164

5. Stadiazione Pagina 164

6. Trattamento degli stadi precoci Pagina 166

7. Trattamento degli stadi avanzati Pagina 167

8. Refertazione istologica Pagina 169

9. Follow up Pagina 170

10. Bibliografia Pagina 171

Pagina 162

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della cerviceRETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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4. Diagnosi

Una volta accertata la diagnosi si procede alla STADIAZIONE CLINICO-STRU-MENTALE che comprende i seguenti esami:• Ecoflussimetria pelvica trans-vaginale e trans-rettale• RMN addomino-pelvica • Visita ginecologica in narcosi e biopsie di mappatura cervicali e vaginali (ed

in caso di sospetta infiltrazione agli esami strumentali, cistoscopia e/o ret-toscopia con biopsie delle mucose vescicali e/o rettali)

• 18 FDG PET-TC (e qualora non disponibile esame TC total-body con mdc).

La RMN assicura elevati valori di sensibilità e accuratezza diagnostica (rispet-tivamente 93% ed 86%).La RMN, come l’ECOFLUSSIMETRIA PELVICA, consente di valutare i seguentiparametri:• volume tumorale• preservazione dell’anello stromale cervicale • estensione vaginale• invasione parametriale

5. Stadiazione

- variazione della flora batterica suggestiva di vaginosi batterica- batteri compatibili con Actinomiceti- modificazioni cellulari compatibili con herpes simplex visrusAltri reperti non palstici- modificazioni cellulari reattive- presenza di cellule ghiandolari post-isterectomia- atrofia

• Anormalità delle cellule epitelialiCellule squamose- cellule squamose atipiche (ASC)- di significato indeterminato (ASC-US)- non possibile escludere HSIL (ASC-H)- lesioni intraepiteliali squamose di basso grado (LSIL) (includenteHPV/displasia lieve/CIN 1)- lesioni intraepiteliali squamose di alto grado (HSIL)/(includente displa-sia moderata e grave/CIN 2 e CIN 3/CIS)- l’invasione non può essere esclusa- carcinoma squamocellulareCellule ghiandolari- cellule ghiandolari atipiche (AGC) (specificare: endometriali, endocer-vicali o NOS - non specificabili)- cellule ghiandolari atipiche (AGC) suggestive di neoplasia (specificare:endometriali, endocervicali o NOS - non spacificabili)- adenocarcinoma endocervicale in situ (AIS)

- adenocarcinoma (specificare: endometriale, endocervicale, extrauterinoo NOS - non specificabile)

• AltroCellule endometriali in donne di 40 anni o oltre (specificare anche senegativo per lesione squamosa).

Da qualche anno, inoltre, per le donne è disponibile un mezzo per la pre-venzione primaria dell’infezione da HPV: un vaccino rivolto contro i ceppiHPV16 e HPV18 ritenuti responsabili del carcinoma della cervice (consideratiad alto rischio) ed i ceppi HPV6 HPV11 responsabili di lesioni non cancerose(principalmente le condilomatosi). In Italia oggi è stata introdotta la possibilità della vaccinazione gratuita alcompimento del 12° anno di età ma attualmente sono in corso numerosistudi per valutare l’efficacia della vaccinazione anche in donne adulte conuna vita sessuale attiva e in donne già entrate in contatto con il virus.Tra i vaccini in commercio abbiamo quello tetravalente (Gardasil®) che offreuna copertura sierologica per i quattro ceppi virali ad alto e basso rischio. Glistudi pubblicati finora dimostrano che il vaccino è efficace e privo di effetticollaterali, anche se tutt’ora non è nota la durata della sua protezione. Altro vaccino in commercio è quello bivalente (Cervarix®), attivo esclusiva-mente verso i due ceppi ad alto rischio. Per valutare l’impatto esercitato dall’utilizzo di massa dei vaccini sull’inci-denza del carcinoma cervicale sarà necessario attendere un adeguato follow-up: intanto resta indicata l’aderenza ai programmi di screening per laprevenzione secondaria, finora impiegati.

Il sospetto diagnostico di neoplasia cervicale nei casi appena iniziali si ponesulla base di un referto dubbio o positivo al Pap-test che rappresenta l’esamedi primo livello. La colposcopia segue ad una citologia anormale, comeesame di secondo livello: indirizza la biopsia alla zona della portio sospettae consente di ottenere un esame istologico mirato.Nei casi più avanzati il sospetto di neoplasia cervicale può essere postoanche sulla sola base clinica ma necessita ugualmente di conferma istolo-gica.LA PRESENTAZIONE CLINICA può avvenire nelle seguenti forme:• Forma esofitica (tessuto friabile facilmente sanguinante) • Forma endofitica (cervice dura)

• Forma a “barilotto” con esocervice integra • Forma ulcerativa (presenza di lesione crateriforme).Le più frequenti forme ISTOLOGICHE sono di natura epiteliale e compren-dono i seguenti istotipi:• Squamoso (85%): cheratinizzante - non cheratinizzante - tipi speciali

(e.g. verrucoso, fusato)• Adenocarcinoma (10-12%): endometrioide - a cellule chiare - sieroso -

tipo intestinale• Adenosquamoso (3-5%)• Adenocistico (3-5%)• Indifferenziato.

Pagina 164

• invasione di strutture ed organi adiacenti l’utero (retto e vescica) • invasione della parete pelvica• presenza di linfadenopatie pelviche e retroperitoneali. • presenza di idronefrosi.In particolare nelle donne giovani con neoplasia iniziale che abbiano desideriodi preservare la fertilità, entrambi questi esami sono utili per valutazione del-l’eleggibilità ad un trattamento chirurgico conservativo, verificando le seguenticondizioni:• dimensioni della neoplasia (<2 cm), • lunghezza del canale cervicale (>2.5 cm) • distanza del tumore dall’orifizio uterino interno (>1 cm)L’ESAME PET-TC è raccomandato in pazienti con carcinoma della cervice lo-calmente avanzato.• Consente di individuare eventuali localizzazioni di malattia a distanza e di

elaborare un corretto programma terapeutico• Rappresenta un riferimento basale nelle donne candidate a trattamento

neo-adiuvante• Fornisce un approfondimento sullo stato linfonodale per una corretta pro-

grammazione pre-chirurgica nelle pazienti con elevato rischio di localizza-zione linfonodale di malattia (alto grading istologico, stadio elevato,invasione linfovascolare) risultate negative agli altri esami strumentali, mo-strando una sensibilità del 100% e una specificità del 96% (vs la sensibi-lità del 38-89% e la specificità del 78-99% della RMN).

Alla luce delle indagini eseguite la patologia maligna cervicale può essere clas-sificata secondo: • Stadiazione FIGO (International Federation of Gynecology and Obstetrics) -

ultima revisione pubblicata nel 2009 (Figo Committee on Gynecologic On-cology, Int J Gynaecol Obstet 2009)

• Stadiazione TNM (AJCC-American Joint Committee on Cancer, 7th Edition,2008)

5.1 Stadiazione (FIGO 2009)

• I Il carcinoma è strettamente confinato alla cervice• IA Carcinoma invasivo che può essere diagnosticato solo microsco-

picamente con invasione in profondità ≤ 5 mm ed estensione inlarghezza ≥ 7 mm

• IA1 Invasione stromale ≤ 3 mm in profondità ed estensione ≤ 7mm • IA2 Invasione stromale > 3 mm ma < 5 mm di profondità con esten-

sione < di 7 mm• IB Lesione macroscopica limitata alla cervice o carcinoma preclinico

maggiore dello stadio IA*• IB1 Lesione macroscopica ≤ 4 cm di diametro massimo• IB2 Lesione macroscopica > 4 cm di diametro massimo• II Carcinoma della cervice che si estende oltre l’utero senza giun-

gere alla parete pelvica o al III inferiore della vagina• IIA Senza invasione dei parametri• IIA1 Lesione macroscopica ≤ 4 cm di dimensione maggiore• IIA2 Lesione macroscopica > 4 cm di dimensione maggiore• IIB Con evidente invasione dei parametri • III Il tumore si estende alla parete pelvica e/o coinvolge il III infe-

riore della vagina e/o causa idronefrosi e/o rene non funzio-nante**

• IIIA Il tumore coinvolge il III inferiore della vagina; nessuna estensionealla parete pelvica

• IIIB Estensione alla parete pelvica e/o causa idronefrosi o rene nonfunzionante

• IV Il carcinoma si estende oltre la vera pelvi o ha coinvolto la mu-cosa della vescica o del retto (con conferma istologica su biop-sia - l’edema bolloso come tale non permette di assegnare lostadio IV)

• IVA Infiltrazione della mucosa rettale o vescicale• IVB Metastasi a distanza.

5.2 Stadiazione TNM(AJCC - 7th Edition, 2008)

• Tis N0 Carcinoma in situ preinvasivo• T1 Tumore limitato all’utero• T1A Diagnosi solo microscopica• T1A1 Minima invasione stromale• T1A2 Profondità < 5 mm, diffusione orizzontale < 7 mm• T1B Lesione superiore a T1A2• T2 Tumore esteso oltre l’utero, non alla parete pelvica o al terzo infe-

riore della vagina• T2A Assenza di evidente coinvolgimento parametriale• T2B Evidente coinvolgimento parametriale• T3 Tumore esteso fino alla parete pelvica e/o al III inferiore della va-

gina• T3A Invasione di un terzo inferiore della vagina senza estensione alla

parete pelvica• T3B Estensione alla parete pelvica e/o idronefrosi o rene escluso• T4 Invasione della mucosa della vescica o del retto e/o estensione

fuori della piccola pelvi• NX Metastasi linfonodali non valutabili• N0 Assenza di metastasi linfonodali • N1 Metastasi linfonodali regionali• Mx Metastasi a distanza non valutabili• M0 Assenza di metastasi• M1 Presenza di metastasi a distanza.Le regole per una corretta stadiazione clinica, secondo la classificazione FIGOprevedono che:• Lo stadio sia definito clinicamente prima di qualsiasi programma terapeu-

tico• La stadiazione clinica venga effettuata immediatamente dopo la diagnosi

di cervico-carcinoma• Definito lo stadio esso non sia modificato successivamente al riscontro isto-

logico• Nei casi di dubbio clinico tra due stadi venga scelto quello inferiore.È utile infine considerare che la stadiazione FIGO, maggiormente utilizzata nellapratica clinica, attualmente non include la valutazione di numerosi altri fattoriprognostici, utili per la programmazione del piano terapeutico: • Tipo istologico, grado di differenziazione, recettori ormonali, virus e onco-

geni, modalità di infiltrazione. • Stato linfonodale• Diffusione degli spazi linfo-vascolari• Volume del tumore.

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della cervice

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Il trattamento del carcinoma della cervice uterina con esordio in fase precoce(FIGO IA1-IB1) è modulabile in base allo stadio ed all’età di insorgenza dellamalattia, in ragione del desiderio di prole (l’incidenza nelle donne giovaniche desiderano conservare la fertilità è pari al 25-40%). Può pertanto prevedere un atteggiamento terapeutico conservativo o demo-litivo (figura 1).La chirurgia conservativa (fertility sparing) può essere riservata alle donneaffette da malattia in stadio precoce (FIGO IA1-IB1) fortemente motivate allaconservazione della fertilità, con le seguenti caratteristiche: • Lesione cervicale con diametro < di 3 cm• Linfonodi negativi• Età ≤ 45 anni• Accertata fertilitàa) In particolare, in caso di lesioni con diametro < 2 cm il trattamento di

scelta prevede la conizzazione a lama fredda associata a linfadenecto-mia pelvica laparoscopica (LPS) o quando non possibile laparotomica(LPT). Qualora l’esame istologico definitivo mostri i margini del cono prossimio infiltrati dalla malattia deve essere valutata la possibilità di una “ri-co-nizzazione” (fino ad ottenere una completa radicalità chirurgica). Nelcaso il reintervento non fosse possibile (principalmente per ragioni ste-riche, come l’assenza di sufficiente tessuto cervicale residuo) sarà utilefar seguire alla chirurgia un trattamento chemioterapico antiblasticoadiuvante.

b) Nelle lesioni con diametro > 2 e < 3 cm l’indicazione di prima istanza

consiste nella visita ginecologica in narcosi con biopsie multiple e linfa-denectomia pelvica sistematica LPS (o quando non possibile LPT). In caso di assenza di malattia linfonodale, nonostante le maggiori di-mensioni della neoplasia, si potrà tentare la strada di una chirurgia con-servativa sulla cervice, preceduta da chemioterapia antiblasticaneoadiuvante, ed in base alla risposta clinica si valuterà l’appropriatezzadelle seguenti opzioni:- chirurgia conservativa: conizzazione a lama fredda (in caso di suffi-ciente risposta alla terapia)- chirurgia radicale: isterectomia radicale di classe C1 secondo Querleuassociata o meno all’annessiectomia bilaterale (in dipendenza dell’età edel desiderio della paziente) (in caso di risposta insufficiente alla tera-pia).

In ogni caso, qualora l’esame istologico definitivo mostri linfonodi pelvici me-tastatici si procederà a chirurgia radicale, ossia:• isterectomia radicale di classe B1 (se T< 2 cm) o C1 (se T > 2 e < 3 cm)

secondo Querleu, eventuale annessiectomia bilaterale (in dipendenzadell’età e del desiderio della paziente)

• linfadenectomia paraorto-cavale fino all’arteria mesenterica inferioreInfine, concluso lo step chirurgico, in presenza di malattia linfonodale e/o dimultipli fattori prognostici sfavorevoli è necessario valutare, dopo adeguatocounselling, l’aggiunta di un trattamento radioterapico adiuvante.

La chirurgia radicale (no fertility sparing) è riservata alle donne giovanisenza desiderio di prole o di fertilità, alle donne di età > 45 anni o con lesioni

6. Trattamento degli stadi precoci

Il trattamento degli stati avanzati si differenzia in base all’estensione, al-l’eventuale coinvolgimento della mucosa vescicale e rettale o alla presenzadi metastasi a distanza.1. Negli stadi di malattia IB2, II e III le opzioni terapeutiche prevedono un trat-tamento radio-chemioterapico esclusivo verso un trattamento neoadiuvante,seguito da chirurgia radicale ed eventuale trattamento adiuvante. In base ai dati attualmente disponibili in letteratura, le due opzioni risultanosostanzialmente sovrapponibili in termini di sopravvivenza. La scelta del TRATTAMENTO RADIO-CHEMIOTERAPICO ESCLUSIVO o RADIO-TERAPICO ESCLUSIVO, verrà preferito in base a:a) le caratteristiche della paziente: donne con età > di 75 anni, PS ≥ 2,

donne che in futuro siano in ogni modo non candidabili a chirurgia de-

molitiva per motivi anestesiologici, infettivologici (e.g. HIV positive), me-tabolici (e.g. diabete ed obesità severa) o per impedimenti psico-socialia sostenere una chirurgia altamente demolitiva

b) al profilo di tossicità più conforme alle esigenze della paziente (come adesempio quello relativo alla omissione della chirurgia e dei suoi poten-ziali rischi, a fronte dell’accettazione degli esiti della BRT sui tessuti adia-centi la cervice, non osservabili invece in un trattamento RT-CTneoadiuvante)

c) la preferenza dell’operatore a non eseguire un atto chirurgico demolitivosu tessuti già irradiati.

La scelta del TRATTAMENTO NEOADIUVANTE SEGUITO DA CHIRURGIA RADI-CALE potrà avvalersi invece di due opzioni terapeutiche:

7. Trattamento degli stadi avanzati

Figura 1. Cancro della cervice

Attesa

SC

OcT1, N0

EscissioneTransanalese possibile

T1, NX;Margini negativi

T1, NX concaratteristichead alto rischio

o T2, NX

ResezioneChirurgica

addominale

pT1-2,N0, M0

pT3, N0, M0o

pT1-3, N1-3

5-FU± leucovorina o poi 5-FUic/RTo 5-FU a bolo + leucovorina/RT ocapecitabina RT, poi 5-FU ± leucovorinao5-FUic/RT o 5-FU a bolo + leucovorina/RT o capecitabina/RT, seguita da 5-FU ± leucovorina

Nei pazienti con pN+ si suggerisce l’impiego dell’oxaliplatino

Attesa

Early stageIA1-IB1

Fertility sparing

≤2 cm; N-: ≤45 aa(previo studio della fertilità)

Conizzazione* + LFN pelvica (LPS)

Margini +Riconizzazione

Counselling incentri oncologici

di eccellenzaN +

RAH*** + LFN pa (evSOB) Terapia adiuvante

>2 e < 3 cm; N-: ≤45 aa(previo studio della fertilità)

Visita ginecologicain narcosi* + LFN (LPS)

Counselling incentri oncologici

di eccellenzaN-

N+ RAH*** + LFN pa +(evSOB)

No Fertility sparingResezionechirurgica

Addominale 5-FU± leucovorina o poi 5-FUic/RT o 5-FU a bolo + leucovorina/RT o capecitabina RT, poi 5-FU ± leucovorinao5-FUic/RT o 5-FU a bolo + leucovorina/RT o capecitabina/RT, seguita da 5-FU ± leucovorina

Nei pazienti con pN+si suggerisce l’impiego dell’oxaliplatino

pT1-2,N0, M0

pT3, N0, M0o

pT1-3, N1-3

<2 cm

≥2 cm

RT esclusiva (80 gy)

ERT (+ CT) + BRT

ERT - CT + BRT

LPS/ROBOT

LPT

RAH*** + LFN + SOB

Infiltrazione >50%, LVSI+, N+ (pelvici), G3

N+ (lombo-aortici), margini+, parametri+

* A lama fredda, ** Visita ginecologica in narcosi, *** Tipo B1 se T<2 cm - Tipo C1 se T ≥2 cm

Figura 2. Cancro della cervice

RT-CT esclusivaCT a barre i platinoRT di almeno 70Gy

RT esclusivaRT di almeno 80Gy

CT

RAH* + LFN + SOBLPS/LPT

CR

PR micro

PR macro e/oN+, margini +

FU

FU

CT

RAH* + LFN + SOBLPS/LPT

* Type C1 sec Querleu

LACCIB2 - II - III

Terapia neoadiuvante

RT-CT

CR

PR micro

PR macro e/oN+, margini +

Inflitrazione >50%,G3, LVS1+, N+ (1 LFN)

FU

FU

RT-CT

RT

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del diametro ≥ 3 cm. In questi casi l’intervento può avvenire secondo: • tecnica laparoscopica (in caso di lesione di minore diametro che con-

senta l’utilizzo del manipolatore uterino)• tecnica laparotomica nel caso di lesioni ≥ di 3 cm• tecnica robotizzata (se il presidio è disponibile nella struttura).L’intervento chirurgico prevede• l’isterectomia radicale di classe B1 (se T< 2cm) o C1 (se T > 2 cm) se-

condo Querleu• l’annessiectomia bilaterale• la linfadenectomia pelvica sistematica ed eventualmente paraorto-cavale

fino all’arteria mesenterica inferiore (sulla base degli esami strumentalipre-operatori o dell’esame istologico estemporaneo intraoperatorio)

La presenza all’esame istologico definitivo di fattori prognostici sfavorevolipone indicazione all’aggiunta di un trattamento adiuvante. Nello specifico incaso di:• infiltrazione > del 50%, grading scarsamente differenziato (G3), inte-

ressamento degli spazi linfo-vascolari (LVI) e positività linfonodale (N+),la terapia adiuvante di scelta consiste nella radioterapia a fasci esterni(ERT) in associazione con la brachiterapia (BRT).

• positività dei margini di resezione e/o parametri positivi la terapia adiu-vante prevede radio-chemioterapia concomitante (ERT-CT) seguita daBRT.

In questo gruppo di donne può inoltre essere considerata una RADIOTERA-PIA ESCLUSIVA nel caso in cui la donna presenti importanti comorbidità checontroindichino l’intervento chirurgico o nel caso di donne anziane.

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della cervice

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a) Radio-chemioterapia concomitanteb) Chemioterapia antiblastica.La scelta avverrà in base a fattori come l’eleggibilità alla radioterapia pelvicao la presenza di eventuali controindicazioni soggettive alla radioterapia, la di-sponibilità dell’operatore ad eseguire un intervento chirurgico sugli esiti dellaradioterapia o le risorse tecniche del centro dove si svolge il trattamento (e.g.possibilità all’eventuale irradiazione della barra aortica). L’indirizzo terapeu-tico viene stabilito dopo aver completato la stadiazione clinico-strumentale:ecoflussimetria pelvica TV/TR, RMN addomino-pelvica, visita in narcosi conbiopsie multiple, eventuale cistoscopia/rettoscopia, 18 FDG-PET/TC. Al termine del trattamento verrà effettuata una rivalutazione con i medesimiesami, ad eccezione della visita in narcosi con biopsie (che sarà utile ripe-tere solo in assenza di risposta alla terapia o per sospetta progressione dimalattia). A seguire, la chirurgia radicale prevede: l’isterectomia di classe C1 secondoQuerleu, l’annessiectomia bilaterale e la linfadenectomia sistematica pelvicaed eventualmente paraorto-cavale fino all’arteria mesenterica inferiore (sullabase dell’esame istologico intraoperatorio degli esami strumentali). Anche in questo caso la tecnica chirurgica, quando possibile deve essere la-paroscopica (o robotizzata) ed in alternativa laparotomica. Infine, una volta completato il trattamento neoadiuvante e la chirurgia, l’in-dicazione ad un eventuale trattamento adiuvante complementare verrà postasulla base dell’esame istologico definitivo:• In presenza di una risposta patologica completa (CR) o parziale micro-

scopica (PR micro) non seguiranno ulteriori terapie e la paziente saràindirizzata ad uno stretto follow-up.

• Nel caso in cui la risposta alla terapia neoadiuvante sia parziale macro-scopica (PR macro) o assente, oppure in presenza di multipli fattori pro-gnostici sfavorevoli (quali linfonodi positivi, infiltrazione > 50%, altograding, margini di resezione positivi, parametri positivi o interessamentodegli spazi linfo-vascolari) si porrà indicazione all’aggiunta di terapiaadiuvante: chemioterapia o radio-chemioterpia concomitante, sulla basedel precedente trattamento neoadiuvante.

2. Nello stadio IV le opzioni terapeutiche prevedono un diverso trattamentosulla base della presenza di metastasi a distanza o meno. Nello stadio IV A (Infiltrazione della mucosa vescicale e/o rettale) le opzioniterapeutiche prevedono un trattamento radio-chemioterapico esclusivo versoun trattamento neoadiuvante (RT-CT o CT). La scelta tra queste due opzioni terrà conto delle medesime considerazioniriportate per gli stadi meno avanzati. Come sempre il trattamento sarà preceduto da una completa valutazione cli-nico-strumentale che prevede: ecoflussimetria pelvica TV/TR, RMN addo-mino-pelvica, visita in narcosi con biopsie multiple, eventuale cistoscopia/rettoscopia, 18 FDG-PET/TC. Al termine del trattamento verrà effettuata una rivalutazione clinico stru-mentale con i medesimi esami (compresa la visita in narcosi con eventualibiopsie di rivalutazione delle mucose vescicale/rettale). Per le donne sottoposte a TRATTAMENTO NEO-ADIUVANTE (RT-CT o CT):• in caso di progressione, stabilità di malattia (PD/SD) o infiltrazione della

mucosa vescicale e/o rettale, l’indicazione terapeutica è la pelvectomia(anteriore, posteriore o totale)

• in caso di risposta completa o parziale (CR/PR) e assenza di malattia ve-scicale e/o rettale alle biopsie di rivalutazione, sarà possibile eseguireuna chirurgia più conservativa ma adeguatamente radicale, con il ri-sparmio della vescica e/o del retto.

Nello stadio IV B (metastasi a distanza) il trattamento può prevedere nel-l’immediato la CHIRURGIA PALLIATIVA, per il controllo dei sintomi legati alsanguinamento vaginale e/o rettale o la CHEMIOTERAPIA ANTIBLASTICA:• in caso di risposta parziale, stabilità o progressione di malattia oppure

in caso di metastasi non resecabili, la chemioterapia assumerà il signi-ficato di trattamento esclusivo, ossia non seguito da chirurgia

• in caso di completa risposta clinica delle localizzazioni a distanza o inpresenza/persistenza di un’unica metastasi resecabile, si procederà al-l’intervento chirurgico pelvico con eventuale resezione della metastasi.

Sulla base dell’esame istologico definitivo si valuterà l’opportunità di ag-giungere eventuali terapie adiuvanti.

Figura 3. Cancro della cervice

IV STADIO

RT-CT esclusiva

Terapia neoadiuvante

Pelvectomia se PD/SDo biopsie

vescicali/rettali positive

Chirurgia radicale diversada plvectomia solo

in casi di CR/PR e biopsievescicali/rettali negative

IV A RT-CT

CT

Valutazione della rispostapost-CT

(con ev biposievescicali/rettali)

Chirurgia palliativa

CT

CT esclusiva

Intervento chirurgico

Se PR/SD/PD sulle metastasi o

metastasi non resecabili

Se CR sulle metastasio solo 1 metastasi

resecabile

IV B

8. Refertazione istologica

Tabella 1. Esame macroscopico

Margine di resezionevaginale

Presente/assente Lunghezza: mmDimetro: mm

Dimensione utero Lunghezza: mm Diametro trasverso: mmDiametro antero-posteriore: mm

Annessi PresentiAssenti

NormaliAnormali

Presenza tumore SìNo

Dimensione del tumore: mm xmm

Posizione del tumore

Anteriore:Posteriore:Destra:Sinistra:Circonferenziale:

Esocervice:Endocervice:

Tabella 2. Esame microscopico

Istotipo

Differenziazione

G1/Ben differenziato

G2/Moderatamente differenziato

G3/Scarsamente differenziato

GX/Non applicabile

Dimensioni TumoreMassima estensione orizzontale: mm

Spessore/profondità di invasione: mm

Spessore stroma cervicalesottotumorale non-coinvolto (spessore della rima tessutaleesente da tumore): mm

Coinvolgimento vaginaleSi/No

Distanza dal margine epiteliale vaginaledistale: mm

Coinvolgimento Paracervicale

Si/No

Se coinvoltoSinistro

Destro

Coinvolgimento parametriale

Si/No

Se coinvoltoSinistro

Destro

Invasione linfovascolare Si/No

Tabella 3. Linfonodi pelvici: (linfonodi pelvici includono otturatori,iliaci interni, esterni e comuni)

Numero totale Destro

Sinistro

Numero di linfonodi coinvolti Destro

Sinistro

Estensione extranodale Si/ No

Tabella 4. Linfonodi para-aortici

Non asportati:

Numero totale:

Numero di linfonodi positivi:

Numero di linfonodi negativi:

Estensione extranodale: Si/No

Tabella 6. AICC RNM 2009 (7 edizione)

pT pN Mx G2 R0 C4

Stadio FIGO

Tabella 5. Altri tessuti/organi

Endometrio Normale: Anormale (specificare)

Miometrio Normale:Anormale (specificare)

Annesso destro Normale: Anormale (specificare)

Annesso sinistro Normale: Anormale (specificare)

Tabella 7. Esame istologio intraoperatorio

Dimensioni utero Lunghezza: mm

Diametro trasverso: mm

Diametro antero-posteriore: mm

Annessi Presenti/assenti

normali/anormali (specificare)

Presenza tumore Sì/No Dimensione de tumore:mm x mm

Coinvolgimento macroscopicodella vagina

Sì/No

Coinvolgimento macroscopicodei paramentri

Sì/No

Coinvolgimneto macroscopicodei tessuti paracervicali

Sì/No

Pagina 168

In considerazione della necessità di modulare il trattamento oncologico sullabase delle caratteristiche istologiche della malattia, è auspicabile la condi-visione di un modello unico di refertazione istologica, come guida nelle di-verse fasi della malattia (biopsie pre-trattamento e di rivalutazione, esameistologico intraoperatorio e definitivo) (tabella 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 7).

Esame istologico definitivo

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della cervice

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9. Follow up

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10. Bibliografia

Risorse/Procedure DisponibilitàNumero pazienti trattati nel 2010

Procedure Per l’eccellenza è necessario soddisfare 2 dei 3 requisiti

Completamento stadiazione 3 settimane dalla prima visita

Inizio procedura radioterapia 4 settimane dalla prescrizione

Inizio terapia

Le UOC di Radioterapia si impegnano a mettere in atto le proce-dure sia radio che chemioterapiche in tempo reale, attenendosiesclusivamente a quelli che sono i tempi tecnici necessari. Neitrattamenti postoperatori l’intervallo sarà il più breve possibilecompatibilmente con le condizioni cliniche della paziente e con itempi di guarigione della ferita chirurgica

Gruppo Oncologico Multidisciplinare La gestione del paziente può avvalersi di questa risorsa

Attività Scientifica Per l’eccellenza è necessario 1 dei 3 requisiti

Pubblicazione

Adesione a protocolli nazionali e internazionali Almeno uno nell’anno

Presentazioni a Congressi e Corsi

Relazioni, comunicazioni Presenza di una pubblicazione nell’anno

Partecipazione a studi multicentrici Almeno uno nell’anno

Tabella 1. Gruppo di lavoro tumori ginecologici (escluso il carcinoma dell’ovaio)Requisiti minimi (fondo bianco) e criteri di eccellenza (fondo grigio)

Risorse/Procedure DisponibilitàNumero pazienti trattati nel 2010

Numero minimo di interventi per tumori ginecologici 40

Servizio di anatomia patologica Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa

Collegamento con altre UO (Chirurgia generale, urologia) Idem

Disponibilità di strumentazione laparoscopica Idem

Disponibilità di posti in Terapia Intensiva Post-operatoria Il trattamento può avvalersi di questa risorsa

Disponibilità dell’esame istologico intraoperatorio Idem

Possibilità di valutare il linfonodo sentinella (Tumori della vulva) Idem

NB: Il carcinoma della cervice localmente avanzato richiede, in particolar modo, centri in cui è attivo il servizio di radioterapia.

Radioterapia Oncologica Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati (*) e 3 dei 5 altri requisiti

Trattamenti radioterapici con fasci esterni sul tumore primitivocon intento radicale o palliativo

15

Acceleratore lineare Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa

Simulazione con utilizzo di TC Idem

Piano di trattamento basato su immagini TC Idem

Immagini portali settimanali Idem

Sistemi di immobilizzazione o dislocamento Idem

DH Disponibilità di accesso

Trattamenti radioterapici con fasci esterni sul tumore primitivo con intento radicale o palliativo

25

Radioterapia conformazionale con collimatore multilamellare Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa

IMRT Il trattamento può avvalersi di questa risorsa

IGRT Idem

Brachiterapia Idem

DEGENZE Disponibilità posti letto dipartimentali o tecnici

Procedure Per l’eccellenza è necessario soddisfare 2 dei 3 requisiti

Prima visita specialistica 1 settimana dalla richiesta di prenotazione

Al termine del trattamento seguiranno periodici controlli clinico-strumentali,volti alla valutazione delle complicanze precoci e tardive conseguenti alle di-verse terapie effettuate ed alla individuazione precoce di una eventuale ri-presa di malattia. È noto infatti che la prognosi relativa al trattamento di unarecidiva è legata alla precocità della sua diagnosi.I controlli che avverranno ogni 4 mesi per i primi due anni dal termine deltrattamento comprendono i seguenti esami di base:• visita ginecologica con esplorazione rettale• scraping vaginale o Pap-test (in caso di trattamento conservativo) • esami di laboratorio, compresi i markers tumorali

• ecoflussimetria pelvica TV/TRA questi si aggiungono: • RMN addomino-pelvica (a cadenza semestrale)• 18 FDG-PET (a cadenza annuale o sulla base di un sospetto di ripresa di

malattia)• TC total-body con mdc (quando PET non disponibile o controindicata)• cistoscopia e/o rettoscopia (negli stadi IV non sottoposti a pelvectomia)Nei successivi tre anni i controlli avverranno con cadenza semestrale pre-vedendo gli esami già elencati.Dopo il quinto anno il follow-up consisterà in controlli annuali di base.

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della cervice

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma dell’endometrio

Criteri di appropriatezza clinicaed organizzativa nella diagnosi,terapia e follow-up del carcinoma

dell’endometrio

Coordinatore: Giovanni Scambia

P.A. Margariti, V. Di Donato, R. Angioli, F. Maneschi, F. Patacchiola, G. Nicolanti, G. Vittori, P. Palazzetti, A. Micheli, L. Pompei, V. Donato, G. Arcangeli, A. Savarese, L. Bonomo,

V. David, M. Crecco, G.F. Zannoni, V. Gomes, S. Rahimj, G. Manlio

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Il carcinoma dell’endometrio quasi mai decorre in maniera asintomatica maspesso si manifesta con segni sfumati e non sempre riconoscibili. In parti-colare, in post-menopausa il sintomo di esordio più tipico è rappresentato dalsanguinamento uterino atipico che può avvenire sotto forma di spotting, blee-

ding o metrorragia. Nelle donne in età riproduttiva ed in perimenopausa, inpresenza di fattori di rischio, il sospetto deve essere posto anche di fronte adanomalie del ritmo, della durata e della quantità del flusso mestruale o inpresenza di perdite ematiche intermestruali.

1. Segni e sintomi

Il carcinoma endometriale si presenta più frequentemente nella forma en-dometrioide e più raramente nella forma di un istotipo speciale. In base alle caratteristiche del tessuto su cui si sviluppa si distinguono duedifferenti forme cliniche:• Il Tipo I che insorge prevalentemente in età perimenopausale ed in con-

dizioni di iperestrogenismo, per il quale l’iperplasia complessa e/o conatipie rappresenta una condizione predisponente o una precancerosi.Particolari condizioni a rischio sono il diabete e l’obesità. L’istotipo pre-valente è l’endometrioide, spesso a basso o medio grado di differenzia-zione e generalmente a buona prognosi

• Il Tipo II insorge da un endometrio atrofico post-menopausale mostrandoun comportamento clinico indipendente dall’assetto estrogenico. Gli isto-tipi prevalenti sono il sieroso, a cellule chiare e indifferenziato, spesso adalto grading e con prognosi sfavorevole

Più in generale la classificazione istologica del carcinoma dell’endometrioriflette le ampie possibilità di differenziazione della cellula ghiandolare di de-rivazione mulleriana:1. Adenocarcinoma endometriale

a. con differenziazione squamosab. secretivoc. ciliato

2. Adenocarcinoma mucinoso3. Adenocarcinoma sieroso4. Adenocarcinoma a cellule chiare5. Carcinoma squamoso

6. Carcinoma indifferenziato7. Carcinoma misto8. Tumori non classificabiliLa prognosi di questa neoplasia appare correlata maggiormente alla diffe-renziazione istotipica della cellula d’origine piuttosto che al grado istologicodella neoplasia.Infatti, mentre il carcinoma endometriale con le sue varianti, che si lega aduna condizione di iperestrinismo, si sviluppa perlopiù dalle cellule endome-triali di un endometrio iperplasico, gli altri istotipi si sviluppano in prevalenzada cellule mulleriane pluripotenti in endometri atrofici.

2.1 Vie di diffusioneLa via di diffusione preferenziale del carcinoma dell’endometrio è quella lin-fatica e le probabilità di coinvolgimento linfonodale sono tanto più alte quantopiù l’infiltrazione del miometrio si approssima alla rete linfatica sottosierosaLe vie di drenaggio linfatico dell’utero sono essenzialmente tre:• linfonodi pelvici (iliaci esterni, interni, comuni ed otturatori) attraverso il

legamento largo ed i parametri• linfonodi paraortici, attraverso il legamento infundibolo-pelvico o i linfo-

nodi pelvici• linfonodi inguinali, attraverso il legamento rotondo.In circa il 30% delle pazienti con linfonodi pelvici positivi è presente anche uncoinvolgimento dei linfonodi para aortici; tuttavia non è escluso il riscontrodella positività di questi ultimi a fronte della negatività a livello pelvico.

2. Forme istologiche

Il carcinoma dell'endometrio è il tumore maligno più comune in ambito gi-necologico, con una stima globale di circa 43.470 nuovi casi nel 2010 e 7950decessi. Nell’ultimo decennio la sua incidenza è notevolmente aumentatanei paesi sviluppati, rappresentando l’8-10% di tutte le neoplasie femminili.In Italia rappresenta il 5-6% dei tumori che colpiscono le donne, con 4.000nuovi casi annui. L’età media alla diagnosi è 61 anni. Tuttavia rappresentauna patologia che dal 5% al 29% affligge donne in età riproduttiva con ≤ 45anni. I fattori di rischio correlati allo sviluppo di questa neoplasia possono essere:Endogeni:• menarca precoce• menopausa tardiva• nulliparità• anovularità (policistosi ovarica)

• costituzionali (obesità, diabete, ipertensione arteriosa)• genetici e familiari (nella correlazione con i tumori della mammella, ovaio

e colon - vd Sindrome ereditaria, Lynch II, associata a mutazione a ca-rico dei geni del mismatch repair - MMR)

• tumori ovarici estrogeno secernenti.Esogeni: • dietetici• radioterapia a fasci esterni (ERT) in base alla dose e alla durata• terapia con tamoxifene• terapia estrogenica non bilanciata.Al contrario, i fattori di protezione comprendono:• contraccezione con E/P• età avanzata all’ultimo parto• menarca tardivo e/o menopausa precoce.

Pagina 175

INDICE

1. Segni e sintomi Pagina 175

2. Forme istologiche Pagina 175

2.1 Vie di diffusione

3. Diagnosi Pagina 175

4. Valutazione clinico strumentale Pagina 176

5. Stadiazione Pagina 177

5.1 Stadiazione del carcinoma del corpo uterino (FIGO 2009) Pagina 177

5.2 Stadiazione TNM del carcinoma del corpo uterino (AJCC/UICC) Pagina 177

6. Trattamento Pagina 177

6.1 Trattamento degli stadi precoci Pagina 177

6.2 Trattamento degli stadi avanzati Pagina 179

7. Terapia adiuvante Pagina 179

8. Refetazione istologica Pagina 180

9. Follow-up Pagina 181

10. Bibliografia Pagina 182

Pagina 174

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma dell’endometrio

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3. Diagnosi

Ottenuta la diagnosi istologica si procede allo inquadramento strumentaledella diffusione della malattia mediante i seguenti esami di base: • Ecoflussimetria pelvica trans-vaginale • RMN addomino-pelvica con mdc• Rx torace.In particolare:L’Ecoflussimetria pelvica TV offre informazioni su: • Presenza di tessuto neoplasitco endocavitario e diametro massimo della

mlattia• Infiltrazione miometriale e residuo miometriale libero (in mm)• Estensione al canale cervicale, eventuale infiltrazione profonda o scon-

finamento oltre l’anello stromale

• Localizzazione di malattia a livello annessiale• Valutazione dei setti vescico-vaginale e retto-uterino, dei parametri e

delle strutture linfonodali.La RMN addomio-pelvica con MDC aggiunge a quanto già riportato sopra: • la valutazione linfonodale pelvica e retroperitoneale con un’elevata ac-

curatezza diagnostica (sensibilità 50% con specificità 95%), leggendocome patologici i linfonodi con asse corto > 10 mm o con configura-zione rotonda ed asse corto ≥ 8 mm.

L’aggiunta di un esame 18 FDG PET/TC può risultare di ausilio nei seguenti casi:• malattia avanzata all’esordio, nel rischio consistente si metastasi a di-

stanza• approfondimento strumentale di lesione dubbie (principalmente linfono-

4. Valutazione clinico strumentale

1. La stadiazione più utilizzata è quella della FIGO (International Federationof Gynecology and Obstetrics) - ultima revisione pubblicata nel 2009(Figo Committee on Gynecologic Oncology, Int J Gynaecol Obstet 2009)basata sul reperto chirurgico ed istopatologico definitivo attraverso cuisi effettua una precisa valutazione dell’estensione della neoplasia e deisuoi fattori prognostici.

2. La stadiazione TNM (AJCC/UICC, American Joint Committee on Cancer/Union Internationale Contre le Cancer, Fourth Edition 1982, revisionatanel 1992) meno utilizzata rispetto alla stadiazione FIGO.

5.1 Stadiazione del carcinoma del corpo uterino(FIGO 2009)

• I Il tumore confinato al corpo dell’utero• IA No invasione o invasione < 50% del miometrio• IB Invasione ≥ 50% del miometrio• II Il tumore invade lo stroma cervicale ma non si estende oltre

l’utero**• III Estensione locale e/o regionale del tumore• IIIA Il tumore invade la sierosa del corpo uterino e/o

gli annessi ***• IIIB Interessamento vaginale e/o parametriale • IIIC Metastasi ai linfonodi pelvici e/o paraortici• IIIC1 Linfonodi pelvici positivi• IIIC2 Linfonodi paraortici positivi con o senza linfonodi pelvici positivi• IV Il tumore invade la vescica e/o la mucosa intestinale e/o me-

tastasi a distanza• IVA Il tumore invade la vescica e/o la mucosa intestinale• IVB Metastasi a distanza, incluse metastasi intra-addominali e/o lin-

fonodi inguinali** il coinvolgimento delle ghiandole endocervicali dovrebbe essere considerato solo

come stadio i e non più come stadio II.

*** la citologia positiva deve essere riportata separatamente senza cambiamento dello

stadio

5.2 Stadiazione TNM del carcinoma del corpo uterino (AJCC/UICC)

• Tis Carcinoma in situ• T1 Tumore confinato al corpo dell’utero• T1A Tumore limitato all’endometrio• T1B Tumore che invade non oltre il 50%• T1C Tumore con invasione dello spessore del miometrio > del 50• T2 Il tumore ha invaso la cervice uterina senza spingersi oltre l’utero• T2A Tumore con interessamento ghiandolare endocervicale• T2B Tumore con interessamento dello stroma cervicale• T3 Il tumore diffonde oltre l’utero• T3A Tumore con interessamento della sierosa, e/o degli annessi e/o

con citologia peritoneale positiva per cellule tumorali maligne• T3B Metastasi vaginali• T4 Tumore che invade la vescica e/o l’intestino• NX Metastasi linfonodali non valutabili• N0 Assenza di metastasi linfonodali• N1 Metastasi linfonodali regionali• MX Metastasi a distanza non valutabili• M0 Assenza di metastasi• M1 Presenza di metastasi a distanza

Fattori prognostici1) Tipo istologico2) Grado di differenziazione istologica3) Profondità di invasione miometriale4) Coinvolgimento cervicale5) Invasione vascolare6) Presenza di iperplasia endometriale atipica associata7) Stato dei recettori per il progesterone8) Ploidia del DNA9) Coinvolgimento degli annessi10) Citologia peritoneale11) Metastasi linfonodali pelviche e para-aortiche.

5. Stadiazione

Il trattamento chirurgico rappresenta, nel carcinoma dell’endometrio, il goldstandard. Esso consente una corretta stadiazione, una corretta individuazione delle pa-zienti ad alto rischio di recidiva e, conseguentemente, l’indicazione ad unaeventuale terapia adiuvante.

6.1 Trattamento degli stadi precociIl trattamento del carcinoma dell’endometrio con esordio in fase precoce(FIGO IA-IB) è modulabile in base allo stadio, all’istotipo ed all’età di insor-genza della malattia, in ragione del desiderio di prole. Può pertanto prevedereun atteggiamento terapeutico conservativo o demolitivo.

6. Trattamento

Figura 1. Diagnostica per immagini nel caso di stadiazione chirurgica incompleta

Stadio IA, G1-2(senza invasionedel miometrio)

Osservazione

Negativo

Trattamentiadiuvanti

Ristadiazione chirurgica o istologia positiva per malattia metastatica

Stadiazionechirurgicainconpleta

Stadio IA, G1-2(con invasione delmiometrio <50%)

RM/PET-TC

NegativoRM/PET-TC

Positivo

Positivo

Stadio IA, G3Stadio IBStadio II

Attualmente non esiste alcuna forma di screening approvata dal momentoche esami come l’ecografia trans-vaginale, le periodiche biopsie endometrialirandom, la citologia endometriale mediante aspirazione elavaggio o abrasionein donne asintomatiche non si sono rivelate all’altezza dei criteri necessariper un utilizzo di massa.Nelle donne sintomatiche che manifestano perdite ematiche atipiche esistel’indicazione ad un percorso diagnostico che prevede l’esecuzione di:• ecografia pelvica TV, possibilmente associata a flussimetria• isteroscopia diagnostica con eventuale biopsia delle aree sospette• resettoscopia • l’unica certezza diagnostica è data dall’esame istologico.

L’esame isteroscopico (ISC) consente di valutare le irregolarità della cavitàuterina e del rivestimento endometriale, orientando in caso di sospetto il pre-lievo bioptico; esamina inoltre il canale cervicale, offrendo informazioni su-l’eventuale estensione della malattia in quella direzione. Tuttavia, non sempreè possibile condurre l’accertamento bioptico nel corso di un esame ISC am-bulatoriale o il campione prelevato può risultare inadeguato; in questo casosi deve optare per una procedura resettoscopica che consente di effettuaremanovre invasive mirate in condizioni di analgesia con il prelievo di campionimultipli e più frequentemente adeguati. La tipizzazione istologica della malattiaè di fondamentale importanza perchè consente un primo orientamento tera-peutico, offrendo le informazioni di base relative all’istotipo ed al grading.

Pagina 176

dali) agli esami precedenti • precedente procedura chirurgia non adeguata ai fini della stadiazione

(figura 1).Infine si può ricorrere all’esame TC (TORACE-ADDOME-PELVI con mdc) qua-

lora la struttura non offra la possibilità di eseguire una RMN o una PET/TC op-pure nel caso della disponibilità di ecografisti dedicati che garantiscano le in-formazioni necessarie alla pianificazione terapeutica (ad eccezione dellavalutazione linfonodale), di norma ricavabili da un esame RMN.

Pagina 177

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma dell’endometrio

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Il TRATTAMENTO CONSERVATIVO può essere eseguito in donne che pre-sentano le seguenti caratteristiche: • Giovane età < 45 anni• Istotipo endometrioide• Assente infiltrazione miometriale• Grado ben differenziato (G1)• Accertata fertilitàIl “Fertility Sparing” prevede l’esecuzione di un’isteroscopia operativa cheaccerti la presenza di un carcinoma in stadio iniziale con le caratteristichesuddette, seguita da una terapia ormonale (e.g. Medrossiprogesterone ace-tato- Megace®) a cadenza trimestrale fino alla completa risposta. La risposta al trattamento progestinico viene valutata attraverso un’istero-scopia diagnostica con biopsie ed una ecoflussimetria pelvica, TV al terminedi ogni ciclo di terapia ormonale.

Il TRATTAMENTO RADICALE è riservato a:• donne giovani in assenza di desiderio di prole • donne di età > 45 anni• infiltrazione miometriale• grado istologico ≠ G1 • istotipi speciali (sieroso, cellule chiare, indifferenziato)

L’indicazione terapeutica è rappresentata dall’isterectomia radicale Tipo A oB1 (nel caso di infiltrazione della cervice) secondo la classificazione di Quer-leu, annessiectomia bilaterale, lavaggio pelvico per esame citologico, lin-foadenectomia pelvica con asportazione di un minimo di quindici linfonodibilateralmente e/o lomboaortica con un minimo di dieci linfonodi bilateral-mente sulla base della presenza o meno di malattia linfonodale pelvica. La tecnica chirurgica di scelta è oggi rappresentata dalla laparoscopia, ingrado di ottenere ottimi risultati in termini di radicalità equiparabili alla chi-rurgia laparotomia, ma anche di ottenere un miglior out come post-opera-torio (rapida mobilizzazione, diminuiti giorni di degenza, scarsa sintoma-tologia dolorosa post-chirurgica) non paragonabile ad una chirurgia a cieloaperto.Il trattamento chirurgico del carcinoma dell’endometrio richiede una valuta-zione istologica intraoperatoria al fine di valutare l’istotipo, l’infiltrazione mio-metriale, il grading, il coinvolgimento del canale cervicale. Questo muove la scelta di eseguire o meno la linfoadenectomia pelvica: • in caso di infiltrazione miometriale < 50%, grado istologico ben o mo-

deratamente differenziato (G1-G2) o istotipo endometrioide con infiltra-zione miometriale > 50% ben differenziato (G1), la linfoadenectomiapelvica può essere omessa.

• In caso di infiltrazione del miometrio < 50%, grading scarsamente dif-

Figura 1. Trattamento degli stadi precoci

Osservazione

Negativo

Trattamentiadiuvanti

Ristadiazione chirurgica o istologia positiva per malattia metastatica

Stadio precoce(IA, IB)

* Isterectomia radicaleTipo Ao B1 in caso diinflitrazione della cervice sec QuerleuAnnessiectomia + linfoadenectomia pelvica (min. 15 N)+/- linfoadenectomia lombo-aortica (min. 10 N)

**Invasione miometriale: <50% G1-G2Invasione miometriale: >50% G1 (Endometrioid type)

Stadio IA, G1-2(con invasione delmiometrio <50%)

RM/PET-TC

NegativoRM/PET-TC

Positivo

Positivo

Stadio IA, G3Stadio IBStadio II

“Fertility sparing” ISC+MAAdenocarcinoma tipo endometrioide G1,studio della fertilità, non invasione miometriale

Tecnica LPSaccessibile

Tecnicaimpossibile

No linfoadenectomia**

No linfoadenectomia**

No fertility sparing Lymph

LPS*

LPT*

Figura 3. Trattamento degli stadi avanzati

Stadio FIGOavanzato

II-IV

Casi clinicamenteoperabili e/o

pazienti sintomatiche

Surgical effort- Isterectomia- Annessiectomia bilaterale- Liufoadenectomia- Omentectomiaa- Resezione metastasi

Casi inoperabiliclinicamente e/o

pazienti asintomaticiLPS

LPT/LPS

NACT

RT=0

Nella scelta di una terapia adiuvante necessaria risulta la valutazione deiFATTORI PROGNOSTICI: • tipo istologico • grado Istologico (25%)• invasione linfo-vascolare• invasione miometriale (28-34%)• stato dei linfonodi• invasione stroma cervicale (20%)• diametro del tumore (< 2 cm vs ≥ 2 cm).La terapia adiuvante più diffusa nel carcinoma dell’endometrio è la radiote-rapia a fasci esterni sulla pelvi in combinazione o meno con la radioterapiaintracavitaria. La radioterapia è ormai riconosciuta come efficace per il controllo locale

della malattia. In letteratura non sono presenti molti studi che pongono l’indicazione di unaterapia antiblastica negli stadi precoci di malattia, nonostante vi sia evidenzache in presenza di fattori prognostici negativi, l’associazione di una terapiaantiblastica in aggiunta alla radioterapia riduca il rischio di metastasi a di-stanza (frequente causa di decessi), aumentando quindi il tasso di sopravvi-venza.Nel carcinoma dell’endometrio che interessa mucosa e infiltra il < 50% (IA,grading G1-G2-G3), in presenza o meno di fattori prognostici negativi, non sipone indicazione ad una terapia adiuvante. Questo concetto e’ valido anchein presenza di una neoplasia infiltrante il miometrio per più della metà (IB gra-ding G1-G2), però in assenza di ulteriori fattori prognostici negativi. In generale, la presenza di un carcinoma scarsamente differenziata richiede

7. Terapia adiuvante

Tabella 1. Terapia adiuvante

G1 G2 G03

Stadiazione completa

IANo Risk factors Observe Observe Observe

Risk factors* Observe Observe Observe or vaginal BRT

IBNo risk factors Observe Observe ERT+/- vaginal BRT

Risk factors + II Observe or vaginal BRT ERT +/- vaginal BRT ERT and vaginal BRT +/- CT

Stadiazione incompleta

IA, G3, IBImaging ERT (no LN paraortici) + vaginal BRT

Imaging + II ERT (+ LN paraorici + vaginal BRT + CT

G1 G2-G3

IIIA ERT ± BRT (?)CTx4 + ERT sequential Alternativa: CTx6 ± BRT

IIIB-IIIC ALL G CTx4 + ERT (sequential) or CTx3 + ERET + CTx3

IV A (debulking senza grosso residuoo residuo microscopico)

ALL G CTx6

Pagina 178

ferenziato o infiltrazione > 50%, con un grading moderatamente o scar-samente differenziato, la linfoadenectomia pelvica sistematica deve es-sere compresa nello sforzo chirurgico, dato il maggior rischio dimetastasi linfonodali (figura 2).

6.2 Trattamento degli stadi avanzatiIl trattamento degli stati avanzati del carcinoma dell’endometrio (Stadio FIGOII-IV) si differenzia in base alla diffusione della malattia e alla presenza disegni e sintomi: • Chirurgia radicale:

- donne sintomatiche (in presenza di anemizzazione severa)- malattia aggredibile chirurgicamente

• Terapia neoadiuvante:- donne asintomatiche - malattia metastatica

La terapia neoadiuvante prevede un ciclo completo di terapia antiblasticacon rivalutazione della diffusione di malattia. Quando possibile a questasegue un trattamento chirurgico. L’intervento chirurgico prevede: • isterectomia totale • annessiectomia bilaterale• linfoadenectomia pelvica e/o lombo-aortica • omentectomia totale• resezione di metastasi macroscopicheIl fine è effettuare una chirurgia radicale quindi ottimale con assenza di ma-lattia macroscopicamente visibile (RT=0) (figura 3).

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma dell’endometrio

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In considerazione della necessità di modulare il trattamento oncologico sullabase delle caratteristiche istologiche della malattia, è auspicabile la condi-visione di un modello unico di refertazione istologica, come guida della cor-retta scelta chirurgica e dell’adeguatezza di una eventuale terapia adiuvante(esame istologico intraoperatorio e definitivo).

Esame istologico definitivo

Se esiste anormalità, specificare:

Lavaggio peritoneale:

Commenti:

Esame istologico intraopeatorio

8. Refertazione istologica

9. Follow up

Esame macroscopico

Dimensioni dell’utero X mm

Diametro massimo del tumore X mm

Invasione miometriale Sì/No

Esame macroscopico

Dimensioni dell’utero X mm

Diametro massimo del tumore X mm

Invasione miometriale Sì/No

Coinvolgimento microscopico di:

Canale cervicale Sì/No

Parametrio Sì/No

Annessi Sì/No

Sierosa Sì/No

Spazi linfovascolari Sì/No>>>>focale/massiva

Normalità delle seguenti strutture

Tuba destra Sì/No

Ovaio destro Sì/No

Tuba sinistra Sì/No

Ovaia sinistra Sì/No

Esame istologico

Istotipo

Grado FIGO (solo istotipo endometrioide)

% dell’invasione dello spessore del miometrio (facoltativo: mm/mm dispessore)

Linfonodi

Pelvici

Numero totale

Numero coinvolti

Linfonodi

Para-aortici

numero totale

Numero coinvolti

Grado FIGO (solo istotipo endometrioide)

% dell’invasione dello spessore del miometrio (facoltativo: mm/mm dispessore)

Coinvolgimento macroscopico di:

Canale cervicale: Sì/No

Tabella 1. Gruppo di lavoro tumori ginecologici (escluso il carcinoma dell’ovaio)Requisiti minimi (fondo bianco) e criteri di eccellenza (fondo grigio)

Risorse/Procedure DisponibilitàNumero pazienti trattati nel 2010

Numero minimo di interventi per tumori ginecologici 40

Servizio di anatomia patologica Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa

Collegamento con altre UO (Chirurgia generale, urologia) Idem

Disponibilità di strumentazione laparoscopica Idem

Disponibilità di posti in Terapia Intensiva Post-operatoria Il trattamento può avvalersi di questa risorsa

Disponibilità dell’esame istologico intraoperatorio Idem

Possibilità di valutare il linfonodo sentinella (Tumori della vulva) Idem

NB: Il carcinoma della cervice localmente avanzato richiede, in particolar modo, centri in cui è attivo il servizio di radioterapia.

Radioterapia Oncologica Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati (*) e 3 dei 5 altri requisiti

Trattamenti radioterapici con fasci esterni sul tumore primitivocon intento radicale o palliativo

15

Acceleratore lineare Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa

Simulazione con utilizzo di TC Idem

Piano di trattamento basato su immagini TC Idem

Immagini portali settimanali Idem

Sistemi di immobilizzazione o dislocamento Idem

DH Disponibilità di accesso

Trattamenti radioterapici con fasci esterni sul tumore primitivo con intento radicale o palliativo

25

Radioterapia conformazionale con collimatore multilamellare Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa

IMRT Il trattamento può avvalersi di questa risorsa

IGRT idem

Brachiterapia idem

DEGENZE Disponibilità posti letto dipartimentali o tecnici

Procedure Per l’eccellenza è necessario soddisfare 2 dei 3 requisiti

Prima visita specialistica 1 settimana dalla richiesta di prenotazione

una più attenta valutazione al fine stabilire se realmente non vi è la neces-sità di una terapia adiuvante. In stadi ancora precoci di malattia, in presenzadi più fattori di prognosi negativi, si pone indicazione ad una terapia adiu-vante. La sola chirurgia può rappresentare l’opzione nel caso di un tumoreben differenziato in presenza di fattori di rischio. Differentemente la radiote-rapia adiuvante può ridurre il rischio di ripresa di malattia, quando sommi-nistrata in neoplasie di grado moderato.Molto discusso invece, è la necessità di eseguire in donne con malattia allostadio iniziale con più fattori prognostici negativi, una chemioterapia chesegua alla radioterapia. Studi presenti in letteratura sostengono che l’asso-ciazione di una chemioterapia in uno stadio IB, con più fattori prognosticinegativi riduce la possibilità di ripresa di malattia a distanza, determinandoun incremento della sopravvivenza e un maggior tempo libero domani mat-tina.Nel II stadio (invasione dello stroma cervicale) in presenza o meno difattori prognostici negativi l’opzione terapeutica è di uno stretto controllo nelcaso in cui il tumore sia ben differenziato. Peggiorando il grading, si rende necessaria una radioterapia nel caso que-

sto risulti un grading moderatamente differenziato, in associazione di unaradio-chemioterapia non concomitante nelle forme scarsamente differen-ziate. Nello stadio IIIA (invasione della sierosa dell’utero e/o interessamento degliannessi), come negli altri casi, il trattamento adiuvante cambia sulla basedel grado istologico; in caso di un tumore ben differenziato l’indicazione diuna radioterapia a fasci esterni in associazione o meno alla brachiterapia. Neltumore moderatamente/scarsamente differenziato, alla radioterapia segui-ranno quattro cicli di terapia antiblastica. L’alternativa può essere rappre-sentata da sei cicli di chemioterapia associata o meno ad una brachiterapia. Nello stadio IIIB/IIIC (interessamento vaginale e/o parametriale/metastasi ailinfonodi pelvici e/o paraortici), la terapia di scelta è la terapia antiblastica as-sociata da una radioterapia esterna; in alternativa tre cicli di chemioterapia,radioterapia esterna e ulteriori tre cicli di chemioterapia. Nello stadio IV (invasione della vescica e/o della mucosa intestinale e/o me-tastasi a distanza), si pone indicazione ad un ciclo completo di terapia anti-blastica. La terapia ormonale non trova indicazione come terapia adiuvante.

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Al termine del trattamento seguiranno periodici controlli clinico-strumentali,volti alla valutazione delle complicanze precoci e tardive conseguenti alle di-verse terapie effettuate ed alla individuazione precoce di una eventuale ri-presa di malattia. Il programma di follow-up diagnostico strumentale, vienemodulato anche sulla base dei fattori di rischio. I controlli avverranno ogni 3/4 mesi per i primi due anni dal termine del trat-tamento e comprendono i seguenti esami di base:• visita ginecologica • scraping vaginale • esami di laboratorio, compresi i markers tumorali

• ecoflussimetria pelvica TV/TR.A questi si aggiungono: • RMN addomino-pelvica (a cadenza semestrale)• 18 FDG-PET (a cadenza annuale o sulla base di un sospetto di ripresa di

malattia)• TC total-body con mdc (quando PET/TC non disponibile o controindi-

cata).Nei successivi tre anni i controlli avverranno con cadenza semestrale pre-vedendo gli esami già elencati. Dopo il quinto anno il follow-up consisterà incontrolli annuali di base.

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma dell’endometrio

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Risorse/Procedure DisponibilitàNumero pazienti trattati nel 2010

Procedure Per l’eccellenza è necessario soddisfare 2 dei 3 requisiti

Completamento stadiazione 3 settimane dalla prima visita

Inizio procedura radioterapia 4 settimane dalla prescrizione

Inizio terapia

Le UOC di Radioterapia si impegnano a mettere in atto le proce-dure sia radio che chemioterapiche in tempo reale, attenendosiesclusivamente a quelli che sono i tempi tecnici necessari. Neitrattamenti postoperatori l’intervallo sarà il più breve possibilecompatibilmente con le condizioni cliniche della paziente e con itempi di guarigione della ferita chirurgica

Gruppo Oncologico Multidisciplinare La gestione del paziente può avvalersi di questa risorsa

Attività Scientifica Per l’eccellenza è necessario 1 dei 3 requisiti

Pubblicazioni

Adesione a protocolli nazionali e internazionali Almeno uno nell’anno

Presentazioni a Congressi e Corsi

Relazioni, comunicazioni Presenza di una pubblicazione nell’anno

Partecipazione a studi multicentrici Almeno uno nell’anno

10. Bibliografia

• Pecorelli S. Revised FIGO staging for carcinoma of the vulva, cervix, and endome-

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• Benedetti Panici P, Basile S, Maneschi F, Alberto Lissoni A, Signorelli M, Scambia

G, Angioli R, Tateo S, Mangili G, Katsaros D, Garozzo G, Campagnutta E, Donadello

N, Greggi S, Melpignano M, Raspagliesi F, Ragni N, Cormio G, Grassi R, Franchi M,

Giannarelli D, Fossati R, Torri V, Amoroso M, Crocè C, Mangioni C. Systematic pel-

vic lymphadenectomy vs. no lymphadenectomy in early-stage endometrial carci-

noma: randomized clinical trial. J Natl Cancer Inst. 2008; 100(23): 1707-16.

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Coordinatore: Giovanni Scambia

P.A. Margariti, V. Di Donato, R. Angioli, F. Maneschi, F. Patacchiola, G. Nicolanti, G. Vittori,P. Palazzetti, A. Micheli, L. Pompei, V. Donato, G. Arcangeli, A. Savarese, L. Bonomo,

V. David, M. Crecco, G.F. Zannoni, V. Gomes, S. Rahimj, G. Manlio

Criteri di appropriatezza clinicaed organizzativa nella diagnosi,terapia e follow-up del carcinoma

della vulva

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della vulva

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• Variazioni ormonali della menopausa• Età avanzata• Stati di immunodepressione (e.g. infezione da HIV)• Papilloma-virus (HPV)• Lesioni cutanee vulvari croniche (e.g. lichen sclerosus)

• Precancerosi vulvari (VIN)• Fumo di sigaretta• Pregresso tumore della cervice• Melanoma o nevi atipici

1. Fattori di rischio

Macroscopicamente i tumori della vulva formano masse esofitiche dure eulcerate. Nella maggior parte dei casi sono coinvolte le grandi e le piccolelabbra; il clitoride è interessato primariamente nel 5-15% dei casi e la for-chetta posteriore nel 15%. Le pazienti riferiscono spesso con una lunga storia di prurito e bruciore, as-sociato a dolore solo nelle forme avanzate: l’elasticità dell’area vulvo-vagi-nale consente infatti una discreta crescita di tessuto tumorale con necrosiestese ed ulcerazioni, inizialmente senza la comparsa di dolore. Circa il 20%delle pazienti presentano lesioni di piccole dimensioni e possono essere asin-tomatiche, pertanto la diagnosi avviene nel corso dei controlli ginecologici diroutine. Quando l’orifizio uretrale esterno viene coinvolto dalla malattia aquesti sintomi può aggiungersi la disuria. Se la lesione subisce un’evolu-zione verso la necrosi o l’ulcerazione possono infine comparire il sanguina-

mento o delle secrezioni maleodoranti, dovute principalmente alla sovrap-posizione di infezioni locali. Nelle pazienti che si presentano con malattiaavanzata la neoplasia può sovvertire l’intera architettura vulvare ed esten-dersi al resto del perineo o alla vagina, all’ano ed al retto, con possibile svi-luppo di fistole. Il coinvolgimento dei linfonodi inguinali analogamente può essere iniziale esub-clinico (dunque asintomatico) o massivo, apprezzandosi clinicamentecome nodularità di diametro variabile, perlopiù dure e mobili oppure fisse aitessuti circostanti, profondi (sul piano muscolare e vascolare) o superficiali(sul piano cutaneo, fino alla produzione di fistole). Il linfedema degli arti in-feriori o della cute perineale e del monte di venere si sviluppa principalmentein caso di coinvolgimento linfonodale, come conseguenza dell’ostacolo mec-canico al drenaggio linfatico.

2. Sintomatologia

L’unica forma di prevenzione secondaria possibile consiste nell’attenta e correttaosservazione e palpazione della regione vulvare e perineale durante la visita gi-

necologica e, nel caso di comparsa di lesioni sospette o di distrofia cutanea, nel-l’approfondimento mediante vulvoscopia ed eventuale biopsia delle sedi sospette.

3. Screening

La diagnosi del carcinoma vulvare è esclusivamente istologica: più comunementeavviene mediante una biopsia effettuata in sede ambulatoriale o l’exeresi dell’in-

tera formazione; al contrario raramente la citologia da scraping o da apposizionepuò fornire gli elementi sufficienti all’orientamento terapeutico.

4. Diagnosi

Il carcinoma della vulva, responsabile di circa il 5% dei tumori maligni deltratto genitale femminile, è il 5° tumore ginecologico per frequenza dopomammella, endometrio, ovaio e cervice uterina. E’ rappresentato in circa il90% dei casi da forme istologiche squamocellulari. L’incidenza annua è pariad 1-2/100.000 e colpisce più frequentemente donne in post-menopausa,

con un’età media di circa 68 anni, sebbene negli ultimi 20 anni, per le formein situ che precedono di circa 10 anni quelle invasive, sia stato registrato unabbassamento dell’età media di rischio a 44 aa,. L’associazione con l’infe-zione HPV è frequente nelle forme in situ o inizialmente invasive. L’età mediaal decesso è di circa 79 anni.

Pagina 185

INDICE

1. Fattori di rischio Pagina 185

2. Sintomatologia Pagina 185

3. Screening Pagina 185

4. Diagnosi Pagina 185

5. Valutazione clinico-strumentale Pagina 186

6. Stadiazione Pagina 186

6.1 Stadiazione FIGO (2009) Pagina 186

6.2 Stadiazione TNM (2002) Pagina 186

7. Principi generali di trattamento Pagina 187

8. Trattamento per stadi Pagina 188

9. Tecniche di chirurgia plastica ricostruttiva Pagina 190

10. Refertazione istologica Pagina 191

11. Follow up Pagina 192

12. Bibliografia Pagina 193

Pagina 184

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della vulvaRETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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5. Valutazione clinico-strumentale

Attualmente non si dispone di una stadiazione CLINICA per la classificazionedel carcinoma della vulva, pertanto l’unica stadiazione disponibile è su baseistologica, ossia POST-CHIRURGICA.La classificazione per stadi può avvenire secondo due stadiazioni ufficial-mente riconosciute:1) Stadiazione FIGO (International Federation of Gynecology and Obstetrics)

- la cui ultima revisione è stata pubblicata nel 2009 (Figo Committee onGynecologic Oncology, Int J Gynaecol Obstet 2009): le modifiche più so-stanziali apportate in quest’occasione sono riassumibili nel ridimensio-namento del peso prognostico attribuito in precedenza alle dimensionidella neoplasia (anche nei casi di iniziale infiltrazione delle struttura ana-tomiche della linea mediana, quali la vagina, l’uretra e l’ano/retto) e nellavalorizzazione dell’impatto della malattia linfonodale sulla prognosi (inparticolare in base al numero di linfonodi coinvolti e alle dimensioni degliimpianti neoplastici linfonodali), indipendentemente dalla mono o bila-teralità della diffusione linfonodale

2) Classificazione TNM - la cui ultima revisione è stata pubblicata nel 2002(American Joint Committee on Cancer.: AJCC Cancer Staging Manual.6th ed. New York)

6.1 Stadiazione FIGO (2009) • I Tumore confinato alla vulva con linfonodi negativi• IA Lesione ≤ 2 cm, confinato alla vulva o al perineo e con inva-

sione stromale ≤ 1 mm• IB Lesione > 2 cm o con invasione stromale > 1 mm confinato

alla vulva o al perineo• II Tumore di diverse dimensioni con estensione ad adiacenti

strutture perineali (terzo inf. dell’uretra/terzo inf. della vaginae/o estensione all’ano) con linfonodi negativi

• III Tumore di diverse dimensioni con estensione ad adiacenti

strutture perineali (terzo inf. dell’uretra/terzo inf. della vaginae/o estensione all’ano) con linfonodi positivi

• IIIA 1 linfonodo positivo ≥ 5 mm o 1-2 linfonodi positivi < 5 mm• IIIB 1 linfonodo positivo ≥ 5 mm o 1-2 linfonodi positivi < 5 mm• IIIC Linfonodi positivi con invasione extracapsulare• IV Il tumore invade altre regioni (2/3 sup. dell’uretra, 2/3 sup.

della vagina) o strutture a distanza• IVA I - Il tumore invade il terzo superiore dell’uretra e/o della mu-

cosa vaginale, la mucosa vescicale, la mucosa rettale, la pa-rete ossea pelvicaII - linfonodi inguino-femorali ulcerati o fissi

• IVB Metastasi a distanza o dei linfonodi pelvici.

6.2 Stadiazione TNM (2002)• Tis Ca in situ - VIN III• T1a Tumore di Ø •2 cm. confinato a vulva e/o perineo: con inva-

sione stromale non superiore a 1 mm• T1b Tumore di Ø •2 cm confinato a vulva e/o perineo: con invasione

stromale superiore a 1 mm• T2 Tumore di Ø > 2 cm. confinato a vulva e/o perineo• T3 Tumore di qualsiasi Ø con: interessamento del 1/3 distale, del-

l’uretra e/o vagina e/o ano• T4 Tumore di qualsiasi Ø che invade il 1/3 prossimale dell’uretra

e/o la mucosa vescicale e/o la mucosa rettale o fisso alla pareteossea

• N0 Assenza di metastasi linfonodali loco-regionali• N1 Metastasi linfonodali loco-regionali unilaterali• N2 Metastasi linfonodali loco-regionali bilaterali• M0 Assenza di metastasi a distanza • M1 Metastasi a distanza o metastasi linfonodali pelviche.

6. Stadiazione

7. Principi generali di trattamento

Una volta ottenuta la diagnosi, una valutazione clinico-strumentale di base dellamalattia consente di stabilire un corretto programma terapeutico; essa com-prende:• Rx torace• Ecografia inguinale bilaterale con eventuale esame citologico per aspira-

zione dei linfonodi sospetti• TC (o RMN) con mdc dell’addome e della pelvi (in base alla disponibilità del

centro) per la valutazione epatica e linfonodale pelvica e retroperitoneale• Markers tumorali (SCC e CA125).A questi esami possono aggiungersi:

• ecografia pelvica trans-vaginale (opzionale, per l’esclusione di patologieconcomitanti del corpo uterino e degli annessi)

• visita in narcosi con biopsie di mappatura per la programmazione del pianoterapeutico (in caso di malattia multifocale, prossima alla linea mediana olocalmente avanzata)

• cistoscopia/rettoscopia nel corso della narcosi (in caso di sospetto di in-filtrazione uretrale, vescicale o rettale)

• 18FDG-PET (in caso di patologia avanzata ad alto rischio di localizzazionilinfonodali o viscerali a distanza o in caso di reperti dubbi ai precedentiesami strumentali).

Pagina 186

Il trattamento di prima scelta del carcinoma vulvare consiste nell’asporta-zione chirurgica radicale della lesione vulvare associata alla chirurgia ingui-nale e qualora necessario alla chirurgia pelvica.Il planning chirurgico viene elaborato in base alla combinazione delle diversecaratteristiche della malattia:1) Dimensioni della neoplasia:

il diametro assoluto influisce, insieme ad altri parametri, nella dell’indi-cazione alla procedura del linfonodo sentinella (se ≤ 4 cm) o alla linfa-denectomia inguinale (se > 4 cm).

2) Sede:- Laterale (grandi o piccole labbra) con distanza > 1 cm dalla linea me-diana- Centrale (lungo l’asse centrale di simmetria della vulva e comunque ameno di 1 cm da esso)- In ognuno dei due precedenti casi si può distinguere una posizione an-teriore o posteriore.

3) Orientamento del diametro massimo, rapporto tra diametro della malat-tia e dimensioni complessive della vulva e del perineo (T/V), uni/multi-centricità e mono/bilateralità: condizionano l’orientamento dell’incisionechirurgica e l’indicazione ad una chirurgia conservativa o radicale.

4) Stato linfonodale, valutato come: - Negativo se tutti gli esami pre-operatori danno esito negativo (esameobiettivo, ecografia inguinale, esame citologico, TC o RMN, ev PET) - Positivo (monolateralmente o bilateralmente) sulla base di una positi-vità citologica ottenuta con ago aspirato o di una franca positività ad unesame strumentale che non richiede conferma citologica- Dubbio in caso di discordanza tra un citologico negativo ed uno o piùstrumentali dubbi o positivi.

5) Diffusione extraperineale ai seguenti:- Uretra, vagina o retto- Muscoli perinali profondi - Organi pelvici- Linfonodi pelvici- Localizzazioni viscerali a distanza.

In base agli elementi riportati si programmerà dunque il piano chirurgico.La CHIRURGIA VULVARE potrà prevedere una delle seguenti procedure: • wide resection del nodulo vulvare• emivulvectomia (laterale dx o sx, anteriore o posteriore) • vulvectomia semplice • vulvectomia radicale• vulvectomia ultra-radicale (estesa ai tessuti limitrofi alla vulva)La CHIRURGIA INGUINALE si svolgerà invece secondo due principali proce-dure:• biopsia del linfonodo sentinella inguinale (mono o bilaterale)• linfadenectomia inguinale monolaterale o bilateraleLa chirurgia PELVICA potrà prevedere:• colpectomia parziale o totale, isterectomia, annessiectomia bilaterale• resezione parziale o totale dell’uretra, resezione vescicale o cistectomia

totale• resezione anteriore del retto• linfadenectomia pelvica dele stazioni iliache (esterne e comuni) ed ottu-

ratorie• pelvectomia (anteriore, posteriore e totale)

Prima di esaminare le diverse specifiche indicazioni occorre precisare glielementi descrittivi delle procedure e delle indicazioni relative alla chirurgiainguinale.

Biopsia del linfonodo sentinellaLa chirurgia demolitiva radicale sui linfonodi inguinali è gravata da una se-vera morbidità: deiscenza delle suture inguinali (tra il 22 e il 52%), formazionedi linfocisti (tra il 7 ed il 28%), cellulite post-operatoria (50.8%), linfedema agliarti inferiori (fino al 63%). A fronte di tanta morbidità però solo il 25-35% delle pazienti risulta affettada metastasi linfonodali: esiste allora un 65-75% di donne che non trae alcunbeneficio dalla chirurgia linfonodale demolitiva, pur subendone le sequele. Attualmente, la biopsia del linfonodo sentinella (SNB), che rappresenta unatecnica chirurgica mini-invasiva, sta emergendo come nuovo standard nellemalattie in stadio iniziale. I vantaggi della metodica consistono nel risparmio dei linfonodi inguinali incaso di negatività del SN e dunque nel significativo abbattimento delle com-plicanze post-operatorie e della morbidità a lungo termine. Al contrario, ilprincipale rischio a cui la tecnica espone è quello della sotto-stadiazione,imputabile ad una possibile falsa negatività del SN, che produrrebbe risvoltipotenzialmente inaccettabili sotto il profilo prognostico. È noto infatti che lapersistenza di malattia o la recidiva inguinale configurano un’evenienza didifficile gestione clinica, con esito spesso infausto. Dagli studi pubblicati in letteratura la quota di SN negativi in presenza di lin-fonodi NON sentinella metastatici nello stesso inguine (ossia di SN falsi ne-gativi) varia tra lo 0 e il 7.7%: in particolare, il rischio di errore sembracorrelarsi con le dimensioni crescenti del tumore, con la sua prossimità allalinea mediana e con la multicentricità della malattia. Per limitare al massimoil rischio di falsa negatività è necessario attenersi strettamente alle corretteindicazioni.Le indicazioni alla procedura sono:• diagnosi di carcinoma vulvare con infiltrazione > 1mm• linfonodi inguinali negativi alla valutazione clinico- strumentale-citologica• nessuna pregressa chirurgia inguinale o vulvareInoltre, l’International Sentinel Node Society (ISNS) specifica tra le racco-mandazioni del 2008 di:• limitare la procedura del SNB alle donne con tumori di diametro < 4 cm • omettere la SNB a favore di una linfadenectomia radicale nei casi di tu-

mori vulvari della linea mediana in cui la linfoscintigrafia non identifichiil SN bilateralmente, o in caso di dubbia corrispondenza tra linfosciti-grafia e reperto intraoperatorio.

Il suo impiego inoltre non viene ritenuto sufficientemente sicuro nel caso di • stato linfonodale dubbio alla valutazione pre-operatoria • neoplasie muticentriche o bilaterali. In questi ultimi casi, data la morbidità legata all’alternativa di una linfade-nectomia inguinale bilaterale, si può tuttavia considerare l’utilizzo della pro-cedura mininvasiva in condizioni particolari come: età molto avanzate (> 80anni), perfomance status alto, multiple comorbidità o alto rischio anestesio-logico.Tecnica dell’SNBLa procedura del sentinella prevede una preparazione linfoscintigrafica pre-operatoria per la sua marcatura ed un dispositivo introperatorio per la sua ri-cerca ed individuazione. In particolare la procedura prevede:

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della vulva

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dei tessuti limitrofi a quelli vulvari: • orifizio uretrale esterno, fino all’intero terzo inferiore dell’uretra• vestibolo vaginale, fino al terzo inferiore della vagina• mucosa perianale, con attenzione al risparmio dello sfintere analeesterno

• cute perineale extravulvare.Nel caso sia prevedibile uno sforzo chirurgico eccessivo o la combina-zione di più di una procedura tra queste elencate, si dovrà considerareil ricorso ad una terapia neoadiuvante di preparazione alla chirurgia(figura 1).

C) La DIFFUSIONE AGLI ORGANI PELVICI o UNO STATO LINFONODALE IN-GUINALE PARTICOLARMENTE SEVERO potrebbe richiedere una chirur-gia “ultraradicale” o preferibilmente un trattamento neoadiuvante(radio-chemioterapico concomitante o chemioterapico), al cui terminevenga poi stabilito il programma chirurgico in base alla risposta otte-nuta (figura 2). La chirurgia dunque potrà prevedere, in aggiunta alle procedure giàdescritte:• asportazione del ponte cutaneo inguino-perineale• colpectomia radicale/isterectomia• resezione anteriore del retto• asportazione dell’uretra• resezione vescicale o cistectomia totale• linfadenectomia pelvica (delle stazioni iliache esterne, comuni ed ot-turatorie superficiali)

• pelvectomia (anteriore, posteriore o totale). La scelta del trattamento neo-adiuvante deve prediligere la combina-zione di radio e chemioterapia in regime concomitante, ricorrendo allachemioterapia esclusiva solo nei casi in cui la RT risulta controindicata(e.g. diverticolosi, patologie infiammatorie croniche intestinali ecc).La scelta del trattamento radio-chemioterapico esclusivo avverrà inbase alle caratteristiche della paziente: donne con età avanzate e PS -

> 2 o donne che in futuro siano in ogni modo non candidabili a chirur-gia demolitiva per motivi anestesiologici, infettivologici (e.g. HIV posi-tive), metabolici (e.g. diabete ed obesità severa) o per impedimentipsico-sociali a sostenere una chirurgia altamente demolitiva.

D) La DIFFUSIONE AI LINFONODI PELVICI come quella VISCERALE A DI-STANZA assume il significato di malattia sistemica. • Per le lesioni viscerali a distanza la terapia di scelta è concorde-mente riconosciuta nella chemioterapia esclusiva, eventualmenteassociata a chirurgia palliativa per i casi fortemente sintomatici.

• Al contrario per le localizzazioni ai linfonodi pelvici resta tutt’ora con-troversa la scelta tra chemioterapia e radio-chemioterapia conco-mitante.

La causa di tale incertezza è da ricercare nella rarità di base di questaneoplasia ed in particolare di questa condizione, per quale la lettera-tura offre casistiche ristrette, disomogenee e protocolli di trattamentosempre differenti.Ad ogni modo, al termine del trattamento scelto, in assenza di localiz-zazioni a distanza, è ragionevole programmare uno step chirurgicoorientato all’asportazione radicale della malattia, a cui eventualmentefar seguire un consolidamento sistemico mediante chemioterapia oradio-chemioterapia (in base al trattamento precedentemente ese-guito).Infine, più raramente condizioni particolari possono giustificare un pro-gramma che preveda la chirurgia in prima istanza, seguita poi da untrattamento CT o RT-CT concomitante, come ad esempio nella neces-sità di una chirurgia palliativa urgente che comporti procedure la cuimorbidità non sarebbe aggravata dall’aggiunta della linfadenectomiapelvica (figura 3).

In conclusione, è necessario rimarcare che la chirurgia del carcinoma vul-vare, soprattutto negli stadi più avanzati o nelle lesioni di grosso volume,è spesso gravata da una severa morbidità e da un alto tasso di compli-canze, (come deiscenza delle suture inguinali, infezione e cellulite post-

A) Il trattamento chirurgico delle neoplasie vulvari ad INIZIALE DIFFUSIONELOCALE che all’esordio appaiono resecabili prevede:• CHIRURGIA VULVARE- wide resection del nodulo vulvare- emivulvectomia (laterale, anteriore o posteriore) - vulvectomia semplice

- vulvectomia radicale• CHIRURGIA INGUINALE - biopsia del linfonodo sentinella inguinale (mono o bilaterale)- linfadenectomia inguinale monolaterale o bilaterale.

B) Qualora la malattia dimostri una più AMPIA DIFFUSIONE LOCALE la chi-rurgia potrà prevedere, in aggiunta a quanto già riportato, la resezione

8. Trattamento per stadi

Figura 1. �Algoritmi di trattamento per le neoplasie a diffusione locale, dove una valutazione clinico-strumentale pre-operatoriafa supporre uno stadio FIGO I, II o III

Stadio I

Stadio II

IA

IB

Lesione unilaterale

RLE

<4 cm

>4 cm

RLE o EV lat

EV lat o RV

SNB ± IBD IMD ± IBDse SN non reperito

IMD ± IBD

Lesione centrale<4 cm

>4 cm

EV (ant-post) o RV

Chirurgia in basealla risposta

RV o URV

SNB bilaterale ± IBD IBD if bilateralse SN non reperito

IBD

IBD

RLE: escissione radicale locale, EV emivulvectomia, RV: vulvectomia radicale, URV: vulvectomia ultraradicale DNB: biopsia del linfonodo sentinella, IMD: linfadenectomia inguinale monolaterale, IBD: linfadenectomia inguinale bilaterale

Neo-adjRT-CT

Stadio III RLE o EVRV o URV

Figura 2.�Algoritmi di trattamento per le neoplasie a diffusione viscerale o linfonodale pelvica, dove una valutazione clinico-strumentale pre-operatoria fa supporre uno stadio FIGO IV

Stadio IV

II

I

IVA

Neo-adj CT CT±±

±

(*)

(**)

Neo-adj RT-CT

Exclusive RT-CT

CHIRURGIA:RV or URV + IBD

ev POR/PE/PL

III sup. di uretra o vaginamucosa vescicale o rettale

parete ossea pelvica

RT-CT

RT(***)

(*) Se RT controindicata(**) Se chirurgia mai fattibile(***) Se lesione non resecabile

RV or URV + IBDev IPB

CT

LN inguino-femoraliulcerati o ofissi

RV ev URV + IBDev IPB

CT

RV: vulvectomia radicale, URV: vulvectomia ultraradicale, POR: resezione di organi pelvici, PE: pelvectomia,IPB: resezione del pionte cutaneo inguino-perineale, IBD: linfadenectomia inguinale bilaterale, PL: linfadenectomia pelvica

• Iniezione peritumorale di radiocolloide (albumina micronizzata in micelleda 80nm, marcata a freddo con 99m-Tc) che potrà avvenire il giorno pre-cedente o il medesimo giorno dell’intervento. L’intervento verrà eseguitoin un intervallo variabile tra 2 e 20 ore dal momento dell’iniezione (la dosein MBq verrà modulata in base all’intervallo di tempo prevedibile).

• Acquisizione dinamica delle immagini relative al drenaggio del radio col-loide fino alla visualizzazione del linfonodo sentinella.

• Piccola incisione inguinale ed identificazione del linfonodo sentinella me-diante gamma-counter: il linfonodo sentinella si potrà esaminare conesame istologico estemporaneo (con colorazione E/E) eseguito su una opiù sezioni del linfonodo o con sistema touch-print e secondo tecnicaclassica nell’esame istologico definitivo (colorazione in E/E ed eventualestudio immunoistochimico rispettivamente su sezione dedicata ogni 150nm di spessore linfonodale).

Linfadenectomia inguinaleLa linfadenectomia inguinale radicale bilaterale, eseguita con incisioni ar-cuate separate, deve essere riservata ai casi di:• linfonodo sentinella positivo per localizzazione neoplastica, mono o bi-

lateralmente (nel corso dello stesso intervento se la diagnosi è intrao-

peratoria o con intervento differito se la diagnosi sopraggiunge all’esameistologico definitivo)

• accertata malattia linfonodale mono o bilaterale alla valutazione pre-operatoria: è preferibile porre indicazione ad intervento radicale dopoaver ottenuto una conferma citologica del sospetto posto agli esami stru-mentali, mediante ago aspirato linfonodale eseguito su guida ecogra-fica; tale procedura potrà essere omessa nei casi francamentericonoscibili come patologici anche ai soli esami strumentali (e.g. linfo-nodi confluenti in pacchetti di grosso volume)

• malattia vulvare di grosso volume (> 4cm) o diffusamente multifocale obilaterale

Qualora invece si verifichino tutte le seguenti condizioni sarà indicata una lin-fadenectomia monolaterale:• stato linfonodale negativo alla valutazione pre-operatoria negativa• lesione vulvare laterale (distanza > 1 cm)• assenza di indicazione alla biopsia del infondo sentinella (e.g. pregressa

chirurgia inguinale o vulvare)• impossibilità a reperire il linfonodo sentinella dopo linfoscintigrafia (per

mancato drenaggio del radio-tracciante o per mancata identificazione in-traoperatoria con gamma-counter)

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della vulva

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i difetti orientati verticalmente di taglia piccola omedia. Non si addice alla riparazione dei difetticomprendenti la piega inguino-crurale e quelli ge-nerati nella chirurgia delle recidive (dato il rischiodi danneggiamento del peduncolo vascolare su cuisi regge alla prima chirurgia).

3) Lembo fascio-cutaneo della piega glutea: ha lestesse indicazioni del precedente ma consente lariparazione anche di piccoli difetti lungo la piegainguino-crurale, anche nella chirurgia su recidiva,dal momento che il suo peduncolo vascolare è lo-calizzato più lateralmente e difficilmente può es-sere danneggiato.

4) Lembo VRAM (vertically oriented rectus abdominismuscle): utilizzato in caso di difetti molto estesi, in-fatti garantisce la chiusura di qualsiasi tipologia didifetto, anche molto profondo o che si estenda aitessuti limitrofi al perineo. Gode di un ampio arco dirotazione e può trasportare un’area cutanea moltoampia. In aggiunta, il risultato cosmetico e funzio-nale è soddisfacente perché dopo la connessionecon uretra e vagina riproduce le pieghe cutaneeche associate alla ridondanza laterale del tessutoassumono le sembianze delle grandi labbra.

5) Lembo di Limberg: il suo utilizzo è limitato a minimi difetti già prossimialla chiusura per prima intenzione. Si impiega con l’unico obiettivo direalizzare una sutura senza tensione.

• PROTOCOLLO DI GESTIONE PERIOPERATORIA - mirato alla prevenzioneprimaria delle complicanze

Protocollo di gestione perioperatoriaPreoperatoriamente• Somministrazione di sostanze probiotiche (come i Lactobacilli) da al-

meno 3 giorni prima della data presunta per la chirurgia: tale provvedi-mento preserva l’integrità della flora batterica intestinale ed riduce il ri-schio di traslocazione batterica nel periodo del digiuno che seguirà lachirurgia.

Intra-operatoriamente• Gambali a compressione dinamica o, in alternativa, calze elastiche a

compressione graduale.Post-operatoriamente• Digiuno per almeno 5 giorni.• Nutrizione parenterale - complessivamente non superiore a 1800-2000

kcal/die, (evitando la sovra nutrizione che faciliterebbe la contamina-zione batterica e fungina).

• Terapia antibiotica (cefalosporine di terza generazione) almeno per i primi7 giorni dopo l’intervento.

• Farmaci antidiarroici (loperamide cloridrata) nei primi giorni dopo chi-rurgia per mantenere la ferita pulita rinviando l’evacuazione.

• Profilassi tromboembolica (eparina a basso peso molecolare a dosaggioprofilattico - 100 UI/ proK, s.c. al giorno) per tutto il periodo dell’immo-bilizzazione a letto e di successiva scarsa mobilità (almeno tre setti-mane).

• Immobilizzazione a letto per i primi 5 giorni - posizione supina congambe aperte a 60° per evitare l’umidificazione delle ferite e la trazionisulle suture.

• Materassino pneumatico e gambali a compressione dinamica nei giornidell’immobilizzazione, per evitare il principio di decubiti e favorire la cir-colazione venosa profonda degli arti inferiori.

• Ossigenoterapia in ventimask - per compensare la scarsa ventilazionedovuta alla posizione e garantire la corretta ossigenazione utile alla ci-catrizzazione delle ferite.

• Ampia copertura antalgica (nei casi più a rischio valutare l’opportunitàdi un catetere peridurale a infusione continua).

• Attenta cura delle ferite chirurgiche e mantenimento della pressione diaspirazione nei drenaggi chirurgici (ove possibile due volte al giorno).

operatoria, linfedema degli arti inferiori, linfociti, trombosi venosa profondae più raramente sepsi). Questi fattori possono comportare l’allungamento dei tempi di degenzapost-operatoria e di convalescenza, ritardando l’inizio delle terapie adiuvanti(fino talvolta ad impedirne l’attuazione) e aumentando i costi complessividi trattamento. In alcuni casi inoltre la risoluzione può anche richiedere unaseconda chirurgia ripartiva.Risulta fondamentale che le donne con stadio avanzato di carcinoma dellavulva, vengano inviate presso centri oncologici di riferimento al fine di ef-fettuare un trattamento adeguato data la considerevole diffusione della ma-

lattia (tabella 1). Per ridurre al massimo l’incidenza di tali complicanze può essere utile in-tegrare il trattamento con:• TECNICHE DI CHIRURGIA PLASTICA RICOSTRUTTIVA – che talvolta ri-

sulta imprescindibile al fine di ottenere la riparazione degli ampi difettitissutali e talvolta semplicemente utile per migliorare la qualità dellesuture di raffronto che risulteranno “tension free”. Le molteplici tecniche di ricostruzione non sono abitualmente compe-tenza del solo ginecologo ma prevedono la collaborazione con il chi-rurgo plastico.

Figura 3.�Trattamenti per le neoplasie in cui la valutazione clinico-strumentale pre-operatoria faccia supporre uno stadio FIGO IV

Stadio IV

IVB

RT-CT

CT or RT-CTCT

Chirurgia palliativa + linf pelvica

Linf pelvicaChirurgia perineale,inguinale ev pelvica

Linfonodi pelvici

CT ± chirurgia palliativaMetastasi a distanza

Tabella 1. Complicanze post-chirurgiche nei tumori della vulva)

Timing Tipo di complicanza

Complicanze precoci (fino a sei settimane dopo chirurgia)

Disestesie della regione anteriore della coscia (secondaria ad insulto del nervo femorale)Trombosi venosa profondaInfezione e deiscenza della ferita inguinaleEmorragiaOsteite del pubeEmbolia polmonareSieroma o linfocele del triangolo di ScarpaInfezione del tratto urinarioNecrosi della ferita

Complicanze tardive (6 settimane o più dopo chirurgia)

DispareuniaErnia femoraleProlasso genitaleLinfangite ricorrente aa. inferioriUrinary stress incontinenceLinfedema arti inferiori

La scelta della tecnica ricostruttiva dei difetti vulvari e perineali che esitanodopo chirurgia oncologica verte principalmente sulla preferenza del chirurgoma è utile tracciare qualche linea di riferimento,I lembi fascio-cutanei locali sono solitamente preferibili a tutti gli altri, gra-zie alla loro sottigliezza, affidabilità e scarsa morbidità. Vengono sollevaticome isole cutanee peduncolate a coprire difetti di taglia medio-grande. Soloin casi di difetti molto ampi è necessario ricorrere a lembi muscolo-cutaneiche trasportano tessuti da sedi lontane, assicurandone il supporto vascolare

attraverso un peduncolo vascolare che irrora il muscolo e la sua cute sovra-stante. Nell’uso comune i lembi maggiormente utilizzati sono:1) Lembo fascio-cutaneo di avanzamento V-Y: consente la chiusura di di-

fetti di piccola, media ed ampia portata, specialmente localizzati delle re-gioni posteriori; considerata la sua versatilità e affidibailità vieneconsiderato il cavallo di battaglia della ricostruzione vulvare.

2) Lembo fascio cutaneo pudendo della coscia: si usa preferibilmente per

9. Tecniche di chirurgia plastica ricostruttiva

10. Refertazione istologica

Tipo di vulvectomia

Radicale

Semplice

Anteriore

Posteriore

Escissione locale

Escissione a Y con linfonodi

Emivulvectomia destra

Emivulvectomia sinsitra

Linfonodi inguinali sinistra

Linfonodi inguinali destra

Altro

Istopatologia

Istotipo

Squamoso (usuale)

Verrucoso

Adenocarcinoma

A cellule basali

Altro istotipo (specificare)

Differenziazione istologica

Dimensione del tumoreDiametro massimo orizzontale

Spessore/profondità di invasione

Invasione linfovascolare

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della vulva

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Esame macroscopico

Dimensioni del campione chirurgico

Lunghezza

Diametro trascerso

Spessore

Dimensioni del tumore

Sede del tumore

Presenza macroscopica di tumore residuo sui margini

Linfonodi inguinali

Numero totale di linfonodi a destra

Numero totale di linfonodi a sinistra

Numero totale di linfonodi positivi a destra

Numero totale di linfonodi positivi a sinistra

Estensione extranodale

Metastasi >5 mm

Commenti

AJCC - TNM 2009 (7 edizione)

pT pN Mx G R0 C4

Stadio FIGO (2009)

11. Follow up

• Smith JS, Backes DM, Hoots BE, Kurman RJ, Pimenta JM. Human papillomavi-

rus type-distribution in vulvar and vaginal cancers and their associated precur-

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• Van der Zee AG, Oonk MH, De Hullu JA, Ansink AC, Vergote I, Verheijen RH, Mag-

gioni A, Gaarenstroom KN, Baldwin PJ, Van Dorst EB, Van der Velden J, Her-

mans RH, van der Putten H, Drouin P, Schneider A, Sluiter WJ. Sentinel node

12. Bibliografia

Tabella 1. Requisiti minimi (fondo bianco) e criteri di eccellenza (fondo grigio)

Risorse/Procedure DisponibilitàNumero pazienti trattati nel 2010

Numero minimo di interventi per tumori ginecologici 40

Servizio di anatomia patologica Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa

Collegamento con altre UO (Chirurgia generale, urologia) Idem

Disponibilità di strumentazione laparoscopica Idem

Disponibilità di posti in Terapia Intensiva Post-operatoria Il trattamento può avvalersi di questa risorsa

Disponibilità dell’esame istologico intraoperatorio Idem

Possibilità di valutare il linfonodo sentinella (Tumori della vulva) Idem

NB: Il carcinoma della cervice localmente avanzato richiede, in particolar modo, centri in cui è attivo il servizio di radioterapia.

Radioterapia Oncologica Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati (*) e 3 dei 5 altri requisiti

Trattamenti radioterapici con fasci esterni sul tumore primitivocon intento radicale o palliativo

15

Acceleratore lineare Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa

Simulazione con utilizzo di TC Idem

Tabella 1. Requisiti minimi (fondo bianco) e criteri di eccellenza (fondo grigio)

Risorse/Procedure DisponibilitàNumero pazienti trattati nel 2010

Piano di trattamento basato su immagini TC Idem

Immagini portali settimanali Idem

Sistemi di immobilizzazione o dislocamento Idem

DH Disponibilità di accesso

Trattamenti radioterapici con fasci esterni sul tumore primitivo con intento radicale o palliativo

25

Radioterapia conformazionale con collimatore multilamellare Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa

IMRT Il trattamento può avvalersi di questa risorsa

IGRT idem

Brachiterapia idem

DEGENZE Disponibilità posti letto dipartimentali o tecnici

Procedure Per l’eccellenza è necessario soddisfare 2 dei 3 requisiti

Prima visita specialistica 1 settimana dalla richiesta di prenotazione

Completamento stadiazione 3 settimane dalla prima visita

Inizio procedura radioterapia 4 settimane dalla prescrizione

Inizio terapia

Le UOC di Radioterapia si impegnano a mettere in atto le proce-dure sia radio che chemioterapiche in tempo reale, attenendosiesclusivamente a quelli che sono i tempi tecnici necessari. Neitrattamenti postoperatori l’intervallo sarà il più breve possibilecompatibilmente con le condizioni cliniche della paziente e con itempi di guarigione della ferita chirurgica

Gruppo Oncologico Multidisciplinare La gestione del paziente può avvalersi di questa risorsa

Attività Scientifica Per l’eccellenza è necessario 1 dei 3 requisiti

Pubblicazioni

Adesione a protocolli nazionali e internazionali Almeno uno nell’anno

Presentazioni a Congressi e Corsi

Relazioni, comunicazioni Presenza di una pubblicazione nell’anno

Partecipazione a studi multicentrici Almeno uno nell’anno

A tutt’oggi si dispone di scarse informazioni relative alla caratterizzazionedel comportamento biologico di questa neoplasia, occorre affidarsi unica-mente allo stadio patologico per la previsione della prognosi e la program-mazione del follow-up.1) Casi a diffusione locale limitata (STADIO FIGO I-II): un’eventuale reci-

diva è attesa prevalentemente in sede locale (vulvare, inguinale o cuta-neo loco-regionale), pertanto si raccomandano i seguenti controlli:ESAMI DI BASE (ogni 3-4 mesi nei primi due anni ed ogni 6 mesi per isuccessivi tre anni):• visita ginecologica con accurata esplorazione perineale ed eventualevulvoscopia

• pap test• ecografia inguinale bilaterale

ESAMI DI VALUTAZIONE SISTEMICA • esami di laboratorio, compresi i markers tumorali (a cadenza seme-strale)

• Rx torace (a cadenza annuale)• C o RMN addomino-pelvica con mdc (a cadenza annuale)

2. Casi ad alto rischio di ripresa di mallatia a distanza(FIGO III-IV):ESAMI DI BASE (stessa schedula riportata sopra)ESAMI DI VALUTAZIONE SISTEMICA (ogni 6 mesi per i primi due anni edogni anno per i successivi tre anni)• esami di laboratorio, compresi i markers tumorali (a cadenza seme-strale)

• TC torace-addome-pelvi con mdc (o TC torace e RMN addomino-pel-vica con mdc)

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della vulva

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli

Criteri di appropriatezza clinicaed organizzativa nella diagnosi,

terapia e follow-up della neoplasiadei sarcomi e delle parti molli

Coordinatore: Prof. Franco Di Filippo

Estensori:A. Piccioli, R. Biagini, B. Vincenzi, C. Della Rocca, C. Vitelli, G. Lanzetta,G. Maccauro, M. Manili, M. Anzà, O. Moreschini, P. Pugliese, R. Rambone,

R. Garinei, S. Ghera, U. De Paula, V. Anelli, V. Ferraresi

Pagina 194

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

dissection is safe in the treatment of early-stage vulvar cancer. J Clin Oncol. 2008;

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Dissection Is Safe in the Treatment of Early-Stage Vulvar Cancer. J Clin Oncol.

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College of Obstetricians and Gynaecologists, 27 Sussex Place, Regent’s Park,

London NW1 4RG.

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rent concepts in management of vulvar cancer. SOGC clinical practice guideli-

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Di Re F. Linee guida Ginecologia Oncologica SIGO.

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7. Tumori stromali gastrointestinali 7.1 Introduzione caratteri generali 7.2 Terapia localmente avanzata o sedi complesse7.3 Terapia malattia avanzata 7.4 Follow-up

8. Criteri di appropriatezza e requisiti minimi

9. Bibliografia

Le presenti Linee Guida, trattano dei sarcomi dei tessuti molli dell’adulto ad insorgenza negli arti, nei cingoli, nel tronco superficiale, nel retroperitoneo e,in capitoli a parte dei Tumori Stromali Gastrointestinali (GIST).

INDICE

1. Premessa1.1 Criteri di ricerca1.2 Classificazione dei livelli di evidenza e delle raccomandazioni

2. Sarcomi degli arti, dei cingoli e del tronco2.1 Introduzione2.2 Fattori di rischio2.3 Classificazione istologica2.4 Stadiazione 2.5 Diagnosi e valutazione risposta

3. Sarcomi degli arti, dei cingoli e del tronco3.1 Chirurgia 3.2 Radioterapia 3.3 Chemioterapia

4. Malattia localmente avanzata4.1 Chemioterapia citoriduttiva 4.2 Radioterapia 4.3 Chemio localmente avanzata

5. Malattia in fase metastatica5.1 Malattia polmonare operabile 5.2 Malattia metastatica non operabile

6. Sarcomi del retroperitoneo 6.1 Chirurgia 6.2 Trattamento medico 6.3 Trattamento radioterapico 6.4 Malattia avanzata plurirecidiva e metastatica 6.5 Follow-up dei sarcomi delle parti molli di qualsiasi sede 6.6 Supporto psico-oncologico

Pagina 196 Pagina 197

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli

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1. Premessa 2. Sarcomi degli arti dei cingoli e del tronco

Una delle definizioni più condivise di Linea Guida, ripresa nel Programma Na-zionale per le Linee Guida, afferma che “Le Linee Guida sono raccomandazionidi comportamento clinico, prodotte attraverso un processo sistematico, alloscopo di assistere medici e pazienti nel decidere quali siano le modalità assi-stenziali più appropriate in specifiche situazioni cliniche”.Le Linee Guida che rispondono a tale definizione sono considerate dei validi edefficaci strumenti per migliorare il livello dell’assistenza. Le Linee Guida dunquesono una guida elaborata da esperti di diverse discipline sulla base delle miglioriprove scientifiche esistenti, in grado di esplicitare i benefici ed i rischi di possi-bili alternative, lasciando agli operatori ed alle preferenze dei pazienti, opportu-namente informati, le responsabilità delle decisioni. L’unica accortezza chedovrebbe essere rispettata da parte dei medici, soprattutto quando si prendonodecisioni che si discostano ampiamente dalle raccomandazioni delle Linee Guidaè quella di esplicitare per iscritto le motivazioni di tipo clinico o legate alle pre-ferenze del paziente che motivino la scelta.

1.1 Criteri di ricerca Gli Autori delle presenti Linee Guida hanno utilizzato documenti analoghi, pro-dotti a livello nazionale ed internazionale come base di conoscenze scientifichegià assodate sui cui poi è stato elaborato l’intero percorso assistenziale, ag-giornando i dati della ricerca ed adattando le indicazioni fornite dalla realtà ita-liana.La ricerca della documentazione è stata ricondotta alle seguenti banche dati:• Medline versione PUBMED• (CANCERLIT)• CANCERNET PDQ• NCCN• Cochrane Library Database of Systematic Reviews• Inoltre sono state effettuate ricerche su articoli originali• NHS• PDQNCI• ESMO Minimal recommendations• Linee guida sui sarcomi dei tessuti molli dell’ AIOM 2008Infine la presente traccia si basa su:• Linee guida per i Sarcomi dei tessuti molli redatte dal Consiglio Nazionale

delle Ricerche pubblicate nel 2002.• Linee Guida per i Tumori Rari redatte dal Consiglio Nazionale delle Ricerche

pubblicate nel 2004.• Linee Guida sui Sarcomi dei Tessuti Molli nell’Adulto, linee guida clinico or-

ganizzative per la Regione Piemonte pubblicate nel 2004 e riviste nel 2009.Vista la complessità dell’argomento, vi sarà una distinzione ab initio tra Sarcomidei Tessuti Molli degli arti,dei cingoli e del tronco superficiale, Sarcomi del re-troperitoneo e GIST. Nei Sarcomi dei Tessuti Molli vi sarà una parte comune re-lativa ai caratteri generali, ed una specifica per sede anatomica di presentazione.

1.2 Classificazione dei livelli di evidenze e delle raccomandazioni

In analogia a quanto già adottato in analoghe Linee Guida nazionali il metodo diclassificazione delle evidenze e delle raccomandazioni si è basato su informa-zioni scientifiche a valenza differenziata secondo uno schema di 6 livelli. Livellidelle prove di efficacia.

I. Prove ottenute da più studi clinici controllati randomizzati e/o da revisionisistematiche di studi randomizzati

II. Prove ottenute da un solo studio randomizzato di disegno adeguatoIII. Prove ottenute da studi di coorte non randomizzati con controlli concorrenti

o storici o loro metanalisiIV. Prove ottenute da studi retrospettivi tipo caso-controllo o loro metanalisiV. Prove ottenute da studi di casistica (serie di casi) senza gruppo di controlloVI. Prove basate sull’opinione di esperti autorevoli o di comitati di esperti come

indicato in Linee Guida o Consensus Conferences o basate su opinioni deimembri del gruppo di lavoro responsabile di queste Linee Guida.

Il grado delle raccomandazioni tiene conto di due fattori principali: il livello delleprove scientifiche disponibili e la rilevanza che viene attribuita dagli operatori aquella determinata decisione nell’ambito delle scelte possibili. Il livello delle rac-comandazioni viene classificato in 5 livelli (da A ad E) dove A è una raccoman-dazione positiva ed E una negativa.A. Forte raccomandazione a favore della esecuzione di una particolare pro-

cedura o test diagnostico. Indica una particolare raccomandazione soste-nuta da prove scientifiche di buona qualità, anche se non necessariamentedi tipo I e II

B. Questa particolare procedura o intervento non deve sempre essere racco-mandata, ma si ritiene che l’intervento debba essere attentamente consi-derato

C. Esiste incertezza a favore o contro la raccomandazione di eseguire la pro-cedura o l’intervento

D. La procedura o l’intervento non è raccomandatoE. Si sconsiglia fortemente la procedura o l’intervento.In neoplasie rare, quali sono i Sarcomi dei Tessuti Molli ed i GIST, i livelli di evi-denza e di raccomandazione sono meno forti rispetto ai tumori frequenti. Dopoaperto dibattito si è convenuto che i livelli di evidenza, rivista la Letteratura peri singoli argomenti, siano nella quasi totalità di grado basso V e VI e non verrannoespressi. I gradi di raccomandazione saranno invece esplicitati secondo i livelliconvenzionali. Come metodologia di lavoro si è scelto un consenso fra gli esperti,in modo da riflettere un pensiero condiviso da tutti o dalla maggioranza. Vi èconsenso unanime nel ritenere che l’approccio ai sarcomi deve sempre esserepluridisciplinare, come è possibile soltanto a livello istituzionale nei centri adalta specializzazione. Le presenti Linee Guida, pur essendo un utile strumentodi lavoro, non possono sostituire l’expertise multidisciplinare e specialistica cheviene offerto in Istituzioni espressamente dedicate all’argomento. Nelle malat-tie rare e nei sarcomi in particolare, il riferimento a Centri ad alta specializza-zione che garantiscano la multidisciplinarietà nelle diagnosi e nel trattamento èdi fondamentale importanza, soprattutto in alcune fasi della malattia. Va tenutoin conto che la centralizzazione trova ostacoli organizzativi quali l’obbligo dellamigrazione sanitaria dei pazienti e le lunghe liste di attesa nei Centri di Eccel-lenza. Una delle finalità principali di queste Linee Guida è di diffondere una cul-tura di base sull’argomento in tutto il territorio nazionale e, soprattutto, di creareuna attiva e proficua collaborazione tra Istituzioni ad alta specializzazione e gliOspedali in cui il trattamento dei STM è un evento sporadico e minoritario nellaattività clinica quotidiana.I tumori rari si caratterizzano inoltre per la difficoltà nella ricerca clinica, vista labassa incidenza di queste neoplasie e la frequente non uniformità del tratta-mento. È dunque auspicio comune che i portatori di tali malattie vengano inse-riti in studi clinici Nazionali e Internazionali e che le Linee Guida possano favorirequesto processo.

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2.1 IntroduzioneSotto la denominazione di sarcomi delle parti molli si intendono tutte le neo-plasie maligne non epiteliali a sede extra-scheletrica ed extra-cranica, ad ec-cezione di quelle derivate dal sistema linfoemopoietico edistiocitario-macrofagico. Si tratta di un vasto e alquanto eterogeneo gruppo dilesioni con diversi gradi di aggressività e differenti capacità di recidivare e/ometastatizzare. Non è facile determinare l’esatta frequenza dei sarcomi delle parti molli (SPM)sebbene nel complesso essi siano poco comuni rappresentando circa lo 0,8%di tutte le neoplasie maligne umane. L’incidenza annua dei STM è attualmentestimata in 1-2 nuovi casi/anno ogni 100.000 abitanti. Circa il 50-60% dei STMsi appalesa in soggetti di oltre 60 anni, ma l’età media di incidenza è intornoai 43. Anche qui va peraltro ricordato come alcuni tipi istologici hanno unaparticolare associazione con l’età: ad esempio il rabdomiosarcoma è un tu-more proprio dell’infanzia e dell’adolescenza, il sarcoma sinoviale è dei gio-vani adulti, ed i sarcomi pleomorfi sono propri dell’età avanzata. I STMpossono svilupparsi in qualsiasi sede dell’organismo ma le localizzazioni piùabituali sono le estremità seguite dalla parete toracica e poi dal retroperito-neo.

2.2 Fattori di rischioL’eziologia della maggior parte dei STM è a tutt’oggi ancora sconosciuta, eanche se talora nell’anamnesi viene riferito un pregresso trauma, raramenteesiste una sicura associazione fra i due eventi e più spesso il trauma è cosi-detto “rivelatore”. Sono tuttavia stati descritti sarcomi che si sono sviluppatiin corrispondenza di cicatrici da lesioni da agenti chimici o termici o in vici-nanza di protesi metalliche o di materiale plastico. Una bassa percentuale (<del 1%) di soggetti sottoposti radioterapia può sviluppare, dopo anni dal trat-tamento, sarcomi particolarmente aggressivi. Molti composti chimici, qualialchilanti e prodotti derivati dalla diossina sono stati associati, seppur spora-dicamente, all’insorgenza di particolari sarcomi; l’angiosarcoma del fegato èstato associato alla lunga esposizione a diversi composti quali il cloruro di po-livinile o l’arsenico. L’eziologia virale è stata dimostrata in animali da labora-torio e sono state identificate sequenze di DNA virale nelle cellule tumoralidel Sarcoma di Kaposi sia nella sua forma classica sporadica che in quella as-sociata a sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS). Nel complesso co-munque nell’eziologia dei sarcomi il posto più rilevante è occupato da fattoriereditario-genetici. Va infatti menzionato che esiste stretta relazione fra alcuniSPM che possono comparire in un contesto familiare sia isolati che associatia determinate sindromi (sindrome di Li Fraumeni e rabdomiosarcoma; neu-rofibromatosi tipo I e tumori maligni delle guaine nervose periferiche). In fineva ricordato che in un considerevole numero di tumori sono state riscontrateanomalie genetiche clonali (delezioni, amplificazioni, e traslocazioni) che pos-sono assumere significato diagnostico e talora prognostico.

2.3 Classificazione IstologicaOggi i sarcomi delle parti molli sono classificati secondo il concetto di linea dif-ferenziativa; in altre parole essi vengono classificati in base alla somiglianzadel tessuto prodotto con le controparti normali, non implicando necessaria-mente la loro derivazioni da queste. Un tumore adiposo è tale perchè producecellule che somigliano a quelle della linea adiposa, a prescindere dal fatto che

insorga in una sede dove è presente o meno il tessuto adiposo stesso. Esistonocomunque alcune lesioni che non possono essere assimilate a nessun tessutonormale conosciuto e pertanto vengono definite “a incerta linea differenzia-tiva”. Di seguito verranno trattati i più comuni sarcomi delle parti molli se-condo tale concetto.

Tumori a differenziazione fibro-miofibroblasticaFIBROSARCOMA. Definizione: Il Fibrosarcoma è una neoplasia maligna a linea differenziativafibroblastica, può presentarsi in due varianti infantile o connatale ed adulta conaggressività diversa. Entrambe le varianti istologicamente presentano strut-tura analoga, costituita da cellule fusate disposte in fasci che si incrocianofra loro in modo tale da configurare immagini a “spina di pesce” . Fibrosarcoma dell’adulto Epidemiologia: Si appalesa nella 4a-6a decade di vita, con predilezione per ilsesso maschile.Sedi di insorgenza: si localizza per lo più in corrispondenza degli arti inferiorio del tronco e di solito in sede profonda (fasciale-sottofasciale). Quadro macroscopico: Si tratta di lesione solitaria: 3-8 cm di diametro. Al ta-glio: aspetto a carne di pesce; possono osservarsi foci di necrosi o emorra-gia.Quadro microscopico: Proliferazione uniforme di cellule fusate con scarso ci-toplasma e nuclei fusati immersi in variabile quantità di stroma collageno. At-tività mitotica ben rappresentata. Polimorfismo assente o minimo. Necrosipresente nelle forme ad alto grado. I gradi di malignità variano dal basso al-l’alto grado. Immunoistochimicamente si rileva positività per vimentina e oc-casionalmente per actina muscolo liscio. Varianti Sarcoma fibromixoide a basso grado (c.d. Tumore di Evans): Rara forma disarcoma in cui si apprezza varia commistione di aree collagene e mixoidi. Lecellule fusate in genere a basso grado si aggregano in assetto variamentevorticoide attorno a vasi a decorso curvilineo.Fibrosarcoma sclerosante epitelioide: Variante in cui cordoni o isolotti di cel-lule tumorali epitelioidi sono immersi in matrice collagena addensata. In areefocali ci possono essere aspetti di fibrosarcoma convenzionale. E’ a tratti pre-sente vascolarizzazione tipo emangiopericitoma. Il profilo immunoistochimicoè caratterizzato da frequente positività per bcl2Mixofibrosarcoma: Lesione fibroblastica con variabile quantità di stroma mi-xoide, pleomorfismo nucleare e aspetto vescicolare caratteristico. E’ uno deipiù frequenti sarcomi delle parti molli nell’anziano. Nelle localizzazioni sotto-cutanee la lesione è costituita da noduli multipli che al taglio hanno coloritobianco grigiastro lucente. Le lesioni nei tessuti molli profondi sono uniche alimiti mal definiti con necrosi ed emorragia.Evoluzione e prognosi: E’ caratterizzata da elevata aggressività con diffusionemetastatica per via ematica (ai polmoni e sopravvivenza ai 5 anni, valutabileintorno al 40% dei casi).

Tumori a differenziazione fibro-istiociticaTUMORE FIBROISTIOCITICO PLESSIFORMEDefinizione: Il Tumore Fibroistiocitico Plessiforme (TFP) è una neoplasia me-senchimale dei bambini, degli adolescenti e giovani adulti, caratterizzata dacitomorfologia fibroistiocitica e crescita multi nodulare, che raramente puòmetastatizzare.

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli

biforcano variamente e si intrecciano fra di loro formando una trama ples-siforme compresa in uno stroma mixoide, gelatinoso. Presenti i lipobla-sti in numero variabile. Le aree a cellule rotonde sono caratterizzateinvece da alta cellularità, con aspetto indifferenziato delle stesse e note-vole riduzione della trama vascolare. La quantità di cellule rotonde è va-riabile ma può talora occupare l’intera neoplasia. Il comportamentobiologico è molto diverso nel senso che il mixoide “puro” recidiva nel 30-50% dei casi, e solo eccezionalmente metastatizza, mentre quando pre-senta componente a cellule rotonde oltre il 25%, le recidive più frequenti(85%) e le metastasi la regola.

• Liposarcoma polimorfo è il più raro delle tre forme ed il più aggressivo;si presenta come un sarcoma ad alto grado con cellule giganti anapla-stiche e lipoblasti atipici mostruosi.

Genetica: La forma mixoide/a cellule rotonde presenta la traslocazionet(12:16)(q13;t11).

Tumori a differenziazione leiomuscolareLEIOMIOSARCOMADefinizione: Neoplasia maligna in cui le cellule neoplastiche mostrano unadifferenziazione leiomuscolare.Epidemiologia: Pur essendo la neoplasia maligna più frequente nell’ambitodei grossi vasi (dove predomina nel sesso femminile, insieme alla localizza-zione retroperitonele, complessivamente si tratta di una lesione a scarsa in-cidenza concentrata soprattutto nell’età media e avanzata.Sedi di insorgenza: Il leiomiosarcoma dei tessuti molli insorge sia a livello delretroperitoneo, dove più spesso origina da strutture vascolari di grosso cali-bro, sia a livello degli arti e del tronco, dove costituisce circa il 15-20% di tuttii sarcomi. Anche a livello degli arti è talora possibile riconoscere un’origine va-scolare.Quadro macroscopico: Si tratta di neoformazioni più spesso di grosse di-mensioni, di consistenza molle, di colore bianco-grigiastro, con aree di necrosicentrale, e/o di degenerazione cistico - emorragica.Quadro microscopico: Il tipico aspetto riconoscibile nelle forme ben differen-ziate è quello di una proliferazione di cellule fusate, con citoplasma eosino-filo fibrillare, e nucleo “a sigaro”. Nelle varietà meno differenziate, sonopresenti elementi pleomorfi marcatamente atipici, anche multinucleati. Ra-ramente si riconoscono aspetti epitelioidi. Le cellule sono disposte in fascivariamente intersecantesi, o in architettura vorticoide. In genere non è pre-sente matrice tra le cellule neoplastiche, ma talora possono essere presentiaspetti mixoidi o ialinizzanti. Immunoistochimicamente le cellule neoplasti-che sono positive per i marcatori di differenziazione leiomuscolare, quali ac-tina muscolare liscia, h-caldesmone e desmina, anche se nessuno di questipuò essere considerato specifico. In alcune neoplasie poco differenziate lapositività può essere focale.Evoluzione e Prognosi: Il quadro evolutivo è strettamente sede dipendente,essendo le localizzazioni retroperitoneale e dei grossi vasi quelle con prognosimeno favorevole sia per difficoltà di eradicazione radicale che per potenzia-lità metastatica.

Tumori a differenziazione rabdomuscolareRABDOMIOSARCOMA EMBRIONALEDefinizione: Sarcoma che ricapitola le caratteristiche morfologiche del mu-scolo scheletrico embrionale. Comprende le varianti a cellule fusate, botrioideed anaplastica.Epidemiologia: E’ la neoplasia maligna mesenchimale più frequente dell’ado-lescenza.Sedi di insorgenza: Le sedi di insorgenza più frequenti sono la regione testa-

collo (orbita, orofaringe, parotide, orecchio medio, tratto naso-sinusale e ri-nofaringe, cavo orale) ed il tratto genito-urinario (vescica, prostata, e tessutimolli paratesticolari). Più raramente il rabdomiosarcoma embrionale insorgea livello dei tessuti molli degli arti e del tronco.Quadro macroscopico: La lesione appare generalmente poco circoscritta, diconsistenza molle e colore biancastro. Le forme a cellule fusate hanno con-sistenza teso-elastica, colore giallastro, e superficie di taglio di aspetto fasci-colato. Per definizione, la forma botrioide insorge sotto una superficie epitelialee si caratterizza per una crescita esofitico-polipoide ed un aspetto multino-dulare.Quadro microscopico: Si riconoscono diversi tipi cellulari, che corrispondonoalle diverse fasi della miogenesi. Le cellule di aspetto stellato e fusato, con nu-cleo ovale e citoplasma anfofilo rappresentano gli elementi più indifferenziati,mentre la presenza di elementi più allungati, con citoplasma eosinofilo, diaspetto talora aracneiforme, esprime una maggiore differenziazione in sensorabdomuscolare, fino ad arrivare a cellule con citoplasma intensamente eo-sinofilo e striato che mimano l’aspetto del miotubo. A livello architetturale siriconoscono un alternarsi di aree di aspetto mixoide e paucicellulate, con areepiù densamente cellulate. Nel rabdomiosarcoma botrioide il chorion sub epi-teliale, è occupato da aggregati lineari di cellule neoplastiche (strato cam-biale), mentre nel rabdomiosarcoma a cellule fusate le cellule neoplastiche,di forma allungata, si dispongono in fasci variamente intersecantesi. Nella va-riante anaplastica si riconoscono elementi cellulari di taglia grande, marca-tamente atipici, che possono essere presenti come elementi singoli dispersinella neoplasia (anaplasia focale) o in gruppi (anaplasia diffusa). Immunoi-stochimicamente le cellule neoplastiche sono positive in maniera variabile ecorrelata al grado di differenziazione a marcatori muscolari, quali la actinamuscolare comune, la desmina, la mioglobina, e la miosina, ma il marcatorepiù specifico e sensibile per la diagnosi su campioni in paraffina è rappre-sentato dalla miogenina, che peraltro nelle forme embrionali può essereespresso solo focalmente.Evoluzione e Prognosi: L’evoluzione è dipendente essenzialmente dal tipo isto-logico, dall’età dell’assistito, dallo stadio e dalla sede di origine. Le forme em-brionali in età pediatrica hanno la prognosi migliore, mentre le forme fusatee anaplastiche nell’adulto la peggiore, ferma comunque restando la naturasarcomatosa della lesione che ne caratterizza la potenzialità alta di recidivae di metastasi a distanza.RABDOMIOSARCOMA ALVEOLARE.Definizione: Sarcoma a cellule rotonde, con parziale differenziazione musco-lare scheletrica.Epidemiologia: Può colpire qualsiasi età, ma predilige i giovani adulti.Sedi di insorgenza: Insorge preferenzialmente a livello degli arti, sebbene siastato descritto in molte altre sedi, compresa la regione testa-collo.Quadro macroscopico: Si tratta di neoplasie a crescita rapida, di consistenzamolle e colore grigiastro.Quadro microscopico: Le cellule neoplastiche hanno un aspetto linfocito-similee mostrano differenziazione in senso rabdomuscolare. Nelle forme tipiche lecellule si dispongono in nidi separati da setti fibrosi, nel cui centro gli ele-menti neoplastici appaiono discoesi. Sono in genere presente elementi di ta-glia grande di aspetto rabdomioblastico. Nella variante solida mancano i settifibrosi e la neoplasia ha un’architettura diffusa (2), mentre nella forma mistaalveolare-embrionale coesistono i caratteri di ambedue le forme. Immunoi-stochimicamente l’immunofenotipo è sovrapponibile a quello del rabdomio-sarcoma embrionale, ma la positività per miogenina è diffusa.Genetica: Il rabdomiosarcoma alveolare presenta una traslocazione specificache nella maggior parte dei casi è t(2;13)(q35;q14) ed in un minor numero dicasi è t(1;13)(p36;q14) (3). Queste traslocazioni portano alla fusione dei geni

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

Epidemiologia: Il TFP colpisce soggetti giovani con età media di 14-15 anni allapresentazione, con lieve predominanza nel sesso femminile. (F:M=2,5:1).Sedi di insorgenza Il TFP si localizza prevalentemente agli arti superiori (oltreil 65% dei casi), con polso e mani nel 45% dei casi. Gli arti inferiori sono col-piti in circa il 27% dei casi mentre rare sono le localizzazione alla testa ed alcollo.Quadro macroscopico: Il TFP è un nodulo fisso, scarsamente circoscritto, mul-tinodulare localizzato nel derma o nel sottocute che raramente supera i 3 cm.Quadro microscopico. Il TFP è composto da piccolo noduli di proliferazione dicellule fusate, allungate strutturate in caratteristico arrangiamento plessi-forme. Tre tipi di cellule sono presenti in proporzione variabile: cellule mono-nucleate istiociti-like, cellule fusate fibroblasto-simili e cellule gigantimultinucleate. Gli aggregati cellulari sono delimitati alla periferia da cellulefusate che si continuano nei setti che separano i noduli. Possono esserci mi-nime atipie nucleari, scarse mitosi e raramente invasione vascolare mentre lanecrosi è assente. I noduli sono localizzati nel derma profondo, nell’ipodermae talvolta si estendono al tessuto muscolare scheletrico. Dal punto di vistaimmunoistochimico, il TFP mostra positività per CD68/KP1 ed Actina muscololiscio.Evoluzione e Prognosi: Il TFP dà recidive locali fino al 37% dei casi. In 3/61 casicon follow-up sono state descritte metastasi ai linfonodi loco regionali e nellastessa percentuale metastasi al polmone.TUMORE A CELLULE GIGANTI DEI TESSUTI MOLLIDefinizione: Il Tumore a Cellule Giganti dei Tessuti Molli (TCG-TM) è un tumoreprimitivo dei tessuti molli che è clinicamente ed istologicamente simile al TCGdell’osso. E’ un tumore raro e può metastatizzare.Epidemiologia: Il TCG-TM colpisce maggiormente soggetti in età adulta dicirca 50 anni (range di età da 5 a 89 anni) di entrambi i sessi.Sedi di insorgenza: Il TCG-TM si localizza nei tessuti molli superficiali delleestremità superiori ed inferiori (70%) e meno frequentemente al tronco e nellaregione testa-collo.Quadro macroscopico: Il TCG-TM si presenta in genere come una massa so-lida, ben circoscritta, che può superare i 10 cm (media 3 cm) nel contesto delderma o del sottocute, raramente in sede sottofasciale. Al taglio è costituitoda tessuto grigio-brunastro, solido, carnoso con occasionali calcificazioni inperiferia.Quadro microscopico: A basso ingrandimento il TCG-TM mostra architetturamultinodulare, con nodule separate da setti di fibroconnettivo più o menospessi contenenti emosiderina e siderofagi. La componente cellulare è costi-tuita da cellule mononucleate rotondo-ovali frammiste a cellule giganti mul-tinucleate osteoclasta-simili, entrambe disperse in uno stroma vascolare inproporzioni variabili. I nuclei degli elementi mononucleati e delle cellule gigantisono uguali. L’indice Mitotico è generalmente elevato con fino a 25-30 mi-tosi/10 HPF. Non ci sono atipie, pleomorfismo o necrosi.Nel 50% dei casi si ha una rima periferica di osso maturo metaplastico. Pos-sono esserci aree cistiche o cistico-emorragiche come nelle cisti aneurisma-tiche e segni di invasione vascolare.Evoluzione e Prognosi: Il TCG-TM può recidivare localmente nel 12% dei casie raramente può dare metastasi a distanza e morte. Il trattamento di scelta èl’exeresi chirurgica complete e radicale.ISTIOCITOMA FIBROSO MALIGNO. Definizione:Anche se per motivi storici è ancora in uso il termine di istiocitomafibroso maligno, si preferisce attualmente etichettare questa entità come Sar-coma polimorfo indifferenziato. Epidemiologia. Rappresenta il più frequentesarcoma dell’età adulta-senile.Sedi di insorgenza: Colpisce di solito le estremità, ma può essere ubiquitario. Quadro macroscopico. Si tratta di masse tra i 5 e i 10 cm di diametro, di

aspetto pseudocapsulato, consistenza duro-elastica e colorito biancastro e/ovariegato per la presenza di aree di necrosi ed emorragia.Quadro microscopico: Morfologicamente si tratta di una proliferazione di cel-lule fusate commiste ad una componente numericamente variabile di cellulegiganti spesso plurinucleate e talora mostruose, elementi xantomatosi e fo-colai di cellule infiammatorie. Inoltre di regola sono apprezzabili elevato indicemitotico, aree di necrosi, aspetti di anaplasia e pattern storiforme più o menodiffuso. Vengono oggi riconosciuti 4 sottotipi:• variante polimorfa - storiforme: il più comune caratterizzato da preva-

lente polimorfismo e frequente riscontro di pattern storiforme. • variante mixoide: (oggigiorno più comunemente etichettato come mixo-

fibrosarcoma) caratterizzato da stroma mixoide riccamente vascolariz-zato. Ha prognosi migliore rispetto alle altre varianti con possibilità dilunghe sopravvivenze e tende a recidivare piuttosto che a metastatizzare.

• variante a cellule giganti osteoclasto-simili: è caratterizzato dalla pre-senza di numerose cellule giganti simil-osteoclastiche e talora da una fo-cale componente osteoide.

• variante infiammatoria: è la più rara e si osserva prevalentemente nellacavità addominale (retroperitoneo) ed è caratterizzato dalla presenza diun ricco infiltrato infiammatorio costituito sia da linfociti che da granulo-citi e da una cospicua componente di cellule xantomatose maligne.

Evoluzione e Prognosi: E’ quasi sempre caratterizzato da elevata aggressi-vità.

Tumori a differenziazione adiposaLIPOSARCOMA. Definizione: Tumore maligno con differenziazione adiposa.Epidemiologia: E’ uno dei più frequenti sarcomi dell’età adulta con massimaincidenza fra i 40 e i 60 anni. Sedi di insorgenza: Le localizzazione più frequenti sono: le estremità inferiori(35%), tronco (22%) e retroperitoneo (15%). Quadro macroscopico: Si tratta di masse anche voluminose di aspetto diversoa seconda della variante, da lipoma simile ad aspetti gelatinosi e/o franca-mente sarcomatosi.Quadro microscopico: Da molti la caratteristica peculiare del liposarcoma èconsiderata la presenza del lipoblasto, cellula immatura, caratterizzata da unoo più vacuoli citoplasmatici, contenenti trigliceridi otticamente vuoti, che de-formano il nucleo intensamente ipercromatico ed atipico. Si descrivono 3 va-rietà anatomo-cliniche con aspetti morfologici e comportamenti biologicidifferente:• liposarcoma ben differenziato (da alcuni denominato Lipoma atipico) pre-

senta estrema somiglianza con il lipoma da cui è differnziabile per la pre-senza di bande di collagene, polimerismo degli adipociti, presenza dielementi fusiformi a nucleo ipercromatico, nonché per la presenza di li-poblasti. Tale istotipo, specie superficiale, è ben curabile, privo di capa-cità metastatica, ma con frequenza di recidiva nel 10-15% dei casi. Pertale motivo alcuni Autori preferiscono etichettarlo come lipoma “atipico”.Va ricordato che una frazione dei liposarcomi ben differenziati (soprattuttoa localizzazione retroperitoneale) va incontro a dedifferenziazione consviluppo di altre forme sarcomatose all’interno del liposarcoma stesso.Tale evento è gravato dall’acquisizione di potere di metastatizzare a di-stanza con elevata mortalità (40-50% dei casi) entro i 5 anni.

• Liposarcoma mixoide ed a cellule rotonde. Si tratta di un unico istotipo incui i 2 aspetti (puramente mixoide e/o con cellule rotonde) costituisconouno spettro evolutivo della stessa neoplasia e ne condizionano anche il di-verso grado di aggressività. La forme puramente mixoidi sono neofor-mazioni ipocellulari, con ricca componente di capillari ematici che si

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli

mitivo. A sostegno di tale affermazione oltre che le affinità cito-morfologichereiteratamente riscontrate a livello strutturale e ultrastrutturale c’è la condi-visione nel 98% dei casi di una tipica anomalia genetica, la traslocazione re-ciproca del braccio lungo dei cromosomi 11 e 22 : t(11;22) (q24; q12). Perquanto detto oggi ci si riferisce a tali lesioni con l’unica denominazione di Sar-coma di Ewing/Tumore neuroectodermico primitivo (PNET). Epidemiologia: Si può presentare in realtà in qualsiasi età della vita con pre-dilezione per i giovani adulti di sesso maschile. Sedi di insorgenza: Le sedi più comuni sono il tronco, le estremità ed il retro-peritoneo.Aspetto macroscopico: Si tratta di solito di masse anche di voluminose di-mensioni di colorito grigio-brunastro con presenza di aree necrotiche ed emor-ragiche.Aspetto microscopico: Istologicamente è formato da piccole cellule rotonde,con scarso citoplasma, con occasionale presenza di immagini a rosetta opseudorosette. Alto è l’indice mitotico e frequenti sono le aree di necrosi. Im-munoistochemicamente le cellule risultano positive alla ricerca della vimen-tina, del CD99 ed in una piccola parte dei casi della citocheratina.Genetica. Caratteristica è la già ricordata traslocazione reciproca del bracciolungo tra i coromosomi 11 e 22.Evoluzione e Prognosi: Si tratta di un tumore ad alto grado di aggressività conmortalità di oltre il 60-70% dei casi ai 5 anni.

Tumori a incerta linea differenziativaSARCOMA SINOVIALEDefinizione: Il sarcoma sinoviale (SS) è un tumore mesenchimale a cellule fu-sate che mostra variabile differenziazione epiteliale, inclusa la possibile for-mazione di ghiandole. Epidemiologia: E’ più frequente in maschi giovani adulti. Insorge più frequen-temente nei tessuti molli profondi degli arti, specialmente il ginocchio. Rap-presenta il 5-10% dei sarcomi dei tessuti molli.Sedi di insorgenza: Il SS è un tumore ubiquitario, non solo localizzato nei tes-suti molli. Non origina dalla sinovia né ha differenziazione sinoviale, nono-stante il nome. Aspetto macroscopico: Il SS è rappresentato da un nodulo ben circoscritto secresciuto lentamente, oppure presenta crescita infiltrativa. Può essere multi-nodulare e multicistico. Può presentare aree calcifiche.Aspetto microscopico: Microscopicamente il SS viene suddiviso in:• tipo monofasico: rappresentata solo la componente a cellule fusate• tipo bifasico: rappresentata la componente a cellule fusate e la compo-

nente epiteliale• tipo poco differenziato: presenza di elevato indice mitotico e necrosi, con

morfologia a piccole cellule tipo Ewing o a grandi cellule. Tipici marcatori immunofenotipici sono, oltre la vimentina, le cheratine, EMACD99 e bcl2 in assenza di CD34. Genetica: Il SS è caratterizzato dalla traslocazione t(X;18) (p11;q11), con ge-nerazione dei trascritti di fusione SYT-SSX1,2 e 4.Evoluzione e Prognosi: Circa 40% dei SS metastatizza ai polmoni, osso, eanche ai linfonodi. Una percentuale più elevata e più precoce metastatizza-zione si ha nel tipo poco differenziato.SARCOMA EPITELIOIDEDefinizione: Particolare sarcoma ad incerta istogenesi che mostra una cito-morfologia prevalentemente epitelioide. Questo tumore può essere erronea-mente diagnosticato come lesione benigna, specialmente come processogranulomatoso benigno.Epidemiologia: Insorge in giovani adulti (mediana di 26 anni), soprattutto ma-schi.

Sedi di insorgenza: Le sedi più frequenti sono le superfici flessorie di dita,mani, polsi e avambracci, seguiti da ginocchio e parte inferiore della gamba. Aspetto macroscopico: Quando è superficiale il sarcoma epitelioide (SE) è disolito costituito da piccoli noduli duri, che crescono lentamente, o da plac-che, solitari o multipli, in sede dermica o sottocutanea, e che possono ulce-rare la cute. Se profondo, può coinvolgere tendini, guaine tendinee eaponeurosi, e mostrare necrosi.Aspetto microscopico: Microscopicamente, tipicamente il SE presenta celluleepitelioidi e fusate in un tipico pattern pseudogranulomatoso di crescita no-dulare con necrosi centrale. In questa forma simula un processo granuloma-toso benigno. Frequentemente, specialmente nelle forme profonde, puòmostrare diffusione perineurale e vascolare. L’immunofenotipo è caratteri-stico, con espressione di vimentina, citocheratine, EMA e CD34. Evoluzione e Prognosi: Una diagnosi corretta e precoce all’esordio permetteuna chirurgia radicale ed evita le recidive, che tendono a propagarsi lungo ipiani fasciali e le guaine tendinee e nervose.Metastasi si sviluppano nel 40% dei casi e coinvolgono i polmoni, ed anche ilinfonodi, osso ed encefalo. Particolarmente aggressiva la variante prossi-male.SARCOMA ALVEOLARE DELLE PARTI MOLLIDefinizione: Si tratta di un tumore raro che colpisce soprattutto adolescenti egiovani adulti. Epidemiologia: E’ un sarcoma raro, che rappresenta meno dell’1% della tota-lità dei sarcomi. E’ più comune fra 15 e 35 anni. Sedi di insorgenza: Coinvolge soprattutto le estremità, in particolare i tessutimolli profondi della coscia. In età pediatrica è più frequente in sede testa-collo. Aspetto macroscopico: Sono masse mal-definite di colorito grigio-giallastro efrequente necrosi.Aspetto macroscopico: Ha una morfologia caratteristica . Nei bambini tendead avere un aspetto solido. E’ formato da grandi cellule epitelioidi con ab-bondante citoplasma eosinofilo granulare in nidi solidi o strutture alveolari,separati da vasi sinusoidi sottili. Non ha un immunofenotipo caratteristico. Lamaggioranza dei casi mostra immunoreattività nucleare per TFE3.Genetica. E’ caratterizzato dalla traslocazione che fonde TFE3 (Xp11) con ASPL(17q25).Evoluzione e Prognosi: Metastatizza precocemente, e frequentemente esor-disce con le metastasi a polmone o encefalo.

2.4 StadiazioneI sarcomi delle parti molli vengono classificati prendendo in considerazione iparametri del T (tumore) N (linfonodi) M ( metastasi). Per la stadiazione di que-sti tumori viene impiegato il sistema sviluppato dall’AJCC, in cui ciascuno sta-dio risulta dalla valutazione dei seguenti fattori.• T è il risultato della combinazione tra le dimensioni del tumore (>/< 5

cm) e la profondità di localizzazione dello stesso. Vengono definite“superficiali “ le lesioni che non interessano nella loro crescita la fa-scia muscolare superficiale, mentre sono “profonde” le lesioni che in-vadono o quelle sottostanti. Per convenzione, tutti i sarcomi che sisviluppano nel retro - peritoneo o nei visceri sono da considerarsiprofondi. Vengono considerate profonde anche la maggior parte dellelesioni del distretto cervico-facciale e quelle endotoraciche.

• N nei SPM l’interessamento dei linfonodi regionali è un evento raro, macon prognosi infausta. La prognosi dei pazienti con malattia N1 è in-fatti sovrapponibile a quella dei pazienti con malattia metastatica adistanza.

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

PAX3 o PAX7 situati rispettivamente sul cromosoma 2 ed 1, con il gene FKHRsituato sul cromosoma 13. Dal 10 al 30% delle neoplasie non presenta peròalcuna di queste traslocazioni.Evoluzione e Prognosi: La prognosi è peggiore di quella del rabdomiosarcomaembrionale ed è strettamente dipendente dallo stadio.RABDOMIOSARCOMA PLEOMORFODefinizione: Il rabdomiosarcoma pleomorfo è un sarcoma di alto grado costi-tuito da elementi cellulari bizzarri poligonali, rotondi e fusati, con differenzia-zione rabdomuscolare.Epidemiologia: Colpisce soprattutto adulti di sesso maschile con prevalenzaintorno ai 60 anni.Sedi di insorgenza: Insorge prevalentemente nei tessuti molli profondi degliarti.Quadro macroscopico: Appare come una lesione a rapida crescita, di dimen-sioni solitamente superiori ai 10 cm., ben circoscritta per la presenza di unapseudo-capsula. La superficie di taglio mostra aspetto variegato per la pre-senza di aree di necrosi ed emorragia.Quadro microscopico: La neoplasia è costituita da una commistione di celluledi aspetto fusato, poligonale, rotondo, spesso con presenza di elementi gi-ganti multinucleati, che mostrano ampio citoplasma eosinofilo. Immunoisto-chimicamente il profilo immunoistochimico è identico a quello degli altrirabdomiosarcomi, compresa la positività per miogenina, che in genere èespressa solo focalmente.Evoluzione e Prognosi: E’ il peggiore dei rabdomiosarcomi in quanto a prognosicon mortalità precoce in circa i _ degli assistiti.Tumori a differenziazione vascolareEMANGIOENDOTELIOMA EPITELIOIDEDefinizione: Lesione vascolare per lungo tempo considerata a “malignità in-termedia”, ma che oggi è da considerarsi francamente maligna sante la po-tenzialità di recidivare e di metastatizzare ben accertata. Epidemiologia: Non ha predilezione di sesso e colpisce in prevalenza l’etàadulta.Sedi di insorgenza: E’ una neoplasia ubiquitaria con possibilità di localizzazionein svariati distretti dell’organismo (cute, sottocute, l’apparato scheletrico, fe-gato e polmone). Aspetto macroscopico: Solitamente è una massa fusiforme intravascolare chesimula un trobo tranne che per la sua tenace fissità alla parete che infiltra.Aspetto microscopico: Istologicamente è costituito da un insieme di strutturevascolari di piccolo calibro, bordate da cellule endoteliali epitelio simili concitoplasma eosinofilo spesso vacuolato e talora occupato da emazie.Evoluzione e Prognosi: La lesione recidiva e/o metastatizza nel 25-50% deicasi.SARCOMA DI KAPOSI. Definizione: E’ tumore che, molto raro in Europa fino a 10-15 anni fa, ha avutoun incremento della sua frequenza con l’avvento dell’AIDS. Oggigiorno si di-stinguono quattro forme cliniche: • classico (sporadico): colpisce l’età avanzata e si localizza alla cute delle

estremità distali, in unica o multipla presentazione• linfoadenopatico, endemico dell’Africa equatoriale, colpisce l’età giovanile

con interessamento dei linfonodi cervicali, inguinali e dell’ilo del polmone• associato a terapia immunosoppressiva: colpisce soggetti immunode-

pressi per trattamento iatrogeno• AIDS correlato: è caratteristicamente cutaneo e multiplo, ma di frequente

coesistono anche lesioni viscerali, del tratto digerente e dei linfonodi. Aspetto macroscopico. Si tratta di placche, papule o noduli di aspetto emor-ragico che possono essere di minime dimensioni fino ad alcuni centimetriAspetto microscopico.Il quadro è sovrapponibile nelle diverse varianti ed è

caratterizzato da crescita nodulare di cellule endoteliali fusate con presenzadi spazi fissuriformi a ricco contenuto di emazie.Evoluzione e Prognosi. Sono strettamente dipendenti dalla variante, essendogli immunodepressi più sfavoriti. L’interessamento diffuso cutaneo e visceralepresenta la prognosi peggiore.ANGIOSARCOMA Definizione: E’ il più aggressivo fra i tumori a linea differenziativa endoteliale. Epidemiologia: Interessa in maggioranza l’età avanzata. Sedi di insorgenza. Si localizza principalmente a livello cutaneo e nei tessutimolli specie negli arti inferiori; più raramente è presente a livello delle brac-cia, del tronco e della testa e collo in tale ordine di frequenza.Aspetto macroscopico: Si tratta di masse emorragiche multinodulari che rag-giungono anche i 10 centimetri.Aspetto microscopico: Istologicamente è costituito da fessure vascolari irre-golari rivestite da elementi rotondo-poligonali atipici frequentemente in mitosi. Evoluzione e Prognosi: La prognosi è infausta nella maggior parte dei casi inun arco di tempo di circa 5 anni.TUMORI A DIFFERENZIAZIONE NEURALESi intendono qui in questo gruppo raccolte le seguenti due tipologie di neo-plasie: • Tumori delle Guaine Nervose Periferiche: neoplasie composte da elementi

cellulari della guaina dei nervi periferici (cellule di Schwann, cellule peri-neurali, tessuto connettivo);

• Tumori neuroectodermici primitivi periferici (noti comunemente comePNET dall’acronimo inglese): tumori a piccole cellule rotonde con scarsadifferenziazione che presentano caratteri morfologici (formazione di ro-sette di Homer-Wright), ultrastrutturali (presenza di granuli neurosecre-tori) ed immunofenotipici tipici del neuroectoderma primitivo.

TUMORE MALIGNO DELLE GUAINE NERVOSE PERIFERICHE (TMGNP OMPNST dall’acronimo anglo-sassone): Definizione: Neoplasia considerata ad elevata malignità, può causare notevolidifficoltà diagnostiche per la varietà di aspetti morfologici che può assumere.Generalmente criteri diagnostici rilevanti sono: • evidenza di origine da un tronco nervoso periferico• presenza di aspetti di residui di neurofibroma• insorgenza della neoplasia in soggetti con neurofibromatosi • neoplasie con quadro morfologico simile quelle precedenti e che pre-

sentino positività alla proteina S-100 in una quota anche minima dellecellule tumorali.

Epidemiologia: I T.M.G.N.P. colpiscono i soggetti fra i 20 e i 50 anni di età e pre-diligono il sesso femminile. Aspetto macroscopico: Sono masse di dimensioni anche voluminose, aspettofrancamente sarcomatoso di sovente in continuità con un tronco nervoso.Aspetto microscopico: Istologicamente si distinguono: la variante convenzio-nale a cellule fusate, la variante epitelioide, la variante con componente ete-rologa (tessuto osseo e/o cartilagineo, elementi rabdomioblastici ) e la variantecon strutture epiteliali-ghiandolari. La variante convenzionale, che è la più fre-quente, istologicamente si presenta come un sarcoma con pattern fascicolato,costituito da cellule fusate, con nuclei a profilo ondulato o ripiegato su sestesso e alternanza di aree ipo ed ipercellulari.Evoluzione e Prognosi: La prognosi e generalmente infausta stante l’alta po-tenzialità metastatica.TUMORI NEUROECTODERMICI PRIMITIVI PERIFERICI (PNET)Definizione: Si intendono compresi in questa definizione il cosiddetto Neu-roepitelioma Periferico oggi comunemente etichettato PNET ed il Sarcoma diEwing (SE) extraosseo. Oggi si ritiene ch S.E. e PNET costituiscano espressionemorfologica e fenotipica di una stessa entità, il tumore neuroectodermico pri-

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli

segnale/rumore ottimale (indispensabile per ottenere un adeguato dettaglioanatomico), e da alta risoluzione di contrasto (indispensabile per la caratte-rizzazione tissutale).La RM consente uno studio sia panoramico della lesione esplorandola nellasua interezza e in tutti i piani dello spazio in rapporto con le strutture anato-miche dell’intero segmento corporeo sia con studio mirato della lesione re-stringendo il campo di vista con elevato dettaglio anatomico.Il primo scopo dell’indagine RM è quello di valutare la compartimentalitàdella lesione con studio ad elevato dettaglio anatomico FSE (fast Spin Echo)pesate in T1 e T2/DP, che consentano di visualizzare le logge muscolari, lefasce muscolari, i tendini, il piano cutaneo e sottocutaneo, i nervi, i vasi e lestrutture capsulo-legamentose articolari. In secondo luogo è fondamentale delimitare correttamente la massa, distin-guendola dall’edema perilesionale, confrontando sia le sequenze T2 e T1 pe-sate, che quelle T1 con soppressione del grasso (Fat-Sat) prima e dopo lasomministrazione endovenosa di mezzo di contrasto paramagnetico.L’esame RM grazie alla sua elevata risoluzione di contrasto consente unavalutazione delle caratteristiche tissutali della lesione. I tumori maligni come i sarcomi sono caratterizzati da tessuti ad elevata at-tività metabolica e cellularità, e sono generalmente caratterizzati da elevatoe disomogeneo segnale nelle sequenze T2 e T2 con soppressione del grasso(STIR), caratteristiche di segnale che però appartengono anche ad alcunelesioni benigne altamente vascolarizzate (angiomi, schwannomi, etc) .Una particolare raccomandazione è sull’utilizzo della sequenza STIR, carat-terizzata da una estrema sensibilità per le molecole di acqua libera e quindinell’evidenziare anche solo minime alterazioni di natura edematosa.L’utilizzo del mezzo di contrasto paramagnetico è indispensabile nella dia-gnosi dei sarcomi. La neoangiogenesi dei tumori maligni è caratterizzata dall’abnorme e anar-chica proliferazione di vasi con alterata permeabilità. Il potenziamento di segnale e la conseguente iperintensità nelle sequenze pe-sate in T1 dopo la somministrazione di mezzo di contrasto paramagnetico èdovuta sia alla ricchezza di vasi intralesionali sia al rapido passaggio delmezzo nel compartimento interstiziale attraverso le alterate pareti vascolari.Lo studio RM dopo mdc appare particolarmente importante nella valutazionedella necrosi intratumorale pre e post-terapia neoadiuvante.La RM è in grado di fornire una accurata valutazione dell’ interessamentodel fascio neuro vascolare con lo studio Angio-RM delle strutture vascolariin fase arteriosa e artero-venosa, grazie all’iniezione a “bolo” del mezzo dicontrasto a flusso elevato. L’angio-TC, praticata con apparecchi “multide-tettore”, è sicuramente al momento attuale l’indagine meglio codificata perlo studio di un eventuale coinvolgimento dell’asse vascolare da parte dellaneoplasia. Tuttavia, i più recenti sviluppi tecnico-metodologici in ambito RM(sequenze ultraveloci, utilizzo di iniettori ad alto flusso) e l’utilizzo dei mezzidi contrasto “blood-pool” consentono di ottenere immagini pressoché so-vrapponibili all’indagine TC.E’ inoltre possibile eseguire studi RM “ dinamici “ dopo mdc ( DCE-RM) ostudi RM perfusione con sequenze ultrarapide in , consentendo di ottenereinformazioni sulle modalità dell’arrivo del mezzo nel compartimento vasco-lare arterioso della lesione, del passaggio nel compartimento interstiziale edella sua persistenza più o meno duratura in esso. Ciò permette di costruire delle curve intensità-tempo dai cui parametri (pen-denza della curva, tempo di picco, area sotto la curva, etc.) si possono rica-vare importanti informazioni sulle caratteristiche della vascolarizzazione dellalesione. Questa tecnica RM è in grado di individuare le modificazioni del flusso san-guigno, volume ematico, perfusione e permeabilità nella neoangiogenesi con

incremento delle possibilità di caratterizzazione tissutale e nella valutazionedella risposta.L’esame RM può essere completato con esame RM di Diffusione, tecnicaparticolarmente sensibile nella valutazione della cellularità della lesione sianella incremento della sensibilità nella caratterizzazione tissutale ma so-prattutto nella valutazione della necrosi tumorale sia prima che dopo i di-versi trattamenti terapeutici.

I pazienti con lesione potenzialmente maligna agli esami di primo livellodevono essere sottoposti a Risonanza magnetica, senza e con gadoli-nio, dell’intero segmento corporeo in cui è situata la massa (livello V).La tomografia computerizzata (TC) allo stato dell’arte attuale deve essereeseguito con tecnica multistrato e con utilizzo del mezzo di contrasto.L’esame così eseguito presenta un elevato contenuto diagnostico circa lacompartimentalità e i rapporti fra massa e le strutture ossee e vascolo-ner-vose, meglio se completato da ricostruzioni nei vari piani dello spazio e 3D. L’esame TC nei sarcomi dei tessuti molli è utile eseguirlo sia quando la massaè prossima a un segmento scheletrico per valutare l’interessamento dellacorticale ossea e della trabecolatura, o è prossima all’asse vascolare per de-terminarne il coinvolgimento (infiltrazione, compressione e dislocazione).L’esame TC con queste caratteristiche mantiene tuttora un alto valore dia-gnostico in assenza di apparecchiatura RM idonea. In caso di presenza di RM, la TC è indagine di secondo livello rispetto a que-sta ed è essenzialmente di completamento diagnostico e di indirizzo in fasepre-chirurgica. Naturalmente appare oggi invariato e fondamentale il suoruolo nella stadiazione di torace ed addome in caso di sarcoma.

I pazienti affetti da sarcoma delle parti molli devono essere sottopostia tomografia computerizzata del torace senza e con mezzo di contra-sto (livello V).

Valutazione della rispostaLa valutazione della risposta ai trattamenti chemioterapici e radioterapici de-vono essere effettuati con Risonanza Magnetica sia convenzionale che Di-namica mentre la TC deve essere eseguita solo nei casi con controindicazionialla RM. I criteri di risposta devono basarsi non solo sui tradizionali criteriRECIST e WHO, che sono basati esclusivamente sulla misurazione dei dia-metri del tumore ma integrati con sistemi alternativi come quelli proposti daChoi et al nel 2004, che considerano nel criterio di valutazione della rispo-sta oltre che le dimensioni anche l’aspetto “funzionale” (valori densitometrici,vascolarizzazione, densità cellulare della lesione) che si correlano megliocon l’outcome ma che possono porre problemi di riproducibilità.Le tecniche Dinamiche e di Perfusione sono particolarmente rilevanti di mo-nitorare la risposta ai diversi trattamenti chemioterapici sia convenzionaliche dopo target therapy in quanto i sarcomi tendono a dimostrare curve conpicchi elevati e precoci (in fase arteriosa), che si possono ridurre nettamentedopo la terapia neoadiuvante, fornendo importanti informazioni prognosti-che correlabili con i dati anatomo-patologici dell’entità della necrosi post-te-rapia.La tecnica di RM di diffusione dovrebbe essere sempre eseguita nella valu-tazione della risposta al trattamento.I parametri di valutazione ad ogni esame radiologico sono i seguenti:• Valutazione delle dimensioni del tumore (criteri RECIST) con RM o TC.• Valutazione della cellularità del tumore (valori di diffusione RM o densità

con la TC) secondo i criteri CHOI.• Valutazione della vascolarizzazione tumorale con quantificazione della

perfusione con RM di perfusione o TC di perfusione o PET-TC.

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

• G esprime il grado di differenziazione istologica della neoplasia, a cuiviene dato un punteggio crescente da 1 a 3 o 4 a seconda del si-stema di classificazione utilizzato. Poiché questo fattore è una va-riabile biologica di tipo continuo, può essere talora difficileassegnarle un punteggio arbitrario.

Tumore primitivo (T)• Tx tumore primitivo non valutabile• T0 nessuna evidenza di tumore primitivo• T1 tumore primitivo < 5cm :

T1a = superficialeT1b = profondo

• T2 t umore primitivo > 5cmT2a = superficialeT2b = profondo

Linfonodi regionali (N)• Nx linfonodi regionali non valutabili• N0 assenza di metastasi nei linfonodi regionali• N1 metastasi nei linfonodi regionaliMetastasi a distanza (M)• Mx metastasi non valutabili• M0 non evidenza di metastasi a distanza• M1 presenza di metastasi a distanzaGrado istopatologico (G)• Gx non valutabile• G1 ben differenziato• G2 moderatamente differenziato• G3 scarsamente differenziato • G4 indifferenziatoStadi• I G1-2 T1a-b T2a-b N0 M0• II G3-4 T1a-b T2a N0 M0• III G3-4 T2b N0 M0• IV ogni G ogni T N1 M0

ogni G ogni T N0 M1

2.5 Diagnosi e valutazione della rispostaLa diagnostica per immaginiLa diagnostica per immagini risulta fondamentale sia nelle fasi iniziali di dia-gnosi che in quelle di stadiazione. Nello studio di lesioni dei tessuti molli disospetta natura maligna, le diverse tecniche di immagine permettono di iden-tificare la massa, descriverne le caratteristiche, i rapporti con la fascia mu-scolare e le strutture vascolo-nervose limitrofe, l’estensione e l’eventualecoinvolgimento dei tessuti circostanti.L’esame radiografico diretto del segmento interessato deve essere eseguitain almeno due proiezioni,con tecnica radiologica digitale con elaborazionedella immagine sia per l’osso che per le parti molli.L’esame radiografico permette di individuare un eventuale coinvolgimentodella componente scheletrica (lesioni periostali, alterazioni del profilo, ero-sioni dello stesso, coinvolgimento della componente midollare) e le alterazionidi densità dei tessuti molli, presenza di calcificazioni a differente morfologia(fleboliti nelle lesioni angiomatose , ossificazioni a guscio della miosite ossi-ficante matura, etc.) La radiografia del segmento osseo non richiede com-petenze specialistiche e può essere eseguita in qualsiasi struttura fornita diapparecchiatura radiologica.Se è eseguita con tecnica di radiologia digitale vi è maggiore duttilità nel-l’elaborazione dell’immagine ed è possibile l’archiviazione agevole delle im-

magini con rapida consultazione a distanza o in caso di controlli successivi.L’indagine ecografica è l’ esame di prima istanza in quanto metodica sem-plice, di basso costo, disponibile nella maggior parte dei centri diagnosticianche periferici. Consente di misurare le dimensioni ed il rapporto con la fascia muscolare su-perficiale, di valutare il contenuto (liquido, solido, misto, adiposo, fibroso), divalutare il coinvolgimento delle strutture vicine. L’esame deve essere ese-guito con apparecchiatura dotata di trasduttori a scansione elettronica a largabanda e multifrequenza lineari e convex a larga banda multifrequenza perpoter studiare sia i tessuti superficiali che profondi compresi nel campo divista.L’indagine ecografica deve essere sempre completata con Eco-color Dopplere PowerDoppler (PD) con elevata sensibilità per i flussi sia arteriosi che ve-nosi, per una accurata valutazione della vascolarizzazione della lesione.In caso di lesioni vascolarizzate è consigliabile procedere all’utilizzo delmezzo di contrasto ecografico (CEUS). Lo studio ecografico con mdc con-sente di studiare in tempo reale le strutture vascolari, in particolare la neo-angiogenesi presente nella lesione, analizzandone il comportamento in tuttele fasi, da quella arteriosa a quella venosa sino alle fasi tardive, e delinean-done la precisa mappa vascolare. Lo studio CEUS, oltre a fornire utili informazioni sulla possibile natura beni-gna o maligna della lesione basata sulla neoangiogenesi, diffusione del CEUSpermette inoltre di scegliere l’area più significativa per la successiva biop-sia, che dovrà indirizzarsi su di un tessuto vitale, non necrotico, e dovrà evi-tare le aree non diagnostiche ai fini anatomo-patologici. A tale scopol’ecografia, grazie a particolari dispositivi applicati alle sonde e alla guidaelettronica mirata, presente su tutte le apparecchiature, consente di indiriz-zare con estrema precisione l’ago nel tragitto prescelto.Il referto dell’ecografia di una massa dei tessuti molli deve riportare le di-mensioni, la sede (in particolare i rapporti con la fascia), i margini, l’eco-struttura, la vascolarizzazione (nel caso di Eco Power Color Doppler) (livelloV).

Una lesione clinicamente sospetta deve essere studiata in primaistanza mediante l'esecuzione di radiografia ed ecografia con eco ColorDoppler (livello VI di evidenza).Nel caso gli esami di primo livello confermino il sospetto di patologia ag-gressiva evolutiva, oppure permanga il dubbio diagnostico, o ancora la massaabbia dimensioni superiori ai 5 cm vi è indicazione ad eseguire esami di se-condo livello.Qualora il paziente sia in carico a servizi periferici, a questo punto dell’iterdiagnostico è necessario considerare il riferimento a centri specialistici spe-cifici.

Il paziente con lesione sospetta di malignità agli esami di primo livellodovrebbe essere sottoposto agli esami di secondo livello o in un cen-tro ad alta specializzazione specifica o in un centro che si attenga alpresente protocollo (livello V).Una lesione delle parti molli deve essere sottoposta a Risonanza magnetica(RM) se all’esame ecografico dimostra caratteristiche sospette per lesioneevolutiva o se presenta dimensioni superiori ai 5 cm circa. L’indagine RM è in grado di fornire una accurata valutazione anatomica emorfologica della lesione la sua estensione compartimentale, l’edema peri-tumorale, l’interessamento neuro vascolare osseo ed articolare.L’esame RM deve essere condotto prevalentemente con sistemi supercon-duttivi ad alto campo (almeno 1.0 T) o comunque con elevata potenza di gra-diente, che consentano di ottenere immagini caratterizzate da un rapporto

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3. Sarcomi degli arti, dei cingoli e del tronco

3.1 La biopsiaLa biopsia è l’ultimo passo nell’iter diagnostico e il primo atto chirurgico. E’una “strategia”, non un “intervento di piccola chirurgia”. Deve sempre esserepreceduta dall’anamnesi, l’esame obiettivo e gli esami strumentali, e nondeve essere il primo atto diagnostico “per abbreviare i tempi”.La stadiazione strumentale locale completa è indispensabile per conoscerela sede, l’estensione, il compartimento anatomico e le caratteristiche di se-gnale correlabili a differenti tessuti. Se si esegue una biopsia senza lo stu-dio con ecografia, RM e/o TC, si possono contaminare più compartimenti esi può prelevare tessuto non idoneo né significativo per la diagnosi. Se siesegue la biopsia escissionale, cioè si asporta la lesione, senza averne stu-diato la reale estensione, l’escissione chirurgica potrebbe essere marginaleo addirittura intralesionale.La biopsia è il primo atto chirurgico anche quando viene eseguita con unago tranciante dal radiologo. Una biopsia condotta in modo errato precludela terapia corretta, portando talvolta al sacrificio dell’arto laddove una biop-sia corretta avrebbe potuto salvarlo, aumenta la probabilità di recidiva lo-cale, aumenta il rischio di complicanze postoperatorie, peggiora il risultatofunzionale.Solo ortopedici, chirurghi, radiologi, patologi, oncologi e radioterapisti, che co-noscono tutto il caso e collaborano strettamente, possono scegliere ed ap-plicare la corretta strategia diagnostica e terapeutica. In quest’ottica, èindispensabile che il chirurgo e il radiologo, che abbiano eseguito la biopsia,considerino non concluso il proprio lavoro con il prelievo, ma continuino a col-laborare con il patologo fino alla definizione della diagnosi istologica. La biopsia deve essere eseguita secondo tutte le regole chirurgiche oncolo-giche da medici che ne conoscono tutti i presupposti e le conseguenze (A)In caso di sospetto sarcoma dell’osso e dei tessuti molli, a causa della raritàdella patologia e delle difficoltà e complessità diagnostiche e terapeutiche,tutta la letteratura internazionale è concorde nel suggerire che il pazientesia inviato già nella fase della biopsia presso un centro di riferimento conesperienza nei sarcomi, per evitare errori e perdite di tempo, limitando i costiumani e sanitari.

Livello VI pazienti con sospetto tumore dei tessuti molli devono essere inviati adun centro di riferimento per l’esecuzione della biopsia (A).Indipendentemente dalla specialità e dalla tecnica, è indispensabile che ilmedico esecutore sia strettamente coinvolto nel processo diagnostico e te-rapeutico: essendo la biopsia l’ultimo atto diagnostico, l’esecutore ed il pa-tologo che la interpreta non possono ignorare la storia clinica, l’esameobiettivo e gli esami strumentali già eseguiti; essendola biopsia il primo attochirurgico, l’esecutore ed il patologo devono avere ben presenti tutte le pos-sibili conseguenze terapeutiche. In particolare, l’uno deve conoscere perfettamente la via d’accesso definitivacon cui verrà asportato il tumore, perché tutto il tratto bioptico dovrà essereasportabile in blocco con il sarcoma; l’altro deve conoscere le conseguenzeterapeutiche della diagnosi istologica per dare tutte le informazioni neces-sarie, utilizzando tutte le metodiche a disposizione.Poiché la biopsia è parte di una strategia, è fondamentale che l’ortopedicoed il chirurgo non solo diano l’indicazione alla biopsia, ma provvedano anchea stabilirne l’urgenza in base al sospetto diagnostico, e metta in atto un pro-tocollo, anche organizzativo, per realizzarla nei tempi e modi adeguati.

Fondamentale è, in tutti i passaggi, l’informazione al paziente ed ai fami-liari in modo che, quando la diagnosi istologica arriverà, il paziente e la fa-miglia siano pronti ad affrontare il lungo e difficile percorso terapeutico.

Livello VIE’ indispensabile che ciascun reparto ortopedico o chirurgico rediga unprotocollo attuabile nella propria realtà lavorativa per la realizzazione della“strategia bioptica” (B).La scelta della sede della biopsia deve tenere conto di tre fattori: 1) le vie chirurgiche d’accesso: la biopsia deve essere eseguita utilizzando

la stessa via d’accesso dell’intervento chirurgico definitivo, perché iltratto bioptico dovrà essere successivamente asportato in blocco con iltumore

2) il compartimento anatomico: la biopsia deve essere eseguita in mododa non contaminare altri compartimenti

3) le caratteristiche del tessuto patologico individuate dalla diagnostica perimmagini: la biopsia deve essere centrata dove vi è tessuto idoneo erappresentativo, escludendo le aree necrotiche, colliquative e/o emor-ragiche.

Gli accessi oncologici sono diversi da quelli ortopedici classici e devono es-sere conosciuti bene da chi si accinge ad eseguire la biopsia.La biopsia può essere eseguita in due modi: con ago tranciante (tru-cut, de-finita anche core needle biopsy) sotto controllo ecografico, oppure medianteincisione chirurgica (biopsia incisionale).In caso di sospetta lesione sarcomatosa, la terza alternativa, la biopsia ad agosottile (Fine Needle Aspiration Cytology, FNAC) è da eseguirsi solo in casi se-lezionati e quando il servizio disponga di patologi con grande esperienza,perché dà un prelievo di cellule e non di tessuto: spesso le masse sarcoma-tose hanno componenti cellulari differenti che, prese separatamente, pos-sono dare diagnosi diametralmente opposte. La diagnosi più adeguata èinvece basata soprattutto sullo studio dell’“architettura” del tessuto neopla-stico: il tipo e numero di cellule, il numero di mitosi, la matrice, la necrosi ela vascolarizzazione.La biopsia escissionale, cioè l’asportazione della lesione non preceduta dal-l’esame istologico, nei sarcomi dei tessuti molli è possibile solo nei seguenticasi: la massa è sottocutanea o intramuscolare, di dimensioni inferiori ouguali a 3 cm, i margini sono ben delimitati, l’escissione in blocco con mar-gini ampi è conservativa, il referto istologico non modificherebbe il tratta-mento (né il tipo di escissione né i margini), il risultato funzionale è buono.La biopsia incisionale con esame al congelatore e l’immediato interventochirurgico ha indicazioni molto limitate: può essere eseguita solo nei sar-comi dei tessuti molli con caratteristiche all’imaging omogenee, per sede ecaratteristiche non vi è indicazione al trattamento preoperatorio con radioe/o chemioterapia e vi è la possibilità di asportarla chirurgicamente con mar-gini adeguati in modo conservativo. L’esame al congelatore è invece utile per la conferma dell’idoneità del pre-lievo.Sia la biopsia con tru-cut che incisionale hanno vantaggi e svantaggi. Lascelta tra le due metodiche bioptiche dipende da molti fattori, tra cui l’espe-rienza del radiologo, del chirurgo e del patologo, la sede ed il tipo di lesione,il tipo di paziente e la sua volontà. In qualunque modo venga eseguita e da chiunque venga eseguita, chirurgoo radiologo, la biopsia deve seguire le regole della chirurgia oncologica per

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permettere l’asportazione chirurgica corretta ed adeguata del sarcomaquando la diagnosi e la stadiazione permetteranno la terapia.L’anestesia locale per infiltrazione con anestetico è sconsigliata: è possibilela disseminazione con l’ago di cellule tumorali nei tessuti circostanti ed al-l’intervento definitivo la zona infiltrata sarà difficilmente identificabile e quindivi è il rischio di non asportarla in blocco con il tumore.L’esecuzione sotto guida ecografica o TC permette sia di indirizzare l’agonelle zone di tessuto con segnale più rappresentativo, evitando il prelievo inaree necrotiche e/o emorragiche, sia di non oltrepassare la massa, dissemi-nando il tumore. Se necessario, è possibile eseguire più prelievi utilizzandosempre lo stesso foro cutaneo di entrata. E’ sconsigliabile eseguire il prelievocon ago tranciante a mano libera.Il grande svantaggio dell’agobiopsia, nonostante la possibile pluralità dei pre-lievi, è la relativa scarsità del tessuto, per cui talvolta è impossibile avereuna diagnosi istologica certa, anche se il prelievo è stato fatto tecnicamentein modo impeccabile ed il patologo è esperto in lesioni sarcomatose. Inoltre,ancora per la scarsità del prelievo, nella maggior parte dei casi è impossi-bile studiare il tessuto neoplastico con indagini aggiuntive quali la biologiamolecolare.Le complicanze dell’agobiopsia con ago tranciante sotto controllo ecograficoo TC sono minime sia come numero che come morbilità, essenzialmente,anche se raramente, l’ematoma post-prelievo (è buona norma eseguireun’ecografia di controllo dopo un’ora dal prelievo, documentando la situa-zione postbioptica).Il rischio di infezione dopo l’agobiopsia sia eco che TC guidata, pur possibile,è poco probabile. In letteratura sono stati segnalati rarissimi casi di morte percrisi vagali in pazienti affetti da neurinoma biopsiati con ago sotto controlloecografico. Poiché talvolta è difficile diagnosticare con la clinica e l’imaging un neuri-noma, è buona regola far precedere la biopsia con la “puntura esplorativa”della massa con un ago da spinale; se il paziente non ha reazioni,si può procedere senza problemi. Si sottolinea che anche l’agobiopsia deve essere eseguita per la stessa viad’accesso della biopsia incisionale in modo da permettere l’asportazione inblocco del tragitto bioptico con il tumore. Se chi esegue la biopsia con ago è il radiologo, è determinante l’accordopreliminare con il chirurgo, per identificare esattamente la via d’accesso de-finitiva.La biopsia incisionale richiede l’accesso ad una sala operatoria ed una ane-stesia almeno loco-regionale. Oltre alle normali complicanze di un intervento chirurgico (ematoma, infe-zione, ritardo di guarigione della ferita, tromboembolia, ecc.), vi è il rischio diprelevare in una zona poco rappresentativa per cui la diagnosi, da cui derivala scelta terapeutica, potrebbe non essere corretta. Se vi è il dubbio che ilmateriale prelevato sia necrotico, e quindi non adatto per la diagnosi, l’ese-cutore della biopsia deve richiedere l’esame al congelatore per definirnel’idoneità.Si sottolinea che l’esame al congelatore può essere effettuato solo sui tes-suti molli, non sull’osso.In caso di discordanza tra i dati clinici, gli esami strumentali ed il refertoistologico sul prelievo bioptico, è indispensabile rivalutare tutto il percorsodiagnostico e, se necessario, ripetere la biopsia. Come eseguire il prelievo bioptico con ago tranciante sotto controllo eco-grafico o TC.Le regole per il prelievo chirurgico bioptico, in base ai principi di chirurgiaoncologica, sono le seguenti:

• informare il paziente ed ottenerne il consenso informato• se possibile, non usare il laccio emostatico: si evita il rischio teorico di

liberare emboli di cellule tumorali al momento sia della spremitura confascia di Esmark che al rilascio del laccio. Se si decide di usarlo, nonusare la fascia compressiva in corrispondenza del tumore e sgonfiare illaccio subito dopo il prelievo bioptico per procedere alla coagulazione ac-curata

• se vi sono dubbi sulla localizzazione (alcune masse, specie se con com-ponente angiomatosa, tendono a diminuire improvvisamente di dimen-sioni in anestesia), identificare con l’ecografo la sede prima di inciderela cute

• sezionare a “tutto fondo” i piani con un’incisione longitudinale: inciderecute, sottocute e muscolo evitando di scollare il sottocute dalla fascia,la fascia dal muscolo, il muscolo dal periostio ecc. Lo scollamento con-tamina ed aumenta i tessuti da asportare in blocco all’intervento defini-tivo

• Il tumore è sempre delimitato da una pseudocapsula, di solito ricca divasi: coagularli accuratamente o legarli per diminuire il rischio di san-guinamento quando la si incide. Nel dubbio, applicare un ago ed aspi-rare per essere sicuri che all’interno non vi sia una raccolta di sanguesotto pressione

• Incidere la pseudocapsula, se possibile ad H in modo da sollevare i duelembi (suturabili al termine dell’intervento) e procedere, a seconda dellaconsistenza del tessuto patologico, al prelievo di un frammento di circa1cm3 con pinza e bisturi in modo “atraumatico”

• Valutare l’aspetto macroscopico del frammento prelevato: deve essereun tessuto vitale, non necrotico, né colliquativo né emorragico. In casodi dubbio, si richiede immediatamente l’esame al congelatore per valu-tare l’idoneità del prelievo e, se necessario, procedere all’ulteriore pre-lievo. Inviare il frammento bioptico al servizio di anatomia patologica

• eseguire l’emostasi in modo accurato: bisogna evitare la formazione diun ematoma postoperatorio che, oltre ai comuni problemi, potrebbe dis-seminare le cellule tumorali nei tessuti circostanti

• suturare accuratamente la pseudocapsula e tutti i piani, per evitare lacontaminazione, posizionando i punti di sutura vicino ai margini di inci-sione in modo da diminuire la quantità di tessuti da asportare come tra-mite bioptico

• il drenaggio dovrebbe essere utilizzato solo se strettamente necessario.Deve essere posizionato in modo che rimanga intracompartimentale edesca dalla cute nella direzione e vicino ad un estremo dell’incisione: al-l’intervento definitivo il tragitto ed il tramite cutaneo dovranno essereasportati in blocco con il tumore

• controllare la guarigione della ferita ed informare il paziente che il ri-poso funzionale nel postoperatorio diminuisce il rischio di ematoma e disanguinamento.

Il razionale della chirurgiaLa maggior parte dei sarcomi delle parti molli deve essere asportata chirur-gicamente in blocco dopo un’accurata analisi della diagnostica per immagini,della funzione residua, delle possibilità ricostruttive, dell’efficacia delle tera-pie adiuvanti e della volontà del paziente.In oncologia del sistema muscolo-scheletrico, il chirurgo deve attenersi adalcune regole fondamentali:• escissione in blocco della massa con margini chirurgici adeguati • accurata emostasi e successivo lavaggio del letto operatorio, per evi-

tare ematomi ed infezioni• posizionamento di clips metalliche a livello dei margini di resezione del

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli

La presenza di cicatrice positiva amplifica la possibilità di recidiva locale da1.5 a 3 volte rispetto ai pazienti con cicatrice negativa. Nonostante questo,la sopravvivenza complessiva nei due gruppi di pazienti non varia in manierastatisticamente significativa.

Livello VITutti i servizi di chirurgia che operino pazienti portatori di massa delleparti molli devono attenersi alle regole della chirurgia oncologica (A)

Livello VGli interventi chirurgici per l’asportazione chirurgica di un sarcoma delleparti molli non devono essere eseguiti in un centro senza esperienza spe-cifica.OssoQuando il tumore della parti molli è mobile sui piani profondi, non è in con-tiguità con l’osso e dall’imaging appare che ci sia un margine di sicurezzatra le due strutture, non vi è nessuna necessità di rimuovere l’osso.Quando il tumore è in contiguità con l’osso, ma la massa è clinicamente mo-bile e la scintigrafia ossea è negativa, si deve associare all’escissione ancheuno stripping del periostio con scollaperiostio o bisturi elettrico, mantenendolo stesso come margine profondo di resezione. Questa accortezza tecnica da un lato evita la necessità di eseguire una ostec-tomia, con indubbi vantaggi per il paziente, dall’altra espone lo stesso allapossibilità di fratture patologiche dopo radioterapia adiuvante, essendo il pe-riostio una barriera efficace alla osteonecrosi da radioterapia. Questo è ilmotivo per cui a volte, in caso di asportazione del periostio dalla diafisi delleossa lunghe, è necessario associare una osteosintesi preventiva dell’interosegmento.Quando oltre alla contiguità ossea vi è un’aumentata captazione alla scinti-grafia, questo è indice di una attivazione periostea da parte della pseudo-capsula. In questo caso si deve eseguire una resezione tangenziale dell’ossoed una sua ricostruzione con allograft o autograft. Se si programma di ese-guire una radioterapia adiuvante, è necessario ricorrere ad innesti autolo-ghi, con maggior resistenza e capacità biologica, supportati da unaosteosintesi preventiva stabile (placche lunghe o chiodo endomidollare).Se la massa è fissa ed adesa al piano osseo, la scintigrafia ossea è franca-mente positiva e le immagini TC e RMN evidenziano una chiara invasionecorticale della neoplasia, è necessario eseguire una escissione in bloccodella neoplasia e dell’intero segmento osseo adiacente, con conseguente ri-costruzione dell’osso con protesi, innesti, spaziatori con chiodo o cementoetc. La stessa procedura di ostectomia totale è consigliata quando la scintigra-fia è francamente positiva, l’imaging non mostra una sicura infiltrazione, mala massa circonda per oltre i 2/3 l’osso. In questi casi di ostectomia totale ericostruzione con innesti o protesi, è sempre utile eseguire un trattamentoneo-adiuvante, al fine di evitare di dover irradiare nel postoperatorio la rico-struzione ossea.VasiIl rapporto tra massa neoplastica e vasi deve essere sempre valutato con at-tenzione. Quando durante l’escissione si riscontra un vaso principale in con-tiguità col tumore, se questo è da esso facilmente dissociabile per viasmussa, si deve procedere con l’isolamento del tronco vascolare principalee la legatura delle collaterali. Se vi è una contiguità maggiore, è utile asso-ciare al margine chirurgico anche l’avventizia del vaso principale. Se si deve eseguire una dissezione tra massa e vaso con tagliente, questa èindice di una permeazione del tumore ed è l’indicazione al sacrificio del-l’asse vascolare principale.

In questi casi, la ricostruzione dell’asse arterioso principale è obbligatoria,con ricostruzioni biologiche (autograft venosi es. di safena) qualora non sianecessaria la radioterapia postoperatoria, con bypass sintetici armati dove èprogrammata una terapia adiuvante.La ricostruzione di un asse venoso profondo può non essere necessaria seil letto venoso superficiale è stato risparmiato, mentre è consigliata se è pro-grammata una radioterapia postoperatoria. In questi casi, pur nella consa-pevolezza che il bypass possa ostruirsi dopo la terapia, la presenza di unoscarico venoso attivo è utile a diminuire l’ingorgo venoso e l’edema dell’artonel postoperatorio, facilitando l’inizio della terapia adiuvante.NerviIl nervo è difficilmente invaso da un sarcoma, perché l’epinevrio è una bar-riera anatomica veramente efficace. In caso di contiguità anatomica con unamassa neoplastica, è spesso sufficiente eseguire una neurolisi del tronconervoso principale, affrontando la struttura nervosa dalla parte opposta dellazona di contiguità, sezionando longitudinalmente l’epinevrio, e lasciando que-sti a copertura del margine, salvando i fascicoli neurali. Questa tecnica è applicabile solo nelle lesioni vergini e mai operate in pre-cedenza: infatti, in presenza di cicatrice e fibrosi reattiva (come nelle reci-dive locali o nei pazienti irradiati), è impossibile riconoscere e eseguire laneurolisi delle strutture nervose.Questa metodica, che risparmia la funzione del nervo, è però gravata dallapossibilità di neuriti post attiniche secondarie, anche a distanza di anni.Nel caso in cui la neoplasia avvolga interamente l’asse nervoso principale onei casi di tumore primitivo delle guaine nervose, si deve procedere alla re-sezione in blocco del nervo. La ricostruzione di questi è possibile con greffes nervose autologhe, con tec-nica microchirurgica. In questi casi, prima della resezione del nervo, bisognamappare con l’elettrostimolatore il livello prossimale e distale dello stesso,per differenziare le fibre nervose da quelle sensitive. Questa accortezza tec-nica migliora la qualità della ricostruzione e favorisce la rigenerazione neu-rale. Nei casi dove non si può procedere alle greffes nervose, si deve considerarela possibilità di eseguire trasposizioni tendinee o artrodesi delle articolazioniinteressate dal danno funzionale.Una possibilità ricostruttiva molto più ambiziosa e complessa è rappresen-tata dai lembi muscolari innervati, liberi o di rotazione.ArticolazioniUn sarcoma delle parti molli può occasionalmente estendersi in prossimitàdi un’articolazione e solo raramente nascervi all’interno di essa.Quando la lesione delle parti molli è contigua alla superficie articolare, ma lamassa è coperta da un margine di tessuto osseo o da una membrana sino-viale, o quando la capsula ed i legamenti appaiono solo in parte interessati,è possibile eseguire una escissione intra-articolare, sezionando capsula elegamenti rasenti al bordo articolare opposto. Quando la RMN e la PET di-mostrano la contaminazione dell’articolazione in toto, si deve procedere aduna resezione extra-articolare in blocco od a una amputazione.LembiI sarcomi delle parti molli superficiali, che spesso tendono ad ulcerarsi edhanno una importante estensione sottocutanea, e le forme di recidive conpregresse incisioni cutanee multiple, necessitano spesso di escissioni ampiecon difficile possibilità di copertura. Lo stesso dicasi per i sarcomi delle estre-mità (mani e piedi), magari più piccoli dei precedenti, ma in distretti anato-mici qualitativamente poveri di tessuti di copertura. In questi pazienti si hala necessità di eseguire lembi microchirurgici di copertura, che possono es-sere o liberi o di rotazione. Nel caso del sacrificio di un intero compartimento, come ad esempio quello

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

letto operatorio, con il compito di facilitare il planning di radioterapiaadiuvante.

• assistenza diretta al radioterapista nel caso di posizionamento dei tubi-cini di plastica per la brachiterapia interstiziale, evitando il contatto di-retto di questi con vasi e nervi e identificando i punti di dubbiamarginalità per la concentrazione della dose e l’estensione dell’impianto.

• descrizione accurata dell’intervento chirurgico, delle masse muscolariasportate, delle strutture nobili escisse, delle zone di contiguità o dub-bia marginalità

• determinazione da parte del chirurgo dei margini chirurgici sul pezzoanatomico, segnalando al patologo, con inchiostro di china o fili di su-tura, i margini potenzialmente contaminati o le zone di contiguità di vasie nervi principali

• evitare di sezionare il campione in sala operatoria, per non compromet-tere i reperi sui margini di resezione. La sezione del tumore è un atto chedeve essere svolto dal patologo

• invio del pezzo “a fresco” ed in condizioni di sterilità, come già espostonel paragrafo sulla biopsia, per avere la possibilità di eseguire studi bio-logici; se non è possibile, si consiglia la fissazione del campione opera-torio in toto in sala operatoria. In genere la diagnosi istologica di malattiaè già stata definita con la biopsia. È’ tuttavia utile non solo confermarel’istotipo, ma anche verificare che, nel contesto della massa, non esi-stano aree di grado più elevato. Inoltre, con l’analisi combinata macro-scopica e microscopica, l’anatomopatologo deve verificare la qualità deimargini della resezione.

Il tipo di escissione, definita dalla classificazione della Musculoskeletal TumorSociety come intralesionale, marginale, ampia e radicale, condiziona la con-dotta terapeutica successiva all’intervento. L’esame microscopico della resezione garantisce la definizione precisa deimargini e quindi della qualità e del tipo di escissione. L’individuazione di areedi marginalità e/o contaminazione della resezione è sempre fondamentale,ma soprattutto nelle escissioni cosiddette allargate, laddove l’atto chirurgicoha già asportato tutto ciò che le caratteristiche anatomiche e compartimen-tali permettevano.Escissione Intralesionale: è l’asportazione eseguita passando attraverso lamassa tumorale, quando la pseudocapsula del tumore è violata dal chirurgo,cosicché parti macroscopicamente visibili di tessuto sarcomatoso riman-gono in sede. Un margine intralesionale può talvolta essere accettato per neoformazionibenigne come un lipoma, se localizzato in prossimità di strutture anatomi-che nobili come vasi o nervi principali, il cui sacrificio comporterebbe gravideficit funzionali. Anche nelle forme benigne localmente aggressive (es. tumore desmoide), sein contatto con strutture nobili, una marginalità è accettabile se si associa laradioterapia postoperatoria per ridurre la probabilità di recidive locali.Nei sarcomi ad alto grado, questo tipo di margine è da considerarsi inaccet-tabile, perché espone il paziente ad una percentuale di recidiva locale di oltreil 90%. Escissione Marginale: è l’asportazione in blocco della neoplasia at-traverso la pseudocapsula reattiva. La pseudocapsula è un’area di tessuto che circonda la neoplasia, potenzial-mente contaminata da cellule neoplastiche e/o con digitazioni neoplastiche,e spesso circondata da lesioni “skip”, presenti intorno ad essa. Questa è la ragione per cui l’escissione marginale di un sarcoma ad altogrado espone il paziente ad un rischio di recidiva locale stimato intorno al 40-60%.In un sarcoma a basso grado e in contiguità con una struttura vascolare onervosa di rilievo, si può accettare anche una focale marginalità chirurgica

se si associa al margine anche il perinevrio o l’avventizia del vaso e si ese-gue la radioterapia adiuvante.Una escissione marginale è il trattamento adeguato per la maggior parte deitumori benigni, dove, se la neoplasia viene escissa in blocco, la recidiva lo-cale è rara. Vi sono alcuni tumori benigni, come la fibromatosi aggressiva oil neurofibroma, che non hanno una vera e propria pseudocapsula ed hannouna crescita caratterizzata da un pattern infiltrativo locale. Per questo mo-tivo il neurofibroma può essere escisso dal nervo di origine solo attraversol’ausilio di ottiche microchirurgiche.Escissione Ampia: è l’asportazione in blocco del tumore circondato da tes-suto sicuramente sano, non reattivo, all’interno del compartimento anato-mico di origine. La qualità del margine è più importante dello spessore: unafascia o un’avventizia rappresentano un margine chirurgico migliore rispettoad alcuni centimetri di tessuto adiposo o muscolare (1 mm di fascia è più ef-ficace di 2 cm di muscolo).Questo tipo di escissione non esclude la possibilità di lasciare in situ delleskip metastasi, motivo per il quale la percentuale di recidiva con la sola chi-rurgia ampia di un sarcoma delle parti molli, si aggira intorno al 20-30%.Per ridurre questa percentuale di recidiva si deve associare la radioterapia(diversamente combinata: preoperatoria, postoperatoria, brachiterapia), cheha portato ad un controllo locale nelle forme ad alto grado compreso tra il 9ed il 18%.Escissione Radicale (o compartimentale): è l’asportazione in blocco di tuttoil compartimento anatomico, o di tutti i compartimenti anatomici interessatidal tumore, per esempio l’intero quadricipite per la loggia anteriore di coscia.Dopo questo tipo di escissione la recidiva locale è bassa (circa 2%) e spessonon si associa alcun adiuvante locale.Dal punto di vista oncologico, questa escissione garantisce grandi risultati sulcontrollo locale, a scapito però della funzione residua dell’arto. Per poter offrire al paziente una qualità funzionale accettabile, è necessarioricorrere ad artifici chirurgici ricostruttivi molto complessi (megaprotesi com-posite, lembi microchirurgici liberi vascolarizzati ed innervati etc) e moltoimpegnativi per il paziente, con possibili complicanze della ricostruzione.E’ questo il motivo per cui una escissione radicale è limitata ai pazienti in cuila malattia è localmente avanzata e compartimentale, mentre ad oggi, il gol-den standard della chirurgia oncologica di un sarcoma o di una lesione be-nigna aggressiva delle parti molli è la chirurgia ampia, associata o meno allaradioterapia.

Livello VII pazienti portatori di sarcoma delle parti molli operabili devono esseresottoposti ad intervento chirurgico di asportazione in blocco con marginiradicali o ampi, sulla base della stadiazione, della funzione residua, dellepossibilità ricostruttive, dell’efficacia delle terapie adiuvanti e della vo-lontà del paziente (A).Nel caso di trattamento inadeguato, come ad esempio può accadere in unpaziente trattato in un Centro non specializzato, pur in assenza di una francarecidiva locale, è necessario che il paziente sia stadiato con tutte le neces-sarie tecniche di imaging; il preparato istologico deve essere rivalutato da unpatologo di grande esperienza nel settore. Completato questo iter, il paziente deve essere ritrattato con una nuova chi-rurgia (radicalizzazione), escidendo in blocco la cicatrice chirurgica ed i tes-suti contigui per ottenere una radicalità del letto operatorio.La nuova analisi del pezzo operatorio deve essere accurata, con la finalità siadel riscontro di malattia residua sia dei nuovi margini chirurgici.Nelle diverse casistiche, è riportata una persistenza di malattia microsco-pica o macroscopica variabile dal 35 al 60%.

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli

L’irradiazione ad alte dosi non sembra compromettere gli innesti cutanei,usati per la ricostruzione dopo chirurgia, purché la radioterapia sia eseguitadopo un tempo di almeno 3 settimane, ritenuto necessario per la cicatrizza-zione.La brachiterapia interstiziale, che si realizza mediante il posizionamento dicateteri plastici caricati con sorgenti radioattive (a basso o ad alto rateo didose), consente di somministrare dosi elevate in tempi relativamente brevied a volumi ben definiti, limitando al massimo l’irradiazione di tessuti sani.La deiscenza della ferita è la più frequente complicanza della brachiterapiama può essere nettamente ridotta (dal 22% al 14%) posticipando l’inizio del-l’irradiazione al VI giorno postoperatorio. La brachiterapia offre eccellenti risultati in termini di controllo locale ed ab-brevia la durata della terapia in modo assai significativo rispetto alla radio-terapia transcutanea.La brachiterapia, purchè geometricamente fattibile, può essere considerataparte integrante del protocollo di trattamento, poiché aumenta nettamente lepercentuali di controllo locale a condizione che sia programmata nell’am-bito della decisione multidisciplinare preoperatoria.Studi pilota suggeriscono che l’associazione di radioterapia transcutanea ebrachiterapia come sovradosaggio su volumi ridotti può aumentare le per-centuali di controllo locale senza incrementare la tossicità, in particolaremodo nel caso di chirurgia con margini nonadeguati. In tal caso il tasso di controllo locale sarebbe del 90% rispetto al59% ottenibile con brachiterapia sola (p=0.08), senza un aumento della tos-sicità.Nel caso di margini chirurgici non adeguati e non radicalizzabili, la brachite-rapia potrebbe essere associata alla radioterapia transcutanea in centri converificata esperienza (livello III).La radioterapia esclusiva è utilizzata nei casi inoperabili per caratteristichedella lesione e/o condizioni cliniche del paziente.

Radioterapia post-operatoriaIl trattamento radiante deve essere iniziato dopo la guarigione della feritachirurgica. La documentazione radiografica pre-operatoria, la descrizionedell’intervento eseguito ed il posizionamento di clips amagnetiche nel “letto”tumorale durante l’intervento sono di grande importanza per una correttadefinizione dei volumi di trattamento radioterapico.È complesso definire una sequenza metodologica tecnica “standard”, in con-siderazione della molteplicità delle sedi e delle presentazioni cliniche dei sar-comi delle parti molli.Di fondamentale importanza sono le modalità di posizionamento e di immo-bilizzazione del paziente. A volte sono necessarie docce di contenzione per-sonalizzate per garantire la riproducibilità del trattamento.Mediante la simulazione di centratura del trattamento vengono eseguiti deiradiogrammi per ogni campo di entrata atti al confezionamento di schermisagomati, per consentire un adeguato risparmio delle strutture non perti-nenti. La sagomatura può essere eseguita con tecnica “classica” (schermi inleghe basso fondenti) o preferibilmente con Multi Leaf Collimator, a secondadelle disponibilità.Non esiste una definizione standard dei volumi da irradiare. Tuttavia, in ge-nerale, il piano di trattamento prevede l’impiego sequenziale di due volumibersaglio. Il volume bersaglio iniziale deve comprendere il letto tumorale conmargini sufficienti (dai 3 ai 6 cm in senso longitudinale) ad includere i tes-suti considerati a rischio. Il volume bersaglio finale è limitato all’area di mag-gior rischio comprendente il letto tumorale con margini di 2-3 cm. Il planningtarget volume (PTV) è disegnato sulle immagini della Tomografia Compute-rizzata eseguita appositamente per il piano di cura radioterapico.

Al fine di ottenere un’ottimale distribuzione di dose è consigliato l’impiego ditecniche multi portali isocentriche, con l’eventuale uso di filtri modificatori delfascio. La prescrizione della dose viene effettuata seguendo le indicazionidell’ICRU 62.La dose totale raccomandata al volume bersaglio iniziale è di 45 Gy (frazio-namento giornaliero 180-200 cGy in 5 frazioni alla settimana), seguiti da 14-16 Gy sul volume ridotto se i margini sono negativi o da 18-20 Gy se i marginisono positivi. Tale sovradosaggio può essere eseguito con due modalità: ra-dioterapia con fasci esterni o brachiterapia.Viene consigliata, comunque, una Dose Focolaio Totale superiore a 60 Gypoiché la dose totale parrebbe essere un fattore prognostico indipendente peril controllo locale.È indispensabile un controllo di qualità accurato. Indispensabile è il controllodi ogni campo di trattamento dell’apparecchio di terapia all’inizio e ad ognivariazione del volume di irradiazione: ciò può essere eseguito mediante di-spositivo elettronico di “portal imaging” o mediante “port-film” tradizionale.È raccomandabile, inoltre, una verifica settimanale per garantire la riprodu-cibilità del trattamento stesso.Radioterapia esclusivaQuesto tipo di trattamento, indicato nei sarcomi giudicati non resecabili, pre-vede la somministrazione di dosi fino a 75 Gy. I tessuti che ricevono più di60 Gy sono comunque limitati al letto tumorale con un piccolo margine.

Indicazioni della RadioterapiaLa radioterapia non può sanare un intervento chirurgico inadeguato (rac-comandazione di grado A).La radioterapia è generalmente indicata in pazienti con sarcoma di gradointermedio o alto degli arti e del tronco superficiale, con diametro > 5 cm,sottoposti a chirurgia con margini ampi o in tutti i casi di chirurgia mar-ginale non radicalizzabile, indipendentemente dalle dimensioni (racco-mandazione di grado A).Nei sarcomi a basso grado di malignità degli arti e del tronco superficiale,l’impiego della radioterapia deve essere individualizzato sulla base del-l’istotipo, dello stato dei margini chirurgici, facendo seguito a discussionetra esperti ed esplicitando le motivazioni delle indicazioni terapeutiche(raccomandazione di grado C).La radioterapia post-operatoria è indicata nel caso di escissione ampiaquando siano presenti almeno due dei seguenti fattori prognostici negativi:• alto grado di malignità• diametro > 5 cm• localizzazione sottofascialee nei casi con margini intralesionali, marginali o ampi contaminati, qualorasia impossibile o funzionalmente improponibile un ampliamento o una radi-calizzazione.Nei sarcomi di basso grado (STADI IA, IB secondo Enneking), il trattamentostandard è l’escissione in blocco con margini ampi o radicali, ma, anchedopo una resezione ampia, permane un rischio di recidiva locale del 20-30%.Sebbene il potenziale di controllo locale mediante sola radioterapia sia net-tamente inferiore rispetto alla chirurgia, si riportano percentuali di controllodel 30% in gruppi selezionati di pazienti: su tali dati si basa il razionale del-l’utilizzo della radioterapia preoperatoria e/o postoperatoria nei sarcomi abasso grado di malignità.La radioterapia post-operatoria è solitamente indicata nel caso in cui i mar-gini siano marginali o ampi contaminati, e non sia proponibile un amplia-mento dei margini o una radicalizzazione, che comporterebbe un grave deficitfunzionale, o qualora le condizioni cliniche del paziente la controindichino o

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

deltoideo, con il sacrificio del nervo circonflesso e la perdita della funzioneabduttoria della spalla, è possibile eseguire un trapianto di unità motoria delgrandorsale, trasposto e ruotato sul suo peduncolo vascolare e ruotato a co-prire la perdita di sostanza muscolo-cutanea-funzionale del deltoide. Qualorasia sacrificato l’intero compartimento del quadricipite, con la perdita dellaestensione contro resistenza, è possibile trasferire il gran dorsale libero po-sizionandolo al posto del quadricipite e garantendo il mantenimento dellasua funzione contrattile attraverso la neurorrafia del suo nervo motore conuna branca del nervo femorale.Tali metodiche, assolutamente complesse sia per la parte demolitiva che perquella ricostruttiva e microchirurgica, offrono al paziente la capacità di otte-nere, oltre ad una copertura vascolarizzata della perdita di sostanza, anchela ripresa funzionale e l’articolarità contro resistenza dell’arto.AmputazioniGrazie al miglioramento delle tecniche di imaging, sistemiche e chirurgiche,la chirurgia di salvataggio degli arti è oggi possibile in oltre il 90% dei pazientiaffetti da sarcomi delle parti molli. Per quanto sopra detto sulle notevoli pos-sibilità ricostruttive dei gaps vascolari con by pass, delle resezioni nervosecon greffes autologhe, delle perdite di sostanza ossea con protesi, innestimassivi o trapianti autologhi, delle perdite di sostanza cutanea e muscolarecon lembi microchirurgici (di copertura o funzionali), i pazienti che devono es-sere amputati si sono ridotti drasticamente.Questo tipo di intervento demolitivo è quindi stato relegato solo a pochi casi,ed in particolare le nostre attuali indicazioni sono:• pazienti in scadenti condizioni generali, che non siano in grado di sop-

portare interventi ricostruttivi lunghi, complessi, con perdita ematica etempi anestesiologici di molte ore

• pazienti con interessamento simultaneo di vasi e nervi, ai quali non siapossibile garantire una funzione dell’arto soddisfacente dopo la rese-zione oncologica ed una eventuale ricostruzione microchirurgica. In que-sti casi la funzione offerta da una protesi esterna è superiore rispetto adarti inutili e complicati

• sarcomi delle parti molli con lesioni a skip multiple nel contesto dellostesso arto, ai quali non è possibile garantire un soddisfacente controllolocale

• recidive locali di ricostruzioni complesse e lembi, nelle quali non vi siapiù spazio o possibilità per nuovi artifici chirurgici

• pazienti con forme localmente avanzate, che per motivi di altre patolo-gie associate non siano in grado di tollerare una radioterapia o chemio-terapia sistemica preoperatoria, o pazienti che non rispondono allaperfusione in ipertermia con antiblastici.

Infine bisogna cercare di evitare interventi demolitivi in pazienti con malat-tia localmente avanzata associata a malattia sistemica evoluta. Questi pa-zienti devono essere trattati con cure palliative sistemiche e locali, adeccezione che non presentino masse ulcerate ed infette, o complicate daemorragia, o compressioni neurologiche gravemente sintomatiche.

3.2 RadioterapiaIl razionaleL’amputazione dell’arto sede del tumore, nonostante i buoni risultati in ter-mini di controllo locale, comporta gravi conseguenze funzionali e sulla qua-lità di vita. I risultati di diversi studi clinici, tra i quali un trial randomizzatocondotto nel 1982 presso il National Cancer Institute (USA), hanno affermatol’equivalenza dell’amputazione versus una chirurgia con ampi margini se-guita da radioterapia, indirizzando ad un approccio più conservativo e met-tendo in evidenza il ruolo della radioterapia, pur nel contesto di una patologia

ritenuta tradizionalmente poco radiosensibile. Infatti, sebbene le cellule sar-comatose siano classicamente considerate radioresistenti, nel 1985 Suit eTepper dimostrarono che con dosi di radioterapia superiori a 65 Gy si ottieneil controllo locale in circa il 43% dei pazienti. Ciò è ovviamente proporzionalealle dimensioni del tumore: se il diametro è < 5 cm, il controllo atteso èdell’88%, se è fra 5 e 10 cm del 53%, se > 10 cm del 33%.La radioterapia può essere somministrata in fase pre-operatoria, post-ope-ratoria, esclusiva. La sequenzialità ottimale dell’associazione chirurgia e ra-dioterapia non è ancora definita. Infatti, non è stata dimostrata mediantestudi randomizzati una differenza statisticamente significativa fra l’approc-cio preoperatorio e quello postoperatorio per ciò che riguarda controllo locale,incidenza di metastasi a distanza e sopravvivenza.

Radioterapia preoperatoriaLa radioterapia preoperatoria consente:• di irradiare volumi ridotti rispetto alla postoperatoria. Infatti, il Clinical

Target Volume (CTV) è mediamente più limitato nel caso del trattamentopreoperatorio, ove comprende la massa tumorale e l’area di interessa-mento subclinico, rispetto a quello postoperatorio, in cui tutti i tessutimanipolati dal chirurgo devono essere irradiati, compresa la totale esten-sione della cicatrice chirurgica. Inoltre è meglio definibile il volume otti-male di irradiazione su una malattia macroscopica presente rispetto aduna irradiazione da eseguirsi su un volume virtuale corrispondente alletto operatorio

• di utilizzare dosi totali inferiori rispetto alla RT post-operatoria (50 Gy in25 frazioni rispetto ad una dose minima post-operatoria di 60 Gy in 30frazioni)

• di eseguire, nella maggior parte dei pazienti, un approccio chirurgico piùconservativo

• di prevenire l’eventuale disseminazione locale ed ematogena dovuta allemanovre chirurgiche

• di consentire un’eventuale associazione con un tempo di brachiterapiaintra-perioperatoria.

Tuttavia, l’approccio preoperatorio può ostacolare o rallentare la cicatrizza-zione ed è gravato da una più alta percentuale di complicanze (deiscenzadella ferita, ematoma, sieroma, infezione, ecc.).Poiché il trattamento preoperatorio è gravato da una maggiore morbilità intermini di guarigione della ferita (31% vs. 8%:p=0.0014) rispetto a quellopost-operatorio, si ritiene opportuno riservare la radioterapia preoperatoriaalle sole lesioni inizialmente non operabili. La radioterapia pre-operatoriaviene proposta nei pazienti con buon performance status, portatori di lesioniestese e/o così prossime a strutture critiche da porre il dubbio di resecabi-lità con margini ampi o almeno marginali se non con interventi demolitivi. La radioterapia postoperatoria rappresenta la più convenzionale modalità diassociazione alla chirurgia. La radioterapia completa la chirurgia ampia nei sarcomi ad alto grado, parti-colarmente se di diametro elevato (> 5 cm) e nelle recidive locali di qualun-que grado e dimensione. Anche nei sarcomi a basso grado la radioterapia puòcompletare la chirurgia a giudizio clinico, soprattutto in relazione alle dimen-sioni della massa, alla marginalità della chirurgia ed altri eventuali fattori di ri-schio. Essa viene eseguita su un “clinical target volume” comprendente il lettooperatorio e la cicatrice chirurgica, con dosi totali ≥ 60 Gy. La tossicità acutadella radioterapia postoperatoria è inferiore a quella della radioterapia preo-peratoria in termini di complicanze a carico della ferita chirurgica. Al contrario, in termini di tossicità tardiva (fratture ossee, fibrosi dei tessuti,linfedema), la radioterapia postoperatoria ha una tossicità superiore a quelladella radioterapia preoperatoria.

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4. Malattia localmente avanzatail paziente la rifiuti. In questi casi, la radioterapia postoperatoria sembra ri-durre in modo significativo l’incidenza di recidive post-chirurgiche; essa, tut-tavia, non influenza l’incidenza di metastasi a distanza, né la sopravvivenza.Nel caso di lesioni di diametro inferiore a 5 cm, sottoposte a resezione conmargini ampi, molti autori non ritengono utile l’irradiazione post-operatoria.Le lesioni di basso grado con diametro inferiore a 5 cm e sottoposte a re-sezione con margini ampi non devono essere trattate con radioterapia (li-vello V).Nei sarcomi a basso grado trattati con chirurgia adeguata, la radioterapiaadiuvante può essere proposta solo in presenza di lesioni > 5 cm sottofa-sciali.I sarcomi di basso grado di malignità degli arti in cui è stata eseguita unachirurgia marginale o ampia contaminata ed in cui non è proponibile la re-visione chirurgica con margini almeno ampi, possono essere sottoposti aradioterapia postoperatoria transcutanea (livello V).Nei sarcomi ad alto grado (stadi IIA, IIB secondo Enneking) la radioterapia èin grado di diminuire l’incidenza di recidiva pur senza modificare la com-parsa di metastasi, né la sopravvivenza.I sarcomi di alto grado di malignità degli arti asportati con margini ampidevono essere trattati con radioterapia postoperatoria, se superiori a 5cm o localizzati in sede sottofasciale (livello II).La radioterapia post-operatoria è indicata nei pazienti con sarcoma di altogrado in cui sia stata eseguita una chirurgia marginale o si siano avutimargini ampi contaminati ed in cui non è possibile o è improponibile l’am-pliamento o la radicalizzazione (livello II).Il trattamento radiante deve essere iniziato in tempi ragionevoli dopo la gua-rigione della ferita chirurgica e l’attecchimento degli innesti cutanei utilizzatiper la ricostruzione chirurgica. Non esistono evidenze scientifiche certe sul-l’intervallo ottimale fra chirurgia ed inizio della radioterapia postoperatoria,anche nel caso in cui sia necessario posticipare in modo significativo l'iniziodella radioterapia postoperatoria per consentire un sicuro attecchimentodegli innesti cutanei.In casi particolari, selezionati secondo presentazioni di malattia non compa-tibili con una sicura radicalità chirurgica, può essere presa in considerazioneuna radioterapia pre-operatoria.

3.3 Chemioterapia dei sarcomi delle parti del tronco dei cingoli e del retroperitoneo:

trattamento adiuvanteLa chemioterapia adiuvante nel trattamento dei sarcomi dei tessuti molli(STM) è ad oggi un argomento ancora ampiamente dibattuto. Le evidenze attualmente disponibili in letteratura, benché basate su dati pre-liminari che necessitano di ulteriori conferme, suggeriscono come una che-mioterapia post-operatoria a base di antracicline possa incrementare lasopravvivenza libera da malattia in pazienti ad alto rischio di ripresa con unbuon performance status.Gli studi di prima generazione, condotti negli anni ’80, hanno principalmentevalutato l’efficacia della doxorubicina, da sola o in combinazione, nel settingadiuvante. Una metanalisi di tali studi, condotta nel 1997 dal Sarcoma Meta-analysis Collaboration (SMAC), ha incluso 14 trials clinici per un totale di1568 pazienti: i risultati evidenziavano come un trattamento chemioterapicoadiuvante a base di antracicline, rispetto al solo trattamento chirurgico, siassociasse ad un incremento della sopravvivenza libera da malattia pari al10% a 10 anni (P= 0.0001) ed un trend favorevole, seppur non statistica-mente significativo, in termini di sopravvivenza globale (4% a 10 anni, P=0.12).

Gli studi di seconda generazione, condotti a partire dall’inizio degli anni ‘90,si basano sull’utilizzo in combinazione di antracicline (doxorubicina o epiru-bicina) ed ifosfamide ed appaiono caratterizzati da criteri di inclusione mag-giormente restrittivi. Tra questi di particolare importanza è il trial italiano, condotto da Frustaci et.al nel 2001, dove 104 pazienti affetti da STM delle estremità venivano ran-domizzati a ricevere sola chirurgia o chirurgia seguita da 5 cicli di epirubi-cina ed ifosfamide. La sopravvivenza libera da malattia mediana nel grupposperimentale è risultata pari a 48 mesi mentre quella del gruppo di controllopari a 16 mesi (P= 0.04); anche la sopravvivenza globale mediana è risul-tata superiore nel gruppo sperimentale, con una differenza statisticamentesignificativa rispetto al gruppo di controllo (75 versus 46 mesi; P= 0.04). In-fine sempre in termini di sopravvivenza globale, il beneficio derivante dallachemioterapia è risultato pari al 13% a 2 anni, aumentando al 19% a 4 anni(P = 0.04). Un update dei risultati di tale studio ha mostrato come, ad un follow up me-diano di 89.6 mesi, la differenza in termini di sopravvivenza globale perma-neva, pur non essendo statisticamente significativa . Allo stesso modo, lostudio di coorte condotto da Cormier et. al su 674 pazienti affetti da STM adalto grado delle estremità ha evidenziato come il beneficio clinico associatoal trattamento adiuvante con doxorubicina non sembri prolungarsi per più diuna anno, suggerendo una particolare cautela nell’interpretazione dei risul-tati precedentemente riportati. Infine dati preliminari sono stati raccolti sull’efficacia nel setting adiuvantedell’utilizzo in combinazione di doxorubicina ed ifosfamide a dosi aggres-sive. Il EORTC-62931 è uno studio di fase III completato recentemente dove351 pazienti con STM di alto grado, stadio II e II, resecati venivano rando-mizzati a sola osservazione o a ricevere un trattamento adiuvante con 5 ciclidi doxorubicina (75 mg/mq) ed ifosfamide (5g/mq). Un interim analisi dellostudio sembra non mostrare alcun beneficio nel pazienti sottoposti a tratta-mento adiuvante, né in termini stimata sopravvivenza globale (a 5 anni 69%versus 64%) né in termini di stimata sopravvivenza libera da malattia (a 5anni 52% in entrambi i gruppi). Ulteriori analisi dei risultati sono tuttavia ne-cessarie per poter trarre conclusioni circa l’utilità del trattamento adiuvantenei STM operati.In base alle evidenze disponibili in letteratura vi è consenso sul fatto cheun trattamento chemioterapico adiuvante possa essere proposto a pa-zienti con STM ad alto rischio di ripresa di malattia, previa un’adeguata in-formazione del paziente stesso sulle incertezze dei risultati degli studifino ad oggi condotti (LIVELLO DI EVIDENZA C).Nel porre indicazione ad un trattamento chemioterapico adiuvante è tut-tavia necessario tenere in considerazione specifici fattori propri sia dellamalattia che del paziente. Pazienti anziani (≤ 65 anni) o con comorbidità tali da compromettere ilperformance status possono ancora beneficiare di un trattamento in mo-noterapia con antracicline (come supportato dai dati SMAC) o essere av-viati a solo follow-up.Per quanto concerne i fattori relativi alla malattia, è innanzi tutto neces-sario considerare l’istotipo diagnosticato. Infatti sarcomi quali l’ alveo-lare, il sarcoma a cellule chiare o l’emangiopericitoma, essendonotoriamente resistenti ai trattamenti chemioterapici convenzionali, an-drebbero esclusi. Infine si definisce ad alto rischio un STM di alto grado(G3), delle dimensioni superiori a 5 cm se profondo o superiori a 10 cm sesuperficiale. Infatti, il rischio di sviluppare metastasi a distanza in pazienticon sarcoma ad alto grado cresce con l’aumentare del diametro dellaneoplasia, essendo pari al 34% per lesioni tra 5 e 10 cm, al 43% per le-sioni tra 10 e 15 cm ed al 58% per lesioni superiori ai 15 cm.

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4.1 Trattamento neo-adiuvante citoriduttivoNei STM localmente avanzati (stadio II o III) il ricorso ad un trattamento che-mioterapico pre-operatorio ha principalmente lo scopo di consentire l’aspor-tazione radicale della neoplasia attraverso un intervento non demolitivo e che,nel caso dei STM delle estremità, consenta di preservare la funzionalità del-l’arto. In studi clinico controllati, il tasso di risposta della neoplasia primitivasi aggira intorno al 30-40%, anche se un intervento meno demolitivo rispettoa quello preventivato si ottiene nel solo 20-30% dei casi. Un’analisi retro-spettiva dell’esperienza del M.D. Anderson Cancer Center condotta su 76 pa-zienti affetti da STM delle estremità stadio IIIB sottoposti a chemioterapiapre-operatoria a base di antracicline ha documentato dei risultati in termini disopravvivenza a 5 anni sovrapponibili tra i responders ed i non responders altrattamento.Successivamente, uno studio retrospettivo condotto da Grobmyer et al. nel2004 ha valutato l’impatto di un trattamento chemioterapico neoadiuvante(con adriamicina ed ifosfamide) sull’ outcome di pazienti affetti da STM adalto grado delle estremità. Nei pazienti con STM di diametro superiore ai 10cm si è registrato un significativo incremento della sopravvivenza specifica permalattia in seguito al trattamento neodiuvante rispetto ai pazienti trattati consola chirurgia (a 3 anni, 83% versus 62%).In considerazione dell’assenza di dati diretti di efficacia, il trattamento che-mioterapico neoadiuvate non può essere considerato un trattamento stan-dard nella gestione dei STM. Tuttavia, previa adeguata informazione delpaziente circa i risultati ottenuti, una chemioterapia pre-operatoria può es-sere proposta in quei casi in cui un intervento chirurgico al momento della dia-gnosi risultasse eccessivamente demolitivo o comportasse la perdita difunzionalità dell’arto coinvolto (LIVELLO DI EVIDENZA B).

4.2 RadioterapiaSi possono individuare due distinte situazioni cliniche:1) Le lesioni in cui non è possibile esprimere un sicuro giudizio di operabi-

lità sono candidate ad un trattamento radioterapico pre-operatorio ascopo citoriduttivo. In alcuni studi viene proposta la chemioterapia preo-peratoria (con un tasso di risposte del 30-40%) o varie associazioni ra-diochemioterapiche, anche se solo il 20% dei pazienti non è poisottoposto ad intervento demolitivo. Può essere considerato un risultatosoddisfacente ricondurre le lesioni ad una resecabilità anche solo “mar-ginale”, soprattutto quando sia possibile associare della radioterapia post-operatoria.

2) Le lesioni inoperabili per dimensione, multicentricità, posizione multi com-partimentale o extracompartimentale possono essere trattate con radio-terapia radicale o associazioni radiochemioterapiche o con tecnicheperfusionali chemioterapico-ipertermiche.

La radioterapia pre-operatoria, eseguita a scopo citoriduttivo al fine di ricon-durre alla operabilità, viene proposta nei pazienti con buon performance sta-tus, portatori di lesioni estese e/o così prossime a strutture critiche da imporreinterventi demolitivi.Si precisa che alcuni centri prediligono questo approccio di principio in tuttele lesioni di diametro superiore a 5 cm. Poiché, tuttavia, il trattamento preo-peratorio è gravato da una maggiore morbilità in termini di guarigione dellaferita (31% vs. 8%:p=0.0014) rispetto a quello post-operatorio, si ritiene op-portuno riservarlo alle sole lesioni inizialmente non operabili.

La radioterapia preoperatoria può essere proposta ai pazienti in buone con-dizioni generali con sarcoma ad alto grado inoperabile, nel tentativo di rag-giungere l’operabilità (livello II).La radioterapia esclusiva è indicata nei sarcomi giudicati non resecabili, pre-vede la somministrazione di dosi fino a 75 Gy. I tessuti che ricevono più di 60Gy sono comunque limitati al letto tumorale con un piccolo margine. L’asso-ciazione chemioradioterapica non è supportata da forti evidenze scientifichee rimane da proporsi a casi selezionati, possibilmente nell’ambito di protocollidi ricerca.I pazienti con sarcoma retroperitoneale non operabile possono essere trattaticon radioterapia e chemioterapia, da sole o associate, chirurgia palliativa o di“debulking”, terapie di supporto o anche la semplice osservazione se il pa-ziente è asintomatico.

4.3 Chemio localmente avanzataPerfusione isolata dell’artoLa tecnica della perfusione antiblastica per il trattamento di alcuni tumori degliarti è stata introdotta per la prima volta nella pratica clinica da Creech e Kre-mentz nel 1957 (1).Il rationale della perfusione ipertermico-antiblastica si basa su precise con-siderazione:• tutto l’arto sede del tumore, inclusi i linfonodi loco-regionali, viene trat-

tato con questa metodica• il temporaneo isolamento dell’arto dal resto della circolazione sistemica

permette di utilizzare dosi di farmaci antiblastici 5-10 volte superiore ladose massima tollerabile sistemica, senza importanti effetti tossici

• la somministrazione di elevate dosi di farmaci antiblastici nell’arteria tri-butaria dell’arto sede di tumore, senza la metabolizzazione o la diffusionedel farmaco in altri distretti, consente di ottenere alte concentrazioni tis-sutali ed un aumento dell’uptake del farmaco da parte del tumore

• durante la perfusione viene impiegata l’eparina che non solo contribuiscead inibire i processi metastatici, ma possiede anche un effetto antitumo-rale diretto

• durante la circolazione extracorporea vengono impiegate alte concentra-zioni di pO2 che variano da 200 a 300 mmHg; tale iperossigenazione po-tenzia gli effetti dei farmaci alchilanti ed ha un effetto tumoricida diretto

• l’ipertermia potenzia l’effetto antitumorale dei farmaci e possiede un ef-fetto tumoricida diretto; l’applicazione contemporanea dell’ipertermia coni farmaci si traduce in un effetto sinergico e quindi amplificazione tera-peutica

• la riduzione o la scomparsa dei tumori può evitare l’amputazione dell’artoal paziente.

Un ulteriore miglioramento della perfusione isolata di arto si è raggiunta conla realizzazione della perfusione trimodale, che prevede l’utilizzazione del TNFα (human recombinant tumor necrosis factor alfa) all’ipertermia ed ai farmaciantiblastici. La sua azione è quella di citotossicità diretta sulle cellule neopla-stiche e di sinergismo con l’ipertermia e chemioterapici (primo tra tutti il mel-phalan) con conseguente danno a carico dell’endotelio vascolare del tumore.Dagli studi condotti e resi noti da Lienard e collaboratori, è stato dimostratoche l’azione del TNF α non è dose-dipendente, poiché la sua azione si mani-festa in ugual misura con 1 mg o con 3-4 mg di dose totale, con i vantaggiche dosaggi più bassi consentono miglior controllo di tossicità.

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli

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La perfusione ipertermico antiblastica trova attualmente indicazione nei pa-zienti con sarcoma degli arti localmente avanzato destinati ad una chirurgiademolitiva maggiore o ad amputazione dell’arto .

Tecnica della perfusione isolata d’artoIn anestesia generale si procede all’isolamento dei vasi tributari dell’arto sededi tumore. Nell’arto superiore, con paziente in posiziona supina con l’arto ab-dotto e avambraccio semiflesso, vengono utilizzati i vasi ascellari tra la I e laII porzione; nell’arto inferiore con paziente sempre in posizione supina e ba-cino leggermente rialzato al fine di ottenere l’agevolo posizionamento del tour-niquet, possono essere utilizzati i vasi iliaci esterni o i vasi femorali comuni.Nei pazienti affetti da metastasti in transit da melanomi degli arti se non pre-cedentemente eseguita, viene effettuata la linfectomia ascellare o iliacao-ot-turatoria e retrocrurale con legatura e sezione dei vasi collaterali al fine diridurre al massimo il leakage tra circuito e circolazione sistemica. Al terminedell’isolamento dei vasi il paziente viene eparinizzato (150-200 UI/Kg) e dopo2-3 minuti i vasi vengono clampati ed incannulati, previa incisione trasversaledell’arteria e della vena. I due cateteri vengono poi raccordati ad un circuitoextracorporeo, composto da un ossigenatore, uno scambiatore di calore eduna pompa. La circolazione extracorporea inizia con un flusso minimo (30ml/Ldi volume dell’arto) che viene gradualmente aumentato, fino a raggiungere unequilibrio con il ritorno venoso che deve assicurare un livello costante nel-l’ossigenatore.Un tourniquet viene applicato alla radice dell’arto per ridurre al minimo il lea-kage che si può verificare attraverso la circolazione venosa superficiale. Du-rante tutto il trattamento il leakage viene costantemente monitorizzato,mediante introduzione di albumina radio marcata nel circuito di perfusionecon conteggio della radioattività sistemica mediante “gamma counter” postosull’aia cardiaca. Il monitoraggio della temperatura muscolare e tumoraleviene eseguito mediante inserzione di termocoppie ad ago nei muscoli e neinoduli neoplastici. Vengono inoltre sempre monitorizzati l’ECG, la pressione ve-nosa centrale e la diuresi del paziente. L’arto perfuso per tutta la durata del

trattamento rimane avvolto in un lenzuoletto ad acqua termostatata che hauna duplice funzione: diminuire i fenomeni di termodispersione rendendo piùbreve il tempo di raggiungimento della temperatura tumorale desiderata (~41,5°C) e agire come fonte di riscaldamento esterno efficace per i noduli neo-plastici cutanei (metastasi in transito) del melanoma.Raggiunta la temperatura tumorale desiderata (~ 41,5°C) si introduce nel cir-cuito perfusionale il TNF α alla dose di 1 mg e dopo 30 minuti viene introdottoil Melphalan (13 mg/L di volume dell’arto perfuso o 10 mg/L per l’arto supe-riore ed inferiore rispettivamente) e la circolazione extracorporea prosegueper altri 60 minuti; nel caso dei sarcomi delle parti molli si può utilizzarel’Adriamicina alla dose di 8.5 mg/L di volume .Al termine della perfusione il circuito viene “lavato” con soluzione fisiologicae con destrano a basso peso molecolare prima di rimuovere il tourniquet e lecannule, le incisioni vasali vengono suturate con prolene 4 e 5 zeri rispetti-vamente per l’arteria e la vena.L’arto perfuso viene fasciato con una benda elastica per ridurre al minimol’edema post-operatorio. A tal fine, il paziente viene mantenuto a diuresi for-zata nei primi 5 giorni post-operatori mediante infusione di mannitolo al 1,5%e con supporto idroelettrolitico per evitare il rischio di insufficienza renale do-vuta all’eventuale precipitazione di ematina acida nei tubuli, conseguente al-l’aumento di mioglobina circolante prodotta per effetto della perfusione. Laterapia anticoagulante viene proseguita fino alla decima giornata post-ope-ratoria al fine di evitare complicanze vascolari.Le possibili complicanze possono essere un edema leggero o moderato, uneritema più o meno esteso dell’arto trattato e il dolore, sintomatologia chegeneralmente regredisce nell’arco di 15-20 giorni. Al momento attuale la per-fusione ipertermico antiblastica si è dimostrata in grado di ottenere i risultatiriportati in tabella (rel glosmi) (figura 1).E’ infine importante precisare che lo stato dei margini non rappresenta uncriterio per porre indicazione ad una chemioterapia adiuvante, in quantoquest’ultima non può sanare una chirurgia condotta in maniera errata (LI-VELLO DI EVIDENZA A).

Figura 1. Schema della perfusione isolata dell’arto 5. Malattia in fase metastatica

I STM ad insorgenza retroperitoneale si differenziano per le seguenti carat-teristiche dai STM degli arti:• la ulteriore rarità: rappresentano solo lo 0,2% dei tumori e il 15% dei

STM• l’indolenza della crescita con diagnosi generalmente tardiva• la classificazione in tipi istologici differente: liposarcoma e leiomiosar-

coma sono le forme più frequenti.• la impossibilità anatomica ad eseguire interventi ampi o radicali. Per

definizione un intervento su un sarcoma del retroperitoneo è marginale.• la conseguente elevatissima recidività locale (60-80%), con, al contra-

rio, una minor e più tardiva tendenza alla metastatizzazione• la prognosi a lungo termine peggiore (20% di sopravviventi a 15 anni).

6. Sarcomi del retroperitoneo

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5.1 Malattia polmonare operabileVi è consenso nella raccomandazione di un trattamento chirurgico comeprima scelta nella malattia polmonare con un numero limitato di metastasi,senza altre localizzazioni extrapolmonari e in cui l’intervento possa esseremicroscopicamente completo e funzionalmente accettabile.Al contrario, una metastasectomia parziale o con malattia extrapolmonareconcomitante, non porta beneficio per il paziente.Nella decisione clinica, oltre al numero di metastasi, vanno considerati anchela posizione nel polmone delle lesioni secondarie, il performance status delpaziente , il tempo alla progressione dopo intervento sul STM primitivo odopo precedente metastasectomia e se, infine, le metastasi sono sincrone ometacrone. Non esistono studi controllati che supportino queste afferma-zioni, anche se si è concordi sulla potenzialità eradicante della metasta-sectomia polmonare.La chemioterapia in fase citoriduttiva preoperatoria ocomplementare dopo intervento è frequentemente prescritta, anche se nonvi sono studi pubblicati sulla efficacia di questi due approcci. Sia in fasepreoperatoria che postoperatoria, l’associazione tra Antraciclina e Ifosfamidesembra essere la scelta più opportuna.Si è infine concordi sulla utilità di metastasectomie reiterate quando vi sia ri-caduta di malattia, rispettando sempre i criteri di radicalità e di selezione deipazienti sopraindicate.• La metastasectomia polmonare in malattia metastatica confinata nel

polmone è il trattamento standard, purché l’intervento sia fattibile in ma-niera completa e funzionalmente accettabile.

• La chemioterapia complementare alla chirurgia può essere proposta inbase ai fattori di rischio (numero delle lesioni ed intervallo libero).

5.2 Malattia metastatica non operabileTrattamento di prima lineaNella malattia avanzata non più suscettibile di trattamento chirurgico il ruolodella chemioterapia è generalmente solo palliativo. La selezione dei pazienti(in termini di età, istotipo, patologie concomitanti, precedenti trattamenti) èfondamentale in merito alla scelta tra un regime di combinazione, general-mente più attivo ma più tossico e senza un dimostrato impatto sulla so-pravvivenza, o l’utilizzo di agenti singoli.I sarcomi dei tessuti molli rappresentano, inoltre, un gruppo molto eteroge-neo di neoplasie non solo dal punto di vista istopatologico e biologico maanche, e di conseguenza, anche per quanto riguarda la potenzialità di rispo-sta ai trattamenti medici. E’ ormai, peraltro, sempre più evidente che esiste

una differente sensibilità per farmaci differenti a seconda dei diversi sotto-tipi istologici.Dal punto di vista schematico, i sarcomi dei tessuti molli si possono dividerein istotipi a scarsa o assente chemio sensibilità (liposarcoma dedifferenziato,sarcoma a cellule chiare, sarcoma stromale endometriale, sarcoma alveolare,condrosarcoma mixoide extrascheletrico), istotipi a moderata sensibilità (li-posarcoma pleomorfo, mixofibrosarcoma, sarcoma epitelioide, rabdomio-sarcoma pleomorfo, leiomiosarcoma, tumore maligno delle guaine nervoseperiferiche, angiosarcoma, tumore desmoplastico a piccole cellule rotonde,angiosarcoma) ed istotipi chemiosensibili/altamente chemiosensibili (sino-vialsarcoma, liposarcoma mixoide/a cellule rotonde, leiomiosarcoma uterino,Sarcomi di Ewing, rabdomiosarcoma alveolare ed embrionale). I sarcomi del-l’età pediatrica non verranno inclusi nelle considerazioni successive perchéesclusi dalle presenti linee guida.Gli agenti singoli più utilizzati in prima linea di trattamento (doxorubicina, ifo-sfamide, dacarbazina) non permettono di ottenere generalmente tassi di ri-sposta superiori al 20-25%. La polichemioterapia è associata a tassi dirisposta che salgono fino al 30-35% ma con un tempo alla progressione di3-4 mesi. Lo schema di combinazione più frequentemente utilizzato in prima linea e in-dipendentemente dall’istotipo include generalmente una antraciclina (doxo-rubicina o epirubicina) e l’ifosfamide. Livello di raccomandazione: ATrattamento di seconda linea e linee successiveIn seconda linea di trattamento, viene generalmente utilizzata l’ifosfamidead alte dosi (10-14 g/m2) in infusione di 3-5 giorni o in infusione protratta di14 giorni, essendo stata segnalata una moderata attività anche in pazientipretrattati con ifosfamide a dosaggi convenzionali.In seconda linea di trattamento in oltre, altri agenti singoli recentemente ap-provati per l’uso sono la trabectedina, la gemcitabina e il docetaxel. In specifici istotipi di sarcomi dei tessuti molli alcuni farmaci mostrano unaattività antitumorale specifica. La gemcitabina e il docetaxel hanno dimo-strato attività soprattutto in alcuni istotipi quali il leiomiosarcoma. La tra-bectedina risulta particolarmente attivo nei liposarcomi (soprattutto nelleforme mixoidi/a cellule rotonde) e nei leiomiosarcomi. Il paclitaxel e la gem-citabina sono attivi nell’angiosarcoma. Il dermatofibrosarcoma protuberans, che in una percentuale di casi esprimeil PDGFRB, può essere trattato in caso di malattia inoperabile o metastaticacon imatinib.Livello di raccomandazione: C.

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli

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7.1 Caratteri generali, istologicie di biologia molecolare

I tumori stromali gastrointestinali (GISTs) rappresentano neoplasie mesen-chimali che interessano, prevalentemente (i tumori che non hanno alcunpunto di contatto con il tratto gastrointestinale sono chiamati “tumori stro-mali extragastrointestinali” ed interessano, di solito, l’omento, il mesentereo il retroperitoneo), il tratto gastrointestinale e che presentano una differen-ziazione verso le cellule interstiziali di Cajal.La loro incidenza è di circa 15 casi/100,000/anno. Lo stomaco e il piccolo intestino sono le sede anatomiche più frequente-mente interessate.I GIST rappresentano una distinta entità sia dal punto di vista morfologicoed immunoistochimico che dal punto di vista molecolare e il suo riconosci-mento ha importanti implicazioni terapeutiche. La diagnosi si basa sulla morfologia associata alla positività immunoisto-chimca per KIT e/o DOG1. In presenza di casi KIT negativi l’analisi moleco-lare dei geni di KIT/PDGRFA può essere utile per confermare la diagnosi.L’analisi molecolare di entrambi i geni è, in ogni caso, raccomandata dato chelo stato molecolare fornisce importanti informazioni prognostiche e predittivedi risposta alla terapia. I patologi svolgono, inoltre, un ruolo chiave nella va-lutazione del rischio biologico di aggressività della neoplasia che è, attual-mente, basato sulla sede anatomica, sulla dimensione del tumore esull’attività mitotica.Dal punto di vista macroscopico, i GIST si presentano, di solito come masseben circoscritte, riccamente vascolarizzate, aderenti alla parete dello sto-maco o dell’intestino.Al taglio, appaiono di colorito biancastro e possono mostrare aree di emor-ragia, di degenerazione cistica e/o di necrosi.Al microscopio ottico si riconoscono tre sottotipi principali di GIST.GIST a cellule fusate, che costituiscono circa il 70% dei casi, costituiti dacellule con citoplasma debolmente eosinofilo, nuclei ovoidali e bordi cellulariindistinti organizzate in strutture sinciziali o in fasci.GIST con morfologia epitelioide, che costituiscono circa il 20% dei casi, com-posti da cellule rotondeggianti con citoplasma eosinofilo o chiaro organizzatein nidi o cordoni solidi. Infine, circa il 10% dei GIST, presentano una morfo-logia di tipo misto presentando sia una componente a cellule fusate che epi-telioide. Dal punto di vista immunoistochimico KIT si è dimostrato un“marker” specifico e sensibile dei GIST essendo espresso da circa il 95% ditali neoplasie.La maggior parte dei GIST mostrano una colorazione intensa e diffusa del ci-toplasma spesso associata ad una colorazione puntiforme (dot-like) il co-siddetto “Golgi pattern”.

L’estensione e il tipo di colorazione per KIT non è correlata con il tipo di mu-tazione di KIT e non ha impatto sulla risposta all’imatinib, tuttavia, i GIST chepresentano una debole, focale positività a KIT e quelli totalmente negativi ri-sultano, più frequentemente, essere di tipo “wild type” o con mutazioni diPDGRFA.Circa il 4-5% dei GIST sono negativi per KIT.Questi, di solito, interessano lo stomaco e presentano una morfologia di tipoepitelioide o mista.Vi sono altri anticorpi monoclonali comunemente espressi dai GIST che, tut-tavia risultano meno sensibili e specifici.Il CD34, ad esempio, è espresso in circa l’80% dei GIST gastrici, nel 50% diquelli del piccolo intestine e, nel 95% of GISTs dell’esofago e del retto.Recentemente sono emersi anticorpi alternativi per la diagnosi dei GIST .Un “marker” molto promettente sembra essere il DOG1 che, in base ai piùrecenti studi, appare mostrare maggiore sensibilità e specificità rispetto aKIT e CD34 risultando positivo anche nei GIST che non presentano mutazionidi KIT e/o PDGRFA.A dispetto della disponibilità di questi “markers” immunoistochimici unaparte dei GIST restano sempre una difficile sfida diagnostica. In tutti questi casi è opportuna l’analisi molecolare dei geni di KIT/PDGRFAche oltre ad avere, in certi casi, un valore diagnostico hanno anche un va-lore prognostico e predittivo della risposta alla terapia.Le mutazioni di KIT possono interessare l’esone 11 (65% dei casi), l’esone9 (9% dei casi) e gli esoni 13 e 17 (2% circa dei casi).Le mutazioni di PDGRFA sono identificate in circa l’8% dei GIST e possonointeressare l’esone 18 o l’esone 14 (circa 6-7% dei casi) o l’esone 12 (- 1%dei casi).Recentemente, nel 7-13% dei GIST “wild type”, sono state identificate mu-tazioni dell’esone 15 V600E di BRAF.Le principali diagnosi differenziali dei GIST a cellule fusate sono I leio-miomi/leiomiosarcomi, la fibromatosi desmoide, i tumori miofibroblastici in-fiammatori, gli schwannomi, i polipi fibroidi infiammatori e i tumori fibrosisolitari.Le diagnosi differenziali dei GIST a cellule epitetelioidi includono i carcinomineuroendocrini, i tumori gnomici, i melanomi, i leiomiosarcomi epitelioidi, itumori maligni delle guaine nervose periferiche epitelioidi e i sarcomi a cel-lule chiare. Per quanto riguarda la stratificazione del rischio nei GIST sono usate quelladi Fletcher e colleghi del 2002 che è basata sulla dimensione del tumore esull’attività mitotica (per 50 HPF) essendo i “cut-offs” una dimensione di 5cm e un numero di mitosi di 5 per 50HPF.Nel 2006 Miettinen e colleghi hanno dimostrato che anche la sede anatomica

7. GIST (Gastrointestinal Stromal Tumor)

6.1 ChirurgiaNella situazione più comune I STM del retroperitoneo in fase locale trovanonella Chirurgia il trattamento primario. Il tumore deve essere operato con glistessi principi di trattamento dei STM degli arti, ma lo spazio retroperitonealenon consente una Chirurgia compartimentale e sono molto rari i casi in cuil’asportazione del tumore possa essere effettuata con margini ampi. Per de-finizione la Chirurgia dei STM del retroperitoneo è marginale. La Chirurgia diquesti sarcomi non è recuperabile con un secondo intervento e non ci puòessere una radicalizzazione. La Chirurgia multiviscerale di principio, per giun-gere ad una maggiore radicalità può essere una opzione proponibile.Ripetuti interventi sono la norma nella storia naturale di questa malattia acausa delle frequenti recidive, ma gli interventi successivi al primo non rie-scono mai a raggiungere la radicalità, ma solo a ridurre il volume di malattia.• La Chirurgia del retroperitoneo è per definizione marginale. L’estensione

della resezione ai visceri circostanti è un’opzione da valutare.• La chirurgia del retroperitoneo deve essere pianificata opportunamente

perché non è radicalizzabile dopo il primo intervento.

6.2 Trattamento radioterapicoNormalmente i sarcomi del retroperitoneo in fase iniziale trovano nella chi-rurgia il trattamento primario, ma rispetto ai sarcomi degli arti presentano al-cune caratteristiche particolari che interessano e coinvolgono il radioterapistaanche nella condivisione delle decisioni terapeutiche. Nella maggior parte dei casi infatti vi è l’impossibilità anatomica di effettuareun intervento con margini ampi e radicale e di norma per definizione l’inter-vento su un sarcoma del retroperitoneo è marginale. Ne consegue un ele-vatissimo tasso di recidiva locale (=60-80%) con una prognosi a lungotermine piuttosto negativa (20% di sopravviventi a 15 anni).Gli studi di radioterapia ± chemioterapia neoadiuvante per ridurre il volumetumorale e consentire una radicalizzazione chirurgica, non hanno documen-tato risultati significativi ma unicamente una elevata tossicità e pertanto nonvi è alcuna indicazione a tale trattamento al di fuori di studi clinici controllati(raccomandazione di grado B). La radioterapia post-operatoria finalizzata alcontrollo locale, potrebbe avere un importante effetto sulla sopravvivenza, mapresenta importanti problemi dovuti all’ampiezza dei volumi da irradiare e allavicinanza di strutture critiche (raccomandazione di grado C). L’impiego ditecniche avanzate ad alto gradiente di dose come la IMRT (radioterapia adintensità modulata) o la radioterapia intraoperatoria (IORT) rappresentanouna possibile soluzione per il maggiore risparmio agli organi vicini (anse in-testinali, reni, fegato, midollo spinale, vescica, retto). Pertanto nelle diverse situazioni cliniche si possono sintetizzare le seguentiindicazioni terapeutiche:Tumori resecabili• Resezione ampia (+ radioterapia postoperatoria se alto grado)• Resezione marginale + radioterapia post-operatoria• Associazioni chemioradioterapiche in studi clinici.

6.3 Malattia avanzata plurirecidiva e metastaticaTumori non resecabili - sarcomatosi peritoneali e recidivePer i pazienti con una lesione non resecabile possono essere prese in con-siderazione più opzioni terapeutiche in base all’età ed alle condizioni gene-rali: chemioterapia e radioterapia da sole o associate, chirurgia palliativa edi “debulking”, terapie di supporto ed anche la semplice osservazione se ilpaziente è asintomatico. Nei sarcomi recidivi, solo in trials clinici controllati,si può eseguire la chemio ipertermia intraperitoneale.

6.4 Follow-up dei sarcomi delle parti molli di qualsiasi sede

Follow up nei sarcomi dei tessuti molli di qualunque sedeNon esistono dati conclusivi sull’efficacia del follow up nei sarcomi dei tes-suti molli, follow up che va comunque individualizzato in base alla categoriadi rischio e che deve essere volto anche alla diagnosi di eventuali effetti tar-divi legati ai trattamenti antineoplastici effettuati.Il rischio di ricaduta è generalmente più alto nei primi 2-3 anni nei sarcomidei tessuti molli di alto grado mentre sembra più prolungato nel tempo nelleforme di basso grado.Nei pazienti con neoplasie di basso grado vi è consenso nel raccomandarecontrolli ogni 4-6 mesi fino al 5° anno e successivamente ogni 12 mesi finoa 10 anni.Nei pazienti con neoplasie di alto grado vi è consenso nel raccomandarecontrolli ogni 3 mesi per 2 anni, ogni 4-6 mesi fino al 5° anno e successiva-mente annualmente.Per il controllo della sede primitiva si raccomanda di integrare alla visita cli-nica l’effettuazione di una ecografia e/o di una TC o RMN. Per diagnosticare eventuali metastasi polmonari, la radiografia del toracepuò essere appropriata ma da integrare con esame TC in caso di dubbio dia-gnostico. Nel caso del sito polmonare, alcune Istituzioni consigliano invece,soprattutto nelle forme di alto grado, una TC torace ogni 3 mesi allo scopodi evidenziare precocemente una eventuale ripresa di malattia eventual-mente suscettibile di chirurgia.

6.5 Percorso psicologicoI sarcomi dei tessuti molli possono impattare la sfera psicologica, affettiva,familiare e sessuale del paziente che si confronta con una malattia che mi-naccia la vita e con gli esiti funzionali e sociali dei trattamenti oncologici. Gliaspetti psicologici sono da tenere maggiormente in considerazione dal mo-mento che questa neoplasia colpisce in modo consistente la popolazionegiovanile, in una fase del ciclo vitale in cui non è ancora completa la costru-zione dell’identità personale. L’impatto della malattia e dei trattamenti suaree significative della fase del ciclo vitale quali la fertilità, la sessualità, l’im-magine corporea, la qualità della vita, il ruolo nella famiglia e nella società,può rendere difficoltoso questo passaggio evolutivo e minacciare la costru-zione della progettualità adulta.Gli studi sui lungo sopravviventi evidenziano, anche molti anni dopo la finedei trattamenti attivi, livelli di distress psicologico (20%) legati al danneg-giamento funzionale, al lavoro, alla vita di coppia, al funzionamento sessualee riproduttivo, alla paura, sia nei pazienti che nei familiari, della ripresa dimalattia. Si raccomanda, in particolare nei pazienti giovani, uno screening del distresspsicologico fin dall’inizio della messa a punto del piano di trattamento al finedi offrire, in ambiente ospedaliero e a domicilio, un supporto psicologico alpaziente ed ai familiari che ne abbisognano. Tale supporto deve essere for-nito da uno psicologo inserito nel Gruppo interdisciplinare di cura, adegua-tamente formato nel campo delle problematiche personali, familiari e socialidel paziente con sarcoma. (Raccomandazione B)L’obiettivo del supporto psicologico è quello di favorire l’adattamento allamalattia e la compliance all’iter terapeutico, la progettualità a lungo terminenei giovani, la migliore qualità di vita.L’obiettivo del supporto psicologico al familiare è quello di facilitare la strut-turazione di un contesto emozionale e comunicativo in grado di favorirel’adattamento del paziente ed il contenimento del distress psicologico neifamiliari.

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In questi pazienti particolare attenzione va data alla comunicazione ed allacondivisione delle scelte terapeutiche. Una comunicazione adeguata e cor-retta deve essere modulata sul singolo paziente, in relazione alla sua culturaed al suo stato psicologico, e deve fornire informazioni chiare, sollecite ecomplete sulla malattia, le procedure diagnostiche, le opzioni terapeutiche ele loro conseguenze ed un giudizio ponderato sulle aspettative e sulla qua-lità della vita. La presenza di abilità comunicative negli operatori permette ai pazienti una

decisione informata specie quando la scelta riguarda strategie chirurgiche aduguale impatto sulla qualità della vita e sugli outcome funzionali o strategieterapeutiche di non comprovata efficacia nelle forme avanzate. Il coinvolgi-mento del paziente nelle decisioni determina minori livelli di distress psico-logico, maggiore compliance all’iter terapeutico e maggiore soddisfazioneper la cura ricevuta.Si raccomandano training sulle abilità comunicative agli operatori sanitari.(Raccomandazione B).

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del tumore è importante per poter predire il comportamento biologico dellaneoplasia e da allora la sede è inclusa come un parametro addizionale nelleclassi di rischio dei GIST.

Malattia localizzataTrattamento adiuvanteLa chirurgia non sempre rappresenta un trattamento curativo nei tumori stro-mali gastrointestinali (GIST) ed approssimativamente il 50% dei pazienti re-secati svilupperà successivamente una recidiva locale o metastasi a distanza,con un rischio massimo nei primi due anni dall’intervento. Nel 2002 l’American College of Surgeons Oncology Group (ACOSOG) ha av-viato un trial randomizzato e controllato (ACOSOG Z9001), in cui 713 pazienticon GIST operati di almeno 3 cm, postivi alla determinazione immunoisto-chimica di KIT venivano randomizzati a riceve Imatinib 400 mg/die o pla-cebo per un anno. I risultati di tale studio hanno evidenziato come il trattamento adiuvante conimatinib si associ ad un incremento statisticamente significativo della so-pravvivenza libera da malattia rispetto al placebo (98% vs 83% ad 1 anno;P<0.0001). Inoltre, benché lo studio non fosse stato disegnato per studiare il subset dipazienti che potessero beneficiare del trattamento, un analisi per sottogruppiha dimostrato come l’incremento della sopravvivenza libera da malattia fosseparticolarmente significativo per i GIST ad alto rischio, con diametro massimo> 6 cm (96% vs 67-86%). Attualmente, tuttavia, sono disponibili esclusivamente i risultati a breve ter-mine mentre non si dispone dei dati relativi ad un follow-up più prolungatoed all’eventuale impatto sulla sopravvivenza globale. Inoltre, i risultati dellostudio presentato non sono dirimenti per quanto riguarda la durata ottimaledel trattamento con imatinib adiuvante, che necessita pertanto di essere de-finita.Sono attualmente in corso due studi, il cui arruolamento è già concluso, voltia determinare la durata ottimale del trattamento adiuvante con imatinib. Il primo studio, condotto dall’EORTC (EORTC 62024), è uno studio randomiz-zato multicentrico di fase III dove pazienti affetti da GIST localizzati, resecati,a rischio intermedio ed elevato sono stati randomizzati a ricevere imatinib400 mg/die per 2 anni dopo la chirurgia oppure avviati a solo follow-up.L’end-point primario è la determinazione dell’impatto sulla sopravvivenzaglobale. Il secondo, condotto dallo Scandinavian Sarcoma Group (SSG/AIO trial), pre-vede una randomizzazione ad 1 o 3 anni di trattamento post-operatorio con

imtinib 400 mg/die. I risultati di tali studi saranno essenziale nella defini-zione della durata del trattamento. L’indicazione ad un trattamento adiuvante con imatinib deve essere posta inseguito alla predizione del rischio di ripresa di malattia, ottenuta sulla basedi dimensione, indice mitotico e sede di insorgenza della malattia. I GIST ad insorgenza dallo stomaco presentano una prognosi generalmentepiù favorevole rispetto a quelli ad insorgenza intestinale. GIST gastrici con undiametro inferiore o uguale a 10 cm e con meno di 5 mitosi/50 HPF presen-tano un basso rischio di sviluppare metastasi a distanza, mentre quelli conpiù di 5 mitosi/50 HPF e con un diametro maggiore di 5 cm devono essereconsiderati ad alto rischio. Al contrario, i GIST ad insorgenza dal piccolo intestino con un diametro mag-giore di 5 cm, indipendentemente dall’indice mitotico, presentano un rischioalmeno moderato per lo sviluppo di metastasi mentre i GIST intestinali conpiù di 5 mitosi/50 HPF devono essere considerati ad alto rischio. I GIST inte-stinali con un diametro inferiore o uguale a 5 cm e con meno di 5 mitosi/50HPF sono da considerarsi a basso rischio. Infine, nel porre indicazione ad un trattamento adiuvante è necessario te-nere in considerazione lo stato mutazionale della malattia. L’identificazione all’analisi mutazionale di mutazioni non sensibili all’imatinib(quale, ad esempio, la mutazione D842V a carico dell’esone 18 del genePDGFRA) rappresenta un criterio di esclusione dal trattamento adiuvante, inquanto determinerebbe la sola esposizione del paziente agli effetti collate-rali secondari all’utilizzo dell’imatinib. In conclusione, il trattamento adiuvante con imatinib può oggi essere pro-posto, previa adeguata informazione del paziente, nei casi di GIST radi-calmente operati, con un rischio di ripresa di malattia moderato o alto,portatori di mutazioni sensibili (LIVELLO DI EVIDENZA A). Tale trattamento, ad oggi, andrebbe proposto per la durata di almeno unanno. Un eventualmente proseguimento del trattamento adiuvante in si-tuazioni a rischio di ripresa particolarmente elevato non è attualmentesupportato da evidenze e dovrebbe essere estesamente discusso e con-diviso con il paziente.

Trattamento neoadiuvanteUna resezione radicale al momento della diagnosi è possibile in circa 85%dei GIST, benché in alcuni casi richieda il ricorso ad interventi ampiamenti de-molitivi. Inoltre, specifiche localizzazioni di malattia, quali quelle a livello dell’eso-fago, del duodeno o del retto, possono rendere l’approccio chirurgico diffi-

coltoso, aumentando il rischio di una rottura intraoperatoria della massa conconseguente disseminazione peritoneale: in questi casi, un trattamento si-stemico pre-operatorio potrebbe contribuire a rendere l’intervento più age-vole e meno rischioso.L’efficacia ed il profilo di tollerabilità dell’imatinib nel setting neoadiuvante èstato valutato in due studi randomizzati di fase II.Nel RTOG 0132/ACRIN 6665 trial sono stati arruolati 52 pazienti affetti daGIST localizzati (30) o metastatici operabili (22). Ad entrambi in gruppi è statosomministrato imatinib 600 mg/die per 8-12 settimane prima della chirur-gia. Nel primo gruppo, al termine del trattamento, è stato ottenuto un 7% di ri-sposte parziale e un 83% di stabilità; nel secondo gruppo, 4.5% risposteparziali e 91% stabilità. L’incidenza di complicanze post-operatorie non è risultata significativamentemaggiore.Un secondo studio di fase II, condotto da McAuliff et al nel 2009, ha rando-mizzato 19 pazienti affetti da GIST localizzato a ricevere 3,5 o 7 giorni ima-tinib preoperatorio (600 mg/die). Il tasso di risposte, valutato con (18)FDG-PET e TC, è risultato del 69% e del71% rispettivamente ed il trattamento pre-operatorio è apparso ben tollerato.I risultati di tali trial hanno contribuito a definire la fattibilità del trattamentoneoadiuvante con imatinib, provando la buona tollerabilità e l’assenza di unincremento significativo di complicanze post operatorie. Tuttavia, il beneficioin termini di sopravvivenza non può essere definito, in quanto tutti i pazientiin entrambi gli studi hanno successivamente ricevuto 2 anni di trattamentopost-operatorio con imatinib.Pertanto, sulla base delle evidenze ad oggi disponibili in letteratura, anchein assenza di dati diretti di efficacia, il trattamento neoadiuvante con ima-tinib può essere proposto a quei pazienti affetti da GIST localizzati neiquali una significativa risposta della neoplasia al trattamento pre-opera-torio possa consentire una chirurgia radicale meno demolitiva e possa ri-durre il rischio di una rottura intraoperatoria della massa con successivadisseminazione peritoneale (LIVELLO DI EVIDENZA A). E’ tuttavia necessario concordare la scelta insieme al paziente, infor-mandolo dell’assenza di risultati attualmente disponibili circa l’impattodel trattamento neoadiuvante sulla sopravvivenza libera da malattia e glo-bale.

7.2 Terapia della malattia operabileSono rari < 40 anni, rarissimi in età pediatrica con una mediana di età alladiagnosi di 55 anni e una leggera predominanza per il sesso maschile.Il sintomo più frequente è il sanguinamento dal tratto gastrointestinale tut-tavia una cospicua percentuale di pazienti affetti da GIST è asintomatica opaucisintomatica.

La maggior parte dei GIST accumula fortemente FDG e pertanto la PET è unostrumento molto sensibile sia dal punto di vista di stadi azione (malattia me-tastatica occulta) che da quello clinico (risposta al trattamento) più precoce

di quella dimostrabile alla TC (C IV).La chirurgia è il trattamento di scelta per i GIST e la valutazione della rese-cabilità di un GIST deve essere compiuta da un chirurgo esperto in questocampo (B III).

Valutazione preoperatoriaTutti i tumori devono essere valutati prima dell’intervento da un gruppo mul-tidisciplinare (C IV). Deve essere considerata l’inclusione in studi clinici ditrattamento neoadiuvante o adiuvante in tutti i casi.Una TC torace addome e pelvi deve esere eseguita in tutti i pazienti primadell’intervento (B III). L’esame eco endoscopico (EUS) può essere utile e deve quindi venire consi-derato per i tumori di piccole dimensioni <2cm (B III). Questi tumori hanno spesso una larga componente necrotica e eseguire diroutine biopsie percutanee anche nei casi considerati operabili corre il ri-schio di provocare una disseminazione intraperitoneale del tumore rendendocosì una situazione potenzialmente curabile col solo atto chirurgico in unaben più grave dal punto di vista prognostico (C IV).Qualora il tumore sia considerato non resecabile ovvero qualora la mortalitàe/o morbidità dell’atto chirurgico previsto sia troppo elevata il trattamento conImatinib è appropriato (B III)con dose di attacco a 400 mg/die (A Ib).

Principi chirurgiciUna ampia resezione monoblocco con margini micro e macroscopicamenteindenni (R0) deve essere eseguita (BIII)La preservazione della funzione d’or-gano deve essere rispettata ma non a discapito di una resezione R0.La linfectomia estesa non è generalmente indicata in quanto questi tumoriraramente metastatizzano ai linfonodi mentre possono dare metastasi al fe-gato e ai polmoni (B III).Alcuni GIST possono esere rimossi per via laparoscopica.Qualora organi adiacenti siano compromessi la resezione deve essere mo-noblocco e l’input preoperatorio di altre specialità chirurgiche può esserevantaggioso prima di iniziare una tale resezione.La resezione endoscopica non è al momento raccomandata (BIII).Tutti i pazienti dopo la resezione devono essere discussi alla riunione multi-disciplinare e una strategia di trattamento e di follow-up deve essere deli-neata a secondo del rischio del singolo paziente.L’intervento chirurgico deve essere condotto da un chirurgo oncologo espertonella chirurgia dell’organo dal quale il tumore sembra trarre origine. Il fine pri-mario dell’intervento chirurgico è la resezione R0 evitando la rottura dellostesso (resezione monoblocco). E importante che durante le manovre di isolamento le manipolazioni dellaneoplasia siano ridotte al minimo in quanto questi tumori sono fragili e larottura del tumore significa l’insemenzamento di cellule tumorali sia nellacavità peritoneale che successivamente al fegato. Un margine di resezionedi 2 cm è considerato adeguato.La preservazione della funzione dell’organo affetto deve essere sempre ten-tata ma non a discapito della resezione R0. Qualora vi sia la necessità diasportare altri organi (rene, fegato ecc) e il chirurgo non sia esperto in que-sto tipo di chirurgia è consigliabile chiedere la consulenza di un chirurgoesperto in queste aree. Le biopsie percutanee radiologicamente guidate sonoda evitare per la possibile rottura della capsula e la quindi sicura fuoriuscitadi materiale dal sito in quanto spesso questi tumori sono ampiamente ne-crotici.Un approccio laparoscopico a piccole lesioni (<5 cm) può essere fattibilementre la resezione endoscopica non è appropriata anche per GIST di pic-cole dimensioni.

Tabella 1. Predizione del rischio per dimensione, indice mitotico e sede

Parametri tumorali Rischio di ripresa di malattia (%)

Indice mitotico Dimensioni Stomaco Duodeno Digiuno/Ileo Retto

≤ 5/50 HPF

≤ 2 cm Nessuno (0%) Nessuno (0%) Nessuno (0%) Nessuno (0%)

> 2 ≤ 5 cm Molto basso (1.9%) Basso (4.3%) Basso (8.3%) Basso (8.5%)

> 5 ≤ 10 cm Basso (3.6%) Moderato (24%) Dati insufficienti Dati insufficienti

> 10 cm Moderato (10%) Alto (52%) Alto (34%) Alto (57%)

> 5/50 HPF

≤ 2 cm Nessuno Alto Dati insufficienti Alto (54%)

> 2 ≤ 5 cm Moderato (16%) Alto (73%) Alto (50%) Alto (52%)

> 5 ≤ 10 cm Alto (55%) Alto (75%) Dati insufficienti Dati insufficienti

> 10 cm Alto (86%) Alto (90%) Alto (86%) Alto (71%)

Sintomi Incidenza

Dolori addominali 20-50%

Sanguinamento 50%

Ostruzione 10-30%

Asintomatici 20%

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Tutti i pazienti con diagnosi confermata di sarcoma delle parti molli dovreb-bero essere trattati da un Team Multidisciplinare dedicato ai sarcomi delleparti molli. Il Team Multidisciplinare, per essere accreditato, dovrebbe pren-dersi cura di 100 nuovi pazienti/anno. Ciascun Team Multidisciplinare do-vrebbe risiedere in un singolo ospedale o essere costituito da una serie diospedali geograficamente vicini che, insieme, costituiscono il centro di trat-tamento dei sarcomi. Il Team Multidisciplinare dovrebbe essere coordinato daun clinico. L’expertise del Team dovrebbe comprendere i seguenti sarcomi:• sarcomi ginecologici• sarcomi del testa - collo• sarcomi della parete toracica• sarcomi del retroperitoneo e pelvi• sarcomi del sistema nervoso centrale• GIST• sarcomi dell’età infantile• sarcomi degli arti• utilizzo della perfusione isolata di arto con TNFOgni Team multidisciplinare dovrebbe essere composto come riportato nella

tabella 2, 3.

Ruolo del Team multidisciplinare dei sarcomiIl Team multidisciplinare dovrebbe:• avere dei meeting settimanali con tutti i membri• assicurare che ogni piano di trattamento sia condiviso da tutti i membri

del team per i seguenti casi:a) Pazienti con nuove diagnosib) Pazienti dopo resezione del tumorec) Pazienti alla prima recidiva e/o metastasi

• assicurare che ci siano gli specialisti necessari per ogni singolo caso• farsi carico dello sviluppo, a livello nazionale e locale, dei servizi per i

pazienti con sarcomi delle parti molli• avere un coordinamento con altri Team Multidisciplinari per trattamenti

specialistici (ginecologo – chirurgo testa-collo ecc)• partecipare ad ogni programma nazionale dedicato ai STS• incoraggiare programmi educazionali per studenti medici e chirurghi in

formazione per la diagnosi e trattamento dei sarcomi.

8. Criteri di appropriatezza e requisiti minimi

Tabella 2. “Core memebrship” del Team Multidisciplinare

Staff Specifiche

Chirurgo specialista

Minimo due chirurghi per TM – questi chirurghi do-vrebbero avere come interesse principale il tratta-mento dei STS

Radiologo dedicato

Almeno due radiologi dedicati alla patologia dei STS

Anatomopatologodedicato

Almeno un patologo dedicato alla diagnosi dei STS

Oncologo medico dedicato

Almeno due oncologi dedicati al trattamento deiSTS

Infermieradedicata

Minimo due infermiere in modo da poter impiegare1 infermiera/paziente

Staff Coordinatore e Segretaria

Specialista in curepalliative

Almeno un medico del Team deve essere specializ-zato in cure palliative

Tabella 3. “Memebrship” del Team Multidisciplinare

Staff Specifiche

Fisioterapista dedicato

Fisioterapista esperto nel trattamento dei sar-comi

SpecialistiRadioterapista, specialisti in protesi, dietisti, psicologi

Infermieri specializzati Infermieri dedicati alle cure palliative

Medici/Oncologi affiliatida altri centri

Devono essere nominati dal coordinatore delTeam multidisciplinare

Altre figure professionali (ortopedico, chirurgotoracico, plastico, chirurgo del testa-collo,ginecologo e chirurgoaddominale)

Nominati dal Coordinatore ed approvati dalTeam Multidsciplinare

7.3 Terapia localmente avanzata o sedi complesseChirurgia dopo trattamento neoadiuvante di tumori inizialmente nonresecabiliL’intervento chirurgico deve essere considerato in quei pazienti inizialmentevalutati come inoperabili e quindi inviati al trattamento con imatinib qualorail trattamento farmacologico abbia ridotto la massa e/o le metastasi al puntodi resecabilità chirurgica.Occasionalmente questi tumori si possono presentare con un occlusione in-testinale o con un sanguinamento massivo in questi casi lo scopo principaledell’atto chirurgico è quello di salvare la vita del paziente. In questi casi e sipuò eseguire una resezione in due tempi il cui primo tempo con il compitodi fermare l’emorragia o risolvere l’ostruzione e il secondo tempo asportarela malattia eventualemente rimasta al primo intervento (R2) dopo un ade-guato recupero da parte del paziente.Nei casi di m malattia inizialmente considerata inoperabile che dopo tratta-mento medico viene rivalutata come operabile può avere un razionale l’op-zione chirurgica di salvataggio anche se questi dati sono scarsi e provengonoda studi retrospettivi quindi scientificamente poco attendibili. Per questol?EORTC ha aperto uno studio nel 2008 (EORTC 62063) per valutare il ruolodella chirurgia nei pazienti responders al trattamento medico preoperatorioDopo che erano stati giudicati non operabili alla prima valutazione.La sopravvivenza dei pazienti in progressione sotto terapia con Imatinib esottoposti comunque a resezione chirurgica è scarsissima e la chirurgia vapertanto evitata in questi pazienti a meno che non si tratti di quei casi di cuisopra in cui l’intervento (palliativo) viene eseguito per fermare una graveemorragia o per risolvere una occlusione intestinale.

7.4 Malattia localmente avanzata inoperabile/malattia mestastatica

Prima linea di trattamentoI tumori gastrointestinali stromali (GIST) sono neoplasie altamente refratta-rie ai trattamenti chemioterapici Il farmaco di riferimento per il trattamentodi prima linea dei GISTs in fase avanzata inoperabile o metastatica è imati-nib mesilato che permette di ottenere un beneficio clinico in circa l’85% deipazienti con sopravvivenze mediane di oltre 5 anni rispetto ai 12-24 mesi deicontrolli storici trattati con sola chirurgia (LIVELLO DI EVIDENZA: A). Imatinib è un inibitore multichinasico i cui target nei GIST sono c-Kit e PDGFR.La potenzialità di risposta a imatinib è correlata allo stato mutazionale diKIT. Pazienti con GIST che presentato la mutazione dell’esone 11 rispondonomeglio rispetto a quelli con la forma wild-type o con la mutazione D842V diPDGFRA. Quest’ultima mutazione si è dimostrata responsabile di una particolare resi-stenza alla target therapy in genere.I principali studi randomizzati (USA-Canada e EuroAustraliano) e le recentis-sime metanalisi hanno portato alle seguenti evidenze: • La dose convenzionale di Imatinib è di 400 mg/die ma in presenza della

mutazione dell’esone 9 di KIT il trattamento dovrebbe prevedere un do-saggio giornaliero di 800 mg.

LIVELLO DI EVIDENZA: A• Imatinib induce raramente delle risposte complete (0-4%) mentre molto

più frequentemente sono osservate risposte parziali o risposte senzacomponente dimensionale (risposte complete+risposte parziali+stazio-narietà di malattia: 83,7%)

• Una PET effettuata precocemente rispetto all’inizio del trattamento conImatinib permette di predire la sensibilità all’inibitore tirosinchinasico

• Il trattamento va protratto indefinitivamente fino a progressione di ma-

lattia e salvo tossicità non accettabile (particolare cura viene consigliatariguardo la gestione degli effetti collaterali, la verifica della complianceal trattamento e la presenza di fattori che possano alterare l’assorbi-mento ottimale del farmaco). La sospensione del trattamento è generalmente associata a progres-sione di malattia.

LIVELLO DI EVIDENZA: A• Circa il 15% dei pazienti presentano una resistenza primaria a imatinib.

La resistenza primaria è in genere associata all’assenza di mutazioni acarico di KIT o a presenza di mutazioni a carico dell’esone 9

• Una resistenza secondaria, cosiddetta se insorge oltre i 6 mesi di trat-tamento con imatinib, può interessare tutte le sedi di malattia o solo sin-gole sedi (o singoli punti della stessa sede) e colpisce oltre il 40% deipazienti responsivi ad un FU mediano di circa 2 anni. Questo tipo di re-sistenza si verifica in seguito all’acquisizione di mutazioni addizionalinel dominio chinasico di KIT o a selezione di mutazioni imatinib-resi-stenti già presenti in una piccola percentuale di cellule di GIST non trat-tati.

Seconda linea di trattamento ed oltreIn caso di progressione di malattia, primitiva o secondaria, se il paziente erastato trattato con un dosaggio di 400 mg/die vi è consenso ad aumentare ladose a 800 mg/die. La modulazione della dose di imatinib mesilato da 400 a 800 mg/die, in casodi progressione di malattia, permette un recupero del 30-40% dei pazienticome dimostrato dallo studio europeo EORTC 62005 e dallo studio US Inter-group S0033 con una sopravvivenza mediana libera da progressione di circa4 mesi. Se il paziente era già in trattamento con imatinib 800 mg/die per presenzadella mutazione a carico dell’esone 9, vi è indicazione ad effettuare un cross-over a sunitinib. LIVELLO DI EVIDENZA: AIn caso di ulteriore progressione di malattia in corso di Imatinib, vi è indica-zione a passare al trattamento con Sunitinib. Sunitinib è attualmente appro-vato per l’uso in seconda linea di trattamento in pazienti resistenti ointolleranti ad imatinib ed è anch’esso un inibitore delle tirosin-chinasi re-cettoriali tra le quali KIT, PDGFR-α e –β, VEGFR-1,-2 e-3, FLT3, CSF-1R eRET. Sunitinib ha dimostrato in studi preclinici attività antitumorale e antiangio-genetica diretta e in uno studio clinico randomizzato di fase III ha indotto unbeneficio clinico in termini di controllo di malattia e superiore sopravvivenzarispetto al placebo. Il genotipo del tumore ha una influenza significativa sulla possibilità di ri-sposta a sunitinib in pazienti imatinib-resistenti essendo stata osservata,oltre che in pazienti con mutazione dell’esone 11 di KIT, soprattutto in pazienticon mutazione dell’esone 9 e nei pazienti con KIT wild-type. Sunitinib risulta,inoltre, efficace in pazienti con mutazioni secondarie negli esoni 13 e 14 diKIT mentre non sembra altrettanto efficace sui pazienti con mutazioni se-condarie degli esoni 17 e 18. La schedula di trattamento prevede un dosaggio di 50 mg/die per 4 setti-mane ogni 6 settimane. Esistono evidenze pubblicate di efficacia ma miglior tollerabilità con unaschedula alternativa che prevede la somministrazione continuativa di suni-tinib alla dose di 37,5 mg/die. LIVELLO DI EVIDENZA: CIn assenza di studi clinici con nuovi farmaci viene, comunque, ribadita daimaggiori esperti l’importanza della non interruzione del trattamento con TKIs

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anche in caso di progressione di malattia (eterogeneità delle mutazioni in-sorgenti nella malattia avanzata e diverse da metastasi a metastasi con pre-senza contemporanea di cloni resistenti e sensibili). Qualora il paziente non possa essere inserito in trial clinici con nuovi far-maci, anche la reintroduzione di imatinib è stata associata ad evidenze di at-tività. Nei casi di progressione limitata (una singola lesione o parte di unalesione), la chirurgia (come altre metodiche ablative) può essere presa inconsiderazione e proposta al paziente in quanto può associarsi ad un au-mento dell’intervallo libero da progressione. Altro ruolo in via di definizione è quello della chirurgia su residuo in pazientiin risposta o stazionari dopo 6-12 mesi di trattamento con IM, allo scopo diprevenire la resistenza secondaria.Alla luce delle evidenze del diverso outcome clinico dei pazienti in relazione

alla presenza di determinate mutazioni (primarie e secondarie) che corri-spondono ad una differente potenzialità di risposta agli inibitori tirosinchi-nasici attualmente approvati per l’uso, è fortemente raccomandatal’esecuzione dell’analisi mutazionale allo scopo di individualizzare il tratta-mento e poterne trarre il miglior beneficio.

Follow upNon vi è consenso sul tipo di follow up da condurre dopo un intervento chi-rurgico per asportazione di un GIST. E’ consigliabile effettuare un esame TCo RMN dell’addome ogni 3 mesi per i primi 2-3 anni, ogni 6 fino al 5° annoe quindi su base annuale dopo i 5 anni. La frequenza dei controlli va co-munque definita sulla base del livello di rischio.LIVELLO DI EVIDENZA: C

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli

Page 112: Realizzato con il contributo di - … · ELENCODEIDOCUMENTIOGGETTODELLAPRESENTEPUBBLICAZIONE GRUPPIDILAVOROPERPATOLOGIA COORDINATORE ISTITUZIONE Cerebrali G.Maira PoliclinicoUniversitario"A.Gemelli"

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle carcinosi peritoneali

Criteri di appropriatezza clinicaed organizzativa nella diagnosi,

terapia e follow-updelle carcinosi peritoneali

Coordinatore: A. Garofalo

M. Valle, O. Federici, F. Carboni, F. Graziano,G.Scambia,A. Di Giorgio, E.Pescarmona, A.Fagotti, L.Di Lauro, C.Garufi,

G.C. Paoletti, P.Vici, M.Zeuli

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1. Parte generale

1.1 IntroduzioneNel 1968 R.T.L. Long presentava la sua esperienza su 17 pazienti con un par-ticolare quadro clinico che all’apparenza sembrava “una condizione di granlunga incurabile”, ma che poi “raramente dimostrava attitudini invasive”. Sitrattava di carcinosi peritoneali di origine ovarica ed appendicolare che, trat-tate con interventi chirurgici ripetuti in associazione con agenti alchilanti, mo-stravano un sensibile incremento della sopravvivenza. Negli anni successivile intuizioni di Long sugli interventi reiterati venivano riprese da alcuni Autori,mentre altri preferivano approcci diversi con chemioterapia sistemica, che-mioterapia intraperitoneale o radioterapia adiuvante, il tutto però nell’ottica do-minante della palliazione. Nella seconda metà degli anni ’80 Paul Sugarbakerpubblicava una serie di lavori che avrebbero impresso all’argomento un verocambio di paradigma, basato su due concetti principali: 1) esiste una particolare categoria di carcinosi peritoneali derivate da tu-

mori a basso grado di malignità, con scarsa attitudine all’infiltrazione inprofondità e scarse capacità invasive. Il comportamento biologico è moltosimile alla sindrome dello pseudomixoma peritonei che origina da diversepatologie a comportamento non strettamente maligno, quali il cistoade-noma mucinoso appendicolare e ovarico

2) queste carcinosi sono curabili con risultati sorprendenti se aggredite conuna terapia multimodale costituita da: a) intervento di citoriduzione eseguito per piani di dissezione esterni al pe-ritoneo e quindi in territorio sano, denominato peritonectomiab) chemioterapia intraperitoneale precoce e differita per distruggere lepiccole quantità di cellule neoplastiche residue sulle superfici intraaddo-minali con diametro individuale inferiore ai 2,5 mm. Al progredire delle esperienze sulle carcinosi peritoneali da carcinomi abassa malignità venivano nel frattempo ad associarsi i primi studi suquelle a provenienza colica: risultava evidente trattarsi di tumori diversi,questa volta infiltranti e a comportamento biologico completamente dif-forme, la cui storia naturale prevedeva una sopravvivenza mediana di 5,2mesi, come dimostrato nel 2000 dallo studio francese EVOCAPE 1.

Nel 2003 Zoetmulder, del Netherlands Cancer Institute, pubblicava uno stu-dio randomizzato su 105 malati con carcinosi peritoneale da carcinoma delcolon, suddivisi in due bracci: nel primo i pazienti venivano trattati con peri-tonectomia e chemioipertermia, nel secondo con qualsiasi altro trattamento,ottenendo nel braccio sperimentale una sopravvivenza mediana di 22.3 mesicon una differenza tanto significativa tra i due bracci da richiedere la chiusuraanticipata dello studio perché non ritenuto più eticamente accettabile.

1.2 EpidemiologiaComunemente, la carcinosi peritoneale rappresenta l’evoluzione locale o di-strettuale di un carcinoma originato in un viscere contenuto nell’addome. Avolte sincrona, la comparsa di una carcinosi peritoneale più frequentementesi verifica come recidiva o progressione di malattia dopo un precedente trat-tamento del tumore primitivo. Gli organi coinvolti da un tumore primitivo ingrado di sviluppare carcinosi peritoneale sono, in ordine decrescente di inci-denza, il colon-retto, lo stomaco e l’ovaio. Meno frequentemente la presenzadi una carcinosi peritoneale è correlata ad altre neoplasie intra-addominali,quali quelle ad origine dall’utero, dal pancreas, dalle vie urinarie e dalle vie bi-liari. Decisamente più rari sono i tumori che originano primitivamente dal pe-ritoneo stesso, quali il mesotelioma e il carcinoma peritoneale. Eccezionali

sono, infine, le carcinosi peritoneali derivanti da neoplasie extra-addominali(mammella, polmone, metastasi peritoneali da melanoma). In Italia, l’Asso-ciazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM) raccoglie i dati relativi all’incidenza,alla prevalenza ed alla mortalità dei tumori nelle regioni detentrici di un regi-stro tumori, che nel loro insieme rappresentano circa il 34% della popola-zione totale. Sebbene non esistano dati epidemiologici specifici riguardanti la carcinosiperitoneale, i consuntivi desumibili dalle attività dell'AIRTUM e dai reportsdella letteratura relativa alla epidemiologia dei tumori nel mondo occidentaleconsentono alcune considerazioni. In Italia negli ultimi 40 anni si è verificatauna significativa variazione del tasso di mortalità generale per tumore; se in-fatti nel 1970 questo tasso corrispondeva al 75% della incidenza globale dellapatologia neoplastica all’interno della popolazione italiana, nel 2010 si è ridottoal 47%, a fronte di un aumento di incidenza globale della patologia tumoraledel 25% nello stesso periodo. Questi dati si correlano ad un significativo mi-glioramento nella cura dei tumori come conseguenza dell’evoluzione dei trat-tamenti e della ricerca in campo oncologico. In questo contesto, pur se inmaniera indiretta e attraverso deduzioni dai dati generali, è possibile costruireun quadro sufficientemente attendibile riguardo gli aspetti generali dell’epi-demiologia delle carcinosi peritoneali. In particolare, come prima osserva-zione, tenendo conto della incidenza delle neoplasie principalmente correlatealla carcinosi, e cioè in ordine decrescente cancro colo rettale, cancro ga-strico e carcinoma ovarico, si evidenzia che la frequenza della carcinosi pe-ritoneale è inversamente proporzionale alla incidenza di ognuna di questeforme neoplastiche. Per quanto concerne il carcinoma colo-rettale, a fronte diun’incidenza in Italia di 38.000 nuovi casi/anno, si registra un tasso di mor-talità complessiva del 33 % (12.600 decessi/anno). Sulla base dei dati dellaletteratura riguardante il mondo occidentale, si desume che circa il 15% deipazienti presenta una carcinosi peritoneale ab initio e che nel 35% dei pazientiche muoiono per una recidiva, essa appare confinata esclusivamente alla ca-vità peritoneale. Rapportando questi dati alla realtà italiana si può affermarecon buona approssimazione che ogni anno sono diagnosticati circa 5.700nuovi casi di carcinosi peritoneale da carcinoma colo rettale e che 4.400 de-cedono esclusivamente per questa forma di diffusione. In definitiva l’11,5%di coloro che si ammalano di carcinoma colo-rettale muore in seguito allasola carcinosi peritoneale.Per quanto riguarda il carcinoma gastrico, la cui incidenza nel nostro paese èdi circa 17.000 nuovi casi/anno, con un tasso di mortalità pari a circa il 60%(10.897 pazienti), i numeri riguardanti l’incidenza di carcinosi peritoneale sonoancora più eclatanti. Il 10-20% dei pazienti sottoposti a chirurgia con intentocurativo per tale patologia presenta al momento dell’intervento una diffusioneperitoneale, che raggiunge il 40% se si considerano anche i casi consideratinon suscettibili di trattamento radicale. Nonostante la chirurgia radicale, il 20-50% dei pazienti operati svilupperà nel corso del follow up una carcinosi pe-ritoneale. Globalmente la sola carcinosi peritoneale è direttamenteresponsabile di circa il 30% dei decessi. In termini generali, pur in assenza didati statistici uniformi, si può valutare che in Italia possano essere diagnosti-cati circa 3.200-3.500 nuovi casi di carcinosi peritoneale di origine gastrica,mentre il numero di decessi correlati esclusivamente a questa condizione cor-risponde a circa 3.100 casi, e cioè al 30% di tutti i decessi per carcinoma ga-strico per anno (1). Una più spiccata tendenza alla diffusione peritonealerispetto alle due primitività finora trattate è tipica dei tumori epiteliali del-l’ovaio, i quali mostrano una incidenza di 4.400 nuovi casi/anno in Italia, con

Pagina 227

INDICE

1. Parte Generale1.1 Introduzione1.2 Epidemiologia1.3 Meccanismi di diffusione intracelomatica delle cellule neoplastiche1.4 Quadri Clinici1.5 Iter Diagnostico/Stadiazione1.6 Anatomia Patologica e Immunoistochimica Diagnostica1.7 Trattamento: l’intervento di Peritonectomia 1.8 HIPEC: Rationale e Tecnica 1.9 Farmacodinamica della HIPEC

2. Parte Speciale2.1 Mesotelioma2.2 Pseudomixoma peritonei2.3 Carcinosi da K Colon2.4 Carcinosi da K Ovaio 2.5 Carcinosi da K Gastrico2.6 Il trattamento palliativo dell’ascite neoplastica resistente a terapia

3. Appendice3.1 Requisiti minimi strutturali e di risorse umane richiesti ai Centri

dedicati alla Diagnosi e Trattamento delle Carcinosi Peritoneali Pagina 3

4. Bibliografia

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle carcinosi peritonealiRETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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una mortalità del 67,7% (2.955 decessi nel 2006). Tale sconfortante quadroprognostico riflette la precoce e spiccata propensione di questo tumore a dif-fondersi al peritoneo in oltre l’82% dei casi, pari in Italia a circa 3.600 casiannui. Questo quadro clinico, molto più che le metastasi a distanza, condizionala prognosi, provocando oltre l’80% dei decessi (2.364 pazienti/anno). Quindi,ogni anno, rispetto ai nuovi casi diagnosticati, il 54% delle pazienti affette dacarcinoma ovarico muore esclusivamente per carcinosi peritoneale. Il datoappare in assoluto peggiore rispetto a quelli relativi a colon retto e stomaco,ma deve tener conto della differente storia clinica della malattia. Se infatti èvero che un maggior numero di pazienti muore di carcinosi peritoneale nelcarcinoma ovarico piuttosto che in quello colo-rettale o gastrico, è anche veroche la diffusione peritoneale rappresenta un evento molto più frequente eprecoce per quella patologia che per queste ultime, e che quindi in questocaso i dati relativi alla mortalità non rispecchiano la reale curabilità della ma-lattia. Altre neoplasie, la cui incidenza risulta abbastanza elevata nel nostro paese,possono occasionalmente dare luogo a quadri di carcinosi peritoneale, qualii carcinomi dell’endometrio, della cervice uterina, della mammella, uroteliali,del pancreas e delle vie biliari, del polmone e melanomi. Dati specifici relativialla incidenza di carcinosi peritoneali connesse con queste patologie non sonorilevabili né desumibili. Un cenno a parte meritano quelle neoplasie che originano direttamente dal pe-ritoneo, quali i mesoteliomi ed i carcinomi primitivi del peritoneo. Queste formeneoplastiche rappresentano nel complesso una patologia rara, con un’inci-denza in Italia variabile da 0,1 a 6,4 casi /100.000 abitanti/anno; nei prossimi20 anni, secondo il Registro Tumori Italiano, si prevede una tendenza all’au-mento fino a valori di circa 1000 nuovi casi l’anno. Lo pseudomixoma perito-neale è una forma di carcinosi peritoneale originata prevalentemente da untumore dell'appendice e caratterizzata dalla sovrabbondante produzione dimucina che si accumula nel cavo peritoneale sia libera sia in forma di im-pianti parietali e viscerali. La sua incidenza è di circa 1-2 nuovi casi/anno permilione di abitanti, e presenta un decorso meno aggressivo rispetto alle altreforme di carcinosi peritoneale con una sopravvivenza a 10 anni nell’ordinedel 70% quando venga effettuato un trattamento di citoriduzione ottimale as-sociato alla HIPEC.Sulla base della disamina complessiva di questi dati si può ragionevolmentededurre che ogni anno il Sistema Sanitario Nazionale italiano si debba con-

frontare con il problema del trattamento di circa 25.000 casi di carcinosi pe-ritoneale di varia origine.

1.3 Meccanismi di diffusione intracelomatica delle cellule neoplastiche

La carcinosi peritoneale viene definita come la diffusione e l’impianto di cel-lule neoplastiche nella cavità peritoneale risultante in accumuli di tessuto tu-morale che coinvolgono il peritoneo parietale, pelvico e diaframmatico e lasuperficie di rivestimento degli organi contenuti nella cavità addominale.La teoria dell’inefficienza metastatica proposta da Weiss, si basa su osserva-zioni che risalgono all’inizio del secolo scorso e che descrivono la “ fuga” dellecellule neoplastiche per via linfatica o ematogena come processo di estremacomplessità: la cellula deve essere in grado di guadagnare l’accesso al si-stema linfatico o venoso, sopravvivere al suo interno, riuscire a “fermarsi” eda prendere rapporto con la superficie endoteliale e migrare nel sito di arrivo,dove sarà poi necessario trovare un microambiente adatto alla sua sopravvi-venza e più ancora alla sua proliferazione.La carcinosi peritoneale segue logiche e comportamenti diversi: ha inizio conl’esfoliazione e la caduta di cellule neoplastiche dalla parete infiltrata di un vi-scere, evento che può essere spontaneo o iatrogeno, nel corso di manipola-zioni a scopo diagnostico o terapeutico; in questa evenienza la “spremitura”del tumore e le perdite di sangue e di linfa dal territorio neoplastico possonoprodurre la liberazione di cellule cancerose in addome virtualmente pronteall’impianto peritoneale. L’impianto risulta molto più agevole sulle superficicruentate, così come la proliferazione viene facilitata dalla produzione di me-diatori dell’infiammazione coinvolti nel processo fisiologico di guarigione delleferite.In definitiva, se la metastatizzazione a distanza è prerogativa di cellule tumo-rali ad elevata specializzazione in senso invasivo, la carcinosi peritoneale nonva ricompresa in questo tipo di evento ma definita come “diffusione” dellaneoplasia lungo le sierose peritoneali, con meccanismi di fuga, impianto eproliferazione completamente diversi. La sequenza di eventi che portano alla carcinosi peritoneale è oggi conside-rata indipendente da quella della metastatizzazione ematogena: infatti, men-tre le cellule con spiccata tendenza a dare metastasi a distanza, quandoinstillate in peritoneo, sono in grado di produrre carcinosi, lo stesso non ac-

cade per le popolazioni cellulari neoplastiche a tropismo peritoneale le quali,anche se iniettate nella milza, raramente danno luogo a metastasi epatiche.E’ verosimile quindi che alcuni tumori siano capaci di produrre carcinosi pe-ritoneale pur possedendo scarsa attitudine alla metastatizzazione a distanza. Alcuni studi sembrano suffragare l’ipotesi che l’impianto peritoneale sia pos-sibile anche senza una vera e propria aggressione da parte della cellula neo-plastica: infatti la diffusione intraperitoneale sfrutta meccanismi fisiologicipeculiari di questa regione, primo fra tutti il riassorbimento del fluido perito-neale attraverso i milky-spots nel sistema circolatorio extravascolare. I milky-spots (tabella 1), già descritti da Virchow alla metà del XIX secolo, sonoorganuli peritoneali a forma di canestro dotati di piccoli pori presenti soprat-tutto nella radice mesenteriale e nell’omento; gli stomata, sono invece orifizipiù grandi posizionati sulla superficie diaframmatica che mettono in comuni-cazione la cavità peritoneale con le lacune linfatiche sub mesoteliali, dove i lin-fatici aggettano a pieno canale; per la via dei milky spots e degli stomata,leucociti e macrofagi possono migrare nella cavità peritoneale nel corso diprocessi infiammatori e fluidi peritoneali vengono continuamente riassorbitinel torrente linfatico. Attraverso dette strutture, le cellule neoplastiche possono venire passiva-mente trasportate oltre la membrana basale, negli spazi submesoteliali (tabella2, figura 1): la carcinosi peritoneale quindi, non deriva sempre dall’aggressionedella membrana da parte di elementi con caratteristiche di invasività partico-larmente spiccate, ma anche dal passaggio di cellule neoplastiche attraversostrutture fisiologiche che ne consentono l’attecchimento anche in caso di tu-mori benigni, quali l’adenoma mucinoso appendicolare. Da ciò deriva che neicasi in cui la cellula neoplastica sia incapace di aggressione diretta, l’invasioneperitoneale si determina in dipendenza del numero e della diffusione deimilky-spots, della forza di gravità e dei movimenti peristaltici intestinali chedislocano le cellule stesse lungo linee di fuga: con questo meccanismo sispiegano le aggregazioni tipiche nello scavo del Douglas, nella retro cavitàdegli epiploon e sulla superficie diaframmatica. Poiché queste forze sono co-stanti e la concentrazione relativa degli stomata non si modifica da individuoad individuo, le carcinosi che originano da neoplasie a bassa aggressività bio-logica si caratterizzano per una diffusione regolare, detta “redistribuzione”:questa, nelle fasi precoci coinvolge il grande omento, la pelvi e il peritoneo sot-todiaframmatico destro, per poi diventare ubiquitaria, ma con impianti su-perficiali che a lungo risparmiano le superfici sierose mobili e prive di

milky-spots del piccolo intestino. In tali casi è verosimile che il peritoneo sia,oltre che la sede, anche “l’ultimo margine” della neoplasia e che l’asportazionedi esso possa coincidere con la rimozione totale della malattia.

1.4 Quadri cliniciLa sintomatologia spesso è tardiva, legata alla diffusione intra-peritoneale dimalattia: molti di questi casi sono caratterizzati da un quadro clinico ingrave-scente con presenza di ascite, aumento volumetrico dell’addome e del pesocorporeo, dolori addominali diffusi con (sub)occlusione, difficoltà respirato-rie,astenia,cachessia. La più frequente e precoce conseguenza della carcinosi peritoneale è l’asciteneoplastica, rappresentata da un abnorme aumento del liquido endoperito-neale, fino a raggiungere quantità di 8-10 litri, nel cui contesto galleggiano mi-lioni di cellule tumorali. Questa condizione è sostenuta fondamentalmente da due fattori:• dalla iperproduzione di liquido da parte delle cellule peritoneali stimolate

dalla presenza dagli impianti carcinomatosi • dalla produzione di siero e mucina da parte delle cellule neoplastiche.Il progressivo aumento degli impianti carcinomatosi e dell’ascite comportal’aumento della pressione endoaddominale, dovuta alla progressiva occupa-zione di spazio da parte delle masse di carcinosi e dalla presenza dell’ascite:i visceri endoaddominali vengono compressi, gli emidiaframmi si sollevano,compare la dispnea da espansione polmonare difficoltosa.L’infiltrazione dei mesi e del tubo digerente con lesioni a tipo nodulare ( constenosi del viscere ) o a colata ( con compressione del viscere e retrazione deimesi), porta spesso alla comparsa di occlusione intestinale, che è spesso ilquadro terminale di questi malati. In caso di neoplasie invasive ed infiltranti, i sintomi occlusivi si manifestanocon maggiore velocità e gravità.Il mancato transito del contenuto intestinale provoca vomito, distensione ad-dominale, dolori crampiformi, disidratazione con successiva contrazione dellediuresi e comparsa di insufficienza renale. L’ulteriore aumento della pressioneendoaddominale dovuto al versamento ascitico può associarsi a versamentopleurico da stasi o da infiltrazione neoplastica dei diaframmi, con conseguentepassaggio di cellule neoplastiche attraverso gli stomata presenti in questa re-gione che causano un versamento pleurico neoplastico e la conseguente in-

Tabella 1. Combinazioni possibili

CK 7+ CK20+ CK 7+ CK 20- CK 7- CK 20+ CK 7- CK 20-

Carcinoma urotelialiOvarici mucinosiCa pancreaticiCalongiocarcinomi

Carcinoma polmonareCa. mammellaCa. tiroideoCa. endometrialeCa. ghiandole salivariColangiocarcinomaCa. pancreatico

Carcinoma colorettaleCarcinoma di Merkel

Ca. epatocellulareCa. renaleCa. prostataCarcinoma a piccole celluleCa. squamoso

Tabella 2. Combinazioni MUC 1/2/MUC5AC

MUC 1+; MUC 2-; MUC5AC- MUC 1+; MUC 2-; MUC5AC+ MUC 1-; MUC2+; MUC 5AC-

MammellaPolmoneReneVescicaEndometrioOvaio

Ca. pancreasVie biliari

Ca. gastrointestinale

Figura 1.

TTF-1

GCDFP-15

- +

-+

-+ -

-

+

+ -+

CDX-2

Colon Mammella Colon Stomaco Pancreas Ovaio Polmone

CDX-2

CK7-/CK20+ SMAD

Tratto da Parket SY et al. Arch Pathol Lab Med 2007, 131

Pagina 228 Pagina 229

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle carcinosi peritoneali

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Tabella 3. Schema delle raccomandazioni in tema di stadiazione

Livello di evidenza Forza raccomandazione

Ib A

La TC nella valutazione preoperatoria del PCI (Peritoneal Cancer Index) ha una sensitività ge-nerale dell’88% e una accuratezza del 12%. La valutazione TC è di ausilio ma non confronta-bile con la valutazione diretta (open-vls); classificare il PCI TC mediato in categorie basatesull’estensione clinica della carcinomatosi può essere uno strumento utile in fase preoperato-ria

IIa B

La più bassa sensibilità alla TC si ha in corrispondenza del piccolo intestino 8-17% e si attestaall’11% per lesioni < di 5mm in tutti i quadranti (2-3). Poiché sottostima in maniera significa-tiva il PCI clinico, il ruolo della TC nella stdaiazione - selezione del paziente deve essere quindivalutato attentamente

IIa B In caso TC positiva la specificità in tutte le regioni è del 100% (2-3).

IIa BNon esistono evidenze significative per quanto riguarda la RM rispetto alla TC nella valutazionedel PCI mediato e nella valutazione dell’indice di citoriduzione raggiungibile.

IIa BLa metodica PET da sola sottostima la carcinosi peritoneale, PET/TC raggiunge il 90% di sen-sibilità 77% di specificità preoperatoria per lesioni di II e III grado, ma sottostima lesioni di Igrado per noduli inferiori a 5 mm in tutti i quadranti.

IIa B La TC-PET risulta positiva dopo citoriduzioni CC 2 – 3 negativa dopo citoriduzione CC 0 – 1.

IIa BNessuna procedura non invasiva è in grado di valutare accuratamente il PCI nè l’indice di cito-riduzione dopo trattamento.

seminazione pleurica.Quadri clinici particolari derivano dal comportamento biologico delle varieforme istologiche di malattia:• sindrome da pseudo mixoma( tumori mucinosi dell’appendice, ma anche

in alcuni tumori dell’ovaio e del colon), caratterizzata da un lento e pro-gressivo aumento di volume dell’addome dovuto all’accumulo del mate-riale mucinoso prodotto dalla neoplasia

• carcinosi con effetto massa da “omental cake”, con infiltrazione neopla-stica massiva del grembiule omentale che diventa una enorme tumefa-zione palpabile e irregolare nei quadranti superiori dell’addome.

• carcinosi a tappeto da neoplasie dello stomaco, dove la sintomatologia ècaratterizzata dalla presenza del tumore primitivo gastrico con nausea evomito da stenosi pilorica, disfagia da stenosi cardiale, anemia da emor-ragie occulte.

• carcinosi con esordio a tipo occlusivo ab initio per aderenze neoplasticheprecoci tra anse del tenue che ne risultano angolate e stenotiche.

1.5 Iter Diagnostico/stadiazione Diagnostica per immaginiLa Carcinosi Peritoneale (CP) può essere dimostrata mediante ecografia (US),tomografia computerizzata (TC), risonanza magnetica (RM) e 18F-FDG-PET/CT.La Ultrasonografia consente un rapido e precoce apprezzamento della pre-senza di ascite e di masse grossolane (omental cake).La TC consente una valida rappresentazione topografica della cavità perito-neale e una precisa definizione di sede, tipologia ed estensione del processopatologico. I principali reperti TC di Carcinosi Peritoneale sono: ispessimento focale o dif-fuso dei foglietti peritoneali, con aspetto scirroso, gelatinoso, reticolare, reti-colo-nodulare, a noduli o placche grossolane. Si possono quindi identificaredifferenti tipi di CP: forme infiltrative, micronodulari (miliari), macronodulari(nodose), con le singole lesioni variabilmente sovrapposte tra loro a secondadei casi.

Le lesioni nodulari o a placca possono presentare enhancement variabile dopomdc ev, oppure bassa attenuazione con aspetto similcistico; talvolta mostranoal loro interno depositi calcifici. Il coinvolgimento mesenterico è spesso di tipo scirroso, con ispessimentodella radice ed aspetto raggiato e retratto dei singoli foglietti.A livello del grembiule omentale si riscontrano con una certa frequenza qua-dri di tipo reticolo-micronodulare, oppure a noduli e/o placche grossolane finoa configurare casi in cui un’estesa e spessa colata di tessuto neoplastico, adensità disomogenea, s’interpone tra la parete addominale e le anse intesti-nali (“omental cake”).La possibilità di identificare le lesioni nodulari varia in rapporto alla sede ana-tomica su cui si sviluppano; noduli di piccole dimensioni (< 5 mm) si ricono-scono più facilmente sulla superficie di organi come il fegato o la milza. La visualizzazione delle immagini secondo piani differenti da quello di acqui-sizione assiale (MPR sagittali, coronali, oblique) può essere d’aiuto nella ri-cerca di impianti su strutture curvilinee come il diaframma, gli spazi paracolici,le anse del tenue.Le anse del tenue e del colon possono essere distorte, tra loro adese, fino aquadri di stenosi ed ileo meccanico.Il versamento ascitico è presente in oltre il 70% dei casi e può essere liberoo saccato. Fluido libero intra-peritoneale può essere dimostrato con TC se inquantità superiore ai 50 cc. Nel compartimento sovra-mesocolico esso si rac-coglie inizialmente nello spazio epato-renale e successivamente in sede sub-frenica destra e sinistra. Nel compartimento sottomesocolico invece, la sedeinizialmente interessata è lo scavo di Douglas (retto-vescicale nel maschio eretto-uterino nella femmina), da cui poi si estende in sede para-vescicale,pre-vescicale e parieto-colica.Può essere inoltre visibile la patologia neoplastica di partenza (in caso di le-sione addomino-pelvica non operata). Qualora non sia chiaramente identifi-cabile il tumore primitivo, può essere presa in considerazione l’eventualitàdella primitività della lesione peritoneale (sarcoma o mesotelioma peritoneale,comunque molto più rari rispetto alla carcinomatosi secondaria) oppure ladiffusione per via ematica da focolaio primitivo remoto extra-addominale (es.

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ca mammario, melanoma).Nella diagnosi differenziale devono essere considerate alcune patologie nonneoplastiche molto rare, che possono causare delle lesioni peritoneali similialla CP: peritonite tubercolare, panniculite mesenterica, leiomiomatosi peri-toneale disseminata, ematopoiesi extramidollare. Lo PMP ( Pseudomixoma peritoneale) può svilupparsi vicino alla lesione dipartenza (forma circoscritta) oppure estendersi a larga parte della superficieperitoneale (forma diffusa).All’esame TC si osserva tessuto solido disomogeneo, tendenzialmente ipo-denso, disposto lungo le fasce peritoneali, generalmente ispessite; si associaspesso versamento ascitico. Come nel caso della CP, anche nello PMP la rea-zione fibrosa può portare ad aderenze che ostacolano il normale transito in-testinale.La TC può fornire quindi un contributo nella valutazione del grado di meta-statizzazione e nell’orientare la scelta terapeutica, soprattutto nei casi in cuiil reperto di coinvolgimento epatico, cefalo-pancreatico, mesenterico o delleanse sia francamente evidente.In conclusione la TC permette un inquadramento della carcinosi escludendodal trattamento quei pazienti che presentano malattia extraregionale; nellavalutazione preoperatoria del PCI (Peritoneal Cancer Index) ha una sensibilitàdell’88% e una accuratezza del 12%. La valutazione TC è di ausilio ma nonconfrontabile con la valutazione chirurgica(open o VLS); classificare il PCI TCmediato in categorie basate sull’estensione clinica della carcinomatosi può es-sere uno strumento utile in fase preoperatoria (1) (livello di evidenza Ib- forzadella raccomandazione A). La TC mostra la sensibilità più bassa in corrispon-denza del piccolo intestino (8-17%) e si attesta sull’11% per lesioni < di 5mmin tutti i quadranti (2-3), con una conseguente significativa sottostima del PCIclinico (livello di evidenza IIa, forza della raccomandazione B). In caso TC po-sitiva la specificità in tutte le regioni è del 100% (2-3) ( livello di evidenza IIa,forza della raccomandazione B).Non esistono evidenze significative per quanto riguarda la RMN rispetto allaTC nella valutazione del PCI e nella valutazione dell’indice di citoriduzioneraggiungibile. La sola PET sottostima la carcinosi peritoneale, mentre la 18F-FDG-PET/TCraggiunge il 90% di sensibilità e il 77% di specificità preoperatoria per lesionidi II e III grado, ma sottostima lesioni di I grado per noduli inferiori a 5 mm intutti i quadranti (4-5) (evidenza IIa, forza della raccomandazione B).La TC è utile inoltre dopo il trattamento, potendo identificare alcune compli-canze come flogosi dell’intestino e/o del peritoneo residuo, ascessi, emope-ritoneo, perforazioni, fistole, pancreatiti.Essa è utile infine nel follow-up oncologico identificando la recidiva di malat-tia; in quest’ultimo caso, può essere difficile la diagnosi differenziale tra reci-diva di malattia ed esiti fibrotici post-trattamento; un aiuto può venire dalla PETo da macchine ibride TC-PET, le quali identificano il tessuto patologico in baseal suo alterato metabolismo (aree ipercaptanti) rispetto ai tessuti normali li-mitrofi e non soltanto sulla base della morfologia delle lesioni. In questi casila TC-PET risulta positiva dopo citoriduzioni CC 2 - 3 negativa dopo citoridu-zione CC 0 - 1 (5) (evidenza IIa, forza della raccomandazione B). Studi recenti hanno dimostrato che sia la TC che la TC-PET non permettonouna stadiazione completa della carcinosi, né la definizione di un programmaterapeutico con possibilità di valutazione dell’indice di citoriduzione dopo in-tervento di peritonectomia; il loro uso è quindi rivolto ad un obiettivo diagno-stico con possibilità di esclusione dal trattamento chirurgico dei pazienti conPCI elevato o malattia extraregionale. Nessuna procedura non invasiva è in grado di valutare il PCI e l’indice di ci-toriduzione dopo trattamento (4) (evidenza IIa – forza della raccomandazioneB) (tabella 3).

Videolaparoscopia Diagnostica e di Stadiazione Il primo tentativo di stadiazione della carcinosi peritoneale spetta alla ScuolaGiapponese, in relazione ai primi studi randomizzati condotti negli anni ’90 sul-l’associazione chirurgia e chemioterapia locoregionale nel trattamento delcarcinoma gastrico in fase localmente avanzata. In questo ambito è stataavanzata la prima proposta di stadiazione della carcinosi di origine gastricain P1 (pochi noduli neoplastici sovramesocolici), P2 (un modesto numero di no-duli presente anche al di sotto del mesocolon traverso) e P3 (noduli numerosie diffusi). La classificazione è semplice, ha valore prognostico con una per-centuale di sopravvivenza a 2 anni che crolla dal 21% del P1 al 4% del P3,può essere utilizzata con piccole modifiche anche per carcinosi diverse daquella gastrica ma non è sufficientemente descrittiva della distribuzione edelle dimensioni delle localizzazioni neoplastiche.Altrettanto agile la classificazione di Gilly che prevede:• Stadio 0: assenza di malattia macroscopica• Stadio I: noduli neoplastici di diametro inferiore a 5mm, localizzati ad una

regione addominale• Stadio II: noduli di diametro inferiore a 5mm, diffusi all’intero addome• Stadio III: noduli di diametro compreso fra 5mm e 2cm• Stadio IV: noduli di diametro maggiore di 2cm. Anche questa proposta non prende in considerazione in modo sufficiente-mente dettagliato la distribuzione delle lesioni.Più utile, a scopi speculativi oltre che prognostici, è la classificazione di Su-garbaker che si basa sull’Indice di Carcinosi Peritoneale (Peritoneal CancerIndex - PCI) (schema): l’addome viene suddiviso in 9 regioni ed il piccolo in-testino in ulteriori 4; si calcola per ciascuna regione un punteggio (LS – Le-sion Size Score) rapportato come segue alla malattia presente:• LS 0: non evidenza macroscopica• LS 1: diametro massimo sino a 0,5 cm• LS 2: diametro massimo sino a 5 cm• LS 3: diametro massimo superiore a 5 cm ovvero più noduli confluenti.La somma dei punteggi è uguale all’indice di carcinosi peritoneale. Il P1-2della classificazione giapponese corrisponde agli stadi I-II della stadiazionesec. Gilly e ad un indice di carcinosi peritoneale sec. Sugarbaker < 13.La stadiazione di Sugarbaker è a tutt’oggi il sistema di stadiazione delle car-cinosi più diffuso e confrontabile. E’ intuitivo che la valutazione del PCI non può prescindere dalla valutazionedel tipo istologico della neoplasia; d’altra parte la selezione dei pazienti can-didati al trattamento integrato deve tener conto di una quantità di altre infor-mazioni, quali le condizioni generali, la presenza di patologie associate opregresse, l’esistenza e l’entità di precedenti altri interventi per carcinosi, larisposta ad eventuali terapie adiuvanti dopo trattamento del tumore primitivo(carcinosi secondarie) o neoadiuvanti (carcinosi ad evidenza primaria) e, se-condo risultati preliminari di un recente studio, l’entità dell’intervallo libero damalattia. Una serie di studi (7-8) condotti presso la Divisione di Ginecologia Oncologicadell’Università Cattolica di Roma ha dimostrato che la laparoscopia è una pro-cedura adeguata per valutare la citoriducibilità ottimale (RT < 1 cm) nelle pa-zienti affette da tumore ovarico avanzato, attraverso la valutazione di alcuniparametri di diffusione intraperitoneale di malattia quali: presenza di omen-tal cake, estesa carcinosi diaframmatica e peritoneale, retrazione dei mesi, in-filtrazione di stomaco ed intestino, metastasi superficiali a carico di fegatoe/o milza. Sulla base di un calcolo statistico, a ciascuno di questi parametri viene for-nito un punteggio pari a 2: la somma fornisce uno score laparoscopico spe-cifico per ciascuna paziente, PI (Predictive Index) che esprime la possibilitàpercentuale di citoriduzione ottimale.

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle carcinosi peritoneali

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle carcinosi peritoneali

che sufficientemente distintive da consentire di prospettarne ragionevolmentela primitività. Tuttavia anche in questi casi è consigliabile uno studio immu-noistochimico di conferma, magari utilizzando un “panel” di anticorpi relati-vamente ristretto e mirato. In ogni caso, un corretto inquadramentomorfologico della neoplasia è sempre elemento essenziale ai fini diagnostici.Ad esempio nel caso degli adenocarcinomi metastatici - che sono la causa piùfrequente di carcinosi peritoneale - vanno sempre valutati il grado di diffe-renziazione (“grading”), e la presenza di caratteristiche istologiche particolari,quali l’ architettura (ad esempio se di tipo tubulare o papillare) e la secrezionedi muco (eventualmente documentabile anche con colorazioni istochimiche),che già di per sé possono essere suggestive di una determinata primitività. La diagnostica anatomo-patologica delle carcinosi peritoneali deve quindi es-sere sempre finalizzata alla definizione delle caratteristiche cito-istomorfolo-giche (e quindi dell’ istotipo e del “grading”) della neoplasia e, specialmentenei casi in cui l’ origine della stessa non sia nota, della sua primitività. Questidue punti rappresentano di fatto “step” consecutivi di un unico iter diagnosticomirato a fornire ai clinici il massimo delle informazioni (morfologiche e biolo-giche) utili/necessarie alla impostazione della migliore strategia terapeuticaper il paziente. Va ricordato che a questo proposito è estremamente impor-tante per l’ anatomo-patologo avere a disposizione al momento dell’ invio delmateriale citologico/istologico tutti i dati relativi all’ anamnesi e agli accerta-menti diagnostici effettuati dal paziente (diagnostica per immagini, indaginiendoscopiche, “biomarkers” di laboratorio). La correlazione/integrazione delreperto morfologico con i dati clinico-anamnestici, di diagnostica strumen-tale e di laboratorio è infatti fondamentale ai fini di un corretto inquadramentodiagnostico del caso, e consente inoltre di poter effettuare uno studio im-muno-cito-istochimico più mirato. In quest’ ottica per l’anatomo-patologo l’ideale sarebbe la possibilità di accedere a tutti i dati del paziente nel caso siaattivo un sistema di cartella clinica informatizzata. In mancanza di tale even-tualità è essenziale che nelle schede di richiesta di esame citologico e/o isto-logico siano contenute tutte le informazioni rilevanti e pertinenti al caso clinico.Una corretta informazione ed una adeguata comunicazione tra i clinici e l’anatomo-patologo consente di implementare l’accuratezza diagnostica e diabbreviare la tempistica di refertazione. L’ indagine immuno-cito-istochimica, al di là delle caratteristiche propria-mente morfologiche, rimane lo strumento più importante per cercare di sta-bilire l’ origine o primitività del processo neoplastico. Nel corso degli ultimianni è notevolmente aumentato il numero di marcatori la cui espressione puòessere studiata a livello citologico e/o tissutale, utilizzando specifici anticorpi(per lo più monoclonali). Ad esempio è ormai ben noto che citocheratine di di-verso peso molecolare possono essere espresse in modo differente nelle neo-plasie epiteliali (carcinomi) a seconda della loro primitività. In quest’ otticauno “screening” iniziale si può basare semplicemente sulla valutazione dell’espressione della citocheratina 7 e della citocheratina 20. Un “pattern” cito-cheratina 7+/citocheratina 20- può suggerire, soprattutto nel caso di un ade-nocarcinoma, in primo luogo una possibile primitività polmonare, mammaria,bilio-pancreatica o uterina (endometrio), un “pattern” citocheratina 20+/cito-cheratina 7- è viceversa caratteristico del colon-retto, mentre la co-espres-sione delle due (citocheratina7+/citocheratina 20+) è più compatibile con unaprimitività bilio-pancreatica o dall’ apparato urinario. E’ inoltre importante ri-cordare come alcune neoplasie (in particolare i carcinomi epatocellulare, re-nale e prostatico) siano di regola citocheratina 7 e citocheratina 20 negativi.(Nella tabella 3 sono sinteticamente riportati i “pattern” di espressione dellacitocheratina 7 e della citocheratina 20 nelle principali neoplasie.) I dati rela-tivi all’ espressione delle citocheratine 7 e 20, qualora risultino non del tuttoconclusivi, possono essere approfonditi utilizzando anticorpi per altre cito-cheratine - citocheratine 5,6,8,18,19, e ad alto peso molecolare/HMW

(34betaE12) - allo scopo di ottenere un profilo immunofenotipico più ampio e,possibilmente, più specifico. A questo proposito ricordiamo che l’ espressionedi citocheratine HMW (unitamente a quella di p63) è caratteristica dei carci-nomi di tipo squamoso. Accanto ai diversi tipi di citocheratine è inoltre possi-bile studiare l’ espressione di altri marcatori che possono correlare, in modopiù o meno specifico, con le diverse origini o primitività. Tra i marcatori più uti-lizzati a tale scopo ricordiamo CDX2 e villina per le neoplasie del tratto gastro-enterico, TTF1 per le neoplasie tiroidee e l’ adenocarcinoma polmonare, PSAper le neoplasie della prostata, WT1 e CA125 per le neoplasie ovariche, mam-moglobina 1 per le neoplasie della mammella, i recettori di estrogeno e pro-gesterone (ER e PR) per le neoplasie mammarie e dell’ apparato genitalefemminile, e CD56/NCAM, NSE, cromogranina e sinaptofisina per i tumori(neuro)endocrini. Tra i marcatori utili ai fini diagnostico-differenziali, ricor-diamo diversi tipi di mucine, quali MUC1, MUC2 e MUC5AC (vedi TAB. 2), TFF2e metallotionina (neoplasie pancreatiche), pepsinogeno C (neoplasie gastriche)e surfactante A (neoplasie polmonari). Nella diagnosi differenziale delle carcinosi peritoneali - intese come interes-samento del peritoneo da parte di carcinomi metastatici - vanno considerateanche altre condizioni neoplastiche che possono interessare primitivamente(mesoteliomi) o secondariamente (neoplasie ematologiche, melanoma, sar-comi) il peritoneo stesso. Anche in questo caso con tecniche di immuno-cito-istochimica è possibile studiare l’ espressione di un ampio repertorio dimarcatori che consentono, unitamente ad un corretto inquadramento morfo-logico e alla disponibilità dei dati clinico-anamnestici, una adeguata e circo-stanziata definizione diagnostica del caso. A questo proposito ricordiamo l’utilità della calretinina nella diagnosi del mesotelioma, del CD45 (e degli altrimarcatori emato-linfoidi più o meno linea-specifici ) nella diagnosi delle neo-plasie di interesse ematologico, della proteina -100 e dei marcatori mela-noma-associati (HMB45, MART1) nella diagnosi del melanoma metastaticoal peritoneo.Oltre ad essere di fondamentale ausilio diagnostico la immuno-cito-istochimica (insieme con altre tecniche di biologia molecolare) consente indeterminate condizioni e in alcune particolari patologie di valutare l’ espres-sione di marcatori biologici che possono condizionare la scelta terapeutica oessere predittivi della possibile risposta ad un certo tipo di trattamento. I casipiù esemplificativi sono rappresentati dallo studio dell’ espressione (ed even-tualmente anche dello “status” di HER2) nel carcinoma della mammella - epiù recentemente anche nel carcinoma gastrico - metastatico, e di EGFr (e pa-rallelamente dello stato mutazionale di K-RAS) nel carcinoma del colon-rettometastatico.

1.7 Trattamento: L’intervento di Peritonectomia Scopo della peritonectomia è quello di asportare completamente la malattiaassieme all’involucro peritoneale, che assume duplice valenza di sede ed “ul-timo margine”della malattia stessa; tecnicamente lo stripping delle sierose av-viene secondo regole precise che soddisfano interamente i criteri dellachirurgia oncologica. La peritonectomia è concettualmente molto lontana dalsemplice debulking: é essenzialmente un intervento di citoriduzione, ma conl’obiettivo reale di asportare interamente la malattia. La chemioterapia intra-peritoneale, effettuata al termine del tempo demolitivo (intraoperatoria o po-stoperatoria precoce), costituisce l’integrazione ideale alla peritonectomia:infatti la sua azione si estrinseca nel momento di massima citoriduzione dellaneoplasia, in assenza di aderenze, e soprattutto prima che le cellule liberatesiin addome per effetto delle manovre chirurgiche si impiantino sulle superficicruentate o vengano protette dalla fisiologica deposizione di fibrina e stimo-late alla proliferazione dai mediatori chimici dell’infiammazione.

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

Recentemente, questo modello (PI) è stato adottato in un altro Centro dimo-strando così di essere uno strumento valido e riproducibile nell’identificarepazienti affette da carcinoma ovarico avanzato, suscettibili di chirurgia cito-riduttiva (7-8) (Evidenza IIa, forza della raccomandazione B).Sebbene la videolaparoscopia sia ormai da molto tempo anche un utile pre-sidio diagnostico, il suo utilizzo nelle carcinosi peritoneali è stato a lungoosteggiato per il timore che l’introduzione dei port potesse determinare con-taminazioni neoplastiche della parete, timore suffragato dall’osservazione diZoetmulder che il 52% delle recidive dopo chirurgia per pseudomixoma pe-ritonei si localizzerebbe in corrispondenza della cicatrice chirurgica. Nel 2003 è stato pubblicato il primo lavoro sulla stadiazione laparoscopicadelle carcinosi peritoneali che dimostrava la totale assenza di contaminazioneneoplastica della parete al livello dei siti di introduzione dei trocar se posizio-nati con tecnica standardizzata , ovvero: primo trocar open in assenza di con-taminazione da parte del liquido ascitico, aspirazione dell’ascite attraverso ilprimo trocar,desufflazione attraverso i trocar.(1-2-3-4) (Evidenza IIa, forzadella raccomandazione B). La VLS si è dimostrata metodica in grado di effet-tuare una valutazione completa del PCI ed acquisire informazioni predittivenon solo della prognosi, ma anche della valutazione dell’indice di citoridu-zione (1-2-3-4) (Evidenza IIa, forza della raccomandazione B), mentre nes-suna procedura non invasiva è in grado di valutare il PCI e l’indice dicitoriduzione dopo trattamento (3) (Evidenza IIa, forza della raccomandazioneB).La metodica è scevra delle complicanze e dei rischi che invece caratteriz-zano le laparotomie esplorative in neoplasie avanzate, gravate da una mor-talità operatoria che oscilla tra il 20% ed il 36% e da una morbilità cheraggiunge il 23% (5) (Evidenza IIa, forza della raccomandazione B).Su 326 laparoscopie di stadiazione con valutazione dell’indice di citoriduzioneeffettuate in carcinosi peritoneali di diversa origine è stata osservata una fat-tibilità del 99,39% anche se il 73,95% era già stato sottoposto ad una o piùlaparotomie. Le complicanze perforative sono state 2 pari allo 0,61% (1 dia-framma – 1 ileo) risolte con tecnica laparoscopica e solo nell’1,53% all’in-tervento di peritonectomia è stato evidenziato un undestaging vls primadell’introduzione nella metodica dell’ecografia laparoscopica.(1-2-3-4) (Evi-denza IIa, forza della raccomandazione B).La VLS di stadiazione permette:• la valutazione del mesentere ( lesioni superficiali e retrazioni)• la valutazione di lesioni sul margine antimesenterico • la valutazione della retrocavità, scavo pelvico, diaframmi e parete• la valutazione per settori secondo il Cancer Index con PCI assimilabile a

quello laparotomico • la Possibilità di Washing peritoneale e biopsie per la tipizzazione del tu-

more primitivo• la Valutazione predittiva dell’indice di citoriduzione dopo peritonectomia • fornisce indicazioni certe sulla “fattibilità” e sul rapporto “Costo/Benefi-

cio” della peritonectomia con HIPEC.Le indicazioni alla laparoscopia di stadiazione si sono nel tempo allargate edoggi sono:1. Staging di carcinosi già diagnosticate con metodiche di imaging ( c –Rm)2. Staging di carcinosi di origine dubbia ( biopsia tipizzante)3. Restaging dopo chemio neoadiuvante 4. Restaging in corso di follow up con imaging dubbio5. Restaging dopo chemioterpia adiuvante.(1-2-3-4) (Evidenza IIa, forza della raccomandazione B).L’evidenza clinica ha dimostrato come esistano all’interno della procedura diVLS di stadiazione alcune raccomandazioni alla tecnica di attuazione che ri-portiamo qui di seguito:

a) il primo trocar non deve essere posizionato in sede ombelicale poichéposto in questa sede non permette una buona valutazione delle lesioni deltenue in presenza di omental cake e la valutazione del tenue e del me-sotenue incide in maniera notevole sull’indice di citoriduzione ottenibilecon la peritonectomia

b) è sconsigliato l’uso dell’ago di Verres poiché non permette la visualizza-zione della parete addominale che può essere sede di impianti neoplasticio aderenze intestinali, foriero di complicanze che imporrebbero anchenei casi non arruolabili ad una laparotomia

c) sono scongeliate biopsie diaframmatiche poiché possono o essere causedi perforazione se la lesione è a tutto spessore o permettere ad una le-sione esclusivamente peritoneale di approfondirsi nel tessuto muscolarecosì da obbligare all’intervento ad una resezione diaframmatica a tuttospessore

d) in caso di settori non esplorabili evitare viscerolisi foriere di complicanzema posizionare un secondo trocar open.

(a-b-c-d) (Evidenza IIa, forza della raccomandazione B).

1.6 Anatomia Patologica e Immunoistochimica Diagnostica

La diagnosi anatomo-patologica delle carcinosi peritoneali – finalizzata inprimo luogo alla caratterizzazione cito-istomorfologica della neoplasia e alladefinizione della sua origine o primitività, qualora questa non sia già nota subase anamnestica o accertata clinicamente - si può basare su materiale ci-tologico e/o istologico. Nel primo caso il campione può essere costituito da li-quido peritoneale da paracentesi o da lavaggio. L’esame citologico di “routine”- effettuabile su preparati citologici allestiti per striscio, cito-centrifugati, sustato sottile (“thin prep”) o anche su cito-inclusi in paraffina (“cell block”)avendo a disposizione diverse metodiche di colorazione (ematossilina/eosina,Giemsa, Papanicolaou) - consente di riconoscere la presenza di cellule neo-plastiche e di definirne le caratteristiche cito-morfologiche che, a loro volta,possono essere suggestive di un certo istotipo (ad esempio adenocarcinoma),ma che generalmente non consentono una definizione certa della primitivitàdella neoplasia. Qualora il materiale lo consenta l’ esame citologico di “rou-tine” può essere integrato da uno studio immunocitochimico (effettuabile ingenere sulla stessa tipologia di preparati citologici utilizzati per lo studio ci-tomorfologico), che impiega sostanzialmente gli stessi anticorpi e le stessemetodiche di rivelazione della immunoistochimica su sezioni di tessuto. Lostudio immunocitochimico può fornire dati aggiuntivi importanti, sia ai finidella caratterizzazione degli istotipi neoplastici, sia delle possibili primitività.Stante la analogia tra gli studi di immunocitochimica e di immunoistochimica,i principali marcatori studiati verranno riportati in dettaglio più avanti nellaparte della trattazione riservata al ruolo della immunoistochimica nella dia-gnostica e nella diagnostica differenziale delle carcinosi peritoneali.Nel caso in cui vengano effettuate biopsie peritoneali (in corso di interventi inlaparoscopia o in laparotomia) si esegue in prima istanza l’ esame istologicodi “routine” (basato sulla colorazione all’ ematossilina/eosina), che già di persé fornisce informazioni essenziali sulle caratteristiche cito-istomorfologichedella neoplasia e sul suo grado di differenziazione (ad esempio adenocarci-noma, carcinoma a cellule ad “anello con castone”, carcinoma scarsamentedifferenziato), ma che in genere non è dirimente circa la possibile primitivitàdella stessa, e nella maggior parte dei casi necessita quindi di essere integratoe completato con uno studio immunoistochimico. Va tuttavia ricordato comealcune neoplasie, quali ad esempio l’ adenocarcinoma del colon-retto, il car-cinoma gastrico (specialmente se del tipo a cellule ad “anello con castone”),e il carcinoma della mammella presentino caratteristiche cito-istomorfologi-

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle carcinosi peritoneali

non soltanto alla valutazione della diffusione e della entità della malattia,ma anche alla attuazione della HIPEC, come già sottolineato i precedenza. Si procede alla conferma del bilancio di malattia già previamente effet-tuato con il work up e la video laparoscopia di stadiazione e alla pianifi-cazione dell’entità delle exeresi viscerali e parietali, unitamente alcoinvolgimento dei diaframmi.Durante la laparotomia prima dell’exeresi dei noduli, viene valutatal’estensione della malattia peritoneale, mediante il Peritoneal CancerIndex (PCI) che attraverso la stima della dimensione dei noduli nelle 13regioni in cui si suddivide l’addome, permette di ottenere uno score dellacarcinosi peritoneale (0= no tumore; 1= noduli < 0.5 mm; 2= tumorecompreso tra 0.5-5 cm; 3= tumore > 5 cm o malattia confluente). Lacompletezza della citoriduzione (CC) è valutata mediante uno score cheva da 0 a 3 (CC-0 indica nessun residuo tumorale; CC-1 indica noduli <0.25 mm; CC-2 per noduli tra 0.25 e 2.5 cm di diametro; CC-3 per no-duli > 2.5 cm).

d) peritonectomiaLa peritonectomia si attua attraverso varie fasi, sintetizzabili nel seguenteschema:• asportazione del peritoneo parietale • asportazione del peritoneo viscerale • asportazione/distruzione in situ degli impianti • linfadenectomia.d.1 Asportazione del peritoneo parietaleLa procedura di exeresi prevede l’asportazione del peritoneo che rivestela parete addominale, i diaframmi e la pelvi in maniera totale o parzialein relazione alla entità della diffusione della malattia, e la sezione dei varilegamenti e di tutte le aderenze neoplastiche e fibrose presenti. L’orientamento generale, pur se non universalmente condiviso, è quellodi asportare il peritoneo parietale interessato dagli impianti, risparmiandoi settori macroscopicamente indenni. In caso di coinvolgimento massivo della parete addominale può rendersinecessaria l’asportazione di tratti di parete a tutto spessore. Di conseguenza estese resezioni peritoneali vanno riservate alle zoneampiamente interessate dalla malattia. In caso di impianti isolati ci si puòlimitare alla resezione a “la demande” dei tratti interessati. (Livello di evi-denza IV, forza della raccomandazione C).In via generale, tuttavia, nei casi di interessamento esteso della pelvi e deidiaframmi, occorre attenersi a exeresi ampie, che prevedono la perito-nectomia pelvica e delle fosse iliache, e la peritonectomia diaframmaticain associazione alla resezione del legamento falciforme e alla estesa elet-trofolgorazione della superficie glissoniana. (Livello di evidenza IV, forzadella raccomandazione C).La resezione del legamento rotondo e falciforme in associazione alla se-zione del legamento triangolare sinistro va effettuata di principio.La peritonectomia diaframmatica è più complessa dal punto di vista tec-nico. Il peritoneo diaframmatico è tenacemente adeso alla componentemuscolare e al centro tendineo e specialmente in casi di impianti infiltrantiin profondità il rischio di aprire la cavità pleurica e di contaminarla concellule neoplastiche è concreto. In questi casi è consigliabile lasciareaperta la breccia e perfondere anche la cavità pleurica interessata, la-sciando poi un drenaggio in aspirazione. (Livello di evidenza IV, forza dellaraccomandazione C).La peritonectomia a livello dell’emidiaframma dx è più complessa. Pre-via completa mobilizzazione del fegato, il distacco del peritoneo dia-frammatico inizia dal margine della incisione laparotomica e procedeposteriormente e superiormente, con distacco della sierosa dal tessuto

muscolo-tendineo sottostante e con particolare cura nella preservazionedei vasi diaframmatici e della parete muscolare. La zona di maggiore dif-ficoltà è rappresentata dall’area di confluenza delle vene sovra epatichein cava, in corrispondenza della congiunzione fra legamento coronario elegamento falciforme. La preparazione chirurgica dell’ “area nuda” delfegato facilita la manovra. L’escissione del peritoneo posteriore va estesafino al surrene destro, scoprendo la cava nel suo decorso retroepatico.Nei casi di coinvolgimento del diaframma dx è probabile anche l’interes-samento della glissoniana epatica. In questi casi la bonifica può essereeffettuata sia mediante la asportazione di tratti di glissoniana che me-diante tecniche di distruzione in situ degli impianti, secondo le modalitàche saranno descritte in seguito. La colecisti ed il legamento rotondovanno asportati di principio in quanto siti sensibili agli impianti carcino-matosi. La peritonectomia a livello dell’emidiaframma sinistro prevede la sezionedei legamenti falciforme, rotondo coronario e triangolare sinistro. Lo scol-lamento del peritoneo inizia dal margine sinistro della ferita mediana eprocede posteriormente. La trazione contemporanea del legamento fal-ciforme e del legamento coronario e triangolare sinistro facilita l’aspor-tazione completa del settore di peritoneo. Il coinvolgimento del peritoneodiaframmatico sinistro spesso comporta anche l’interessamento dellamilza, che in questi casi deve essere asportata, completando l’escissionedel peritoneo posteriore fino al surrene sinistro. Vanno considerati come tappe della peritonectomia parietale la asporta-zione del peritoneo della retro cavità degli epiploon e la resezione delgrande e piccolo epiploon.L’asportazione del grande omento è una tappa obbligatoria, dal momentoche l’epiploon è tra le sedi più frequentemente interessate dalla diffu-sione della carcinosi. L’exeresi di questa struttura deve essere sempretotale e prevede la scheletrizzazione completa della grande curvatura ga-strica, con asportazione di tutti i vasi gastroepiploici e i vasi brevi. I vasiepiploici vanno legati e sezionati a raso della parete gastrica; la legaturaassicura una maggiore garanzia rispetto al trattamento con ultrasuoni ocon bisturi elettrico. La vena gastroepiploica dx va sezionata alla con-fluenza con la vena colica media. Il coinvolgimento del tratto di epiplooncompreso fra grande curvatura e la milza può comportare l’interessa-mento dell’ilo splenico o la presenza di linfadenopatia metastatica a que-sto livello, con necessità di effettuare la splenectomia. La resezione del piccolo omento deve per quanto possibile far rispar-miare i vasi arteriosi della piccola curvatura e i rami distali del nervo vago,al fine di non devascolarizzare e denervare eccessivamente lo stomaco. La exeresi del grande e del piccolo omento, , consentono la apertura dellagrande cavità degli epiploon e la sua esplorazione, facilitando la circola-zione del perfusato. La bonifica della retro cavità degli epiploon può prevedere la resezione delfoglietto superiore del mesocolon trasverso, del peritoneo prepancrea-tico, anche se questa manovra espone al rischo di pancreatiti post ope-ratorie, e del peritoneo della tasca di Morrison. La exeresi del peritoneo delle docce parietocoliche dx e sinistra, dei fian-chi e della parete anteriore non presenta particolari difficoltà tecniche;attenzione va posta nella verifica della integrità dei vasi epigastrici, chepossono essere fonte di importanti sanguinamenti. La asportazione del peritoneo pelvico coinvolge generalmente anchequello delle fosse iliache e si associa nella maggior parte dei casi allaexeresi di organi e strutture endopelviche comprendenti i genitali fem-minili e il retto-sigma in blocco con il peritoneo del Douglas nelle donne,il retto sigma e il peritoneo dello sfondato retto-vescicale nell’uomo. Na-

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RazionaleIl razionale alla base della exeresi peritoneale, viscerale e parietale, è quellodi rimuovere tutta la malattia macroscopicamente evidente e creare le mi-gliori condizioni per esporre gli impianti di cellule neoplastiche di minime di-mensioni eventualmente residuali, alla azione della perfusionechemioipertermica intraperitoneale (HIPEC). La peritonectomia adeguata rap-presenta il presupposto essenziale per il successo del trattamento integratoe si è rivelato fattore prognostico indipendente in tutte le forme di carcinosiperitoneali e di neoplasie primitive del peritoneo, sia sincrone che metacrone.La citoriduzione massimale costituisce il presupposto essenziale per l’azionedella chemioterapia ipertermica intraperitoneale, dal momento che questa èin grado di penetrare nei tessuti per circa 2,5 mm, risultando della massimaefficacia in presenza di residui microscopici o di dimensioni millimetriche (Evi-denza IIa, forza della raccomandazione B). Il tempo chirurgico prevede infattianche la completa adesiolisi intestinale e l’apertura di tutti i recessi endoad-dominali, fasi essenziali a garantire l’adeguata circolazione della soluzionechemioterapica nella fase di HIPEC e la esposizione ottimale ai chemiotera-pici di tutta la cavità peritoneale e del suo contenuto.La chemio ipertermia intraperitoneale (HIPEC), presidio di stretta pertinenzaloco regionale, risulta essere l’integrazione ideale dell’intervento in quanto:1) l’efficacia di molti farmaci antineoplastici, come l’adriamicina, il cisplatino,

il 5-fluorouracile e la mitomicina C, è dose-dipendente, per cui la via intra-peritoneale consente di somministrare elevate concentrazioni di farmacoper periodi anche significativi di tempo a fronte di una bassa tossicità si-stemica. Il vantaggio aumenta quanto più è bassa la costante di diffu-sione del farmaco, esito dell’interazione tra peso molecolare, volume eliposolubilità della molecola. Ad esempio il 5-fluorouracile ha dimostrato,in uno studio prospettico randomizzato, di essere più efficace nel preve-nire la carcinosi dopo chirurgia per adenocarcinoma colorettale, per viaintraperitoneale che per via sistemica

2) la componente cellulare neoplastica libera in addome è poco accessibileal farmaco infuso per via endovenosa

3) Le alte temperature, oltre ad esercitare un’azione tumoricida “per se”,sono in grado di potenziare l’assorbimento e l’azione dei farmaci fino a 4volte

4) L’azione meccanica del lavaggio continuo è, in molti casi, in grado di ne-gativizzare la citologia.

Tutte queste considerazioni annullano il “tallone di Achille” della chemiotera-pia loco-regionale che, affidando l’aggressione del tumore a meccanismi dicontatto e diffusione diretta, presuppone piccoli volumi di malattia ed uni-forme spargimento del farmaco in addome; molti dei farmaci già citati, e altricome il paclitaxel e l’oxaliplatino, hanno dimostrato in studi di fase I una buonaattitudine alla somministrazione intraperitoneale, spesso anche in regime iper-termico e in associazione con modificatori della risposta biologica. Infine èimportante sottolineare che la somministrazione intraperitoneale consenteelevate concentrazioni di farmaco anche nel fegato, che costituisce la princi-pale localizzazione ripetitiva delle neoplasie colo rettali: ciò non esclude l’op-portunità di valutare l’eventuale indicazione ad una ulteriore integrazione conchemioterapia sistemica adiuvante, qualora nel trattamento loco-regionalevengano utilizzati farmaci con elevata frazione di estrazione al primo pas-saggio epatico.

Tecnica chirurgica La procedura si sviluppa attraverso due fasi: la prima, chirurgica, finalizzataalla exeresi della malattia endoperitoneale, della durata media di 8 ore (range6-11); la seconda, di chemioipertermia intraperitoneale (HIPEC), con una du-rata variabile da 30 a 90 minuti a secondo delle tecniche e dei farmaci usati.

La procedura integrata nel suo complesso ha come scopo la radicalizzazionedella cura, il miglioramento della qualità di vita, il prolungamento della ove-rall survival (OS) e della disease free survival (DFS). L’insieme delle procedure chirurgiche utilizzate per ottenere la exeresi dellamalattia endoperitoneale, finalizzato alla riduzione quanto più possibile com-pleta delle masse neoplastiche, ha assunto la definizione di peritonectomianella accezione indicata da Paul Sugarbaker. Il termine identifica con preci-sione il significato della procedura chirurgica: asportazione del peritoneo pa-rietale e viscerale interessato dalla patologia neoplastica. La peritonectomia si avvale di svariate tecniche e tecnologie, il cui utilizzo èprogrammato in base ai distretti anatomici interessati, alla qualità e dimen-sioni degli impianti carcinomatosi, alla specifica tipologia della carcinosi intrattamento. L’esecuzione della peritonectomia necessita della disponibilità di uno stru-mentario chirurgico adeguato, che deve comprendere in particolare bisturielettrici di elevata potenza con set completi di punte di varia conformazionee dimensioni ( pallina, anse , lame), argon beam laser, ultracision®, tissuelink®, tutti presidi atti alla distruzione in situ e alla asportazione degli impiantinella loro più varia conformazione e al controllo del sanguinamento. Particolare cura deve essere posta nella emostasi, nella legatura dei vasi dasezionare e nella effettuazione delle anastomosi, tenendo conto del fatto chesuture e legature subiscono la successiva aggressione della chemioiperter-mia.Durante la peritonectomia si effettuano ampi scollamenti che richiedono emo-stasi accurata e duratura: questo rappresenta un tempo fondamentale del-l’intervento stesso e va eseguito sia prima della chemioipertermia sia,nuovamente, prima della chiusura della parete. Le legature dei vasi vanno eseguite con grande accuratezza, usando preferi-bilmente materiale non riassorbibile (seta) non soggetto a degrado nel corsodella chemioipertermia. a) Monitorizzazione

• posizionamento nella vena giugulare interna dx di un catetere ossi-metrico

• posizionamento di una probe nasogastrica per rilevamento della tem-peratura

• monitorizzazione in continuo di: gittata cardiaca, pressione arteriosa(sistolica, diastolica, media), pressione venosa centrale, stroke volume,stroke volume index, resistenza vascolare sistemica, indice della fun-zione cardiaca, volume globale e diastolico, volume ematico intratora-cico, liquido polmonare extravascolare, temperatura (venosa centralee intraesofagea)

• in alcuni Centri si consiglia il posizionamento in arteria femorale dx diun catetere per termo diluizione.

b) IncisioneIl paziente è collocato in leggera posizione litotomica. L’accesso è sem-pre effettuato mediante una completa laparotomia mediana xifo-pubica.In caso di reinterventi, la cicatrice pregressa deve essere completamenteasportata a tutto spessore, comprendendo i margini cutanei, muscoloa-poneurotici e peritoneali, sedi frequenti di diffusione della malattia se sitratta di casi già operati per forme primarie come in casi di carcinosi pe-ritoneali recidive. Anche in assenza di evidenze della letteratura, nei pazienti già trattati peril tumore primario per via laparoscopica o per quelli in cui è stata effet-tuata una laparoscopia diagnostica o di stadi azione, è buona norma va-lutare i siti di ingresso dei trocars, possibili sedi di impianti neoplastici.

c) esplorazione della cavità addominale.La completa adesiolisi rappresenta una tappa preliminare indispensabile

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle carcinosi peritoneali

tosa, sono la migliore garanzia di integrità e quindi di stimolo alla pre-servazione. Soltanto nei casi in cui l’infiltrazione coinvolge massivamentela struttura parietale dell'uretere con stenosi e dilatazione a monte, siprocederà alla resezione. In questi casi se non è contestualmente ne-cessario effettuare la cistectomia, verrà effettuata una resezione con ana-stomosi capo a capo o un reimpanto dell’uretere su doppio j. In caso di resezione di lunghi tratti ureterali monolaterali, potrà essereeffettuato un reimpianto dopo psoizazione vescicale, mentre nei casi direimpianto bilaterale potrà essere utilizzata l’opzione di una “vescica bi-lobata o bicorne”).d.6 Utero e ovaieL’isteroannessectomia è generalmente consigliabile in tutte le forme dicarcinosi dello scavo pelvico, in quanto essa permette una bonifica otti-male dello sfondato pelvico e mette al riparo da recidive in questa sede. d.7 Stomaco- duodenoNelle carcinosi da neoplasie gastriche l’exeresi parziale o totale dell’or-gano è imprescindibile.Nelle carcinosi secondarie, gli impianti carcinomatosi interessano preva-lentemente la metà inferiore del viscere in concomitanza con il coinvol-gimento del piccolo o del grande omento e della retrocavità degli epiploon.Raramente è necessario provvedere a una resezione gastrica subtotale emeno ancora ad una gastrectomia totale, dal momento che lo spessorerilevante della parete gastrica consente agevolmente la exeresi limitatadi tratti di parete a spessore totale o parziale o la distruzione in situ degliimpianti. In ogni caso le resezioni maggiori vanno limitate sia per conte-nere il rischio chirurgico che per garantire un livello adeguato di funzio-nalità intestinale, dal momento che la resezione gastrica frequentementesi associa ad altre resezioni intestinali o coliche. Le resezioni maggioridebbono debbo essere programmate esclusivamente se la prospettiva èquella di effettuare una resezione R0; la gastrectomia distale è ineludi-bile quando il coinvolgimento antropilorico determina stenosi.Il coinvolgimento del duodeno e della giunzione duodeno-digiunale rara-mente consente una bonifica efficace ed esente da rischi di fistolizza-zione e rappresenta pertanto un fattore di forte limitazione chirurgica. Incasi opportunamente valutati si può procedere a distruzioni/asportazionedei noduli, ma quando questo non risulta fattibile e quando il rischio dellastenosi è concreto, pur nel contesto di una procedura complessivamentepalliativa, occorre effettuare un by pass gastrodigiunale: ovviamente inquesti casi la peritonectomia non va effettuata.d.8 Intestino tenuePer quanto riguarda il tenue, va considerato che si tratta della strutturafra le più diffusamente coinvolte nelle carcinosi. Una corretta valutazionedella qualità e della diffusione della carcinosi consente di programmareinterventi idonei. L'entità della o delle resezioni del tenue vanno pro-grammate in relazione alla necessità di effettuare contemporaneamenteresezioni coliche o gastriche e ileo o colostomie al fine di contenere il ri-schio chirurgico, assicurare la possibilità tecnica delle necessarie ana-stomosi, consentire una adeguata funzionalità digestiva. La quantità diintestino tenue sacrificabile non dovrebbe essere maggiore di un terzodella sua lunghezza, specie se associata a colectomia e gastrectomia. E’preferibile procedere ad una unica resezione, che comprenda le partimaggiormente interessate, al fine di procedere ad una sola anastomosirestaurativa della continuità ( contenimento dei rischi di fistolizzazione).Quando persistano impianti si può procedere a distruzione in situ me-diante utilizzazione di argon laser, bisturi a pallina, tecnologia a radiofre-quenza (tissue link), asportazione locale di impianti. La stessa tecnica vautilizzata quando gli impianti del tenue sono scarsi, piccoli, prevalente-

mente superficiali e distanti fra di loro. Particolarmente difficili sono i trat-tamenti conservativi per gli impianti che coinvolgono il tenue al confinefra meso e parete intestinale: la exeresi parziale o la distruzione debbonoessere condotti con cautela e si deve in ogni caso procedere alla suturadi zone di speritoneizzazione o indebolimento della parete intestinale.d.9 Colon-rettoIl coinvolgimento del colon può comportare resezioni più o meno ampiedel viscere e pertanto possono essere realizzate sia colectomie parzialiche colectomie totali. Anche nelle forme di carcinosi di origine extra co-lica, le resezioni colo rettali vanno effettuate secondo i canoni classici; na-turalmente in questi casi la linfoadenectomia verrà indirizzata alle vie didiffusione del carcinoma primitivo. Il ricorso alla colectomia totale è piuttosto frequente. Il retto è spessocoinvolto nella sua porzione intraperitoneale, mentre è raro un interes-samento sottoperitoneale o del mesoretto tale da obbligare a resezionibasse del viscere. Sono consigliabili quando possibili resezioni colichemultiple nella filosofia dello “organ sparing”. Il coinvolgimento della pelvi e della pouch del Douglas, in profondità com-porta la necessità della resezione colo rettale bassa. La continuità inte-stinale può essere ripristinata sotto protezione di una ileo o colostomia oessere procrastinata. In caso di resezioni colo-rettali può essere opportuno non procedere allaanastomosi col retto, specie se già sono state effettuate resezioni deltenue con anastomosi, dal momento che il rischio di fistolizzazione ri-sulta notevolmente elevato, anche in relazione alla chemioipertermia con-testuale. In caso di conseguimento del livello CC0 , la ricostruzione rettaleprotetta è ammessa e consigliabile. Interventi di bonifica degli impianti colici sono difficilmente attuabili in re-lazione allo spessore relativamente sottile della parete. Le resezioni dipasticche di parete a tutto spessore, l'eccessivo ricorso alla distruzionein situ sono sconsigliabili in relazione al rischio di fistolizzazione. Le appendici epiploiche, se macroscopicamente coinvolte o se edematosee ipertrofiche vanno rimosse, curando accuratamente la emostasi e fa-cendo attenzione a non aprire il colletto di eventuali diverticoli in essecontenuti. Nell'ambito del tratto digerente, il colon risulta il viscere mag-giormente sacrificabile sia per il minore impatto funzionale, che per imaggiori vantaggi in termini di radicalità e contenimento del rischio di fi-stolizzazione, fortemente correlati alla HIPEC e alla entità della perditeematiche.Anche quando il colon risulta macroscopicamente indenne, l'appendi-cectomia deve essere effettuata di principio. d.10 Linfoadenectomia Una fase importante della peritonectomia è rappresentata dalla linfoade-nectomia loco-regionale. Nelle forme primarie la linfoadenectomia è effettuata secondo le regolespecificamente previste per le specifiche localizzazioni .Nelle forme secondarie la linfoadenectomia deve essere effettuata senegli interventi precedenti non risulta eseguita o quando si verifica la pre-senza di una recidiva anche a livello linfonodale oltre che peritoneale. In caso di interessamento del tenue, può coesistere l’interessamento dilinfonodi del mesentere: la biopsia con EIE è necessaria nell’ottica dellafattibilità e della pianificazione dell’intera procedura. La carcinosi peritoneale da neoplasie ovariche epiteliali prevede la lin-foadenectomia iliaco-otturatoria e aorto iliaca. Il significato prognostico della linfoadenectomia è di rilevante importanza:la sola effettuazione della procedura comporta un significativo aumentodella sopravvivenza.

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turalmente va attentamente valutata la possibilità di preservare il rettoogni volta che sia possibile, sia per evitare una possibile fonte di conta-minazione e di complicanze anastomotiche, sia per assicurare una mi-gliore qualità della vita. La tecnica prevede una serie di manovre eseguite per via extraperito-neale, che verranno descritte nei soggetti di sesso femminile, in quantodi più elevata complessità: sezione dei ligamenti rotondi dell’utero, pre-parazione dei vasi iliaci e degli ureteri fino ai rispettivi sbocchi in vescica,legatura delle arterie uterine all’origine, scollamento completo del peri-toneo prevescicale con sospensione della vescica completamente denu-data, preparazione e sezione circonferenziale della parete vaginale esutura della trancia residua. Se si decide per la preservazione del retto,si sezionano a questo punto i legamenti retto uterini e si completa la pe-ritonectomia pelvica con l’asportazione dello sfondato retto-uterino. Incaso di interessamento diffuso della parete del retto, si prepara lateral-mente e posteriormente il viscere al di sotto della riflessione peritoneale,creando un tunnel che consenta il passaggio di una branca della sutura-trice. Sezionato il retto si ribalta l’intero complesso retto-uterino, si se-ziona il mesoretto e, ritrovando il piano avascolare posteriore, si procedeverso l’alto lungo i vasi iliaci e preservando il plesso ipogastrico, fino al-l’emergenza dell’arteria mesenterica inferiore, che viene sezionata e le-gata. Se condotta sui corretti piani anatomici la manovra non comporta grandiperdite ematiche: può rendersi tuttavia utile in alcuni casi il clampaggiodei vasi iliaci interni. Rari sono i casi in cui il peritoneo della pelvi, ed in particolare quello dellapouch, può essere asportato con risparmio delle strutture viscerali endo-pelviche. Il peritoneo della pouch può essere resecato (Douglassectomia)quando gli impianti sono superficiali e non comportano le necessità diasportare il retto. Il distacco del peritoneo pelvico dalla vescica può com-portare la necessità di resezioni vescicali a spessore parziale o totale,mentre molto raramente si rende necessaria la cistectomia completa.d.2 Asportazione del peritoneo viscerale Il peritoneo viscerale non può essere separato dagli organi cavi che rive-ste: di conseguenza la peritonectomia viscerale prevede la asportazionedei visceri o degli organi endoperitoneali la cui sierosa peritoneale risultiinteressata dalla carcinosi. Raramente può risultare possibile la exeresidel solo peritoneo viscerale o la resezione/distruzione in situ degli im-pianti viscerali; questo si verifica quando la carcinosi è di modesta entità,non infiltra in profondità la parete viscerale ed è correlata a particolariforma anatomo patologiche (alcune forma di psuedomixoma peritonei) . Nelle citoriduzioni primarie, alle exeresi d’organo viene associata la lin-fadenectomia locoregionale. Interventi conservativi, con distruzione insitu degli impianti, sono possibili quando si tratta di lesioni di piccole di-mensioni e quando non risulta ulteriormente possibile, anche a rischio diproblemi funzionali, procedere ad ulteriori sacrifici di organi. Quando unorgano è coinvolto nella carcinosi, di regola si procede alla sua asporta-zione: pertanto splenectomia, colecistectomia, resezioni coliche o colec-tomia, resezioni gastriche, isteroannessectomia, resezioni del tenue sonole forme di exeresi più comuni. d.3 Trattamento del fegatoPer quanto riguarda il fegato, gli impianti possono interessare esclusiva-mente la glissoniana oppure possono invadere più o meno profondamenteil parenchima sottostante. La asportazione della glissoniana epatica, piùo meno estesa, o la distruzione in situ, rappresentano le tecniche mag-giormente utilizzate, mentre resezioni atipiche del parenchima perifericosono raramente necessarie per asportare impianti che infiltrano mag-

giormente in profondità. Tuttavia la resezione epatica è ammissibile, spe-cie se risultano sufficienti resezioni contenute e se la procedura com-porta una radicalità complessiva soddisfacente. In casi selezionati èammessa la resezione epatica anche per metastasi ematogene, purchèsi tratti di lesioni di piccole dimensioni, uniche, monolaterali e facilmenteresecabili. In caso di metastasi epatiche ematogene è plausibile il tratta-mento anche di lesioni multiple, se di piccole dimensioni e in numerocontenuto, mediante trattamenti di radiofrequenza intraoperatoria. Il trat-tamento delle metastasi ematogene trova comunque giustificazioneesclusivamente quando è possibile ottenere una peritonectomia con unCC score uguale a 0. Il coinvolgimento del peritoneo del legamento epatoduodenale prevede ladissezione completa degli elementi del peduncolo spinta superiormentefino alla Porta Hepatis e inferiormente fino alla testa del pancreas, con lapossibilità di effettuare anche la linfadenectomia corrispondente, indi-spensabile in caso di primitività gastrica ma utile anche in altre forme dicarcinosi quando sia evidente o sospetto un coinvolgimento linfonodale.Soltanto in casi di impianti superficiali della faccia anteriore del lega-mento può essere tecnicamente possibile una asportazione del rivesti-mento sieroso o la distruzione in situ. L'invasione diretta degli elementidel peduncolo impedisce una citoriduzione CC 0 con le conseguenti va-lutazioni sul complesso della strategia di citoriduzione.d.4 MilzaLa presenza di carcinosi a livello del grande omento, dell'emidiaframmasinistro, del legamento dell'angolo colico sinistro o della retrocavità degliepiploon comportano la possibilità di coinvolgimento del peritoneo peri-splenico, della superficie della milza o dell'ilo splenico. In tutti questi casila splenectomia è obbligatoria, e può essere variamente associata allaresezione della coda del pancreas, alla emicolectomia sinistra e trasversa,alla resezione di parete gastrica. Anche il coinvolgimento dei linfonodidell'ilo splenico è un reperto non infrequente e obbliga alla asportazionedell'organo. Massima attenzione deve essere posta alla indicazione alleresezioni pancreatiche, che vanno effettuate soltanto se considerate uni-che localizzazioni residue al conseguimento del livello CC0. In tutti gli altricasi la manovra non è giustificata dato l’incremento dell’incidenza dellecomplicanze post operatorie. d.5 Vescica e ureteriL'interessamento del peritoneo pelvico e prevescicale è frequentissimo ecomporta la asportazione del rivestimento sieroso in genere associataalla resezione di altri organi e strutture endopelviche. In relazione al gradodi invasività in profondità può essere necessario procedere a resezionidella parete vescicale solo per lesioni a tutto spessore. La indicazionealla cistectomia è rara, deve essere prevista esclusivamente in casi dimassiva infiltrazione parietale e degli sbocchi ureterali. La cistectomiacomunque va effettuata esclusivamente se il sacrificio dell'organo com-porta un CC score pari a zero e se si tratta di forme di carcinosi con pro-spettive di sopravvivenze a medio/ lungo termine.La peritonectomia pelvica prevede obbligatoriamente e preventivamentela preparazione degli ureteri; anche in casi di massiva carcinosi gli ure-teri sono in genere sempre isolabili e il loro sacrificio è e deve costituireun'eccezione. Il loro isolamento per un lungo tratto, come richiede la pe-ritonectomia, non comporta particolari rischi di lesione se viene effet-tuato con precisione e se si ha cura di preservare per quanto possibile lavascolarizzazione periureterale. Anche quando l'uretere sembra total-mente inglobato nella massa carcinomatosa, una corretta e paziente pre-parazione è in grado di preservare la struttura: le dimensioni dell'uretere,e in particolare la assenza di dilatazione a monte della zona carcinoma-

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle carcinosi peritoneali

Macchina per HIPEC e circuito La perfusione peritoneale prevede l'utilizzazione di una macchina che pre-senti le seguenti peculiarità:• un sistema di pompe• un termostato o scambiatore di calore• sistemi integrati di controllo delle temperature, delle pressioni e del flusso;• sistema di analisi dei dati mediante uno specifico programma compute-

rizzato con visualizzazione in tempo reale dei parametri e loro registra-zione

• un circuito extracorporeo (CEC). L'apparecchiatura deve essere garantita dalla normativa C.E. Vengono inoltreutilizzati una serie di termometri per la valutazione costante della temperaturaintraaddominale. Dopo l’incannulazione il dispositivo di perfusione intraperitoneale viene uti-lizzato come un circuito chiuso. Secondo il BMI della paziente, il circuito di per-fusione è stabilito usando o una soluzione di glucosata al 5% di di 2 litri/mqo soluzione fisiologica o come da protocollo di Sugarbaker soluzione da dia-lisi peritoneale di destrosio 1,5% la scelta delle soluzioni non modifica il ri-sultato finale ma deriva esclusivamente dai protocolli adottati, contenente ilchemioterapico alla dose prestabilita.I tassi di flusso vengono aggiustati per mantenere temperature stabili contemperature di influsso non superiori a 42,5°C e di efflusso non eccedenti i41°C. La temperatura corporea della paziente non deve superare i 39,5°Cusando metodi di raffreddamento passivi (spegnere i dispositivi abitudinari diriscaldamento) e attivi (tavolo operatorio raffreddato e fluidi intravenosi e in-travescicali freddi) quando necessario. La temperatura intraperitoneale è man-tenuta a 41.5°C e monitorizzata attraverso termometri inseriti nello spaziosubfrenico e nella cavità pelvica. E’ discrezionale l’uso del catetere di Swan-Ganz in sede durante l’HIPEC per monitorizzare la funzione cardiovascolare at-tualmente l’utilizzo del “Vigileo ®” permette una monitorizzazione del pazientesovrapponibile al catetere di Swan-Ganz con minori rischi. La stabilità dellatemperatira è direttamente proporzionale al flusso del perfusato che dovràessere mantenuto tra gli 800 e 1200 mml/min.Al termine della perfusione, di durata variabile a seconda dei farmaci e dei pro-tocolli utilizzati, viene aspirato completamente il liquido in addome e l’internodella cavità peritoneale viene lavato con 2-3 litri di soluzione Ringer Lattato.

Tecnica della perfusione peritoneale ipertermico antiblastica (HIPEC) Esistono due tecniche di chemioipertermia intraoperatoria, la tecnica chiusae quella aperta. Nella prima, dopo aver effettuato una peritonectomia con ci-toriduzione, aver posizionato i drenaggi e confezionato le anastomosi, la pa-rete addominale viene chiusa e iniziata la perfusione . Nella seconda, alla fine della fase demolitiva, si sospende la parete addomi-nale al divaricatore di Thompson con punti apposti sulla cute e la breccia ad-dominale viene coperta con un telo in plastica suturato anch’esso alla cute,in modo da creare una camera chiusa artificiale: attraverso una incisione sultelo l’operatore inserisce una mano e rimescola il perfusato con l’intento di farvenire a contatto di esso tutti gli organi addominali ed in modo precipuo leanse del tenue ed i mesi.Entrambe le metodiche presentano vantaggi e svantaggi: la tecnica chiusapermette sicuramente una minor perdita di calore del perfusato, con mag-giore stabilità termica, evitando temperature elevate in entrata per mante-nere una temperatura intraddominale media di 42°. La tecnica apertapermette invece un più omogeneo contatto delle anse intestinali con il che-mioterapico e consente di effettuare le anastomosi dopo la chemioterapia,diminuendo notevolmente l’incidenza di recidive anastomotiche, poiché il che-mioterapico può agire anche sui margini d’affondamento.

Nell’immediato postoperatorio si effettuano lavaggi con soluzione di destro-sio al 1,5% allo scopo di rimuovere fibrina, cellule in apoptosi post chemio-terapia e residui ematici. Lo scopo di questi lavaggi è di evitare che celluleneoplastiche non in apoptosi, quindi vitali, vengano imbrigliate dalla fibrina epossano dare esito a quelle che vengono chiamate da Sugarbaker “le catte-drali del cancro” che potrebbero nel tempo dare esito a ripresa della malat-tia.La tecnica del lavaggio addominale postoperatorio si base su tre tempi :• Chiusura con clamp di tutti i drenaggi addominali tranne quello usato

come in flow durante la perfusione.• Infusione rapida di 1000 cc di soluzione dal drenaggio di inflow• Riapertura di tutti i drenaggi.I lavaggi postoperatori vengono effettuati ogni ora fino ad avere un liquidolimpido o a lavatura di carne durante l’outflow, si proseguono poi ogni 2 oreper le prime 12h postoperatorie.

1.9 Farmacodinamica della HIPEC La prima esperienza di somministrazione intraperitoneale di farmaci antibla-stici risale al 1955 quando Weissberger e coll. pubblicarono i risultati dellasomministrazione di mostarda azotata nella cavità peritoneale di 7 donne af-fette da neoplasia dell'ovaio. Sebbene si fosse ottenuto il controllo dell'ascite,non fu evidenziata alcuna riduzione delle masse neoplastiche e la tossicità(in particolare il dolore addominale) non apparve trascurabile. Le basi teori-che della metodica sono state sviluppate negli anni '70 . Sulla base delle co-noscenze anatomiche e fisiologiche della cavità peritoneale furono elaboratidei modelli matematici attraverso i quali fu ipotizzato che la somministra-zione intraperitoneale avrebbe comportato un'esposizione a concentrazionidi farmaci “in loco” nettamente superiori a quelle ottenibili dopo sommini-strazione sistemica. Molti studi sperimentali hanno confermato questa ipo-tesi, ma il beneficio atteso dalle concentrazioni locali molte volte superiori aquelle ottenibili con la somministrazione sistemica è stato in parte vanificatodai rilievi sulla profondità di penetrazione dei farmaci nel tessuto neoplastico.Essa si è infatti rivelata piuttosto limitata: di conseguenza gli studi clinici sonostati prevalentemente condotti in pazienti con carcinosi peritoneale di piccoledimensioni o in pazienti radicalmente operati con intento adiuvante. I risultati più interessanti si sono ottenuti nelle neoplasie dell'ovaio, dove re-gimi terapeutici comprendenti somministrazione intraperitoneale di antiblasticisi sono dimostrati superiori a regimi che utilizzino gli stessi farmaci sommi-nistrati per via endovenosa. Al momento attuale il ruolo dell’HIPEC nella pratica clinica corrente è ancorada definire; rimane di fondamentale importanza, per il suo forte razionale,l’utilizzo della metodica in associazione ad intervento chirurgico di Perito-nectomia cc-0 cc-1.

FarmacocineticaL'esposizione ai farmaci è stata valutata, negli studi condotti, prendendo inconsiderazione le concentrazioni di picco, l'AUC (area sotto la curva, concen-trazione x tempo) o entrambe.Il vantaggio in termini di maggiore esposizione al farmaco dell'area coinvoltadalla neoplasia (e quindi di potenziale maggiore efficacia) può essere definitocome il rapporto tra concentrazione di farmaco nella cavità peritoneale doposomministrazione intraperitoneale e concentrazione ematica di farmaco doposomministrazione sistemica (rappresentativa della quantità di farmaco a cuivengono esposte le cellule neoplastiche per via ematica): tanto maggiore èquesto rapporto, tanto superiore è il vantaggio della metodica in termini dimaggiore esposizione della neoplasia al farmaco.

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

e) Chiusura della parete addominale -Drenaggi - posizionamento dei cate-teri per HIPECTerminata la fase di peritonectomia è indispensabile effettuare ripetutilavaggi della cavità peritoneale e una accurata revisione dell’emostasi. Prima della chiusura della parete vengono posizionati i drenaggi con iquali si effettuerà la perfusione peritoneale, la cui tecnica verrà descrittanel prossimo capitolo.In genere vengono messi a dimora 5 drenaggi polifenestrati, che con-sentono di introdurre e contemporaneamente estrarre dalla cavità la so-luzione di chemioterapico. I drenaggi sono tutti introdotti attraverso controaperture della parete ad-dominale e in genere sono posizionati con le seguenti modalità:• n 1 introdotto al disotto dell'arcata costale dx, è posizionato sotto ildiaframma e al di sopra del margine superiore del fegato

• n 2 introdotto nell’ipocondrio dx, viene posizionato in corrispondenzadella radice mesenteriale in epigastrio

• n 3 a livello della fossa iliaca dx, pelvi superiore• n 4 al di sotto dell'arcata costale sinistra, è posizionato in regione sot-todiaframmatica sin.

• n 5, a livello della fossa iliaca sinistra, pelvi inferiore.Il catetere n 2 e il n. 3 (in flow) sono collegati a raccordi ad Y e quindi allapompa della macchina per chemio ipertermia e fungeranno da ingressodella infusione: i rimanenti (out flow) saranno drenaggi di recupero delperfusato. I cateteri utilizzati per l'HIPEC sono lasciati in situ e servirannocome drenaggi per il decorso post-operatorio.Quando si adotta la tecnica ad addome chiuso, in genere le anastomosie le stomie sono effettuate prima della chiusura della laparotomia; per-tanto la sutura della parete e il confezionamento della stomia devono es-sere a perfetta tenuta al fine di evitare fuoriuscita di soluzionechemioterapica durante l'HIPEC.

1.8 HIPEC: razionale e tecnica RazionaleDiversi studi clinici hanno messo in evidenza un allungamento del tempo diprogressione e della sopravvivenza libera da malattia in pazienti affette datumore ovarico dopo utilizzo di una di una combinazione di chirurgia citori-duttiva aggressiva e chemioterapia ipertermica intraperitoneale intraopera-toria. Il razionale di tale associazione si basa sull’effetto citotossico dell’ipertermiache è determinato dalla rottura delle membrane cellulari per denaturazioneproteica, dall’incrementata permeabilità dei neovasi e dall’alterata funziona-lità dei complessi proteici recettoriali. Pertanto la sensibilità dei tumori solidi all’ipertermia è probabilmente legataalla creazione di un microambiente con basso pH, bassa tensione d’ossigeno,bassi livelli di glucosio in risposta all’alta temperatura. L’inattivazione dellecellule tumorali è tempo e temperatura dipendente, ed inizia a 40-41° C. Lecellule tumorali da linee cellulari di roditore presentano un’inattivazione espo-nenziale a partire da 43°C, mentre le linee cellulari da tumore umano sono piùsensibili ad una ipertermia moderata (41-42°C).Il tipo d’interazione tra il calore e i farmaci è stato classificato in termini di: • effetto “additivo/sopra-additivo”, quando si osserva un incremento li-

neare dell’attività citotossica del farmaco all’aumentare della temperatura(da 40.5°C a 43°C). Tale effetto si osserva con agenti alchilanti bifunzio-nali (Melphalan, Ciclofosfamide ed Ifosfamide) e composti del platino (Ci-splatino ed Oxaliplatino)

• effetto “soglia”, quando non si osserva potenziamento dell’attività cito-

tossica del farmaco al di sotto di una determinata temperatura (> 42-43°C). Tale effetto si osserva con antibiotici antitumorali come l’adriami-cina

• “indipendenza”, quando l’attività citotossica del farmaco non risulta si-gnificativamente influenzata dal variare della temperatura. Tale effetto siosserva per alcuni antimetaboliti (5-fluorouracile), alcaloidi della vinca etaxani (9). I dati attualmente disponibili indicano che i migliori effetti dichemosensibilizzazione termica per la maggior parte degli antitumoralistudiati si ottengono quando il calore e il farmaco vengono somministratisimultaneamente o con un breve intervallo intercorrente, anche se sonopresenti delle eccezioni legate fondamentalmente al meccanismo d’atti-vazione del farmaco.

L’ipertermia agisce sia aumentando la sensibilità delle cellule neoplasticheall’effetto citotossico diretto del chemioterapico (incremento della concentra-zione del farmaco in sede locale) che incrementandone la penetrazione (va-sodilatazione mediata dall’aumento della temperatura). Inoltre alcuni agentichemioterapici quali la mitomicina C, la doxorubicina e il cisplatino fra gli altri,risultano avere un potenziamento della loro capacità citotossica intrinsecadovuto all’ipertermia. Il potenziamento termico dell’attività di farmaci antiblastici si basa su modi-ficazioni indotte dal calore nella farmacodinamica e farmacocinetica del com-posto, rilevanti per il suo effetto antitumorale. Per il Melphalan, uno dei farmacipiù largamente utilizzati in studi di termo-chemioterapia sperimentale e cli-nica, sono stati proposti diversi meccanismi putativi di potenziamento iper-termico includenti l’aumento della concentrazione intracellulare di farmaco,l’alterazione della struttura quaternaria del DNA in modo da favorire il pro-cesso di alchilazione, l’interferenza con il metabolismo degli addotti farmaco-DNA e l’inibizione del loro riparo e la stabilizzazione da parte del calore delleperturbazioni indotte dal farmaco nella progressione delle cellule nel ciclo cel-lulare.Per quanto riguarda il Cisplatino, è stato dimostrato che l’aumento dell’effettocitotossico di questo composto e del suo analogo Oxaliplatino in condizioniipertermiche è conseguente ad un’aumentata formazione di addotti letali pla-tino-DNA (10). Poiché è stato osservato che l’ipertermia moderata (< 42°C) invivo è in grado di aumentare il flusso sanguigno tumorale, tale effetto po-trebbe contribuire ad incrementare il trasferimento dei farmaci al tessuto tu-morale e quindi a migliorarne l’effetto terapeutico.E’ noto che la via di diffusione più comune del tumore ovarico è quella intra-peritoneale e di conseguenza la somministrazione intraperitoneale del far-maco chemioterapico ha dunque il vantaggio di raggiungere una maggioreconcentrazione livello locale, con una minore tossicità sistemica.

TecnicaL’HIPEC viene sempre preceduta da una citoriduzione ottimale, ovvero dallarimozione di tutta la malattia macroscopicamente visibile, come descritto inprecedenza. Terminata l’asportazione chirurgica delle masse o lesioni tumorali e del peri-toneo aggredito da malattia vengono posti, attraverso la parete addominale efissati con estrema cura, i tubi per il trattamento di chemioipertermia, i drenaggie le sonde termiche (per la rilevazione delle temperature di lavaggio in entrataed in uscita dall’addome e quelle del paziente stesso: di solito, vengono posi-zionati 5 cateteri tipo French numero 29 di infusione e deflusso posizionati neiquadranti superiore e inferiori, secondo la metodica sovrariportata. La sutura della parete addominale in caso di perfusione chiusa o la coperturatotale della zona interessata con un telo chirurgico in caso di metodica aperta,impediscono la diffusione in ambiente d’eventuale dispersione aerea del pro-dotto durante il trattamento chemioterapico.

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2.1 Mesotelioma PeritonealeIl mesotelioma, nel 30-35% dei casi insorge a livello peritoneale ed in que-sta sede, che è considerata prognosticamente sfavorevole rispetto a quellapleurica, la sopravvivenza mediana evidenziata dal Registro Nazionale Me-soteliomi è di 5,2 mesi.Dei diversi studi clinici pubblicati pochi presentano numeri utili per una va-lutazione e pochissime sono le serie dedicate alla localizzazione peritoneale.

Emerge comunque una scarsa efficacia terapeutica della chemioterapia si-stemica che, anche con le combinazioni farmacologiche, presenta percen-tuali di risposte inferiori al 30%, con poche remissioni complete e modestesopravvivenze mediane. In particolare l’associazione di mitoxantrone, me-thotrexate e mitomicina-C ha prodotto in 22 pazienti con mesotelioma pleu-rico maligno (prognosticamente più favorevole di quello peritoneale) un31,8% di risposte obiettive con una mediana di sopravvivenza di 13,5 mesi.

2. Parte speciale

Il vantaggio in termini di minore esposizione sistemica (e quindi di potenzialeminore tossicità) può essere definito come il rapporto tra le concentrazionisistemiche ottenute dopo somministrazione endoperitoneale e le concentra-zioni sistemiche ottenute dopo somministrazione sistemica: tanto più bassoè tale rapporto, tanto più vantaggiosa risulterà la metodica in termini di mi-nore tossicità. Combinando la maggiore esposizione locale al farmaco con la minore espo-sizione sistemica si può stimare il vantaggio terapeutico complessivo dellametodica.Nessun farmaco, per quanto efficace, può esplicare la sua attività se non vienematerialmente a contatto con le cellule neoplastiche. E' necessario quindi chela diffusione del farmaco sia omogenea in tutta la cavità peritoneale. La mag-gior parte dei pazienti è sottoposta a interventi chirurgici che provocano quasiinevitabilmente aderenze le quali ostacolano la diffusione del farmaco. I pa-zienti con aderenze particolarmente estese non sono candidabili ad un trat-tamento intraperitoneale. Nel caso la ottimale distribuzione dei liquidi nellacavità peritoneale sia dubbia, può essere utile una valutazione con TAC effet-tuata dopo iniezione intraperitoneale di mezzo di contrasto diluito , ovvero conrilevazione scintigrafica dopo infusione di un composto marcato (general-mente albumina marcata con Te99).Studi sperimentali e clinici hanno dimostrato che è necessario utilizzare vo-lumi di liquidi sufficientemente elevati per massimizzare la probabilità di rag-giungere tutti i siti tumorali all'interno della cavità peritoneale. Nella maggiorparte dei pazienti sono necessari volumi di liquidi di 1-2 litri o superiori. Altro fattore che condiziona la distribuzione del farmaco è l'effetto della gra-vità. Nel paziente supino i fluidi tendono a raccogliersi nella pelvi, nello spa-zio retro-epatico destro e nei recessi paracolici. La superficie compresa tra leanse intestinali e la parete addominale anteriore viene a contatto con una mi-nore quantità di farmaco. Se il trattamento è somministrato durante l'inter-vento chirurgico, l'operatore può manualmente ridistribuire il farmaco.Altrimenti il paziente va istruito a cambiare frequentemente decubito (ogni15-30 minuti) durante le prime ore successive al trattamento.

Efficacia dei farmaci e volume neoplasticoI farmaci somministrati per via sistemica raggiungono la neoplasia attraversoil flusso capillare, mentre, i farmaci iniettati per via locale raggiungono la neo-plasia per diffusione diretta: il farmaco ideale deve quindi possedere buone ca-pacità di diffusione. Una volta che il farmaco è penetrato nel tessutoneoplastico, esso viene rimosso attraverso il drenaggio dei vasi capillari cheirrorano la neoplasia; reazioni chimiche, come l'alchilazione e la platinazione,svolgono un’azione secondaria. Mentre la capacità di diffusione è una carat-teristica intrinseca del farmaco, la velocità di rimozione è legata alla per-meabilità capillare, alla superficie complessiva dei vasi capillari e al flussosanguigno all'interno del tessuto neoplastico. La profondità di penetrazione è direttamente correlata alla capacità di diffu-sione e inversamente correlata alla velocità di rimozione con incremento/de-cremento non lineare. E’ possibile dimostrare matematicamente, che unfarmaco con capacità di diffusione 4 volte superiore rispetto ad un altro pe-netra il doppio di esso; allo stesso tempo se fosse possibile modificare (adesempio utilizzando farmaci vasoattivi) la velocità di eliminazione, riducen-dola ad _, la profondità di penetrazione raddoppierebbe.La profondità di penetrazione di vari farmaci è estremamente ridotta. Gli studisperimentali condotti in vivo e in vitro hanno sostanzialmente confermatoquanto ipotizzato sulla base dei modelli matematici: la penetrazione diretta deifarmaci nella neoplasia è limitata a pochi millimetri e spesso solo gli straticellulari più periferici del nodulo neoplastico vengono permeati dal farmaco.La ridotta profondità di penetrazione dei farmaci all'interno del tumore è il fat-

tore che maggiormente condiziona l'efficacia del trattamento loco regionale:farmaci efficaci per via sistemica, quando utilizzati per via intraperitoneale sidimostrano clinicamente attivi in relazione alle rispettive profondità di pene-trazione.E' stato teorizzato un effetto favorevole delle somministrazioni ripetute di far-maci. Dopo ogni somministrazione gli strati cellulari necrotizzati verrebberoeliminati e le dosi di farmaco successive agirebbero sugli strati cellulari im-mediatamente sottostanti con un progressivo decremento del volume neo-plastico. Sarebbe così possibile trattare volumi neoplastici di dimensionisuperiori alle profondità di penetrazione dei farmaci. Studi clinici (condottiprincipalmente in pazienti affette da neoplasia ovarica) hanno mostrato che ivantaggi ottenibili con la somministrazione intraperitoneale sono sostanzial-mente limitati a pazienti con piccoli volumi neoplastici presenti all'inizio deltrattamento (la situazione più favorevole è quella di pazienti con sola malat-tia microscopica). Allo stesso tempo, si è notato che il volume neoplastico non deve essere ne-cessariamente così piccolo da coincidere con la profondità di penetrazionedel farmaco. Vi è sicuramente la possibilità di ottenere risposte obiettive anchein pazienti con noduli singoli di dimensioni fino a 0.5-1 cm.

Attività del farmacoPresupposto indispensabile per l'efficacia della chemioterapia intraperitonealeè l'attività del farmaco nella patologia in trattamento. Un farmaco inattivo,resta inattivo anche se somministrato in modalità tale da consentire livelli dipicco o AUC centinaia di volte superiori a quelli ottenibili con le somministra-zioni tradizionali. Il primo parametro per poter stabilire se un farmaco può es-sere attivo per via intraperitoneale, è che abbia un attività nota per viasistemica. Farmaci sicuramente attivi possono non indurre risposte in partedei pazienti, ovvero, dopo una iniziale risposta si può avere stazionarietà oprogressione di malattia. In questo caso, la somministrazione locoregionale èappropriata se vi sono evidenze in vivo e/o in vitro che la sua attività sia dose-dipendente o tempo-dipendente. In effetti, almeno nel carcinoma dell'ovaio, vi sono evidenze da studi di faseII, che risposte possono essere reindotte con cisplatino intraperitoneale incaso di progressione dopo chemioterapia sistemica (8). Non vi è però la di-mostrazione della superiorità di questo approccio nei confronti di un tratta-mento di seconda linea convenzionale, specie se si considerano i nuovifarmaci entrati nell'uso clinico negli anni più recenti. Questi studi hanno, tut-tavia, evidenziato che una precedente risposta alla chemioterapia sistemicaè presupposto pressoché obbligato per una ulteriore risposta con terapia in-traperitoneale. Pochi studi randomizzati sono stati condotti con consolidamento intraperito-neale dopo risposta alla terapia sistemica: sebbene vi sia una modesta evi-denza che la maggiore esposizione al farmaco migliori la prognosi, tali risultatinon possono essere considerati conclusivi, e la metodica non è raccomanda-bile al di fuori di studi clinici controllati.

TossicitàLe dosi massime somministrabili sono condizionate dagli effetti tossici loco-regionali e da quelli sistemici. Gli effetti tossici sistemici (depressione midol-lare, neurotossicità, mucositi ) sono correlati alle concentrazioni plasmaticheottenibili per riassorbimento. Se questi rappresentano la tossicità dose-limi-tante, è ragionevole presumere che le concentrazioni sistemiche siano ana-loghe a quelle ottenibili con somministrazione endovenosa. Allo stesso tempoè ragionevole pensare che l'efficacia del trattamento si avvalga anche dellaquota di farmaco che raggiunge il tumore attraverso il flusso ematico. Per far-maci, come il cisplatino o il carboplatino, gravati da una tossicità locale molto

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bassa, tale meccanismo viene sfruttato appieno. Gli effetti tossici locali consistono essenzialmente in dolori addominali, peri-toniti chimiche, formazione di aderenze fino all'occlusione intestinale. La tos-sicità locale di alcuni farmaci (peritoniti chimiche e dolori addominali chenecessitano di essere trattati con oppiacei) ne rende quasi proibitivo l'uso:per ottenere tossicità accettabili è stato necessario ridurre notevolmente ledosi del farmaco, tenendo anche conto delle differenze favorevoli di concen-trazione locale dopo somministrazione intraperitoneale o sistemica (la doxo-rubicina ha evidenziato concentrazioni 60 volte superiori alla sistemica doposomministrazione intraperitoneale).

Farmaci di uso frequentea) Cisplatino e carboplatino

Il Cisplatino ha dimostrato buone capacità di penetrazione nei noduli neo-plastici con concentrazioni al centro pari a circa la metà di quelle dosa-bili alla periferia. Tali dati sono stati confermati nell'uomo: le concentrazionidi farmaco nei primi 3 millimetri di noduli peritoneali sono risultate supe-riori a quelle ottenibili con la somministrazione endovenosa. L'AUC peri-toneale ottenibile è 20-30 volte superiore all'AUC plasmatica. Negli studiclinici condotti le dosi somministrate variano da 60 a 100 mg/m2.: a que-ste dosi la tossicità locale consiste essenzialmente in dolori addominali(più frequentemente di grado 2 che colpiscono circa il 20% dei pazienti),raramente si verificano dolori di grado 4 che richiedono il trattamento conoppiacei. Gli effetti tossici sistemici sono analoghi a quelli che si verificanocon la somministrazione sistemica, ma meno frequenti.In uno studio randomizzato in cui pazienti affette da neoplasia dell'ovaiosono state trattate con cisplatino alla dose di 100 mg/m2 per via intra-peritoneale o per via endovenosa, la neutropenia di grado 3-4 si è verifi-cata nel 56% vs il 69% (p=0.002), la tossicità neuromuscolare nel 15%vs il 25% (p=0.02), il tinnito nel 7% vs il 14% (p= 0.01).Il carboplatino somministrato per via sistemica ha mostrato un'efficaciaparagonabile a quella del cisplatino con minori effetti collaterali. Sudi spe-rimentali hanno evidenziato che la clearance peritoneale del carbopla-tino è 3 volte inferiore a quella del cisplatino con una AUC nettamentesuperiore e quindi con un maggior tempo di esposizione della cellula neo-plastica; di contro la capacità di diffusione del carboplatino all'internodella neoplasia sembra notevolmente inferiore a quella del cisplatino. In uno studio retrospettivo su 65 pazienti sottoposte a terapia intraperi-toneale con cisplatino o carboplatino per neoplasia ovarica è stato notatoun numero di risposte paragonabili in pazienti con malattia microscopica(cisplatino 46% vs carboplatino 38%, p < 0.25). Nelle pazienti con ma-lattia macroscopica, il cisplatino ha dimostrato un'attività superiore sia intermini di risposte globali (71% vs 32 %, p < 0.05) che di risposte com-

plete (41% vs 11%, p < 0.1). Tali dati sono in accordo con la limitata ca-pacità di penetrazione del carboplatino nei sistemi sperimentali.

b) Mitomicina CCon la Mitomicina C somministrata per via sistemica si ottengono AUCplasmatiche e AUC nel fuido peritoneale molto simili, mentre dopo som-ministrazione intraperitoneale il rapporto tra AUC peritoneale e AUC si-stemica è circa 75: l'emivita nel liquido peritoneale è risultata di 1.3 orecon circa il 70% del farmaco assorbito durante i primi 90 minuti dallasomministrazione.. Il farmaco è prevalentemente utilizzato in corso di intervento chirurgicodi peritonectomia per carcinosi peritoneali da neoplasie dell'apparato ga-stroenterico, in perfusione associata ad ipertermia, come già descritto:sono state utilizzate dosi comprese tra 10 e 30 mg/m2. La quota di farmaco assorbita durante l'intervento è sufficiente a deter-minare tossicità sistemica prevalentemente ematologica: con le dosi piùelevate è presente una leucopenia di grado III-IV nel 25-30% dei pazienti;con le dosi più basse, raramente la tossicità ematologica supera il gradoII. Con l' associazione peritonectomia + chemio ipertermia intraoperatoriacon mitomicina C, parte dei pazienti trattati diventa lungo sopravvivente,risultato non ottenibile con i regimi di polichemioterapia sistemica più ef-ficaci. Non è però noto l'esatto ruolo del farmaco quando somministratoper via intraaddominale, non essendo stati condotti studi randomizzatiper confrontare l'efficacia del solo intervento chirurgico con quella del-l'intervento chirurgico associato alla chemioterapia intraperitoneale .

c) OxaliplatinoLa perfusione addominale con oxaliplatino è stata utilizzata in associa-zione ad intervento di peritonectomia: l'AUC peritoneale si è rivelata 15-17 volte superiore all'AUC plasmatica.Uno studio di fase I ha evidenziato che circa il 50% del farmaco vieneassorbito durante i 40 minuti della procedura di perfusione addominale:alla dose di 460 mg/m2 le concentrazioni massime del farmaco nel pe-ritoneo si sono dimostrate circa 25 volte superiori rispetto alle concen-trazioni massime plasmatiche, mentre le tossicità sistemiche legate alfarmaco erano del tutto trascurabili. In uno studio di fase II condotto in 24 pazienti con carcinosi peritonealeda neoplasia colorettale sottoposti a peritonectomia associata a perfu-sione ipertermica del’addome con oxaliplatino alla dose di 460 mg/m2(immediatamente preceduta da acido folinico e fluorouracile sommini-strati per via sistemica) si è ottenuta una sopravvivenza libera da malat-tia a 3 anni pari al 50%. In assenza di studi clinici randomizzati, non è però possibile determinarel’esatto ruolo della somministrazione endoperitoneale del farmaco.

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle carcinosi peritoneali

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nere non infiltra in profondità le sierose• la carcinosi è un evento precoce nella storia della malattia e si realizza

prima dell’invasione linfatica o vascolare• la carcinosi tende a localizzarsi in siti resecabili chirurgicamente, men-

tre il piccolo intestino rimane a lungo libero da malattia per gli attivi mo-vimenti peristaltici che dislocano le cellule neoplastiche verso le areedeputate al riassorbimento dei fluidi peritoneali.

Tali presupposti rendono lo pseudomixoma peritonei il paradigma ideale peril trattamento integrato così come ideato da Sugarbaker. Nella sua espe-rienza la chemioterapia locoregionale in un primo tempo veniva sommini-strata alcune settimane dopo l’intervento di peritonectomia, nell’ipotesi cheessa potesse interferire negativamente con i processi di guarigione. L’espe-rienza clinica ha invece dimostrato che le aderenze post-operatorie creano“sacche” di chemioterapico che, oltre ad impedire l’ottimale distribuzionedel farmaco su tutte le superfici interessate dalla neoplasia, determinano unaumento della tossicità. L’evoluzione successiva è quindi stata la chemiote-rapia post-operatoria precoce (EPIC), a partire dalla prima giornata dopo l’in-tervento, che oltre ai vantaggi oncologici già teorizzati, ha dimostrato di nonprodurre un significativo aumento della morbilità, né di ritardare i processi dicicatrizzazione delle anastomosi intestinali; peraltro alcuni farmaci come il5-fluorouracile, somministrati per via intraperitoneale precoce, hanno dimo-strato una certa capacità di inibire le aderenze chirurgiche. Nella nostra espe-rienza però, la EPIC ha dimostrato una compliance relativamente bassapoiché l’insorgenza di complicanze chiurgiche, frequenti dopo peritonecto-mia, ne compromette talora l’esecuzione. Alla fine del ’97 Sugarbaker ha in-trodotto nella pratica terapeutica delle carcinosi peritoneali lachemioipertermia intraperitoneale (IHCP), già utilizzata da autori giapponesinel trattamento del cancro gastrico, e nel’99 ha pubblicato i risultati dellasua intera esperienza sulle carcinosi appendicolari: su 385 pazienti trattati

con un follow-up medio di 37 mesi, la sopravvivenza a 5 anni era superioreall’80% quando la citoriduzione chirurgica aveva potuto essere completa oalmeno ottimale (CC-0-1). Prendendo invece in considerazione il tipo istolo-gico, la sopravvivenza delle 234 adenomucinosi disseminate (DPAM) rima-neva nell’ordine dell’80% a 5 anni, mentre crollava a circa il 25% per gliadenocarcinomi appendicolari (PMCA) e le forme ibride valutati assieme.Pregressi, specie se estesi e reiterati interventi di debulking, spostavano“l’ultimo margine” in tessuti più difficilmente aggredibili ed impattavano ne-gativamente sull’outcome oncologico (p=,001). A fronte di tali incoraggiantirisultati di sopravvivenza la mortalità era del 2%, con una incidenza di lea-kage anastomotici del 2,4% ed una morbilità di grado III/IV del 27%.

2.3 Carcinosi da Cancro del ColonLa carcinosi peritoneale è presente in circa l’8-10% dei pazienti alla primadiagnosi di carcinoma primitivo del colon ed in circa il 25% di quelli in pro-gressione. Il washing peritoneale risulta positivo in una percentuale variabile dal 3% al28%, mentre lo scraping della sierosa in corrispondenza della neoplasia hafornito la dimostrazione della presenza di cellule neoplastiche vitali e dotatedi capacità proliferativa in un range compreso tra il 15% ed il 42% dei casi. Nel corso degli ultimi decenni la prognosi del carcinoma del colon con car-cinosi peritoneale ha subito poche variazioni. Chu e Sadeghi hanno rilevatoche almeno il 25% dei pazienti va in progressione fino all’exitus senza alcunsegno di malattia extra-peritoneale, a conferma dell’ipotesi che il peritoneopossa essere considerato il margine ultimo della malattia (livello di evidenzaII, forza di raccomandazione B).L’introduzione nella pratica clinica di nuovi agenti antiblastici ha stimolato laricerca di formule di efficace integrazione tra chirurgia, chemioipertermia

Tabella 4. Evidenze sulla carcinosi Peritoneale da K Colon

Livello di evidenza Forza raccomandazione

II B Il peritoneo è il margine ultimo della malattia.

Ib AL’integrazione tra chirurgia, chemioipertermia loco-regionale e chemioterapia sistemica adiu-vante, ha portato a mediane di sopravvivenza fino a 60 mesi.

Ib A La corretta selezione dei pazienti è in grado di migliorare l’indice terapeutico.

IV CI parametri prognostici di maggior impatto sono il Peritoneal Cancer Index (PCI) e la probabilitàdi citoriduzione completa (CC).

IV CIl trattamento delle carcinosi di origine colorettale con PCI > 20 dovrebbe essere fortementesconsigliato.

Ia A L’obiettivo dell’intervento chirurgico deve essere la citoriduzione completa (CCR-0).

IIa BLe metastasi epatiche resecabili, in numero inferiore a tre, non sembrano influenzare la pro-gnosi.

IIa BLa sopravvivenza mediana della carcinosi peritoneale da carcinoma del colon trattata con chi-rurgia palliativa e chemioterapia sistemica riesce a ottenere mediane di sopravvivenza del12.6 mesi.

Ib Ala mediana di sopravvivenza è risultata pressoché doppia nel braccio sperimentale peritonec-tomia+HIPEC rispetto a quello di controllo.

IIa B Nei casi di citoriduzione completa si riscontrò una sopravvivenza a 5 anni vicina al 50%.

Ib ALa sopravvivenza a 5 anni del gruppo peritonectomia + HIPEC fu del 51% versus il 13 % deltrattamento convenzionale.

Ia APeritonectomia + HIPEC verso trattamento palliativo con un vantaggio statisticamente signifi-cativo (P<0.001) del trattamento integrato rispetto all’approccio palli.

Anche la chirurgia dei mesoteliomi peritoneali, eccetto nei casi di mesote-lioma papillare ben differenziato che ha in genere un decorso indolente e sipresta al debulking, si scontra spesso con forme aggressive e facili al san-guinamento, frequentemente caratterizzate da un coinvolgimento estesodelle sierose associato ad ascite neoplastica già al momento della prima os-servazione, che vanificano l’intento di cura ed aprono di necessità uno spi-raglio sulle integrazioni terapeutiche. Peraltro la storia naturale della malattia,così a lungo confinata nella cavità peritoneale, rende attraente e ragione-vole la chemioterapia locoregionale in pazienti selezionati con malattia mi-nima residua alla chirurgia di citoriduzione.Weissman ha trattato 20 pazienti affetti da mesotelioma peritoneale malignocon chirurgia, chemioterapia intraperitoneale e radioterapia, ottenendo unasopravvivenza mediana di 16,2 mesi. Park, integrando la citoriduzione chi-rurgica alla chemioipertermia intraperitoneale con cisplatino (dose mediana530mg – escalation dose 100-400mg/m2), a 41°C per 90 minuti nel corsodi 3 diversi trial che differivano per l’utilizzazione di chemioterapia neoadiu-vante sistemica (3 pazienti) e modificatori della risposta biologica in regimeperfusionale (2 pazienti), ha potuto osservare in 18 pazienti totali un tempomediano alla progressione di 26 mesi ed una sopravvivenza a 2 annidell’80%. Loggie, ancora con citoriduzione chirurgica e chemioipertermiacon mitomicina-C (dose totale 30mg) ad una temperatura di inflow di 40,5°Cper 2 ore, ha ottenuto in 12 pazienti con un follow-up mediano di 45,2 mesi,una sopravvivenza mediana di 36,2 mesi; la palliazione dell’ascite è statapermanente nell’86% dei pazienti. L’esperienza più ampia in letteratura de-riva da un recente studio multicentrico di fase II condotto nell’ambito dellaSocietà Italiana di Terapie Integrate Locoregionali in Oncologia: sessantaduepazienti in quattro Istituzioni trattati mediante citoriduzione chirurgica e che-mioipertermia con cisplatino (25 mg/m2/litro di perfusato) e mitomicina-C(3,3 mg/m2/litro di perfusato) o cisplatino alla stessa dose ed adriamicina(15,25mg/l) a 42,5°C per 60/90 minuti. A fronte di una citoriduzione ottimalenel 74% dei pazienti e di un follow-up medio di 20 mesi, la sopravvivenzaoverall e libera da malattia a 5 anni è stata rispettivamente pari al 54% e37%; la completezza della citoriduzione è stata significantemente associataall’outcome oncologico (p<,05).Il trattamento, potrebbe inoltre essere modulato sulla base di fattori biologicicorrelati alla sopravvivenza ed alla risposta al trattamento. Molto recente-mente un gruppo di Ricercatori della Columbia University di New York ha va-lutato il peso specifico di alcuni fattori patologici e biomolecolari sullasopravvivenza di 54 pazienti con mesotelioma peritoneale maligno ed ha tro-vato che l’istologia bifasica, l’elevato tasso mitotico e la perdita di p16 sonovariabili prognostiche indipendenti, associate ad outcome sfavorevole.In un lavoro multicentrico condotto dalla SITILO 61 pazienti (31M, 30F) di etàcompresa tra 24-72 anni (media: 51) affetti da MP, sono stati sottoposti aPeritonectomia + chemio-ipertermia-intra-peritoneale. La comparsa diascite, massa addominale o l’incremento del marcatore tumorale è statoconsiderato segno di progressione. Studi bio-molecolari e di farmacologiapreclinica sono stati condotti su materiale prelevato al momento della CCR(19 e 7 casi, rispettivamente). Una soddisfacente peritonectomia è stata pos-sibile nel 74% dei pazienti, che alla fine dell’intervento risultavano radical-mente citoridotti oppure presentavano un residuo <2,5 mm. Il follow-upmedio è attualmente di 20 mesi. Con questo regime terapeutico, la probabi-lità di sopravvivenza globale a 5 anni è del 54% e la sopravvivenza libera daprogressione del 37%.Per quanto non sembrino attuabili studi randomizzati, anche multicentrici,data l’esiguità dei casi/anno di mesotelioma peritoneale maligno osservatinelle diverse Istituzioni, gli studi di fase II sembrano indicare un considere-vole miglioramento dei tempi di sopravvivenza e della palliazione della fase

avanzata con trattamenti aggressivi a target loco-regionale. Gli sforzi do-vrebbero dunque tendere verso studi prospettici controllati ed ancora versol’individuazione di fattori biomolecolari predittivi del risultato oncologico. Biblio evidenze

2.2 Pseudomixoma Peritoneii -ADC Mucinoso dell’Appendice

Esiste ancora una grande confusione per quanto riguarda lo Pseudomixomadel Peritoneo: Ronnett nel 1995 lo descrive come “una condizione ancorapoco interpretata caratterizzata da ascite mucinosa e impianti mucinosi coin-volgenti diffusamente le superfici peritoneali”. La gran parte dei patologicontinua ad usare il termine di Pseudomixoma per riferirsi a una molteplicitàdi tumori eterogenei che porta ad un a esteso accumulo di muco in addomeed in pelvi. In realtà, pur non essendoci accordo unanime, si tende oggi acomprendere nella sindrome dello Pseudomixoma tutte le forme neoplasti-che epiteliali mucosecernenti a partenza dall’appendice. I tumori mucinosidell’appendice sono stati distinti in due gruppi: Adenomucinosi PeritonealeDisseminata (DPAM), forma a bassa aggressività generata probabilmente daun adenoma appendicolare; Carcinosi Peritoneale Mucinosa ( PMCA), a suavolta suddivisa in tre sottogruppi : ad alta, moderata, bassa differenziazione.Non bisogna quindi confondere la “sindrome da pseudomixoma” dovuta adaumento del volume addominale per accumulo di muco secreto da una neo-plasia benigna/maligna intraddominale che può dipendere anche da adc mu-cinosi del colon, ovaio e da tumori mulleriani del peritoneo ad alta produzionedi muco, con il vero “pseudo mixoma peritonei” causato esclusivamente daitumori mucinosi di origine appendicolare. Allo scopo di sistematizzare il com-plesso argomento dello pseudomixoma definiremo come “ sindrome dapseudo mixoma” tutte le carcinosi caratterizzate da produzione di voluminosemasse di muco derivanti da diverse neoplasie addominali mucosecernenti,ivi compreso l’adenocarcinoma dell’appendice, mentre come “pseudo mi-xoma” soltanto le neoplasie a bassa malignità di origine appendicolare.Per sindrome da pseudomixoma in ogni caso si intende una lenta, ma con-tinua progressione neoplastica locoregionale sino all’exitus dovuto all’azionemeccanica della mucina e, secondo Sugarbaker, il termine di pseudomixomaandrebbe riservato ad un ristretto ed omogeneo gruppo di pazienti con ade-nomucinosi associata più frequentemente ad un adenoma mucinoso del-l’appendice. Egli però propone anche una suddivisione dello pseudomixomain adenomucinosi peritoneale disseminata (Diffuse Peritoneal AdenoMuci-nosis - DPAM) e carcinosi mucinosa peritoneale (Peritoneal Mucinous Car-cinomatosis - PMCA), come estremi di uno spettro di patologie a malignitàcrescente, per le quali ipotizza anche la possibilità di una “sequenza ade-noma-carcinoma”. Il decorso lento ed indolente dello pseudomixoma, indi-pendentemente dalla sua natura, ha favorito discreti risultati di sopravvivenzaanche con trattamenti di debulking ed in particolare con interventi chirurgicidi “pulizia” addominale, intervallati da chemioterapia talora intraperitoneale,e reiterati fino a che le aderenze, lo stato generale del paziente e le compli-canze chirurgiche ne consentano l’attuazione. L’analisi retrospettiva dellaMayo Clinic su una serie di 56 pazienti trattati con approccio locoregionaleaggressivo in un arco di 26 anni e pubblicata nel ’94, stima la sopravvivenzamediana nell’ordine dei 2,5 anni, a fronte di un’ottima palliazione a brevetermine.Sugarbaker propone invece un trattamento chirurgico “regolato”, associatoa chemioterapia locoregionale, con intenti di cura, sulla base di alcune os-servazioni:• il carcinoma appendicolare è in genere a bassa aggressività biologica:

raramente metastatizza ai linfonodi, eccezionalmente al fegato ed in ge-

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle carcinosi peritoneali

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle carcinosi peritoneali

attraverso la riduzione dell’immunosoppressione neoplastica;• migliora la sintomatologia clinica spesso imponente. La riduzione del-

l’ascite e la rimozione di voluminose masse neoplastiche determinantifenomeni compressivi a carico del distretto enterocolico, comporta unimmediato beneficio (anche psicologico) per la paziente.

RaccomandazioniNonostante il tumore ovarico sia tra le neoplasie solide più chemiorespon-sive e la sopravvivenza a 5 anni sia migliorata negli ultimi anni, circa il 60%delle donne svilupperà una recidiva. In queste, la sopravvivenza a lungo ter-mine rimane modesta.Per questo motivo, sono stati proposti diversi approcci terapeutici più ag-gressivi, sia in prima linea sia sulla recidiva, come per esempio la citoridu-zione secondaria, la chemioterapia di seconda linea, la chemioterapia ad altedosi, la chemioterapia intraperitoneale (IP), l’immunoterapia e l’ormonote-rapia.In particolare, la chemioterapia IP ha avuto un notevole impulso dopo la pub-blicazione di almeno 3 studi prospettici randomizzati che dimostravano comela somministrazione, dopo chirurgia ottimale, di agenti citotossici diretta-mente nella cavità peritoneale migliorava in maniera statisticamente signi-ficativa la prognosi delle pazienti affette da carcinoma ovarico avanzato.Tuttavia, questo tipo di procedura, non associata all’ipertermia e non in ane-stesia, era gravata da una certa percentuale di complicanze, prima tra tutteil dolore riferito dalle pazienti e l’infezione nel sito di inoculo, tanto da deter-minare un abbandono del trattamento nel 54% delle pazienti. Le ragioni delsuccesso in termini prognostici sono facilmente individuabili nella possibilitàdi ottenere una più alta concentrazione dei farmaci a livello della malattiamicroscopica residua, senza però avere gli effetti di tossicità che si riscon-trano invece nelle somministrazioni endovenose ad alte dosi. Infatti, i far-maci somministrati per via intraperitoneale possono agire direttamente sullamassa tumorale, bypassando l’ostacolo della scarsa vascolarizzazione nellamalattia ed aumentando la concentrazione peri- ed intratumorale del far-maco stesso. Il Cisplatino può penetrare fino a 1-3 mm di profondità; ovvia-mente il beneficio per questa via di somministrazione è ottenibile solo incaso di residuo microscopico di malattia. Inoltre, una sufficiente quantità delfarmaco passa comunque nel circolo sistemico, garantendo dunque un certocontrollo anche sulla malattia a distanza.Bisogna comunque ricordare che l’efficacia della chemioterapia IP è condi-zionata dall’omogenea distribuzione dei farmaci nella cavità. Nelle pazientisottoposte a chirurgia citoriduttiva spesso si formano aderenze intraperito-neali che possono limitarla libera circolazione del farmaco. Pertanto, la IPintra-operatoria sembra una valida alternativa per superare questo limite.Inoltre, il trattamento in condizioni ipertermiche, aumentando la pervietà dellemembrane cellulari, consente un’aumentata concentrazione dei farmaci al-l’interno dei tessuti e delle cellule tumorali. Infatti, è stato provato che l’iper-termia è di per sé tossica; danneggia le membrane cellulari delle celluletumorali, promuove l’apoptosi aumentando la concentrazione di calcio in-tracellulare e la frammentazione del DNA. Altro meccanismo è la destabiliz-zazione della timidina chinasi 1, che è implicata nella sintesi del DNA dellecellule tumorali.In conclusione, gli effetti biofisici della CIIP sono: denaturazione delle proteinedi membrana, aumento della permeabilità vascolare ed alterazione dei com-plessi multimolecolari per la sintesi e la riparazione del DNA. Inoltre, la va-scolarizzazione nei tumori solidi è caotica, con aree a basso pH, ipossia ebassi livelli di glucosio. Tutte queste caratteristiche del microambiente con-tribuiscono a rendere i tumori solidi più suscettibili all’ipertermia. E’ statoinoltre dimostrato che ad alte temperature il Cisplatino penetra nei tessuti più

profondamente. A 40-43°, si ha un aumento delle concentrazioni intracellu-lari dei farmaci con conseguente aumento di efficacia terapeutica e un’alte-razione dei processi di riparazione del DNA, importante specialmente perquanto riguarda gli agenti alchilanti. La formazione di addotti platino-DNAdopo esposizione al Cisplatino aumenta mentre la rimozione è ridotta in con-dizioni ipertermiche, con conseguente effetto letale sulle cellule.Il punto critico di questo trattamento consiste nell’ottenere una citoriduzionecon noduli di dimensioni di pochi millimetri.

RisultatiNelle carcinosi peritoneali derivate da neoplasie non-ovariche (ad esempiocolon ed appendice), la peritonectomia, secondo i criteri di Sugarbaker, as-sociata alla chemioipertermia intra-operatoria costituisce un promettente trat-tamento loco-regionale, con sopravvivenze di rilievo e percentuali di morbilitàe mortalità contenute. Nonostante questo tipo di trattamento sia stato adot-tato successivamente per le carcinosi da tumore ovarico, negli ultimi anniquesta nuova strategia terapeutica ha ottenuto un crescente interesse, ma ipochi report di studi clinici che riguardano la CIIP dopo il debulking chirurgicopresentano alcuni limiti quali il numero relativamente piccolo di pazienti, studiretrospettivi, differenti setting clinici e differenti farmaci (tabella 5).Per contribuire ad una migliore definizione del ruolo della HIPEC durante lacitoriduzione secondaria (CRS), è stato condotto uno studio su un gruppo se-lezionato di pazienti con recidiva di carcinoma ovarico platino-sensibile, trat-tato con CRS e CIIP con Oxaliplatino seguiti da chemioterapia sistemicariportando percentuali di mortalità e morbilità pari allo zero e 30% rispetti-vamente. Una recente review di Chua et al. ha analizzato i lavori pubblicatisu CIIP e CRS nel trattamento del cancro ovario avanzato, primario o recidivo,riportando una percentuale di morbilità peri-operatoria che va dallo zero al40% ed una mortalità dallo zero al 10%. La sopravvivenza globale dopo iltrattamento varia da 22 a 64 mesi, con un aumento della mediana di tempolibero da recidiva dal 10% al 57%. Le pazienti ottimamente citoridotte mo-stravano una sopravvivenza a 5 anni da 12% a 66%. In conclusione, si puòaffermare che la CIIP associata alla CRS, costituisce un approccio promet-tente al trattamento del cancro ovarico, soprattutto se confrontato ad altritrattamenti. Le problematiche che tuttora rimangono aperte riguardano laselezione delle pazienti, l’estensione e la valutazione della carcinosi, la sceltae l’applicazione del protocollo per la chemioipertermia. Altro punto da inda-gare è se effettivamente la chemioipertermia aggiunga qualcosa dal puntodi vista prognostico nelle pazienti ottimamente citoridotte o se invece è solola chirurgia ottimale il fattore determinante. Per risolvere questo dubbio sa-rebbe necessario un confronto tra chirurgia ottimale e chirurgia e CIIP suuna casistica di adeguate dimensioni. Anche la via di somministrazione, en-dovenosa o intraperitoneale, della chemioterapia successiva potrebbe ulte-riormente influenzare i risultati.Tuttavia, se si crede nel razionale della CIIP basandosi su quello della che-mioterapia IP, in considerazione della scarsa morbidità rilevata negli studipiù recenti, non si può non considerare questo trattamento come assoluta-mente necessario tutte le volte che una paziente venga sottoposta ad una ci-toriduzione chirurgica ottimale. Solo studi prospettici randomizzati potrannorispondere con certezza a tali perplessità.

2.5 Carcinosi da Cancro dello stomacoIl carcinoma gastrico rimane la quarta neoplasia per incidenza e la secondacausa di morte al mondo, includendo circa 1.000.000 di nuovi casi per anno.In Europa, la prognosi rimane molto severa, non superando, nelle casistichepiù ampie, il 23% di sopravvivenza a 5 anni nei pazienti sottoposti solo a

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

loco-regionale e chemioterapia sistemica adiuvante, che ha portato a me-diane di sopravvivenza fino a 60 mesi (4) (livello di evidenza Ib, forza dellaraccomandazione A).

IndicazioniLa corretta selezione dei pazienti è senza dubbio in grado di migliorare l’in-dice terapeutico, tanto che in casistiche ben selezionate sono state registratepercentuali di sopravvivenza che raggiungono e talora superano il 50% a 5anni, riducendo nello stesso tempo l’incidenza delle complicanze, anch’essedirettamente correlate all’estensione della carcinosi (livello di evidenza Ib,forza della raccomandazione A).La corretta selezione dei pazienti si basa su criteri di stadiazione molto ac-curati, tra i quali la video laparoscopia rimane ancora il più attendibile (li-vello di evidenza II, forza di raccomandazione B).I parametri prognostici di maggior impatto sono il Peritoneal Cancer Index(PCI) e la probabilità di citoriduzione completa (CC). Il valore soglia del PCI chedovrebbe costituire il fattore discriminante di inclusione al trattamento, nonè univoco, essendo stati riportati in studi diversi indici di 20, 15 od anche 13assunti come cut off (livello di evidenza IV, forza della raccomandazione C).Si può comunque affermare che il trattamento delle carcinosi di origine co-lorettale con PCI > 20 dovrebbe essere fortemente sconsigliato: tuttavia que-sta non può essere considerata una regola generale, in quanto il PCIrappresenta soltanto un’indicazione al raggiungimento del CC0, che è il veroindice prognostico indipendente in tutte le carcinosi peritoneali di varia ori-gine (cfr cap. Stadiazione e Indicazioni) ((livello di evidenza IV, forza della rac-comandazione C).La presenza di occlusione intestinale rivela spesso un interessamento del-l’intestino tenue, che riduce le probabilità di una citoriduzione chirurgica ot-timale. Interventi chirurgici ripetuti, quando in presenza di carcinosi, spostano l’ul-timo margine di malattia nei tessuti extraperitoneali, rendendo ancora piùdifficile una chirurgia “regolata” ed efficace. Neoplasie indifferenziate e intervallo libero da malattia inferiore a 2 anni cor-relano sfavorevolmente con l’outcome oncologico. L’obiettivo dell’intervento chirurgico deve essere la citoriduzione completa(CCR-0). La malattia macroscopica residua minima (CCR-1), correla con unasostanziale diminuzione della sopravvivenza mediana che passa da 43 a 17mesi nell’esperienza di Verwaal (8), da 33 a 13 mesi nello studio multicen-trico di Glehen (9) e da 25 a 11 mesi nell’esperienza della SITILO (10) (livellodi evidenza Ib, forza della raccomandazione A).Le metastasi epatiche resecabili, in numero inferiore a tre, non sembranoinfluenzare la prognosi (9) (livello di evidenza IIa, forza della raccomanda-zione B) (tabella 4).

RisultatiNegli ultimi 15 anni, sono stati pubblicati i risultati di numerosi studi clinicicon i risultati del trattamento loco-regionale integrato delle carcinosi perito-neali da carcinoma del colon. La sopravvivenza mediana della carcinosi peritoneale da carcinoma del colontrattata con chirurgia palliativa e chemioterapia sistemica riesce a otteneremediane di sopravvivenza del 12.6 mesi (livello di evidenza IIa, forza dellaraccomandazione B).Verwaal ha pubblicato nel 2003 i risultati di uno studio clinico su 105 pazientirandomizzati in un braccio sperimentale trattato con Peritonectomia + HIPECe chemioterapia sistemica con 5-Fluorouracile (5-FU) ed Acido Folinico versoun braccio di controllo trattato con chirurgia di palliazione e la medesimachemioterapia sistemica. La percentuale di complicanze è stata elevata, con

8% di mortalità correlata al trattamento sperimentale e una mortalità a 6mesi uguale nei 2 bracci.Dopo un follow-up mediano di 21.6 mesi, la mediana di sopravvivenza è ri-sultata pressoché doppia nel braccio sperimentale rispetto a quello di con-trollo con una differenza statisticamente significativa (22.3 vs 12.6 mesi;P=0.032). (livello di evidenza Ib, forza della raccomandazione A).In uno studio retropettivo della Association Francaise de Chirurgie furono os-servati 523 pazienti con carcinosi peritoneale da carcinoma colo rettale trat-tati con peritonectomia + HIPEC: la mortalità operatoria risultò il 3%, lamorbilità il 30%. la sopravvivenza mediana 30,1 mesi,. Nei casi di citoridu-zione completa si riscontrò una sopravvivenza a 5 anni vicina al 50%. I fat-tori prognostici indipendenti con impatto sulla sopravvivenza all’analisimultivariata risultarono essere: esperienza del centro, PCI, chemioterapiaaiuvante. Le metastasi epatiche sincrone resecate non impattarono sulla so-pravvivenza (livello di evidenza IIa, forza della raccomandazione B)In un lavoro di Elias 96 pazienti furono divisi in due bracci, Peritonectomia +HIPEC e Chirurgia convenzionale + Chemioterapia sistemica con triplette difarmaci. In entrambi i regimi era presente oxaliplatino.La mediana di sopravvivenza del gruppo sperimentale fu di 62,7 mesi, quelladel gruppo di controllo 23,9.La sopravvivenza a 5 anni del gruppo peritonectomia + HIPEC fu del 51% ver-sus il 13 % del trattamento convenzionale (livello di evidenza Ib, forza dellaraccomandazione A).In una meta-analisi condotta su 47 lavori per un totale di circa 3.000 pa-zienti sono stati messi a confronto Peritonectomia + HIPEC verso trattamentopalliativo con un vantaggio statisticamente significativo (P<0.001) del trat-tamento integrato rispetto all’approccio palliativo (livello di evidenza Ia, forzadella raccomandazione A).

2.4 Carcinosi da Cancro dell’Ovaio IndicazioniA più di 20 anni dalla pubblicazione di Griffith (2), una recente metanalisicondotta da Bristow et al. (3) ha valutato gli effetti della chirurgia citoridut-tiva sulla sopravvivenza nel cancro ovarico avanzato. Gli autori hanno con-cluso che la citoriduzione ottimale costituisce il fattore che influenzamaggiormente la prognosi. L’introduzione di procedure chirurgiche aggiun-tive alla chirurgia standard (peritonectomia, resezione del diaframma, rese-zioni intestinali estese, splenectomia, gastrectomia parziale, resezioniepatiche, pancreatiche e resezioni renali, linfoadenectomia aortica) ha au-mentato in maniera significativa non solo il tempo libero da recidiva nellepazienti ottimamente citoridotte, ma anche la sopravvivenza globale.Il significato prognostico della chirurgia primaria di debulking può esserespiegato sulla base delle seguenti argomentazioni:• è possibile che tramite la chirurgia vengano rimossi i cloni delle cellule

fenotipicamente resistenti ai farmaci, diminuendo così la comparsa pre-coce della chemio resistenza;

• i santuari farmacologici vengono eliminati con la rimozione di grossemasse tumorali scarsamente perfuse, aumentando verosimilmente laperfusione dei chemioterapici alle cellule residue;

• la più elevata frazione di crescita che caratterizza le piccole masse tu-morali residue, meglio perfuse, favorisce un’aumentata distruzione cel-lulare da parte dei chemioterapici;

• masse più piccole richiedono verosimilmente un minor numero di ciclidi chemioterapia cosicché minori sono le probabilità di indurre farmaco-resistenza;

• l’asportazione della malattia bulky migliora le capacità immunologiche

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Tabella 5.

Autore e rivista N. pazientiCaratteristichepazienti

Farmaco per via intra-peritoneale

OS (mesi)

DFS(mesi)

OS 3 anni %

OS 5 anni%

Kim JH J surg Oncol, ‘10 18 Consolidazione PTX 72.1 49.1 84.21

Bereder J J Clin Oncol, ‘09

246 I istanza */recidivaCDDP, CDDP+DOX,CDDP + MMC

49 13 60 35

Pavlov MJEur J Surg Oncol, ‘09

56 I istanza */recidiva DOX, CDDP 38 26 nr nr

Fagotti AGynecol Oncol, ‘09

25 Recidiva OXA nr 10 nr nr

Guardiola EWorld J Surg Oncol, ‘09

47 I istanza* CDDP nr 14 63** nr

Di giorgio ACancer, ‘08

47 I istanza*/recidiva CDDP 24 20 nr 17

Bae JHGynecol Oncol, ‘07

67 I istanza* CBDCA o PTX nr nr nr 66

Cotte EWorld J Surg Oncol, ‘07

81 Recidiva CDDP 28 19 nr nr

Helm CWJ Surg Oncol, ‘07

18 Recidiva CDDP o MMC 31 10 nr nr

Lentz SSGynecol Oncol, ?07

17 I istanza* CDDP nr nr nr nr

Rufian SJ Surg Oncol, ‘06

33 I istanza*/recidiva PTX 48 nr 46 37

Raspagliesi FEur J Surg Oncol, ‘06

40 RecidivaCDDP+MMC oCDDP+DOX

32 11 nr 15

Reichman TWJ Surg Oncol, ‘05

13 I istanza* CDDP nr 15 55 nr

Gori JInt J gynecol Cancer, ‘05

29 I istanza* CDDP 64 57 nr nr

Yoshida YOncol Rep, ‘05

10 I istanza* CDDP, MMC, VP16 70.2 41.2 nr nr

Look MInt J Gynecol Cancer, ‘04

28 I istanza*CDDP+DOX o MMC+5-FU

46 17 nr nr

Ryu KSGynecol Oncol, ‘04

57 I istanza* CBDCA+interferone nr 26 nr 54

Piso PWorld J Surg Oncol, ‘04

19 I istanza*/recidiva CDDP o mitoxantrone 33 18 nr 15

Zanon CWorld J Surg, ‘04

30 Recidiva CDDP 28 17 35 12

de Breee EAnticancer res, ‘03

19 recidiva DTX 54 26 +63 42

Tanteix GAnticancer Res, ‘02

16 Recidiva CDDP nr nr 37.5 nr

Deraco MTumori, ‘01

27 Recidiva CDDP nr 16 55** nr

Cavaliere FJ Surg Oncol, ‘00

20 Recidiva CDDP, MMC 25 nr 50** nr

**: overall survival a 2 anni* stadio avanzatonr: non riportato dallo siutdioCDDP: cisplatino; DOX: doxorubicina; MMC: mitomicina C; 5-FU: 5-fluoruracile; DTX: docetaxel; CBDCA: carboplatino; OXA: oxaliplatino; PTX: paclitaxel; VP16: etoposide

Tabella 6. Evidenze nella carcinosi peritoneale da Carcinoma dello Stomaco

Livello di evidenza Forza raccomandazione

II B Esito infausto dovuto a progressione di malattia per via peritoneale

IV C Distinzione tra carcinosi all’esordio e derivanti da progressione di malattia

II B Importanza della VLS di stadiazione

II B Importanza della CT sistemica preoperatoria

II B risposta positiva alla chemioterapia sistemica è un fattore prognostico favorevole

II BLa qualità dell’exeresi chirurgica, ossia il raggiungimento della citoriduzione completa (CCR-0)è il principale fattore prognostico

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chirurgia ed il 35% in quelli trattati con chirurgia associata a chemioterapia,soprattutto neoadiuvante. Inoltre, emerge chiaramente come la diagnosi pre-coce non superi il 13% delle casistiche e che oltre il 60% dei casi trattati ap-partenga agli stadi più avanzati.Quando diagnosticato in fase di carcinosiperitoneale, il carcinoma gastrico non consente sopravvivenze mediane >2.2 mesi, come rilevato da Chu e da Sadeghi; in questa ultima casistica, il77% dei pazienti era M0, a testimoniare che l’esito infausto era dovuto so-prattutto a progressione di malattia per via peritoneale (livello di evidenza II,forza della raccomandazione B).

Comportamento biologicoLa progressione di malattia per via peritoneale è molto frequente: infatti,meno del 40% dei pazienti deceduti per carcinoma gastrico mostra metastasiepatiche al riscontro autoptico; al contrario la carcinosi peritoneale rappre-senta il quadro principale di progressione di malattia, con un’incidenza chevaria dal 53% al 60%. Anche nel recente lavoro di Sasako, l’incidenza dellacarcinosi peritoneale risulta doppia rispetto a quella delle metastasi epatichenei pazienti deceduti per progressione neoplastica.A fronte di un notevole grado d’inefficienza metastatica per quanto riguardagli impianti per via ematogena, la diffusione per via intraperitoneale risultaessere un modello molto efficiente: infatti, la citologia positiva evolve in car-cinosi peritoneale nell’80% dei casi con sopravvivenza a distanza uguale azero e rappresenta il fattore prognostico indipendente più forte e più effi-ciente dei parametri T ed N.Il diverso comportamento biologico delle cellule neoplastiche e la tendenzaa dare metastasi a distanza o diffusione locale di malattia è stato dimostratodal modello di Nishimori. Da una popolazione altamente selezionata (AZ-521)di cellule umane di cancro gastrico, sono state estratte due sottopopolazioni:AZ-H5C con alto potenziale di metastasi al fegato e AZ-P7a con un alto po-tenziale di dare diffusione peritoneale. La prima sottopopolazione è statainiettata nel peritoneo del ratto, dando luogo al tasso di diffusione perito-neale atteso, mentre la seconda, iniettata nella milza, ha dato luogo a meta-stasi nel fegato solo nel 30% dei casi, a dimostrazione che:• la diffusione peritoneale è una caratteristica anche dei tumori con scarsa

attitudine a dare metastasi ematogene• la diffusione peritoneale può essere considerata una malattia loco-re-

gionale da cellule tumorali, con scarsa capacità di dare metastasi ema-togene.

La carcinosi peritoneale da carcinoma gastrico può a ragione essere consi-derata una progressione loco-regionale di malattia e come tale affrontatacon una strategia terapeutica integrata di compartimento, comprendente laperitonectomia con gastrectomia e linfoadenectomia sistematica associatea ChemioIpertermia intraoperatoria (CIIP) (tabella 6).

IndicazioniLe corrette indicazioni all’intervento non possono prescindere da un’accuratastadiazione così come descritta nel paragrafo precedente.Analogamente ed in maniera ancora più marcata rispetto alle carcinosi pro-venienti da altri istotipi, è necessario operare una distinzione tra le carcinosiindividuate all’esordio della malattia e quelle derivanti dalla progressione dimalattia del carcinoma gastrico operato (livello di evidenza IV, forza dellaraccomandazione C).La prima è sovente affrontabile con un intervento di peritonectomia, che con-sente la citoriduzione completa (CCR-0, quindi R0), garanzia di buoni risul-tati, mentre nel secondo caso lo stato di carcinosi è complicato dalprecedente intervento e dalla quota cicatriziale da esso indotta, fattore chepeggiora in maniera notevole la possibilità della chirurgia di ottenere i me-desimi risultati.La frequente compromissione dell’intestino tenue, oltre che rappresentare ilfattore di esclusione di molti pazienti, nelle carcinosi da neoplasia gastricacostringe alla rinuncia, non essendo possibile utilizzare per la ricostruzionedella continuità digestiva anse digiunali con meso retratto o comunque af-fette da carcinosi.La VLS consente, in un’altissima percentuale di casi, di escludere i malaticon PCI troppo alto e di selezionare i pazienti suscettibili di trattamento (li-vello di evidenza II, forza della raccomandazione B),; questi vanno comunquesottoposti a chemioterapia sistemica di induzione, con almeno tre cicli diEOX (Epirubicina, Oxaliplatino, Xeloda), (livello di evidenza II forza della rac-comandazione B) alla fine dei quali viene effettuata una seconda valutazionelaparoscopica.La risposta positiva alla chemioterapia sistemica è un fattore prognosticofavorevole, come dimostrato nelle esperienze di Yonemura e Glehen, (livellodi evidenza II forza della raccomandazione B) mentre la VLS di restaging con-sente di selezionare i pazienti in base al rispettivo PCI post-trattamento si-stemico ed alla previsione di citoriduzione completa con exeresi R0.Criteri d’inclusione:• età < 65 anni• rischio operatorio non elevato• presenza di sintomi quali dolore, emorragia, perforazione, ostruzione,

ascite• assenza di metastasi epatiche • carcinosi peritoneale a piccoli noduli, tipo miliare• possibilità di resezione R0 (CCR-0).Criteri d’esclusione:• alto rischio operatorio a causa dell’età o di malattie concomitanti• tumore primitivo non resecabile• metastasi epatiche

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle carcinosi peritoneali

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• metastasi ai linfonodi di III livello• ampi impianti peritoneali sulla superficie dell’intestino tenue non rese-

cabili con le correnti tecniche di peritonectomia.

Tempi dell’interventoL’intervento viene diviso in 8 fasi:1. laparotomia e peritonectomia parietale2. peritonectomia pelvica con omentectomia, resezione colica o colecto-

mia3. peritonectomia del quadrante superiore sinistro e splenectomia4. peritonectomia del piccolo omento, colecistectomia ed eventuale rese-

zione gastrica o gastrectomia5. peritonectomia del quadrante superiore destro ed asportazione della

glissoniana6. vaporizzazione delle lesioni del margine antimesenterico del tenue e del

suo meso7. preparazione ed esecuzione della chemio ipertermia8. controllo dell’emostasi e ricostruzione della continuità del tubo dige-

rente.Nella Tabella 5 sono riportate le più recenti esperienze internazionali.La morbilità risulta piuttosto elevata in tutte le casistiche, oscillando dal 25%al 43%, mentre la mortalità varia dal 4% al 7%.Glehen (18) riporta nel 2004 una percentuale di sopravvivenza a 5 anni parial 16%, che diventa 29.4% nei pazienti con citoriduzione completa: un ri-sultato analogo è riportato da Yonemura, con percentuali di sopravvivenza a5 anni pari al 27% in una serie di malati CCR-0-CCR-1.I risultati più interessanti derivano da uno studio multicentrico dell’Associa-tion Francaise de Chirurgie , che ha raccolto nel 2008 l’esperienza di 16Centri: sono stati selezionati 159 casi di carcinosi peritoneale da neoplasiagastrica, trattati con Peritonectomia + CIIP, di questi il 44% dei casi mo-strava carcinosi sincrona alla diagnosi del tumore primitivo.La sopravvivenza globale a 5 anni è stata del 14%; dei 37 pazienti CCR-1 edei 30 pazienti CCR-2 nessuno è sopravvissuto a 2 anni, con una medianadi sopravvivenza di 4 mesi, mentre negli 85 pazienti CCR-0, la sopravvi-venza mediana è stata di 15 mesi e la sopravvivenza a 5 anni del 25%, a te-stimoniare come il fattore CCR-0 sia di fondamentale importanza sul decorsoclinico di questi pazienti.La qualità dell’exeresi chirurgica, ossia il raggiungimento della citoriduzionecompleta (CCR-0), ha rappresentato il principale fattore prognostico, comegià evidenziato da Yonemura nel 2005 (livello di evidenza II, forza della rac-comandazione B). Altri fattori significativi all’analisi univariata sono stati l’esperienza del Cen-tro e l’utilizzo di una chemioterapia pre-operatoria, che ha portato un ulte-riore significativo incremento della sopravvivenza nei casi CCR-0(livello dievidenza II, forza della raccomandazione B).

Prevenzione della carcinosi peritoneale da carcinoma dello stomacoLa presenza di cellule neoplastiche libere nel liquido di lavaggio peritoneale,l’infiltrazione della sierosa e la presenza di metastasi linfonodali, rappre-sentano fattori prognostici indipendenti che identificano i pazienti ad alto ri-schio di recidiva peritoneale. Su questi pazienti si concentrano gli sforzi perindividuare trattamenti aggiuntivi ad una resezione potenzialmente curativaal fine di migliorare la prognosi in termini di sopravvivenza e di tempo allarecidiva.L’unico studio che ha dimostrato una generica efficacia nel miglioramentodella prognosi con chemioterapia sistemica preoperatoria è il protocolloMAGIC (Medical Research Council Adjuvant Gastric Infusional Chemothe-

rapy) (21) (livello di evidenza Ib, forza della raccomandazione A), mentrenessuno studio ha dimostrato l’efficacia della chemioterapia sistemica infase adiuvante.La CIIP sembra una valida alternativa nei pazienti ad alto rischio. Nello stu-dio randomizzato di Yu (22), dopo resezione D2 per carcinoma gastrico avan-zato, nei pazienti sottoposti a chemioterapia intraperitoneale post-operatoriaprecoce con Mitomicina e 5-FU intraperitoneali è stata osservata una so-pravvivenza a 5 e 10 anni di 54.2% e 49.3%, rispettivamente verso il 40.1%ed il 36.2% del braccio di controllo, con una differenza statisticamente si-gnificativa (p=0.03) ed un’incidenza di disseminazione peritoneale del 15%nei pazienti sottoposti a chemioterapia intraperitoneale precoce rispetto al29% in quelli sottoposti solo a chirurgia(livello di evidenza Ib, forza della rac-comandazione A). Negli ultimi 10 anni, quattro studi randomizzati condotti in Giappone (23) eKorea (24) hanno valutato la CIIP come trattamento adiuvante dopo rese-zione potenzialmente curativa. Il primo di questi studi non ha identificato alcuna differenza significativa trai due bracci, probabilmente per l’esiguo numero di pazienti arruolati. Gli altritre studi randomizzati hanno al contrario dimostrato come la CIIP determiniuna riduzione dell’incidenza di recidive peritoneali (p=0.001) ed un miglio-ramento della sopravvivenza (p=0.03) in assenza di eventi avversi post-ope-ratori(livello di evidenza Ib, forza della raccomandazione A). È proprio sullabase di questi studi e sul razionale fisiopatologico della storia naturale delcarcinoma gastrico e della disseminazione peritoneale che si è deciso diproporre uno studio randomizzato multicentrico europeo per determinare ilruolo della CIIP nel prevenire la disseminazione peritoneale dopo resezionecurativa per carcinoma gastrico in pazienti ad alto rischio di recidiva perito-neale (figura 2).European Union Network of Excellence on Gastric CancerEUDRACT n. 2009-011518-98GASTRECTOMIA D2 CON PERFUSIONE IPERTERMICO-ANTIBLASTICA (CIIP)IN PAZIENTI AFFETTI DA CARCINOMA GASTRICO AD ALTO RISCHIO DI RECI-DIVA PERITONEALE

2.6 Il trattamento palliativo dell’ascite neoplastica resistente a terapia

La laparoscopia preoperatoria di stadiazione permette di valutare in manierainequivocabile i criteri di fattibilità della procedura escludendo i pazienti cheper infiltrazione massiva del tenue non possono essere avviati a peritonec-tomia.Nella nostra esperienza la totalità di questi pazienti non candidabili ad in-tervento di citoriduzione era portatore di ascite ribelle alla terapia medica erefrattaria alla chemioterapia sistemica con importanti ripercussioni sullaqualità di vita.Abbiamo quindi messo a punto una tecnica di chemioterapia ipertermica in-traperitoneale palliativa con tecnica laparoscopica allo scopo di trattare inmaniera definitiva I'ascite neoplastica e migliorare la qualità di vita dei pa-zienti con carcinosi peritoneale non passibile di peritonectomia.Attraverso un'incisione di 1 cm viene posizionato un trocar di Hasson in sedepararettale destra o sinistra, attraverso il quale l'ascite viene aspirata total-mente dalla cavità peritoneale. Dopo una viscerolisi minima che assicuri chetutti i quadranti addominali siano comunicanti tra di loro, vengono posizio-nati 3 drenaggi sec. Jackson Pratt nello scavo pelvico e in sede sottodiaframmatica destra e si-nistra (drenaggi di uscita); verrà infine posizionato un drenaggio per l’infu-sione del chemio terapico attraverso il primo trocar.

Tutti i drenaggi vengono fissati alla cute e collegati alla macchina da perfu-sione, che viene impostata per perfondere tra i 43/44° in entrata, in mododa assicurare una temperatura media di 42°a tutta la cavità peritoneale. La temperatura viene monitorizzata con 2 sonde termometriche posizio-nate sul drenaggio di ingresso e sul raccordo dei tre drenaggi di uscita, men-tre la temperatura corporea del paziente viene tenuta sotto controllomediante ulteriori 3 sonde, cutanea, timpanica e rettale o vescicale.La durata media della procedura di preparazione laparoscopica è di 60',compresa in un range tra 30'-120'.La durata della perfusione è di 90', trascorsi i quali viene effettuato il recu-pero del chemioterapico e un lavaggio con circa 2000 cc di soluzione di de-strosio 1.5% allo scopo di rimuovere tutto il farmaco residuo in cavità. Idrenaggi vengono infine collegati a buste di raccolta a caduta.La rimozione dei drenaggi nel postoperatorio avviene quando questi nonproducono per 24 h; dopo la rimozione dei drenaggi il paziente viene di-messo, di solito tra la 6° e l’8° giornata postoperatoria.Sono sempre stati usati per la perfusione i farmaci classicamente utilizzatiper la chemioipertermia dopo peritonectomia: cisplatino 50 mg/m2 e doxo-rubicina 15 mg/m2 nelle asciti sostenute da neoplasia ovarica, mesoteliomao mammella, mitomicina c 12,5 mg/m2 in quelle sostenute da neoplasia dicolon, retto e stomaco. Durante la perfusione sono stati infusi 1200 cc di plasma fresco congelatoe mantenuta una diuresi di 400 cc/h mediante somministrazione di furose-mide e infusione di soluzione fisiologica.Abbiamo trattato con questa metodica dal settembre 2001 al dicembre 2008un totale di 28 pazienti di età compresa tra 54 e 78 anni, affetti da asciteneoplastica. II volume dell'ascite superava in tutti i casi i 4 litri. Il peritoneal cancer indexera compreso tra 13 e 39.Le carcinosi da neoplasia della mammella non sono mai state trattate con

peritonectomia, poichè in questi casi la carcinosi è espressione di malattiasistemica: partendo da questa presupposto, abbiamo sottoposto al tratta-mento per ascite anche una paziente con ascite da pregresso carcinomadella mammella con PCI < 14. Non è stata osservata mortalità ne morbilità relativa alla procedura. Abbiamoosservato in tutti i casi la scomparsa completa dell'ascite e in un solo caso(paziente con carcinosi da k mammella con PCI 19) un controllo TC spiralea 337 giorni ha dimostrato una piccola falda ascitica in sede pelvica nonvalutabile clinicamente; la stessa paziente sottoposta a TC PET ha eviden-ziato negatività per malattia ad elevata attività metabolica in sede perito-neale limitatamente alla sensibilità della metodica. Le sopravvivenze piùalte,673 e 337 giorni, sono state osservate nei casi di ascite neoplastica so-stenuta da neoplasia della mammella. La HIPEC videolaparoscopica nelle asciti intrattabili ha dato nei primi 28 casitrattati ottimi risultati valutabili con la scomparsa dell’ascite in tutti i pazientie notevole miglioramento della qualità della vita con aumento medio del-l’indice di Karnofsky di 20 punti.L'uso della tecnica videolaparoscopica ha reso possibile la procedura con untrauma chirurgico limitato, dando la possibilità di trattare completamentetutta la superficie peritoneale e associando, quando necessario e a basso ri-schio, una viscerolisi laparoscopica. L’indicazione alla procedura, che va intesa a scopo esclusivamente palliativonel trattamento dell'ascite neoplastica refrattaria, va riservato ai pazientinon inseribili nei protocolli di trattamento basati su Peritonectomia + HIPEC.Unica deroga, ad oggi, può essere fatta per le pazienti affette da carcinosiperitoneale da neoplasia della mammella, considerando tale fenomeno comemalattia metastatica a distanza. La procedura descritta è stata proposta dal nostro Gruppo per la prima voltanel 2001 ed è stata oggi accreditata a livello internazionale da con nume-rose altre esperienze che confermano i nostri dati.

Figura 2. Studio randomizzato multicentrico di fase III

Biopsie positive per ADC gastrico

GCDFP-15

Metastasi a distanzaAssenza di metastasi a distanza

Gastrectomia D2 Gastrectomia D2 + HIPEC

VLS - lavaggio peritoneale

Stadiazione locoregionale Metastasi epatiche/carcinoma peritoneale

StopInfiltrazione delle sierosa/citologia+/linfoadenopatia

CHT neoadiuvante EOX-ECF

Randomizzazione

3 cicli CHT adiuv EOX - ECF

Stop

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle carcinosi peritoneali

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4. Bibliografia

3.1 Requisiti minimi strutturali e di risorse umane richiesti ai Centri dedicati alla Diagnosi e Trattamento delle Carcinosi Peritoneali

• Casi/Anno minimo richiesto. Osservati 36, Trattati 12.• Curva di Apprendimento. 25 casi come primo operatore.• Equipe Chirurgica.

Formata da Chirurghi esperti in Chirurgia Oncologica Addominale, deiquali almeno uno abbia completato uno stage in strutture accreditate cheeffettuino di routine il Trattamento Integrato delle Carcinosi Peritoneali.E’ richiesta inoltre la presenza in equipe di almeno un Chirurgo espertoin Videolaparoscopia Avanzata ed in Ecografia Videolaparoscopica

• Equipe Medica. Il Disease Management Team deve essere formato da: Oncologo Me-dico, Radiologo esperto in Diagnostica per Immagini di ultima genera-

zione, Endoscopista, Cardiologo, Pneumologo, Anestesista dedicato ingrado di gestire interventi di lunga durata e la fase di chemio ipertermiaintraoperatoria seguendo i protocolli internazionali di trattamento, Me-dico Intensivista – Rianimatore per la gestione della fase post-operato-ria precoce, Tecnico della Riabilitazione Respiratoria e Motoria,Nutrizionista, Psicologo.

• Attrezzature.Diagnostica per Immagini di ultima generazione, Attrezzature per chi-rurgia video laparoscopica avanzata, macchina per perfusione perito-neale a circuito chiuso, Bisturi elettrico ad alta potenza, Terapia IntensivaPost-Operatoria, Farmacia attrezzata per preparazione chemioterapici.

• Condivisione dei protocolli di arruolamento, trattamento chirurgico, trat-tamento medico pre intra e post operatorio, chemioterapia sistemica ne-oadiuvante e/o adiuvante.

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Pagina 251

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle carcinosi peritoneali

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-updei tumori del fegato e delle vie biliari

Criteri di appropriatezza clinicaed organizzativa nella diagnosi,terapia e follow-up dei tumori del fegato e delle vie biliari

Coordinatore: Gian Luca Grazi

M. Angelico, E. Annichiarico, A. Anselmo, A.F. Attili, P. Berloco, A. Brega, C. Catalano, E. Caturelli, A. De Santis, G. Ettorre, A. Gasbarrini, F. Giuliante, R. Guarisco, M. Milella, A. Orlacchio, C. Pozzo, P. Pugliese,

M. Siciliano, G. Tisone, G. Vennarecci

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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1. Epocarcinoma

1.1 IncidenzaIl carcinoma epatocellulare (HCC) è la quinta neoplasia in ordine di frequenzanei maschi e l’ottava per le femmine, con almeno 500.000 decessi per anno.Rappresenta circa il 90% di tutti i tumori maligni del fegato. La sua incidenzacruda nell’Unione Europea è di 8.29/100 000. Le aree geografiche come l’Asia e l’Africa sub-Sahariana, con alti tassi di epatite virale, hanno tassi di in-cidenza che raggiungono i 120 casi per 100 000. Il tumore è da 4 a 8 voltepiù comune negli uomini ed è usualmente associato con malattie epatichecroniche (epatite B, epatite C e cirrosi alcolica). La cirrosi causata dall’infezione cronica dell’epatite B incrementa il rischiodi HCC di 100 volte. Circa il 5%–30% dei pazienti portatori di infezione davirus dell’epatite C sviluppano un’epatopatia cronica, il 30% progredisceverso la cirrosi, e fra questi l’1%–2% per anno sviluppa un HCC. La co-infe-zione con l’epatite B incrementa ulteriormente il rischio. L’abuso alcolico nell’ambito di un’infezione cronica da epatite C raddoppia ilrischio di sviluppare un HCC rispetto ai pazienti unicamente portatori delvirus dell’epatite C.L’età mediana della diagnosi è fra i 50 ed i 60 anni. In Africa e Asia l’età alladiagnosi è invece inferiore e la neoplasia insorge rispettivamente nella quartae nella quinta decade di vita.In Italia il tumore del fegato ha rappresentato nel 2006 il 5,7% di tutti i de-cessi tumorali e fra gli uomini è la sesta causa di mortalità neoplastica (6,5%di tutti i decessi tumorali), mentre tra le donne ha rappresentato la settimacausa con il 4,7%. Le stime per l’Italia indicano un totale di 8.267 nuovi casidiagnosticati all’anno fra i maschi e 3.699 fra le femmine. Esiste una note-vole variabilità geografica nell’incidenza del tumore del fegato nel nostropaese che sembra mostrare un lieve aumento nelle donne mentre la morta-lità è in riduzione. La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è di poco superiore al 10% e ri-sulta essere in lieve aumento nel tempo (1).

1.2 PreamboloScreening dei pazienti “a rischio” per lo sviluppo di neoplasie epaticheÈ stato ampliamente dimostrato che i pazienti portatori di cirrosi epatica diqualunque eziologia sono a rischio aumentato per lo sviluppo di epatocarci-nomi. Lo screening per l’epatocarcinoma di questi pazienti è uno strumentoefficace e mostra dei vantaggi quando il rischio di sviluppare il tumore su-pera l’1.5%/anno per i pazienti con epatite C e lo 0,2%/anno per i pazienticon epatite B.Il solo dosaggio dell’alfa-fetoproteina manca di sensibilità e specificità peressere impiegato in maniera efficace per lo screening e la diagnosi di epa-tocarcinoma. Quindi, lo screening deve essere basato essenzialmente sul-l’ecografia. L’intervallo che viene suggerito è di 6 mesi.

Valutazione multidisciplinareI pazienti con neoplasie maligne del fegato, ma in particolare quelli portatoridi epatocarcinoma, devono essere valutati nell’ambito di gruppi multidisci-plinari. La complessità nella diagnosi e le molteplici opzioni terapeutiche ri-chiedono infatti una valutazione da parte di più specialisti. Questo dovrebbeessere lo strumento portante di una futura rete di valutazione oncologica.Lo strumento della valutazione multidisciplinare deve consistere in riunioniperiodiche, almeno quindicinali, che vedano la presenza di:

• anatomo patologo esperto in epato biliare• chirurgo epato biliare• epatologo• oncologo• radiologo• radiologo interventista.Ogni paziente portatore di epatopatia cronica deve essere caratterizzato siaattraverso la valutazione di Child, che con il calcolo del valore di MELD.

Registro neoplasie epaticheIl gruppo di lavoro auspica che sia possibile, in tempi contestuali alla crea-zione della Rete Oncologica Regionale, la creazione di un database regio-nale condiviso fra i centri, che possa funzionare on line attraverso la retetelematica, che contenga i dati dei pazienti con patologie neoplastiche epatobiliari.Lo strumento risulterebbe di utilità fondamentale per l’assistenza dei pa-zienti, sia permettendone la tracciabilità, sia per l’implementazione di pro-grammi di ricerca condivisi.Il database avrebbe carattere osservazionale sui pazienti e sulle scelte tera-peutiche effettuate.

1.3 Diagnosi – Lesione focale epaticaPazienti con pregresse neoplasieNei pazienti con anamnesi oncologica, l’ecografia addominale è la metodicadi screening da impiegare per la ricerca di possibili lesioni focali del fegato.La TC e la Risonanza magnetica (RM) devono essere intervallate in quei pa-zienti con difficoltà di valutazione ecografica.

Pazienti portatori di epatopatie cronicheNei pazienti con malattie epatiche croniche, la TC multifasica e la RM conmezzo di contrasto epatospecifico sono sicuramente le metodiche più per-formanti per verificare la presenza di noduli intraepatici, ma sono anche lepiù costose e quindi non idonee all’uso su larga scala per lo screening.Quindi anche in questo caso è l’ecografia la metodica di prima scelta per lasorveglianza periodica. La TC multifasica e la RM con mezzo di contrasto epatospecifico possono es-sere preferibili in quei pazienti a rischio oncologico superiore, come quelliportatori di coinfezione HIV-HCV, oppure negli obesi. La TC e la RM sono inoltre da preferire nei pazienti con alti valori di alfa fetoproteina o quando si sospetti comunque la presenza di un epatocarcinomama l’ecografia è negativa.L’alta specificità e sensibilità dell’ecografia con mezzo di contrasto ha resopossibile indicare questa tecnica come quella preferibile nella differenzia-zione fra noduli benigni e maligni e fra neoplasie primitive e metastatiche.Tuttavia l’esame può presentare delle limitazioni tecniche, quali il soma delpaziente da valutare. In questi casi la TC multistrato e la RM con mezzo dicontrasto epatospecifico sono da preferire.

Diagnosi di epatocarcinomaUn nodulo dovrebbe essere considerato tipico per HCC quando è ipervasco-lare nella fase arteriosa e presenta un wash out in fase portale e tardiva conuna qualunque delle tecniche radiologiche contrasto grafiche.

Pagina 255

INDICE

1. Epatocarcinoma Pagina 255

1.1 Incidenza Pagina 255

1.2 Preambolo Pagina 255

1.3 Diagnosi – lesione focale epatica Pagina 255

1.4 Grado di priorità per le malattie oncologiche Pagina 256

1.5 Terapia Pagina 257

1.6 Dotazione delle unità cliniche e volumi di attività Pagina 258

per accreditamento e definizione di eccellenza1.7 Volumi di attività Pagina 258

1.8 Requisiti qualitativi Pagina 258

1.9 Parametri di risultato Pagina 259

1.10 Follow up terapeutico Pagina 260

2. Colangiocarcinoma Pagina 260

2.1. Fattori di rischio Pagina 260

2.2 Diagnosi Pagina 260

2.3. Terapia Pagina 260

3. Percorso psicologico Pagina 261

4. Bibliografia Pagina 262

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-updei tumori del fegato e delle vie biliariRETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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La diagnosi di HCC può essere accertata senza l’uso della biopsia epaticaquando il nodulo è superiore al centimetro di diametro ed è ipervascolarenella fase arteriosa con wash out portale e tardivo a qualunque tecnica ra-diologica.Lesioni inferiori a 1 centimetro devono essere valutate da due diverse tec-niche di immagine: se entrambe mostrano un nodulo ipervascolarizzato, nellafase arteriosa con wash out portale e tardivo, il nodulo può essere conside-rato HCC. In alternativa deve essere eseguita la biopsia.La biopsia epatica dovrebbe essere eseguita con ago di 18 - 20-gauge chepossa consentire l’esecuzione di un esame istologico completo che dia in-formazioni sia sull’architettura del parenchima, sia sulle sue caratteristicheistologiche. La biopsia epatica è più sensibile del citoaspirato sia per la dia-gnosi di piccoli epatocarcinomi, che nello studio dei noduli displastici (figura1).L’ecografia addominale deve essere supportata da una metodica “pesante”di secondo livello, quale la TC trifasica o la RM com mdc epatospecifico.L’ecografia con mezzo di contrasto viene considerata come efficiente meto-dica di secondo livello, ma al momento attuale il suo impiego non può sosti-tuire l’esecuzione della TC trifasica e/o della RM con mdc epatospecifico. Ladiagnosi di HCC viene acquisita come quando il nodulo appare come iper-vascolarizzato in fase arteriosa e presenta washout in fase portale-venosa.Se, invece, il nodulo non presenta caratteristiche radiologiche tipiche, lo stu-dio deve essere proseguito con una delle metodiche di secondo livello nonancora impiegate (TC trifasica e/o RM con mdc e/o Ecografia con mdc). Neicasi che persistentemente non presentano caratteristiche radiologiche tipi-che, deve essere effettuata la biopsia del nodulo.

1.4 Grado di priorità per le malattie oncologiche (2)Priorità cliniche in campo diagnosticoGli esami diagnostici (diagnostica per immagini, endoscopia, patologia clinica)ed i trattamenti per pazienti con diagnosi accertata di patologia oncologica ocon fondato sospetto di questa patologia devono avere accoglienza prioritariarispetto ad altre patologie. Con esclusione delle emergenze in oncologia, siadi carattere chirurgico che medico, condizioni che naturalmente rivestono prio-rità temporale assoluta, nell’ambito della patologia tumorale si possono iden-tificare 4 diversi gruppi di pazienti:1) Priorità diagnostiche urgenti (entro 72 ore):

• pazienti con patologia oncologica in rapida evoluzione/sintomatica• complicanze gravi correlate ai trattamenti erogati.

2) Priorità diagnostiche per una adeguata programmazione terapeutica (entro10 gg.)• pazienti con diagnosi accertata o sospetta di patologia tumorale o di re-cidiva/ ricaduta

• pazienti in stadiazione iniziale o per recidiva/ricaduta di patologia neo-plastica

• rivalutazione in corso od alla fine di trattamento antitumorale.3. Follow-up di pazienti già trattati per patologia neoplastica (entro i limiti

definiti dalle linee-guida)4. Screening organizzato/screening opportunistico (entro i limiti definiti dalle

linee-guida).Le condizioni relative ai gruppi A e B sono prioritarie. Quelle definite come C-D non sono prioritarie: per indicazioni e tempistiche si rimanda alle linee-guidanazionali e internazionali.

I Pazienti candidati ad un percorso privilegiato, (Gruppo A e B), potrebbero es-sere identificati con metodi opportuni e di immediata riconoscibilità.La tempistica per la diagnosi cito-istologica è fondamentale ai fini di un’ade-guata stadiazione e programmazione terapeutica e deve essere estremamentecelere (massimo 7 giorni).

Priorità cliniche in campo terapeuticoIl problema dell’abbattimento delle liste di attesa terapeutiche è più complessoe non facilmente risolvibile in tempi brevi senza una profonda riorganizzazionedel sistema assistenziale. Indipendentemente dall’approccio terapeutico indi-cato (chirurgia, chemioterapia, radioterapia) si possono distinguere tipologiedifferenti di pazienti per i quali vanno considerate priorità diverse in rapportoal quadro clinico e alla evolutività/aggressività della malattia:Priorità terapeutica urgente (entro 3 gg.)• Pazienti con patologia tumorale aggressiva/rapidamente evolutiva• Paziente con patologia altamente sintomatica• Complicanze terapeutichePriorità terapeutica standard (entro 15 gg.)• Pazienti a cui sia stata diagnosticata una patologia neoplastica/recidiva tu-

morale e che necessitano di trattamento specifico.Priorità terapeutica bassa (entro 30 gg.)• Pazienti con patologia tumorale a bassa aggressività, per i quali un ritardo

nell’inizio del programma terapeutico non influenza la prognosi.

Approccio terapeutico palliativo (entro 60 gg.)Pazienti asintomatici candidati a terapie palliative per i quali non è richiestotrattamento in tempi brevi.

I gruppi A e B rappresentano le priorità terapeutiche.In questi gruppi non è comunque consentito un ritardo superiore a 3 o 15giorni rispettivamente dal termine del work-up diagnostico/stadiazione per at-tivare la procedura terapeutica ottimale.I gruppi C e D non sono priorità, ma va comunque considerata una tempisticaterapeutica da rispettare. Per quanto riguarda la radioterapia vanno presi inconsiderazione i seguenti parametri:a) Trattamenti da iniziare entro 15 giorni:

• Presenza di elementi clinici che fanno ritenere la attesa prevista po-tenzialmente a rischio di compromettere la probabilità di ottenere il ri-sultato terapeutico programmato.

• Trattamenti eseguiti con finalità sintomaticab) Trattamenti da iniziare entro 30 giorni

• Trattamenti elettivi eseguiti con finalità curativec) Trattamenti da iniziare oltre i 30 giorni

• Trattamenti adiuvanti programmati ed inseriti in strategie di terapie in-tegrate sequenziali.

1.5 TerapiaNon esiste un algoritmo terapeutico unico e accettato per il trattamento dei pa-zienti portatori di epatocarcinoma. Si riporta, di seguito, il percorso propostodal gruppo di Barcellona e denominato BCLC (3). Questo è quello che più fre-quentemente appare nelle linee guida di trattamento proposte nei Paesi occi-dentali (figura 2).I trattamenti curativi per l’HCC restano la resezione epatica, il trapianto di fe-gato e l’ablazione percutanea con radiofrequenza. La fattibilità di queste me-

Figura 1.

Nodulo Epatico

< 1 cm

HCC

> 1 cm

Biopsia

Stabile

TC trifasica con mdc oRM con mdc epatospecifico o

Ecografia con mdc *

Ipervascolarizzazione in fasearteriosa e washout in fase

portale-venosa o tardiva

* Se l’ecografia con mdc è stata la primametodica, si deve comunque accertarecon una seconda metodica (TC o RM)

NoSì

Sì No

Ipervascolarizzazione in fasearteriosa e washout in fase

portale-venosa o tardiva

Altra tecnica diimaging con mdc

(TC trifasica o RM con mdc oEcografia con mdc)

Ripetere ecografiadopo 3 mesi

Crescita/Modificazionevascolarizzazione

Studiare in accordocon le dimensioni

Figura 2.

Stadio 0PS 0, Child-Pugh A

Stadio precoce (0)Singolo < 2 cm

Singolo

Aumentata Comorbidità

Normale No Sì

Ipertensione portale/bilirubina

3 noduli ≤ 3 cm

Stadioterminale (D)

Stadio iniziale (A)Singolo o 3 noduli < 3 cm, PS 0

Stadio intermedio (B)Multinodulare, PS 0

Stadio avanzato (C)Invasione portale, N1, M1, PS 1-2

Stadio A - CPS 0-2, Child-Pugh A-B

Stadio DPS > 2, Child-Pugh C

Trattamentosintomatico

Epatocarcinoma

Trattamenti curativi

Resezione

Trattamenti palliativi

Trapianto di Fegato RF TACE Sorafenib

Pagina 256 Pagina 257

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-updei tumori del fegato e delle vie biliari

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procedure endovascolari. Le procedure interventistiche devono essere certi-ficate con le stesse modalità degli interventi chirurgici anche mediante la com-pilazione di un registro operatorio.

1.8 Requisiti qualitativiEcografia e CEUSL’esame ecografico deve essere condotto su tutto l’addome superiore, i rilievivanno opportunamente documentati e le immagini vanno archiviate per i suc-cessivi controlli. Il mezzo di contrasto (mdc) ecografico deve essere sommi-nistrato a bolo per via venosa nella quantità prevista e deve essere seguitodalla introduzione con le stesse modalità di soluzione fisiologica (10-20 ml).L’acquisizione delle immagini deve essere protratta almeno per 180’ dal-l’iniezione del mdc.

TC-RML’esame TC o RM del fegato deve comprendere immagini acquisite dalle cu-pole diaframmatiche fino alle creste iliache o, in relazione a particolari condi-zioni cliniche quali epato-splenomegalia o circoli collaterali periportali, devecomprendere anche l’addome inferiore fino alla sinfisi pubica.Le immagini devono essere ricostruite almeno a 5 mm di spessore secondopiani assiali. Ricostruzioni delle immagini secondo piani coronali e sagittali de-vono essere effettuate per rispondere a specifici quesiti clinici per guidare pro-cedure chirurgiche o di Radiologia Interventistiche. Inoltre le immagini possonoessere realizzate per la valutazione di particolari strutture quali i vasi ematicimediante la elaborazione del volume acquisito con le tecniche di angio-TC oangio-RM. Tutte le acquisizioni devono essere ottenute nella stessa fase diapnea respiratoria (o con gating respiratorio alla RM). Non è necessario som-ministrare mezzo di contrasto (mdc) per via orale alla TC se lo studio è speci-ficamente indirizzato alla valutazione del fegato. Lo studio deve sempre essereeffettuato con la somministrazione di mdc organo-iodato non ionico (alla TC)e paramagnetico, preferibilmente epatocitario specifico, (alla RM) per via ve-nosa mediante iniettore dedicato. L’iniezione del mdc deve avvenire in quan-

tità correlata al peso corporeo, alla velocità superiore a 2-2,5 ml/s e deve es-sere seguita da somministrazione con le stesse modalità di soluzione fisiolo-gica (10-20ml). Dopo l’iniezione del mdc le immagini vanno acquisite in fasearteriosa (25-35 s), portale 50-60 s) e parenchimatosa >120 s.

1.9 Parametri di risultatoI seguenti risultati sono considerati ragionevoli per centri di eccellenza:

Chirurgia (8)Mortalità operatoria (30 giorni + mortalità ospedaliera) inferiore al 3% nelleresezioni epatiche.

Procedure ablative percutanee (9)Mortalità non superiore all’1%.

1.10 Follow-up post-terapeutico

Complicanze Limite

Emorragia che necessita di trasfusione 2%

Perforazione intestinale 0,6%

Ascesso epatico 0,6%

Emotorace 0,2%

Disseminazione tumore 1%

Scompenso epatico 0,6%

Stenosi vie biliari 0,2%

Ustioni da placche 0,2%

Chirurgia

Entro 1 mese 3 mesi 6 mesi 9 mesi 12 mesi

US/TCmdc US/CEUS TCmdc/RM US/CEUS TCmdc/RM

Visita gastro/epatologica/oncologica

DOPO 1 mese 3 mesi 6 mesi 9 mesi 12 mesi

Figura 3. Radiologia Interventistica

Assenza di malattia residua Assenza di malattia residuaPersistenza di malattia

Trattamento- Ecografia epatica (eventualmente con m.d.c.) ogni 3-4 mesi fino al 12° mese- TC o RM al 6° e al 12° meseIn caso di lesioni multiple è preferibile:- TC o RM ogni 3-4 mesi fino al 12° mese

- Ecografia epatica (eventualmente con m.d.c.) ogni 3-4 mesi fino al 12° meseIn caso di lesioni multiple è preferibile:- TC o RM con m.d.c. ogni 3-4 mesi fino al 12° mese

Termoablazione(con RF, Laser o Microonde),

Crioablazione, PEI)

TACE

TC con m.d.c. a 20-30 giornidal trattamento

(o RM dinamica in caso didubbia interpretazione)

TC o RM con m.d.c. a 20-30 giorni dal trattamento

todiche deve essere sempre valutata nei pazienti che rientrano nei criteri di Mi-lano (presenza di un solo nodulo di dimensioni non superiore ai 5 centimetri onoduli multipli in numero non superiore ai 3 centimetri e di dimensione non su-periore ai 3 centimetri). La valutazione delle condizioni del paziente è effet-tuata con il Performance status e con la classificazione di Child-Pugh nelloschema riportato. È tuttavia raccomandato di classificare i pazienti con epato-carcinoma, in particolare se portatori anche di epatopatia cronica, con il valoredi MELD calcolabile online (http://optn.transplant.hrsa.gov/resources/Mel-dPeldCalculator.asp?index=98).La classificazione secondo i criteri BCLC ha sollevato negli ultimi anni diverseperplessità ed alcune definizioni sono state cambiate già nella pratica clinicacorrente. A scopo esemplicativo e per meglio chiarire il concetto, si riportanodi seguito le principali critiche mosse al sistema di Barcellona e già pubblicatinella letteratura scientifica da autori italiani (4, 5, 6, 7).a) Ipertensione portale: due studi italiani pubblicati hanno rilevato la fattibi-

lità di interventi di resezione epatica in pazienti portatori di ipertensioneportale moderata.

b) Nei pazienti in stadio 0 (HCC precoci, oppure singoli inferiori a 2 cm, o tu-mori in situ, Child A) la radiofrequenza dovrebbe sostituire la resezione.

c) Nei pazienti in stadio A (precoci, oppure singoli o fino a 3 noduli di di-mensioni non superiori a 3 cm, Child A–B) dovrebbero essere ampliate leindicazioni per la radiofrequenza e la resezione epatica.

d) Nei pazienti di stadio B (HCC intermedi, or multinodulari, Child A–B) do-vrebbero essere estese le indicazioni per la resezione chirurgica ed il tra-pianto di fegato, mentre le terapie intra-arteriose dovrebbero cambiaredalla modalità di esecuzione convenzionale a quella selettiva

Per tali motivi è indispensabile che il percorso terapeutico per i pazienti por-tatori di epatocarcinoma vengano discussi in maniera collegiale da gruppimultidisciplinari. Il gruppo di lavoro auspica l’identificazione di indicatori dioutcome per la diagnosi ed il trattamento degli epatocarcinomi, che possanoriflettere l’attività corrente e possano funzionare da monitoraggio delle atti-vità svolte sul territorio.

1.6 Dotazioni delle unità clinichee volumi di attività per accreditamento

e definizione di eccellenza (8)Non ci sono scuole di specializzazione ufficiali dedicate alla formazione di me-dici competenti nel trattamento dei pazienti portatori di epatocarcinoma. Tut-tavia la complessità dei processi diagnostico terapeutici impiegati neltrattamento dei pazienti con patologie del fegato e delle vie biliari ha portatoalla formazione di medici con competenze specifiche nel trattamento di que-sti difficili pazienti. Tale competenza dovrebbe essere comprovata dalla for-mazione professionale acquisita in centri che gestiscono alti volumi di pazienti.In particolare la complessità del trattamento della patologia neoplastica epato-biliare e la creazione di programmi di eccellenza dovrebbero essere elementiindispensabili per l’acquisizione di nuovi esperti (chirurghi e radiologi inter-ventisti epato-biliari). Il personale medico che segue i pazienti con patologieepato-biliari dovrebbe consolidare la propria esperienza e la propria cono-scenza attraverso programmi di sviluppo professionale con competenze teo-riche e pratiche che si focalizzino in particolare su questo tipo di neoplasie.

Caratteristiche degli ospedaliUn centro di eccellenza per la patologia tumorale del fegato dovrebbe esserein grado di gestire un ampia variabilità di pazienti portatori di neoplasie epato-biliari, dalle più complesse alle più comuni. In questi ospedali dovrebbero es-serci programmi di insegnamento, ricerca scientifica, controlli di qualità e

programmi di formazione professionale. Gli ospedali che non rientrano nellecaratteristiche dei centri di eccellenza, devono fornire assistenza e cura per leforme più comuni di patologie epato-biliari. Devono tuttavia avere una conso-lidata e dichiarata rete di relazioni assistenziali con centri di eccellenza perrendere più facile la valutazione dei casi clinici e l’invio dei pazienti per il trat-tamento più appropriato, per rendere possibile l’accesso a tutti i pazienti sulterritorio regionale a trattamenti di alta qualità e complessità. Questi ospedalidevono avere un ruolo fondamentale nella diagnosi iniziale delle malattie econdurre il follow up dei pazienti trattati, anche se in altre sedi della rete. Icentri destinati ad accogliere pazienti con patologie neoplastiche epato-biliaridovrebbero ricevere un’investitura ufficiale dall’amministrazione da cui di-pendono, con percorsi e responsabilità definite.I centri ospedalieri di eccellenza per questi tumori devono avere:• gruppi di valutazione multidisciplinare • disponibilità di tecniche di imaging che comprendono la radiologia con-

venzionale, l’ecografia (con Doppler e con mezzo di contrasto), la tomo-grafia computerizzata multistrato (almeno 16 strati), la risonanzamagnetica, l’angiografia e la radiologia interventistica

• endoscopia diagnostica e interventiva• sale operatorie con diagnostica per immagini intraoperatoria (radiologia e

ecografia) e possibilità di terapie ablative aggiuntive (es.: radiofrequenza)• un reparto di terapia intensiva postoperatoria• un servizio di nutrizione clinicaNei centri ospedalieri di eccellenza per questi tumori dovrebbero lavorare:• Medici epatologici con formazione specifica nel trattamento delle princi-

pali malattie epato-biliari• Chirurghi generali con formazione specifica nelle procedure epato-biliari• Radiologi con esperienza appropriata nella diagnostica per immagini delle

neoplasie epato-biliari e radiologi interventisti esperti nell’angiografia dia-gnostica e interventistica, colangiografia, gestione degli ascessi, dei san-guinamenti e nelle terapie di ablazione percutanea

• Medici rianimatori con esperienza specifica• Endoscopisti con esperienza di procedure endoscopiche avanzate delle vie

biliari• Personale infermieristico con esperienza nella gestione di problemi chi-

rurgici addominali complessi e di radiologia interventistica (es.: sepsi ad-dominale e fistole)

• Oncologi e radioterapisti• Anatomo patologi con competenza specifica nelle patologie epato-biliari• Psicologo clinico.La possibilità di accedere a sperimentazioni cliniche in cui poter inserire i pa-zienti deve essere considerato come caratterizzante per i centri di eccellenza.

1.7 Volumi di attivitàGli ospedali di eccellenza devono essere sede di centri per la diagnosi e il trat-tamento delle patologie epato-biliari con un volume di casi sufficiente a man-tenere l’esperienza del team multidisciplinare, funzionare come centro diriferimento terziario, giustificare le risorse investite e tendere ai migliori risul-tati in termine di trattamento dei pazienti. Tali centri devono seguire annual-mente un numero congruo di pazienti con epatopatie croniche con ambulatorispecificatamente organizzati. Il centro chirurgico dovrebbe eseguire almeno 35casi di chirurgia epato-biliari per anno (i casi di riferimento dovrebbero essereresezioni epatiche di uno o più segmenti e anastomosi biliodigestive). Le atti-vità devono essere certificate e verificate. I trattamenti ablativi epato-biliarimediante radiologia interventistica devono essere in numero almeno equiva-lente a quelli chirurgici, con un adeguato mix di procedure percutaneee e di

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-updei tumori del fegato e delle vie biliari

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2. Colangiocarcinoma

3. Percorso psicologico

Figura 4.

Fattori di rischio

Esami di laboratorio, Ecografia

Stadiazione

Tumore della colecistiTumore della via biliare

ERCP, PTC(citologia, biopsia)

EcoEndo, Coledocoscopia (?)

Tumore dell’ampolla

Endoscopia (biopsia)

EcoEndo, ERCP, PTC EcoEndo, ERCP, PTC

CT, RM, ERCP

Presentazione clinica

Figura 5.

Tumore delle vie biliari

Indicazione alla chirurgia

Terapia adiuvante

Resezione curativa Resezione non curativa

Resecabile Non resecabile

NoSì

Gestione e valutazionePre-operatoria

(Drenaggio biliare,Embolizzazione portale)

Intervento chirurgico

Drenaggio biliare, stentProcedure palliative

Terapia disupporto

Chemioterapia,Radioterapia, altro

La forma intraepatica di colangiocarcinoma viene trattata con resezione epa-tica dei segmenti coinvolti o dell’emifegato coinvolto. Il drenaggio biliare diroutine effettuato prima di definire la resecabilità del tumore, o comunqueprima dell’intervento chirurgico, deve essere di preferenza evitato, ma co-munque valutato caso per caso ad eccezione di alcune condizioni clinicheparticolari come la colangite acuta. L’impiego di stent di tipo metallico deveessere previsto se la sopravvivenza attesa per il paziente è superiore ai 6

mesi in quegli ammalati giudicati non operabili. Il bypass chirurgico (anasto-mosi biliodigestiva) dovrebbe essere considerato per quei pazienti con unabuona aspettativa di vita quando il primo posizionamento di uno stent non èstato efficace (grado C). Tutti i pazienti portatori di neoplasie non operabili, oche sono stati operati senza interventi radicali, o quelli portatori di recidiva, do-vrebbero essere valutati per essere inseriti in studi clinici di chemioterapiae/o radioterapia (figura 5).

2.1 Fattori di rischioColangite sclerosante (± rettocolite ulcerosa); litiasi intraepatica cronica; Ade-noma della via biliare e papillomatosi biliare, Malattia di Caroli; Cisti del cole-doco (nel 5% dei casi si trasformano, con un rischio che aumenta con l’età);Thorotrast; Fumo (10, 11).

2.2 DiagnosiAi fini della diagnosi precoce di colangiocarcinoma, non esistono linee-guidane conferenze di consenso per le modalità di follow-up e sorveglianza dei pa-zienti affetti da colangite sclerosante primitiva o da altre patologie conside-rate fattori di rischio. Non vi sono sintomi, né sintomi specifici, né test dilaboratorio che possano indicare la presenza di un colangiocarcinoma. L’itteroè il sintomo più comune per le stenosi che si localizzano all’ilo. Non ci sono marcatori tumorali specifici di colangiocarcinoma. Non c’è evi-denza che l’utilizzo di marcatori sierici sia di utilità per monitorare la pro-gressione del tumore. Il valore del CA 19-9 è elevato in una percentuale dipazienti che può giungere all’85%. Un valore di CA 19-9 superiore a 100 U/mlha una sensitività del 75% ed una specificità dell’80% nei pazienti con co-langite sclerosante primitiva. Il valore del CA 19-9 può essere elevato nell’it-tero ostruttivo senza neoplasia, ma la mancata riduzione del valore dopo ildrenaggio dell’ittero è indicativo della presenza di una neoplasia (10, 11).Il CEA è elevato approssimativamente nel 30% dei pazienti.Nei pazienti itterici bisognerebbe eseguire una ecografia epatica come scree-ning. Il secondo esame dovrebbe essere la colangio-RM: quando la colangioRM non è facilmente o rapidamente disponibile, allora bisognerebbe proce-dere con TC trifasica. La colangiografia (ERCP e/o PTC) dovrebbe essere ri-

servata per la diagnosi tissutale o per la decompressione della via biliare neicasi accompagnati da colangite. Nei casi con chiari segni di non operabilità,dovrebbe essere inserito uno stent. Tutte queste tecniche devono essere con-siderate come complementari fra di loro e in casi particolari può anche esserepossibile l’esecuzione di tutte come complemento alla definizione dell’opera-bilità chirurgica. La biopsia per conferma istologica e/o citologica, effettuatacon la guida delle tecniche radiologiche, o durante laparoscopia o laparoto-mia dovrebbe comunque essere ottenuta. Tuttavia, a causa del rischio di dis-seminazione tumorale, la valutazione della possibilità di resecare il tumorechirurgicamente dovrebbe essere definita prima di eseguire la biopsia (figura4).

2.3 TerapiaPer i tumori dell’ilo biliare, la classificazione di Bismuth è la guida per definirel’estensione dell’intervento chirurgico richiesto, con lo scopo di ottenere unmargine tumorale libero > 5 mm).• Tipo I e II: resezione in blocco della via biliare extraepatica, della coleci-

sti, linfoadenectomia regionale e anastomosi bilio-digestiva con ansa allaRoux.

• Tipo III: come sopra con l’aggiunta dell’epatectomia sinistra o destra• Tipo IV: come sopra con l’aggiunta di epatectomia destra allargata o epa-

tectomia sinistra.Il lobo caudato può essere sede di depositi metastatici da tumori dell’ilo epa-tico. La sua rimozione deve essere effettuata per i tipi II-IV.I colangiocarcinomi del terzo distale vengono trattati con duodenocefalopan-creasectomia come i tumori maligni dell’ampolla o della testa del pancreas.

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Nei pazienti con patologia neoplastica epato-biliare sono stati rilevati elevatilivelli di distress psicologico (35%), secondari solo al polmone, ai tumori ce-rebrali ed al pancreas, che sono l’espressione del confronto con una malat-tia che minaccia la vita e insorge, prevalentemente, in pazienti con pregresseproblematiche psicologiche da abuso di sostanze e che richiede strategieterapeutiche ad elevato costo emotivo. Si raccomanda l’attivazione di per-corsi psicologici di prevenzione, cura e riabilitazione del disagio emotivo peri pazienti ed i loro familiari. Nei pazienti candidati a trapianto, il percorso psicologico è raccomandatodalla fase della decisione e del consenso informato a quella della attesa, del-l’intervento fino alla fase di follow-up post-trapianto. Tale percorso richiede, nel paziente, un inquadramento psicologico completounitariamente alla rilevazione dei livelli di adattamento e di disagio emozio-nale nella fase della decisione al fine di favorire la selezione dei pazienti; va-lutazioni standard dei livelli di adattamento e del disagio emozionale durantetutto l’iter terapeutico al fine di assicurare interventi precoci di supporto psi-cologico; una valutazione della struttura familiare e della sua capacità di sup-

portare il paziente durante tutto l’iter terapeutico. L’obiettivo del supportopsicologico al paziente affetto da carcinoma epatocellulare, nelle diverse fasidi malattia o da metastasi epatiche da altro primitivo, è quello di favorirel’adattamento alla malattia e la compliance all’iter terapeutico, di sollecitareuna precoce ripresa del funzionamento personale e sociale e garantire lamigliore qualità di vita; l’obiettivo del supporto psicologico al familiare èquello di facilitare una strutturazione di un contesto emozionale e comuni-cativo in grado di favorire l’adattamento del paziente. Tali percorsi psicolo-gici dovrebbero prevedere la presenza di uno psicologo, con specificaformazione nel campo delle problematiche personali, familiari e sociali delpaziente con carcinoma epatocellulare, nei gruppi multidisciplinari che ero-gano assistenza. Il benessere psicologico può inoltre essere correlato al-l’abilità degli operatori di dare informazioni chiare, sollecite e modulate sulbisogno di sapere dei pazienti, riguardo alla malattia, alle procedure dia-gnostiche, alle opzioni terapeutiche e alle loro conseguenze ed un giudizioponderato sulle aspettative e sulla qualità della vita. Si raccomandano trai-ning sulle abilità comunicative agli operatori sanitari.

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-updei tumori del fegato e delle vie biliari

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1) Ministero della Salute. Documento di Indirizzo per Ridurre il carico di Malattia del

Cancro. Anni 2011-2013

2) Le liste di attesa – Sito del Ministero della Salute. http://www.salute.gov.it/det-

taglio/pdPrimoPianoNew.jsp?id=179&sub=1&lang=it

3) Bruix J, Sherman M, Llovet JM, et al. Clinical management on hepatocellular

carcinoma, conclusions of the Barcelona-2000 EASL conference. J Hepatol 2001;

35: 421–430.

4) Torzilli G, Donadon M, Marconi M, Palmisano A, Del Fabbro D, Spinelli A, Botea

F, Montorsi M. Hepatectomy for stage B and stage C hepatocellular carcinoma in

the Barcelona Clinic Liver Cancer classification: results of a prospective analysis.

Arch Surg. 2008; 143(11): 1082-90.

5) Livraghi T, Brambilla G, Carnaghi C, Tommasini MA, Torzilli G. Is it time to re-

consider the BCLC/AASLD therapeutic flow-chart? J Surg Oncol. 2010; 102(7):

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6) Capussotti L, Ferrero A, Viganò L, Muratore A, Polastri R, Bouzari H. Portal hy-

pertension: contraindication to liver surgery? World J Surg. 2006; 30(6): 992-9.

7) Cucchetti A, Ercolani G, Vivarelli M, Cescon M, Ravaioli M, Ramacciato G, Grazi

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9) Quality Improvement Guidelines for Radiofrequency Ablation of Liver Tumours.

http://www.cirse.org/files/File/SOP/CIRSE%20Quality%20Improvement%20Guid

elines%20for%20Radiofrequency%20Ablation%20of%20Liver%20Tumours.pdf

10) Khan SA, Davidson BR, Goldin R. Guidelines for the diagnosis and treatment of

cholangiocarcinoma: consensus document. GUT 2002; 51 (suppl VI): v1-v9.

11) Alvaro D, Bragazzi MC, Benedetti A. Cholangiocarcinoma in Italy: A National sur-

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Liver disease. Dig Liver Dis. 2011; 43(1): 60-5. Epub 2010 Jun 26.

12) Conferenza Stato Regioni Seduta dell'11 Luglio 2002. Repertorio Atti n. 1488

dell’11 luglio 2002.

4. Bibliografia

Pagina 262

Coordinatore: Daniele Santini

A. Turriziani, A. Fabi, A. Mancuso, A. Carpino, F. Angelini, G. Dettorre, G. Lanzetta, G. Ferretti, G. Minotti, G. Mansueto,

L. Bertini, L. Moscetti, O. Olimpieri

Criteri di appropriatezza clinicaed organizzativa nelle terapie

di supporto dei pazienti neoplastici

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nelle terapie di supporto dei pazienti neoplastici

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1. Tossicità emtologica nel paziente oncologico

Figura 1. Profilassi primaria: valutazione rischio neutropenia febbrile

<10% 10%-20% ≥20% (livello IA)

Impiego CSF non indicato

Considerare i fattori che aumentano il rischio di neutropenia febbrile• Tipo di chemioterapia• Fattori legati alla neoplasia• Calcolo del rischio con l’algoritmo MASCC• Fattori legati al Paziente• Comorbidità• Scopo del trattamento

Impiego profilattico CSF indicato

Rischio <20%?Impiego CSF non indicato Impiego profilattico CSF indicatoSì No

Intento terapia

Rischio NF Curativo/adiuvante Palliativo QoL Sintomatico QoL

Alto Si CSF Si CSF Si CSF

Intermedio Valutare rischio Valutare rischio Valutare rischio

Basso No CSF No CSF No CSF

1.1 Uuso del G-CSF nel paziente oncologicoDefinizioni• Neutropenia Febbrile (NF):

- Episodio febbrile ≥38.3°C o ≥38.0°C per più di 1 h associata a neu-tropenia grado 3/4 (Conta assoluta dei neutrofili <1.0 o <0.5×109/l)

• Profilassi Primaria- Prevenzione della NF da adottare dal I ciclo di trattamento per schemidi chemioterapia con rischio NF>20%

• Profilassi secondaria- Prevenzione della NF da adottare dal secondo o successivi cicli di trat-tamento a seguito di precedenti episodi di NF.

Fattori di rischio indipendenti e correlati al paziente ed alla malattia• Età avanzata > 65 anni• Sesso femminile• Leucemie/Linfomi• Neoplasia polmonare• Tumore avanzato • Performance status scaduto (ECOG II-IV)• Coinvolgimento del Midollo Osseo• Infezioni, ferite aperte• Insufficienza renale• BPCO• LDH elevato

• Albumina sierica > 3.5 g/dL• Hgb < 12 g/L

Fattori di rischio correlati alla terapia• Bassa conta dei neutrofili al nadir nel I ciclo• Storia di ricorrenti neutropenie indotte da chemioterapia in precedenti

trattamenti• Non precedente uso di CSF o antibioticoprofilassi• Pre-esistente neutropenia causata da:

- Terapia mielosoppressiva estesa - Terapia Radiante alla pelvi o in altre regioni che coinvolgono il midolloosseo

Calcolo rischio NF secondoMASCC• Nessun sintomo 5• Sintomi moderati 3• Sintomi severi 0• Assenza ipotensione 5• Assenza BPCO 4• Neoplasia solida/linfoma senza infezioni fungine precedenti 4• Non necessità terapia parenterale idratante 3• Pz ambulatoriale all’insorgenza della febbre 3• Età < 60 anni 2Basso rischio: score < 21

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INDICE

1. Tossicità ematologica nel paziente oncologico1.1 Uso del G-CSF nel paziente oncologico1.2 Tromboembolismi arteriosi e venosi in corso di terapia1.3 Trattamento dell’ìanemia nel paziente oncologico

2. Fatigue nel paziente oncologico

3. Terapia antinfettiva

4. Trattamento dell’emesi nel paziente oncologico

5. Mucositi orali e gastrointestinali5.1 Mucositi orali e gastrointestinali da chemioterapia

6. Cardiotossicità da farmaci

7. Tossicità da radioterapia7.1 Mucosite7.2 Xerotomia7.3 Danno polmonare radio-indotto7.4 Fibrosi da radiazione7.5 Cardiopatia radio-indotta7.6 Enteropatia da radiazione7.7 Snc7.8 Bibliografia

8. Tossicità da nuovi farmaci a target biologico

9. Terapia del dolore nel paziente oncologico

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nelle terapie di supporto dei pazienti neoplasticiRETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nelle terapie di supporto dei pazienti neoplastici

• NCCN clinical practice guidelines in oncology: Myeloid growth factors, V.I. 2010.

• Smith JT, et al. 2006 Update of Recommendations for the Use of White Blood

Cell Growth Factors: An Evidence-Based Clinical Practice Guidelines. J Clin Oncol.

2006; 24(19): 3187-205. Epub 2006 May 8.

• Klastersky J. The Multinational Association for Supportive Care in Cancer Risk

Index: A Multinational Scoring System for Identifying Low-Risk Febrile Neutrope-

nic Cancer Patients. J Clin Oncol. 2000; 18(16): 3038-51.

• Crawford J, Caserta C, Roila F. Hematopoietic growth factors: ESMO Clinical Prac-

tice Guidelines for the applications. Ann Oncol. 2010;21 Suppl 5:v248-51. No ab-

stract available.

1.2 Tromboembolismi arteriosi e venosi in corso di terapia

In considerazione del significativo impatto del TEV sulla sopravvivenza e laqualità di vita dei pazienti affetti da neoplasie non ematologiche, nonchédegli elevati costi secondari al trattamento acuto della complicanza trombo-embolica, alla prolungata ospedalizzazione e alle necessità assistenziali se-condarie alla sindrome post-flebitica, nell’ottica di una sanità di elevatostandard qualitatitivo e della corretta gestione delle risorse sanitarie dispo-nibili, è necessario disporre di linee-guida basate sull’evidenza che guidinola pratica clinica in relazione a:• Prevenzione primaria del TEV

- nel paziente chirurgico- nel paziente ospedalizzato con complicanza medica acuta- nel paziente ambulatoriale

• Diagnosi del TEV- diagnosi TVP e TVS- diagnosi EP

• Trattamento del TEV- trattamento TVP-TVS

- trattamento EP- prevenzione secondaria

Fattori di rischio tromboembolicoFattori di rischio generali• Neoplasia in fase attiva.• Stadio avanzato.• Neoplasia ad alto rischio

- Vescica- SNC- Neoplasie ginecologiche- Polmone- Neoplasie ematologiche- Pancreas- Stomaco- Testicolo.

• Linfoadenomegalia “bulky” con compressione vascolare estrinseca• Stato trombofilico ereditario o acquisito (inclusa gravidanza).• Comorbidità mediche: infezioni, nefropatie, malattie polmonari, scom-

penso cardiocircolatorio, tromboembolismo arterioso.• Basso Performance Status.• Età elevata.

Fattori di rischio secondari al trattamento• Chirurgia maggiore• Presenza di catetere venoso centrale• Chemioterapia, specialmente se:

- Bevacizumab- Thalidomide o Lenalidomide

• Terapia estrogenica- Terapia ormonale sostitutiva

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

Tipi di CSF, schedule, dosi e raccomandazioni • Tipi disponibili di CSF ed indicazioni

- Filgrastim, Lenograstim, Pegfilgrastim (forma peghilata): sono indicatinel trattamento della neutropenia nelle neoplasia non-mieloidi (livello I)

- Non esistono sufficienti evidenze dai trial randomizzati per suppor-tare un categoria 1 di raccomandazione per l’uso di sargramostimnelle neoplasia non-mieloidi

• Somministrazione di CSF- Entro 24-72 ore dopo la chemioterapia e fino al raggiungimento di

una conta assoluta di neutrofili che deve raggiungere i livelli standarddi normalità del laboratorio (livello I)

- Non esistono indicazioni a supporto di schedule o dosaggi alternativia quelli raccomandati

• Dosi raccomandate negli adulti- Filgrastim e Lenograstim: somministrazione giornaliera sottocutaneadi 5 mg/kg/d

- Pegfilgrastim: somministrazione unica sottocutanea di 6 mg dopo 24ore il completamento della terapia mielotossica (livello I).

Indicazioni generali all’uso di CSF• Con rischio FN ≥ 20% e G-CSF in profilassi primaria (livello I A)• Rischio di FN associata al tipo di chemioterapia (livello I A)• Fattori di rischio del paziente addizionali per la FN (livello I B)• G-CSF per mantenere la RDI della chemioterapia (grado raccomanda-

zione A)• Regimi di chemioterapia “Dose-dense” (grado raccomandazione A)• G-CSF per FN in corso (grado raccomandazione C)• G-CSF per FN non controllata con antibioticoterapia (grado raccoman-

dazione A)• Formulazioni e dosaggi dei diversi G-CSF (livello I A)• Profilassi Secondaria con G-CSF (livello II A sec. NCCN, non valutata sec. EORTC, raccomandata sec ASCO).Sommario linee guida ASCO, EORTC, NCCN.

Linee guida di riferimento• LINEE GUIDA EORTC

http://www.eortc.be/

• LINEE GUIDA NCCNhttp://www.nccn.org/professionals/physician_gls/pdf/myeloid_growth.pdf

• LINEE GUIDA ESMOhttp://www.esmo.org/education-research/esmo-clinical-practice-guidelines.html#c3347

• LINEE GUIDA AIOMhttp://www.aiom.it/Attivit%E0+Scientifica/Linee+guida/Gestione+della+tossicit%E0+ematopoietica+in+Oncologia/1,83,0,.

Bibliografia• Aapro MS, et al. 2010 update of EORTC guidelines for the use of granulocyte-co-

lony stimulating factor to reduce the incidence of chemotherapy-induced febrile

neutropenia in adult patients with lymphoproliferative disorders and solid tu-

mours: European Organisation for Research and Treatment of Cancer. Eur J Can-

cer. 2011; 47(1): 8-32. Epub 2010 Nov 20.

• Gestione delle tossicità ematopoietica in oncologia, linee guida AIOM 2010.

www.aiom.it

Figura 2. Profilassi secondaria: sommario indicazioni

Episodio di NF Scopo terapia

Curativo? Modifica terapia (dose, intervallo)

Uso precedente di CSF?Prosegue CSF

Livello IIA sec. NCCN, non valutata sec. EORTC, raccomandata sec ASCO

Utilizzare CSFSì

No

No

Figura 3. Utilizzo terapeutico di CSF in presenza di neutropenia febbrile

Neutropenia Febbre?

Antibioticoterapia Se NEU <500antibioticoterapia profilattica

(es. fluorochhinolonico a dosaggioprofilattico)

Uso CSF non indicato

Risposta ad antibioticoterapia?CSF indicati(grado di raccomandazione A)

CSF non indicati(gradi di raccomandazione C)

No Sì

No

Figura 4. Profilassi chirurgica: schema operativo

Paziente adulto con diagnosi osospetto di malattia neoplastica

candidato ad intervento chirurgico

Profilassi con agenti antitromboticimeccanici sino a completa

mobilizzazione

Profilassi anticoagulante con agenti farmacologici nel pre- e post operatorio± agenti antitrombotici meccanici (pazienti ad alto rischio)± prolungamento della terapia anticoagulante nei pazienti ad alto rischio

Screening iniziale per rischio trombo-emorragico:• Anemnesi e EO• Emocromo completo• PT, PTT e febrinogeno• Diagnostica per immagini come indicato per l’intervento• Creatinina

ANTICOAGULANTI FARMACOLOGICI IN PROFILASSI:• EBPM (esempi di dosaggio) - Enoxaparina 4.000 UI sc al giorno - Dalteparina 5.0000 UI sc al giorno - Nadroparina 38 UI anti Xa/kg 12, successivamente 57 UI anti Xa/kg/die a partire dal 4° giorno postoperatorio - Bemiparina 3.500 UI 2 ore prima o 6 ore dopo l’intervento chirurgico, poi 3.500 UI ogni 24 ore per 7-10 giorni• Fondaparinux 2.5 mg sottocute al giorno• Eparina non frazionata 5.000 UI sc tre volte al giorno

No

Controindicazioni aglianticoagulanti farmacologici?

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nelle terapie di supporto dei pazienti neoplastici

Diagnostica EP - introduzioneAnche la diagnostica dell’embolia polmonare deve iniziare con una corretta valutazione clinica del rischio pre-test. A questo fine è possibile utilizzare varie scale di rischio, riportiamo in seguito quella proposta da Wells et al. che riportiamo nella tabella 2.

Diagnostica TVP e TVS - schema operativoDal momento che il D-Dimero ha una scarsa utilità nel paziente oncologico, e che quest’ultimo è ad alto rischio di TVP, si consiglia l’utilizzo del seguenteschema operativo (figura 6).

Pagina 268

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

- Contraccettivi ormonali- Tamoxifene o Raloxifene- Dietilstilbestrolo

Fattori modificabili• Fumo• Obesità• Esercizio fisico - mobilizzazione.

Controindicazioni alla terapia anticoagulante• Recente emorragia a carico del SNC, o presenza di lesione intracranica

o spinale ad alto rischio di sanguinamento.

• Sanguinamento maggiore attivo (più di 2 unità trasfuse in 24 ore).• Sanguinamento cronico significativo di durata superiore a 48 ore.• Piastrinopenia (Plts < 50.000/mmc).• Piastrinopatie sintomatiche (uremia, mielodisplasia, farmaci antiaggre-

ganti).• Recente intervento chirurgico maggiore ad alto rischio di sanguinamento• Anomalie sintomatiche della coagulazione (emofilia, carenze di fattori

della coagulazione e/o inibitori ad alto titolo, insufficienza epatica); esclu-dere sempre elevazione del PTT secondaria a Lupus Anticoagulant o an-ticorpi antifosfolipidi.

• Recente o prevista anestesia spinale e/o rachicentesi.• Elevato rischio di trauma cranico (ad esempio instabilità posturale).

Diagnostica TVP e TVS - introduzioneLa diagnostica delle trombosi venose profonde e superficiali inizia con una corretta valutazione clinica del rischio trombotico pre-test. A questo fine è possibile utilizzare varie scale di rischio, come quella proposta da Wells et al. che riportiamo nella tabella 1.

Figura 5. Profilassi nel paziente ospedalizzato acuto: schema operativo

Paziente adulto con diagnosi di malattia neoplastica

ricoverato per complicanza acuta

Profilassi con agenti antitromboticimeccanici sino a completa

mobilizzazione

Profilassi anticoagulante con agenti farmacologici ± agenti antitrombotici meccanici (pazienti ad alto rischio)Considerare prolungamento della profilassi in dimissione in pazienti con multipli fattori di rischio se non completa mobilizzazione

Screening iniziale per rischio trombo-emorragico:• Anemnesi e EO• Emocromo completo• PT, PTT e febrinogeno• Diagnostica per immagini come indicato per l’intervento• Creatinina

ANTICOAGULANTI FARMACOLOGICI IN PROFILASSI:• EBPM (esempi di dosaggio) - Enoxaparina 4.000 UI sc al giorno - Dalteparina 5.0000 UI sc al giorno - Nadroparina 38 UI anti Xa/kg 12, successivamente 57 UI anti Xa/kg/die a partire dal 4° giorno postoperatorio - Bemiparina 3.500 UI 2 ore prima o 6 ore dopo l’intervento chirurgico, poi 3.500 UI ogni 24 ore per 7-10 giorni• Fondaparinux 2.5 mg sottocute al giorno• Eparina non frazionata 5.000 UI sc tre volte al giorno

No

Controindicazioni aglianticoagulanti farmacologici?

Figura 6. Diagnostica TVP e TVS: SCHEMA OPERATIVO

Iniziare il trattamento

Ultrasonografia compressiva CUS(o, se non possibile, ecocolor-doppler)

Trombosi venosa superficiale

Positività

Iniziare il trattamento TVS

NegativaProbabilità Pre-Test?

RMN TC

No TVP stop

Alta (>3)

Bassa (<0)

Media (1-2)CUS dopo 7 giorni

Iniziare il trattamento

No TVP stop

Positiva

Negativa

Diagnostica EP - schema operativoDal momento che il D-Dimero ha una scarsa utilità, nel paziente oncologico è considerato significativo unicamente un risultato normale (figura 7).

Figura 7.

Possibilità Pre-Test

Bassa (<0)

Negativo

Positivo

Alta o Media

Compatibile con EP

No

Probabilità Pre-Test?Bassa (<0)

Iniziare trattamentoSi

Alta oMedia

Si Positiva

TVP Angiografia PolmonareNo

D-Dimero

No EP Stop Cus Venoso

No EP Stop

Negativa

ANGOTC

Tabella 1.

Valutazione della probabilità clinica per la diagnosi di TVP Punteggio

Neoplasia attiva (chemioterapia in corso, o nei precedenti 6 mesi, o palliativa) 1

Paralisi, paresi o recente immobilizzazione di un arto 1

Recente allettamento > 3 giorni o chirurgia maggiore (entro 4 settimane) 1

Dolorabilità localizzata lungo il decorso del sistema venoso profondo 1

Edema di tutto l’arto 1

Gonfiore del polpaccio (> 3 cm rispetto al controlaterale misurato 10 cm sotto la tuberosità tibiale) 1

Edema improntabile (più accentuato nell’arto sintomatico) 1

Presenza di circoli collaterali superficiali (in assenza di vene varicose) 1

Diagnosi alternativa (verosimile almeno quanto la TVP) - 2

Se punteggio ≥ 3 alta probabilità di TVP (75%), se 1-2 probabilità intermedia (17%), se 0 o negativo probabilità di TVP molto bassa (3%)

Tabella 2.

Valutazione della probabilità clinica per la diagnosi di EP Punteggio

Segni o sintomi di TVP 3

Probabilità di EP maggiore o uguale ad altra diagnosi 3

Recente allettamento > 3 giorni o chirurgia maggiore (entro 4 settimane) 1,5

Precedente TVP o EP 1,5

Tachicardia (frequenza cardiaca superiore 100 bpm) 1,5

Emoftoe 1

Neoplasia attiva (chemioterapia in corso, o nei precedenti 6 mesi, o palliativa) 1

Se punteggio > 6 alta probabilità di EP, se 2-6 probabilità intermedia, se <2 probabilità di EP molto bassa

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nelle terapie di supporto dei pazienti neoplastici

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

Figura 8. Trattamento TVP: Schema operativo

No

No

Controindicazionianticoagulanti?

Posizionamentofiltro cavale

Persistonocontroindicazioni

Follow-Up1 settimana

Controindicazionianticoagulanti?

Iniziaretrattamento

Si

Si

No

TVPProfessionale

TVPDistale

Rivalutazioneperiodica

Si

No

Progressione?

Posizionamento filtrocavale

Si

Figura 9. Trattamento Trombosi CVC: Schema operativo

Catetere necessario?

No

Controindicazioni anticoagulanti?

Iniziare tratatmento e rimuovere CVC quando clinicamente indicato

Controindicazioni anticoagulanti?

No

NoIniziare trattamento

No

Persistono controindicazioni

Persistono controindicazioni

Trombosi catetere Rimuovere CVC

Figura 11. Trattamento EP: Schema operativo

Normale

Anormale

Alto (>86)

Valutare:• Troponina• Ecocardiogramma• TC o angio TC per sovraccarico ventricolo destro

Valutare rischio emorragico:• Trombosi per PE massima o disfunzione severa del ventricolo destro• Embolectomia• Eventuale filtro cavale

Persistono controindicazioni

Persistono controindicazioni

Si

Iniziare tratatmento anticoagulante

No

Posizionamento filtro cavale

Controindicazioni anticoagulanti?Valutazione pesi

Figura 10. Trattamento TVS: Schema operativo

SìNo

Prossimità circolo profondo?

No

• Trattamenti sintomatici (p.e. bendaggi caldi)• Farmaci Antiinfiammatori (no se piastrinopenia)• Tenere sollevato l’arto colpito• Rivalutare in caso di progressione sintomi

Presenza accesso venoso?TVS

Rimuovere accesso venoso

Trattamento anticoagulante per almeno 4 settimane

Trattamento EP - valutazione gravitàVarie scale sono state sviluppate per valutare la severità dell’EP, si utilizza in questa sede l’indice proposto da Donze et al. che riportiamo nella tabella 3.

Tabella 3.

Pulmonary embolism severity index (pesi) Punteggio

Età in anni Età in anni

Sesso maschile + 10

Storia di scompenso cardiaco + 10

Storia di malattia polmonare cronica + 10

Frequenza cardiaca ≥ 110 bpm + 20

Frequenza respiratoria ≥ 30 atti respiratori/minuto (con o senza 02) + 20

Temperatura corporea < 36°C + 20

Saturazione 02 arteriosa < 90% (con o senza 02) + 20

Pressione arteriosa sistolica < 100 mmHg + 30

Neoplasia attiva o trattamenti chemioterapici recenti + 30

Stato mentale alterato (confusione, disorientamento o sonnolenza) + 60

Basso rischio: < 86 punti. Alto rischio: ≥ 86 punti

Trattamento EP - schema operativoLinee-guida ACCP• Farmaco di prima scelta: EBPM (livello I A)• Somministrazione: sc una o due volte al giorno (livello I A)• Dosaggio terapeutico

- 100 UI anti Xa/Kg due volte al giorno (consigliato)- 200 UI anti Xa/Kg in unica somministrazione

• Non necessario monitoraggio attività aXa (livello I A)• Se Insufficienza renale � Eparina non frazionata (livello II C)

- Bolo ev 80 UI/Kg- 18 UI/Kg in infusione continua ogni ora monitorando aPTT- Target aPTT: 2.0-2.5

• Se EBPM non tollerate � Fondaparinux (livello II C)- 5 mg (< 50 Kg), 7.5 mg (50-100 Kg), 10 mg (>100 Kg)

Linee guida di riferimento• LINEE GUIDA ESMO

http://www.esmo.org/education-research/esmo-clinical-practice-guidelines.html#c3347

• LINEE GUIDA AIOMhttp://www.aiom.it/Attivit%E0+Scientifica/Linee+guida/ Disordini+trom-boembolici+e+cancro/1,404,0,

• LINEE GUIDA ASCOhttp://www.asco.org/ASCOv2/Practice+%26+Guidelines/ Guidelines/Cli-

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nelle terapie di supporto dei pazienti neoplastici

Definizione• Sensazione persistente e soggettiva di stanchezza o esaurimento fisici, emo-

zionali, e/o cognitivi correlati al cancro o al suo recente trattamento, spo-porzionata alla recente attività e che interferisce con le attività quotidiane.

• Incidenza: 70-80% dei pazienti oncologici (80% CT, 80% RT, 70% a 2aa dal trattamento, 80-90% pazienti terminali).

Valutazione• Continua/subcontinua • Correlata a particolari momenti o attività• Insorgenza e termine del sintomo• Durata • Esacerbata o ridotta da particolari fattori• Interferenza con le funzioni quotidiane

Intensità• Età > 12 anni:

- scala VAS 0-10 (Lieve 1-3; Moderata 4-6; Severa 7-10)• Età 7-12 anni:

- scala VAS 1-5 (Lieve 1-2; Moderata 3; Severa 4-5)• Età 5-6 anni:

- stanco/non stanco.

Linee guida di riferimento• LINEE GUIDA ASCO

http://www.asco.org/ASCOv2/Practice+%26+Guidelines/Guidelines/Clinical+Practice+Guidelines/Supportive+Care+and+Quality+of+Life

• LINEE GUIDA MASCChttp://www.mascc.org/mc/page.do?sitePageId=86987&orgId=mascc

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

nical+Practice+Guidelines/Supportive+Care+and+Quality+of+Life• LINEE GUIDA NCCN

http://www.nccn.org/professionals/physician_gls/ f_guidelines.asp#sup-portive

• LINEE GUIDA ACCPhttp://www.chestnet.org/accp/guidelines/antithrombotic-and-thrombolytic-therapy-8th-edition

• LINEE GUIDA SISEThttp://www.sisetonline.com/lineeguida/LG1.pdf

• LINEE GUIDA GFTC• LINEE GUIDA SOR

http://www.gavecelt.info/uploads/sor_guidelines_2008.pdf

1.3 Trattamento dell’anemia nel paziente oncologicoDEFINIZIONEAnemia: Hb ≤ 11 g/dl o riduzione ≥ 2 g/dl dal baseline.Si distingue in:

• Lieve: Hb 10-11.9 g/dl • Moderata: Hb 8 - 9.9 g/dl • Severa: <8.0 g/dl.

Supplemento del Ferro (livello II A, ma controverso –vedi JCO vol 29, n°1, Jan 2011, pag. 97-105).Se

Ferritina < 800 e saturazione transferrina* < 20%Ferro ev: 125 mg (2 fiale -in 60 min) in base ad esigenze cliniche da 2 voltea settimana a 1 volta ogni 2 settimane, fino a raggiungimento di una dosetotale di 750 - 1000 mg (pazienti con stato del ferro normale) o 2000 mg (ca-renza funzionale).* Saturazione della transferrina: [sideremia/ (transferrina x 1.42) ] x 100.

Linee guida di riferimento• LINEE GUIDA ASCO

http://www.asco.org/ASCOv2/Practice+%26+Guidelines/Guidelines/ Clinical+Practice+Guidelines/Supportive+Care+and+Quality+of+Life.

Si Si

Sintomatica

Si

Figura 12. Trattamento dell’anemia nel paziente oncologico: Schema operativo

Pz in trattamentochemioterapico?

Valutazione pesi

NoNo

Si

Sintomatica

• Anamnesi e EO• Laboratorio: emocromo, reticolociti, striscio periferico, sideremia, ferritina transferrina, B12, folati, GFR, Epo basale

Anemia indotta da chemioterapia?

ESAs (livello II A; livello I se sintomatici e < 10 g/dl

Hb < 8 g/dl Hb > 12 g/dll

Hb > 8 < 10 g/dl

Trasfusione(livello II A)

Si

Hb > 10 e < 12 g/dl

Osservazione (livello I)

• Aumento > 1 g/dl in 4 settimane: pz responder, dose= o ? del 25-50%• Aumento < 1 g/dl in 4 settimane: dose ? - Epoetina a da 40.000 Ul/settimana a 60.000 Ul/settimana - Epoetina b da 30.000 Ul/settimana a 60.000 Ul/settimana - Darnepoetina a da 150 mcg/settimana a 300 mcg/settimana• Aumento > 2 g/dl in 4 settimane o Hb > 12 g/dl: dose ? del 25-50%• Hb > 13 g/dl o non responder (aumento Hb < 1 g/dl dopo 8-9 settimane): STOP

2. Fatigue nel paziente oncologico

Figura 13. Fatigue nel paziente oncologico: Schema operativo

Lieve (età > 7 anni)Non stanco (5-6 anni)

Psicostimolanti, corticosteroidi e progestinici (>> pz terminali)

Esercizio fisico, riabilitazione, massaggi (livello. 1)

Ricerca delle cause/fattori che contribuiscono e loro trattamento

Moderata/Severa (età > 7 anni)Stanco (5-6 anni)

Educazione del pz e dei familiari (rassicurazione, distribuzione razionale delle energie, distrazioni)

Valutazionedell’intensità

Eccessivainattività

BSC/nuova linea di tp

Progressione

Comorbidità, Dolore, Farmaci assunti(oppioidi, antidepressivi, neurolettici, b-bloccanti,

benzodiazepine, antistaminici...)

Ottimizzazione della tp Disturbi del sonno,stato psico-sociale fragile

Tp farmacologica specifica e psicoterapiaModifica schedula/dosi; tp delle tossicità

(cardiache, endocrinologiche, ematologiche, gastrointestinali...)

AnemiaCT, RT, Tpbiologica

Statonutrizionale(anoressia,cachessia,

disidratazione)Vedi algoritmo

Anemia

Consulto nutrizionale; BSC

Tutte le raccomandazioni sono II A se non diversamente specificato (vedi NCCN)

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nelle terapie di supporto dei pazienti neoplastici

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

Sintomo febbreEsame obiettivo• Se positiva obiettività toracica

- Diagnostica d’immagine- Eventuale videat chirurgia toracica- Eventuale es colturale del materiale proveniente da raccolte/ascessi

• Se positiva obiettività addominale/ginecologica- Diagnostica d’immagine- Eventuale videat chirurgico- Eventuale es colturale del materiale proveniente da raccolte/ascessi- Es. parassitologico feci /coprocoltura /ricerca tossine C. difficile

• Se positiva obiettività neurologica

- Diagnostica d’immagine- Eventuale videat NCH e neurologico- Eventuale rachicentesi.

Diagnostica• Emocromo completo• Biochimica con funzionalità renale ed epatica• Indici di flogosi (VES, PCR, fibrinogeno)• Emocolture seriate• Urinocoltura• Rx torace• PPD (Tuberculin purified protein derivative).

3. Terapia antinfettiva

Figura 14. Algoritmo diagnostico terapeutico nel paziente con febbre : Schema operativo

Se isolamento microbiologico

Emocromo completobiochimica con funzionalità renale ed epatica

indici di flogosi (VES, PCR, Fibrinogeno)Neutropenia?

TERAPIA EMPIRICA• Adulti a basso rischio* (outpatients): CIP 750 mg bid os + AM-CL 1 g bid os (A)• Adulti ad alto rischio (inpatients): monoterapia (CEFTAZ o IMP o MER o CFP o PIP-TZ). (A) Regime alternativo di combinazione: GENT (o TOBRA) + TC.CL (o PIP-TZ); includere VANCO se emocolture positive per Gram+ o sospetto accesso venoso infetto o colonizzato da MRSA o S.pneumo multiresistente o pz ipoteso• Se persiste febbre e neutropenia dopo 5 gg di terapia antibatterica empirica aggiungere Caspofungin o Voriconazolo (A)

* Non lesioni focali, non ipotensione, non infezioni fungine, non disidratazione, età >16 e <60 anni, non BPCO

Terapia mirata sulla base dell’antibiogramma

Figura 15. Algoritmo diagnostico terapeutico nel paziente con febbre : Schema operativo

Emocoltureseriate

Se colturepositive

• Ecocardiogramma TT/TE• Eventuale rimozione di devices• Videat infettivologico

Se isolamento microbiologico Terapia mirata sulla base dell’antibiogramma

TERAPIA EMPIRICA• Sepsi di non chiara origine in paziente non neutropenico: ERTA o IMP o MER + VANCO (IN ALTERNATIVA CFP o PIP/TZ o TC-CL + DAPTO) (A)• Infezione della linea vascolare ev: VANCO (in alternativa DAPTO); se ospite compromesso IMP o cefalosporina parenterale di 3° generazione + aminoglicoside (A)

Se isolamento microbiologico Terapia mirata sulla base dell’antibiogramma

Figura 16. Algoritmo diagnostico terapeutico nel paziente con febbre : Schema operativo

Urinocoltura Se colturapositiva

TERAPIA EMPIRICA• Infezione acuta non complicata: TMP-SMX bid x 3 gg. Se E.coli locali resistenti a TMP- SMX in più del 20% dei casi: CIP o LEVO o MOXI o Nitrofurantoin o Fosfomicina (A)• Pielonefrite acuta non complicata: CIP o LEVO o MOXI per 5-7 gg (in alternativa AM-CL o cefalosporina o TMP-SMX) (A)• Pielonefrite acuta ospedalizzata: fliorochinolonico ev per 14 gg o AMP+GENTA o ceftraxone o PIP-TZ (in alternativa TC-CL o AM-SB o PIP-TZ o ERTA) (A)• Infezioni complicate/cateteri: AMP+GENTA o PIP-TZ o TC-CL o IMP o MER per 2-3 settimane (in alternativa fluorochinolonico ev o Ceftaz o CFP) (A)

• Sostituzione catetere• Videat infettivologico

Figura 17. Algoritmo diagnostico terapeutico nel paziente con febbre : Schema operativo

RX torace

PPD

• Esame microbiologico dell’espettorato per batteri e miceti• Antigenuria per legionella• Ricerca del galattomannano• Valutazione possibile TBC• Videat infettivologico

Se PPD+ o PPD-in paziente immunocompromesso• TB-gold quantiferon• Ricerca nell’espettorato e nelle urine del BK• Ricerca di altre possibili localizzazioni del BK (es. linfonodale)• Videat infettivologico

TERAPIA EMPIRICA• Polmonite acquisita in comunità ospedalizzata non in UTI: Ceftriaxone + AZITRO (in alternativa LEVO o MOXI) (A)• Polmonite acquisita in comunità ospedalizzata in UTI:• Se comcomita BPCO: LEVO o MOXI (in alternativa ceftriaxone + AZITRO) (A)• Se in concomitanza con influenza VANCO + LEVO+ o MOXI (in alternativa Linezolid + LEVO o MOXI) (A)• Se sospetti bacilli Gram neg: beta lattamina anti-pseudomonas + Fluoro-chinolonico o aminoglicosite. (A)• Polminite in pazienti health care: IMP o MER (alternativi PIP-TZ o CFP o IMP + CIP) + LEVO se sospetta legionella e + VANCO (o Linezolid) se sospetto MRSA (A)

Se isolamentomicrobiologico

Terapia mirata sulla basedell’antibiogramma

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nelle terapie di supporto dei pazienti neoplastici

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

Figura 18. Algoritmo diagnostico terapeutico in paziente portatore di devices : Schema operativo

Devices vascolari Drenaggi

Se colture positiveSe colture positive

Emocolture da• Port-a-cath• CVC

• Ecocardiogramma TT/TE• Eventuale rimozione di devices• Videat infettivologico• Ecocardiogramma TT/TE

• Eventuale rimozione di devices• Videat infettivologico

TERAPIA EMPIRICA• Sepsi di non chiara origine in paziente non neutropenico: ERTA o IMP o MER + VANCO (in alternativa CFP o PIP/TZ o TC-CL + DAPTO) (A)• Infezione della lenea vascolare ev: VANCO (in alternativa DAPTO); se ospite compromesso IMP o cefalosporina parenterale di 3° generazione + aminoglicoside (A)

Colture da• liquido di drenaggio

Terapia empirica• Iin base alla sede di infezione

LegendaAMP: AmpicilinaAM-SB: Ampicillina/sulbactamAM-CL: Amoxicillina/ clavulanatoAZITRO: AzitromicinaCFP: Cefepime CEFTAZ: Ceftazidime CIP: Ciprofloxacina ERTA: ErtapenemDAPTO: DaptomicinaGENT :Gentamicina IMP: Imipenem LEVO: LevoxacinMER: Meropenem MOXI: MoxifloxacinaPIP-TZ: Piperacillina/tazobactam

TC-CL: Ticarcillina/clavulanato TMP-SMX: Trimetoprim/sulfametTOBRA: TobramicinaVANCO: Vancomicina

Bibliografia• Gilbert DN, et al. The Sanford Guide to Antimicrobial Therapy 2010 -

Forteth Edition.• Freifeld AG, et al. Clinical practice guideline for the use of antimicrobial

agents in neutropenic patients with cancer: 2010 Update by the Infec-tious Diseases Society of America. Clin Infect Dis. 2011; 52(4): 427-31.Epub 2011 Jan 4.

• Rolston KVI, et al. New antimi-crobial agents for the treatment of bac-terial infections in cancer patients. Hematol Oncol 2009; 27: 107-114.

• Segal BH, et al. Prevention and treatment of cancer-related infe-ctions.J Natl Compr Canc Netw. 2008; 6: 122-74.

Definizione• Emesi acuta:

- insorge nelle prime 24 ore dopo la somministrazione del farmaco an-titumorale.

• Emesi ritardata: - insorge a partire da 24 ore dopo la somministrazione della chemiote-rapia, può persistere per alcuni giorni e talora fino al ciclo successivo

di chemioterapia.• Emesi anticipatoria:

- insorge immediatamente prima della somministrazione della che-mioterapia antitumorale in pazienti con pregressa esperienza di emesiacuta o ritardata da chemioterapia. E’ in genere scatenata dalla vista e/o dall’odore dell’ambulatorio dovela terapia viene somministrata.

4. Trattamento dell’emesi nel paziente oncologico

Tabella 3. Potenziale emetogeno dei farmaci antitumorali (somministrati per via parenterale)

Grado Farmaco

Alto Cisplatino ≥ 50 mg/m2MecloretaminaStreptozocina

Ciclofosfamide > 1500 mg/m2Carmustina

DacarbazinaRegimi AC o EC (pazienti con camammella)

Moderato

OxaliplatinoCitarabina > 1 gr/m2CarboplatinoIfosfaAzacitidinamide

Ciclofosfamide < 1500 mg/m2AdriamicinaEpirubicinaDaunorubicinaIdarubicina

IrinotecanBendamustinaClofarabinaAlentuzumab

Basso

Docetaxel, PaclitaxelMitoxantroneTopotecanEtoposidePemetrexedMetotrexate

GemcitabinaCitarabina ≤ 1000 mg/m2Fluorouracile Adriamicina liposomialeBortezomibCetuximab

TrastuzumabTemsirolimusCatumaxumabIxabepilonePanitumumab Mitomicina

MinimoBleomicinaBusulfanoVincristina

Fludarabina2-Clorodeossiadenosina

Vinblastina VinorelbinaBevacizumab

Tabella 4. Potenziale emetogeno dei farmaci antitumorali (somministrati per via orale)

Grado Farmaco

Alto Exametilmelamina Procarbazina

ModeratoCiclofosfamideTemozolomide

VinorelbinaImatinib

Basso

CapecitabinaEtoposideFludarabinaTegafur uracileEverolimus

LapatinibSunitinibLenalidomideTalidomide

Minimo

ClorambucilIdrossiurea L-Fenilalanina mostarda6-Tioguanina

MetotrexateGefitinibSorafenibErlotinib

Tabella 5. Chemioterapia ad alto potere emetogeno (dose singole di cisplatino >70 mg/m2)

Chemioterapia Antiemetici

Emesi acuta (livello IA)

Aprepitant (125 mg p.o.) + 5-HT3 antagonista + desametasone (20 mg ev)

Emesi ritardata(livello I-IIA)

� Aprepitant (80 mg po g2-3) + desametasone (8 mgx2 i.m. o p.o. g 2-3, 4 mgx2 g 4-5 i.m. o p.o.)� Metoclopramide (20 mg x4 po g 2-5) + desametasone (idem)� 5-HT3 antagonista+ desametasone (idem)

Dacarbazina, mecloretamina, streptozotocina, nitrosouree

Emesi acuta(livello I-IIA)

5-HT3 antagonista + desametasone (20 mg ev)

Emesi ritardataNon è al momento noto se sia necessaria una profilassi per l’emesi ritar-data in pazienti sottoposti a trattamento chemioterapico con dacarbazina,mecloretamina, streptozotocina e nitrosuree (AIOM 2010)

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nelle terapie di supporto dei pazienti neoplastici

Linee guida di riferimento• LINEE GUIDA ESMO

http://www.esmo.org/education-research/esmo-clinical-practice-guidelines.html#c3347

• LINEE GUIDA AIOM http://www.aiom.it/Attivit%E0+Scientifica/Linee+guida/Terapia+antiem

etica/1,347,0,• LINEE GUIDA ASCO

http://www.asco.org/ASCOv2/Practice+%26+Guidelines/Guidelines/Clinical+Practice+Guidelines/Supportive+Care+and+Quality+of+Life

• LINEE GUIDA MASSChttp://www.mascc.org/mc/page.do?sitePageId=86987&orgId=mascc.

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

Tabella 6. Chemioterapia a moderato potere emetogeno (esclusa ciclofosfamide ± epirubicina o adriamicina in donne con carcinoma della mammella)

Chemioterapia Antiemetici

Emesi acuta (livello I-IIA)

Palonosetron (0.25 mg ev) o 5HT3 antagonista + desametasone (8 mg ev)

Emesi ritardata(livello IA)

Desametasone (8 mg po g 2-3)

(contenente ciclofosfamide ± epirubicina o adriamicina in donne con ca della mammella)

Chemioterapia Antiemetici

Emesi acuta (livello IA)

Aprepitant (125 mg po) + 5-HT3 antagonista + desametasone (8 mgev)

Emesi ritardata(livello IIB)

Aprepitant (80 mg po g.2-3)Desametasone (8 mg po g.2-3)

Tabella 7. Chemioterapia a moderato potere emetogeno (Dosi basse e ripetute di cisplatino)

Chemioterapia Antiemetici

Emesi acuta (livello IA)

5HT3 antagonista + desametasone

Emesi ritardata(livello IA)

Desametasone per vomito ritardato

C.M.F. (ciclofosfamide orale)

Chemioterapia Antiemetici

Emesi acuta (livello IIB)

Metoclopramide + desametasone (4 o 8 mg ev)5-HT3 antagonista

Tabella 8. Chemioterapia con basso potere emetogeno

Chemioterapia Antiemetici

Emesi acuta (livello VD)

Desametasone, (4 o 8 mg ev) o un antagonista della dopamina o un 5-HT3 antagonista

Emesi ritardata (livello VD)

Solo come terapia di salvataggio

Tabella 9. Chemioterapia con minimo potere emetogeno

Chemioterapia Antiemetici

Emesi acuta (livello VD)

Solo come terapia di salvataggio

Emesi ritardata (livello VD)

Solo come terapia di salvataggio

Tabella 11. Alte dosi di chemioterapia

Chemioterapia Antiemetici

Emesi acuta (livello IIB)

5-HT3 antagonista+ desametasone

Emesi ritardata Nessuna terapia si è dimostrata efficace nel controllare l’emesi ritardataindotta da alte dosi di chemioterapia (AIOM 2010)

Tabella 10. Qualsiasi chemioterapia

Chemioterapia Antiemetici

Emesi anticipatoria (livello VD)

• Tecniche di desensibilizzazione• Ipnosi• Benzodiazepine

Tabella 12. Dose, via e modalità di somministrazione dei 5ht3 antagonisti nella prevenzione dell’emesi acuta

Farmaco Dose giornaliera Modalità di somministrazione VIA

Ondansetron8 mg o 0,15 mg/kg Dose singola EV

24 mg Dose singola Orale

Granisetron1 mg o 0,01 mg/kg Dose singola EV

2 mg Dose singola Orale

Tropisetron5 mg Dose singola EV

5 mg Dose singola Orale

Dolasetron100 mg 0 1,8 mg/kg Dose singola EV

100 mg Dose singola Orale

Palonosetron 0,25 mg Dose singola EV

5.1 Mucositi orali e gastrointestinali da chemioterapia

Incidenza eventi di grado severo (G3-G4)• Mucositi:

- circa 20% in schemi contenenti fluoropirimidine e/o antimetaboliti oantracicline

- 50-60% in presenza di CT/RT concomitante (fino ad 85% in caso diRT del distretto testa-collo).

• Diarrea: - 10-15% in pazienti che ricevono schemi contenenti 5FU- fino al 25% in schemi comprendenti anche CPT11 ed Oxaliplatino.

Fattori di rischio• Dose • Intensità • Via di somministrazione dei farmaci• Tipo di farmaci usati • Chemioterapia da sola vs in combinazione con RT

Gestione non farmacologica delle mucositi orali• Programma di prevenzione ed igiene orale:

- da stabilire con il dentista e l’igienista dentale- esame dei denti ed eventuale bonifica prima di iniziare il trattamento,soprattutto in caso di RT testa-collo

- controlli regolari dello stato dentale da pianificare con l’igienista den-tale

• Igiene orale regolare: - sciacqui con soluzioni saline non medicate x 4-6 volte al giorno (livelloIII B)

- spazzolino da denti morbido da rimpiazzare frequentemente.• Anestetici topici in caso di dolore:

- da considerare in presenza di dolore - oppiacei indicati solo in caso di trapianto di midollo (livello I A)

Gestione farmacologica delle mucositi orali: profilassi e trattamento• Crioterapia orale: possibile utilità,ma efficacia non dimostrata in profi-

lassi (20-30 minuti) nei pazienti trattati con 5-FU bolo (livello II A). Tenere un cubetto di ghiaccio in bocca per 5 minuti prima della che-mioterapia e nei 30 minuti successivi (determina vasocostrizione e im-pedisce in parte al farmaco di raggiungere la mucosa orale attenuandoi sintomi della mucosite)

• Glutamina orale (Saforis®, NON disponibile in Italia): efficacia dimo-strata in ca. mammella adiuvante con antracicline (livello I A): incidenzasignificativamente ridotta di mucosite grado severo al ciclo 1 (Cancer,2007)

• Fattore di crescita 1 dei cheratinociti (Palifermin): possibile utilità,maefficacia non dimostrata (livello II-III B) in profilassi nei seguenti casi:- pz trattati con 5-FU bolo (40 mcg/kg/die x 3 giorni precedenti l’iniziodel trattamento)

- pz con sarcoma trattati con antracicline (13% vs 51% mucositi digrado severo (p<0.0002);

- pz con ca. testa-collo trattati con CT/RT (riduzione delle mucositi digrado severo solo in caso di RT iperfrazionata e non convenzionale)

• Recombinant human intestinal Trefoil Factor (TFF) oral spray (NON di-sponibile in Italia): possibile utilità,ma efficacia non dimostrata (livello IIB) in pz con CRC trattati con regimi a base di 5FU (<10% mucositi digrado severo vs 48% placebo)

• RhEGF (NON disponibile in Italia): possibile utilità ma efficacia non di-

5. Mucositi orali e gastrointestinali

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nelle terapie di supporto dei pazienti neoplastici

Pagina 280

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

mostrata (livello II A) in pazienti trattati con CT +/- RT per ca. testa-collo(mucosite severa 37% vs 64% con placebo, p=0.02)

• Acyclovir: non indicato l’uso di routine in profilassi • Clorexidina: non indicato l’uso di routine nel trattamento• Antimicrobici locali: non indicato l’uso di routine in profilassi e tratta-

mentoChemioterapia ad alte dosi:• Fattore di crescita 1 dei cheratinociti (Palifermin): efficacia dimostrata

in profilassi (3 giorni prima del condizionamento e 3 giorni dopo il tra-pianto a 60 mcg/kg/die); anche in pazienti che ricevono Total Body Irra-diation (livello I A)

Gestione non farmacologica delle mucositi gastrointestinali• Idratazione regolare ed integrazione con Sali minerali• Anestetici topici in caso di dolore• Regime dietetico appropriato • Valutazione di eventuali intolleranze al lattosio• Mantenimento della flora batterica intestinale

Gestione farmacologica delle mucositi gastrointestinali: profilassi etrattamento• Ranitidina o omeprazolo:

- possibile utilità ma efficacia non dimostrata in profilassi del dolore

epigastrico in pazienti trattati con CMF o regimi contenenti 5FU (li-vello II A)

• Loperamide: - 1 cp ad ogni scarica diarroica come da scheda tecnica

• Octreotide: - possibile utilità ma efficacia non dimostrata nel trattamento della diar-rea refrattaria a loperamide (livello II A) (100 mcg sc x 2/die); effica-cia non dimostrata (studio fase III random vs placebo negativo) inpazienti trattati con CT/RT per K ano-retto

• Amifostine: - possibile utilità ma efficacia non dimostrata in profilassi in pazienticon K polmone trattati con CT/RT combinata (livello III C)

• Glutamina: - non indicato l’uso di routine in profilassi (livello II C)

Linee guida di riferimento• LINEE GUIDA ASCO

http://www.asco.org/ASCOv2/Practice+%26+Guidelines/Guidelines/Clinical+Practice+Guidelines/Supportive+Care+and+Quality+of+Life

• LINEE GUIDA MASSChttp://www.mascc.org/mc/page.do?sitePageId=86987&orgId=mascc

• LINEE GUIDA AIOMhttp://www.aiom.it/

6. Cardiotossicità da farmaci

Figura 19. Criteri cardiologici per iniziare terapie con potenziale cardiotossicità sulla funzione VS: Schema operativo

Controllo e tratatmento dei fattori di rischioIpertensione, angina, pregresso infarto, aritmie, insufficienza renale medio-grave, diabete, dislipemia, età

*LVEF ? 50%

Procedere 45-40% ≤ 40%Procedere,controlli ravvicinati

*Ecocardiografia(MUGA se scarsa finestra eco)

Scarsa

Buona

Considerae riserva contrattile(Stress eco con dobutamina a basse dosi)

Considerarefarmacimeno

cardiotossici

*LVEF < 50%

Valutazione congiuntadel rischio

cardiologo/oncologoProcedere, controlli ravvicinati

Livello evidenza IA

49-45%

Figura 20. Criteri cardiologici per l’inizio di terapie con potenziale danno ischemico da cardiotossicità: Schema operativo

Controllo e tratatmento dei fattori di rischioIpertensione, angina, pregresso infarto, aritmie, insufficienza renale medio-grave, diabete, dislipemia, età

Negativi

Asintomatici, no cardiopatia ocoronaropatia nota,

ECG negativo

Sintomatici (angor, dispnea),cardiopatia/coronaropatia nota,

ECG alterato

Livello evidenza VIB

Procedere

NoInterrompere

Ecocardio, studio riserva coronarica(ecostress, ECG da sforzo, MUGA)

Positivi a basso carico Positivi ad alto carico

Ottimizzare terapia antischemicaConsiderare Coronografia/TC coronarica e

farmaci meno cardiotossiciCoronarografia/TC coronarica

Procedere, controlli ravvicinatiSi

Correzione coronaropatia(PTCA, Stent, By-pass)

Figura 21. Criteri cardiologici per monitoraggio di terapie con potenziale cardiotossicità sulla funzione VS: Schema operativo

*LVEF ≥ 50%

LVEF in calo di ≤10punti dal basale

LVEF in calo di >10punti dal basale

Continuare

Continuare a monitorare LVEF a 3 settimane, (TNI/BNP),ECG, consulto, eventuale terapia cardiologica

<45%

*LVEF < 50%

≥45%

≥45%

<45%

Monitorare LVEF a 3 settimane, (TNI/BNP), ECG,consulto, eventuale terapia cardiologica

Sospendere

Livello evidenza IA

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Pagina 283

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nelle terapie di supporto dei pazienti neoplastici

- Assente• Grado 1:

- Enantema• Grado 2:

- Mucosite a placche (alterazioni infiammatorie siero-sanguinolente)• Grado 3:

- Mucosite confluente fibrinosa• Grado 4:

- Ulcerazioni, emorragia o necrosi.

7.2 XerotomiaClassificazione RTOGAcuta (entro 90 gg dall’inizio della RT)• Grado 1:

- saliva diminuita- occorrono liquidi aggiuntivi

• Grado 2:- saliva viscosa- richiesta alterazione della dieta

• Grado 3:- nutrizione orale inadeguata correlata alle modifiche delle ghiandolesalivari

• Grado 4:- necrosi acuta della ghiandola salivare

Cronica (oltre 90 gg dall’inizio della RT)• Grado1:

- secchezza lieve della bocca • Grado 2:

- moderata secchezza della bocca scarsa risposta allo stimolo• Grado 3:

- assoluta secchezza della bocca non risposta allo stimolo• Grado 4:

- fibrosi

7.3 Danno polmonare radio-indottoClassificazione RTOG/SWOG• Grado1:

- sintomi lievi di tosse secca- dispnea da sforzo

• Grado 2:- tosse persistente che richiedono agenti antitosse- dispnea da sforzo minimo, ma non a riposo

• Grado 3:- severa insufficienza respiratoria- ventilazione assistita

Danno acuto• si verifica 1-6mesi entro la fine del trattamento

• quadro clinico-patologico:polmonite attinicaDanno cronico• si verifica oltre 6 mesi dopo la fine del trattamento• quadro clinico-patologico: fibrosi attinica

Danno acutoPolmonite attinica• Fisiopatogenesi:

- essudazione di materiale proteinaceo negli alveoli- desquamazione di cellule dell’epitelio alveolare- infiammazione di cellule infiammatorie - edema alveolare

Sintomatologia:

Pagina 282

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

Controllo e trattamento dell‘ipertensione arteriosa sistemica in corso diterapia antiangiogenicaPrima del trattamento• Selezione dei pazienti ipertesi• Stabilizzazione della pressione arteriosa secondo i criteri convenzionali

della pratica clinica.Durante il trattamento• La pressione arteriosa deve essere controllata di frequente e trattata

con la terapia antiipertensiva convenzionale• La terapia antipertensiva deve essere individualizzata e controllata perio-

dicamente in caso di sospensione /cessazione del trattamento oncologico• La sospensione temporanea del trattamento oncologico è raccoman-

data nei pazienti con ipertensione severa non controllata con terapiamedica

• Il trattamento può essere ripreso una volta che l’ipertensione sia nuo-vamente sotto controllo.

Livello evidenza VIB

Bibliografia• Pfizer Inc. SUTENT® (sunitinib) Summary of Product Characteristics,

2009.• Ravaud A. Ann Oncol 2009. • Kollmannsberger C, et al. Can Urol Assoc J 2007.• Hutson TE, et al. Oncologist 2008.

7.1 MucositiComplessità del fenomeno• Predisposizione individuale• Fattori congeniti• Chemio concomitante• Dose giornaliera o settimanale.

Aspetti oggettivi• Calo ponderale• Febbre

• Sanguinamento• Infezione• Interruzione

Aspetti soggettivi• Dolore• Fatigue.

Acute Radiation Morbidity Scoring (RTCOG)• Grado 0:

7. Tossicità da radioterapia

Figura 22. MUCOSITI: Schema operativo

Non esistono linee guida

InfiammazioneCorrelata ad alterazioni della proliferazione ed infezioni, caratterizzata da edema ed alterazioni della vascolarizzazione, comporta: dolore, alterazione dei processi immunitari, rischi infezioni

InfezioneBatteri: Gram-/Gram+, streptococcus mitis, streptococcus oralis, streptococcus sanguilis II: Clorexidina, polimixina, tobramicina Virus: Herpes simplex virus1 AciclovirMiceti: Candida Anfotericina, fluconazolo, nistatina

Terapia

Approccio empirico

Risorse�Costante e corretta igiene orale: sciacqui con H2O bicarbonato(sconsigliato H2O2 diluita)

GradeAlterazione della

proliferazioneInfiammazione Infezione

0 Igiene OraleIgiene OraleBicarbonatoBenzidamina

Igiene OraleFluconazolo (?)

1 Sucralfato Idem Idem

2 Idem Ketoprofene cpFluconazolo(al bisogno)

3 IdemKetoprofene i.m

Lidocaina (topico)Fluconazolo(al bisogno)

4 Ricovero Ricovero Ricovero

Figura 23. Exerotonina: Schema operativo

Sostituti della saliva: Soluzione ioniche acquose,composti a base di mucina, composti a base di metilcellulosa, gel contenenti enzimi, prodotti contenenti glicoproteine.Breve durataSapore sgradevole

Terapia eziologicaRimozione della causa (reversibilità?)Xerotomia radio-indotta = Processo irreversibile

1. Chewing gum senza zucchero Pasticche contenenti acido ascorbico, acido citrico, acido malico, ma favoriscono la deminera-lizzazione dello smalto

Prevenzione e cura delle complicanzeIgiene orale: spazzolino, filo interdentale, sciacquiFluoruri topici:prevenire la demineralizzazione dei denti (gel e dentifricio)Trattamento delle infezioni della cavità orale e delle ghiandole salivari

Terapia sintomaticaSollievo dei sintomi:sostituti della saliva

secretagoghi della saliva

Secretagoghi della saliva:1. Stimolano la via afferente dell’arco riflesso che media la produzione della saliva: 2. Mimano la via afferente dell’arco riflesso che media la produzione della saliva:

2. Pilocarpina: agonista muscarinico, posologia:5mg x 3/die (se permane una funzionalità salivare residua), terapia life-long Cevimelina: >selettività per RecM3 muscarinici, Betanecolo, AntoletritioneGrado di Raccomandazione B

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nelle terapie di supporto dei pazienti neoplastici

zione, la diminuzione di calibro e la deformazione. • La diminuzione di calibro e la deformazione delle strutture cave. La con-

glomerazione fibrosa di strutture vascolari, linfatiche e nervose(com-pressione ab estrinseco, sofferenza trofico - funzionale).

Terapia• Trattamento farmacologico:

- Superossido dismutasi- Pentossifillina (trantal)- Corticosteroidi- Inibitori di angiotensina

• Trattamento con O2 iperbarico• Trattamento fisioterapico.(Grado di Raccomandazione B)

7.5 Cardiopatia radioindottaDefinizione• danno del cuore (pericardio, miocardio, arterie coronarie,valvole) e si-

stema di conduzione durante la terapia radiante di neoplasie adiacenti• Prevalenza:

- asintomatica: 80% - sintomatica: 5-15%

Fattori di rischio• Dose totale >35-40Gy • Frazionamento:>2Gy • Volume di cuore esposto • Giovane età • Sede del tumore • Tecnica di radioterapia utilizzata • Tempo dall’esposizione:lungo • Chemioterapia cardiotossica (antracicline)• Presenza di altri fattori di rischio CV

Manifestazioni cliniche• Effetti diretti

- Pericardite(20-40%)- Aritmie e turbe della conduzione (5-20%)- Cardiomiopatia (4-13%)- Valvulopatie (5-20%)- Cardiopatia ischemica (5-6%)

• Effetti indiretti- Modificazione vascolari (stenosi)- Fibrosi polmonare (restrittiva)- Fibrosi mediastinica - Fibrosi dotto toracico (chilotorace)- Distiroidismo (ipotiroidismo-mixedema)

Effetti direttiPericardite (dosi > 35Gy):• Segni e sintomi:

- dolore toracico- sfregamento - edemi periferici - febbre

- diminuito voltaggio del complesso QRS- dispnea- rumori cardiaci attenuati- posizionamento antalgica con busto flesso in avanti- variazione del segmento ST e dell’onda T

Cardiomiopatia (dose>35Gy;>25Gy+antraciclina)• Radioterapia esclusiva (modificazioni subcliniche e potenzialmente

progressiva ) • Radioterapia + chemioterapia:

- cardiomiopatia restrittiva:disfunzione diastolica- cardiomiopatia dilatativa: disfunzione sistolica

• Segni e sintomi: - sincope- rumori cardiaci aggiunti- tachicardia- murmure- edemi periferici- ipertensione- tachipnea- epatomegalia- tosse- fatigue- dispnea da sforzo

Valvulopatia (dose>40Gy):• Segni e sintomi:

- tosse- fatigue- edemi periferici - altri segni di congestive hearth failure- dispnea da sforzo

Effetti indirettiCardiopatia ischemica (dose>30Gy):• Segni e sintomi:

- Acuta:- sindromi coronariche acute (anche senza stenosi) - IMA con alto ST - occlusione trombotica- IMA senza alto ST IMA non Q- Angina stabile (UA)

Pagina 284

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

• Lieve Severa- febbricola- sintomi respiratori aspecifici - respiro rapido e superficiale

• Severa- dispnea- dolore pleurico- tosse striata di sangue.

Danno cronicoFibrosi attinica• Fisiopatogenesi

- organizzazione fibrosa dell’essudato intra-alveolare con ispessimento

dei setti interstiziali• Sintomatologia

Maggiore parte asintomatica- Soggettiva - dispnea da sforzo- dispnea cronica e progressiva - ortopnea - respiro rapido superficiale- tosse irritativa

- Oggettiva- cianosisuono ottuso- suoni crepitii teleinspiratori- rantoli secchi.

Figura 24. Danno polmonare radio indotto

Test di funzionalità polmonare (PFTs): Perdita dei volumi polmonari (VC, TLC, FEV)Alterazione degli scambi gassosi Emogas analisiTest dell’espirazione forzata, test di diffusione del monossido di carbonio(DlCO):valutano gli indici di funzionalità respiratoria

TerapiaCorticosteroidi: solo nei pz sintomatici prednisone (1 mg/ kg/die) per 2-4 sett riducendo la dose nelle successive 6-12 sett (efficace nella tossicità acuta) Amifostina: citoprotettore a largo spettro protegge i tessuti sani dall’esposizione alle radiazione terapeuticheAlterazione degli scambi gassosi Emogas analisiTest dell’espirazione forzata, test di diffusione del monossi-do di carbonio(DlCO): valutano gli indici di funzionalità respiratoria

Emogas analisi:Misure di pO2, pCO, pHInsufficienza respiratoria:ipossiemia normocapnicaipossiemia ipercapnicaAlterazioni dell’EGA:più tardive della DlCO e correlate all’entità del danno.

Nuovi approcci farmacologici:Prevenzione: modulatori somministrati prima,durante o dopo il trattamento radiante per impedire l’insorgenza dei sintomi.Trattamento: modulatori somministrati dopo l’insorgenza della sintomatologia per risolvere o attenuargli. Pentossifillina ACE inibitori/antagonisti del Rec dell’angiotensine II Agenti dotati di attività superossido-dismutasica Anticorpi monoclonaliAgenti dotati di attività anticitochinica

Grado di Raccomandazione B

Grado di Raccomandazione C

7.4 Fibrosi da radiazioneSede• Ubiquitaria• Sedi rilevanti

- cute- distretto cervico-faciale- mammella- polmone- arti

• Situazione particolari- encefalo e midollo spinale- fegato

Tempo di latenza• 2-6 anni (polmone 2-8mesi)• la variabilità dipende dai meccanismi biologici progressivi con velocità

dipendente da fattori individuali.

Fattori di rischio generici• Dose totale/giornaliera elevata• Larga portata d’entrata del fascio• Qualità delle radiazioni• Sommazione di dose ai bordi• Profondità del build-up dell’energia• Angolo di incidenza delle radiazioni• Bolus di spessore eccessivo• Reirradiazione• Coincidenza con la sede di chirurgia• Terapia combinata con la chemioterapia • Precedenti/successive lesioni chimico-fisiche• Collagenosi/collagenopatia vascolare• Infezione croniche

Manifestazioni cliniche• La perdita dell’elasticità del tessuto, l’aumento di consistenza, la retra-

Organ/tissue Grade 0 Grade 1 Grade 2 Grade 3 Grade 4

Lung No change Mild symptoms of drycough or dyspnea onexertion

Persistent cough requiringnarcotic, antitussiveagents; dyspnea with mi-nimal effort but not at rest

Severe cough unresponsiveto narcotic antitussive agentor dyspnea at rest; clinicalor radiologic evidence ofacute pneumonitis; intermit-tent O2 or steroids may berequired

Severe respiratory insuffi-ciency; continuous oxygenor assisted ventilation

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nelle terapie di supporto dei pazienti neoplastici

- sclerosi vascolare- riduzione dei drenaggi linfatici- segni e sintomi: intolleranza al lattosio, deficit vit. B12, steatorrea(sindrome da malassorbimento)

• Alterata motilità intestinale:- disfunzione neuromuscolare- formazione di stenosi- fibrosi- segni e sintomi:meteorismo, stipsi, diarrea cronica

• Aterate funzioni digestive:- eccessiva proliferazione batterica

Proctopatia (RT distretto pelvi)Le manifestazione cliniche variano secondo la sede in cui predomina il danno:• danno mucosa: ematochezia (anemia)• infibrosi: riduzione della compliance anorettale (tenesmo).

7.7 Sistema nervoso centraleClassificazione temporale dei danni radioindotti su encefalo e nervi craniciAcuti: • durante o nei giorni successive al trattamento radiante • reversibili• manifestazioni cliniche: edema radioindottoIntermedi: • alcune settimane dalla fine del trattamento radiante• reversibiliTardivi:• da alcuni mese fino anni dalla fine del trattamento radiante • irreversibili progressivi • manifestazioni cliniche: vasculopatie, radionecrosi, deficit cognitivi.

Manifestazioni cliniche del danno acutoEdema radioindottoLa patogenesi dipende da:• alterata fisiologia della barriera emato-encefalica • volume irradiato • sede irradiata(parasagittale) • dose per frazione (>6Gy)• presenza di edema pre-tarattamento.

Manifestazioni cliniche del danno tardivoVasculopatie• Patogenesi

- l’eccessiva proliferazione endoteliale pùò determinare l’occlusione

vasale o portare una riduzione del letto vascolare - adesione delle piastrine alla matrice intimale esposta favorendo laformazione di emboli e di trombi

• Fattori che influenzano il danno- Dose totale, dose /frazione - Volume- Età del paziente- Dose di RT:20-30Gy: vasculopatia- Dose di RT:15-30Gy in singola frazione: MAV stenosi (71-89%) - Età: complicanza frequente in pazienti di età <18aa,49% (pz di età<4aa)

- Timing: dopo 6-25 mesi al termine del trattamento (tempo medio circa8aa)

• Danni cerebrovascolari:- Stenosi/ occlusione arteria intracranica- Aneurisma intracranico- Radionecrosi - Aterosclerosi intracranica - Modifiche dell’emodinamica cerebrale- Emorragia cerebrale - Moyomoya syndrome - Stroke - Arteriopatia occlusiva del ciclo di Willis.

Radionecrosi• Il parenchima cerebrale sviluppa un quadro di necrosi dopo trattamento

radiante• Disturbi cognitivi più frequenti:

- disturbi/cambiamento della personalità- eccessiva astenia- fatigue- perdita progressiva della memoria- assenza di iniziativa

• Sintomi della ripresa di malattia: - edema perilesionale (emiparesi) - paziente con lesione dell’emisfero sx :afasia epilettiforme o afasiacompleta

Deficit cognitivi• Riduzione del QI• Riduzione della capacità di apprendimento • Riduzione dei livelli di attenzione • Disturbi della personalità• Rallentamento dei tempi di risposta • Demenza • Cefalea

Pagina 286

RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

- Cronica: - stenosi fisse: angina da sforzo.

Terapia delle aritmieTachiaritmie: fibrillazione atriale• Digitale• Verapamil o Beta bloccanti• Chinidina • Terapia anticoagulante(Grado di Raccomandazione A)Cardiomiopatia dilatativa• Dieta iposodica • Diuretici• Digitale• Vasodilatatori(idralazina,nitrati ed ACE inibitori)• Terapia antiaritmica• Terapia anticoagulante(Grado di Raccomandazione A)Cardiomiopatia restrittiva• Decorticazione endocavitaria con valvuloplastica • Eventuale sostituzione della valvola mitrale o tricuspide (Grado di Raccomandazione A)

Terapia delle valvulopatieStenosi mitralica• Terapia medica:

- digitale- diuretici- profilassi antibiotica- anticoagulanti

• Terapia chirurgica:- commissurectomia- sostituzione valvolare- valvoloplastica con palloncino

(Grado di Raccomandazione A)Insufficenza mitralica• Terapia medica:

- digitale - diuretici- vasodilatatori- antiaritmici

• Terapia chirurgica (se non risponde):- sostituzione valvolare

(Grado di Raccomandazione A)

Terapia dell’anginaAngina stabile• Controllo fattori di rischio• Controllo patologie che aumentano il consumo di ossigeno• Nitroderivati • Betabloccanti• Calcioantagonisti• Angioplastica (Grado di Raccomandazione A)Angina instabile• Ricovero per monitoraggio:

- coronarografia

- nitroglicerina e.v.- +/+ Calcio-antagonisti- +/- Betabloccanti

(Grado di Raccomandazione A)

Terapia dell’infarto miocardico acuto• Corretta interpretazione dei sintomi• Enzimi miocardici• Alterazioni ECG• Sedazione del dolore(oppiacei o derivati)• Nitroglicerina • Calcioantagonisti• Terapia anticoagulante (trombolisi)(Grado di Raccomandazione A)

7.6 Enteropatia da radiazioneL’enteropatia da radiazione costituisce un importante ostacolo per la radio-curabilità dei tumori addome/pelvi e influenza negativa sulla qualità di vitaL’incidenza dipende da:• dose • volume di intestino irradiato• schedule di frazionamento• chemioterapia concomitante• comorbidità• sopravvivenza del paziente.

Caratteristiche generaliEnteropatia acuta• molto frequente• severa ma transitoria• si risolve dopo il termine del trattamentoEnteropatia cronica• poco frequente • spesso severa• cronica e progressiva (6 mesi- 3aa)• significativa morbidità e mortalità (10%).

Quadri clinici tipici di enteropatia acutaEsofago• sintomi di reflusso gastro-esofageo • disfagia (a 2 settimane dall’inizio della RT) Stomaco• nausea e vomito(possono insorgere assai precocemente)• soppressione della secrezione gastrica • gastrite erosiva/ulcera (2-3 settimane dall’inizio della RT).Intestino• requenti: nausea, vomito, precoce senso di sazietà, anoressia e astenia• enterite acuta da raggi (si sviluppa in caso di irradiazione di grandi vo-

lumi di intestino tenue): diarrea di varia entità e crampi addominali (in-sorgono a 2 -3 settimane dall’inizio della RT)

• proctocolite acuta: aumentata peristalsi e tenesmo, talvolta ematoche-zia (per irritazione emorroidaria)

Enteropatia (RT addome superiore)• Disfunzione della mucosa:

- atrofia della mucosa- ridotto attività degli enzimi di membrana

Tabella 13. Classificazione prognostica dei pazienti con metastasi cerebrali secondo RTOG (1997)

Variabili Classe

1 2 3

Indice di Karnofsky- Burchenal 80-100 >70 <70

Età (anni) <60 <60 >60

Stato del tumore primitivo Assente/controllato Presente/controllato Presente /in progressione

Estensione metastatica Solo cervello Solo cervello Cervello + sedi extracerebrali

Incidenza 20% 70% 10%

Sopravvivenza mediana (mesi) 7,1 4,2 2,5

Modificata da Gaspar L.E. e coll, Int. J. Rad. Oncol.Biol. Phys., 1997

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nelle terapie di supporto dei pazienti neoplastici

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

• Test psicometrici:- Wechsler (WAIS)- Scala di Blessed,Folstein- Mini mental status exhamination

• Infanzia:30Gy max per ERT WB, necessita di associare CT(ritardo men-tale per dosi elevate)

• Età adulta (a mielinizzazione avvenuta): >50 Gy declino delle funzionicognitive.

7.8 Bibliografia• Cox JD, Stetz J, Pajak TF, et al. Toxicity criteria of the Radiation Therapy On-

cology Group (RTOG) and the European Organization for Research and Treat-ment of Cancer (EORTC). Int J Radiat Oncol Biol Phys 1995; 31(5): 1341-1346.

• Gaspar LE, Scott C, Rotman M, Asbell S, Phillips T, Wasserman T, McKennaWG, Byhardt R. Recursive partitioning analysis (RPA) of prognostic factors inthree Radiation Therapy Oncology Group (RTOG) brain metastasises trials. IntJ Rad Oncol Biol Phys 1997; 37(4): 745-751.

8.1 Trattamento tossicità cutanea e prurito da TKI e mAb anti EGFR

Misure preventive generali• Idratazione massima della cute (olii da bagno/doccia)• Uso di acqua tiepida

• Impiego di emollienti (su arti, mani, piedi)• Tocoferolo acetato olio o gel• Evitare scarpe strette• Protezione solare• Eseguire frequenti controlli

8.2 Trattamento tossicità oculari da TKI e mAb anti EGFRMisure preventive generali• Terapia idropinica• Utilizzo di lacrime artificiali • Evitare lenti a contatto o esposizione ad polveri e vento

8. Tossicità da nuovi farmaci a target biologico

Tabella 14. Misurazione grado di tossicità cutanea e prurito da TKI e mAb anti EGFR

Grado1 Grado2 Grado3 Grado4 Grado5

Secchezza cutanea

AsintomaticaSintomatica, non interferisce con ADL

Interferiscecon ADL - -

Modificazioniungueali

Alterazioni del colore, coilonichia, infossamento

Parziale o completa perdita diunghie; dolore

Interferisce con ADL - -

Prurito Lieve o localizzato Intenso o diffuso Interferisce con ADL - -

Rash/desquamazione

Eruzione maculare o papulare o eritema senzasintomi associati

Eruzione maculare o papulare oeritema con prurito o altri sin-tomi associati; desquamazionelocalizzata che interessano<50% della superficie corporea

Severa eritrodermia generalizzata oeruzione maculare, papulare o vescico-lare; desquama zione che interessa>50% della superficie corporea

Generalizzata, esfoliativa, ulcerativa o dermatite bol-losa

Morte

Rash/acneiformeNon indicato trattamento

Indicato trattamentoAssociato con dolore, ulcerazione o desquamazione

-Morte

Modificata da Scope et al., JCO, 2007

Figura 25. Trattamento tossicità cutanea e prurito da TKI e mAb anti EGFR: Schema operativo

Livello di evidenza IIB/III, Grado B raccomandazione, Scope et al., JCO, 2007

• Gel o crema a base di metronidazolo, eritromicina, clindamicina, benzoilperossido• Soluzioni di acido salicilico • Crema al mentolo o lavaggi con amido di riso per il prurito • Evitare corticosteroidi e retinoidi

• G2: Minociclina 100 mg/die, Doxiciclina 100 mg/die, Vinociclina 100 mg/die, Limeciclina 300 mg/die; • G3: aumento della dose degli stessi farmaci per un breve periodo• Antibiotici anti-S.aureus in caso di sovrainfezione • Anti-istaminici in caso di prurito • Evitare corticosteroidi

Eruzione Acneiforme

Grado 1 Grado >2

Xerosi,�Fissurazioni,Eczema

• Emollienti: Olio di mandorle, preparati a base di polietilenglicoli (PEG) o soluzioni a base di salicilati per via topica per le fissurazioni. • Corticosteroidi per uso topico per brevi periodi (1- 2 settimane) per l’eczema. • Antibioticoterapia per via topica o orale per le sovrainfezioni

Figura 26. Trattamento tossicità cutanea e prurito da TKI e mAb anti EGFR: Schema operativo

- Misure generali (evitare scarpe strette). Lavaggi con antisettici. Paste essiccanti contenenti antisettici, antifungini e corticosteroidi- Trattamento con nitrato di argento o alluminio esaidrato per il granuloma piogenico- Antibioticoterapia per os per sovrainfezione da S. aureus- Farmaci anti-infiammatori per os per il dolore

Paronchia

Corticosteroidi e antistaminici (livello II) Prurito Aprepritant (sperimentale) (livello III)Grado 1 Grado >2

Taglio delle ciglia

Protezione solare

Si riducono spontaneamente in alcuni mesi. Non indicazione ad alcun trattamento

Alterazioni peli

Iperpigmentazione

Teleangectasie

Livello di evidenza IIB/III, Grado B raccomandazione, Scope et al., JCO, 2007

Figura 27. Trattamento tossicità oculari da TKI e mAb anti EGFR

Assenza dirisposta entrouna settimanadall’inizio deltrattamento

Miglioramento dei sintomi

Grado 1

Stop terapia con TKI e/omAb e inizio trattamentocon corticosteroidi topici

± Antibioticoterapia

Continuazione del TKI e/omAb e continuazione della

terapia in atto fino arisoluzione dei sintomi

Inizio trattamento generico medico comeper Blefarite Squamosa, Meibomite o DTS

Livello di evidenza IIB/III, Grado B raccomandazione,Lacouture et al., Nature Reviews, 2006

Emorragia oculare Riduzione dell’acuità Visiva

Edema periorbitale Congiuntivite Irritazione oculareSecchezza oculare

Papilledema Diplopia

Visione offuscata Fotofobia

Edema oculare Blefarite

Dolore oculare

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nelle terapie di supporto dei pazienti neoplastici

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

8.3 Diagnosi e trattamento dell’ipertensione da TKI e mAbMisure preventive generali• Stabilizzare la pressione arteriosa pre-trattamento a valori di 120/70 – 130/80 mmHg. • Raccomandato monitoraggio pressorio domiciliare settimanale

Tabella 15. Intensità e trattamento sindrome mani/piedi (HFSR) da TKI

Severità (CTCAE v.4.0) Tipo di intervento

Grado 0Profilassi con crema al lattato di ammonio al 12% o creme altamente idratanti (olio divasellina) 2 volte/ die

Grado 1minime alterazioni cutanee o dermatiti (per es. eritema,edema, ipercheratosi), senza dolore

• Continuare il trattamento alla dose corrente e monitorare eventuali evoluzioni peggio-rative della tossicità

• Trattamento con creme all’urea al 20% 2 volte / die o al clobetasolo allo 0,05% 1volta / die

• Rivalutazione dopo 2 settimane: se la reazione è invariata o peggiorata passare allostep successivo

Grado 2Alterazioni cutanee associate a dolore (esfoliazione, vesci-che, edema o ipercheratosi) limitanti il vivere giornaliero(ADL)

• Continuare il trattamento alla dose corrente e monitorare eventuali evoluzioni peggio-rative della tossicità

• Trattamento con creme all’urea al 20% 2 volte/die o al clobetasolo allo 0,05% 1volta/die e controllo del dolore con FANS, oppioidi e GABA agonisti.

• Rivalutazione dopo 2 settimane:se la reazione è invariata o peggiorata passare allostep successivo

Grado 3Alterazioni cutanee associate a dolore (esfoliazione, vesci-che, edema o ipercheratosi) limitanti ADL

• Interrompere il trattamento fino a riduzione della tossicità a G0-G1• Continuare il trattamento con creme all’urea al 20% • 2 volte/ die o al clobetasolo allo 0,05% 1 volta/die e controllo del dolore con FANS,

oppioidi e GABA agonisti• Rivalutazione dopo 2 settimane:se la reazione è invariata o peggiorata valutare la so-

spensione temporanea o permanente del trattamento

Tabella 16. Diagnosi e trattamento dell’ipertensione da TKI e mAb

Grado ipertensione Frequenza Suggerimenti modifiche della posologia

Grado 1 (< 24 ore) – 2 ( ≥ 24 ore)Aumento della PA diastolica > 20 mm Hg o > 150/100 se inprecedenza normale

Continuare il trattamento con TKI con la medesima schedula ini-ziale ed associare una terapia farmacologica anti-ipertensiva eriduzione di dose in caso di Grado 2

Grado 3 PA sistolica ≥170 o diastolica ≥ 110 mmHg in pazienti già trat-tati con anti-ipertensivi

Livello I

Interrompere il trattamento col farmaco in studio fino a PA sistolica < 140 o diastolica < 110 mmHg (consentire un ritardomassimo di 4 settimane per ripristinare ritrattamento a dose ridotta)

Livello II e IIIInterrompere il trattamento col farmaco in studio fino a PA sistolica < 140 o diastolica < a 110 mm Hg (valutare interru-zione definitiva del trattamento)

Livello di evidenza IIB/III, Grado B raccomandazione, Llovet et al., J. Hepat, 2008

Livello di evidenza IIa, Grado B raccomandazione, ANMO guidelines, 2011

Figura 28. Algoritmo di sorveglianza per cardio/vasculo tossicità da TKI e mAb

Nessun eventocardiovascolare

Nessun eventocardiovascolare

Eventocardiovascolare

Nessun eventocardiovascolare

FOLLOW-UP alungo termine

Proseguimentodel trattamento

antitumorale

Monitoraggiocardiovascolare

Proseguimentodel trattamento

antitumorale

Proseguimento deltrattamento antitumorale

Controlli cardiologiciperiodici e schedulati

Rivalutazione delrischio di

cardiotossicità Livello di evidenza IIa, Grado B raccomandazione,ANMO guidelines, 2011

Valutazione OncologicaAnamnesi familiare e personale

DiagnosiProposta terapeutica

Prognosi

Valutazione CardiovascolareAnamnesi familiare e personale

Valutazione del rischioCorrezione dello stile di vita

Inizio del trattamento antitumorale

Valutazione di rischiocombinato-rischio

cardiotossicitàProposta di misure

cardioprotettive

Modifiche del trattamentoantitumorale

Specifica terapia cardiovascolareRivalutazione del rischio

di cardiotossicità

Figura 29. Trattamento ipertensione come tossicità da TKI e mAb

ACE inibitoriInibitori Sistema Renina Angiotensina

Beta BloccantiAlfa Bloccanti, Nitroderivati

Calcio-antagonisti

NifedipinaCalcio-antagonisti

VerapamilDiltiazem

INIBITORI CYP3A4

Bassa interazione

Usare con cautela

CONTROINDICATIcon inibitori

dell’angiogenesi

Verapamil, Diltiazem non dovrebbero essere usati in concomitanza con inibitori orali dell’angiogenesi per l’inibizione di CYP3A4

Livello di evidenza IIa, Grado B raccomandazione, ANMO guidelines, 2011

Interazioni degli inibitori dell’angiogenesicon le diverse classi di antipertensivi

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nelle terapie di supporto dei pazienti neoplastici

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

Figura 30. Trattamento “altre” cardio/vasculo tossicità da TKI e mAb

N-Acteil-L-cisteinaFlavonoidi e polifenoli

FANSAnticoagulanti

Antiaggreganti piastrinici

N-Acteil-L-cisteinaFlavonoidi e polifenoli

Glutatione, zinco,selenio, melatonina,

ardosteina

FANSAnticoagulanti

Antiaggreganti piastrinici

N-Acteil-L-cisteinaFlavonoidi e polifenoli

FANSSteroidi

Livello di evidenza IIa, Grado Braccomandazione, ANMO guidelines, 2011

Fibrosi

ACE inibitoriIpertensione

Beta bloccanti

Effetti sulla conduzioneBradicardia sinusale

Blocco AVTachicardia ventricolare

Disturbi del ritmoAritmie

ACE inibitoriBeta bloccanti

TromboembolismoEdema

Tromboembolismo

Emorragia

Danno cardiomiocitarioDisfunzioni mitocondrialiApoptosi dei cardiomiociti

Stress da radicali liberi dell’O2Danno al DNA/blocco ATP

Apoptosi/Citotossicità Ab mediata

ACE inibitoriBeta bloccantiDexrazoxane

CarnitinaCoenzima Q 10

N-Acteil-L-cisteinaFlavonoidi e polifenoli

Effetti vascolariDanno endotelialeSpasmo vascolareSegnali cellulari

Apoptosi

Figura 31. Diagnosi/trattamento dismetabolismi e diselettrolitemie da TKI e mAb

Tutti i gradi

Grado 3 e 4

Monitoraggio parametri epatici e/o renali,attesa normalizzazione dei valori ad un

grado ≤ 1, valutare riduzione del dosaggioo interruzione del trattamento

Grado 1 e 2

Monitoraggio parametri epatici e/o renali,prosecuzione del trattamento

allo stesso livello di dose

AsintomaticitàPossibile astenia e fatigue di grado < 2

Terapia di sostituzione tiroidea a dosi opportune

Tutti i gradiNon si accompagna di solito ad evidenza clinica, solo

occasionalmente a marcata fatigue.Il trattamento consiste nella supplementazione con solfato di magnesio

ev o formulazione di magnesio per os

Livello di evidenza III, Grado B raccomandazione, www.ema.europa.eu/docs/it

Ipotiroidismo

Ipomagnesiemia

Tossicità epatica/renale

8.4 Diagnosi/trattamento dismetabolismi e diselettrolitemie da TKI e mAbMisure preventive generali• Controllo elettroliti • Test di funzionalità epatica periodici• Test di funzionalità tiroidea periodici.

Linee guida di riferimento• Linee guida ANMO

• Linee guida AIOM

http://www.aiom.it/

Tabella 17. Altre tossicità a minor frequenza: ipofosfatemia, ipocalcemia, anemia, anoressia/cachessia

Grado 1-2 Continuare il trattamento con TKI o mAb; monitoraggio finchè clinicamente indicato

Grado 3-4

• Interrompere il trattamento con TKI o mAb fino a riduzione dell’evento avverso a G ≤ 2.

• Riprendere il trattamento a dose ridotta• Monitoraggio come clinicamente indicato

Ricomparsa di evento avverso di G3-4 dopo riduzione di dose Interrompere definitivamente il trattamento con TKI o mAb

Livello di evidenza III, Grado B raccomandazione, www.ema.europa.eu/docs/it

Tabella 18. Diagnosi e trattamento diarrea da TKI e mAb

GradoEvento avverso

Descrizione Modifiche del trattamento

1• Aumento < 4 del numero di scariche al giorno rispetto al

basale • Continuare alla stessa dose implementando le misure te-rapeutiche di supporto

2• 4-6 scariche/die oltre il basale• Necessaria idratazione e.v. per meno di 24 ore

3• ≥ 7 scariche/die rispetto al basale, incontinenza • Necessaria idratazione e.v. per ≥ 24 ore• Ospedalizzazione

• 1°episodio: interrompere fino a risoluzione, riprendere iltrattamento alla stessa dose ma con terapia di supporto

• 2°episodio: interrompere fino a risoluzione, riprendere iltrattamento a dose ridotta e con terapia di supporto

4• Conseguenze potenzialmente fatali per esempio collasso

emodinamico

• Interrompere fino a risoluzione, riprendere il trattamento adose ridotta e con terapia di supporto

• 2° episodio: valutare la sospensione del trattamento

Livello di evidenza IIa, Grado B raccomandazione, ANMO guidelines, 2011

Tabella 19. Intensità e trattamento polmonite da TKI e mTor inibitori

Grado sintomi

Contromisure Modifiche della schedula

1 asintomatica • Nessuna terapia specifica • Continuare alla stessa dose per il grado 1. Interrompere laterapia per il grado 2 e riprendere trattamento a dose ri-dotta quando tossicità di grado ≤ 1. Se non risoluzione adun grado ≤ interrompere definitivamente la terapia

2 sintomatica ma noninterferisce con ADL

• Valutazione pneumologica• Escludere cause di infezione• Considerare utilizzo steroidi

3 sintomatica,interferisce con ADL, indicata O2 terapia

• Valutazione pneumologica• Escludere cause di infezione• Considerare utilizzo steroidi/antibiotici (*)

• 1°episodio: interrompere fino a risoluzione fino a grado ≤1, riprendere poi il trattamento a dose ridotta dose ma conterapia di supporto

• 2°episodio: interrompere definitivamente il trattamento

4 sintomatica, rischiodi vita, terapia venti-latoria indicata

(*) • sospensione del trattamento

Livello di evidenza III, Grado B raccomandazione, www.ema.europa.eu/docs/it

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nelle terapie di supporto dei pazienti neoplastici

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

Definizione“Il dolore è un fenomeno personale e soggettivo, una spiacevole sensazionefisica associata ad una esperienza emozionale”. IASP

Valutazione del dolore• Il dolore oncologico non può essere considerato solo un sintomo della

fase avanzata –terminale. Infatti è presente alla diagnosi nel 25% deimalati di tumore, nel 50% durante i trattamenti antitumorali, e in faseavanzata-terminale nel 75-80% dei soggetti. E’ auspicabile che tale sin-tomo venga rilevato come parametro vitale ed inserito nella grafica delpaziente con periodico monitoraggio.

• Dunque è dovere del medico che prende in cura il malato oncologico es-sere in grado di riconoscere precocemente il dolore e trattarlo in modoadeguato.

• Circa il 3-5% dei pazienti dei pazienti soffre di dolori resistenti al tratta-mento farmacologico, nonostante il corretto approccio terapeutico; taliquadri devono essere riconosciuti e portati all’attenzione dell’algologo equesto in tutte le fasi della malattia.

• Per garantire il miglior risultato terapeutico sia in termini di aspettativadi vita che di qualità il modello simultaneous care sembra essere ad oggi

il più accreditato. • La terapia del dolore deve essere specifica per ogni paziente utilizzando

un approccio di tipo logico passo dopo passo.

Valutare il dolore• Eseguire una diagnosi della causa del dolore in maniera accurata• Valutare caratteristiche, posizione, frequenza, fattori aggravanti e di

sollievo• Risposta alla precedente cura e trattamento• Utilizzo di scale numeriche per valutare il dolore: uso del punteggio nu-

merico del dolore 0-10, dove 0 indica nessun dolore e 10 dolore grave,il peggior dolore immaginabile

• Uso regolare di analgesici ad adeguati intervalli di dose.(Raccomandazione positiva forte)

Regolare monitoraggio dell’effetto dei trattamenti • Prescrivere analgesici regolarmente• Prescrivere analgesici per il DEI • Considerare la migliore modalità di somministrazione • Prescrivere analgesici secondo la scala OMS.

9. Terapia del dolore nel paziente oncologico

Figura 31. Valutazione del dolore

Validata da A. Caraceni, JPSM 2002

Figura 32. Trattamento del dolore

Gli adiuvanti: sono farmaci che contribuiscono al controllo del dolore con meccanismi diretti e indiretti e possono essere utilizzati sia da soliche con gli analgesici. Possono essere introdotti in ogni momento della scala analgesica (questa definizione va sotto all’algoritmo)

Raccomandazione positiva debole

STEP 1NRS 1-3

FANS-PARACETAMOLO+/- ADIUVANTI

Pazienti che utilizzano i FANS dovrebbero ricevereun’adeguata protezione gastointestinale

DOLORELIEVE

Raccomandazione positiva debole

STEP 2NRS 4-6

OPPIOIDI DEBOLI +/-FANS-PARACETAMOLO

+/- ADIUVANTI

DOLOREMODERATO

Raccomandazione positiva forte

STEP 3NRS 7-10

OPPIOIDI FORTI +/-FANS-PARACETAMOLO

+/- ADIUVANTI

DOLORESEVERO

Se l’effetto di un oppioide debolenon è adeguato è consigliabile passare al 3°

gradino della scala piuttosto che cambiare oppioide

NRS= Numerical Analogue Scale: 0= nessun dolore 10= dolore grave

Figura 33. Trattamento del dolore

Riconsiderare le causeConsiderare adiuvanti

Considerare interventi invasiviConsulenza specialistica

Continuare:AntiemeticiLassativi

Oppioidi ad immediato rilascio per DEI

DOLORE NON CONTROLLATODOLORE CONTROLLATO

Incrementare la dose dell’oppioide del 30-50% ogni giorno fino al controllo del dolore o alla comparsa di effetti collaterali

Convertire se necessario aldosaggio equivalente di:Oppioide a lento rilascio

Oppioide alternativo

Figura 34. Titolazione degli oppioidi forti

Pazienti non naive: 10 mg

oppure

oppure

Pazienti naive: 5 mg

Iniziare con morfina immediato rilascio ogni 4 h

Oppioide alternativo in dose equivalente (essicodone, idromorfone)

Morfina lento rilascio 10-30 mg ogni 12 h

Raccomandazione positiva forte

NB: Prescrivere oppioide ad immediato rilascio per DEIEs. morfina immediato rilascio 1/6 della dose/die o fentanyl secondo indicazione

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nelle terapie di supporto dei pazienti neoplastici

Trattamento del dolore nei pazienti anziani• La scala WHO è il gold standard nel trattamento del dolore da cancro

nel paziente anziano(Raccomandazione positiva debole)• Farmaci del III gradino possono essere raccomandati in caso di dolore

moderato-severo(Raccomandazione positiva forte)• L’uso dei farmaci adiuvanti in associazione al trattamento dei farmaci

analgesici è raccomandato (Raccomandazione positiva debole)

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

Definizione del DEIEsacerbazione transitoria del dolore, avvertita dal paziente il cui dolore dibase è relativamente stabile ed adeguatamente controllato

Caratteristiche del DEI• Intensità massima entro 3-5 minuti • Dolore spesso di grado da moderato a severo • Ddurata mediana di 30 minuti (1-240)• Può verificarsi ovunque • Può verificarsi più volte al giorno • > 4 episodi di DEI si deve valutare la modifica della terapia di base.

Trattamento DEI• Prescrivere morfina ad azione immediata o fentanyl transmucosale per

episodi di DEI(Raccomandazione positiva forte)

Calcolo dose oppiodi• Per calcolare la dose per episodio = dose giornaliera totale di morfina di-

viso 6- Es. morfina SR 30 mg b.d. = dose totale di morfina per os nelle 24 ore60 mg

- Dose rescue per DEI= morfina IR 10 mg per os• La dose iniziale di Fentanil deve essere di 100 �g , con ulteriori incre-

menti secondo necessità in base ai dosaggi disponibili (compresse da100, 200, 400, 600 e 800 �g).

• I pazienti devono essere titolati fino alla dose massima raccomandata,corrispondente a 800 �g Per episodio di dolore.

(Raccomandazione positiva debole)

Trattamento del dolore nelle metastasi ossee• Bifosfonati(Raccomandazione positiva debole)• Radioterapia: consigliata in caso di metastasi ossee sintomatiche(Raccomandazione positiva forte)• Terapia radio-metabolica: da considerarsi solo in casi selezionati di me-

tastasi ossee dolenti.(Raccomandazione positiva debole)

Figura 35. Titolazione degli oppioidi forti

Raccomandazione positiva debole

ROO (rapid onset opioids)possono essere somministrati solo a pazienti che assumono almeno morfina 60 mg/die

per os, ≥ 25 µg fentanil transdermico o dosi equivalenti di altri oppioidi

Indicazioni per incremento della dose della terapia di baseNecessità di > 2 dosi rescue nell’intervallo di 4 h tra 2 dosi fisse

Necessità di > 4 dosi rescue nelle 24 h

Tabella 20. Tipologie e fattori correlati al DEI

PREVEDIBILE

DOLORE EPISODICO INTENSO INCIDENTE

VOLONTARIO: correlato al movimento

INVOLONTARIO: correlato a movimenti riflessi

PROCEDURALE: correlato ad interventi terapeutici

NON PREVEDIBILEDOLORE EPISODICO INTENSO SPONTANEO

Non correlato ad alcuna azione identificabile

Tabella 21. ROO (rapid onset opioids)

Formulazione Comparsa dell’analgesia Durata

MorfinaMorfina solfato soluzione oraleMorfina cloridrato e.v. o s.c

30-40 Min5-15 min

4 ore

OssicodoneCompresse(+ paracetamolo)

30 min 4 ore

Fentanyl

OFTCOro-mucosaleSublingualeNasale

5-10 min 1-2 ore

Tabella 22. Farmaci analgesici oppioidi

Farmaci per via orale Durata H Emivita HDosaggi Disponibile mg

Inizio effettoMin -ore

Agonisti puri

Codeina 3-6 2-3 30* 30m

Tramadolo IR 4-6 50,100 30m

Tramadolo CR 12 100,150,200 60-120m

Ossicodone IR 3-6 2-3 5,10,20 40m

Ossicodone CR 12 2-3 5,10,20,40,80 40m

Idromorfone Oros 24 12-15 4,8,16,32 60m

Morfina IR 4-6 2-3 10,30,60,100 30m

Morfina CR 12 2-3 10,30,60,100 60-120m

Metadone 4-8 15-57 1mg/ml, 5mg/ml 60m

OTCF 1-2 200,400,800,1200,1600µg 10m

Agonisti parziali

Bufrenorfina sublingale 6-8 2-5 0,2 30m

Farmaci per via transdermica

Agonisti puri

S.T. Fentanyl 60-72 24-40 12,25,50,75,100µg/h 6-12**

Agonisti parziali

S. T. Buprenorfina 72 25-36 35-52,5-70µg/h 12-24 ore**

Tabella 23. Dosaggi di conversione degli oppioidi

Cod°Mg

TramMg

BTDSMg/ora

FTTSMg/ora

Oxmg

Id °°Mg

Met*Mg

MorMgOSATC

MorMgSC

MorMgEV

MorMgPD/SA

MorMgPRNOS

MorMgPRNSC/EV

OTFC°°°

120 150 12 15 6 30 15 10 1,5/0,15 5 200

240 300 35 25 30 12 15 60 30 20 3,0/0,30 10 5/3,3 400

52,5 45 18 90 45 30 4,5/0,45 15 400/600

70 50 60 24 20 120 60 40 6,0/0,60 20 10/6,6 600

75 90 36 180 90 60 9,9/0,90 30 800/1200

100 120 48 240 120 80 12/1,2 40 1200/1600

30 300 50 1600

* In associazione a paracetamolo 500 mg**dipende anche dalla dose(maggiore la dose più breve l’intervallo all’inizio dell’effetto LINEE GUIDA AIOM, 2009

° Rapporto codeina/morfina basato su letteratura ed esperienza degli autori; °° Rapporto idromorfone/morfina su formulazione retard di idromorfone presente in Italia°°° Rapporto OTFC/altri oppiodi basato su letteratura ed esperienza autori; * Rapporto morfina/metadone non è lineare, ma cambia all’aumentare della dose di morfina

Legenda: Cod = codeina, Tram = tramadolo, BTDS = buprenorfina transdermica, FTTS = Fentanyl transdermico, Ox = Ossicodone, Id = Idromorfone, Mor = Morfina, Met = Metadone, ATC = Around the clock, a orari fissi, PRN = Pro Re Nata, al bisogno, Os = Orale, SC = Sottocutaneo, EV = Endovenoso, PD = Peridurale, SA = Subaracnoideo, OTFC = Oral Transmucosal Fentanyl Citrate

LINEE GUIDA AIOM, 2009

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nelle terapie di supporto dei pazienti neoplastici

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

Tabella 24. Effetti collaterali indotti dagli oppioidi

Effetti gastrointestinaliNauseaVomitoStipsi

Effetti automiciXerostomiaRitenzioni urinariaIpotensione

Effetti sul Sistema Nervoso Centrale

SedazioneAllucinazioniDelirioDepressione respiratoria (anedottica)MioclonoIperalgesiaSonnolenza

Effetti cutaneiPruritoSudorazione

LINEE GUIDA AIOM, 2009

LINEE GUIDA AIOM, 2009

LINEE GUIDA AIOM, 2009

Tabella 25. Gestione effetti collaterali indotti dagli oppioidi

Sintomo Approccio Terapeutico Qualità degli studi Raccomandazioni

Mioclono Approccio Farmacologico Molto bassa Negativa debole

Sedazione Farmaci psicostimolanti Moderata Positiva debole

Depressione Respiratoria Antagonisti degli oppiodi Bassa Positiva forte

Delirium Approccio farmacologico Bassa Positiva debole

Stipsi

lassativi Moderata Positiva forte

Antagonisti del mu-recettore Alta

Positiva deboleNaloxone e methylnaltrexoneNegativa debole(Alvimopan)

Prurito Farmaci vari Moderata Positiva debole

Nausea Vomito Farmaci vari Moderata Positiva debole

Tabella 26. Farmaci adiuvanti classificati in base al loro effetto terapeutico

Effetto analgesico diretto Azione contrastante gli effetti collaterali Effetto analgesico indiretto

Antidepressivi Antiemetici Antinfiammatori/antiedemigeni

Anticonvulsivanti Lassativi Antispastici

Anestetici locali Stimolanti la minzione Antisecretori

Corticosteroidi Psicostimolanti Antitussigeni

Bisfosfonati Miorilassanti

Inibitori recettori NMDA Ansiolitici

Baclofen Antidepressivi

Clonidina Antibiotici

Adenosina Antiacidi

Antistaminici

Neurolettici

Progestinici

Linee guida di riferimento• LINEE GUIDA AIOM

http://www.aiom.it/Attivit%E0+Scientifica/Linee+guida/Terapia+del+dolore+in+Oncologia/1,3494,0,• PALLIATIVE CARE PAIN CONTROL AND SYMPTOM CONTROL GUIDELINES• PON 2010-2012 • TASK FORCE CURE PALLIATIVE E ONCOLOGIA AIOM• NCCN VERSION 1.2011

http://www.nccn.org/professionals/physician_gls/pdf/pain.pdf

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei pazienti anziani

Criteri di appropriatezza clinicaed organizzativa nella diagnosi,

terapia e follow-up dei pazienti anziani

Coordinatore: Lazzaro Repetto

R. Bernabei, V. Bianco, L. Cipriani,G. Lanzetta, R.A. Madaio, A. Mastromattei,

P. Pugliese, M. Raffaele, A. Tocchi

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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1. Premessa

La stima di incidenza, mortalità e prevalenza del cancro nell’anziano con-sente la programmazione del fabbisogno assistenziale e del numero e delledotazioni necessarie dei centri che devono erogare l’assistenza al pazienteanziano con cancro. L’AIRTUM (Associazione Italiana dei Registri Tumori) fornisce stime precisedella realtà nazionale. I dati relativi alla Regione Lazio devono essere estra-polati dai dati AIRTUM perché il Registro Tumori di Latina è l’unico operantenella Regione. Nel 2006 l'Italia aveva la più alta percentuale di popolazione ultrasessanta-cinquenne al mondo, il 17% di uomini e circa il 23% di donne contro il 13%ed il 18% della media europea (figura 1).

La frequenza della malattia neoplastica aumenta sproporzionatamente alcrescere dell'età (figura 2). In Italia i soggetti maschi ultrasessantacinquenni hanno un rischio 10 voltesuperiore di sviluppare un qualunque tumore maligno rispetto alle personepiù giovani, mentre nelle donne il rischio è circa pari a 6. Più significativa ladifferenza per quanto concerne la mortalità. Si calcola che un individuo an-ziano abbia un rischio di morire di cancro 18 volte più alto di un soggetto piùgiovane negli uomini (1442 vs 78 morti per 100000) e 13 volte più alto nelledonne (702 vs 56 morti per 100000). Considerando il totale dei tumori, benil 68% negli uomini ed il 60% nelle donne viene diagnosticato in soggetti conpiù di 65 anni, e tali valori salgono al 78% e 79% considerando il numero

2. Contesto demografico ed epidemiologico

Figura 1. Percentuale di ultrasessantacinquenni in alcuni Paesi europei per sesso (anno 2006)

Early stageIA1-IB1

Fertility sparing

≤2 cm; N-: ≤45 aa(previo studio della fertilità)

Conizzazione* + LFN pelvica (LPS)

Margini +Riconizzazione

Counselling incentri oncologici

di eccellenza

N +

RAR*** + LFN pa (evSOB) Terapia adiuvante

>2 e < 3 cm; N-: ≤45 aa(previo studio della fertilità)

Visita ginecologicain narcosi* + LFN (LPS)

Counselling incentri oncologici

di eccellenzaN-

N+ RAH*** + LFN pa +(evSOB)

No Fertility sparing

<2 cm

≥2 cm

RT esclusiva (80 gy)

ERT (+ CT) + BRT

ERT - CT + BRT

LPS/ROBOT

LPT

RAH*** + LFN + SOB

Infiltrazione >50%, LVSI+, N+ (pelvici), G3

N+ (lombo-aortici), margini+, parametri+

* anno 2003

% popolazione età ≥ 65 anni - UOMINI17.0

16.616.315.2

14.514.514.1

13.913.8

13.713.312.8

12.612.512.411.510.4

0 5 10 15 20

Italia

GreciaGermania

Svezia

Portogallo*Spagna*

Regno Unito

FranciaAustria

Svizzera

FinlandiaDanimarca

Norvegia

EUROPAOlanda

Rep. Ceca

Polonia

% popolazione età ≥ 65 anni - DONNE22.5

22.120.419.4

19.419.219.0

19.018.8

18.417.917.8

17.017.016.8

16.316.1

0 5 10 15 20 25

Italia

GermaniaGreciaSvezia

AustriaSpagna*Finlandia

Portogallo*Francia

Svizzera

Regno UnitoEUROPA

Rep. Ceca

DanimarcaNorvegia

Olanda

Polonia

Regionale Laziale intende dare una risposta concreta a questa indicazione.Attualmente si verificano carenze e diseguaglianza nell’accesso dell’anzianoalle cure oncologiche rispetto al paziente più giovane. E' necessario un ap-proccio interdisciplinare onco-geriatrico per migliorare la qualità del serviziosanitario offerto nella ROL. Pur nella consapevolezza di tutti i limiti dell’età anagrafica, come criterio didefinizione del paziente anziano, questo documento considera anziani i pa-zienti di età superiore a 70 anni.Indice:

• contesto demografico ed epidemiologico• linee generali dei percorsi diagnostico-terapeutici• linee guida e criteri di appropriatezza nel settore della diagnosi e della

terapia• definizione volumi di attività e valore dell’attività scientifica ai fini della

certificazione dei requisiti minimi e della definizione di eccellenza• verifica dell’equità d’accesso ai servizi ed ai trattamenti• implementazione della ricerca clinica e traslazionale previo censimento

delle attività in corso.

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INDICE

1. Premessa

2. Contesto demografico ed epidemiologico

3. Linee generali dei percorsi diagnostico-terapeutici.

4. Linee guida e criteri di appropriatezza nel settore della diagnosi e della terapia.

5. Definizione volumi di attività e valore dell’attività scientifica ai fini della certifi-

cazione dei requisiti minimi e della definizione di eccellenza.

6. Verifica dell’equità d’accesso ai servizi ed ai trattamenti.

7. Implementazione della ricerca clinica e traslazionale previo censimento delle

attività in corso.

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei pazienti anzianiRETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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delle morti (dati AIRTUM, periodo 2003-2005).Si evidenziano 2 grossi problemi nella presa in carico dei pazienti anziani.1) L'accesso alle cure è più difficile con il crescere dell'età ed un elevato

numero di pazienti anziani si presenta alla diagnosi con uno stadio dimalattia molto avanzato che non permette procedure terapeutiche conintento curativo; un'alta percentuale di questi pazienti trattati inade-guatamente è destinata a morire entro pochi mesi dalla diagnosi.

2) I miglioramenti ottenuti in oncologia negli ultimi venti anni hanno inte-ressato la popolazione anziana in modo nettamente minore di quanto sia

accaduto per gli adulti più giovani e, nonostante gli sforzi, la presa in ca-rico di tali pazienti risulta ancora insufficiente ed i problemi legati alcancro negli anziani assolutamente lontani dall'essere risolti.

Nel Lazio, secondo stime sulla base dei dati dei Registri Tumori, si osservano25.000 nuovi casi anno di tumore maligno (incidenza) in soggetti di 0-84anni d’età, di cui 16.250 in pazienti >65 anni e 14.900 morti anno per tu-more (mortalità), di cui 11.500 in pazienti >65 anni. Si stima inoltre che sono viventi con diagnosi di tumore (prevalenza) 170.000soggetti, che necessitano di assistenza e follow up dal SSN.

Figura 2. Tassi di incidenza e mortalità standardizzati per tutti i cancri combinati (eccetto epiteliomi della cute) per sesso ed età (dati AIRTUM, periodo 2003-2005)

Std = Tassi standardizzati alla popolazione Europea, per 100.000

Tutti i cancri - mortalità

0

500

1000

1500

2000

2500

3000

3500

0-4

5-9

10-1

415

-19

20-2

425

-29

30-3

435

-39

40-4

445

-49

50-5

455

-59

60-6

465

-69

70-7

475

-79

80-8

485

+Età

Tass

i Mor

talit

à st

d(p

er 1

00.0

00)

Femmine Maschi

Tutti i cancri - incidenza

0

500

1000

1500

2000

2500

3000

3500

0-4

5-9

10-1

415

-19

20-2

425

-29

30-3

435

-39

40-4

445

-49

50-5

455

-59

60-6

465

-69

70-7

475

-79

80-8

485

+

Età

Tass

i Mor

talit

à st

d(p

er 1

00.0

00)

Femmine Maschi

Con l’aumentare del numero degli anziani aumenta il carico assistenziale per lestrutture sanitarie e si modificano le caratteristiche della richiesta per l’aumentodi pazienti complessi portatori di comorbidità, disabilità e disautonomie, bisognosidi maggiore supporto assistenziale e sociale sia nell’erogazione di prestazioniospedaliere che territoriali. Al contrario nell’attuale organizzazione sanitaria vi èuna dicotomia tra prestazioni erogate dall’ospedale e dal territorio con inevita-bili interruzioni della continuità assistenziale e poca chiarezza su responsabilitàe compiti dei vari setting assistenziali. Questo genera richieste assistenziali in-congrue e prestazioni inappropriate con aggravio dei costi per il SSN. La ROL at-traverso il coordinamento delle prestazioni sanitarie erogate si propone di offrireal paziente anziano oncologico un percorso di diagnosi e cura che lo accompa-gni in tutte le fasi della malattia oncologica. Per questo vengono individuati al-l’interno di ciascuna delle 4 macroaree laziali un Centro Hub per le cureonco-geriatriche, da istituirsi presso le Aziende Ospedaliere e IRCCS di riferi-mento regionale (che hanno al loro interno tutte le competenze) e i Centri Spoke(che hanno al loro interno o attraverso accordi interaziendali, tutte le compe-tenze) afferenti accreditati. I requisiti funzionali dei Centri Hub e Spoke sonoquelli riportati nel Decreto 59 del 28/7/2010.

Requisiti funzionali dei centri HubCentri con struttura complessa di oncologia medica che garantiscono le seguentifunzioni:

• struttura di accoglienza• ricovero in DH dei pazienti oncologici• ricovero ordinario per i pazienti oncologici particolarmente complessi, anche

attravero protocolli formalizzati con altri reparti di area medica dello stessoistituto atti a garantire il ricovero in via prioritaria

• chirurgia oncologica per:- tumori della mammella e della cute- sarcomi delle parti molli- tumori gastro-digestivi ed epato-pancreatici

• chirurgia toracica ed endoscopia toracica• chirurgia ginecologica• neurochirurgia• chirurgia testa-collo• chirurgia plastica e ricostruttiva• urologia• radioterapia con accelleratori lineari di ulrima generazione e strumentazioni

per radioterapia stereotassica, conformazionale, imrt e brachiterapia• radiologia per immagini con sezioni di RMN, TC spirale, radiologia interven-

tistica• endoscopia digestiva e delle vie biliari• anatomia patologica e patologia molecolare• fisica medica

3. Linee generali dei percorsi diagnostico-terapeutici

Tabella 1. Struttura di Rete per l’assistenza al paziente anziano con cancro

Macroarea 1 Centro Hub Centri Spoke Presidi di ProssimitàServizi Territoriali (ambulatoriali, ADI, hospice)

PU Umberto I FBF-Roma Palombara Marco Polo

Coordinamento: Umberto I FR

SS.Trinità-Sora

Tocchi-Bianco-Gueli Parodi Delfino-Tivoli Colleferro

S.Giovanni !!!

Macroarea 2 Centro Hub Centri Spoke Presidi di ProssimitàServizi Territoriali (ambulatoriali,ADI, hospice)

IFO-IRE, IRCCSREG APOSTOLORUMALBANO - FRASCATI

INI

HOSPICESAN- RAFFAELEVELLETRIROCCA DI PAPA

Macroarea 3 Centro Hub Centri Spoke Presidi di ProssimitàServizi Territoriali (ambulatoriali,ADI, hospice)

AO S Camillo Forlanini

Macroarea 4 Centro Hub Centri Spoke Presidi di ProssimitàServizi Territoriali (ambulatoriali,ADI, hospice)

PU A Gemelli INRCA-Roma RME, Antea, Hospice Villa Speranza

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• farmacia con preparazione centralizzata di farmaci antiblastici• medicina nucleare• psicologia incologica• riabilitazione oncologica• laboratorio di patologia clinica con annesse sezioni di: biologia molecolare

ed ematologia• centro trasfusionale• terapie palliative ed assistenza domiciliare (in collaborazione con i servizi ter-

ritoriali)• biostatistica, epidemiologia clinica• centro documentazione e biblioteca

Requisiti funziuonali dei centri SpokeCentri con struttura di oncologia medica che garantiscono le seguenti funzioni:• struttura di accoglienza• ricovero di DH dei pazienti oncologici• chirurgia• urologia (anche in consultazione)• farmacia con preparazione centralizzata di farmaci antiblastici• radioterapia (anche non localizzata nella stessa struttura)• radiologia per immagini con sezioni di, TAC, radiologia interventistica, RMN,

(anche non localizzata nella stessa struttura)• endoscopia digestiva e delle vie biliari• anatomia patologica• medicina nucleare (anche non localizzata nella stessa struttura)• psicologia oncologica• centro trasfusionale• terapie palliative ed assistenza domiciliare (in collaborazione con i servizi ter-

ritoriali).La Rete individua poi i Centri di Prossimità ed i Centri e Servizi territoriali colle-gati. In considerazione delle peculiarità proprie dell’anziano e dell’approccio mul-tidisciplinare, il team di cura deve essere formato da personale medico, del ruolosanitario e paramedico dedicato alla cura e gestione del paziente anziano po-

tendosi avvalere di una struttura adeguata. Deve quindi essere prevista per ilpaziente anziano una Struttura di rete differenziata anche se integrata nella retemaggiore dell’oncologia, ROL.La Rete Oncologica in ambito onco-geriatrico deve permettere una presa in ca-rico dell’anziano affetto da tumore attraverso un’informazione chiara ai cittadinied ai medici di medicina generale, un’identificazione dei centri di riferimento acui rivolgersi al momento della diagnosi e la possibilità durante il periodo di trat-tamento o di follow-up di appoggiarsi a strutture periferiche, eventualmente piùvicine al proprio domicilio, che siano in comunicazione continua e diretta con ilcentro di riferimento (Hub e Spoke) (tabella 1). Tutto questo giustifica la realizzazione di Unità di Cure Onco-Geriatriche (UCOG),situate presso i Centri Hub e Spoke della Rete che, mediante l’organizzazione Di-partimentale, anche interaziendale e l’integrazione Ospedale-Territorio, affermiun modello assistenziale basato sui bisogni del paziente e sulla necessità di tra-sferire al domicilio dello stesso le professionalità specialistiche, ospedaliere enon, coinvolte nell’erogazione delle cure onco-geriatriche.

Obiettivi specifici dell’UCOG sono:1) ridurre il tasso di ospedalizzazione inappropriata2) programmi di cura coerenti con il tipo e le dimensioni dei problemi del ma-

lato, tali da assicurare continuità assistenziale, efficacia e rapidità d’azione,evitando fenomeni di abbandono, di accanimento terapeutico e ricoveri im-propri in Ospedale.

Scopo delle UCOG è di:• dare visibilità e concretezza ad un punto di riferimento per i pazienti onco-

logici anziani e le loro famiglie• dare visibilità e concretezza ad un punto di riferimento per gli operatori dei

servizi ospedalieri e territoriali• l’identificazione dei servizi ospedalieri e territoriali (ambulatoriali, ADI, Ho-

spice, RSA ecc) di riferimento• la definizione ed implementazione di percorsi diagnostici terapeutici e as-

sistenziali di riferimento per le principali patologie oncologiche (tumori della

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei pazienti anziani

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cia di trattamento tumore specifico con finalità di cura. Candidato aitrattamenti palliativi.

3) Il pz A viene avviato alla visita geriatrica (Ambulatorio di Geriatria) per laVMD, che in questa tipologia di pz può portare sostanzialmente a deli-neare tre gruppi: il paziente fit, il paziente vulnerabile e il paziente fra-gile. (vedi linee guida) I pz fit e vulnerabili vengono rinviati all’Ambulatoriodi Oncologia per la definizione del percorso assistenziale. I pz fragili sonopresi in carico dal Geriatra.Il Medico identificato come Case-Manager,presa visione della consulenza geriatrica, provvede a comunicare l’ap-puntamento per le visite multidisciplinari per il caso-specifico (Chirurgo,Radioterapista, o ripresa in carico da parte dell’Oncologo) ed a fornire alpz le necessarie informazioni sull’organizzazione del.percorso assisten-ziale. In team con il Geriatra può essere pianificata una terapia di sup-porto per la forma neoplastica in causa, o per le condizioni geriatricheassociate. (linee guida).

4) Il pz B viene indirizzato alla presa in carico da parte del Geriatra per lecomorbidità presentate, che ne determinano lo stato di fragilità. In teamcon l’Oncologo può essere pianificata una terapia di supporto per laforma neoplastica in causa, quale la terapia antalgica o porre indica-zione per un trattamento radioterapico a scopo antalgico, o per la tera-pia medica o ormonale nel tumore della mammella o della prostata.(linee guida).

Percorso Diagnostico/Terapeutico del Paziente Anziano con Cancro: Va-lutazione per specifiche patologieCompletata la valutazione del rischio, al paziente viene assegnato il tratta-mento avvalendosi delle LG nazionali e regionali, esistenti e protocolli appro-vati dalla ROL e sottoposti a revisione periodica. Percorso psiconcologicoIn accordo alle indicazioni dell Piano Oncologico Nazionale 2011-2013, dellaRete Oncologica del Lazio e delle LG internazionali e regionali utilizzate inaltre patologie oncologiche, si raccomanda l’attivazione di percorsi psicon-cologici per i pazienti anziani e per i loro familiari.Tali percorsi, di prevenzione cura e riabilitazione del disagio emozionale edelle disfunzioni cognitive, dovrebbero prevedere la presenza di uno psicologo,con specifica formazione nel campo delle problematiche personali, familiarie sociali del paziente oncologico anziano, nei gruppi multidisciplinari che ero-gano assistenza; uno screening del disagio emozionale e del funzionamentocognitivo già alla prima visita per favorire un completo inquadramento del pa-ziente; rivalutazioni standard del disagio emozionale e del funzionamento co-gnitivo durante l’iter terapeutico al fine di offrire, in ambiente ospedaliero e adomicilio, un supporto psicologico al paziente e ai familiari che ne abbiso-gnano. L’obiettivo del supporto psicologico è quello di contenere, in una po-polazione spesso già affetta da morbidità psicologica, l’impatto emozionaledella malattia e dei trattamenti neoplastici al fine di garantire la migliore Qua-

Definizione di anziano in oncologiaNella pratica clinica si raccomanda di eseguire un test di screening in tutti ipazienti di età >70 anni, riservando la valutazione completa solamente a pa-zienti che presentano problematiche età correlate.

Percorso diagnostico/terapeutico del paziente anziano con vancro: va-lutazione inizialeObiettivi e benefici attesiQuesto paragrafo descrive le diverse fasi del percorso clinico-assistenzialeofferto ai pazienti anziani, di età > 70 aa, con sospetto diagnostico o condiagnosi di cancro, all’interno della Rete Oncologica della Regione Lazio, conl’obiettivo di: • offrire un percorso integrato e di qualità per garantire la presa in carico

assistenziale dei pazienti anziani nelle diverse fasi di malattia, al fine dimigliorare la continuità dell’assistenza, in coerenza con le linee guidabasate sulle prove di efficacia disponibili e con le attuali linee di ricercascientifica.

Il percorso si prefigge inoltre, come obiettivi specifici, di:• migliorare i tempi di attesa dell’iter diagnostico terapeutico, fissando

degli standard per UCOG.• migliorare gli aspetti informativi per il paziente e la sua famiglia, con

coinvolgimento del Medico di Medicina di Base.• ottimizzare e monitorare i livelli di qualità delle cure prestate attraverso

l’identificazione di indicatori di processo e la messa a punto di un sistemadi raccolta e analisi dei dati.(in collaborazione con l’ASP) (figura 3).

Note al LogigrammaIl Medico di base (MB), o lo specialista Asl, indirizza il paziente anziano, con dia-gnosi o sospetto diagnostico di neoplasia, all’Ambulatorio Oncologico dedicatodel centro HUB o Spoke dell’area di appartenenza, ove il paziente viene presoin carico. La prenotazione può essere effettuata direttamente dal MB, dallospecialista ASL a cui il paziente si è rivolto, attraverso il CUP regionale, conliste dedicate, o attraverso un n. telefonico diretto dell’UCOG. L’accesso al-l’Ambulatorio di Oncologia è garantito entro 3, massimo 6 giorni lavorativi.1) All’ambulatorio dedicato afferisce il paziente con la documentazione cli-

nica disponibile; l’Oncologo (Case-Manager) effettua una prima valuta-zione clinica, avvalendosi di uno strumento standardizzato (CA InterRAI)volta a stimare:• lo stato di salute del pz, quindi comorbidità (comprese eventuali sin-dromi geriatriche); stato funzionale; malnutrizione; polifarmacoterapia;depressione; demenza; etc.

• il rischio di morbidità per la patologia neoplastica, quindi lo stadio dimalattia, i fattori di prognosi, l’aggressività di malattia

• il supporto sociale.2) Dalla prima visita scaturisce l’inquadramento del pz, sostanzialmente in

due gruppi:• paziente che ha una buona aspettativa di vita e rischio moderato-alto di morire o aver complicanze per la patologia neoplastica pre-sentata. Candidato ai trattamenti tumore- specifici.

• paziente con ridotta aspettativa di vita per le comorbidità presentate,indipendentemente dalla presenza della neoplasia, che non benefi-

4. Linee guida e criteri di appropriatezza nel settore della diagnosie della terapia

Figura 3. Logigramma del percorso clinico assistenziale

Paziente anziano con diagnosi o sospetto diagnostico di neoplasia

MMG o Specialista

Pz candidato a trattamenti specifici Valutazione PsicologicaBDI - SHORT - MMS

3-6 gg

Valutazione MDS

Reinvio alla UCOG (chirurgo-radioterapista-oncologo)

DefinizionePercorso terapeutico-assistenziale

e psicosociale

Supporto del geriatranella cura di comorbidità,

disabilità, ecc.

Identificazione del case manager

Pz FIT Pz vulnerabile

Pz FRAIL

I° visita oncologica c/o ambulatorio oncologico dedicato (UCOG)

VALUTAZIONE DI BASE (CA InterRAI) • valutazione stato generale

• valutazione patologia neoplastica• valutazione supporto sociale

Pz candidato a terapie palliative

Presa in carico del geriatra per cura delle comorbidità.

Rivalutazione oncologica

Valutazione oncologica perterapia antalgica, RT

farmaci biologici e/o OT palliative

mammella, del polmone, del colon, della prostata, linfomi)• la definizione di percorsi psico-oncologici di prevenzione, cura e riabilita-

zione, del disagio emozionale siano essi di supporto o psicoterapeutici ( siaper il paziente, sia per i familiari care-giver)

• la definizione di percorsi di riabilitazione oncologica.

Scelta dell’UCOGObiettivo è la costituzione presso i Centri Hub e Spoke della rete, in un arco ditempo determinato, di una equipe multiprofessionale, con formazione ed espe-rienza specifica in Cure onco-geriatriche, che può integrare differenti estrazioniprofessionali. Benchè l’area di provenienza da sola non qualifichi un Medico onco-geriatrico,storicamente nel nostro paese gli Oncologi (per la prevalenza assoluta delle cureoncologiche nei confronti del malato anziano neoplastico) rappresentano l’areaprofessionale specialistica che più frequentemente ha realizzato programmi dicure specifiche. Attualmente si registra una carenza quasi totale di servizi dedicati. L’UCOG al dilà di una struttura minima organizzativa (Medico Coordinatore, Medico Coordi-natore supplente/Assistente, due unità infermieristica) utilizzerebbe personalescelto all’interno di un gruppo formato con competenze specifiche. Questo modello, nell’attuale contesto di limitazioni di risorse umane, indica unasoluzione sostenibile puntando alla riqualificazione e alla valorizzazione profes-sionale del personale già dipendente e semmai prevedendo forme di integrazione

economica là dove le esigenze formative o assistenziali richiedano un impegnolavorativo aggiuntivo. Il personale dell’UCOG, così reclutato, costituirà anche il punto di riferimento peri Centri Residenziali, per il Territorio, per le Cure Palliative (Hospice).

Le competenze specifiche delle UCOG sono:• diagnosi e Stadiazione del Tumore secondo LG e criteri di appropriatezza ap-

provati dalla ROL• Valutazione Geriatrica Multidimensionale• individuazione del Case Manager del paziente• elaborazione del Piano Assistenziale Individuale (PAI) in accordo con le linee

guida regionali, protocolli sperimentali approvati dalla ROL sia in caso dinuova diagnosi sia al momento di eventuali recidive. Con CHIARA indicazionedi dove verranno eseguite:- chemioterapie /Terapie Biologiche- chirurgia- radioterapia- terapie di Supporto- cure Palliative- supporto psicologico- riabilitazione- follow-up dopo il termine del trattamento- assistenza sanitaria ospedaliera e integrata a domicilio e territorio.

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei pazienti anziani

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Criteri di Appropriatezza

Accreditamento Eccellenza

Dotazioni Minime Presenza UO di Oncologia Presenza UO di Oncologia

Presenza UO di Geriatria Anche interaziendale

Presenza UO di Geriatria Aziendale

4 PL DH Oncologico 4 PL DH Oncologico, dedicati all’anziano

3-4 PL DO, dedicati all’anziano

1 Ambulatorio dedicato 2 Ambulatori dedicati

1 Dir. Medico dedicato 2 Dir. Medico dedicato

1 Dir. Geriatra, anche interaziendale 1 Dir. Geriatra dedicato

1 riunione interdisciplinare/2 settimane 1 riunione interdisciplinare/settimanale

Volumi Minimi di Attività Clinica

Accreditamento Eccellenza

150 paz/anno >70 con VMG eseguita 250 paz/anno >70 con VMG eseguita

100 paz/anno >70 trattati secondo LG 200 paz/anno >70 trattati secondo LG

80 paz/anno >70 trattati con CT/ter.biol 150 paz/anno >70 trattati con CT/ter.biol

80 paz/anno >70 trattati con ter. supporto 150 paz/anno >70 trattati con ter. supporto

30 paz/anno >70 affidati ai centri territoriali con piano terapeutico

70 paz/anno >70 affidati ai centri territoriali con piano terapeutico

Volumi Minimi di Attività Scientifica

Accreditamento Eccellenza

1 pubb/anno con I.F. 1 pubb/ anno con I.F./ operatore dedicato

3 studi clinici/anno 3 studi clinici/ anno/ operatore dedicato

1 prog finalizzato/ anno

1 partecipazione a eventi formativi specifici 1 organizzazione/ anno di eventi formativi specifici

Si ritiene che siano richiesti volumi minimi di nuovi pazienti/mese, differen-ziati per i Centri di eccellenza e l’accreditamento delle strutture dedicate allasomministrazione della chemioterapia per le neoplasie.

Si ritiene anche che i Centri di eccellenza e accreditati debbano parteciparead un numero minimo di studi clinici con reclutamento di pazienti, differen-ziati.

5. Definizione volumi di attività e valore dell’attività scientificaai fini della certificazione dei requisiti minimi e della definizionedi eccellenza

Strumento di verifica: N nuove diagnosi di cancro in pazienti anziani/N pazienti “intercettati” dalla ROL e N pazienti trattati secondo percorso ROL.

6. Verifica dell’equità d’accesso ai servizi ed ai trattamenti

La partecipazione a programmi di ricerca è unanimemente associata ad unamigliore pratica clinica del Centro. Nel caso dei tumori negli anziani, consi-derata la carenza della sperimentazione clinica lo sviluppo di programmi diricerca risulta oltremodo necessario. Si sottolinea come siano disponibili in-dicazioni terapeutiche basate sull’evidenza, al massimo per pazienti fino a 75anni, oltre tale limite la letteratura scientifica è carente. Solo un’attenta va-lutazione clinica dei pazienti, ed il monitoraggio dei risultati attraverso spe-cifici protocolli di ricerca condivisi dalla ROL, consentono di ottimizzare il

rapporto costo/beneficio degli interventi assistenziali in questi pazienti. Èinoltre essenziale un’implementazione della ricerca traslazionale che si pre-figge lo studio di variabili molecolari mediante tecnologie “omiche” in di-verse sottopopolazioni di pazienti stratificate per varie fasce d’età’ al fine diindividuare specifici bersagli molecolari e conseguentemente disegnare per-corsi terapeutici mirati per sottogruppi di pazienti. La ROL si propone quindidi avviare nel primo anno di attività programmi di ricerca clinica in almeno4 patologie maggiori.

7. Implementazione della ricerca clinica e traslazionale previo censimento delle attività in corso

lità di Vita ed un adeguato adattamento. L’elevata incidenza di disfunzioni co-gnitive nei pazienti oncologici anziani, la loro relazione coi trattamenti onco-logici e il valore predittivo degli stessi in termini di Qualità di Vita, aderenza allaterapia e sopravvivenza raccomandano una valutazione standard delle di-sfunzioni cognitive e l’offerta d’interventi riabilitativi precoci. Il percorso psi-concologico deve anche prevedere attività specifiche di formazione allacomunicazione in termini di modalità e contenuti comunicativi. È necessario,specialmente in questa popolazione oncologica, modulare la scelta terapeu-tica, in termini di costi-benefici, sui bisogni informativi, di decision making esulle preferenze del paziente.

Criteri di appropriatezza e dotazioni delle unità cliniche per accredita-mento ed eccellenzaLe strutture da accreditare devono disporre necessariamente di tutti i serviziche consentono di formulare una diagnosi di natura e di candidare il pazienteal più appropriato trattamento (vedi allegati). I servizi devono essere tutti pre-senti presso la stessa istituzione (Centri di eccellenza/Hub) o anche attraversocollaborazioni interaziendali (Centri accreditati/Spoke). Sono indispensabili

adeguati locali per la somministrazione della chemioterapia. Si ritiene indi-spensabile una dotazione minima di 4 PL di DH. Un minimo di 1 ambulatoriodi visita per l’accreditamento e di 2 per i centri di eccellenza. Devono neces-sariamente sussistere nei centri di eccellenza un minimo di 3-4 posti letto didegenza ordinaria qualora si renda necessaria l’ospedalizzazione dei pazientianziani. Per essere qualificati quali centri di eccellenza tutte le figure profes-sionali richieste per il gruppo interdisciplinare di cure onco-geriatriche de-vono necessariamente afferire nella stessa struttura interdipartimentale. Èrichiesta la comprovata esecuzione di una riunione del gruppo interdisciplinareogni 2 settimane per l’accreditamento e settimanale per i centri di eccellenza.Per la qualificazione come centri di eccellenza e l’accreditamento è indi-spensabile una farmacia centralizzata per la preparazione dei farmaci onco-logici. Occorre disporre di sistemi di controllo di qualità per la prescrizionedei farmaci al fine di minimizzare l’errore prescrittivo. L’esistenza di infermieridi ricerca, di data manager e di psicologi è considerata criterio irrinunciabileper i centri di eccellenza. Per i centri di eccellenza deve essere comprovatal’esistenza di dotazioni tecnologiche di laboratorio che consentano l’adesionea studi clinici che richiedono l’utilizzo di analisi molecolari.

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei pazienti anziani

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei pazienti anziani

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei pazienti anziani

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei pazienti anziani

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei pazienti anziani

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei pazienti anziani

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei pazienti anziani

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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Il supporto dell’informatore per il paziente oncologico, percorsi riabilitativi e psicologici(Il ruolo delle Associazioni dei pazienti)

Il supporto dell’informatore per il paziente oncologico,

percorsi riabilitativi e psicologici(Il ruolo delle Associazioni dei pazienti)

Coordinatore: F. De Lorenzo

A. Costantini, L. Del Campo, D. Di Lallo, A. Pace, P. Pugliese

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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1. Il supporto dell’informazione per il paziente oncologico nelle strutture ospedaliere regionali

1.1 PremessaE’ ormai largamente condiviso che in oncologia un approccio clinico correttorichieda una stretta collaborazione tra diverse discipline al fine di strutturareun’assistenza di qualità che, in quanto tale, deve prevedere una rispostaanche alle problematiche psicologiche.La patologia neoplastica può impattare significativamente la sfera psicolo-gica, affettiva, familiare e sessuale del paziente e dei suoi familiari.

La sofferenza psicologica che ne deriva si presenta, durante le diverse fasidella malattia oncologica in modo più o meno severo, nel 35- 40 % dellepersone colpite da cancro. Ugualmente elevato è il fenomeno nei familiari dei pazienti che mostrano, aseconda delle varie fasi di malattia una sofferenza psicologica che varia dal20% al 71% .Tale quadro psicologico si pone come fattore indipendente nell’associarsi al

2. Percorsi Psicologici nella Rete Oncologica della Regione Lazio

1.1 PremessaPer i malati di cancro, anche secondo recenti studi europei, l’informazionerappresenta la prima medicina. La conferma viene da uno studio condotto daAIMaC e AIOM, in cui si evidenzia che gli strumenti informativi (libretti, dvd,opuscoli) migliorano il rapporto medico–paziente nel 90% dei casi. La sempre più ampia diffusione dei mezzi di comunicazione di massa ha ac-cresciuto i bisogni di informazione sia da parte dei malati che dei loro fami-liari. Inoltre, con l’introduzione del consenso informato, si è di fattorivoluzionato il rapporto medico/paziente, mettendo il malato di fronte alla re-sponsabilità di conoscere la propria malattia per partecipare alle decisioni.Una buona informazione, quindi, inserita in un processo di comunicazioneefficace, risulta essere sempre di più uno strumento di lavoro per il sistemasalute. Medici e infermieri continuano ovviamente a svolgere un ruolo fondamentalee insostituibile nel fornire informazioni sulla malattia e sui trattamenti tera-peutici, che tuttavia sono insufficienti a soddisfare il bisogno di sapere deimalati e dei loro familiari. Ecco perché assistiamo oggi al fenomeno sempre più consistente della ri-cerca autonoma di informazioni attraverso strumenti diversi (media, web,ecc). La possibilità di compiere ricerche autonome, all’interno di una sovrabbon-dante disponibilità di risorse, espone tuttavia il cittadino, anche abile e prov-visto di buona cultura generale, al rischio di disorientarsi rispetto alla moledi informazioni ‘accessibili’, tra l’altro non sempre affidabili sotto il profiloclinico-scientifico. In molti casi, inoltre, viene utilizzato uno stile comunicativo inadeguato, pococomprensibile, e quindi fuorviante e ansiogeno. Va anche considerato che, nelcontesto italiano, a circa un 50% di health consumers che fanno ricorso ainternet, si contrappone una fascia pressoché equivalente (soprattutto an-ziani) che, invece, non vuole o non sa ricorrere a questo strumento ed ha,dunque, meno possibilità di integrare le informazioni ricevute dagli operatorisanitari. Più in generale, la questione dell’informazione va collocata in un modello diassistenza globale al malato oncologico ed ai suoi familiari, all’interno deiprocessi di relazione terapeutica e nel quadro dell’iter di collegamento traprevenzione, informazione preventiva, orientamento alle cure, gestione dellafase acuta, riabilitazione e continuità assistenziale.

1.2 Obiettivo generale Con l’attivazione della Rete si intende estendere e potenziare il Servizio In-formativo Nazionale in Oncologia (realizzato con il progetto approvato nel-l’ambito del Programma 1 - WP5 di ACC da ISS, FAVO, AIMaC e IRCCSoncologici ed organizzato in 35 punti di accoglienza e informazione, di cui già6 attivi nel Lazio), alle strutture di oncologie mediche presenti nelle AziendeOspedaliere del Lazio, proprio secondo quanto raccomandato dal PON ov-vero che “è necessario e opportuno prevedere un tempo dedicato all’in-formazione da parte del medico e la contestuale disponibilità di strumentiinformativi (libretti, filmati e siti internet) e punti informativi, gestiti con-giuntamente alle associazioni di volontariato funzionali alla completezzadell’informazione”. Si vuole infatti incrementare il già rilevante numero deipunti di accoglienza e informazione in oncologia, garantire la fruibilità del si-stema informativo multimediale e degli strumenti informativi sempre ag-giornati in grado di assicurare un’informazione mirata.

1.3 Obiettivi specifici• Mettere a sistema la rete dei Punti Informativi nelle strutture oncolo-

giche nella Regione Lazio tramite opportuna convenzione, attivandoliladdove non esistono, integrandoli con le biblioteche per i pazienti, URPe altri servizi di informazione. Il fine è ampliare il Servizio Nazionale diAccoglienza e Informazione in Oncologia basato sull’intermediazioneprofessionale, procedure certe e materiale adeguato e validato a favoredei cittadini che utilizzano Internet e di quelli che preferiscono le relazionivis à vis.

• Garantire procedure standardizzate nei punti informativi attivati nelLazio per la gestione delle attività connesse, per la validazione di qua-lità del materiale informativo disponibile per i cittadini e pazienti onco-logici, per la rilevazione omogenea del bisogno di informazione deicittadini che si rivolgono ai Punti Informativi e delle risposte fornite.

• Garantire una formazione adeguata ed omogenea degli operatori pre-posti ai punti informativi nella regione Lazio.

• Ottenere un feedback da parte dei cittadini utenti sul gradimento delservizio offerto e sulla valutazione di qualità/utilità dell’informazione ri-cevuta. Analisi dei dati emergenti dal questionario di gradimento del-l’offerta da parte del Servizio.

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INDICE

1. Il supporto dell’informazione per il paziente oncologico nelle strutture ospedaliere regionali1.1 Premessa Pagina 3

1.2 Obiettivo generale Pagina 3

1.3 Obiettivi specifici Pagina 3

2. Percorsi psicologici nella rete oncologica della regione Lazio Pagina 3

2.1 Premessa Pagina 3

2.2 Stato dell’arte Pagina 3

2.3 Percorso psicologico diagnostico-terapeutico durante le diverse fasi di malattia: obiettivi Pagina 3

2.4 Linee generali del percorso psicologico nella Rete Oncologica del Lazio: requisiti minimi Pagina 3

3. Percorsi riabilitativi nella rete oncologica della regione lazio Pagina 3

3.1 Premessa Pagina 33.2 Stato dell’arte Pagina 3

3.3 Percorso psicologico diagnostico-terapeutico durante le diverse fasi di malattia: obiettivi Pagina 3

3.4 Linee generali del percorso psicologico nella Rete Oncologica del Lazio: requisiti minimi

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Il supporto dell’informatore per il paziente oncologico, percorsi riabilitativi e psicologici(Il ruolo delle Associazioni dei pazienti)RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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1.1 PremessaL’incremento considerevole delle diagnosi precoci e gli avanzamenti incampo terapeutico hanno determinato un considerevole aumento dei pa-zienti lungo-sopravviventi che convivono, anche molti anni dopo la fine deitrattamenti attivi, con problematiche fisiche, psicologiche e sociali, determi-nate dalla malattia e dai trattamenti. Parallelamente si registra un’aspetta-tiva crescente, da parte del paziente oncologico, non solo verso il risultatoterapeutico ma anche rispetto al ripristino dei migliori standard possibili diqualità di vita. L’approntamento di percorsi riabilitativi favorisce la trasfor-mazione del paziente oncologico da “costo per la società a risorsa”. Un pa-ziente non riabilitato necessita di maggiore assistenza e questo implica deicosti diretti (diagnosi, terapia, presidi, comorbidità) e dei costi indiretti (ridu-zione della socialità, peggioramento della vita di coppia, perdita della pro-gettualità, abbandono degli hobbies, mancata produttività, bisogno diassistenza psicologica, valore economico della sofferenza). Una riabilitazionefisica, psicologica e sociale permette di reinserire precocemente le personemalate nel sistema lavorativo, nella famiglia e nella società civile, trasfor-mando questo numero crescente di persone in una risorsa per il Paese, an-ziché in un costo per la collettività.E’, dunque, necessario individuare e approntare, all’interno della Rete On-cologica del Lazio, percorsi riabilitativi riservati ai pazienti oncologici, di fa-cile accesso, basati sulle evidenze scientifiche, differenziati e specifici per idiversi tipi di patologie, che utilizzino professionisti di diversa competenza ingrado di intervenire in modo integrato sulla problematica riabilitativa. Lamessa in rete di tali percorsi permette di superare la disomogeneità e di-scontinuità dei vari interventi con finalità riabilitativa in oncologia

1.2 Stato dell’arteLe linee guida del Ministero della Sanità del 7 maggio 1998 per le attività diRiabilitazione sottolineano che il percorso riabilitativo deve ”distinguere trainterventi riabilitativi prevalentemente di tipo sanitario ed interventi riabilita-tivi di tipo sociale, facenti capo a specifiche reti integrate di servizi e di pre-sidi riabilitativi a loro volta necessariamente interconnesse”. Piùrecentemente è stata istituita la Rete Riabilitativa in Piemonte- Valle D’ Aostaed in Toscana mirata a garantire ai pazienti la migliore qualità di vita possi-bile attraverso una presa in carico precoce del paziente da parte di unaequipe multidisciplinare. C’è, però, da sottolineare che nella maggior partedelle strutture di queste reti i team riabilitativi non sono dedicati esclusiva-mente alla gestione dei malati oncologici. Tali normative ed esperienze sono state affiancate da una intensa attività disensibilizzazione alla problematica della riabilitazione da parte del Volonta-riato in ambito oncologico italiano, in particolare la FAVO. La sua attività in

questo ambito ha portato nel 2008 alla pubblicazione del “Libro Bianco sullariabilitazione oncologica” che, attraverso il primo censimento nazionale dellestrutture riabilitative, ha rilevato una immagine insoddisfacente e disomo-genea della risposta medico-sanitaria di tipo riabilitativo offerta alla personacon tumore. Tale situazione ha determinato, da parte della FAVO, la richiestadi inserire la riabilitazione oncologica nei LEA.Il Piano Oncologico Nazionale 2011-2013 ha risposto a tali richieste sottoli-neando la necessità che “in ogni regione si provveda a definire percorsianche riabilitativi all’interno della rete oncologica”. C’è, dunque, la necessità di definire percorsi riabilitativi dedicati alla per-sona con neoplasia da condividere e diffondere nella organizzazione dellaRete Oncologica del Lazio. Un primo contributo è stato dato dai partecipantiad un tavolo di lavoro congiunto tra professionisti impegnati nella stesuradel “Libro Bianco” e professionisti impegnati in un progetto strategico inte-grato, finanziato dal Ministero della Salute, mirato a definire un modello perla riabilitazione del paziente oncologico (Giornale Italiano di Medicina Riabi-litativa, feb. 2010). Da questo lavoro congiunto sono stati individuati gliaspetti strategici del percorso riabilitativo.A livello internazionale sono stati identificati degli standard per la riabilita-zione oncologica che consistono nello sviluppo di gruppi multidisciplinari,nella identificazione delle specifiche competenze necessarie per risponderealle diverse problematiche riabilitative e nella necessità di protocolli ben de-finiti e standardizzati.

1.3 Percorsi riabilitativi nella rete oncologica del Lazio: obiettivi

I principali obiettivi dei percorsi riabilitativi in ambito oncologico possono es-sere individuati in tre punti fondamentali:1) offerta di percorsi riabilitativi interdisciplinari personalizzati in ogni fase

della malattia2) recupero della funzione lesa e/o ripristino della migliore qualità di vita

possibile3) integrazione di competenze mediche, psicologiche e sociali e forma-

zione al lavoro di equipe.

1.4 Linee generali dei percorsi riabilitativi nella rete oncologica del Lazio: requisiti minimi

1) Formazione degli operatori ad una logica di “presa in carico” invece chedi erogazione di prestazioni.

2) Costituzione di una equipe riabilitativa interdisciplinare in grado di assi-curare un recupero fisico, psicologico, sociale e spirituale.

3. Percorsi riabilitatici nella rete oncologica dell regione Lazio

peggioramento della qualità della vita, ad un aumento del rischio di disagiopsichico nella famiglia, alla riduzione dell’aderenza ai trattamenti, ad un’al-terazione della relazione medico-paziente, ad un aumento dei tempi di re-cupero, riabilitazione e degenza, ad una minore efficacia biologica dellaterapia e ad una riduzione della sopravvivenza con maggiore rischio di ri-correnza della malattia. Ciononostante, numerosi studi hanno messo in evi-denza la difficoltà di rilevare i problemi psicologici da parte degli operatorimedici, in quanto non formati a tali aspetti. Una recente survey tra gli onco-logi dell’ASCO ha dimostrato che solo una minoranza di essi si preoccupanodi fare uno screening del disagio psicologico routinariamente. La morbilitàpsicologica viene sottostimata e, quindi, non trattata, rischiando di croniciz-zarsi. Anche quando viene rilevata, l’invio ai servizi specialistici per una va-lutazione psicosociale risulta assai scarso, in particolare in Italia,specialmente nei contesti dove non sono presenti servizi di psiconcologia(Grassi; 2000). Considerando i dati emersi dallo studio italiano sullo screening del disagioemozionale, che conferma come il 35-40% dei pazienti presenta livelli al disopra del valore di cut-off e necessita pertanto di un intervento psiconcolo-gico, è indispensabile assicurare un’adeguata risposta assistenziale ai biso-gni psicosociali dei pazienti oncologici. Altro dato di evidenza è laconsapevolezza sempre più alta della sofferenza psicologica da parte di pa-zienti e familiari e, quindi, la richiesta di supporto psicologico. Anche gli ope-ratori sanitari sono consapevoli dell’utilità dei trattamenti sia nel ridurre ildisagio psicologico, che nel contenere i costi sanitari. Questo determina unnumero crescente di richieste di consulenze nei Reparti Ospedalieri che ar-riva ai Servizi di Psiconcologia, ove esistenti.

1.2 Stato dell’arteNella Regione Lazio il rapporto tra l'incidenza di cancro (circa 25.000 nuovicasi) e il numero di Servizi di Psiconcologia (censiti dalla Società Italiana diPsiconcologia - SIPO e dall'Associazione Italiana malati di cancro - AIMaC) èassolutamente inadeguato. Le Unità Semplici o Dipartimentali di Psiconco-logia (Strutture assistenziali con delibera aziendale) nel Lazio, totalmente de-dicate ai pazienti oncologici, sono ad oggi 6, con un numero di psiconcologistrutturati, con contratti a tempo indefinito, operanti all'interno del SSN delLazio, di 9. Esistono poi psicologi che lavorano in ambito oncologico con con-tratto a tempo determinato, e che non operano all’interno di Unità di Psi-concologia. Tale situazione rende disomogenea la risposta alle richieste diassistenza e supporto dei pazienti oncologici con disagio emozionale.La valutazione ed il management del distress psicologico e dei domini dellearee psicosociali impattate dai trattamenti (QoL) e la rilevazione della sod-disfazione del paziente e dei familiari vengono oggi considerate degli indi-catori di qualità e completezza dell’assistenza ai pazienti in oncologia, siasul versante clinico che su quello organizzativo all’interno dei percorsi di ac-creditamento delle strutture (Karlson e Bulsz, 2003).Il Piano Oncologico Nazionale 2011 – 2013, sottoscritto come atto di intesada tutte le Regioni, riconosce l’importanza di attivare nelle diverse neopla-sie e fasi di malattia “percorsi psico-oncologici di prevenzione cura e riabi-litazione del disagio emozionale, siano essi di supporto o più specificamentepsicoterapeutici (individuali, di coppia, familiari) per il paziente e la sua fa-miglia”. Il riconoscimento nel Piano Oncologico Nazionale dell’importanzadella assistenza psicologica in oncologia è fortemente correlato al processodi sensibilizzazione culturale e sociale del volontariato italiano, in particolaredella FAVO.La Rete Oncologica del Lazio considera tra i requisiti funzionali dei CentriHub e Spoke la presenza dei Servizi di Psicologia oncologica.

C’è evidenza dell’efficacia di terapie psicologiche che legittimano lo scree-ning ed in alcuni paesi sono ormai disponibili linee guida che forniscono rac-comandazioni, basate sull’evidenza, riguardo la cura psicosociale dei pazienti(NCCN, 2011). Linee guida nazionali (Piemonte, Toscana e Lombardia) raccomandano (Rac-comandazioni di grado A e B a secondo del tipo di neoplasia) l’offerta delsupporto psicologico a pazienti e familiari, la rilevazione precoce ed il trat-tamento del distress psicologico e la formazione agli operatori. Infine, il Mi-nistero della Salute (marzo – aprile 2010) nella definizione dei “Criteri diappropriatezza diagnostico-terapeutica in oncologia” (2 marzo – aprile 2010),finalizzati a fornire una visione globale della gestione del paziente oncologico,evidenzia tra i criteri per l’accreditamento/valutazione dell’eccellenza dellestrutture coinvolte nel trattamento oncologico la presenza di uno psicologo“con specifica formazione nel campo delle problematiche personali, familiarie sociali” di quella patologia. Una risposta concreta a queste indicazioni può essere data dalla Rete On-cologica del Lazio attraverso la standardizzazione e la diffusione capillarealle varie strutture della rete, sia in ospedale che sul territorio, di percorsi psi-cologici per pazienti e familiari.

1.3 Percorso psicologico diagnostico-terapeuticodurante le diverse fasi di malattia: obiettivi

I principali obiettivi del percorso psicologico in oncologia possono essere in-dividuati in quattro punti fondamentali:1) prevenire e curare il distress dei pazienti, dei familiari e dell’equipe di

cura2) favorire il processo di adattamento del paziente e dei familiari alla “crisi”

determinata dalla malattia3) rilevare e migliorare le aree della Qualità di Vita (QoL) impattate dalla

malattia e dai suoi trattamenti, mediante approcci multidimensionali ba-sati sulle evidenze

4) promuovere il cambiamento di stili di vita a rischio per la salute.

1.4 Linee generali del percorso psicologico nella Rete Oncologica del Lazio: requisiti minimi

1) Presenza di uno psicologo, con specifica formazione nel campo delleproblematiche personali, familiari e sociali” della patologia oncologica,nei gruppi multidisciplinari che erogano assistenza.

2) Rilevazione precoce del distress psicologico del paziente nelle diversefasi della malattia (primo accesso del paziente presso la struttura, fasepre-operatoria e post-operatoria, fase dei trattamenti medici, fase di fol-low-up, fase terminale) ed ad ogni cambiamento nello stato di malattia,attraverso uno strumento di autovalutazione.

3) Registrazione del livello di distress rilevato sulla cartella medica. 4) Invio allo psicologo dei pazienti a rischio (presenza di livelli di distress

psicologico superiori al cut off) da parte degli operatori dell’equipe me-dico-sanitaria.

5) Offerta di interventi di supporto psicologico o più specificatamente psi-coterapeutici (individuali, di gruppo, di coppia, familiari).

6) Verifica dell’efficacia clinica dell’intervento erogato attraverso specificiindicatori di risultato.

7) Rilevazione della qualità di vita prima e dopo i trattamenti medici attra-verso strumenti di autovalutazione, registrazione sulla cartella medica edinvio agli psicologi dei pazienti che necessitano di riabilitazione psicolo-gica.

Pagina 326

8) Somministrazione ai familiari di un questionario di auto-rilevazione deibisogni nelle diverse fasi di malattia e offerta di interventi di supporto psi-cologico o più specificatamente psicoterapeutici.

La condivisione e la diffusione dei requisiti minimi della assistenza psicolo-gica in oncologia sia nei gruppi di lavoro interdisciplinari della rete oncolo-gica che tra gli psicologi che operano nel territorio laziale permette sia distandardizzare l’assistenza psicologica che di assicurare ad ogni paziente

una presa in carico globale fin dall’inizio del percorso terapeutico, attraversoun approccio multidisciplinare, mirato al miglior trattamento antitumorale edal precoce riconoscimento e risposta ai bisogni del malato. Inoltre, in consi-derazione della diversa complessità delle strutture presenti sul territorio cheerogano assistenza, l’individuazione delle peculiarità assistenziali in ambitopsicologico permette il corretto invio dei pazienti alle strutture ospedaliere oterritoriali.

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Il supporto dell’informatore per il paziente oncologico, percorsi riabilitativi e psicologici(Il ruolo delle Associazioni dei pazienti)

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa delle cure palliative nel paziente oncologico

Criteri di appropriatezza clinicaed organizzativa delle cure palliative

nel paziente oncologico

Coordinatore: Giuseppe Casale

F. Bordin, L. Galli, L. Luchetti, I. Penco, R. Risi, P. Pugliese, A. Siniscalchi, G. Del Monte,A. Turriziani, L. Bertini, D. Russo, A. Poggi, M. Salerno, G. Mantini, F. Palmieri,

R. Licordari, A. Toto, M. Pietropaolo, G. Vicario, P. Latorre

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

3) Interventi riabilitativi inseriti nell’intero percorso di cura, dalla diagnosialla fase terminale, ed integrati con i trattamenti oncologici.

4) Piano di trattamento individualizzato, inclusivo di aspetti extrariabilitativi(fase di malattia, profilo psicologico e significato attribuito dal pazientealla problematica riabilitativa).

5) Erogazione del trattamento riabilitativo in setting di cura adeguati, sullabase della complessità della situazione clinica e delle preferenze del pa-ziente.

6) Rilevazione dei bisogni riabilitativi attraverso misurazioni “obiettive” didanno funzionale e misurazioni in grado di rilevare parametri “sogget-tivi”.

7) Utilizzo di una cartella clinica integrata ed informatizzata per consentirela veloce comunicazione dei dati nei cambiamenti dei setting riabilitativi

e degli operatori coinvolti e per favorire la tracciabilità post-operatoria.8) Valutazione dell’efficacia degli interventi attraverso indicatori di guada-

gno funzionale e parametri soggettivi (qualità di vita, tono dell’umore,funzione sociale ed ambientale e soddisfazione.

9) Considerazione di nuovi bisogni legati all’immagine corporea, alla nutri-zione, alla sessualità, alla funzione urinaria ed intestinale, alla procrea-zione, al deterioramento cognitivo, ecc.

10) Valorizzazione delle risorse messe a disposizione dal Volontariato.La Rete Oncologica Regionale consente l’attuazione, la diffusione uniformedei percorsi riabilitativi oncologici nelle strutture ospedaliere e territoriali e,quindi, l’equità di accesso alle cure riabilitative a tutti i malati di cancro, at-traverso il coordinamento delle professionalità e delle istituzioni coinvolte ela definizione di percorsi di cura condivisi.

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La redazione del presente documento è scaturita da uno scambio di opinionidi esperti, responsabili/rappresentanti delle strutture hospice della regione edei principali nodi della rete a livello delle AASSLL, attraverso il confrontodelle esperienze e dei diversi punti di vista rappresentati.

Nell’ottica di una integrazione ottimale della rete di CP con la rete oncologica,si è deciso di privilegiare gli aspetti organizzativi, e di affrontare i punti rela-tivi alla gestione clinica (es. linee guida e protocolli per i principali sintomi oper sedazione palliativa) in un momento successivo.

1. Materiali e metodi

L’assistenza al malato oncologico in fase avanzata coinvolge molti operatorisanitari e richiede un lavoro interdisciplinare, in cui si rispecchia la molte-plicità di profili professionali rappresentati nelle Cure Palliative, che vedonocoinvolti nella propria equipe medici di diverse discipline, infermieri e psico-logi, fisioterapisti, operatori socio-sanitari, volontari.Nel Lazio il numero di persone che necessitano di cure palliative ogni annoè stimato tra oltre 12.000 e quasi 26.000; di questi, secondo la suddivisioneindividuata dai documenti ministeriali, tra il 15 ed il 25% necessitano di ri-covero in hospice (per il Lazio 1.800 - 6.500 persone); tra il 75% e l’85% pos-sono essere seguiti in assistenza domiciliare (per il Lazio 9.000 - 22.000persone).(Doc. riorganizzazione della rete ospedaliera, parte III:.4.1.2.2, AssessoratoSanità-ASP)

Il processo di sviluppo delle strutture hospice e della rete delle cure pallia-tive è avvenuto nel Lazio come nel resto del Paese con una accelerazione chenegli ultimi anni è stata molto più rapida rispetto alla definizione di percorsiformativi standardizzati e codificati per ciò che riguarda gli Standard minimiformativi. Ciò ha portato ad una situazione in cui non sempre nei Centri diCure Palliative operano professionisti arrivati all’attività specifica attraversoil possesso di curricula formativi specifici.Attualmente le procedure e i protocolli operativi che regolano le relazioni trai diversi attori del sistema sono piuttosto difformi relativamente alle varie re-altà assistenziali di cure palliative esistenti a livello regionale, e basati so-prattutto su rapporti e contatti non formalizzati o strutturati; ciò può portarealla difficoltà di indirizzare adeguatamente il paziente, in termini di flessibi-lità e tempestività del coordinamento del processo di cura.

2. Materiali e metodi

3.1 Criteri di appropriatezza per l’invio del paziente al Servizio di Cure Palliative

Definizione del paziente da inviare alle cure palliativePaziente affetto da una patologia attiva e progressiva a rapida evoluzioneper cui ogni terapia causale finalizzata alla guarigione o alla stabilizzazionenon è possibile né appropriata, ed il decorso della malattia stessa è infausto. “La fase terminale di patologie evolutive e irreversibili viene definita dai se-guenti criteri, contemporaneamente presenti:1) criterio terapeutico: assenza o esaurimento di trattamenti curativi spe-

cifici, o inopportunità degli stessi2) criterio sintomatico: presenza di sintomi invalidanti che comportino una

riduzione del Performance Status (uguale o inferiore a 50 sulla scalaKarnofsky, validata sul piano scientifico internazionale)

3) criterio evolutivo: rapida evolutività della malattia con imminenza dellamorte (aspettativa di vita presunta di 90-180 giorni)”.

(Doc. indirizzo e coordinamento, Commissione Ministeriale Cure Palliative)

I criteri minimi per ammettere un paziente in regime di assistenza domici-liare di cure palliative (Hospice Domiciliare) sono:• il consenso del paziente e della sua famiglia

• la diagnosi di patologia progressiva ed evolutiva definita irreversibile, adesito infausto

• la presenza di condizioni di non autosufficienza e di sintomi invalidanti(Karnofsky P.S. uguale o inferiore a 50)

• una aspettativa di vita presunta non superiore ai 90-180 giorni• necessità assistenziali medio-elevate• livello di complessità assistenziale delle cure da erogare compatibili con

l’ambiente domestico.I criteri minimi per ammettere un paziente in regime di assistenza residen-ziale in hospice sono:• il consenso del paziente e della sua famiglia• la diagnosi di patologia progressiva ed evolutiva definita irreversibile, ad

esito infausto• la presenza di condizioni di non autosufficienza e di sintomi invalidanti

(Karnofsky P.S. uguale o inferiore a 50)• una aspettativa di vita presunta non superiore ai 90-180 giorni• esigenze terapeutiche ed assistenziali non adeguatamente gestibili a

domicilio per ragioni cliniche, ambientali o sociali: difficile controllo deisintomi, bisogno eccessivo di servizi infermieristici

• assenza o inadeguatezza della rete familiare di riferimento

3. Continuità assistenziale tra Centri di Oncologia e Centri di Cure Palliative

INDICE

1. Materiali e metodi Pagina 3

2. Premessa Pagina 3

3. Continuità assistenziale tra Centri di Oncologia e Centri di Cure Palliative Pagina 3

4. Sviluppo di un programma di accreditamento all’eccellenza Pagina 3

Pagina 330 Pagina 331

Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa delle cure palliative nel paziente oncologicoRETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa delle cure palliative nel paziente oncologico

Si definisce accreditamento professionale, o volontario o all’eccellenza unpercorso di autovalutazione basato sul confronto con requisiti specifici dellaspecialità professionale, finalizzato alla autovalutazione e al miglioramentodella qualità. Differisce dall’accreditamento istituzionale od obbligatorio, cosìcome definito dalle normative vigenti, in quanto è una forma di confronto vo-lontario tra pari.

I criteri di accreditamento (minimum standard) con riferimento alla nor-mativa regionaleNel Lazio i requisiti minimi per l’accreditamento istituzionale sono normatidalla L.R. n.4/2003, D.G.R. n. 424/2006, D.G.R. n. 636/2007 contenente, inparticolare, i “requisiti ulteriori, parte generale per l’accreditamento istitu-zionale nella Regione Lazio”; dal più recente Decreto del Commissario adacta U0090 del 10/11/2010 (all.2) in base alla L.R. n.3/2010.

I criteri di accreditamento all’eccellenzaPer far sì che le istituzioni con standard più elevati abbiano il giusto ricono-scimento e che quelle con standard inferiori siano stimolate a migliorare laqualità del loro lavoro, la “politica” di accreditamento si evolve passandodalla logica dei requisiti minimi ed irrinunciabili a quella degli standard mi-rati a "promuovere e mantenere una grande qualità delle cure (eccellenza),attraverso l'analisi, il controllo e la valutazione delle pratiche cliniche esi-stenti".Sulla scorta di ciò che l’ESMO ha realizzato con il riconoscimento dei “Com-prehensive Cancer Center”, attraverso un programma che incoraggia e ri-conosce l’eccellenza nell’erogazione di cure palliative nei Centri di Oncologia,vengono identificati una serie di requisiti e di indicatori sulla base dei qualila Rete di Oncologica del Lazio possa certificare:• l’eccellenza per le CP, prescindendo dai volumi di attività che sono re-

golati dalla normativa a livello regionale, ma che tenga conto ad esem-pio anche delle dotazioni delle unità, del livello formativo certificato deglioperatori coinvolti, dell’attività formativa minima della struttura, dell’at-tività scientifica e di ricerca

• l’eccellenza per i Centri di Oncologia che siano in grado di erogare di-rettamente o tramite rapporti formalizzati e verificabili cure palliative edi supporto come parte dell’attività routinaria dell’attività clinica.

Elementi caratterizzanti l’accreditamento all’eccellenza per le CP• Snellezza del percorso di valutazione e presa in carico: il Centro deve

certificare l’esistenza e l’utilizzo di procedure codificate flessibili e tem-pestive x la valutazione e l’avvio dell’assistenza al paziente.

• Realizzazione di una reale continuità assistenziale: il Centro deve certi-ficare l’esistenza e l’utilizzo di procedure formali e strutturate di dimis-sione protetta dal Centro di Oncologia, compresa la valutazionemultidimensionale del paziente da parte dell’equipe dell’UOCP.

• Pratica della medicina basata sulle evidenze; esistenza di protocolli eprocedure EBM.

• Importanza della performance organizzativa più che dei volumi di atti-vità, mediante l'identificazione dei processi più rilevanti per gli esiti del-l'assistenza.

• Valutazione regolare e sistematica della qualità assistenziale attraversolo sviluppo di un opportuno sistema di indicatori di esito, “clinici” ed or-ganizzativi, con l’utilizzo di strumenti condivisi x le rilevazione dei dati.

• Audit interno x la valutazione della qualità: il Centro deve certificare lafrequenza e la modalità in cui la qualità viene autovalutata all'internodel Centro.

• Valutazione sistematica della qualità percepita da parte dei familliari• Livello formativo, specifiche competenze ed esperienza nel campo delle

cure palliative degli operatori dei diversi profili professionali, sanitari enon, compresi quelli manageriali e dirigenziali.

• Attività di formazione diretta da parte del Centro.• Attività di ricerca e volumi della produzione scientifica(pubblicazioni /ab-

stracts/ partecipazioni a congressi).• Produzione di un report annuale: il Centro deve procedere regolarmente

alla produzione di un resoconto annuale sulla qualità delle cure erogate,in cui vengono specificati obiettivi, standard e relativi risultati raggiunti

• N° pazienti in assistenza/N° pazienti ricoverati durante l’assistenza.

Elementi caratterizzanti l’accreditamento all’eccellenza per i Centri diOncologia• Esistenza di linee guida interne, protocolli o algoritmi aderenti alle linee

guida internazionali per la gestione dei principali sintomi della malattiaoncologica in fase terminale.

• Stretta integrazione con le cure palliative nella gestione routinaria delpaziente: il Centro deve dimostrare di identificare correttamente e pre-cocemente i pazienti con necessità specifiche di cure palliative, e la di-sponibilità immediata dell’integrazione con i Servizi di CP.

• Disponibilità di figure professionali di supporto alla gestione integratadel paziente: palliativista, terapista del dolore, psicologo, personale in-fermieristico dedicato.

• Continuità di cura: il Centro deve dimostrare l’esistenza e l’utilizzo re-golare di protocolli e procedure formalizzate e condivise con la rete dicure palliative per l’affidamento del paziente, che favoriscano la conti-nuità assistenziale e l’accessibilità ai servizi da parte dei pazienti e deiloro familiari nei tempi e nei modi più adeguati.

• Assistenza domiciliare di qualità, attraverso la collaborazione diretta e lastretta integrazione con il/i Centri specialistici di Cure Palliative di riferi-mento.

• Comunicazione adeguata circa le finalità e gli obiettivi delle cure pallia-tive, per favorire una maggiore consapevolezza ed accettazione del pa-ziente e dei familiari nel processo di transizione dal “curare” al“prendersi cura”.

• Supporto alla famiglia, attraverso la valutazione sistematica dei bisognidei familiari e, quando necessario, il coinvolgimento di operatori formatie dedicati per il supporto specialistico.

• Valutazione sistematica e gestione dei sintomi fisici e psicologici even-tualmente presenti.

• Percorsi formativi degli operatori: il Centro deve certificare la presenzadi medici ed infermieri formati ed esperti nella valutazione e gestionedel dolore e degli altri sintomi fisici.

• Possibilità di supporto psicologico.• Possibilità di brevi ricoveri per la stabilizzazione di sintomi complessi e

gravosi o per i pazienti ambulatoriali con difficoltà nella gestione domi-ciliare per eccessivo peso sulla famiglia.

• End-of-life care: il Centro deve dimostrare di poter erogare cure di finevita di qualità, con particolare attenzione alla rivalutazione delle priorità

4. Sviluppo di un programma di accreditamento all’eccellenza• peso eccessivo per la famiglia, che talvolta necessita di un periodo di ri-

poso (respite care).

Tempistica per l’invio alle cure palliative e corretta valutazione dellenecessità assistenzialiE’ necessario che l’invio per la presa in carico di cure palliative sia effettuatodal Centro di Oncologia con la tempistica adeguata:• né in fase troppo precoce, a causa della non sostenibilità economica di

un’intensità assistenziale elevata a fronte di necessità assistenzialimedio-basse, con conseguente utilizzo incongruo delle risorse

• né in fase troppo tardiva, se non francamente pre-agonica, nel cui casonon esisterebbero i tempi tecnici perché il paziente e la sua famiglia nonpossano beneficiare dell’approccio olistico delle cure palliative.

Paziente da inviare alle cure palliative:Paziente non più suscettibile di terapie causaliAspettativa di vita presumibilmente non superiore a 90-180 giorniPaziente non morente o in fase pre-agonica, viene definito tale il paziente chepresenti almeno 2 dei seguenti criteri: • completamente allettato• tendenzialmente soporoso• in grado di assumere solo piccoli sorsi di liquidi• non più in grado di assumere terapia oraleEllershaw J. and Wilkinson S.eds (2003) Care of the dying. A pathway to ex-cellence. Oxford press.

3.2 Valutazione dell’eleggibilità per la presain carico/dimissione protetta

Procedura operativa• Richiesta di consulenza valutativa per dimissione guidata da parte del

Centro di Oncologia alla Unità Valutativa Multidimensionale della UOCPattraverso modulistica concordata che consenta una prima valutazionedel caso.

• Attivazione dell’UVMD dell’equipe di CP: valutazione intraospedalieraentro le successive 48-72 ore lavorative sulla base di strumenti di valu-tazione multidimensionale atti ad verificare i criteri clinici di eleggibilitàed eventuali priorità di ammissione, (in particolare: previsione di so-pravvivenza, stato funzionale - Performance status di Karnofsky-, gradodi dipendenza nelle attività giornaliere, evidente sintomatologia, pre-senza od alto rischio di lesioni da decubito, catetere vescicale).

• Se la condizione clinica del paziente non soddisfa il criterio di stretta ter-minalità, il malato verrà inviato con un piano di trattamento consigliatoall’ADI, che potrà richiedere consulenze specialistiche alla UOCP, per unmassimo di 10 pazienti in linea contemporaneamente.

• Paziente clinicamente eleggibile per assistenza specialistica di CP: (KPS< 50, prognosi verosimilmente < a 90-180 gg): colloquio informativo evalutazione di idoneo contesto abitativo e familiare da parte dell’assi-stente sociale o dello psicologo.

• Attivazione dell’UVMD del Distretto per la necessaria valutazione ed au-torizzazione alla presa in carico.

• Feedback al reparto ospedaliero, predisposizione dei tempi per la di-missione.

Note e considerazioni• E’ necessaria una pianificazione adeguata della tempistica di invio della

richiesta in relazione ai tempi di dimissione/presa in carico: la valuta-zione per l’eleggibilità alla presa in carico da parte dell’UV dell’UOCP,preferibilmente attraverso diretto consulto intraospedaliero, avviene

entro le 48-72 ore lavorative dalla richiesta, ma l’iter di presa in caricodipende anche dai tempi dettati dalla complessità organizzativa del-l’equipe di CP.

• E’ necessario pertanto pianificare un invio precoce delle richiesta di va-lutazione per la presa in carico rispetto ai presumibili tempi di dimis-sione, per evitare l’”urgenza” della presa in carico e/o l’invioindiscriminato della richiesta a tutte le strutture di CP.

• Sarebbe auspicabile, per i pazienti deputati all’hospice, privilegiare ilconcetto di territorialità nell’invio del paziente, principalmente per faci-litare i familiari del paziente, salvaguardando comunque la libera sceltadel paziente/famiglia.

• Si sottolinea l’importanza di utilizzare degli strumenti univoci di lavoro,come il modello unico di richiesta. Il Modulo unico di richiesta di presain carico per l’accesso alla Rete di Cure Palliative, scaturisce da un ta-volo di discussione tra società scientifiche, in primis palliativisti ed on-cologi, per la valutazione e la definizione di una modalità condivisa nellagestione della fase critica di transizione “dal cure al care”, nell’otticadella realizzazione di una “continuità terapeutica” attraverso tutte le fasidel cammino terapeutico del malato oncologico. L’utilizzo di tale stru-mento è già previsto nel Decreto regionale n.84 del 30 Settembre 2011.

• La criticità della tempistica della valutazione da parte dell’UVMD del Di-stretto, spesso inadeguata alle necessità di flessibilità e rapidità dellapresa in carico del paziente, può essere risolta in base ad una normadettata dalla Regione Lazio,che consente di avere una valutazione “post”presa in carico per la verifica e l’avallo.

Sarebbe auspicabile una interrelazione e collaborazione tra l’UVMD dell’UOCPe la UVMD del Distretto, in particolare per la gestione di casi complessi e/ocronicizzati, attraverso una formalizzazione dei rapporti, al momento attualebasati esclusivamente su contatti informali.

3.3 Bidirezionalità della relazione Centrodi Oncologia-Centro di Cure Palliative

L’affidamento del paziente alle cure palliative deve prevedere un monito-raggio ed una rivalutazione costante delle condizioni cliniche e delle neces-sità assistenziali del paziente, con la possibilità di una bidirezionalitàconcordata e pianificata del rapporto nel caso in cui le condizioni clinichedel paziente lo consentano (ad es. miglioramento del KPS).Ciò permette:• di evitare ricoveri impropri ed accessi al PS• di evitare al paziente il senso di “abbandono” da parte della struttura

oncologica di riferimento

3.4 Palliative Simultaneous CareIl Decreto regionale n.84 del 30 Settembre 2011 prevede all’art.11 “Inte-grazione con la Rete Oncologica regionale” l’introduzione del modello delPalliative Simultaneous Care. Questo modello ha come obiettivo la precocepresa in carico da parte dell’equipe di Cure Palliative che seguirà il pazientea domicilio o in struttura residenziale, già durante le cure attive, al fine dievitare interruzioni assistenziali nel passaggio dalle terapie attive specificheai soli trattamenti sintomatici. Resta da affrontare la problematica della va-lorizzazione economica di tale modello, al momento difficilmente valutabilein quanto utilizzato da parte di poche strutture sulla base di rapporti non for-malizzati. Si rende auspicabile avviare una sperimentazione pilota x il Pal-liative Simultaneous care per la valutazione analitica dei costi e la verificadella sostenibilità economica di tale modello.

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Accessibilità [capacità di soddisfare la richiesta di cure palliative prove-niente dall’ambito territoriale di riferimento]• Tempo medio di attesa tra la segnalazione del caso e la reale presa in

carico del paziente, intesa come inizio dell’assistenza sanitaria conti-nuativa

• Percentuale di pazienti in carico con Karnofsky Performance Status ≤50.

Risorse • Percentuale di operatori con formazione specifica in cure palliative• Numero di operatori che hanno partecipato a corsi di formazione speci-

fica nell’anno/numero operatori.

Attività [attività erogata dalla rete di cure palliative sia nella struttura resi-denziale che presso il domicilio del paziente]• Tasso di utilizzo dei posti letto in hospice• Durata media della degenza in hospice• Durata media di assistenza domiciliare specialistica

Risultato (raggiungimento degli obiettivi della rete di cure palliative)• Numero medio di accessi a domicilio degli infermieri per paziente assistito• Numero medio di accessi a domicilio del medico palliativista per pa-

ziente assistito• Coefficiente di Intensità assistenziale (Rapporto tra il numero di giornate

Indicatore Definizione Significato Standard

10. Coefficiente di Intensità assistenziale Rapporto tra n° di giornate di effettiva assi-stenza (nelle quali vi è stato almeno un ac-cesso da parte di un sanitario della equipedi cure palliative) / n° di giornate totali dipresa in carico del paziente

L’indicatore esprime l’intensità dell’attivitàdi assistenza domiciliare sanitaria erogatadalla UCP.

Periodo dipresa in ca-rico = n° digg chevanno dalladata del 1°accesso(compresa)alla datadella dimis-sione/de-cesso dalservizio(compresa)*

11. Numero pazienti assistiti a domicilio /totale pazienti assistiti

Rapporto tra n° dei pazienti assistiti a domi-cilio dalla UCP / n° totale dei pazienti in ca-rico

L’indicatore esprime l’attività di assistenzadomiciliare erogata dalla UCP.

Per pz assi-stito a domi-cilio siintende il pzche ha rice-vuto assi-stenzadomiciliareper almeno i2/3 delle ggin cui è statoin carico *

12. Percentuale di pazienti deceduti a domi-cilio sul totale dei pazienti deceduti assistiti

Rapporto percentuale tra n° dei pazienti as-sistiti deceduti a domicilio / n° totale deipazienti deceduti assistiti.

L’indicatore esprime il buon funzionamentoe la funzionalità specifica dell’assistenzadomiciliare nella rete di cure palliative

13. Percentuale di pazienti deceduti in ho-spice sul totale dei pazienti deceduti assi-stiti

Rapporto percentuale tra n° di pazienti as-sistiti e deceduti in hospice / n° totale deipazienti deceduti assistiti

L’indicatore esprime la funzionalità speci-fica dell’hospice nella rete di cure palliative

14. Percentuale di giornate di ricovero inospedale per acuti / totale giornate di assi-stenza erogate

Rapporto tra n° di giornate in ricovero ordi-nario di pazienti terminali in carico allastruttura / n° totale delle giornate di assi-stenza erogate

15. Giudizio della famiglia sull’assistenza ri-cevuta attraverso questionari di soddisfa-zione anonimi somministrati dopo ildecesso del paziente

Rapporto tra n° questionari di soddisfazionecompilati / n° totale questionari sommini-strati

L’indicatore esprime l’attenzione ai bisognidei pazienti ed alle percezioni dei suoi fami-liari, finalizzata al miglioramento dei diversiaspetti dell’assistenza.

30-60%

16. Percentuale di famiglie seguite dopo ildecesso del congiunto

Percentuale di famiglie seguite dopo il de-cesso del congiunto / totale dei pazienti as-sistiti e deceduti

L’indicatore esprime il supporto che la retefornisce alle famiglie dei pazienti assistiticon l’assistenza al lutto

* indicazione ministeriale da Conferenza Stato Regioni del 13 Marzo 2003

assistenziali, al comfort del paziente ed al supporto per i familiari.• partecipazione in attività di ricerca trasversale in CP.• attività di formazione specifica che promuova l’integrazione tra oncolo-

gia e CP.Il miglioramento della qualità elevata comporta non solo il raggiungimentodi migliori esiti clinici, la riduzione della complicazioni e l'aumento della sod-disfazione dei pazienti, ma anche l'eliminazione degli interventi non neces-sari o inappropriati. (JC Batchelor e TH Esmond)Dovrà essere predisposto un sistema di verifica formale della corrispondenzadei Centri ai criteri qualitativi e organizzativi prefissati.

L’accreditamento all’eccellenza o volontario o tra pari richiede l’impegno ditutti i componenti della organizzazione in un complesso e faticoso itinerariodi studio e di autovalutazione, ma rappresenta una stimolante occasione percreare una “cultura” dell’autovalutazione, per comunicare, per aggiornarsie per fare chiarezza su procedure, linee guida, indicatori.*NCCN Clinical practice guidelines in Oncology. v.1.2010. Palliative Care.www.nccn.org*Qualità professionale e percorsi assistenziali . Manuali di formazione perla valutazione e il miglioramento della qualità professionale. Quarta edizione,Roma 2005 a cura di Morosini, Di Stanislao et al.

Il dataset minimo di indicatori proposti per monitorare la qualità del processoassistenziale, da sviluppare eventualmente in modo incrementale, comprende:

5.1 ELENCO INDICATORIVedi tabella 1.

5. Indicatori per la valutazione sistematica della qualità assistenziale

Tabella 1. Scheda indicatori

Indicatore Definizione Significato Standard

1. Tempo medio di attesa tra la segnala-zione del caso e la reale presa in carico delpaziente

N° medio di giorni di attesa tra la segnalazione del caso e la reale presa incarico del paziente, intesa come inizio dell’assistenza sanitaria continuativa

L’indicatore esprime la tempestività nell’accessibilità alla cura

2. Percentuale di pazienti in carico con Kar-nofsky Performance Status ≤ 50

Rapporto tra numero di pazienti in caricocon KPS ≤50 ed il numero totale dei pa-zienti assistiti /anno.

L’indicatore esprime l’appropriatezza dellapresa in carico

3. Operatori con formazione specifica incure palliative

Rapporto percentuale tra n°degli operatoricon formazione specifica in curepalliative/n° complessivo degli operatori

La formazione specifica in cure palliativedegli operatori è uno dei requisiti fondamentali per meglio fornire un’adeguata assistenza al paziente terminale.

4. Numero di operatori che hanno parteci-pato a corsi di formazione specifica nel-l’anno / numero operatori

Rapporto tra n°di operatori che hanno frequentato corsi di formazione specificadurante l’anno / totale degli operatori impiegati

E’ indispensabile l’attivazione di programmidi formazione continua di tutto il personalecoinvolto nell’assistenza

5. Tasso di utilizzo dei posti letto in hospice Rapporto tra n° di gg di assistenza effettivamente erogate (in hospice) e le giornate di degenza teoriche (espressecome n. posti letto per 365). Il rapportoviene moltiplicato per 100.

L’indicatore esprime una misura dell’utilizzodei posti letto rispetto alla dotazione disponibile nell’hospice.

> 85%

6. Durata media della degenza in hospice N° giornate di assistenza effettuate in hospice / Totale dei ricoveri dell’hospice

L’utilizzo dell’hospice deve essere limitato a casi selezionati in maniera appropriata

28 gg

7. Durata media di assistenza domiciliarespecialistica

N° giornate di assistenza domiciliare specialistica / totale dei pazienti assistiti

L’indicatore esprime una misura dell’utilizzodell’assistenza domiciliare

8. Numero medio di accessi a domiciliodegli infermieri per paziente assistito

N° totale di accessi domiciliari effettuatidagli infermieri/totale dei pazienti assistiti

L’indicatore esprime una misura della quantità dell’assistenza infermieristica erogata a domicilio.

9. Numero medio di accessi a domicilio delmedico palliativista per paziente assistito

N° totale di accessi domiciliari effettuati dal medico palliativista / totale dei pazientiassistiti

L’indicatore esprime una misura della quantità di assistenza medica prestata a domicilio

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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa delle cure palliative nel paziente oncologicoRETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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di effettiva assistenza ed il numero di giornate totali di presa in carico)• Numero pazienti assistiti a domicilio/totale pazienti assistiti • Percentuale di pazienti deceduti a domicilio sul totale dei pazienti dece-

duti assistiti • Percentuale di pazienti deceduti in hospice sul totale dei pazienti dece-

duti assistiti • Percentuale di giornate di ricovero in ospedale per acuti / totale gior-

nate di assistenza erogate

• Giudizio della famiglia sull’assistenza ricevuta attraverso questionari disoddisfazione somministrati dopo il decesso del paziente

• Percentuale di famiglie seguite dopo il decesso del congiunto.Le regioni hanno il compito di effettuare il monitoraggio degli indicatori, agaranzia della realizzazione dei LEA in CP (“Definizione degli standard rela-tivi all’assistenza ai malati terminali in trattamento palliativo in attuazionedell’articolo 1, comma 169, della legge 30 dicembre 2004, n. 311”, docu-mento approvato in Conferenza Stato Regioni 26 gennaio 2006).

Indicatori Standard

1. N° malati deceduti per tumore assistiti dalla Rete di cure palliative a domicilio e/o inhospice/n° malati deceduti per malattia oncologica

> 65%

2. N° posti letto negli hospice > 1 p.l. ogni 56 deceduti per tumore

3. N° hospice in possesso dei requisiti di cui al Dpcm 20/01/2000 e degli eventuali re-quisiti fissati a livello regionale/n° totale hospice

100%

4. N° annuo di giornate di cure palliative erogate a domicilio per malati deceduti per tumore

> valore individuato per lo standard dell’indicatore n-1 cui va sottratto il 20%. Il risultato si moltiplica per 55 (in gg)

5. N° malati nei quali il tempo max di attesa fra segnalazione e presa in carico domici-liare da parte della Rete di CP è < 3 gg/n° malati presi in carico a domiclio dalla Rete econ assistenza conclusa

> 80%

6. N° malati nei quali il tempo max di attesa fra segnalazione e ricovero in hospice è < 3gg/n° di malati ricoverati e con assistenza conclusa

> 40%

7. N° ricoveri di malati con patologia oncologica nei quali il periodo di ricovero in hospiceè < 7 gg/n° ricoveri in hospice di malati con patologia oncologica

< 20%

8. N° ricoveri di malati con patologia oncologica nei quali il periodo di ricovero in hospiceè > 30 gg/n° ricoveri in hospice di malati con patologia oncologica

< 25%

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici

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Si ringraziano:

Dr. Lazzaro Repettoper la collaborazione tecnico-scientifica nella revisione dei manoscritti

Dr.ssa Gabriella Guasticchi ed il Dr. Piero Borgiaper il contributo fornito dall'ASP nell'organizzazione dei Gruppi e nella stesura dei manoscritti

Dr. Lazzaro Repettoper la collaborazione tecnico-scientifica nella revisione dei manoscritti.

Dr. Massimo Zeuli ed il Dr. Alain Gelibterper la collaborazione nell'organizzazione e condivisione del Progetto.

Tutti i Coordinatori dei Gruppi Multidisciplinariper l'ottimo lavoro svolto

I circa 300 Colleghi che nell'ambito dei Gruppi Multidisciplinarihanno collaborato alla riuscita dell'iniziativa

Ringraziamenti

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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici