recuperare completamente l’udito: aritmia, a piacenza tutte le … · 2017-03-07 · il paziente...

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N el percorso di cura del- le malattie oncoemato- logiche il trapianto di cellule staminali emopoietiche (di mi- dollo) può offrire importante chance di guarigione per al- cune patologie quali leucemie acute, linfomi e mielomi. Esistono due modalità di tra- pianto: quello autologo, indi- cato per patologie quali il mie- loma multiplo, che prevede la reinfusione di cellule staminali dello stesso paziente, prece- dentemente prelevate e crio- preservate; quello allogenico, appropriato per esempio nelle leucemie acute, che necessita di un donatore sano compati- bile, da cercare in primis tra i familiari consanguinei e , se non trovato, nel registro inter- nazionale dei donatori volon- tari. Questa seconda proce- dura è riconosciuta come una delle più complesse in ambito medico-chirugico. L’equipe di Ematologia dell’o- spedale di Piacenza ha svi- luppato nel settore una con- solidata esperienza col primo trapianto autologo nel 1999 (da allora eseguiti oltre 320) e il primo allogenico nel 2002 (da allora oltre 100 compiuti). Il Centro trapianti di Piacenza si è impegnato a soddisfare i requisiti specifici italiani (GIT- MO, Società italiana trapian- to midollo) ed europei (EBMT, Società europea trapianto mi- dollo), ottenendo nel 2015 l’importantissimo accredita- mento internazionale JACIE_ FACT valido per tutti i tipi di trapianto compreso l’allogeni- co da donatore non correla- to (Marrow Unrelated Donor, MUD). Tale certificazione, che risponde a precisi e rigorosi requisiti internazionali, con- sente a Piacenza di eseguire la ricerca diretta di donatori non familiari nei registri di tut- to il mondo. Il percorso del Centro, diretto da Daniele Vallisa, è articola- to secondo protocolli condivisi e rodati: quando c‘è la neces- sità di un trapianto allogenico per un paziente dell’Ematolo- gia, il laboratorio di Immuno- genetica HLA stabilisce in tem- pi rapidi le compatibilità. Se il trapianto avviene da san- gue periferico, il prelievo del- le staminali mediante aferesi viene eseguito dai medici del Servizio Immunotrasfusiona- le. I biologi del laboratorio di immunogenetica HLA e mani- polazione cellulare si occupa- no anche della preparazione delle staminali per la reinfusio- ne a fresco o per l’eventuale congelamento e criopreserva- zione . Se invece avviene da midollo osseo, si procede con l’espianto di midollo osseo eseguito in camera operatoria dagli ematologi stessi. Dopo il trapianto, il decorso del paziente si svolge nelle ca- mere sterili in Ematologia. Si tratta di un percorso lungo e impegnativo, che richiede la supervisione di un’equipe di medici e infermieri altamente specializzata e preparata. Anche l’attività del laborato- rio di Immunogenetica HLA di Piacenza (che fa parte della Medicina trasfusionale diretta da Agostino Rossi) si è anda- ta sempre più specializzando: circa un terzo del lavoro è de- dicato alle analisi immunoge- netiche per trapianti di cellule staminali emopoietiche (2500 tipizzazioni HLA all’anno). Poiché la ricerca dei donatori compatibili si effettua a livello internazionale, i dati devono essere comparabili dappertut- to: il laboratorio ha ottenuto l’importante accreditamento europeo EFI (European Fede- ration for Immunogenetics). Nei trapianti allogenici da donatore non consanguineo i tempi di analisi e di ricerca della compatibilità sono im- portantissimi e a Piacenza, grazie alle sinergie descritte, l’attesa media per individuare un donatore è di 38 giorni, al di sotto della media naziona- le (circa 3 mesi). Ricordiamo che la probabilità che due persone siano compatibili è uno a 100 mila. Il Laborato- rio – di cui è responsabile An- gela Rossi - consente anche di monitorare il livello di attec- chimento delle cellule stami- nali emopoietiche grazie allo studio del chimerismo sui pa- zienti nel post trapianto. Il Centro partecipa alle attività di ricerca nazionali e interna- zionali oltre che specifiche ri- cerche relative al chimerismo, al supporto psicologico e al trapianto nell’anziano. La forte volontà della Direzio- ne aziendale di sviluppare il progetto del trapianto di cel- lule staminali a Piacenza ha trovato un alleato importante nella comunità locale con il sostegno dalle associazioni di volontariato Apl, Admo e Avis e della Fondazione di Piacen- za e Vigevano. Trapianto di cellule staminali: a Piacenza esperienza consolidata Il Centro è accreditato JACIE_FACT a livello internazionale L’ Area di simulazione clinico organiz- zativa (ASCO) è uno spazio alta- mente specializzato dedicato all’adde- stramento del personale sanitario e non sanitario, dove si utilizza la simulazione come tecnica di formazione. Unica nel suo genere, perché realizzata in una vera sala operatoria funzionante del bloc- co operatorio dell’ospedale di Castel San Giovanni (Piacenza), in essa è possibile effettuare tutta la formazione in simula- zione, dalla computer based al part task, sino allo sviluppo di scenari clinici realisti- ci che, attraverso sofisticati manichini ge- stiti da computer, riproducono fedelmente eventi fisiologici e patologici. Nell’A- SCO di Piacenza i professionisti possono saggiare e migliorare sia la loro prepa- razione tecnica sia le loro capacità di or- ganizzazione, strategia, lavoro in team e questo anche durante l’attività clinica sul paziente. “La nostra area di simulazione - sottolinea Luca Baldino, direttore generale dell’Ausl di Piacenza - garantisce l’interattività dei professionisti sanitari in una realtà “pro- tetta”, che offre la possibilità di imparare dall’errore stesso, potenziando al massi- mo l’apprendimento e facilitando la fissa- zione delle pratiche svolte, senza recare nessun danno al paziente. I professionisti possono imparare più velocemente e par- tecipano più attivamente quando posso- no utilizzare sistemi interattivi”. “É necessario guardare a lungo termine - concorda il direttore sanitario Guido Pedrazzini - agli outcome e alle ricadu- te nell’organizzazione della formazione in addestramento. I fallimenti all’interno di un sistema ipercomplesso come quello sanitario non si verificano come risultato di una singola azione, ma, nella maggior parte dei casi, derivano da errori multipli, che coinvolgono team, organizzazione, situazioni e ambiente di lavoro”. “La simulazione - continua Federica Amo- revoli, responsabile gestionale ASCO - si è dimostrata un’efficace leva forma- tiva nell’indurre gli operatori sanitari ad adottare modelli comportamentali ispira- ti alla prevenzione e gestione del rischio per il paziente e consente di sviluppare, valutare e migliorare anche aspetti non prettamente medico-tecnici, le cosi dette non techical skill, quali comunicazione, leadership, lavoro in team, decision ma- king e situation awareness, che risultano essere fattori determinanti nella costruzio- ne di buone pratiche per la sicurezza del paziente”. “ASCO risponde alla necessità di crea- re, per l’azienda stessa, per tutti i partner pubblici e privati e per le scuole di inse- gnamento universitario - conclude Massi- mo Nolli, direttore del dipartimento delle Terapie intensive, Anestesiologia e Tera- pia del dolore e Rianimazione dell’Ausl di Piacenza, nonché esperto di simulazione in ambito sanitario - un’area dedicata alla formazione che vede nella macrosimula- zione la modalità operativa riconosciuta obiettivata a gestire il rischio, aumentare il profilo di sicurezza delle cure e mante- nere e migliorare le clinical competence”. La simulazione clinica diventa uno stru- mento in grado di testare i percorsi, di gestire le policy del Sistema sanitario e delle aree di lavoro clinico: attraverso lo sviluppo di ambienti e scenari si possono osservare i comportamenti di singoli e di gruppi, riesaminare le azioni, discutere le soluzioni scelte e confrontarsi con le migliori prassi tecniche e i protocolli con- divisi da società scientifiche e gruppi di lavoro. In ASCO vengono ricreate situazioni cli- niche complesse e le attività formative possono essere ripetute senza rischi per l’operatore e per il paziente, sia per condizioni infrequenti o uniche, sia situazioni di crisi solitamente cau- sa di eventi seri. L’importante progetto è stato realizzato dall’Ausl di Piacen- za con il sostegno della Fondazione di Piacenza e Vigevano. L’utilizzo di ASCO può essere richiesto da aziende private, aziende sanitarie, scuole di specializzazione, società scientifiche e università in partnership, in convenzione o a contratto. Per in- formazioni e contatti consultare il sito www.ausl.pc.it/asco/ ASCO, un’area di simulazione clinico organizzativa realizzata in una vera sala operatoria La simulazione come formazione per lo sviluppo delle capacità tecniche e non tecniche del personale sanitario ASCO garantisce l’interattività dei professionisti in una realtà protetta La simulazione avviene attraverso sofisticati manichini gestiti da computer, che riproducono fedelmente eventi fisiologici e patologici. Con essi i sanitari possono migliorare le loro clinical competence Biologa al lavoro nel Laboratorio di immunogenetica HLA L’equipe di Ematologia diretta da Daniele Vallisa L a Cardiologia dell’ospeda- le di Piacenza è uno dei po- chi centri pubblici in Italia dove il paziente con aritmia può esse- re seguito a 360 gradi, grazie all’utilizzo di tutte le principali tecniche di diagnosi e terapia e alla tecnologia dedicata. “I capricci del ritmo del cuore – evidenzia il primario Giovanni Quinto Villani – sono uno dei problemi maggiori, dal punto di vista della gestione del pa- ziente, che si stanno ponendo nell’attività quotidiana dei car- diologi e costituiscono la secon- da causa di accesso al pronto soccorso dopo lo scompenso cardiaco in questo ambito spe- cialistico”. Nella cura delle aritmie è diven- tata essenziale, accanto alla diagnosi tradizionale, l’utiliz- zo di metodologie di imaging quali risonanza magnetica e Tac, che consentono tra l’altro di identificare subito i malati a rischio di morte improvvisa. “Le immagini ci consentono, già prima di affrontare l’arit- mia, di avere una ricostruzio- ne chiara e precisa”. Oltre a valutare gli aspetti anatomici, i cardiologi possono immedia- tamente capire lo stato di criti- cità del muscolo e individuare le aree di intervento, dove ap- plicare le tecniche di correzio- ne, oggi sempre più precise e sofisticate. Quando la malattia aritmica è molto severa si ricorre all’im- pianto di defibrillatori, tradizio- nali e senza fili. Questi ultimi, detti sottocutanei, restano fuori dal cuore e vengono impianta- ti sottopelle vicino allo sterno, diminuendo di gran lunga i ri- schi e le complicanze per il pa- ziente. Come i più tradizionali dispositivi salvavita, forniscono al cuore le scariche necessarie per risolvere aritmie minaccio- se, ma dall’esterno, senza che l’elettrodo debba essere inseri- to nel muscolo cardiaco. Il monitoraggio clinico e del di- spositivo di questi pazienti av- viene attraverso la più moder- ne tecnologie, che consentono ai sanitari dell’ospedale di Pia- cenza di controllare a distanza i parametri della persona, an- che semplicemente attraverso uno smartphone, limitando il più possibile le visite in ospeda- le e migliorando la qualità di vita del malato. Tra le opportunità ben conso- lidate a Piacenza c’è quella dell’aritmologia interventistica, tecnica che negli ultimi anni ha conosciuto dappertutto un’evo- luzione esponenziale. Mentre inizialmente solo pochissime patologie potevano essere trat- tate con l’ablazione transcate- re, ora è possibile curare tutte le forme di aritmia con questa metodica. “Questa tecnica non chirurgica che non richiede ta- gli nel torace; per “bruciare” il tessuto danneggiato, si scalda la punta del catetere con una particolare corrente chiamata radiofrequenza”. Inoltre fino a qualche anno fa l’aritmolo- gia interventistica era basata su procedure che utilizzavano i raggi X come guida nella ca- vità cardiaca durante le proce- dure di ablazione. “Oggi – evi- denzia il cardiologo Luca Rossi – ci si avvale di un sistema di localizzazione magnetica dei nostri cateteri, una tecnologia molto simile a un piccolo ma raffinatissimo GPS, e dell’eco- grafia intracardiaca’. In questo modo le procedure di ablazio- ne sono molto più sicure, preci- se ed efficaci. “Qualunque pa- ziente viene trattato riducendo drasticamente l’utilizzo dei rag- gi X che sappiamo essere dan- nosi”. In alcuni casi, come quel- lo di una donna al sesto mese di gravidanza, l’esposizione ai raggi X è stata completamente esclusa, perché avrebbe potuto essere rischiosa per la mamma e il bambino. “Con questi sistemi siamo oggi in grado di curare aritmie an- che molto complesse e che pro- vengono dal guscio esterno del cuore oltre che dal suo in- terno”, aggiunge il cardiologo Diego Penela, da poco trasfe- ritosi a Piacenza da Barcello- na. Questa attività altamente specializzata permette all’Arit- mologia piacentina di essere al centro di numerosi progetti di ricerca in ambito nazionale e internazionale. L’esperienza della Cardiologia nel settore è ormai ben consolidata: dal 1994 il centro risponde a tutte le esigenze del territorio e ha qualificato e affinato sempre di più la propria attività. Aritmia, a Piacenza tutte le principali tecniche di diagnosi e terapia Una consolidata esperienza, lunga oltre 20 anni, sempre più qualificata con il settore interventistico Recuperare completamente l’udito: le protesi cocleari Si allarga il target: dagli 8 mesi di vita, la nuova frontiera sono gli anziani P ermettere a chi è affetto da sordità pro- fonda da recuperare completamente l’u- dito: è l’obiettivo che a Piacenza è stato centrato oltre mille volte grazie all’impianto di altrettante protesi cocleari. Il reparto di Otorinolaringoiatria dell’ospe- dale di Piacenza è da anni un punto di rife- rimento nazionale per pazienti italiani ma anche stranieri ed è uno dei centri del no- stro Paese che può vantare la più ampia casistica sul cosiddetto “orecchio bionico”. Il primario Domenico Cuda ha iniziato la sua attività chirurgica in questo ambito nel 1994. In vent’anni, l’universo dell’orecchio bionico è totalmente cambiato: “Siamo ar- rivati alla terza generazione di dispositivi”. I progressi riguardano l’efficacia e la sicu- rezza d’organo artificiale, che sono anda- te sempre più migliorando, le tecniche chi- rurgiche sempre meno invasive e il target di pazienti. “Oggi - aggiunge il primario di Otorinolaringoiatria - ci sono nuove indica- zioni, che ci permettono di intervenire, in casi selezionati, su pazienti anche anziani e con forme di sordità meno gravi”. Quella che non è cambiata è la portata della rivo- luzione che avviene nella vita dei pazienti che si sottopongono all’intervento. “Si trat- ta di persone affette da sordità profonde, che non hanno ottenuto benefici con gli ap- parecchi acustici convenzionali”. Moltissi- mi sono i bambini che hanno potuto valersi dell’impianto: “Quanto più precocemen- te si interviene, tanto prima i piccoli pos- sono raggiungere gli stessi traguardi dei coetanei “. “È una delle innovazioni più formidabili - fa notare Cuda - che la Me- dicina ha fatto negli ultimi vent’anni: i risul- tati sono straordinari; basta pensare che, prima della protesi cocleare, questi piccoli non sentivano nulla”. L’orecchio bionico e il successivo percorso con lo staff dell’Oto- rinolaringoiatria hanno permesso di miglio- rare totalmente la loro qualità di vita. La sordità profonda può essere congenita oppure acquisita. Un bambino alla nascita può non udire a causa di alterazioni gene- tiche o per malattie contratte in utero; per quanto riguarda gli adulti, può accadere a causa di traumi, farmaci, malattie o virus. Sui piccoli l’efficacia della metodica è stra- ordinaria. Dopo l’intervento sono in grado di sviluppare il linguaggio e il gap rispetto ai loro coetanei, soprattutto se l’impianto viene inserito prima dei 12 mesi, viene col- mato completamente prima dei 5 anni. La casistica maturata a Piacenza è davvero si- gnificativa, tanto da essere oggetto di con- siderazione da parte del mondo scientifico internazionale. La rivista americana Laryn- goscope ha pubblicato un lavoro presenta- to dall’equipe nel quale si evidenziano gli stupefacenti risultati ottenuti sui bambini. Come fare per rendersi conto in tempo uti- le di un danno irreparabile alla coclea in un neonato e intervenire entro i 12 mesi di vita? “Dal 2005 effettuiamo a Piacen- za uno screening con otomissioni acustiche che ci consente di valutare oltre il 95 per cento dei piccoli della provincia entro un mese dalla nascita”. Il test viene realizzato dagli infermieri della Pediatria e coinvolge anche i residenti che non sono nati in ospe- dale. Nel caso in cui si identifichi una lesio- ne, il neonato viene monitorato e dotato di un apparecchio acustico fino ai 7/8 mesi, quando lo si considera pronto per l’inseri- mento dell’organo artificiale. Se per i piccoli il ricorso all’impianto cocle- are è ormai comunemente ritenuto il gold standard, cioè la pratica condivisa e accre- ditata, la nuova “frontiera” potrebbero di- ventare gli anziani. In 20 anni di orecchio bionico, il primario ha già avuto casi anche di persone attempate. Il più vecchio è fini- to sotto al bisturi a 85 anni. “Partecipiamo - conclude Cuda - a uno studio internazio- nale per valutare l’efficacia dell’impianto in pazienti anziani, ovviamente selezionati”. È stato dimostrato che la perdita dell’udito è uno dei fattori di rischio più importanti per la demenza: considerato l’allungamen- to della vita media, sembra naturale che la Medicina si orienti verso la prospettiva di migliorare la qualità di vita di questa fascia di popolazione. Il dottor Domenico Cuda, primario di Otorinolaringoiatria, al lavoro in sala operatoria Festeggiamenti, l’anno scorso, per il millesimo impianto cocleare inserito Aritmologia interventistica: il posizionamento di un catetere L’immagine di un cuore durante la procedura INFORMAZIONE PROMOZIONALE Speciale AUSL PIACENZA - Realtà Eccellenti

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Nel percorso di cura del-le malattie oncoemato-

logiche il trapianto di cellule staminali emopoietiche (di mi-dollo) può offrire importante chance di guarigione per al-cune patologie quali leucemie acute, linfomi e mielomi.Esistono due modalità di tra-pianto: quello autologo, indi-cato per patologie quali il mie-loma multiplo, che prevede la reinfusione di cellule staminali dello stesso paziente, prece-dentemente prelevate e crio-preservate; quello allogenico, appropriato per esempio nelle leucemie acute, che necessita di un donatore sano compati-bile, da cercare in primis tra i familiari consanguinei e , se non trovato, nel registro inter-nazionale dei donatori volon-tari. Questa seconda proce-dura è riconosciuta come una delle più complesse in ambito medico-chirugico.L’equipe di Ematologia dell’o-spedale di Piacenza ha svi-luppato nel settore una con-solidata esperienza col primo trapianto autologo nel 1999 (da allora eseguiti oltre 320) e il primo allogenico nel 2002 (da allora oltre 100 compiuti). Il Centro trapianti di Piacenza si è impegnato a soddisfare i requisiti specifi ci italiani (GIT-MO, Società italiana trapian-to midollo) ed europei (EBMT, Società europea trapianto mi-dollo), ottenendo nel 2015 l’importantissimo accredita-mento internazionale JACIE_FACT valido per tutti i tipi di trapianto compreso l’allogeni-co da donatore non correla-to (Marrow Unrelated Donor, MUD). Tale certifi cazione, che risponde a precisi e rigorosi requisiti internazionali, con-sente a Piacenza di eseguire la ricerca diretta di donatori

non familiari nei registri di tut-to il mondo.Il percorso del Centro, diretto da Daniele Vallisa, è articola-to secondo protocolli condivisi e rodati: quando c‘è la neces-sità di un trapianto allogenico per un paziente dell’Ematolo-gia, il laboratorio di Immuno-genetica HLA stabilisce in tem-pi rapidi le compatibilità.Se il trapianto avviene da san-gue periferico, il prelievo del-le staminali mediante aferesi viene eseguito dai medici del Servizio Immunotrasfusiona-le. I biologi del laboratorio di immunogenetica HLA e mani-polazione cellulare si occupa-no anche della preparazione delle staminali per la reinfusio-ne a fresco o per l’eventuale congelamento e criopreserva-zione . Se invece avviene da midollo osseo, si procede con l’espianto di midollo osseo eseguito in camera operatoria dagli ematologi stessi.Dopo il trapianto, il decorso del paziente si svolge nelle ca-mere sterili in Ematologia. Si tratta di un percorso lungo e impegnativo, che richiede la supervisione di un’equipe di medici e infermieri altamente specializzata e preparata.

Anche l’attività del laborato-rio di Immunogenetica HLA di Piacenza (che fa parte della Medicina trasfusionale diretta da Agostino Rossi) si è anda-ta sempre più specializzando: circa un terzo del lavoro è de-dicato alle analisi immunoge-netiche per trapianti di cellule staminali emopoietiche (2500 tipizzazioni HLA all’anno). Poiché la ricerca dei donatori compatibili si effettua a livello internazionale, i dati devono essere comparabili dappertut-to: il laboratorio ha ottenuto l’importante accreditamento europeo EFI (European Fede-ration for Immunogenetics).

Nei trapianti allogenici da donatore non consanguineo i tempi di analisi e di ricerca della compatibilità sono im-portantissimi e a Piacenza, grazie alle sinergie descritte, l’attesa media per individuare un donatore è di 38 giorni, al di sotto della media naziona-le (circa 3 mesi). Ricordiamo che la probabilità che due persone siano compatibili è uno a 100 mila. Il Laborato-rio – di cui è responsabile An-gela Rossi - consente anche di monitorare il livello di attec-chimento delle cellule stami-nali emopoietiche grazie allo studio del chimerismo sui pa-zienti nel post trapianto.Il Centro partecipa alle attività di ricerca nazionali e interna-zionali oltre che specifi che ri-cerche relative al chimerismo, al supporto psicologico e al trapianto nell’anziano.La forte volontà della Direzio-ne aziendale di sviluppare il progetto del trapianto di cel-lule staminali a Piacenza ha trovato un alleato importante nella comunità locale con il sostegno dalle associazioni di volontariato Apl, Admo e Avis e della Fondazione di Piacen-za e Vigevano.

Trapianto di cellule staminali:a Piacenza esperienza consolidataIl Centro è accreditato JACIE_FACT a livello internazionale

L’Area di simulazione clinico organiz-zativa (ASCO) è uno spazio alta-

mente specializzato dedicato all’adde-stramento del personale sanitario e non sanitario, dove si utilizza la simulazione come tecnica di formazione. Unica nel suo genere, perché realizzata in una vera sala operatoria funzionante del bloc-co operatorio dell’ospedale di Castel San Giovanni (Piacenza), in essa è possibile effettuare tutta la formazione in simula-zione, dalla computer based al part task, sino allo sviluppo di scenari clinici realisti-ci che, attraverso sofi sticati manichini ge-stiti da computer, riproducono fedelmente eventi fi siologici e patologici. Nell’A-SCO di Piacenza i professionisti possono saggiare e migliorare sia la loro prepa-razione tecnica sia le loro capacità di or-ganizzazione, strategia, lavoro in team e questo anche durante l’attività clinica sul paziente.“La nostra area di simulazione - sottolinea Luca Baldino, direttore generale dell’Ausl di Piacenza - garantisce l’interattività dei professionisti sanitari in una realtà “pro-tetta”, che offre la possibilità di imparare dall’errore stesso, potenziando al massi-mo l’apprendimento e facilitando la fi ssa-zione delle pratiche svolte, senza recare nessun danno al paziente. I professionisti possono imparare più velocemente e par-tecipano più attivamente quando posso-no utilizzare sistemi interattivi”.

“É necessario guardare a lungo termine - concorda il direttore sanitario Guido Pedrazzini - agli outcome e alle ricadu-te nell’organizzazione della formazione in addestramento. I fallimenti all’interno di un sistema ipercomplesso come quello sanitario non si verifi cano come risultato di una singola azione, ma, nella maggior parte dei casi, derivano da errori multipli, che coinvolgono team, organizzazione, situazioni e ambiente di lavoro”.“La simulazione - continua Federica Amo-revoli, responsabile gestionale ASCO - si è dimostrata un’effi cace leva forma-tiva nell’indurre gli operatori sanitari ad adottare modelli comportamentali ispira-ti alla prevenzione e gestione del rischio per il paziente e consente di sviluppare, valutare e migliorare anche aspetti non prettamente medico-tecnici, le cosi dette non techical skill, quali comunicazione, leadership, lavoro in team, decision ma-king e situation awareness, che risultano essere fattori determinanti nella costruzio-ne di buone pratiche per la sicurezza del paziente”.“ASCO risponde alla necessità di crea-re, per l’azienda stessa, per tutti i partner pubblici e privati e per le scuole di inse-gnamento universitario - conclude Massi-mo Nolli, direttore del dipartimento delle Terapie intensive, Anestesiologia e Tera-pia del dolore e Rianimazione dell’Ausl di Piacenza, nonché esperto di simulazione in ambito sanitario - un’area dedicata alla formazione che vede nella macrosimula-

zione la modalità operativa riconosciuta obiettivata a gestire il rischio, aumentare il profi lo di sicurezza delle cure e mante-nere e migliorare le clinical competence”.La simulazione clinica diventa uno stru-mento in grado di testare i percorsi, di gestire le policy del Sistema sanitario e delle aree di lavoro clinico: attraverso lo sviluppo di ambienti e scenari si possono osservare i comportamenti di singoli e di gruppi, riesaminare le azioni, discutere le soluzioni scelte e confrontarsi con le migliori prassi tecniche e i protocolli con-divisi da società scientifi che e gruppi di lavoro.In ASCO vengono ricreate situazioni cli-niche complesse e le attività formative

possono essere ripetute senza rischi per l’operatore e per il paziente, sia per condizioni infrequenti o uniche, sia situazioni di crisi solitamente cau-sa di eventi seri. L’importante progetto è stato realizzato dall’Ausl di Piacen-za con il sostegno della Fondazione di Piacenza e Vigevano.L’utilizzo di ASCO può essere richiesto da aziende private, aziende sanitarie, scuole di specializzazione, società scientifi che e università in partnership, in convenzione o a contratto. Per in-formazioni e contatti consultare il sito www.ausl.pc.it/asco/

ASCO, un’area di simulazione clinico organizzativa realizzata in una vera sala operatoriaLa simulazione come formazione per lo sviluppo delle capacità tecniche e non tecniche del personale sanitario

ASCO garantisce l’interattività deiprofessionisti in una realtà protetta

La simulazione avviene attraverso sofi sticati manichini gestiti da

computer, che riproducono fedelmente eventi fi siologici

e patologici. Con essi i sanitari possono migliorare le loro clinical competence

Biologa al lavoro nel Laboratorio di immunogenetica HLA

L’equipe di Ematologia diretta da Daniele Vallisa

La Cardiologia dell’ospeda-le di Piacenza è uno dei po-

chi centri pubblici in Italia dove il paziente con aritmia può esse-re seguito a 360 gradi, grazie all’utilizzo di tutte le principali tecniche di diagnosi e terapia e alla tecnologia dedicata.“I capricci del ritmo del cuore – evidenzia il primario Giovanni Quinto Villani – sono uno dei problemi maggiori, dal punto di vista della gestione del pa-ziente, che si stanno ponendo nell’attività quotidiana dei car-diologi e costituiscono la secon-da causa di accesso al pronto soccorso dopo lo scompenso cardiaco in questo ambito spe-cialistico”.Nella cura delle aritmie è diven-tata essenziale, accanto alla diagnosi tradizionale, l’utiliz-zo di metodologie di imaging quali risonanza magnetica e Tac, che consentono tra l’altro di identifi care subito i malati a rischio di morte improvvisa.“Le immagini ci consentono, già prima di affrontare l’arit-mia, di avere una ricostruzio-ne chiara e precisa”. Oltre a valutare gli aspetti anatomici, i cardiologi possono immedia-tamente capire lo stato di criti-cità del muscolo e individuare le aree di intervento, dove ap-plicare le tecniche di correzio-ne, oggi sempre più precise e sofi sticate.Quando la malattia aritmica è molto severa si ricorre all’im-pianto di defi brillatori, tradizio-nali e senza fi li. Questi ultimi, detti sottocutanei, restano fuori dal cuore e vengono impianta-

ti sottopelle vicino allo sterno, diminuendo di gran lunga i ri-schi e le complicanze per il pa-ziente. Come i più tradizionali dispositivi salvavita, forniscono al cuore le scariche necessarie per risolvere aritmie minaccio-se, ma dall’esterno, senza che l’elettrodo debba essere inseri-to nel muscolo cardiaco.Il monitoraggio clinico e del di-spositivo di questi pazienti av-viene attraverso la più moder-ne tecnologie, che consentono ai sanitari dell’ospedale di Pia-cenza di controllare a distanza i parametri della persona, an-che semplicemente attraverso uno smartphone, limitando il più possibile le visite in ospeda-le e migliorando la qualità di vita del malato. Tra le opportunità ben conso-lidate a Piacenza c’è quella dell’aritmologia interventistica, tecnica che negli ultimi anni ha conosciuto dappertutto un’evo-luzione esponenziale. Mentre inizialmente solo pochissime patologie potevano essere trat-tate con l’ablazione transcate-

re, ora è possibile curare tutte le forme di aritmia con questa metodica. “Questa tecnica non chirurgica che non richiede ta-gli nel torace; per “bruciare” il tessuto danneggiato, si scalda la punta del catetere con una particolare corrente chiamata radiofrequenza”. Inoltre fi no a qualche anno fa l’aritmolo-gia interventistica era basata su procedure che utilizzavano i raggi X come guida nella ca-vità cardiaca durante le proce-dure di ablazione. “Oggi – evi-denzia il cardiologo Luca Rossi – ci si avvale di un sistema di localizzazione magnetica dei nostri cateteri, una tecnologia molto simile a un piccolo ma raffi natissimo GPS, e dell’eco-grafi a intracardiaca’. In questo modo le procedure di ablazio-

ne sono molto più sicure, preci-se ed effi caci. “Qualunque pa-ziente viene trattato riducendo drasticamente l’utilizzo dei rag-gi X che sappiamo essere dan-nosi”. In alcuni casi, come quel-lo di una donna al sesto mese di gravidanza, l’esposizione ai raggi X è stata completamente

esclusa, perché avrebbe potuto essere rischiosa per la mamma e il bambino.“Con questi sistemi siamo oggi in grado di curare aritmie an-che molto complesse e che pro-vengono dal guscio esterno del cuore oltre che dal suo in-terno”, aggiunge il cardiologo Diego Penela, da poco trasfe-ritosi a Piacenza da Barcello-na. Questa attività altamente specializzata permette all’Arit-mologia piacentina di essere al centro di numerosi progetti di ricerca in ambito nazionale e internazionale. L’esperienza della Cardiologia nel settore è ormai ben consolidata: dal 1994 il centro risponde a tutte le esigenze del territorio e ha qualifi cato e affi nato sempre di più la propria attività.

Aritmia, a Piacenza tutte le principali tecniche di diagnosi e terapiaUna consolidata esperienza, lunga oltre 20 anni, sempre più qualifi cata con il settore interventistico

Recuperare completamente l’udito:le protesi cocleariSi allarga il target: dagli 8 mesi di vita, la nuova frontiera sono gli anziani

Permettere a chi è affetto da sordità pro-fonda da recuperare completamente l’u-

dito: è l’obiettivo che a Piacenza è stato centrato oltre mille volte grazie all’impianto di altrettante protesi cocleari.Il reparto di Otorinolaringoiatria dell’ospe-dale di Piacenza è da anni un punto di rife-rimento nazionale per pazienti italiani ma anche stranieri ed è uno dei centri del no-stro Paese che può vantare la più ampia casistica sul cosiddetto “orecchio bionico”.Il primario Domenico Cuda ha iniziato la sua attività chirurgica in questo ambito nel 1994. In vent’anni, l’universo dell’orecchio bionico è totalmente cambiato: “Siamo ar-rivati alla terza generazione di dispositivi”. I progressi riguardano l’effi cacia e la sicu-rezza d’organo artifi ciale, che sono anda-te sempre più migliorando, le tecniche chi-rurgiche sempre meno invasive e il target di pazienti. “Oggi - aggiunge il primario di Otorinolaringoiatria - ci sono nuove indica-zioni, che ci permettono di intervenire, in casi selezionati, su pazienti anche anziani e con forme di sordità meno gravi”. Quella che non è cambiata è la portata della rivo-luzione che avviene nella vita dei pazienti che si sottopongono all’intervento. “Si trat-ta di persone affette da sordità profonde, che non hanno ottenuto benefi ci con gli ap-parecchi acustici convenzionali”. Moltissi-mi sono i bambini che hanno potuto valersi dell’impianto: “Quanto più precocemen-te si interviene, tanto prima i piccoli pos-sono raggiungere gli stessi traguardi dei coetanei “. “È una delle innovazioni più formidabili - fa notare Cuda - che la Me-dicina ha fatto negli ultimi vent’anni: i risul-tati sono straordinari; basta pensare che, prima della protesi cocleare, questi piccoli non sentivano nulla”. L’orecchio bionico e il successivo percorso con lo staff dell’Oto-rinolaringoiatria hanno permesso di miglio-rare totalmente la loro qualità di vita.La sordità profonda può essere congenita oppure acquisita. Un bambino alla nascita può non udire a causa di alterazioni gene-tiche o per malattie contratte in utero; per

quanto riguarda gli adulti, può accadere a causa di traumi, farmaci, malattie o virus.Sui piccoli l’effi cacia della metodica è stra-ordinaria. Dopo l’intervento sono in grado di sviluppare il linguaggio e il gap rispetto ai loro coetanei, soprattutto se l’impianto viene inserito prima dei 12 mesi, viene col-mato completamente prima dei 5 anni. La casistica maturata a Piacenza è davvero si-gnifi cativa, tanto da essere oggetto di con-siderazione da parte del mondo scientifi co internazionale. La rivista americana Laryn-goscope ha pubblicato un lavoro presenta-to dall’equipe nel quale si evidenziano gli stupefacenti risultati ottenuti sui bambini.Come fare per rendersi conto in tempo uti-

le di un danno irreparabile alla coclea in un neonato e intervenire entro i 12 mesi di vita? “Dal 2005 effettuiamo a Piacen-za uno screening con otomissioni acustiche che ci consente di valutare oltre il 95 per cento dei piccoli della provincia entro un mese dalla nascita”. Il test viene realizzato dagli infermieri della Pediatria e coinvolge anche i residenti che non sono nati in ospe-dale. Nel caso in cui si identifi chi una lesio-ne, il neonato viene monitorato e dotato di un apparecchio acustico fi no ai 7/8 mesi, quando lo si considera pronto per l’inseri-mento dell’organo artifi ciale.Se per i piccoli il ricorso all’impianto cocle-are è ormai comunemente ritenuto il gold

standard, cioè la pratica condivisa e accre-ditata, la nuova “frontiera” potrebbero di-ventare gli anziani. In 20 anni di orecchio bionico, il primario ha già avuto casi anche di persone attempate. Il più vecchio è fi ni-to sotto al bisturi a 85 anni. “Partecipiamo - conclude Cuda - a uno studio internazio-nale per valutare l’effi cacia dell’impianto in pazienti anziani, ovviamente selezionati”. È stato dimostrato che la perdita dell’udito è uno dei fattori di rischio più importanti per la demenza: considerato l’allungamen-to della vita media, sembra naturale che la Medicina si orienti verso la prospettiva di migliorare la qualità di vita di questa fascia di popolazione.

Il dottor Domenico Cuda, primario di

Otorinolaringoiatria, al lavoro in sala operatoria

Festeggiamenti, l’anno scorso, per il millesimo

impianto cocleare inserito

Aritmologia interventistica: il

posizionamento di un catetere

L’immagine di un cuore durante la

procedura

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