repubblica italiana in nome del popolo italiano il ... · società e di distribuzione degli utili)....
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI ROMA
Sedicesima (ex Terza) Sezione Civile
in funzione di
Sezione specializzata in materia d’impresa
così composto:
Dott. Stefano Cardinali presidente
Dott. Umberto Gentili giudice
Dott.ssa Clelia Buonocore giudice rel.
riunito in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in primo grado, iscritta al N. 14616/2016 R.G., posta in
decisione all’udienza del 16 maggio 2017 e vertente
TRA
MARIOTTI ITALO, nato ad Anguillara Sabazia (RM) il 17.08.1958 (C.F.
MRT TLI 58M17 A297M), elettivamente domiciliato in Roma, al Viale Regina
Margherita n. 1, presso lo studio dell’Avv. Vito A. Mazzarelli che, con l’Avv.
Ernesto Iannucci, lo rappresenta e difende per mandato in calce all’atto di
citazione.
Attore
E
SEIEMME s.r.l., con sede legale in Anguillara Sabazia (RM), alla Via
Anguillarese n. 123 (C.F. 06937881008), in persona del legale rappresentante p.t.,
elettivamente domiciliata in Roma, alla Via Alfredo Fusco n. 104, presso lo studio
degli Avv.ti Antonio Caiafa e Flaminia Caiafa, che la rappresentano e difendono
per mandato depositato in allegato alla comparsa di costituzione e risposta.
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RG n. 14616/2016Repert. n. 23649/2017 del 28/11/2017
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Convenuta
CONCLUSIONI. All’udienza del 16 maggio 2017, i Procuratori delle parti
rassegnavano le seguenti conclusioni:
per l’attore: “Voglia il Tribunale, accertato l’intervenuto recesso di Mariotti
Italo dalla SEIEMME s.r.l., e respinte – anche perché inammissibili – le
contestazioni formulate dalla convenuta avverso la perizia con la quale l’esperto
nominato dall’intestato Tribunale, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2473, III
co., c.c., ha determinato il valore di liquidazione della quota del socio receduto,
condannare la SEIEMME s.r.l. all’immediato pagamento, in favore dell’attore,
della somma di euro 678.610,00 (come da determinazione dell’esperto Prof.
Claudio Olivieri), oltre interessi con decorrenza dal giorno successivo a quello del
recesso, ed oltre, ancora, l’ulteriore importo di euro 2.537,60 a titolo di compenso
liquidato in favore del suindicato esperto. Con vittoria di spese di lite”;
per la convenuta: “Piaccia al Tribunale, a) in via principale dichiarare
improcedibile e/o inammissibile la domanda proposta o, comunque, infondata la
stessa per inesistenza dei presupposti indicati, partitamente, dagli artt. 2469, II co,
2473 e 2481 bis c.c.; b) in via subordinata, determinare il valore della quota
secondo il reale valore di mercato dei beni oggetto della necessaria valutazione,
disponendo nuova consulenza tecnica; c) regolare le spese del giudizio mediante
applicazione dell’art. 91 c.p.c.”.
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO
DELLA DECISIONE
Con atto di citazione ritualmente notificato, Mariotti Italo deduceva che
era socio della SEIEMME s.r.l., con una quota di
partecipazione rappresentativa del 16,67% dell’intero capitale sociale;
la SEIEMME s.r.l. aveva ad oggetto l’attività di
costruzione, ristrutturazione, compravendita e gestione di immobili e
complessi turistici, alberghieri e ricreativi, nonché la conduzione di
aziende agricole, la compravendita di terreni e l’esecuzione di lavori
edili, stradali, marittimi e ferroviari;
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la predetta società era proprietaria di svariati terreni e
fabbricati siti in Bracciano, Roma e Formello;
essendo insorti contrasti interni alla compagine sociale,
anche in ragione dell’atteggiamento ostruzionistico assunto nei suoi
confronti dall’Amministratore Unico, con missiva del 6 giugno 2013
aveva comunicato a quest’Ultimo la sua volontà di dar corso alla stima
dei beni materiali ed immateriali di proprietà sociale, onde valutare
l’opportunità di “una eventuale liquidazione della quota di spettanza”;
tale missiva - vanamente inoltrata presso la sede legale della
società e poi recapitata al legale rappresentante della SEIEMME s.r.l.
presso la sua residenza – era stata riscontrata dal Legale di fiducia della
società, il quale lo aveva invitato ad esercitare il recesso nelle forme di
legge;
pertanto, con lettera raccomandata del 7 novembre 2013
egli aveva comunicato all’Amministratore Unico la propria volontà di
recedere dalla società, invitandolo nel contempo a manifestare la
disponibilità alla nomina, di comune accordo, di un esperto per la
determinazione del valore di liquidazione della sua quota;
detta missiva era rimasta priva di riscontro per modo che,
decorso vanamente il termine di cui all’art. 2473 c.c., egli aveva
richiesto la liquidazione della quota di pertinenza;
a fronte di detta richiesta la SEIEMME s.r.l., a mezzo del
Legale di fiducia, lo aveva invitato ad indicare il valore della quota
ritenuto congruo;
egli aveva, quindi, conferito incarico per la stima ad un
Professionista di sua fiducia, che aveva quantificato in euro 800.000,00
il valore della sua quota alla data del recesso;
la susseguente comunicazione alla società della cennata
quantificazione non aveva avuto alcun fattivo riscontro, onde si era
visto costretto ad adire l’intestato Tribunale per la nomina dell’esperto
ex art. 2473, III co., c.c.;
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l’esperto nominato dal Tribunale aveva quantificato in euro
678.610,00 il valore di mercato della sua partecipazione sociale alla
data del recesso;
la Seiemme s.r.l., tuttavia, non aveva inteso liquidargli il
cennato importo, sì da costringerlo ad adire l’Autorità giudiziaria.
Ciò premesso in fatto, Mariotti Italo, nell’evidenziare che l’intestato Tribunale,
con il decreto di nomina dell’esperto ex art. 2473, III co., c.c., aveva già valutato
la legittimità del suo recesso dalla società, rassegnava le conclusioni riportate in
premessa.
Instaurato il contraddittorio, si costituiva la Seiemme s.r.l. la quale, in via
preliminare, eccepiva la improcedibilità ed inammissibilità della domanda
formulata da Mariotti Italo e volta ad ottenere la liquidazione del valore della sua
partecipazione, atteso che il recesso dallo Stesso esercitato era del tutto privo di
effetti; a tal proposito la società convenuta, richiamata la disciplina in tema di
recesso dalla s.r.l. come introdotta con la riforma di cui al D.Lgs. n. 6/2003, e
rimarcato che lo Statuto della Seiemme s.r.l. non prevedeva limite alcuno al
trasferimento delle partecipazioni sociali per atti inter vivos o mortis causa,
evidenziava che la disposizione dell’art. 2473 c.c., nella parte in cui contemplava
il diritto del socio di recedere dalla società contratta a tempo indeterminato, non
era passibile della interpretazione estensiva propugnata dall’attore.
La società convenuta deduceva, ancora, che qualora si fosse ritenuto valido ed
efficace il recesso esercitato da Mariotti Italo, non poteva non procedersi ad una
nuova quantificazione del dovuto in favore dell’attore a titolo di liquidazione della
quota, posto che la stima operata dall’esperto nominato ai sensi e per gli effetti di
cui all’art. 2473, III co., c.c. era “del tutto inappagante, per certi aspetti, e, per
altri, del tutto errata”.
La Seiemme s.r.l. censurava, poi, partitamente le considerazioni e conclusioni
formulate dall’esperto nominato dal Tribunale, evidenziando, tra l’altro,
l’erroneità dei dati dallo Stesso assunti a base della stima; rassegnava, quindi, le
conclusioni richiamate in premessa.
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Incardinatasi la lite, si provvedeva all’istruttoria con la sola acquisizione di
documentazione conferente; indi, all’udienza del 16 maggio 2017 la causa veniva
trattenuta in decisione, con la concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per
il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
*******************************
In apertura di motivazione va evidenziato che l’intestato Tribunale, con il
decreto di nomina dell’esperto invocato dall’attore, ha operato un vaglio
meramente incidentale del recesso esercitato da Mariotti Italo, finalizzato alla
verifica dei presupposti per l’attivazione del procedimento - di volontaria
giurisdizione – di cui all’art. 2473, III co., c.c..
Pertanto, a fronte delle contestazioni svolte dalla Seiemme s.r.l., è nel presente
giudizio contenzioso che va accertata la legittimità o meno del recesso ad nutum
esercitato da Mariotti Italo e “risolta”, con statuizione astrattamente idonea al
giudicato, la “questione controversa” tra le parti, afferente anche la validità o
meno del suddetto recesso.
Ciò premesso, prima di procedere all’esame del merito, par d’uopo richiamare
per brevi cenni la disciplina in tema di recesso dalla società a responsabilità
limitata, come introdotta con la recente riforma del diritto societario; e tanto anche
in considerazione del tenore delle contestazioni svolte dalla società convenuta.
Orbene è certo noto che, prima della riforma di cui al D.Lgs. n. 6/2003, alle
società a responsabilità limitata era applicabile - in virtù del richiamo all’art. 2437
c.c., contenuto nell’art. 2494 c.c. - la disciplina in tema di recesso dettata per le
società per azioni, che riconosceva il diritto potestativo in questione solo in caso
di cambiamento dell'oggetto sociale e di trasformazione della società e, dunque, a
fronte di delibere che modificavano in maniera rilevante le regole di svolgimento
dell’impresa comune; a queste ipotesi si aggiungeva anche il caso - previsto
dall'art. 2343 c.c., richiamato per la s.r.l. dall'art. 2486 c.c. - della revisione di
stima da parte dell'organo amministrativo in caso di conferimenti in natura.
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La previgente disciplina del Codice civile, nella parte in cui limitava le ipotesi
di recesso dalle società di capitali, era ispirata al principio della conservazione del
patrimonio sociale e sorretta dalla finalità di tutelare i creditori ed evitare la
disgregazione della società; d’altro canto anche il trattamento economico del
recedente era oltremodo penalizzante, attesa la previsione per cui la liquidazione
della quota doveva aver luogo in base ai valori risultanti dall’ultimo bilancio di
esercizio, senza considerazione alcuna di un eventuale, maggior valore di mercato
della partecipazione.
Pertanto, nel sistema previgente non veniva conferito rilievo all’esigenza di
agevolare l’exit in società di capitali di piccole dimensioni, nonostante le stesse
fossero spesso caratterizzate da un’accentuata personalizzazione dei rapporti
sociali.
In tale contesto la prevalente dottrina e giurisprudenza riteneva che
l’autonomia statutaria non potesse ampliare le ipotesi di recesso e che neppure
potesse pervenirsi al risultato di agevolare l’exit mediante l’estensione analogica
della normativa dettata con riferimento alle società di persone; e ciò in quanto
l’assetto delineato in proposito dal Codice civile costituiva espressione di una
consapevole scelta del legislatore di circoscrivere l’applicazione del recesso alle
sole fattispecie testualmente contemplate.
La riforma del diritto societario ha, invece, introdotto, in tema di recesso del
socio di società a responsabilità limitata, una disciplina sostanzialmente autonoma
e tesa a valorizzare la personalizzazione dei rapporti sociali, che non di rado
connota tale tipo di società.
E così, con il disposto dell’art. 2473 c.c. sono state notevolmente ampliate le
ipotesi in cui è accordato, al socio, il diritto potestativo di recedere dalla società,
riconoscendosi ampia autonomia statutaria in materia, e prevedendosi, nel
contempo, che tale diritto competa in ogni caso al socio che non abbia consentito
1) al cambiamento dell’oggetto o del tipo di società, 2) alla fusione o alla
scissione della società, 3) alla revoca dello stato di liquidazione, 4) al
trasferimento della sede all’estero, 5) alla eliminazione di una o più cause di
recesso stabilite dall’atto costitutivo, 6) al compimento di operazioni che
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comportano una sostanziale modificazione di fatto dell’oggetto della società
determinato nell’atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti attribuiti
ai soci a norma dell’art. 2468, IV co., c.c. (in tema di amministrazione della
società e di distribuzione degli utili).
Ulteriori ipotesi legali di recesso sono, poi, contemplate da diverse disposizioni
normative quali, esemplificativamente, l’art. 2469, II co., c.c. - che prevede il
diritto in parola in favore del socio o dei suoi eredi in presenza di determinate
clausole limitative della circolazione delle azioni – o l’art. 2481 bis c.c. - che
riconosce il diritto di recedere al socio non consenziente rispetto alla delibera che
disponga l’aumento del capitale sociale mediante offerta ai terzi delle quote di
nuova emissione – o, ancora, l’art. 34, VI co., del D.Lgs. n. 5/2003 - che accorda
il recesso al socio assente o dissenziente in presenza di modifiche dell’atto
costitutivo introduttive o soppressive di clausole compromissorie – o, infine, l’art.
2479 quater c.c. che contempla le diverse ipotesi e situazioni al verificarsi delle
quali il socio di società soggetta ad attività di direzione e coordinamento può
recedere. Inoltre, venuta certamente meno la eccezionalità del recesso rispetto alla
regola della vincolatività delle decisioni maggioritarie (con conseguente
inoperatività del limite di cui all’art. 14 delle preleggi), ricorrendo la eadem ratio
sono applicabili in via analogica alla s.r.l. le disposizioni dettate per le società per
azioni, che riconoscono un diritto inderogabile di recesso al socio che non abbia
consentito alla modifica dei criteri di determinazione del valore delle quote in
caso di recesso, o alle modifiche statutarie concernenti i diritti di voto o di
partecipazione (art. 2437, I co., lett. f e g, c.c.), come pure le norme – derogabili -
che contemplano il diritto di recesso in favore del socio che non abbia consentito
alla proroga del termine di durata della società o alla introduzione o rimozione di
vincoli alla circolazione delle quote (art. 2437, II co., lett. a e b, c.c.).
Per quanto, poi, di specifico interesse nella fattispecie concreta va rammentato
che l’introduzione della possibilità di costituire società a responsabilità limitata a
tempo indeterminato ha indotto il legislatore della riforma a prevedere, al secondo
comma dell’art. 2473 c.c., che al socio sia accordato il diritto di recesso
nell’ipotesi in cui non sia stabilita la durata del rapporto sociale.
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Con riferimento a quest’ultima ipotesi legale di recesso, non si ignorano le
posizioni espresse da autorevole dottrina, secondo cui i riflessi negativi che
l’esercizio del recesso ad nutum può avere sulla conservazione dell’integrità del
capitale sociale imporrebbero una interpretazione restrittiva della disposizione di
cui al citato secondo comma dell’art. 2473 c.c., che porti a riconoscere il diritto di
recesso solo nei casi in cui l’atto costitutivo non contenga previsione alcuna di
durata della società, e non, invece, nel caso di società con durata determinata,
sebbene molto lunga.
Sul punto si è, in particolare, evidenziato che “il recesso ad nutum, per la
ontologica imprevedibilità dei motivi che potrebbero indurre il socio ad
esercitarlo, deve ritenersi eccezionale in un tipo sociale come la s.r.l., dove la
tutela dei creditori sociali è affidata anche al grado di conoscibilità delle occasioni
in cui corrono il rischio di vedere contrarsi, come effetto del rimborso del valore
della quota del socio recedente, l’unica loro garanzia rappresentata dal patrimonio
sociale”.
Va, tuttavia, rammentato che, al cennato indirizzo restrittivo, si è da subito
contrapposta, presso la dottrina e la giurisprudenza – anche dell’intestato
Tribunale - la posizione di quanti, al contrario, affermano che la ratio sottesa al
disposto dell’art. 2473, II co., c.c. induce a ritenere che il recesso ad nutum ivi
contemplato possa essere utilmente esercitato non solo nelle ipotesi di società
contratta “formalmente” a tempo indeterminato, ma anche nei casi di previsione di
un termine di durata talmente lungo da far ritenere la società come costituita sine
die. Segnatamente, sulla premessa che “per l’uomo la perpetuità si misura in
relazione alla durata della propria vita”, si è affermato che la società contratta per
tutta la vita di uno dei soci o per un termine eccedente la normale attesa di vita del
medesimo deve considerarsi “sostanzialmente” a tempo indeterminato.
Orbene, a parere del Collegio deve confermarsi l’opzione per tale ultima lettura
del disposto dell’art. 2473, II co., c.c. atteso che, se è vero che la ratio della norma
che attribuisce il diritto di recesso ad nutum in ipotesi di società contratta a tempo
indeterminato, è ravvisabile nella esigenza di salvaguardia del principio
privatistico - ritenuto di ordine pubblico - della inammissibilità di vincoli perpetui,
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sussiste certamente l’eadem ratio allorchè la società, in via di fatto, risulti
“sostanzialmente” a tempo indeterminato dacché contratta per un termine
eccedente le ragionevoli aspettative di vita di uno dei soci.
Del resto l’indicata interpretazione estensiva della disposizione del secondo
comma dell’art. 2473 c.c. si impone, oltre che per esigenze di coerenza con gli
obiettivi che la norma persegue, anche per ragioni di ordine sistematico e di
omogeneità con la disciplina dettata per le società di persone dall’art. 2285 c.c.,
ponendosi in linea con la tendenza del Legislatore della riforma a valorizzare la
“connotazione personalistica” dei rapporti sociali propria delle s.r.l. ed a
strutturare il recesso come efficace strumento di tutela per il socio in un tipo
sociale nel quale il disinvestimento per trasferimento si presenta non agevole per
la oggettiva difficoltà di negoziare la partecipazione sul mercato.
Ed a tale ultimo proposito si consideri che nella stessa Relazione al D.Lgs. n.
6/2003, paragrafo 11, il recesso viene indicato come “lo strumento più efficace di
tutela per il socio”; il che conforta l’affermazione di autorevole dottrina secondo
cui la riforma del diritto societario non solo ha aumentato sensibilmente le ipotesi
legali di recesso ma ha fatto, di tale istituto, “uno strumento centrale e normale
nella dialettica tra i soci e tra soci e società”, ovvero fra maggioranza e minoranza
e, dunque, fra istanze efficientistiche ed istanze partecipative.
In un contesto di tal fatta, a precludere la cennata lettura estensiva del secondo
comma dell’art. 2473 c.c. non può valere la sola considerazione delle esigenze di
tutela dell’integrità del patrimonio sociale a garanzia dei creditori o della stabilità
e conservazione della società.
Invero, nel sistema introdotto dal legislatore della riforma, il contemperamento
tra l’interesse del socio all’exit in situazioni determinate, ed i contrapposti
interessi della società (o meglio dei soci di maggioranza) e dei creditori sociali
alla salvaguardia della integrità del patrimonio sociale, risulta assicurato con la
previsione di appositi “istituti” e “rimedi”.
In particolare, costituiscono senz’altro il portato di siffatte esigenze di
contemperamento, in ossequio alle indicazioni contenute nella Legge delega – che
all’art. 3, II co., lett. f, imponeva in ogni caso di salvaguardare anche in materia di
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recesso “il principio di tutela dell’integrità del capitale sociale e gli interessi dei
creditori sociali” – i meccanismi per il rimborso della partecipazione del socio
receduto, previsti dal quarto comma dell’art. 2473 c.c.; infatti, proprio allo scopo
di evitare che la liquidazione della quota si risolva senz’altro in un pregiudizio per
i creditori sociali risulta previsto che la stessa possa avvenire anche mediante
acquisto della partecipazione ad opera degli altri soci o di terzi, e che solo quando
ciò non si verifichi debba intaccarsi il patrimonio sociale, prima utilizzando
riserve disponibili ed, in mancanza, riducendo il capitale ai sensi dell’art. 2482
c.c., o, infine, nel caso di impercorribilità di quest’ultima alternativa, ponendo la
società in liquidazione.
Va, infine, rimarcato che la cennata interpretazione estensiva del disposto
dell’art. 2473, II co., c.c. – propugnata avendo riguardo, generalmente, al socio di
s.r.l. persona fisica - ha trovato, infine, l’avallo anche della Suprema Corte,
peraltro in relazione ad una fattispecie in cui veniva in considerazione il diritto di
recesso ad nutum di una società di persone socia di s.r.l..
Segnatamente la Prima Sezione della Corte di Cassazione, con la Sentenza n.
9662 del 22 aprile 2013, ha evidenziato che è del tutto condivisibile
l’affermazione secondo cui “in tema di società a responsabilità limitata, la
previsione statutaria di una durata della società per un termine particolarmente
lungo, tale da superare qualsiasi orizzonte previsionale anche per un soggetto
collettivo, ne determina l’assimilabilità ad una società a tempo indeterminato”,
con la conseguenza che “in base all’art. 2473, comma 2, c.c., compete al socio in
ogni momento il diritto di recesso, sussistendo la medesima esigenza di tutelare
l’affidamento del socio circa la possibilità di disinvestimento della quota da una
società sostanzialmente a tempo indeterminato”.
Ed a conforto delle conclusioni di cui sopra la Suprema Corte ha invocato
l’analogia con la disciplina dettata dall’art. 2258 c.c. con riferimento alle società
di persone, la considerazione della funzione che, nel diritto societario, può avere
la fissazione di un termine di durata della società, nonché - non ultimo -
l’orientamento del legislatore della riforma, che ha inteso indubbiamente
potenziare il diritto di recesso nelle società di capitali.
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Segnatamente, con riferimento all’argomento di tipo sistematico, la Corte di
Cassazione ha osservato che l’esistenza, sia pur nell’ambito della disciplina delle
società di persone, di una norma come quella di cui all’art. 2285 c.c. – che, come
noto, prevede il diritto di recesso ad nutum non solo quando la società sia
contratta a tempo indeterminato ma anche quando risulti contratta per tutta la vita
di uno dei soci – rende palese il favor del legislatore verso l’assimilazione tra la
società a tempo indeterminato e quella per la quale risulti previsto un termine di
durata particolarmente lungo (eccedente la normale durata della vita del socio
persona fisica o ente), legittimando il recesso ad nutum anche in questa seconda
ipotesi.
Quanto al secondo argomento, non essendo più in dubbio, all’esito della
riforma del diritto societario, la legittimità della opzione per un regime di durata
della s.r.l. particolarmente lungo, la Corte di Cassazione ha, tuttavia, rimarcato
che la scelta dei soci in ordine al termine di durata della società deve trovare
giustificazione nel progetto di attività sociale che si intende perseguire : “Tale
funzione ha lo scopo di optare per una determinazione dell'aspettativa di vita di
una società in funzione della possibilità che il progetto di attività, che con essa si
intende perseguire, possa essere, sia pure indicativamente, determinato. Laddove
invece, nel caso dell'impossibilità della determinazione, prevalgono ragioni di
perpetuità del progetto o limiti di individuazione prognostica dello spazio
temporale necessario e/o programmato. In tale quadro di riferimento generale è
evidente che una data oltremodo lontana nel tempo ha, almeno di norma, l'effetto
di far perdere qualsiasi possibilità di ricostruire l'effettiva volontà delle parti
circa l'opzione fra una durata a tempo determinato o indeterminato della società.
Cosicchè tale indicazione si risolve o in un mero esercizio delimitativo che
equivale nella sostanza al significato della mancata determinazione del tempo di
durata della società ovvero in un sostanziale intento elusivo degli effetti che si
produrrebbero con la dichiarazione di una durata a tempo indeterminato.
Evidente in quest'ultimo caso la necessità di un intervento correttivo
dell'interprete che garantisca il riconoscimento della tutela accordata dal
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legislatore al socio in una società che non preveda una determinazione del tempo
della sua durata”.
Infine, con riferimento agli argomenti, a sostegno della propugnata lettura
estensiva dell’art. 2473, II co., c.c., ritraibili dalla nuova “conformazione” del
diritto di recesso nella disciplina delle s.r.l. introdotta dal legislatore della riforma,
la Suprema Corte ha così osservato: “Inoltre va registrato l’orientamento del
legislatore della riforma del diritto societario che è consistito nel potenziare il
diritto di recesso, specificamente nella forma della s.r.l., i cui dati distintivi sono
frequentemente la ristrettezza della compagine societaria, il carattere familiare
dell'investimento e, spesso, della gestione, la non ascrivibilità al modello della
società aperta e, quindi, la non facile trasferibilità a terzi dell'investimento
effettuato dai soci. Se il legislatore della riforma ha, da un lato, voluto
semplificare la gestione e l'esercizio dell'impresa affidata alla s.r.l.,
differenziandone maggiormente i connotati rispetto a quelli della s.p.a., per altro
verso ha voluto tutelare i soci di minoranza favorendo l'accessibilità al recesso
come contropartita delle ampie facoltà attribuite al controllo da parte dei soci di
maggioranza. Le esigenze di tutela dei soci di minoranza risultano quindi
rafforzate per quanto concerne la possibilità di recedere da un investimento che
non si riferisce più ai connotati essenziali dell'impresa selezionata
dall'investitore. In questo contesto la previsione di poter recedere ad nutum dalla
società in ragione della indeterminatezza della sua durata costituisce un profilo
di affidamento che il legislatore ha voluto tutelare e che non può essere limitato
se non in presenza di un chiaro indicatore della riferibilità del termine finale di
vita della società ad un orizzonte razionalmente collegato al progetto
imprenditoriale che ne costituisce l'oggetto”.
Ritenuto, dunque, che il diritto di recesso ad nutum ex art. 2473, II co., c.c.
vada riconosciuto non solo nel caso di società contratta a tempo indeterminato ma
anche nelle ipotesi di previsione di un termine di durata eccedente le ragionevoli
aspettative di vita di uno dei soci, deve, ora, rimarcarsi che per detto recesso è
previsto un termine di preavviso, che la legge fissa in almeno 180 giorni
disponendo, nel contempo, che lo statuto possa prevedere un termine più lungo
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(ma, evidentemente, non più breve di quello legale), purché non superiore ad un
anno.
Pertanto, mentre nelle altre ipotesi legali la manifestazione della volontà di
recedere dalla società – atto unilaterale recettizio di esercizio di un diritto
potestativo – produce gli effetti suoi propri nel momento in cui giunge a
conoscenza della società destinataria (salva la possibilità che detti effetti siano
posti nel nulla in forza, rispettivamente, della revoca della delibera che ha
determinato il recesso o della messa in liquidazione della società), nell’ipotesi di
cui al secondo comma dell’art. 2473 c.c. il recesso diviene efficace solo dopo il
decorso del termine di preavviso (in analogia con quanto previsto per le società di
persone dall’art. 2258 c.c.).
Va, infine, rammentato che l'art. 2473 c.c. non detta regole precise in ordine
alle modalità ed ai termini per l'esercizio del diritto di recesso, riservando
all'autonomia statutaria la regolamentazione di tali profili; tuttavia si ritiene che,
nel silenzio dello statuto sul punto, possa farsi riferimento – nei limiti della
compatibilità - alle previsioni trasfuse nell'art. 2437 bis c.c. che, nel disciplinare
"termini e modalità di esercizio" del diritto di recesso nelle società per azioni, al
primo comma prevede, tra l’altro, che “il diritto di recesso è esercitato mediante
lettera raccomandata […]”.
Fatte tali considerazioni di ordine generale e passando all’esame della
fattispecie concreta, va rilevato che nessuna delle parti ha inteso versare in atti
copia dello Statuto della Seiemme s.r.l.. Invero l’attore ha prodotto il solo atto
costitutivo della società, e non il cennato Statuto (allegato A dell’atto costitutivo);
dall’altra parte la società convenuta ha riportato in comparsa il testo delle clausole
statutarie di interesse, senza allegare il “documento di riferimento”.
Ad ogni buon conto, la circostanza che Mariotti Italo non abbia minimente
contestato la effettiva corrispondenza delle previsioni riportate nell’avversa
comparsa alle vigenti clausole statutarie consente di ritenere che lo Statuto della
Seiemme s.r.l. non contenga specifiche disposizioni in tema di recesso del socio,
rinviando alle norme codicistiche.
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Nel caso di specie, dunque, ai fini dell’apprezzamento della legittimità del
recesso ad nutum esercitato da Mariotti Italo deve farsi riferimento alle disciplina
codicistica sopra richiamata e, partitamente, al disposto del secondo comma
dell’art. 2473 c.c., nella “lettura” indicata e fatta propria anche dalla Suprema
Corte.
Ebbene, alla luce delle premesse svolte, non può dubitarsi della validità del
cennato recesso, atteso che nell’art. 2 dell’atto costitutivo della Seiemme s.r.l. è
previsto che “la sua durata è fissata fino al 31 dicembre 2050”, con indicazione,
dunque, di un termine di durata certamente eccedente le ragionevoli aspettative di
vita uno dei soci e dello stesso odierno attore; e ciò considerato che nella
compagine sociale figura un socio (Mariotti Giovanni) che, essendo nato nel
1942, al 31 dicembre 2050 verrebbe ad avere 102 anni, ed il medesimo Mariotti
Italo, nato nel 1958 alla scadenza del termine di durata della società convenuta
verrebbe ad avere novantadue anni.
Peraltro, non par superfluo rimarcare che la Seiemme s.r.l., prima della
introduzione del procedimento per la nomina dell’esperto ex art. 2473 c.c., non ha
affatto contestato la legittimità del recesso ad nutum esercitato dall’odierno attore
ché, anzi – per quanto inferibile dal tenore della corrispondenza in atti, non fatta
oggetto di specifica contestazione – a mezzo del Legale di fiducia ha invitato
Mariotti Italo a comunicare la volontà di recesso nelle forme di legge
(evidentemente sul presupposto della sussistenza del diritto del socio di recedere
ad nutum) e, successivamente, ha anche condiviso la proposta di conferire a due
Professionisti (di rispettiva nomina di ciascuna delle parti interessate) l’incarico
per la determinazione del valore di liquidazione della quota dell’odierno attore,
salvo poi rimanere sostanzialmente inerte fino all’avvio del procedimento ex art.
2473, III co., c.c..
Ritiene, poi, il Tribunale che si palesi fondata la domanda di Mariotti Italo
volta ad ottenere, a titolo di liquidazione della sua quota di partecipazione nella
Seiemme s.r.l., la somma di euro 678.610,00, corrispondente al valore indicato
dall’esperto nominato dall’intestato Tribunale.
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In proposito va osservato che la circostanza che l’art. 2473, III co., c.c. (al pari,
del resto, dell’art. 2437 ter, VI co., c.c.) richiami espressamente l’art. 1349 c.c.
rende palese come la norma in esame affidi l’individuazione del valore delle
azioni non già alla decisione del Tribunale, bensì esclusivamente alle
determinazioni dell’esperto nominato, la cui valutazione concorre all’integrazione
del contenuto del negozio avente ad oggetto la liquidazione della partecipazione
azionaria.
In particolare – come previsto in via generale in materia di arbitraggio – la
determinazione del valore delle azioni o della partecipazione sociale ad opera
dell’esperto nominato dal Tribunale, completando il contenuto dell’accordo tra le
parti, rende lo stesso perfetto in tutti i suoi elementi e vincolante, salva
l'impugnazione per manifesta iniquità o erroneità.
In altri termini laddove gli interessati non raggiungano l’accordo sul valore
delle azioni o della quota, la determinazione di tale valore viene rimessa ad un
terzo “esperto”, nominato dal Tribunale su istanza della parte più diligente. Tale
esperto deve procedere con equo apprezzamento e la vincolatività delle
determinazioni dallo stesso raggiunte può essere esclusa solo ove se ne accerti la
manifesta iniquità o erroneità.
E così il primo comma dell’art. 1349 c.c. – cui, come detto, rinvia l’art. 2473,
III co., c.c. – recita che “se la determinazione della prestazione dedotta in
contratto è deferita ad un terzo e non risulta che le parti vollero rimettersi al suo
mero arbitrio, il terzo deve procedere con equo apprezzamento. Se manca la
determinazione del terzo o se questa è manifestamente iniqua o erronea, la
determinazione è fatta dal giudice”.
Ora è ben vero che – come argomentato dalla parte convenuta - il controllo
giudiziale contemplato dall’art. 1349 c.c. non può che svolgersi in sede
contenziosa e nell’ambito di un ordinario giudizio a cognizione piena, dacché lo
stesso, almeno nella prima fase, implica la risoluzione di una controversia e
richiede una decisione che abbia attitudine al giudicato.
Tuttavia, è parimenti vero che detto controllo giudiziale non può che essere
invocato nei limiti e nelle forme peculiari desumibili dal citato disposto d4ll’art.
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1349 c.c.; ché, invece, in presenza della stima dell’esperto non impugnata ai sensi
e per gli effetti di cui al citato art. 1349 c.c., la pretesa del socio receduto, volta ad
ottenere il pagamento del dovuto a titolo di valore di liquidazione della sua quota
(nell’importo determinato dall’esperto), non può essere contrastata semplicemente
sollecitando una revisione o rinnovazione della stima, non competendo al
Tribunale una mera attività di integrazione del contratto, in sostituzione del terzo.
Va, poi, rammentato che l’intervento di controllo contemplato dal citato art.
1349 c.c. consta di una preventiva fase di accertamento giudiziale, che ha ad
oggetto la verifica dell’omissione ovvero della manifesta erroneità o iniquità della
determinazione dell’esperto e che può concludersi con la liberazione delle parti
dall’obbligo, contrattualmente assunto, di osservare la determinazione del terzo;
solo una volta risolto il vincolo fra le parti - che invero si erano rimesse al terzo
arbitratore per la determinazione dell’oggetto della prestazione - il Giudice
procede a detta determinazione in sostituzione del terzo.
Significative, sul punto, sono talune pronunce della Suprema Corte (invero
risalenti, ma non superate da indirizzi di segno contrario): “La decisione
dell’arbitratore è un negozio di diritto sostanziale che, concretandosi in un atto di
volontà nell’ambito contrattuale, è soggetto ai rimedi che la legge sostanziale
appresta contro i negozi nulli o annullabili e, precisamente, all’impugnazione per
manifesta iniquità o erroneità” (Cass., Sezioni Unite, 23 agosto 1972, n. 2707;
Cass., 12 ottobre 1960, n. 2665).
E la duplice portata e funzione del procedimento di controllo giudiziale di cui
al citato art. 1349 c.c. ricorre anche nel caso in cui il terzo, alle cui determinazioni
le parti si siano rimesse per l’integrazione del contenuto dell’accordo, non dia
corso all’incarico: “Qualora il terzo - cui sia stato demandato dalle parti il
relativo compito - non addivenga alla determinazione della prestazione dedotta in
contratto né ad essa provvedano le parti direttamente ed una di esse adisca il
giudice chiedendo la condanna della controparte all'adempimento della detta
prestazione, la relativa controversia - che ha per oggetto il predetto adempimento
ed il necessario presupposto della determinazione della prestazione da eseguire -
può essere risolta direttamente, anche per il principio generale dell'economia
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processuale, dal giudice nel suo duplice oggetto, con una decisione il cui risultato
ha la funzione di integrare, quanto alla determinazione e secondo la ratio dell'art.
1349 cod. civ., il contratto nel suo manchevole elemento” (Cass. 5272/83).
Posto che l’utile esperimento del rimedio contemplato dall’art. 1349 c.c. è
subordinato alla circostanza che la determinazione del terzo sia viziata da
manifesta iniquità o erroneità, va rammentato che di iniquità manifesta è dato
discorrere allorquando, per effetto dell’attività dell’arbitratore, si determini una
rilevante sperequazione tra prestazioni contrattuali contrapposte.
Segnatamente la Suprema Corte ha evidenziato che: “In tema di arbitraggio,
per stabilire quando la determinazione della prestazione da parte del terzo sia
impugnabile per manifesta iniquità ai sensi dell'art. 1349 c.c., deve farsi
riferimento, in mancanza di un criterio legale, al principio desumibile dall'art.
1448 c.c., sicché ricorre la manifesta iniquità in presenza di una valutazione
inferiore alla metà di quella equa” (cfr. Cass. 24183/2004); inoltre la manifesta
iniquità deve essere oggettiva, non rilevando il dolo o la colpa dell’arbitratore.
Va rammentato, poi, che l’erroneità di cui fa menzione l’art. 1349 c.c. ricorre
ove la determinazione dell’arbitratore sia il portato di una valutazione basata su
dati manifestamente errati ovvero di un ragionamento caratterizzato da
contraddittorietà fra premesse e conclusioni o, ancora, risulti inficiata da un errore
di calcolo o di impostazione.
L’erroneità deve riguardare, dunque, l’attività propriamente valutativa ed
assume rilievo indipendentemente dalla circostanza che abbia o meno causato
l’iniquità della determinazione.
In ogni caso tanto l’iniquità quanto l’erroneità - che possono sussistere anche
alternativamente - devono essere manifeste ovvero riconoscibili a prima vista e
desumibili direttamente dall’esame della determinazione del terzo e non da
elementi estrinseci.
Le considerazioni sopra svolte valgono per ogni ipotesi di arbitraggio e,
dunque, anche con riferimento all’attività dell’esperto nominato ex art. 2437 ter
c.c. ovvero ex art. 2473 c.c. (in tema di società a responsabilità limitata).
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44cSentenza n. 22269/2017 pubbl. il 28/11/2017
RG n. 14616/2016Repert. n. 23649/2017 del 28/11/2017
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Ed infatti è ben vero che, mentre in via ordinaria sono le parti che scelgono il
terzo al cui equo apprezzamento intendono rimettersi, l’esperto per la
determinazione del valore di liquidazione delle azioni o della quota viene scelto
dal Tribunale, su richiesta della parte diligente.
Tuttavia identica è la funzione dell’esperto quale arbitratore, come identica è la
procedura da osservare nel caso in cui la parte – che pure abbia manifestato la
volontà di rimettere al terzo nominato dal Giudice l’individuazione del valore
delle azioni – ritenga la determinazione del terzo viziata da manifesta iniquità o
erroneità.
In definitiva, dunque una volta introdotto, in assenza di accordo, il
procedimento contemplato dall’art. 2473, III co., c.c., la determinazione contenuta
nella perizia dell’esperto nominato dal Tribunale è vincolante per le parti, le quali
possono sottrarsi alla determinazione del terzo solo facendo valere la manifesta
iniquità o erroneità della stessa con lo specifico rimedio all’uopo previsto. Ed in
caso di fondatezza delle doglianze le parti vengono liberate dal vincolo assunto e,
vi è l’intervento sostitutivo del giudice; pertanto, in ipotesi di tal fatta, la
pronuncia del Giudice assume un contenuto duplice, ovvero uno, “tipicamente
contenzioso”, avente ad oggetto l’accertamento della lamentata manifesta iniquità
o erroneità delle stima del terzo, e l’altro, “più propriamente di volontaria
giurisdizione”, avente ad oggetto la nuova determinazione, sostitutiva di quella
dell’esperto-arbitratore.
Fatte tali considerazioni con riferimento alla fattispecie concreta deve rilevarsi
che pacificamente la società convenuta non ha proposto, avverso la stima operata
dall’esperto ex art. 2473, III co., c.c., l’impugnazione ex 1349 c.c. per manifesta
iniquità o erroneità; la Stessa è, dunque, vincolata dalla suddetta stima, non
potendo sottrarsi alle determinazioni rese dall’esperto – arbitratore mediante mera
sollecitazione di una C.T.U. e sul rilievo che le conclusioni del predetto esperto
sarebbero inappaganti ed erronee alla luce delle difformi valutazioni espresse da
un suo Consulente di sua fiducia.
Pertanto, la Seiemme s.r.l. va condannata a corrispondere a Mariotti Italo, a
titolo di valore di liquidazione della quota di partecipazione al capitale sociale già
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nella titolarità dello Stesso, la somma di euro 678.610,00, oltre interessi legali con
decorrenza dall’11 maggio 2014 (data in cui, decorso il termine di preavviso, il
recesso è divenuto efficace).
Ritiene, poi, il Tribunale che si palesi parimenti fondata la domanda dell’attore
volta ad ottenere la condanna della Seiemme s.r.l. al pagamento, in suo favore,
della somma di euro 2.537,60, corrispondente al compenso in favore dell’esperto
versato da Mariotti Italo; e tanto in considerazione del fatto che il ricorso al
procedimento ex art. 2473, III co., c.c., con gli oneri economici consequenziali, si
è reso necessario in ragione della inerzia della società odierna convenuta.
Alla soccombenza consegue la condanna della Seiemme s.r.l. alla rifusione, in
favore di Mariotti Italo, delle spese del presente giudizio, nella misura liquidata in
dispositivo, tenendo conto della natura e del valore della causa, del numero e del
rilievo delle questioni affrontate nonché delle attività processuali espletate e
documentate in atti.
P.Q.M.
Il Tribunale di Roma – Sezione specializzata in materia d’impresa, come sopra
composto, definitivamente pronunciando nel procedimento iscritto al N.
14616/2016 R.G., così provvede:
- Accerta e dichiara la legittimità del recesso dalla Seiemme s.r.l.,
esercitato da Mariotti Italo con dichiarazione comunicata a mezzo lettera
raccomandata pervenuta alla destinataria il 12.11.2013.
- Condanna la Seiemme s.r.l. al pagamento, in favore di Mariotti
Italo - ed a titolo di valore di liquidazione della quota di partecipazione al
capitale sociale già nella titolarità dello Stesso - della somma di euro
678.610,00, oltre interessi legali con decorrenza dall’11 maggio 2014.
- Condanna, inoltre, la Seiemme s.r.l. al pagamento, in favore di
Mariotti Italo, della somma di euro 2.537,60, oltre interessi al tasso legale
e con decorrenza dalla data della domanda giudiziale.
- Condanna la Seiemme s.r.l. alla rifusione, in favore di Mariotti
Italo, delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 1.730,98 per
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RG n. 14616/2016Repert. n. 23649/2017 del 28/11/2017
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spese vive ed euro 24.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso
spese generali, IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 26 settembre 2017.
Il Giudice estensore Il Presidente
Clelia Buonocore Stefano Cardinali
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