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1 SITO DELLA EX RAFFINERA ITALIANA PETROLI LA SPEZIA RELAZIONE DI CONSULENZA PROBLEMATICHE CONNESSE ALLA BONIFICA Elaborata dal Dr Anacleto Busà Roma, 21 giugno 2007

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Relazione dott. Busà criticità bonifica area ex raffineria IP giugno 2007

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SITO DELLA EX RAFFINERA ITALIANA PETROLI

LA SPEZIA

RELAZIONE DI CONSULENZA

PROBLEMATICHE CONNESSE ALLA BONIFICA

Elaborata dal Dr Anacleto Busà Roma, 21 giugno 2007

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INDICE Premessa Come va intesa la relazione Il ricorso al TAR Liguria Cosa è cambiato sul sito ex IP dal 2000 ad oggi L’esame della documentazione disponibile Le emissioni odorigene L’indagine dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’Arpal Composti organici alogenati nel sottosuolo Le tecnologie di bonifica previste nella variante al Progetto F. Wheeler del 2004 Il problema “diossine” Il problema del piombo tetraetile Problemi di igiene pubblica La gestione del ciclo dei rifiuti Il controllo ambientale La sicurezza nel cantiere di bonifica Conclusioni Bibliografia

Allegati

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Premessa La presente relazione, prende spunto dalla documentazione disponibile allo scrivente quando gli fu assegnato un incarico di consulenza dal Comune della Spezia in merito al progetto di bonifica Grifil/Agip (anno 2000) e da altri documenti (Progetti di bonifica e studi di caratterizzazione prodotti da Foster Whiler su incarico ENI, documenti delle Conferenze di Servizi, indagini ARPAL e Istituto Superiore di Sanità, ricorsi al TAR da parte dell’Associazione “La Salamandra”, notizie della stampa locale, documenti prodotti dalla Commissione Parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse presieduta dall’On.Massimo Scalia nel corso della XIII legislatura, etc) messi a disposizione dalle Associazioni ambientaliste locali. Come va intesa la relazione La relazione va intesa quale documento tecnico richiesto dalle Associazioni ambientaliste che operano sul territorio della Spezia, in particolare, dall’Associazione “ La Salamandra” a supporto delle rivendicazioni tendenti ad evitare un ulteriore deterioramento del territorio, già gravemente danneggiato dalle attività che hanno per anni insistito nell’area di Pitelli, e a salvaguardare la salute della popolazione esposta, a fronte della scarsa sensibilità ambientale mostrata dalle Istituzioni locali su tutta la problematica inerente la bonifica del sito della ex raffineria IP. Il ricorso al TAR Liguria In merito al ricorso al Tribunale Amministrativo Regione Liguria presentato in data 5 giugno 2006 dall’Associazione “ La Salamandra”, lo scrivente ne condivide le argomentazioni e il contenuto e pertanto ad esso rimanda per ciò che attiene gli aspetti di illegalità e di violazione della normativa vigente in materia ambientale, richiamando in qualche parte della sua relazione alcuni aspetti particolari legati alla normativa tecnica al fine di fornire ulteriori elementi di chiarimento. Cosa è cambiato sul sito ex IP dal 2000 ad oggi E’ opportuno rilevare che, a distanza di cinque anni dall’incarico di consulenza sù richiamato e conferito allo scrivente dal Comune di La Spezia (11 aprile 2000 ) e che si era concluso con la consegna di una relazione tecnica assai critica sul progetto Grifil/Agip di bonifica dell’area della ex raffineria in quanto ritenuto poco in linea con gli obiettivi della riqualificazione ambientale, il quadro generale e di dettaglio si è ancora di più aggravato, nonostante si siano succeduti nel frattempo, nuovi soggetti gestori o proprietari dell’area da bonificare e siano state presentate nuove progettazioni e caratterizzazioni analitiche del sito e tecnologie innovative di trattamento dei terreni contaminati. Rimane nello scrivente il convincimento che, una volta dismesso il sito produttivo (ex raffineria IP), le informazioni di base avrebbero dovuto essere acquisite in maniera scientifica e approfondita sia da parte dei nuovi proprietari dell’area sia da parte delle Istituzioni locali e costituire la indispensabile conoscenza necessaria per programmare interventi mirati ed efficaci di bonifica e ripristino ambientale da una parte e per effettuare controlli mirati, concedere autorizzazioni con precise prescrizioni, valutare gli effetti delle operazioni di bonifica sulla salute pubblica, dall’altra. Possiamo affermare, come peraltro i fatti recenti dimostrano, che il site assessment è stato condotto in maniera approssimativa e forse dettato dalla fretta di rendere disponibili le aree più appetibili commercialmente. A titolo d’esempio, non esaustivo, citiamo le seguenti carenze documentarie su cui ci siamo imbattuti nel corso dell’esame della documentazione disponibile: a) Attività sul sito preesistente alla installazione delle strutture della raffineria (1929);

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b) documentazione su episodi di spandimenti (spills) di prodotti in superficie, nel suolo e nel sottosuolo da strutture di superficie (linee e serbatoi, mezzi di trasporto interno) e da strutture interrate (serbatoi, tubazioni, infiltrazioni nei pozzi etc); c) documentazione dettagliata sulle procedure di “disattivazione” (decommissioning) degli impianti (procedure di smantellamento degli impianti fuori terra e delle strutture interrate, destino dei materiali rimossi sia ai fini dello smaltimento che di eventuale recupero, quantitativi dei chemicals in giacenza in magazzino nell’ultimo periodo di attività e loro destino) e sul management (“team”) che curò la disattivazione stessa degli impianti, sulla messa in sicurezza, sulla procedure di svuotamento e di “gas free” dei serbatoi e delle strutture interrate (specialmente per benzine e serbatoi di piombo tetraetile) e fuori terra con relativo destino dei prodotti; d) quantitativi di catalizzatori esausti in giacenza sul sito o smaltiti nel corso dell’ultimo anno di attività; e) acque oleose di processo e fanghi da vasche di trattamento e loro destino; f) siti di smaltimento all’interno della raffineria e in aree esterne ad essa per ogni tipo di rifiuto, ossia siti di discarica abusiva. Si note che sin dal 1982 (due anni prima della disattivazione degli impianti di raffinazione) era già in vigore il D.P.R n.915/82 che regolamentava la registrazione (registri di carico e scarico), la classificazione, lo smaltimento dei rifiuti (con relativi contratti di smaltimento con ditte autorizzate, e siti di smaltimento/recupero esterni alla raffineria autorizzati) e che imponeva regolari denunce sui quantitativi prodotti e da smaltire ed infine eventuali aree autorizzate per lo stoccaggio di rifiuti; g) mappe riportanti le strutture cementizie interrate, la rete fognaria, le tubazioni interrate, i siti di caduta degli ordigni bellici dell’ultimo conflitto mondiale e informazioni su eventuali sospetti di ordigni inesplosi; h) documentazione particolareggiata sul censimento e sullo smaltimento di trasformatori contenenti oli PCB/PCT e su manufatti di cemento-amianto e coibentazioni a base di amianto; i) elenco dei siti di recupero (rottami, fonderie etc) con relative dichiarazioni di non utilizzo per scopi alimentari di rottami ferrosi che hanno contenuto piombo alchili e avviati alla fusione in fonderia. l) procedure di messa in sicurezza del sito, dopo regolare disattivazione dell’alimentazione elettrica, delle acque potabili, delle acque dei servizi, con evidenze contrattuali relative alla guardiania e custodia del sito dismesso e disattivato. In assenza di tali contratti, sul sito dismesso incustodito può essersi verificato qualsiasi tipo di contaminazione e sversamento da parte di terzi di prodotti e/o rifiuti di tipologia diversa da quelli tipici della raffinazione del petrolio. L’esame della documentazione disponibile Esaminando con attenzione la documentazione disponibile, appare evidente che sia le fasi del processo propedeutico alla bonifica, sia le prime fasi della stessa bonifica, succedutesi dal 2000 e fino al 2007, siano state caratterizzate da incertezza , inadeguatezza, superficialità, fretta per il recupero delle aree, complice anche un controllo ambientale poco incisivo da parte delle Istituzioni locali ad esso preposte, al di là degli aspetti formali e dei documenti cartacei più recenti che, a prima vista, appaiono ineccepibili.

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Nello stesso parere richiesto dal Comune di La Spezia all’Istituto Superiore di Sanità ed emesso in data 23 aprile 2001, si manifestavano peraltro perplessità in ordine alla stima delle concentrazioni di inquinanti presenti e conseguentemente dei volumi da asportare o trattare. Si criticava inoltre la scelta approssimativa della tecnologia di bonifica (landfarming on site) e l’affermazione che il “landfarming in situ” non era applicabile data la bassa permeabilità del suolo, risultata invece nel corso della caratterizzazione del gennaio 2004, dell’ordine di 10-4-10-5cm/sec. Se si dovesse obiettare che queste critiche non hanno fondamento, non si potrebbe spiegare come mai ad ogni nuovo approccio di caratterizzazione del sito aumenti il volume di terreno da bonificare o da asportare rispetto alle previsioni iniziali e come mai vengano fuori nuovi contaminanti (es.solventi clorurati evidenziati con l’indagine dell’Istituto Superiore di Sanità) mai presi in considerazione nei precedenti studi di caratterizzazione e non si abbia ancora evidenza analitica di altri contaminanti quali per es. il selenio, i PCB, i piomboalchili. Si aggiunga che, nel tempo, sono anche lievitati, grazie alla sopracitate incertezze, i costi di bonifica, colpevole a nostro giudizio, l’assenza di criteri metodologici scientifici che avrebbero dovuto essere applicati per confrontare i costi associati ad ogni nuovo intervento di trattamento della contaminazione. E’ come dire che si è contravvenuto ad un principio basilare internazionale che impronta ormai tutta la materia ambientale: la sostenibilità degli interventi sull’ambiente secondo la quale la tutela si deve coniugare con i benefici sociali ed economici. Ciò che preme sottolineare, in considerazione di quanto sopra detto, sono i rischi per la salute della popolazione esposta i cui malesseri e disagi, sono la conseguenza delle emissioni maleodoranti e della generale contaminazione dell’aria. Tali emissioni si sarebbero potute evitare o di gran lunga minimizzare con un’accorta progettazione ricorrendo a scelte tecnologiche di bonifica più idonee in considerazione della natura e dell’ubicazione del sito a ridosso della città di La Spezia. Le Associazioni ambientaliste e i Comitati di cittadini operanti sul territorio hanno finora svolto in modo egregio il loro compito di denuncia delle attività sul sito che hanno provocato malesseri e disagi nella popolazione esposta, senza eccessivi allarmismi ma con la giusta determinazione e con precise argomentazioni. Essi sono intervenuti presso le Istituzioni locali chiedendo chiarimenti, interventi di approfondimento dei fenomeni negativi, controlli ambientali. A fronte della concretezza operativa delle Associazioni non sempre si è dimostrata efficace la risposta delle autorità ed è mancata la volontà di coinvolgimento della popolazione nei processi decisionali, potremmo dire quasi mai in linea con lo spirito della direttiva comunitaria sulla valutazione di impatto ambientale per ampia parte disattesa dalla Regione Liguria e dalle Istituzioni locali, secondo le quali il sito più che una raffineria di vecchia concezione è stato considerato alla stessa stregua, mi si passi il termine, di una fabbrica di balsami e profumi e non come un’area fortemente contaminata da sostanze pericolose, in qualche caso cancerogene, e nella quale sono sicuramente presenti terreni fortemente contaminati e rifiuti pericolosi la cui gestione , come peraltro è già evidente, sta comportando forti rischi per la popolazione esposta già nelle fasi di scavo, movimentazione e trattamento di landfarming all’interno del sito. Fatti ed evidenze, questi, che avrebbero dovuto obbligatoriamente richiedere in via preventiva un intervento del Ministero dell’Ambiente per l’effettuazione di una verifica sulla necessità di procedere ad una V.I.A nazionale o regionale. Non risulta allo scrivente che in situazioni analoghe , in siti di ex raffinerie o in impianti petroliferi caratterizzati da contaminazioni paragonabili si sia elusa la VIA considerando i rifiuti che insistono sull’area e destinati allo smaltimento esterno come speciali non pericolosi. Si è stravolto lo spirito e l’essenza della norma comunitaria e nazionale che in più punti richiamano alla tutela della salute umana e alla salvaguardia ambientale nel corso di ogni singola operazione che sia associata, tra l’altro, al ciclo di gestione dei rifiuti pericolosi.

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Le emissioni odorigene E’ l’aspetto più rilevante del problema da quando sono iniziate le operazioni di bonifica sul sito. Le prime avvisaglie delle lamentele della popolazione esposta a causa delle emissioni odorigene si hanno sin dalla data di inizio dei lavori di scavo e di bonifica tramite landfarming nella primavera del 2004 , per raggiungere l’apice , dopo fermate e riprese delle operazioni, nel giugno del 2006 per proseguire ancora fino ad oggi (giugno 2007). A causa delle pressanti richieste delle Associazioni ambientaliste e dei Comitati di cittadini, il Comune di La Spezia dà incarico all’Istituto Superiore di Sanità e all’Arpal per la effettuazione di una indagine “ad hoc”(vedi avanti) su tali emissioni odorigene che si sprigionano e si liberano in atmosfera prevalentemente nel corso delle operazioni di escavazione di terreni contaminati, di trasferimenti di terreni contaminati in aree di attesa prima del trattamento, dai terreni che hanno subito landfarming, dal caricamento di terreni non trattabili all’interno del sito destinati allo smaltimento/recupero o trattamento esterno. Alcuni contaminanti esistono tal quali nel sottosuolo, altri sono il frutto della degradazione aerobica e anaerobica in atto nel sottosuolo, altri ancora sono parte della biodegradazione aerobica sulle aree on site del sito (operazioni di landfarming).

Il problema delle emissioni maleodoranti provenienti da alcune attività produttive, era considerato un tempo un aspetto secondario rispetto ad altri impatti ambientali. Oggi, alla luce anche di una maggiore conoscenza e della disponibilità di tecniche analitiche di rilevazione più sofisticate ed evolute, non viene più sottovalutato in quanto è sempre più spesso causa di malcontento e di lamentele da parte delle comunità circostanti le sorgenti di cattivo odore, come per l’appunto sta avvenendo all’intorno del sito ex IP, in particolare in via Fontevivo. Occorre rilevare che il fenomeno non è unicamente da ascriversi ad una richiesta sempre più crescente di miglioramento della qualità della vita e al fatto che la popolazione è maggiormente sensibile ai problemi che deteriorano l’ambiente, ma molto spesso deriva da reali peggioramenti della situazione creati da emissioni non controllate derivanti, in genere, da fonti vicine alle zone abitate (es. discariche di rifiuti, impianti di compostaggio, bonifiche di siti contaminati, etc) in cui si registrano le maggiori ricadute. Le molestie olfattive sono collegate alla percezione di odori sgradevoli dovuti alla presenza in atmosfera di sostanze chimiche a bassa soglia olfattiva che, pur se presenti in minime concentrazioni, provocano effetti indesiderati nei soggetti che ne vengono a contatto.

Le sostanze che sono all’origine della diffusione degli odori nelle aree circostanti ad un sito produttivo o un sito dismesso in fase di bonifica, possono essere costituite da prodotti gassosi di natura inorganica o da composti organici particolarmente volatili, come esemplificato nelle tabella che segue.

Tipi di attività Possibili sostanze maleodoranti emesse

Depuratori idrogeno solforato, ammoniaca, metilmercaptano, metano, ecc

Industrie alimentari alcoli, aldeidi, chetoni, acidi organici, esteri

Compostaggi di biomasse etanolo, limonene, cadaverina, putrescina, ammoniaca, idrogeno solforato, metilmercaptano, ecc

Raffinerie di petrolio idrogeno solforato, mercaptani, idrocarburi aromatici, paraffinici, olefinici, ecc

Attività di trattamento terreni contaminati on site/ offsite

idrogeno solforato, mercaptani, idrocarburi paraffinici, olefinici, aromatici, idrocarburi alogenati, ecc

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A seguire, si riporta un elenco di sostanze chimiche con l’indicazione della tipologia dell’odore ed in più alcune tabelle relative ai limiti di “soglia olfattiva” e “”indici di odore”, più estesamente descritte nell’allegato I. Si evince molto chiaramente come la gran parte dei composti mercaptanici ( mai determinati negli studi di caratterizzazione con il soil vapor test e nemmeno con l’indagine ISS/Arpal del dicembre 2006) siano quelli aventi la soglia olfattiva percettibile a concentrazioni bassissime, seguiti da alcuni solfuri alchilici ed olefine. In ordine hanno anche il più alto indice di odore come ben descritto nell’Allegato I di cui si è detto, tratto da Handbook of Environmental Data on Organic Chemicals (ed. Karel Verschueren).

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Il verificarsi di inconvenienti igienico-sanitari (come quelli lamentati nelle aree esterne del sito ex IP) derivanti da immissioni moleste che colpiscono popolazioni residenti in prossimità di insediamenti industriali, costituisce una problematica che presenta diversi aspetti di carattere scientifico che è opportuno trattare a beneficio di una migliore comprensione dei contenuti della presente relazione. In primo luogo c’è l’aspetto legato alla composizione chimica delle sostanze che sono responsabili di provocare molestia, nel senso che, a seguito del “contatto” con esse si possono verificare inconvenienti igienico-sanitari tra cui, a titolo di esempio, i seguenti che si possono presentare sia singolarmente, sia cumulativamente con prevalenza, o meno, di uno rispetto agli altri:

• irritazioni e/o lacrimazione agli occhi; • fastidi (mal di testa, nausea, vomito) collegati alla percezione di odori molesti; • conseguenze a carico dell’apparato respiratorio (bruciori alla gola, insorgenza di difficoltà

respiratorie, intossicazione). Irritazioni e/o lacrimazione agli occhi In linea generale si può affermare che le irritazioni e la lacrimazione agli occhi sono causate da esposizioni a sostanze quali, ad esempio: acido cloridrico, ipoclorito di sodio, cloro gassoso, ammoniaca, acroleina, fino ad arrivare alla famigerata sostanza denominata orto-clorobenzaldeide-

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malonitrile, contenuta in alcuni lacrimogeni. Si tratta quindi di sostanze che a temperatura ambiente sono allo stato liquido (e che devono passare in fase aeriforme per espletare l’azione irritante) o allo stato gassoso. Si comprende bene come ci si possa trovare di fronte a sostanze che causano lacrimazione quando sono presenti in minima concentrazione, o a sostanze che per causare irritazione devono essere presenti in quantità rilevante. Le caratteristiche che rendono una sostanza più o meno irritante sono quindi da mettere in relazione sia alla volatilità, sia alla specifica composizione chimica Fastidi collegati alla percezione di odori molesti L’odore è percepito dal nostro cervello in risposta alle sostanze chimiche presenti nell’aria che respiriamo, talvolta anche in piccolissima concentrazione. La percezione di un odore non deriva sempre da una ben determinata sostanza chimica e può essere la risultante di più composti che interagiscono tra di loro. L’aria è esente da odori quando non contiene sostanze odorigene. Poiché la risposta all’odore è sintetizzata nel nostro cervello, gli altri sensi (vista e tatto) e perfino l’educazione, possono influenzare la percezione dell’odore e la sua classificazione in accettabile o sgradevole. La percezione dell’odore è regolata da complesse relazioni e bisogna considerare le sue proprietà specifiche per valutarne gli effetti. In genere l’interazione fra miscele di composti odorosi provoca effetti sinergici e talvolta un odore può prevalere su altri fino a mascherarne la presenza. La concentrazione degli odori diminuisce a seguito di diluizione in aria, con modificazioni nella percezione e nell’intensità che dipendono da diversi fattori. Nel caso di miscele di più composti, l’intensità percepita può essere maggiore o minore rispetto ai singoli componenti, in funzione degli effetti sinergici. Può anche verificarsi il caso in cui un odore è stabilmente presente in aria e non viene più rilevato sensorialmente per fenomeni di assuefazione. Per converso, vi sono soggetti che possono “diventare ipersensibili” attraverso eventi di esposizione acuta o come risultante di ripetute esposizioni a diversi livelli di fastidio degli odori. Quando la molestia deriva dalla presenza di alte concentrazioni di sostanze chimiche, si possono anche verificare ulteriori conseguenze sulla salute, che si aggiungono alla molestia olfattiva. Tra i più diffusi vi sono: nausea, mal di testa, vomito, difficoltà respiratorie, stress, riduzione dell’appetito, che contribuiscono sensibilmente a ridurre la qualità della vita dei soggetti esposti. I soggetti interessati possono anche sviluppare effetti fisiologici collegati agli odori anche quando l’esposizione è molto più bassa rispetto a quella richiesta per provocare effetti sulla salute. Questo effetto, denominato comunemente “ansia da odore”, è dovuto al convincimento che se c’è un odore esso “deve” necessariamente provocare un danno. I fattori che giocano un ruolo determinante nella valutazione degli effetti della esposizione a immissioni moleste sono:

• frequenza all’esposizione • intensità dell’esposizione � intesa come “forza” dell’odore • durata dell’esposizione • carattere dell’esposizione � valutabile come gradevole, neutro o molesto • destinazione del territorio in prossimità della fonte dell’odore

La molestia da odori può derivare da esposizioni a bassa intensità per lunghi periodi o da esposizioni ad alta intensità, anche per breve durata. Si hanno così odori cronici e odori acuti, anche se sono frequenti le situazioni di molestia olfattiva in cui vi sono diverse combinazioni delle due tipologie.

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Conseguenze a carico dell’apparato respiratorio (bruciori alla gola, difficoltà respiratorie, intossicazione). L’insorgenza di tali tipologie di conseguenze è legata ad esposizioni a ben determinate sostanze chimiche allo stato gassoso (i cui effetti sono generalmente dipendenti dalla concentrazione e dalla durata di esposizione) tra cui, ad esempio, biossido di zolfo, ossidi di azoto, ossido di carbonio, idrogeno solforato, mercaptani, olefine, disolfuri alchilici, etc. La concentrazione gioca un ruolo determinante e le immissioni che occasionalmente si registrano negli ambienti di vita in prossimità di agglomerati industriali non vanno al di là dell’insorgenza di difficoltà respiratorie. Relativamente alla possibilità concreta che si possano verificare fenomeni di molestia a livello di popolazioni residenti in prossimità di stabilimenti industriali o siti in cui sono in atto bonifiche, si fa osservare che devono essere soddisfatte le seguenti condizioni: 1. all’interno degli stabilimenti industriali ci deve essere presenza di tali sostanze; 2. si devono verificare emissioni tali da consentire la fuoriuscita dall’area dello stabilimento; 3. le condizioni meteorologiche, tra cui il regime dei venti, deve essere tale da “indirizzare” la

massa aeriforme in direzione dei centri abitati interessati Emissioni di composti volatili dal sito ex IP I composti organici volatili (VOC) sono costituiti da numerose sostanze chimiche che sono presenti a diverso titolo all’interno di alcuni siti industriali, in particolare nelle raffinerie di petrolio e che vengono emesse in atmosfera in quantità significative. Molto opportunamente l’Istituto Superiore di Sanità ha ritenuto di emanare nel 2002 una circolare esplicativa sulla definizione di VOC che si riporta in Allegato II. Quando il sito IP era operativo, come avviene in tutti gli impianti della raffinazione del petrolio e in assetto normale di lavorazione le tipiche fonti di composti organici volatili erano costituite prevalentemente da: • emissioni puntiformi da camini in cui venivano convogliati i fumi di combustione e/o di

processo; • emissioni diffuse da:

o torce o torri di raffreddamento o stoccaggio e trasferimento prodotti petroliferi o trattamento acque di scarico

• emissioni fuggitive da sistemi di trasferimento e movimentazione dei gas e dei prodotti leggeri (valvole, pompe, compressori, guarnizioni, flange, valvole di sicurezza ed elementi di inizio e fine linea), da perdite della rete fognaria, da collettori di scarico delle acque oleose.

Le emissioni di composti maleodoranti, sempre con riferimento al normale assetto di lavorazione, erano riconducibili in genere a idrogeno solforato (H2S) ed a composti idrocarburici contenenti zolfo (mercaptani e derivati) oltre che a COS e CS2 .

Le fonti erano in tal caso gli impianti nei quali avvenivano i trattamenti di desolforazione e le linee di trasferimento e movimentazione, e le fuoriuscite potevano avvenire da valvole, pompe, compressori, guarnizioni, flange, valvole di sicurezza ed elementi di inizio e fine linea. Cessata l’attività di raffinazione, smantellate tutte le strutture fuori terra (serbatoi, centrale termica, impianti di distillazione, di reforming, di desolforazione , etc) le potenziali sorgenti di emissione di sostanze organiche volatili (VOC) e di sostanze maleodoranti, possono essere oggi riconducibili alla presenza di queste nel sottosuolo (linee e tubazioni non rimosse in cui può ancora esservi prodotto,

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fusti di rifiuti interrati, idrocarburi in galleggiamento sulla falda idrica, idrocarburi presenti in alcune sacche di terreno, terreni impregnati di prodotti petroliferi a seguito di spandimenti (spills), o di perdite dai serbatoi). A tali emissioni si possono aggiungere quelle prodotte dalla biodegradazione aerobica di idrocarburi nelle zone superficiali aerate del sottosuolo, dalla biodegradazione anaerobica di idrocarburi in zone a basso contenuto di ossigeno, e quelle provenienti da zone di terreno impregnato da idrocarburi alogenati e derivanti da spills di oli trasformatori (PCB), da piombotetraetile sciolto in bromuro di etile, da solventi alogenati utilizzati nei processi di raffinazione (es dicloroetano, carbonio tetracloruro). Tali prodotti volatili migrano lentamente in superficie in funzione delle caratteristiche di porosità e permeabilità del terreno o si liberano con maggiore intensità se il terreno viene scavato, rimosso, e trasferito in superficie per eventuali trattamenti o smaltimenti. Sulla riduzione delle emissioni di VOC, in normali condizioni di esercizio delle raffinerie, sono state già predisposte apposite linee guida per l’adozione delle migliori tecnologie disponibili nell’ambito dell’attuazione della normativa IPPC, mentre per le emissioni derivanti dai trattamenti di bonifica la normativa vigente (D.M. n.471/99, Dlgs n.152/2006), quella relativa alla gestione del ciclo dei rifiuti nonché quella relativa alla sicurezza nei cantieri, suggeriscono di tenere alto il livello di protezione della salute umana e di salvaguardia dell’ambiente. I fatti di quanto finora avvenuto sull’area ex IP mostrano inequivocabilmente che di tutto ciò si è tenuto poco conto a giudicare dai continui malesseri e fastidi avvertiti dalla popolazione esposta. Le regole IPPC nazionali che derivano dall’analogo documento predisposto in sede europea dall’apposita commissione, individuano nell’emissione di odori e rumori molesti uno dei problemi di carattere ambientale che richiede attenzione nell’adozione delle tecnologie di abbattimento.

L’indagine dell’Istituto Seriore di Sanità e dell’Arpal sulle emissioni odorigene Come è noto, a seguito di pressioni delle Associazioni ambientaliste locali e della popolazione residente nei dintorni dell’ex raffineria IP, il Comune della Spezia richiese nel settembre del 2006 un intervento dell’Istituto Superiore di Sanità affinché si valutasse la nocività delle emissioni maleodoranti che si sviluppano nel corso delle movimentazioni e del trattamento dei terreni contaminati provenienti dalle operazioni di scavo. Lo stesso Comune, per mezzo di un comunicato stampa del 18 novembre 2006, informava la popolazione che a partire dal 21 novembre l’ I.S.S e Arpal avrebbero effettuato uno “studio sulle emissioni odorigene provenienti dalle operazioni di scavo e bonifica nell’ex raffineria IP”. Nel comunicato si informava altresì che lo studio sarebbe stato effettuato nelle condizioni peggiori senza l’utilizzo degli accorgimenti fino ad allora utilizzati per contenere i fenomeni fastidiosi (gli odori, per l’appunto). Ci chiediamo che efficacia potesse avere tra gli “accorgimenti” l’utilizzo di un cannone ad acqua nebulizzata e il ricorso a miscele di enzimi deodorizzanti visto che le condizioni di disagio, fastidio, malessere, della popolazione si manifestavano con la stessa intensità ad ogni operazione di rimozione, scavo e trattamento dei suoli contaminati !! I dati dell’indagine ISS/Arpal condotta nelle aree di scavo e nell’aria ambiente interna ed esterna al sito venivano trasmessi in data 29 marzo 2003 alle Istituzioni, alle Associazioni Ambientaliste e ad altri soggetti locali e presentati nella sala Giunta del Comune alla popolazione in data 2 aprile 2006. Val la pena di riportare integralmente le conclusioni dell’indagine: “ Si valuta comunque la necessità di un approfondimento delle indagini esternamente all’area di bonifica, in siti da concordare onde verificare sia la presenza che la concentrazione in aria di alcune delle sostanze individuate e tossicologicamente più rappresentative, sia in assenza di operazioni di bonifica che durante la bonifica stessa. Si propone pertanto di monitorare costantemente l’attività di bonifica secondo le modalità seguenti: Arpal integrerà il monitoraggio storico di Arpal con nuovi punti presso siti dove si sono avute segnalazioni secondo la cartografia allegata. Arpal manterrà in tutte le stazioni storiche e nuove il campionamento per la ricerca delle

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sostanze già monitorate. ISS effettuerà un campionamento in doppio con Arpal in almeno 4 stazioni tra quelle della rete Arpal al fine di determinare oltre alle precedenti sostanze, anche gli alogeno derivati con particolare attenzione a quelli non rilevabili da Arpal e le sostanze contenenti zolfo probabili cause delle molestie olfattive. ISS effettuerà il campionamento di bioaerosol in una o più stazioni tra quelle della rete Arpal al fine di confermare l’assenza di carica microbica, muffe e lieviti e comunque di specie patogene per l’uomo.” Per quanto riguarda l’indagine di cui sopra occorre innanzitutto rilevare che, i dati analitici possono essere riferiti esclusivamente a quella ben definita situazione, come usualmente avviene nei casi in cui si effettuano indagini “programmate”. A giudizio dello scrivente, il punto cruciale della vicenda, è che non risulta l’esistenza di dati analitici relativi a prelievi effettuati in occasione di eventi acuti nei quali si è verificato persino il ricorso a strutture sanitarie da parte dei soggetti “colpiti” dalle esalazioni. I dati di cui occorre disporre sono quelli concreti, cioè quelli ottenuti in campo in concomitanza dell’evento acuto. Inoltre vi è da aggiungere che: a) Non appare del tutto confacente il riferimento delle concentrazioni riscontrate con standards fissati per i lunghi periodi (tipo benzene, D.M. 60); b) L’ISS, lascia un po’ in sospeso la questione odori ed approfondisce invece altri aspetti(es. analisi di bioaerosol) per i quali si dispone di dati correlabili con l’insorgenza di patologie gravi; c) la situazione da cui partire è invece quella legata alla influenza delle emissioni derivanti dall’attività di bonifica, sullo stato di salute delle popolazioni residenti nelle vicinanze; d) se una moltitudine di persone accusa malesseri, contemporaneamente, non si può certamente affermare che “tanto….. le medie giornaliere, o mensili, o annuali rispettano gli standards di legge”; e) si è comunque in presenza di una situazione in cui le conseguenze igienico-sanitarie sono riconducibili, evidentemente, ad un evento acuto; Sul piano squisitamente analitico, si possono sollevare i seguenti rilievi: 1) appare evidente che l’Arpal non è del tutto attrezzata ad effettuare alcune determinazioni analitiche; 2) il numero di campioni prelevati risulta estremamente esiguo(un solo campionamento chimico, quello del 5 dicembre 2006) se riferito ad una indagine così importante per cui ne deriva un quadro solo parzialmente rappresentativo delle reali condizioni emissive del sito; . 3) il tempo di campionamento ridotto (1 ora) può essere sì valido per un’indagine conoscitiva e qualitativa (come riportato nel punto 1 dello scopo indagine ISS), ma è da considerarsi inadeguato alla valutazione del potenziale di rischio per l’esposizione della popolazione (come riportato nel punto 2 dello scopo dell’indagine ISS); 4) il volume prelevato sulle fiale di Air Toxic ad un flusso di campionamento di 200 ml/min per 60 minuti (pari a 12 litri), appare eccessivo se riferito ai valori di “breackthroug volume” riportati nella tabella 3 del metodo EPA TO-17 1999 per tipo di fiala utilizzata;

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5) i mercaptani sono stati ritenuti presenti ad una concentrazione inferiore alla sensibilità della metodica adottata ,< 10 u/m3

il che si può semplicemente tradurre col dire che nessun mercaptano avente soglia olfattiva inferiore a 10 microgrammi per metro cubo è stato determinato. Le tabelle riportate precedentemente mostrano quanti composti maleodoranti mercaptanici sono presenti nei prodotti petroliferi e di conseguenza nel terreno da essi contaminato. Le metodologie riportate nel manuale APAT (Linee Guida 19/2003-Metodi di misura delle emissioni olfattive) non sono state prese in considerazione. 6) la componente idrocarburica alifatica risulta invece estremamente elevata, ma non è disponibile la speciazione. Ciò non permette di valutare se e quanti dei composti presenti possano contribuire alla formazione di odori molest; 7) la possibilità di identificare i singoli composti è data anche dal tipo di colonna gascromatografica utilizzata che, come tutti i parametri analitici, non è stata indicata; 8) relativamente alla componente odorigena, la valutazione dei risultati evidenzia la presenza di sostanze con indici odorigeni (01) molto variabili tra loro. Come si evince dall’estratto del “Handbook of Environmental Data on Organic Chemicals” (Vedi Allegato I), la componente odorigena è data dai composti con 01 più alto, quali tipicamente i mercaptani. Va però considerato il fatto che anche altre sostanze hanno un 01 elevato. Tra queste gli alcheni mono insaturi con in testa l’1-pentene ed il suo multiplo 1-decene. La possibilità di identificare i singoli composti è data anche dal tipo di colonna gascromatografica utilizzata che, come tutti i parametri analitici, non è stata indicata. Da un punto di vista delle attività di rilevamento, visto che nella relazione ISS/Arpal ne è stata proposta la prosecuzione, sarebbe interessante muoversi su due versanti: 1a) attività di monitoraggio continua su base giornaliera, mediante canister o mediante altri sistemi che si possono reperire nella pubblicazione APAT “ Linee Guida 19/2003 ”Metodi di misura delle emissioni olfattive”. 2 a) attività di monitoraggio aggiuntive e potenziate in concomitanza di eventi acuti. In entrambi i casi il monitoraggio deve essere corredato dai seguenti dati:

• parametri meteo (umidità, velocità e direzione del vento, temperatura, ecc.), da rilevare possibilmente sia a batteria di stabilimento che nella zona abitata interessata. Tali parametri infatti influenzano la rappresentatività del campione prelevato.

• registrazione, almeno su base oraria, delle attività di bonifica, con indicazione degli

interventi effettuati (registro di cantiere che normalmente viene utilizzato per lavori di così grande rilevanza ambientale)

Inoltre, considerando che l’indagine ha avuto un carattere preliminare, è da rilevare che essa va integrata con una numerosa serie di campionamenti con laboratorio mobile o con un numero più alto di centraline fisse di quanto non sia oggi, la cui distribuzione e frequenza sarà da stabilire sulla base della geometria del sito e del potenziale inquinamento.

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Composti organici alogenati nel sottosuolo Occorre considerare , a questo punto, che quanto sospettavamo sulla incompletezza delle informazioni sul sito, è stato confermato dall’indagine, pur breve, condotta nel 2006 dall’Istituto Superiore di Sanità con il supporto dell’Arpal. Tale indagine, tra le sostanze organiche volatili, ha anche evidenziato la presenza di composti organici alogenati, alcuni dei quali cancerogeni. Colpevolmente, quindi, la presenza di solventi clorurati nel sottosuolo non è stata mai presa in considerazione, nel corso delle caratterizzazioni analitiche del sito che si sono succedute nel corso degli anni a partire dal 2000 e fino alla redazione (anno 2004) del progetto di variante al progetto di bonifica elaborato nel 2004 da Foster Wheeler Italiana per conto ENI ed approvato in data 20 aprile 2005 on determinazione dirigenziale n.17. Eppure, è bastato un solo campionamento, quello del 5 dicembre del 2006, perché l’ISS si esprimesse come segue: “esaminando campioni di terreno e di aria presso uno scavo di circa 3 metri effettuato appositamente nel subdistretto 3”, …dalle determinazioni analitiche eseguite su campioni prelevati con i “canister” si conferma la presenza preponderante di idrocarburi alifatici e aromatici ed una quantità non trascurabile di idrocarburi alogenati. Tra le sostanze individuate risulta la presenza di un certo numero di sostanze cancerogene di prima categoria (cloruro di vinile, benzene), di seconda categoria (1,2 dicloroetano, tricloruro di etilene, 1,2-dibromoetano) e di terza categoria (clorometano, cloro etano, 1-dicloro etilene, diclorometano, cloroformio, tetraclorometano, 1,1,2-tricloroetano, tetracloroetilene, 1-4-diclorobenzene) . E’ da considerare che la presenza di solventi alogenati nel suolo e nella falda idrica può caratterizzarsi in maniera differente a seconda della densità del componente. In generale i composti organici sono definiti NAPL ossia “non aqueous phase liquids” e risultano spesso poco miscibili in acqua. Se la loro densità è minore di quella dell’acqua vengono detti LNAPL ossia “Light non Aqueous Phase Liquid”. Se è superiore sono detti DNAPL ossia “Dense Non Aqueous Phase Liquid”. Anche tra i cloroalcani e i cloroalcheni (olefinici) vi possono essere composti LNAPL e DNAPL. Per ciò che riguarda più da vicino il sito ex IP, nessun modello concettuale è stato proposto in riferimento alla presenza degli idrocarburi clorurati sulla superficie di falda (LNAPL) o sul fondo dell’acquifero (DNAPL). Ne risulta che le soluzioni proposte per la bonifica del sito anche nella variante al progetto sono da considerarsi incomplete perché nulla dicono sulla quantità prevedibile della contaminazione per tali contaminanti né sulla loro estrazione dal sottosuolo. Si può ipotizzare, sulla base dell’esperienza e della letteratura specializzata, in mancanza di documentazione specifica sul sito, che nel corso dell’attività di raffinazione ( in considerazione dell’assetto impiantistico descritto da pag. 14 a pag 16 della variante al progetto definitivo di bonifica ai sensi del DM 471/99 redatto da Foster Wheeler Italiana nel maggio 2004- Contratto FWIENV n.1-BH-0207°- e approvato dalle autorità competenti nel 2005 come sopra detto) , si utilizzassero i seguenti prodotti alogenati: : 1) Bromuro di etile in miscela con il piombo tetraetile e tetrametile (miscela antidetonante). E’ assai verosimile che i fondami dei serbatoi di benzina contenenti piombo tetraetile in miscela con bromuro di etile venissero interrati. La stessa fine (salvo dimostrazioni contrarie documentate da parte dell’originario proprietario dell’area (IP) possono aver fatto i fusti di piombo tetraetile una volta dismessa l’attività di raffinazione e comunque , in caso di cessione a terzi, vi dovrebbe essere documentazione ufficiale attestante le modalità di decommissioning e dismantling del sito; 2) Composti idrocarburici clorurati utilizzati come chemicals d’impianto, in particolare carbonio tetracloruro, dicloropropano;

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3) Policlorobifenili e policlorotrifenili in miscela tra loro (oli contenuti nei trasformatori della centrale elettrica). L’attività di raffineria è proseguita fino al 1984, anno in cui si decise la fermata degli impianti. Nel 1986 iniziarono le operazioni di smantellamento e demolizione delle strutture fuori terra (edifici ed impianti) che sin conclusero nel 1991. Nulla ci è dato sapere sul numero di trasformatori presenti nella raffineria al momento dello smantellamento ma è certo che l’allora proprietario del sito (la società Italiana Petroli) avrebbe dovuto comunque denunciare la cessazione d’uso delle apparecchiature contenenti PCB ai sensi del DPR N.216 del 24/5/1988 di recepimento della Direttiva CE N. 85/467. L'Art. 5 del DPR 216/88 istituiva infatti presso ciascuna Regione o Provincia Autonoma il registro dei dati relativi alla detenzione di apparecchi, impianti e fluidi ammessi all'esercizio, disponendo che queste Amministrazioni attuassero il censimento, aggiornassero il Registro e trasmettessero i dati ai Ministeri dell'Ambiente e della Sanità. Il comma 5 dell'Art. 5 stabiliva poi che: “ La cessazione d'uso, nonché le previste modalità di smaltimento delle sostanze, dei preparati e dei prodotti di cui all'Allegato, è denunciata dagli interessati nel termine di 30 giorni dall'avvenuta cessazione” . Il DPR 216/88 rimandava poi al Ministero dell'Ambiente ed a quello della Sanità l'obbligo di deter-minare le modalità per l'attuazione del censimento dei dati e l'etichettatura degli apparecchi e im-pianti contenenti PCB-PCT in concentrazione superiore a 100 ppm (DM Ambiente dell'11/2/89 e DM della Sanità del 17/1/92). Infine, l'Art. 7 del citato DPR 216/88 indicava nelle Regioni e nelle A.S.L. locali le Autorità preposte a vigilare sull'osservanza di quanto stabilito dal Decreto. Veniva, inoltre, stabilito che le Regioni “ … provvedono anche mediante ispezioni al controllo delle condizioni di sicurezza adottate nella detenzione … “ di tali fluidi e apparati “ … ai fini della tutela della salute pubblica e dell'ambiente ”. Quindi sia la ASL locale e le autorità di controllo, sia la Regione Liguria “dovrebbero “essere a conoscenza della situazione trasformatori nel sito al momento della dismissione e smantellamento. La Regione, peraltro, ne avrebbe dovuto tener conto nel redigere l’anagrafe regionale dei siti contaminati. La Conferenza dei Servizi avrebbe dovuto chiedere infine idonea documentazione al proprietario dell’impianto. Le tecnologie di bonifica previste nella variante al Progetto F. Wheeler del 2004 Secondo quanto previsto dalla variante al progetto di bonifica redatto nel 2004 da Foster Wheeler ed approvato nel 2005, le tecnologie che saranno utilizzate per i prossimi anni sul sito saranno: a) il landfarming b) il lavaggio del suolo (Soil washing) seguito da estrazione con solvente (Processo Enisolvex) c) il desorbimento termico (Thermal desorption ) E’ doveroso ora fare alcune riflessioni:

1. Tutti gli impianti che trattano il terreno contaminato, non sono da considerarsi “provvisori” dati i tempi della bonifica e le quantità di terreni da trattare risultati in continuo aumento. Essi necessitano quindi di esplicita autorizzazione regionale al trattamento e alle emissioni . Ciò è da considerarsi come una grave carenza e come un problema sottovalutato dalla Conferenza dei Servizi;

2. Occorre rilevare che in tale “variante” e nei precedenti progetti del 2000 e del 2002, non si

riscontrano notizie sulla effettuazione del “Soil vapor test” e sulla quantizzazione dei gas interstiziali nel corso degli studi di caratterizzazione del sito propedeutici al progetto di bonifica;

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3. E’ noto che dai “dati di campo” si sarebbero desunte informazioni importanti per decidere

anche su alternativi “trattamenti in situ” di minore impatto ambientale in considerazione della vicinanza delle abitazioni e della popolazione esposta alle emissioni;

4. Il parere espresso dall’Istituto Superiore di Sanità, già nel 2001, ipotizzava il ricorso al

“bioventing in situ” in sostituzione del landfarming on site, in considerazione della struttura porosa del suolo, la cui conducibilità idraulica, come recita la variante al progetto Foster Wheeler, è dell’ordine di 10-4- 10-5 cm/sec (vedi Allegato III). Ciò facilita la migrazione dei composti volatili nel suolo con il vantaggio anche di permettere la decontaminazione della falda o meglio “ dell’acquitardo circolante nello strato di interesse interessato dalla contaminazione ( dai 3 agli 8 metri)”;

5. Si ha ragione di ritenere, d’accordo con l’Istituto Superiore di Sanità che con l’applicazione

di trattamenti biologici “in situ” nell’area ex IP, si sarebbe evitata la fuoriuscita di vapori organici e di emissioni maleodoranti dal sottosuolo in quanto queste sarebbero state intercettate ed intrappolate prima di raggiungere l’atmosfera.

6. Con la scelta adottata dei trattamenti on site e off site (smaltimenti/trattamenti esterni al sito) la proprietà dell’area andrà incontro a maggiori costi (strutture di cantiere, movimentazioni all’interno del sito e fuori dal sito) a maggiori impatti negativi sull’ambiente (emissioni odorigene, emissioni sonore ), a maggiori vulnerabilità (problemi di igiene pubblica, rischi sanitari per gli operatori, etc);

7. E’ fortemente opinabile la scelta di non ricorrere ad un confronto dei costi associati

all’applicazione delle possibili alternative tecnologiche per la bonifica (trattamenti in situ, on site, off site);

8. Vi è un rischio concreto che i costi siano destinati a lievitare vieppiù in considerazione delle

“incertezze” della caratterizzazione del sito finora hanno avuto come conseguenza l’aumento dei volumi di terreno da trattare ad ogni nuovo intervento di approfondimento della “ qualità” del sito stesso;

9. Le scelte adottate denotano, a giudizio dello scrivente, una evidente elusione di tutte le

raccomandazioni che pervengono sia dalla UE , sia dallo stesso Ministero dell’Ambiente che, di recente (maggio, giugno 2007) nel corso di audizioni per la modifica del Dlgs n.152/06 con le Associazioni ambientaliste, con gli operatori di Confindustria, con le forze sindacali sindacali, ha ribadito la volontà che vengano incentivati i trattamenti in situ;

10. Nella variante al progetto di bonifica al paragrafo 6.3 (da pag.68 a pag.75) si illustrano i

Test di trattabilità dei suoli contaminati dell’area ex IP consistenti nella effettuazione di prove di laboratorio, prove di campo e prove industriali di trattamento (tranne che per il desorbimento termico per il quale il test industriale è solo previsto) effettuati nel novembre del 2001 (prove di vagliatura, test di laboratorio di immobilizzazione dei metalli e di biotrattabilità) e nei mesi di marzo e aprile 2004 (test soil washing ed estrazione con solvente). Si afferma che i risultati della sperimentazione su scala industriale confermano i dati della sperimentazione pilota di soil washing (escluso il processo EniSolvex) effettuata da Enitecnologie e riportati in Allegato 3 alla variante del progetto di bonifica;

11. Sarebbe stato, quanto meno opportuno, data l’entità della bonifica e dei costi in gioco, che la

Conferenza dei Servizi, e la stessa Regione (stranamente mai presente alle Conferenze!!!) chiedessero ad ENI documentazione tecnica ed analitica in merito ai test di cui al punto

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precedente. Poco si desume infatti dall’Allegato 3 dei documenti progettuali disponibili in merito alle dinamiche di processo durante i tests, alle concentrazioni di equilibrio, ai coefficienti di ripartizione tra liquido estraente e solido, ai rendimenti. E’ altresì una grave lacuna che non vi siano caratterizzazioni analitiche complete sui materiali sottoposti a test. Intendiamo dire che non vi sono dati sui composti alogenati, sul selenio, sui PCB, sul piombo-organico (piombotetraetile), sui mercaptani, etc;.

12. L’indagine dell’Istituto Superiore di Sanità (dicembre 2006) ha evidenziato la presenza nel

suolo e sottosuolo di composti organici alogenati, alcuni dei quali cancerogeni. Il che significa che occorre non solo intensificare con una indagine più estesa e di più ampio respiro la caratterizzazione del sito ma anche di “rivisitare” non solo le tecnologie di trattamento proposte ma anche l’analisi di rischio;

13. Pur non essendo d’accordo sul landfarming on site, data la tipologia del sito che

consiglierebbe il bioventing, occorre tenere presente che il capannone attualmente utilizzato per creare un’area di trattamento anche per il soil washing, non risulta adeguato alla esigenza di ridurre le emissioni odorigene. In situazioni analoghe, secondo l’esperienza di chi scrive e secondo la letteratura consolidata, si ricorre a trattamenti in tenda su porzioni di suolo che vengono scavate e trattate sotto la stessa. Tale tenda (o capannone ermetico) è ovviamente sotto depressione con assorbimento degli odori su carboni attivi e viene spostata sul cantiere alla fine del trattamento del singolo lotto. Un’esperienza danese (Copenaghen) è riportata sul documento della XIII Commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti (v. bibliografia) e si riferisce ad una visita effettuata, nel 1995, da una delegazione italiana del Ministero dell’Ambiente, presente anche lo scrivente, su un sito sul quale per tanti anni si era trattato il coke per produrre gas di città. Come si può notare dalla foto di cui sotto, il soil washing avveniva sotto un capannone e le emissioni odorigine (piridine, fenoli, solfuri, e idrocarburi etc) venivano captati dai filtri posti sul capannone perfettamente ermetico e sigillato. Gli operatori, come da norma di sicurezza in tali casi, operavano muniti di maschera a carboni attivi ed in particolari situazioni anche utilizzando l’autorespiratore. All’esterno dell’area sottoposta a scavo non si notava alcuna emissione odorigena. Le acque di lavaggio, peraltro, venivano inviate ad un termodistruttore cittadino:

L’impianto di soil washing di Copenaghen

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14. Sulla base dei dati raccolti dall’ISS circa la presenza di composti alogenati nel suolo e sottosuolo, andrebbe del tutto escluso, a giudizio dello scrivente, il ricorso alla Thermal desorption. In tale processo, infatti, data la natura della contaminazione (composti organici alogenati, idrocarburi aromatici etc) e le temperature di processo in gioco è molto alto il rischio di formazione di diossine e molto scarsa la possibilità di abbattimento delle stesse una volta formatesi;

Il problema “Diossine”

Il termine " diossine" indica una classe numerosa di microinquinanti, appartenenti alla classe delle policlodibenzodiossine,indicati come PCDDs, e di composti indicati come policlorodibenzofurani, PCDFs o CDFs. Sono composti organici aromatici alogenati ed hanno proprietà chimico-fisiche simili e variabili con il numero e la posizione degli atomi di alogeni sostituenti.Formazione di diossine si ha nell’incenerimento dei rifiuti, nei forni ad arco elettrico per la produzione di acciaio, nelle combustioni di legno e comunque in tutte le combustioni non controllate o trattamenti termici in cui vi sia presenza contemporanea di matrici organiche aromatiche e matrici organiche clorurate anche se non si è mai del tutto esclusa in letteratura la matrice inorganica (alogenuri alcalini). Le diossine sono tossiche per l'organismo umano. Sono poco volatili per via del loro elevato peso molecolare e sono solubili nei grassi, dove tendono ad accumularsi. Proprio questo è il principale problema: l'organismo umano non le smaltisce. Pertanto anche una esposizione a livelli minimi ( per esempio di particolato da esse contaminato e presente nell’aria) prolungata nel tempo può recare gravi danni alla salute sia umana che animale. Le diossine si formano nell’intervallo di temperatura 180°-400°C.

Nell’area IP è prevista l’utilizzazione della Thermal desorption che dovrà trattare i terreni contaminati. Data la presenza in questi di composti organici alogenati e di composti organici idrocarburici aromatici e le temperature in gioco (tra 150-350 °C) c’è un rischio notevole che si formino diossine e permangano nelle emissioni dato che alle temperature in uscita dal post-combustore in atmosfera (intorno a 800°C) la molecola della diossina è ancora molto stabile e non viene abbattuta.Occorre che l’organo di controllo e la Conferenza di Servizi rimettano in discussione tale tecnologia e considerino la non applicabilità dell’impianto al sito in esame.

Il problema del piombo tetraetile Il piombo-tetraetile e tetrametile era utilizzato nella raffineria come additivo antidetonante delle benzine. Le dosi massime, fino a quando si è utilizzato, erano dell'ordine di 0,5 g per litro di benzina, che corrispondevano ad un aumento del numero di ottano di 10-15 unità. Data la “debolezza” del legame piombo-carbonio, alle temperature che si raggiungono nei motori a combustione interna, il composto si decomponeva in piombo e radicali etilici. In queste condizioni il piombo forma ossidi solidi, che tendevano a incrostare le parti meccaniche. Per evitare questo inconveniente , il piombo-tetraetile si utilizzava in miscela con il bromuro di etile, con il quale forma composti volatili quali il bromuro di piombo e il cloruro di piombo.

Da qualche tempo, come è noto, ne è stata vietata l’utilizzazione nelle raffinerie essendo tossico. Non si hanno notizie sui quantitativi residui nella raffineria IP al momento della dismissione del sito e su come tali residui sono stati smaltiti e se sono stati smaltiti. La pratica comune delle raffinerie prima della introduzione della normativa sui rifiuti ( D.P.R. n.915/82) era quella di interrare le morchie dei serbatoti contenenti piombo-tetraetile in aree di raffineria prossime al recinto e comunque in zone non operative. Nei casi migliori tali morchie venivano trattate con permanganato di potassio per renderle meno offensive con il processo ossidativo. Non sono state mai individuate o dichiarate nell’area della ex raffineria IP i siti specifici di interramento. Potrebbero quindi aversi

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delle sorprese a seguito della presenza di fusti interrati con il prodotto tal quale o con morchie. Per come sopra detto, la contaminazione del suolo da piombo tetraetile potrebbe essere accompagnata anche da quella di composti organici alogenati. Purtroppo gli studi di caratterizzazione del sito non hanno mai fornito informazioni ed analisi in merito, nonostante vi siano raccomandazioni ben precise da parte di APAT/ISS (Vedi Allegato IV). Il piombo-tetraetile è un liquido viscoso, incolore, che se assorbito attraverso la pelle, provoca avvelenamento da piombo.

Problemi di igiene pubblica Abbiamo trattato ampiamente il problema delle emissioni odorigene e di ciò che stanno provocando nella popolazione esposta. Ma la causa dei malesseri, a nostro giudizio, meriterebbe un approfondimento sanitario serio, dal momento che non si possono escludere al momento, effetti sinergici sulla salute umana tra diversi contaminanti (VOC costituiti da mercaptani, solfuri alchilici, composti organici alogenati, piombo alchili, e metalli presenti nelle polveri inalabili). I ricoveri al pronto soccorso dell’Ospedale di La Spezia, le lamentele di massa della popolazione, i casi di bruciore agli occhi, il senso di vomito, e di nausea di cui esiste documentazione disponibile presso la polizia municipale, inducono a pensare che il problema non debba essere assolutamente sottovalutato. Le notizie stampa sono continue sull’argomento. A titolo di esempio vogliamo citare l’ultimo caso di lamentele in ordine di tempo (dal Secolo XIX del 16 giugno 07, pag.26: Miasmi dalla ex IP: monta la protesta- Aria irrespirabile- Afa e umidità acuiscono i disagi. I dipendenti della Confcommercio (uffici e magazzini di Via Fontevivo), costretti a blindare gli uffici.) Eppure si deve osservare che, nonostante le lamentele espresse dalle Associazioni e dai Comitati cittadini, poco ancora si è fatto per la soluzione del problema. Non sono nemmeno valsi i telegrammi inviati in data 9 maggio 2007 al Ministero dell’Ambiente e al Ministero della Salute dal Comitato La Salamandra per sollecitare interventi urgenti a seguito dei gravi “disagi ambientali sanitari causati dall’attività di bonifica eseguita senza precauzioni” La Gestione del ciclo dei rifiuti

Lo smaltimento di rifiuti originati da interventi di bonifica in siti contaminati scaturisce da situazioni per le quali gli eventuali trattamenti on site, così come previsti, non sono ritenuti idonei per la rimozione degli inquinanti presenti, cosicché non è possibile il successivo riutilizzo del materiale “ripulito”. Nella variante al progetto di bonifica del 2005 (approvato nel 2005) esiste, tra i vari allegati, la “ Procedura di gestione dei terreni scavati e dei materiali da costruzione”.

La procedura adottata è in linea anche con le raccomandazioni date dall’Arpal in un documento che si riferisce alla Conferenza di servizi del 15 febbraio 2005. Non vi sono sostanziali obiezioni sulla formazione di cumuli omogenei, sulle modalità di prelievo , sulle analisi speditive di campo e sulle schedature dei numerosi cumuli . Ogni cumulo sia di inerti, sia di terreni contaminati da sottoporre a trattamento interno, sia da smaltire /trattare all’esterno, sia pulito da reimpiegare, è caratterizzato da una scheda la cui gestione informatizzata dovrebbe consentire in ogni momento, la ricognizione dei materiali da scavo destinati a reimpiego, trattamento on site, smaltimento esterno e dovrebbe fare riferimento a specifiche analisi di caratterizzazione di laboratorio.

In linea teorica parrebbe quindi che la gestione dei materiali all’interno del sito di bonifica destinati allo smaltimento o trattamento o recupero all’esterno del sito sia ben condotta.

Tuttavia, riteniamo di fare alcune osservazioni:

a) per un’ operazione di bonifica di così grande entità, ci saremmo aspettati di trovare nella variante al progetto di bonifica informazioni specifiche sulla gestione del rifiuto che viene esitato dal sito

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per essere avviato allo smaltimento o al trattamento esterno o al recupero. Il rifiuto che si produce sul sito, sia esso tal quale perché non trattabile, sia esso derivato da un precedente trattamento, è strettamente parte integrante delle operazioni di bonifica e il gestore della stessa deve comunque fornire informazioni sul “destino” esterno dei materiali in maniera puntuale e rigorosa;

b) Negli allegati alla Variante del Progetto 2004, per quanto detto al punto a) non vi è alcun riferimento tecnico in merito a:

- contratti di smaltimento tra il gestore della bonifica responsabile della produzione del rifiuto e l’azienda che cura lo smaltimento in cui vi siano ruoli e responsabilità del trasportatore, dell’eventuale gestore dello stoccaggio provvisorio per il trattamento al fine di recupero o altri tipi di trattamento, del gestore della discarica finale;

- riferimenti a qualifiche tecniche delle ditte che curano lo smaltimento, effettuate da tecnici della società che cura la bonifica. Sarebbe auspicabile che il gestore della bonifica, nel qualificare le ditte che curano lo smaltimento approfondisse anche gli aspetti riguardanti gli assetti societari delle stesse;

- riferimenti alla classificazione del rifiuto(speciale inerte, speciale non inerte contaminato, speciale pericoloso, secondo quali parametri del Dlgs 22/97 e del Dlgs n.152/2006). Ci saremmo aspettati infatti che già preliminarmente, in fase di test pilota, test di laboratorio, venisse fuori che, alcune tipologie di terreni non trattabili fossero definite “rifiuti pericolosi” identificati da codici CER riferibili a sostanze ben precise o cancerogene, o irritanti, o ecotossiche etc;

- E’ certo comunque che stando alla Procedura di gestione dei cumuli, oggi, ad un qualsiasi controllo ispettivo dovrebbero risultare disponibili i certificati analitici che, presumiamo siano stati prodotti da laboratori qualificati che risultino accreditati per la effettuazione dei parametri più rilevanti del D.M.n. 471/99 secondo la procedura ISO 17025/2005 e che abbiano curato anche i prelievi o abbiano delegato il prelievo a tecnici esperti della società che cura la bonifica;

- Il conferimento in discarica è oggi sottoposto a severi controlli e generalmente, quando si tratta di grandi volumi di rifiuti da conferire (è il caso dell’area ex IP), il gestore della discarica perfeziona un accordo con il conferitore del rifiuto (sia esso il trasportatore , sia il produttore del rifiuto stesso) secondo il quale viene garantito l’accesso alla discarica secondo ben determinate procedure. Il gestore della discarica, normalmente fa scaricare il rifiuto in apposite piazzole, ne controlla la composizione chimica e la classificazione e dopo ne rende disponibile l’abbancamento in discarica. Il gestore della bonifica dovrebbe essere in possesso di tali lettere d’accesso o dovrebbe averle il trasportatore. Questo modo di procedere nelle operazioni di smaltimento serve , ovviamente, a disincentivare i traffici illeciti ed illegali dei rifiuti.

- Non abbiamo riscontrato nei documenti ufficiali disponibili alcun certificato di controllo sui rifiuti esitati dal sito emesso dall’Arpal.

- Vogliamo augurarci che nel sito di bonifica esista un registro di carico e scarico dei rifiuti ed un brogliaccio in cui vengano annotate tutte le operazioni che avvengono giornalmente nel sito stesso;

Vi sono informazioni in merito ad operazioni di cantiere secondo le quali il terreno contaminato non trattabile all’interno dell’area da bonificare e quindi da considerarsi come “rifiuto speciale” verrebbe diluito con rifiuti inerti triturati derivanti dalle demolizioni di manufatti in cemento presenti ancora nell’area dell’ex raffineria. Non essendo note le analisi di caratterizzazione di tale rifiuto (che presumibilmente è speciale pericoloso) potrebbe ipotizzarsi una violazione della normativa vigente in materia di gestione dei rifiuti. La diluizione di un rifiuto pericoloso solido

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palabile con inerte non può che avere come scopo quello di declassare il rifiuto speciale pericoloso al fine di renderlo speciale non pericoloso e poterlo smaltire a livello locale a costi più bassi. Altre informazioni ipotizzano che le operazioni di smaltimento in discarica non siano trasparenti. Infatti i mezzi che lasciano il sito con i rifiuti , dopo circa tre quarti d’ora dall’uscita rientrano. Considerando che il territorio spezzino e le zone di confine della vicina Toscana, non godono di buona fama per ciò che riguarda la qualità e la gestione delle discariche, non vorremmo pensare che si tratti di traffici illeciti. Se così fosse la magistratura locale avrebbe un gran da fare. Un’ultima notazione riguarda la procedura di smaltimento delle acque oleose.Lo smaltimento finora effettuato è genericamente descritto in un documento di una società del Gruppo Finambiente, pare società “Bonifiche” in cui non si legge nemmeno la data ma che si riferisce allo smaltimento di 10 tonnellate di reflui inquinati da idrocarburi.Sulle modalità di smaltimento di reflui liquidi, come risulta da contatti con l’Associazione “La Salamandra”, sarà necessario acquisire informazioni più specifiche. In riferimento, invece, alle acque presenti nel sottosuolo o sul sito (vasche di raccolta da canalette etc), sul sistema di depurazione proposto dissentiamo in termini di tipologia impiantistica che non prevede come stadio finale un sistema biologico, non necessariamente a fanghi attivi.Nella variante del Progetto di bonifica, inoltre, il problema delle acque di falda è stato sottovalutato adducendo, quasi come scusa, che “tanto le acque non saranno mai destinate ad uso potabile”. E’ un problema su cui l’Associazione Salamandra interverrà, non appena il Comitato inoltrerà alle Istituzioni locali specifica richiesta di documentazione su suggerimento dello scrivente. Il controllo ambientale Il controllo degli organi locali ad esso preposti Le autorità di controllo, a fronte delle lamentele espresse dalla popolazione, si sono sempre trincerate dietro la frase “le centraline di controllo sono sempre operative e misurano le polveri (PM 10), gli idrocarburi policiclici (IPA), benzene”. Ci chiediamo se non sia il caso di ammettere che le determinazioni analitiche oltre che di scarsa frequenza sono incomplete. Perché non si hanno dati sui singoli mercaptani , sui singoli composti clorurati e su altri contaminanti mai analizzati sul sito? E soprattutto perché non si rendono disponibili i gas-cromatogrammi di speciazione dei singoli componenti alifatici e aromatici? Perché non vengono registrati i dati meteorologici 24 ore su 24 in modo da poterli associare alle misure e soprattutto capire quali siano le direzioni preferenziali dei venti che investono la popolazione durante gli episodi acuti? E perché si è più volte dichiarata da parte delle autorità di controllo una defaillance delle centraline ( Il cosiddetto “fuori servizio”) in corrispondenza di eventi di emergenza e di episodi acuti di contaminazione? Certo è che vi sono evidenti carenze di dati sulle “punte di emergenza” e sugli episodi acuti. E’ solo un caso? Sarebbe interessante capire con quale modello emissivo per inquinati diffusi sono state posizionate le postazioni di controllo degli inquinanti. Dai rapporti di controllo della Polizia municipale e di Arpal che abbiamo potuto consultare, si rileva che quelli riferibili alla Polizia municipale si limitano a confermare o meno il senso di fastidio o disagio dei cittadini per la presenza delle emissioni odorigene ma non riportano alcuna misura o analisi effettuate in campo. I controlli Arpal, trasmessi periodicamente al Comune della Spezia, alla ASL , alla Provincia e alle aziende che operano sul sito, riferiscono sulle attività di monitoraggio presso i “punti sensibili” attigui all’area ex Raffineria IP” della Spezia e riportano come sopra detto PM 10, IPA, benzene e dati di monitoraggio dell’intensità degli odori su 9 postazioni. A titolo di esempio riportiamo le conclusioni del rapporto Arpal del 6 giugno 2006:

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“ A tal proposito occorre premettere che la rilevazione dell’intensità odori, diversamente dalla rilevazione di altri parametri chimico fisici risulta più complessa, sia perché la scala di riferimento non è di tipo cardinale (come si ha, ad esempio, per la misura della temperatura), sia perché contrariamente ad altre scale di tipo ordinale (es. la scala delle durezze) non esiste un criterio oggettivo per l’assegnazione del grado. Per verificare eventuali criticità dal punto di vista igienico-sanitario, a seguito della segnalazione di molestie olfattive, la rilevazione degli odori viene integrata con la rilevazione delle sostanze volatili attraverso un’analisi GC.MS al fine di definire l’impronta digitale dell’odore percepito.” Piuttosto che disquisire sull’intensità degli odori, ci aspetteremmo che il “fingerprinting” (impronta digitale) di cui ci informa l’Arpal venisse mostrato e commentato per conoscere quali componenti della miscela di gas che la gente esposta respira siano responsabili dei fastidi e dei disagi accusati!! Sarebbe altresì interessante riscontrare nei “fingerprinting”, i componenti mercaptanici e i composti clorurati. Il controllo del gestore del sito Spetta al gestore del sito o comunque a chi coordina le operazioni sul sito, assicurare che i controlli ambientali vengano effettuati, non solo per un problema di sicurezza in generale (es. situazioni che possono comportare incendi, eventuali incidenti, impatto delle emissioni verso l’esterno e interventi di mitigazione ,etc) ma anche per la tutela della salute dei lavoratori esposti. Nella variante al progetto F.Wheeler è descritta la procedura di controllo ambientale all’interno del sito nelle aree oggetto della bonifica e nei dintorni delle aree di scavo. In tale procedura si fa riferimento a: 1. n.7 campionatori passivi (radielli) ubicati in postazione fissa sulla base della “direzione del

vento dominante sull’area (da Nord-Ovest); 2. n.7 campionatori sequenziali con risoluzione giornaliera muniti di filtri per la determinazione

delle polveri totali e degli Idrocarburi Policiclici Aromatici eventualmente adsorbiti sulle polveri;

3. n.1 punto di campionamento munito di corpo diffusivo e di una cartuccia assorbente per la

determinazione analitica presso laboratori esterni delle Sostanze organiche Volatili e del Benzene. Le cartucce vengono ritirate per le analisi al termine di ciascuna settimana;

4. n.1 strumento analizzatore portatile per misure in tempo reale (nelle aree di scavo e in quelle

adiacenti) di esplosività, benzene, sostanze organiche volatili delle miscele gassose, da effettuarsi a cura di un operatore specializzato al mattino e al pomeriggio nei punti di scavo più rilevanti;

Sui punti di cui sopra, si osserva quanto segue: Relativamente al punto 1) si nota che si adotta il criterio di campionamento ed analisi per la valutazione preliminare della qualità dell’aria (art. 5 D. lgs. 351/99), basato sull’uso di campionatori passivi a diffusione posizionati in diverse postazioni dell’area. Il ricorso ai campionatori passivi è di fatto previsto nel DM 261/02 (All. 1 punto 1), che costituisce il regolamento tecnico d’attuazione degli art. 8 e 9 del D. lgs. 351/99. Questi campionamenti, con i relativi riscontri analitici derivanti, costituiscono una base sperimentale minima per validare i dati di qualità dell’aria disponibili e per verificare la rilevanza dei problemi odorigeni lamentati. I campionamenti sono effettuati anche con l’obiettivo di valutare la dipendenza della qualità dell’aria dalle principali fonti emittenti. Gli analiti

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determinati sui campioni prelevati sono limitati al benzene ed alle sostanze organiche volatili (SOV), ambedue considerati quali i parametri gassosi più caratteristici in relazione all’inquinamento prodotto dalle operazioni di bonifica in atto. Nulla però è dato sapere su altri contaminanti responsabili o corresponsabili delle emissioni odorigene. Per il campionamento e l’analisi con il radiello si osserva che al variare dei modelli commerciali disponibili (geometria e fase adsorbente), possono variare sia i meccanismi (chimico - fisico e chimico) sia la cinetica d’adsorbimento del campionatore passivo, con conseguente modifica sia delle quantità adsorbite sia della relativa speciazione degli inquinanti gassosi citati. Inoltre se il monitoraggio deve servire alla prevenzione del rischio, il campionatore passivo non sembra essere il mezzo migliore in quanto la risposta analitica può essere disponibile solo dopo 7-8 giorni; Lo stesso discorso, relativamente alla risposta analitica, vale per i campioni di cui al punto 3. Relativamente al punto 4. (strumento portatile) si fa osservare che se un’utilità vi può essere per evidenziare il rischio di atmosfere esplosive, lo stesso non si può dire per una risposta in tempo reale relativamente ai contaminanti Benzene e SOV in quanto, per ricerche in campo connesse a problemi di bonifiche di cosi alta entità (vedi indagine ISS del dicembre 2006) normalmente si ricorre all’utilizzo di un mezzo campionatore ed un analizzatore in campo(es. fiala in carbone grafitato + termodesorbimento e analisi GC/MS - EPA TO17, oppure CANISTER + termodesorbimento e analisi GC/MS - EPA TO15). Queste operazioni si possono effettuare su laboratorio mobile il cui utilizzo sarebbe auspicabile per la bonifica in esame.Non conosciamo nel dettaglio lo strumento ma se si dovesse trattare di un fotoionizzatore si a presente che l'utilizzo di fotoionizzatori da campo può dare sì una indicazione del livello di contaminazione ambientale ma occorre tenere presente che in tal caso la soglia di rilevabilità non è la stessa per tutti i composti. Relativamente ai composti mercaptanici (di cui non si fa cenno nella variante al progetto di bonifica, ma che secondo lo scrivente sono fortemente indiziati di essere una delle principali sorgenti odorigene sul sito in esame), essendo questi estremamente volatili, la captazione va fatta in canister anzichè su fiala anche se probabilmente la soglia odorigena può essere un indicatore migliore dell'analisi strumentale;

La sicurezza nel cantiere di bonifica La normativa vigente in materia di sicurezza nell’ambiente di lavoro (Dlgs n.626/94 ) e nei cantieri mobili (Dlgs n.494/96) prevede che, tutte le operazioni che si svolgono sul sito avvengano nel rispetto di norme ben precise.Nella variante al progetto di bonifica approvato vi è la descrizione delle procedure di sicurezza che verranno seguite durante le operazioni. Si è rilevato tuttavia che nel cartello affisso all’ingresso del cantiere (vedi immagine n.1) non risulta chiaro chi sia il “coordinatore della sicurezza nel cantiere” assunto che vi operano due ditte: una incaricata di effettuare gli scavi e l’altra preposta a gestire gli impianti tecnologici di bonifica. Ciò comporta quindi che si deve riscontare l’esistenza di due piani di sicurezza singoli, uno per ogni ditta, e che via sia poi un piano di coordinamento di tutte le operazioni di cantiere. Tali piani debbono essere disponibili in cantiere e presso le ditte negli uffici. In aggiunta il piano di sicurezza della ASL riferito alla rimozione dell’amianto, pur essendo specifico, deve far parte integrante delle operazioni di cui sopra.

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Una notazione particolare che riguarda la sicurezza degli operatori durante le operazioni di scavo va fatta rilevando che, essendo stata l’area della raffineria oggetto di bombardamenti aerei nel corso dell’ultimo conflitto mondiale, piuttosto che ricorrere ad analisi “geostatiche” e in considerazione anche delle caratteristiche del sottosuolo poco argilloso nei primi metri sotto il piano campagna . Tali analisi si sono rilevate insufficienti e parziali e non hanno fornito un quadro rappresentativo di tutto il sito. Meglio sarebbe stato programmare una indagine non invasiva con georadar nelle aree presumibilmente ritenute più critiche che, oltre alla presenza di masse metalliche nel sottosuolo (eventuali ordigni bellici, tubazioni, serbatoti interrati, fusti di contaminanti ), avrebbe potuto fornire altre informazioni in merito a strutture cementizie interrate, sacche di prodotti, aree contaminate. I costi dell’indagine radar sono assai contenuti e ricorrere ad essa ne sarebbe valsa la pena, specialmente se si considera che la bonifica è quotata intorno ai 30.000.000 di euro. Bombardamenti ultimo conflitto e sicurezza cantiere (vedi Trieste) Schede di sicurezza Conclusioni Lo scrivente, in considerazione della grave e preoccupante situazione connessa alla riqualificazione del sito della ex raffineria IP di La Spezia, ed in particolare del sub-distretto 3, in riferimento principalmente alla scarsa attenzione alla tutela della salute della popolazione locale esposta ai miasmi provenienti dalle operazioni di escavazione e bonifica, avendo peraltro ravvisato una serie di lacune a livello documentario e operativo, qui di seguito riportate in forma sintetica:

- studi di caratterizzazione del sito lacunosi ed incompleti che hanno privilegiato più gli aspetti formali che sostanziali;

- tecnologie di bonifica da revisionare; - tecnologia del Thermal Desorption da escludere “ufficialmente” dal novero delle tecnologie

applicabili al sito, a causa del grave rischio di formazione di diossine; - necessità di applicare il landfarming e il soil washing ai terreni contaminati sotto capannoni

a tenuta ermetica e in depressione; - valutazioni di rischio da rifare ex novo a fronte di una “reale contaminazione” diversa da

quella ipotizzata finora nel modello concettuale; - necessità di indagini ambientali all’esterno del sito, più complete, più frequenti, più

numerose e sempre associate ai parametri meteorologici; - necessità di caratterizzare con forte attenzione le situazioni di emergenza e gli eventi critici; - maggiore attenzione da parte dell’ Organo di Controllo e delle Istituzioni Locali sul ciclo di

gestione dei rifiuti smaltiti all’esterno del sito di bonifica;

fa presente

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che, permanendo di fatto una situazione locale “ingessata” in cui non si dà alle lamentele dei cittadini il giusto ascolto, una strada percorribile per sciogliere i nodi di una sostanziale inerzia delle Istituzioni locali a fronte del rischio di compromissione della qualità della vita della popolazione esposta , potrebbe essere quella di interessare le più alte Istituzioni del Parlamento, prima fra tutte la Commissione Parlamentare d’inchiesta sul Ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso Connesse che ha competenze anche in materia di bonifiche e contemporaneamente le più alte Commissioni Istituzionali dello Stato in materia di Salute Pubblica ed Ambiente, il tutto attraverso richieste ufficiali ed esplicite (supportate da adeguata documentazione) da parte di Associazioni riconosciute a livello Nazionale coinvolgendo anche, se il caso lo richiederà, la popolazione locale con incontri, dibattiti ed approfondimenti. Ovviamente ogni chiarimento richiesto allo scrivente da parte di coloro che hanno commissionato la presente Relazione di consulenza, oltre che doveroso, sarà soddisfatto entro i tempi tecnici che la richiesta comporterà. Bibliografia 1) APAT- Linee Guida 193/2003- Metodi di misura delle emissioni olfattive 2) XIII Commissione Parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse- Doc XXIII n.59- Marzo 2001- Documento sulle tecnologie relative allo smaltimento di rifiuti e alle bonifiche di siti contaminati 3) Handbook of Environmental Data on Organic Chemicals- Ed. Karel Verschueren 4) APAT- Dipartimento Difesa del Suolo/ Servizio Geologico d’Italia- Circolari del Servizio Tecnologie del sito e Siti contaminati in collaborazione con Istituto Superiore di Sanità

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