reportage il “cenone tra amici” per portare speranza a chi ... · usando ipocrite e aride...

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2 venerdì 2 gennaio 2015 TO di Andrea Monticone Sedetevi a tavola con loro CAPODANNO PRIMO PIANO REPORTAGE La festa con le suore di San Vincenzo in via Nizza Il “cenone tra amici” per portare speranza a chi non ha una casa Tra i senza dimora aumentano giovani e donne Padri disoccupati costretti a lasciare i propri cari Andrea Monticone Ô In una notte come quella di Capodanno ci sono luoghi dove puoi incontrare storie che ribaltano ogni punto di vista, a cominciare da quello per cui i luoghi della carità siano ultime fermate, stazioni terminali, quando invece possono diventare punti di partenza. Casa Santa Luisa, a San Salvario è uno di questi. Nella notte di San Silvestro arrivano alla spicciolata per una cena speciale famiglie di immi- grati, italiani giovani e meno giovani, accolti con un sorriso dalle suore vincenziane. «Non è una cena di clochard o di senzatetto - ammonisce suor Cristina - . Questa è una cena fra amici. Noi qui abbiamo persone senza dimora o in difficoltà economica, mamme con bambini». Ma soprattutto c’è la voglia di fare festa tutti assieme. No, questo non è un «Capodanno degli altri» come si potrebbe definire usando ipocrite e aride metafore giornalistiche: que- sto è semplicemente Capodanno, forse più autenti- co di altri, di certo “invisibile”, perché anche nella città dei santi sociali e della carità e del volontariato ci sono zone grige che pochi vogliono vedere, a meno che siano tirati per la giacchetta. In via Nizza arrivano le famiglie con i bimbi e arrivano i padri separati. O quelli che separati non sono, almeno a termini di legge, ma che dalla pro- pria famiglia sono andati via come estremo atto di generosità: sono quelli che hanno perso il lavoro e che non se la sono più sentita di rimanere in casa, impossibilitati a mantenere i propri figli, a pesare sullo stipendio della moglie. «Magari se io me ne vado se la cavano meglio» dice qualcuno e sceglie la strada e la solitudine. O ci sono quelli come Alfio, un uomo di 46 anni che si è già inventato almeno due vite e ora lotta per la terza. La camicia bianca, i capelli curati, una pa- shmina elegantemente avvolta al collo, Alfio è un padre separato: l’ex moglie e i figli di 16 e 14 anni sono a Catania. «Ho sempre lavorato nel settore alberghiero da quando avevo 16 anni - racconta - sono stato anche maitre, direttore di sala, intanto studiavo elettronica». E un giorno di qualche anno fa, per puro caso, gli offrono di lavorare per una multinazionale che sta aprendo una sede nella sua città. La seconda vita di Alfio, che diventa anche dirigente di quella società, fino a che la sede di Catania chiude. Torna al settore alberghiero, allora, ma ormai ha 40 anni «e negli hotel o nei ristoranti preferiscono i giovani freschi di scuola alle persone con molte qualifiche, perché costano di più». Finiti i risparmi, finita la possibilità di pagare l’albergo, Alfio finisce in strada. Fa tutto il giro dei dormitori pubblici. Fino ad arrivare in via Nizza. «Qui ho trovato gli angeli calati dal cielo - racconta -. Mi hanno dato un tetto, mi stanno aiutando per i miei problemi di salute e mi mettono a disposizione Internet, così posso provare a ricominciare a lavora- re. Qualche tempo fa ho creato anche una App per il sistema Android, sa?». Franco, invece, di anni ne ha 64: è dolorante per un’operazione al braccio, gli hanno appena tolto i punti. Se gli si chiede la sua storia, guarda suor Cristina e con un sorriso dice solo «Mi viene da piangere...». Ti racconta che grazie alle suorine ha ottenuto l’accesso ai cantieri lavoro: è in Comune, fa commissioni e lavoretti negli uffici. E ha ottenuto una casa popolare, dopo molto tempo. Alfio e Franco, come gli altri, siedono ai tavoli tra cui si muovono “chef Giorgio” e i volontari che hanno aiutato a organizzare questa cena. Che, per l’appunto, non è una semplice cena benefica dove chi ha di più si degna di dare ai poveri: qui si cena e si ride fra amici e come in ogni casa c’è chi cucina, chi serve in tavola, chi magari dopo metterà in ordine. E allora i volontari e i padri separati, i profughi e le suore, i senza casa e gli anziani malati dividono il tavolo e il menù: antipasto di affettati con salsa e fette di pane con i formaggi, poi raviolini. I baffi di chef Giorgio mettono allegria, mentre Gianluigi Casetta (è il patron del bioparco Zoom) diverte tutti con i suoi giochi di prestigio con le carte. Gabriella e Luisella corrono e sbucano da ogni parte con i piatti e le bottiglie di vino o di bibite. Suor Cristina augura buon anno, invita a credere in un 2015 che andrà senz’altro meglio. «Andare peggio è difficile» urla qualcuno ridendo. Attorno alle 23 è tempo di un momento di riflessio- ne: c’è il sacerdote che racconta come l’annuncio della nascita di Gesù sia stato dato ai pastori «consi- derati gli ultimi del mondo», come un invito per chi siede qui stasera a non pensare di essere un «invisi- bile», un «ultimo». Poi il don prende il flauto, mentre suor Cristina impugna il suo violino: lei, tanto tempo fa, ha suonato anche in occasione di un “Pavarotti and friends”, una serata in cui c’erano personaggi come Zucchero e Sting. Le canzoni di Natale, i pensieri positivi, le risate e i giochi di carte accompagnano questa cena dietro le mura di casa Santa Luisa, uno degli avamposti dove la buona volontà di queste splendide ragazze senza età che sono le suore di San Vincenzo combatte una battaglia senza quartiere, contro la disperazione, le nuove povertà e l’indifferenza di troppi. In via Nizza ogni mattina viene distribuita la colazione alle per- sone in difficoltà: 160 pasti normalmente, qualche segue dalla prima pagina L’IMPEGNO DEI VOLONTARI I volontari e gli ospiti della cena di Capodanno a Casa Santa Luisa, centro di accoglienza delle suore di San Vincenzo nel cuore di San Salvario volta si arriva a 250. Ogni giorno se ne vanno 25 chili di pane e 60 litri di latte. Cibo che arriva dal Banco alimentare, dagli enti benefici, oppure dai privati, come i tanti panettieri torinesi che, anonimamente, mandano alle suore carichi di pagnotte e filoncini. E da questo avamposto si vede anche cambiare lo scenario della battaglia: se un tempo i senza dimora erano esclusivamente uomini, ora sono in aumento le donne e soprattutto i giovani. I nemici si chiama- no disoccupazione, crisi, dipendenza, in particolare quella dal gioco, la più infida perché riduce in miseria mentre promette la ricchezza. (...) dai loro amici volontari per San Silvestro possa valere un articolo di gior- nale. Ma si sa: fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce e anche la bontà finisce raramente sui giornali. Quando si parla di iniziative benefiche, magari, vengono fuori le maxi raccolte di fondi in televisione, dove il sospetto è che - al di là dell’effettiva raccolta - il compenso di ospiti e con- duttori possa eguagliare le donazioni; oppure le pubblicità con testimonial Vip che invitano a donare o a compiere un’adozione a distanza, piuttosto che devolvere il 5 per mille e via discorrendo. Le suore di San Vincenzo non orga- nizzano “cene stellate”, combattono la loro battaglia contro la disperazione quotidianamente dai locali di via Nizza, nel cuore di San Salvario. Offrono ospi- talità, donano visti, servono pasti caldi. Ridonano la speranza. Grazie agli enti benefici, ma soprattutto alle iniziative e allo spirito di quelle persone che, in una sera di festa, decidono di trasformarsi in cuochi per chi ha molto meno di loro, scelgono di sedersi a tavola con chi da molto tempo non gode più del calore di una famiglia. E qui non ci sono sindaci, ministri o assessori che si mettono in fila per indossare un grembiule e poi servire in tavola pietanze prelibate cucinate da abili chef stellati, in una festa che ha di certo mille motivi per essere replicata ogni anno, per essere applaudita e ap- prezzata, ma rappresenta anche il vero stato delle cose: per fare iniziative be- nefiche, per ottenere fondi e risorse, per destare l’opinione pubblica serve rea- lizzare un “evento” con fotografi e te- levisioni. Ma la quotidianità è una cosa diversa e alle volte occorre l’umiltà e lo spirito per sedersi alla stessa tavola di chi ha bisogno, non solo per portarvi un piatto. Per non essere come il marchese dei Promessi Sposi che sì ospitò a pranzo Renzo e Lucia, ma lui mangiò in un’altra stanza con don Abbondio perché di umiltà, scriveva il Manzoni, «aveva quanta ne bisognava per mettersi al di sotto di quella buona gente, ma non per istar loro in pari». Twitter@AMonticone

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2 venerdì 2 gennaio 2015 TO

di Andrea Monticone

Sedetevi a tavola con loro

C A P O DA N N OPRIMO PIANO

REPORTAGE La festa con le suore di San Vincenzo in via Nizza

Il “cenone tra amici”per portare speranzaa chi non ha una casaTra i senza dimora aumentano giovani e donnePadri disoccupati costretti a lasciare i propri cariAndrea Monticone

Ô In una notte come quella di Capodanno ci sonoluoghi dove puoi incontrare storie che ribaltanoogni punto di vista, a cominciare da quello per cui iluoghi della carità siano ultime fermate, stazioniterminali, quando invece possono diventare puntidi partenza. Casa Santa Luisa, a San Salvario è unodi questi. Nella notte di San Silvestro arrivano allaspicciolata per una cena speciale famiglie di immi-grati, italiani giovani e meno giovani, accolti con unsorriso dalle suore vincenziane. «Non è una cena diclochard o di senzatetto - ammonisce suor Cristina -. Questa è una cena fra amici. Noi qui abbiamopersone senza dimora o in difficoltà economica,mamme con bambini». Ma soprattutto c’è la vogliadi fare festa tutti assieme. No, questo non è un«Capodanno degli altri» come si potrebbe definireusando ipocrite e aride metafore giornalistiche: que-sto è semplicemente Capodanno, forse più autenti-co di altri, di certo “invisibile”, perché anche nellacittà dei santi sociali e della carità e del volontariatoci sono zone grige che pochi vogliono vedere, ameno che siano tirati per la giacchetta.In via Nizza arrivano le famiglie con i bimbi earrivano i padri separati. O quelli che separati nonsono, almeno a termini di legge, ma che dalla pro-pria famiglia sono andati via come estremo atto digenerosità: sono quelli che hanno perso il lavoro eche non se la sono più sentita di rimanere in casa,impossibilitati a mantenere i propri figli, a pesaresullo stipendio della moglie. «Magari se io me nevado se la cavano meglio» dice qualcuno e sceglie lastrada e la solitudine.O ci sono quelli come Alfio, un uomo di 46 anni chesi è già inventato almeno due vite e ora lotta per laterza. La camicia bianca, i capelli curati, una pa-shmina elegantemente avvolta al collo, Alfio è unpadre separato: l’ex moglie e i figli di 16 e 14 annisono a Catania. «Ho sempre lavorato nel settorealberghiero da quando avevo 16 anni - racconta -sono stato anche maitre, direttore di sala, intantostudiavo elettronica». E un giorno di qualche annofa, per puro caso, gli offrono di lavorare per unamultinazionale che sta aprendo una sede nella suacittà. La seconda vita di Alfio, che diventa anchedirigente di quella società, fino a che la sede diCatania chiude. Torna al settore alberghiero, allora,ma ormai ha 40 anni «e negli hotel o nei ristorantipreferiscono i giovani freschi di scuola alle personecon molte qualifiche, perché costano di più». Finitii risparmi, finita la possibilità di pagare l’albergo,Alfio finisce in strada. Fa tutto il giro dei dormitori

pubblici. Fino ad arrivare in via Nizza. «Qui hotrovato gli angeli calati dal cielo - racconta -. Mihanno dato un tetto, mi stanno aiutando per i mieiproblemi di salute e mi mettono a disposizioneInternet, così posso provare a ricominciare a lavora-re. Qualche tempo fa ho creato anche una App per ilsistema Android, sa?».Franco, invece, di anni ne ha 64: è dolorante perun’operazione al braccio, gli hanno appena tolto ipunti. Se gli si chiede la sua storia, guarda suorCristina e con un sorriso dice solo «Mi viene dapiangere...». Ti racconta che grazie alle suorine haottenuto l’accesso ai cantieri lavoro: è in Comune, facommissioni e lavoretti negli uffici. E ha ottenutouna casa popolare, dopo molto tempo.Alfio e Franco, come gli altri, siedono ai tavoli tracui si muovono “chef Giorgio” e i volontari chehanno aiutato a organizzare questa cena. Che, perl’appunto, non è una semplice cena benefica dovechi ha di più si degna di dare ai poveri: qui si cena esi ride fra amici e come in ogni casa c’è chi cucina,chi serve in tavola, chi magari dopo metterà inordine. E allora i volontari e i padri separati, iprofughi e le suore, i senza casa e gli anziani malatidividono il tavolo e il menù: antipasto di affettaticon salsa e fette di pane con i formaggi, poi raviolini.I baffi di chef Giorgio mettono allegria, mentreGianluigi Casetta (è il patron del bioparco Zoom)diverte tutti con i suoi giochi di prestigio con lecarte. Gabriella e Luisella corrono e sbucano da ogniparte con i piatti e le bottiglie di vino o di bibite. SuorCristina augura buon anno, invita a credere in un2015 che andrà senz’altro meglio. «Andare peggio èdifficile» urla qualcuno ridendo.Attorno alle 23 è tempo di un momento di riflessio-ne: c’è il sacerdote che racconta come l’annunciodella nascita di Gesù sia stato dato ai pastori «consi-derati gli ultimi del mondo», come un invito per chisiede qui stasera a non pensare di essere un «invisi-bile», un «ultimo». Poi il don prende il flauto,mentre suor Cristina impugna il suo violino: lei,tanto tempo fa, ha suonato anche in occasione di un“Pavarotti and friends”, una serata in cui c’eranopersonaggi come Zucchero e Sting.Le canzoni di Natale, i pensieri positivi, le risate e igiochi di carte accompagnano questa cena dietro lemura di casa Santa Luisa, uno degli avamposti dovela buona volontà di queste splendide ragazze senzaetà che sono le suore di San Vincenzo combatte unabattaglia senza quartiere, contro la disperazione, lenuove povertà e l’indifferenza di troppi. In via Nizzaogni mattina viene distribuita la colazione alle per-sone in difficoltà: 160 pasti normalmente, qualche

segue dalla prima pagina

L’IMPEGNO DEI VOLONTARII volontari e gli ospiti della cena di Capodanno a CasaSanta Luisa, centro di accoglienza delle suore di SanVincenzo nel cuore di San Salvario

volta si arriva a 250. Ogni giorno se ne vanno 25 chilidi pane e 60 litri di latte. Cibo che arriva dal Bancoalimentare, dagli enti benefici, oppure dai privati,come i tanti panettieri torinesi che, anonimamente,mandano alle suore carichi di pagnotte e filoncini.E da questo avamposto si vede anche cambiare lo

scenario della battaglia: se un tempo i senza dimoraerano esclusivamente uomini, ora sono in aumentole donne e soprattutto i giovani. I nemici si chiama-no disoccupazione, crisi, dipendenza, in particolarequella dal gioco, la più infida perché riduce inmiseria mentre promette la ricchezza.

(...) dai loro amici volontari per SanSilvestro possa valere un articolo di gior-nale. Ma si sa: fa più rumore un alberoche cade di una foresta che cresce eanche la bontà finisce raramente suigiornali. Quando si parla di iniziativebenefiche, magari, vengono fuori le maxiraccolte di fondi in televisione, dove ilsospetto è che - al di là dell’effettivaraccolta - il compenso di ospiti e con-duttori possa eguagliare le donazioni;oppure le pubblicità con testimonial Vipche invitano a donare o a compiereun’adozione a distanza, piuttosto chedevolvere il 5 per mille e via discorrendo.

Le suore di San Vincenzo non orga-nizzano “cene stellate”, combattono laloro battaglia contro la disperazionequotidianamente dai locali di via Nizza,nel cuore di San Salvario. Offrono ospi-talità, donano visti, servono pasti caldi.Ridonano la speranza. Grazie agli entibenefici, ma soprattutto alle iniziative eallo spirito di quelle persone che, in unasera di festa, decidono di trasformarsi incuochi per chi ha molto meno di loro,scelgono di sedersi a tavola con chi damolto tempo non gode più del calore diuna famiglia. E qui non ci sono sindaci,ministri o assessori che si mettono in fila

per indossare un grembiule e poi servirein tavola pietanze prelibate cucinate daabili chef stellati, in una festa che ha dicerto mille motivi per essere replicataogni anno, per essere applaudita e ap-prezzata, ma rappresenta anche il verostato delle cose: per fare iniziative be-nefiche, per ottenere fondi e risorse, perdestare l’opinione pubblica serve rea-lizzare un “evento” con fotografi e te-levisioni. Ma la quotidianità è una cosadiversa e alle volte occorre l’umiltà e lospirito per sedersi alla stessa tavola dichi ha bisogno, non solo per portarvi unpiatto. Per non essere come il marchese

dei Promessi Sposi che sì ospitò a pranzoRenzo e Lucia, ma lui mangiò in un’altrastanza con don Abbondio perché diumiltà, scriveva il Manzoni, «avevaquanta ne bisognava per mettersi al disotto di quella buona gente, ma non peristar loro in pari».

Tw i t t e r @ A M o n t i c o n e