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RESISTENZA E STORIA EUROPEA: PROBLEMI E METODOLOGIA DELL’INSEGNAMENTO* I. Non so se il tema che è stato fissato per questa conferenza su « l’insegnamento della Resistenza » costituisca una semplice continuazione, sok» diversamente formulata, del tema della pre- cedente conferenza, organizzata dalla F.I.R. circa sei anni or sono a Firenze, oppure intenda essere una determinazione e una spe- cificazione del discorso al punto nel quale la conferenza del 1959 lo aveva portato. Così, in ogni caso, ho inteso il mio compito allorché ho accettato l’invito di preparare questa relazione intro- duttiva. Voi tutti ricorderete, infatti, che uno dei punti fermi ai quali la conferenza di Firenze era pervenuta, tanto nella relazione introduttiva del compianto Roberto Battaglia 1 quanto nella quasi totalità degli interventi, era stato quello di centrare l’interesse non tanto sui generali rapporti spirituali tra la Resistenza e le giovani generazioni, quanto sui modi e sulle forme concrete nelle quali questo rapporto si veniva istituendo, cioè sui mezzi di conoscenza, di trasmissione e di insegnamento della storia della Resistenza presso le giovani generazioni. E’ di qui, perciò, che in primo luo- go occorrerà partire. Nel ’59 Battaglia era pervenuto alla constatazione di alcune caratteristiche comuni del modo di presentarsi del problema, ma insieme di profonde differenze da paese a paese. Ebbene, come stanno le cose oggi, a distanza di sei anni? Si avverte qualche mutamento 0 c’è un sintomo di stazionarietà? Se si avverte qual- che mutamento, ciò avviene nel senso di accentuare o di atte- nuare le differenze da paese a paese? La prima questione che a * Testo della relazione introduttiva alla IIa conferenza internazionale sull’insegna- mento della storia della Resistenza, tenuta a Praga dal 13 al 15 aprile 1965 e organizzata dalla Fédération Internationale des Résistants (F.I.R.). 1 Cfr. ora il testo di questa relazione in R oberto Battaglia, Risorgimento e Resi- stenta, a cura di Ernesto Ragionieri, Roma, 1964, pp. 359-385.

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R E SIST E N Z A E STO RIA EU RO PEA :

PROBLEMI E M ETO DO LO GIA D E L L ’IN SEG N A M EN T O *

I.

Non so se il tema che è stato fissato per questa conferenza su « l’insegnamento della Resistenza » costituisca una semplice continuazione, sok» diversamente formulata, del tema della pre- cedente conferenza, organizzata dalla F.I.R. circa sei anni or sono a Firenze, oppure intenda essere una determinazione e una spe­cificazione del discorso al punto nel quale la conferenza del 1959 lo aveva portato. Così, in ogni caso, ho inteso il mio compito allorché ho accettato l’invito di preparare questa relazione intro­duttiva. Voi tutti ricorderete, infatti, che uno dei punti fermi ai quali la conferenza di Firenze era pervenuta, tanto nella relazione introduttiva del compianto Roberto Battaglia 1 quanto nella quasi totalità degli interventi, era stato quello di centrare l’ interesse non tanto sui generali rapporti spirituali tra la Resistenza e le giovani generazioni, quanto sui modi e sulle forme concrete nelle quali questo rapporto si veniva istituendo, cioè sui mezzi di conoscenza, di trasmissione e di insegnamento della storia della Resistenza presso le giovani generazioni. E ’ di qui, perciò, che in primo luo­go occorrerà partire.

Nel ’ 59 Battaglia era pervenuto alla constatazione di alcune caratteristiche comuni del modo di presentarsi del problema, ma insieme di profonde differenze da paese a paese. Ebbene, come stanno le cose oggi, a distanza di sei anni? Si avverte qualche mutamento 0 c’è un sintomo di stazionarietà? Se si avverte qual­che mutamento, ciò avviene nel senso di accentuare o di atte­nuare le differenze da paese a paese? La prima questione che a

* Testo della relazione introduttiva alla IIa conferenza internazionale sull’insegna­mento della storia della Resistenza, tenuta a Praga dal 13 al 15 aprile 1965 e organizzata dalla Fédération Internationale des Résistants (F.I.R.).

1 Cfr. ora il testo di questa relazione in R oberto Battaglia, Risorgimento e Resi- stenta, a cura di Ernesto Ragionieri, Roma, 1964, pp. 359-385.

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questo proposito si pone investe il bilancio di ciò che è stato fatto in questi ultimi cinque'Sei anni, cioè le modificazioni che sono state introdotte nell’ insegnamento della Resistenza impartito nelle scuole dei diversi paesi o attraverso altri mezzi di trasmissione. E ’ quello che cercherò innanzitutto di fare, utilizzando la docu' mentazione raccolta dalla F.I.R. che, se non è completa in quanto non ha trovato dappertutto la risposta agli interrogativi che aveva posto e ai questionari che aveva fatto circolare, è tuttavia abba- stanza vasta da consentire un primo bilancio ricco di suggestioni e di problemi. Formulo la speranza che la discussione possa non soltanto colmare le lacune nell’ informazione, ma anche correggere le eventuali opinioni unilaterali che possono essere scaturite dalla mia presa di contatto con questa.

La prima constatazione che si impone, in questo bilancio prov- visorio, è che sarebbe profondamente errato considerare il quim quennio trascorso come un tempo complessivamente perduto. Le relazioni pervenute dai singoli paesi non sono soltanto dei «cahiers de doléance». Sono anche dei rapporti di cose effettivamente fatte. Nessun paese, mi pare, resta escluso da questo resoconto di atti- vita positiva. Tuttavia la tendenza di fondo pare quella di un accentuarsi, piuttosto che di un attenuarsi dei dislivelli di atti' vita, di un certo frammentarsi dell’ iniziativa. Che questo, poi, lascia adito a numerosi problemi comuni è solo apparentemente contraddittorio.

E ’ comprensibile che siano gli Stati fondati da un nuovo re' girne sociale, che ha trovato nella guerra di liberazione il suo fon- damento, quelli che in Europa danno maggior rilievo all’inse- gnamento della Resistenza. L ’esperienza della Repubblica Popo' lare Jugoslava costituisce la riprova di questo stretto rapporto tra carattere determinante della guerra di liberazione per la costitU' zione del nuovo regime e intensità dell’ insegnamento della storia della Resistenza. Nella Repubblica Popolare Jugoslava (attingo que' sti dati dalla relazione del Sub-nor) i « programmi e le istruzioni ufficiali prescrivono per tutti i gradi l’ insegnamento della storia della lotta nazionale di liberazione dei popoli jugoslavi ». Certo, questo insegnamento si realizza in forme diverse da grado a grado di scuola, ma è significativo vedere come sia diffuso a tutti i li- velli, a cominciare da quelli nei quali l’insegnamento della storia non è previsto in una sua forma specifica, come nei giardini d’in-

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fanzia e nei primi cinque anni delle scuole primarie, i cui prò- grammi di insegnamento perseguono il fine « di fare conoscere agli allievi gli avvenimenti e i personaggi del passato lontano e recente della loro regione e soprattutto la partecipazione della loro regione alla guerra di liberazione nazionale ». In quest’ambito viene prevista ad esempio, nella prima classe, la conoscenza della lotta per la liberazione della propria località. Questa impostazio- ne, mentre risponde a precise esigenze pedagogiche, corrisponde anche all’ importanza che l’iniziativa differenziata e articolata as- sunse in un movimento così esteso e dotato di grande spontaneità come il movimento di liberazione jugoslavo, e trova quindi il suo fondamento nell’aderire al reale sviluppo della storia.

Nei paesi socialisti dell’Est europeo, nei quali il regime afferà matosi dopo la seconda guerra mondiale si richiama alla Resi' stenza come al suo presupposto e alla sua origine più diretta, la tendenza appare assai vicina a quella che abbiamo descritta per la Jugoslavia, tuttavia non senza qualche variante significativa. L ’insegnamento della Resistenza in questi paesi istituisce infatti uno stretto rapporto tra la lotta di liberazione e una profonda trasformazione sociale in direzione del socialismo. Accanto al ca' rattere democratico è posto in particolare rilievo (come risulta moi- to esplicitamente, ad esempio, dalla relazione cecoslovacca) il ca- rattere nazionale della Resistenza, con un’accentuazione che cor- risponde senza dubbio alle necessità e alle aspirazioni di paesi dalla storia nazionale se non oggettivamente recente, certo per un lungo periodo di tempo fortemente contrastata sul piano dell’afferma- zione di un’autonomia politica e culturale, e per i quali la Resi' stenza ha costituito un movimento che ha sancito la definitiva indipendenza dalle minacciose pretese dell’imperialismo tedesco. Il principio dell’uguaglianza e dell’indipendenza dei popoli appare essenzialmente come una determinazione del carattere democra' tico e nazionale che informa l ’insegnamento della storia della Re- sistenza nei rispettivi paesi. Ciò spiega anche come nei programmi scolastici di questi paesi la storia della Resistenza come fenomeno internazionale sembra comparire soltanto nei corsi di lezioni e di seminari universitari. Si può rilevare come particolarmente in Polonia e in Romania l’ insegnamento extra-scolastico della Resi­stenza occupi un posto assai rilevante per la diffusione veramente notevole delle lezioni e delle conferenze sull’argomento trasmesse

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dalle Università popolari. Mentre, però la relazione romena con­sidera la forma di insegnamento della storia della Resistenza rea­lizzata in quel paese come il punto massimo delle sue possibilità di espansione e di espressione, la relazione polacca presenta come compiti dei futuri programmi di insegnamento un miglioramento e una maggiore articolazione dei vari strumenti didattici e, in mo­do particolare, sul piano del contenuto della esposizione, l’ inser­zione di una più approfondita conoscenza dei gruppi e delle orga­nizzazioni clandestine nell’aiuto prestato all’armata di liberazione. Non sappiamo se questo accenno voglia significare un richiamo alla necessità di fare conoscere meglio la complessa composizione politica della Resistenza polacca. E ’ questa una esigenza, comun­que, che appare legittima anche per tutti gli altri paesi.

Giustamente, inoltre, la relazione sull’ insegnamento dei rap­porti tra l’antisemitismo e il fascismo, presentata dal prof. R. Mahler dell’Università di Tel A viv, insiste sulla necessità di guardare, oltre che all’antisemitismo come indice preciso di un generale insorgere di minacce reazionarie, al contributo dato dagli ebrei non soltanto alla Resistenza passiva, ma anche alla lotta armata nelle condizioni più difficili e nelle forme più audaci. Un contributo specifico in questo senso assai interessante, anche se discutibile nella impostazione interna, viene dalla Francia con un quaderno sull’antisemitismo dedicato all’insegnamento secondario e compo­sto da una serie di documenti e di questionari, che la commissione della Repubblica francese per l’educazione, la scienza e la cultura pubblicò nel novembre i960. Ma anche in questo caso l’insurre­zione del ghetto di Varsavia è documentata dalla deposizione del generale tedesco Stroop al processo di Norimberga e non dalla cro­naca del ghetto di Varsavia scritta da un protagonista di ecce­zione, il professore del liceo di Varsavia Emanuele Ringelblum.

Diversità naturalmente assai più profonde si osservano allor­ché si passi ai paesi dell’Europa occidentale. Un rapporto di in­sieme presentato a proposito dei paesi aderenti al Consiglio di Europa (Italia, Francia, Gran Bretagna, Austria, Repubblica Fe­derale Tedesca, Belgio, Olanda, Grecia, Danimarca, Norvegia) permette in primo luogo di osservare come la minore attenzione prestata in generale all’ insegnamento della Resistenza sia da met­tere in relazione con un minore interesse portato in tutto Finse-

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gnamento per la storia contemporanea, per la formazione più recente del mondo nel quale l’allievo si appresta ad inserire la sua autonoma individualità. Ma tutta una varietà di casi è rile- vabile da paese a paese, e ciascuno di questi casi sembra da col' legarsi non soltanto con la varietà delle situazioni oggettive costi' tuite dai rapporti politici e di potere dominanti, ma anche con le possibilità che sono state utilizzate per modificarli.

La punta estrema di disinteresse sembra essere rappresentata dal Belgio e dalla Grecia, che sono a tutt’oggi gli unici paesi di Europa nei quali l’ insegnamento della Resistenza non entra ad alcun titolo nei programmi scolastici. L ’assenza di ogni accenno al riguardo non appare affatto attribuibile ad un scarso peso che nella storia di quei paesi ha avuto la Resistenza: tutt’altro! D i' versità di direzione e di contenuti politici può avere assunto neh l’uno o nell’altro paese il movimento della Resistenza, ma tanto nel Belgio quanto in Grecia esso ha riempito di se le pagine della storia contemporanea. La causa fondamentale di quest’assenza, che in Grecia fa arrestare i programmi scolastici di storia addirittura al 19 18 , sembra consistere nella permanenza dell’istituto monar' chico in ambedue i paesi: nel tentativo della monarchia di sot' trarsi ad ogni curiosità intorno al proprio operato negli anni che precedettero la seconda guerra mondiale, nel corso del conflitto, per non parlare poi delle vicende che ne hanno assicurato la SO' pravvivenza alla fine e anche dopo la conclusione della guerra.

Per tutti gli altri paesi aderenti al Consiglio di Europa, che pure vedono la Resistenza ricordata nei programmi d’insegna- mento, le manifestazioni di questo relativo interesse, e anche le ragioni che ne sono alla base, devono essere esaminate con attem zione. In nessuno di questi casi sembra possibile potere affermare che la storia della Resistenza viene insegnata in se e per se, come qualche cosa di obbligatorio, ma anche di complessivamente di' staccato dalla storia del rispettivo paese. L ’ inquadramento e Pas- sorbimento della storia della Resistenza nella prospettiva nazio- naie dei rispettivi paesi sembra essere, nella generalità dei casi, un fatto compiuto. Questo fatto trova però un risvolto non del tutto positivo nella limitata attenzione che viene invece prestata alla storia della Resistenza come fenomeno generale della storia di Europa. Se infatti un’attenzione complessiva viene portata sulla Resistenza nel quadro degli avvenimenti della seconda guerra

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mondiale, è per rilevare il contributo che essa ha dato al successo degli eserciti regolari delle potenze alleate, il ruolo importante, ma anche subordinato ed ausiliario che essa ha portato in una concezione della guerra sostanzialmente intesa in modo tradizio­nale. Ciò viene a mettere in evidenza un limite di quell’inseri­mento della storia della Resistenza nella prospettiva delle singole storie nazionali. Appare perciò come un fatto estremamente signi­ficativo che la Resistenza venga inserita nella storia tradizional­mente intesa dei rispettivi paesi, come una coda ma anche come una conferma di questa concezione.

Ma il settore più delicato e doloroso dell’ intero e complesso panorama resta pur sempre la Germania, o per essere più precisi la Repubblica Federale Tedesca. Nella Repubblica Democratica Tedesca, infatti, l’insegnamento della Resistenza non soltanto in ogni ordine di scuole, ma anche nelle varie istanze della vita pub­blica è trasmesso con la piena consapevolezza del ruolo della Re­sistenza tedesca ed europea per assicurare uno sviluppo democra­tico e pacifico al futuro della Germania e del mondo. Le molte­plici iniziative nelle quali si realizza l’educazione democratica e antifascista delle giovani generazioni nella Repubblica Democratica Tedesca e che hanno i loro momenti più significativi nelle visite degli allievi di ogni ordine di scuole ai campi di concentramento, nella critica inclemente delle tendenze imperialistiche e reaziona­rie della storia tedesca intesa quale presupposto necessario per là nascita di una Germania democratica e pacifica, sono troppo note da tempo perchè in questa sede si debba ulteriormente insistere su di una loro caratterizzazione generale. Sarà più opportuno li­mitarsi ad indicare come il libro di testo per la decima classe, che avvia la sua esposizione dall’ inizio della seconda guerra mon­diale per portarla fino agli avvenimenti più recenti, dia un posto assai largo nella trattazione della seconda guerra mondiale, alla Resistenza nei singoli paesi di Europa. Le pagine sulla Resistenza tedesca, pur imperniate sulle lotte dei comunisti e della classe operaia, mettono in forte risalto -— anche nelle illustrazioni — il sacrificio dei fratelli Scholl e cercano di spiegare la complessa composizione della congiura del 20 luglio 3.

Non è semplice dare una risposta univoca riguardo all’inse- 2

2 Cito dalla edizione del 1960, Volk und Wissen Verlag, Berlin.

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gnamento della Resistenza nella Repubblica Federale Tedesca. Tuttavia non sembra di potere accettare lo scettico parere della Federazione degli insegnanti di storia della Repubblica Federale secondo il quale una fondata informazione e un chiaro giudizio potrebbero essere forniti soltanto al termine di un’indagine cir­costanziata e differenziata, la quale partisse dal riconoscimento che nei diversi LUnder sussistono differenti programmi di insegna­mento, che libera è la scelta dei manuali scolastici, non rappor­tabile ad uniformità la formazione dei singoli insegnanti, e così via. Senza dubbio, una tale inchiesta estremamente articolata in tutta la sua complessità, sarebbe estremamente utile, e sarebbe auspicabile che la Federazione stessa o altri istituti la iniziassero quanto prima. Ma non si tratta di un problema nuovo, di una eccentrica curiosità suscitata per qualche divertimento sociologico. Da quando una serie di inchieste giornalistiche e la trasmissione televisiva di Jürgen Neven Du Mont (1959) rivelarono nella gio­ventù della Germania occidentale una situazione di trascurata igno­ranza del passato, da quando le svastiche apparse sui muri delle sinagoghe nell’inverno del i960 dimostrarono che su questa igno­ranza poteva innestarsi la ripresa di un’aperta propaganda nazio­nalsocialista, non si tratta più, fortunamente, di un problema che sia oggetto soltanto delle indagini riservate di alcuni specialisti. Ciò che magari, fino a quel momento, poteva essere avvertito sol­tanto dai gruppi più consapevoli della necessità come presupposto di una lotta conseguente per la eliminazione dei nazisti dall’ap­parato dello Stato e per la democratizzazione della Germania, è divenuto oggi un problema centrale, all’ordine del giorno nella Ra- pubblica Federale Tedesca. Poco dopo i fatti e i rilievi che ab­biamo menzionato, non a caso uno scrittore di origine tedesca, ma naturalizzato americano, T . H . Tetens, nella sua opera The new Germany and the old Nazis lanciava un significativo grido di allarme quando rilevava che « il grande sforzo collettivo per cancellare il diabolico passato nazista dalla coscienza nazionale ha creato una nazione di illetterati storici » 3. Ora, il primo grande interrogativo al quale è necessario fornire una risposta è se que­sto sforzo abbia potuto consumarsi con completo successo, quali

3 T . H . T e t e n s , La nuova Germania e i vecchi nazisti, trad. di R. Giachetti, Ro­ma, 1963, p. 231.

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forze gli si oppongano e come, quali eventuali variazioni la situa­zione presenti rispetto a cinque-sei anni or sono.

Il materiale pervenuto nel corso della preparazione di questa conferenza, e cioè l’ampia e articolata relazione presentata dall’As­sociazione dei perseguitati dal nazismo e le numerose risposte al questionario diramato dalla F.I.R., unanimi nel denunciare la si­tuazione dell’insegnamento della Resistenza nella Repubblica Fe­derale Tedesca, non nascondono le iniziative prese e le modifica­zioni intervenute negli ultimi anni in seguito alle denunce e alle rivelazioni degli anni 1956-60. Un fatto senza dubbio positivo in questo senso ha rappresentato la linea di maggiore sorveglian­za e di più diretto intervento seguita dai ministri dei culti dei Lander nel concedere l’autorizzazione ai libri di testo in uno nelle scuole medie e superiori, come pure in termini positivi è da va­lutare la decisione presa in comune sempre dai ministri dei culti dei Lander di unificare le disposizioni relative all’ insegnamento del più recente passato, e quindi anche della storia della Resi­stenza contro il regime nazionalsocialista. La corsa sfrenata al­l ’oblìo del passato che le inchieste degli anni 1959-60 avevano posto in evidenza in rapporto ai manuali in uso nelle scuole è sem­brata almeno momentaneamente arrestarsi. Lo spazio dedicato alla storia contemporanea e nel suo ambito, in particolare, all’età del nazismo, alla persecuzione degli ebrei, alla politica di occupazione di Hitler in Europa, ai movimenti di resistenza, appariva note­volmente diminuito nelle edizioni del 1959 rispetto a quelle di dieci anni avanti. Ora, nelle edizioni più recenti, si è tornati a parlare più diffusamente della storia del nazionalsocialismo, della « soluzione finale » della questione ebraica e della politica di guer­ra di Hitler, mentre dai manuali sono scomparsi i titoli più aper­tamente elogiativi dei « successi economici » o di altri aspetti della politica nazista.

Tuttavia ci sembrano da accettare le conclusioni alle quali pro­prio dopo questo rimaneggiamento dei testi scolastici è pervenuto Felix Molitor nel corso dell’accurata rassegna di una dozzina di manuali scolastici in uso in vari ordini di scuole dell’Assia, ma abbastanza rappresentativi di una tendenza generale dei manuali scolastici della Repubblica Federale Tedesca:

Dovevamo fino dall’inizio prevedere di ritrovare l’immagine consueta, dal momento che il clima di restaurazione in questo paese non manca di

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fare sentire i suoi effetti sugli autori di libri di storia e l’anticomunismo militante sta loro attaccato alle ossa come ad ogni altro cittadino della Repubblica Federale.

Tuttavia non può essere taciuto che abbiamo trovato anche qualche buona esposizione e che almeno per ogni tipo di scuola esiste un libro di storia che si avvicina in modo soddisfacente alla nostra concezione di un’ampia e obbiettiva spiegazione della storia contemporanea. Tuttavia l’insieme abbonda di sotterfugi, di semiverità, di deformazioni. Certo, non vengono lodate scoperte parole d’ordine hitleriane, pure si abborraccia spu- doratamente, si giustifica tra le righe, si scusa e si sollecita la compren­sione. Lo sfondo del « Terzo Reich » non viene illuminato e gli uomini che gli stavano dietro non sono nominati. Molte cose sono esposte in un modo tale che può indurre gli scolari a fraintendimenti, senza che il con­tenuto o la formulazione, esattamente compresi, siano da incriminare.

Non di rado sorge il sospetto che alcuni di questi autori che dovreb­bero far luce sull’origine, l’essenza e le conseguenze del regime nazista non abbiano ancora superato essi stessi l’età del nazionalsocialismo. In ogni caso porta a questa conclusione l’uso frequente di vocaboli dalla fraseologia del Terzo Reich. Continuamente si torna ad imbattersi (non in citazioni, e neppure posti tra virgolette) in concetti come: Volkstum - Deutschtum - Volksgemeinschaft - V olkerschaften - volkisch - fremdvolkisch - deutschstdmmig - fremdrassig - entarten - nationale Schmach - Feind- machte *.

Queste osservazioni di carattere generale, che Molitor ricava da un’analisi attenta dei manuali scolastici, divengono ancora più gravi allorché si tenga presente che in questi stessi manuali la trattazione della storia del nazionalsocialismo, pure introdotta con tanta reticenza, si accompagna ad un’assai marcata permanenza in circolazione di tutta una serie di leggende e di luoghi comuni, dalla « immotivata » sconfitta dell’esercito tedesco alla fine della prima guerra mondiale, vero succedaneo della leggenda del « colpo di pugnale nella schiena », alla insistente e minuziosa descrizione della cacciata dei tedeschi dalle regioni orientali, alla quale fa riscontro il silenzio quasi assoluto sulla politica di sfruttamento sistematico condotta daH’imperialismo tedesco nei paesi occupati dell’Est europeo. E ’ qui, in questo legame mai del tutto disciolto con la propaganda deH’imperialismo tedesco, che trova il suo col- legamento con l’educazione scolastica il clima revanscista esistente in larghi settori dei circoli dirigenti della Repubblica Federale T e ­desca e che si indirizza alle giovani generazioni attraverso una se- 4

4 Cfr. Felix Molitor, Restauration und Reaktion in westdeutschen, Geschichts- biichern, in « Blatter für deutsche und internationale Politik », VILI (1963), p. 709.

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rie di tramiti insidiosi, che vanno dalla « Ostkunde », una sorta di propaganda per la riconquista delle regioni dell’Est introdotta come insegnamento obbligatorio nelle scuole medie e superiori te- desche, fino ai Landserhefte, pubblicazioni di larga diffusione pò- polare che propagandano in mezzo alle masse e ai giovani gli ideali di un’etica guerriera e dominatrice.

Questa è la cornice che limita tanto fortemente la possibilità di un corretto insegnamento della storia della Resistenza. Anche su questo punto la rassegna dei manuali scolastici e le risposte ai questionari corrispondono perfettamente alla relazione dell’Asso' ciazione perseguitati dal nazismo: l’insegnamento della storia della Resistenza si esaurisce nell’ambito puramente nazionale, tedesco; alla Resistenza negli altri paesi si accenna soltanto coi riferimenti, d’altra parte tutt’altro che privi di tendenziosità, alla guerra par- tigiana; e anche la Resistenza tedesca è confinata negli anni della seconda guerra mondiale, e racchiusa pressoché esclusivamente neh la congiura del 20 luglio 1944. Se qualche menzione trova Die weisse Rose dei fratelli Scholl, ignorati sono tutti gli altri movi' menti di resistenza e la discriminazione è particolarmente pesante nei confronti del movimento operaio.

Il prevalere, nell’insegnamento scolastico della storia della Re' sistenza, della linea divenuta ufficiale nella Repubblica Federale Tedesca, che ha a suo fondamento l’ interpretazione restaurativa e anticomunista che Gerhard Ritter ha dato di questo episodio, facendone protagonista Cari Goerdeler e il gruppo dei generali a lui associati % è tutt’altro che casuale. Esso ha anzi il suo fon- damento neH’orientamento di sostanziale restaurazione che, fino dal suo costituirsi, ha presieduto alla vita dello Stato tedesco-occh dentale, nel tentativo di riassorbire e di utilizzare tutto ciò che del passato più recente o più lontano della storia della Germania fosse conciliabile con una politica di continuità dell’imperialismo tedesco. Il recente dibattito intorno alle prescrizioni dei delitti na- zisti mostra che qui è il centro della questione. 5 &

5 Cfr. W erner Berthold, « ... grosshungern und gehorchen ». Zur Entstehung und politischen Funktion der Geschitchtsdeologie des westdeutschen Imperialismus untersucht am Beispiel von Gerhard Ritter und Friedrich Meinecke, Berlin, Riitten& Loening, i960, p. 210 e sgg. Per una rassegna critica delle tendenze storio­grafiche sulla Resistenza tedesca cfr. E nzo Collotti, Per una storia d ell’oppo­sizione antinazista in Germ ania. Contributi docum entari e storiografici, in « Ri­vista storica del socialismo », fase. 12 (genn.-aprile 1961), pp. 105-137.

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Questo clima generale, che scaturisce direttamente dai rap­porti di potere prevalenti nella Repubblica Federale Tedesca, limita la portata e il risultato delle numerose iniziative per fare accedere le giovani generazioni tedesche ad una conoscenza del più recente passato che, in corrispondenza coi risultati acquisiti dalle migliori ricerche storiche, li porti infine a superare die unbe- ivaltigte Vergangenheit. Ritengo, ad esempio, sia estremamente difficile citare il caso di un altro insegnante universitario non sol­tanto della Repubblica Federale Tedesca, ma anche di tutta l’Eu­ropa, che dal 1958 abbia dedicato alla storia contemporanea in generale e in particolare alla problematica storica del nazional­socialismo e della Resistenza tedesca una serie altrettanto siste­matica di corsi di seminario quali quelli svolti dal 1958 ad oggi dal prof. Abendroth dell’Università di Marburgo, e nei quali la ricerca e la discussione procedono per una loro strada caratteriz­zata da indubbi spunti di originalità. Ma si tratta pressoché di un’eccezione nelle università della Germania occidentale, dove il più delle volte, quando si parla del nazionalsocialismo e della Re­sistenza, prevale la tendenza a configurare i problemi storici de­terminati in termini di categorie logiche o siociologiche. Questo contribuisce a spiegare come tra le molte centinaia di dissertazioni di laurea che nelle diverse facoltà delle Università della Germania Federale sono state discusse a proposito di vari aspetti e problemi della seconda guerra mondiale figurino decine e decine di titoli concernenti la storia militare o la questione dei profughi delle re­gioni orientali, e come possa trovarsi persino il titolo di una dis­sertazione sulla « dottrina di Monroe del 1823 come modello per il concetto nazionalsocialista del grande spazio » ma non figuri quasi alcun esempio relativo alla storia della Resistenza tedesca o europea.

Un altro paese nel quale il problema dell’ insegnamento della Resistenza si pone indissolubilmente connesso con la conoscenza critica della storia del fascismo, e quindi necessariamente in un contesto più ampio di storia contemporanea, è l’ Italia. Proprio il caso dell’ Italia dimostra la varietà e la complessità degli ostacoli che la chiarificazione della storia del più recente passato incontra anche là dove la Resistenza ha assunto un carattere di largo mo­vimento di massa per la riconquista dell’ indipendenza nazionale, ma il nuovo Stato repubblicano, sorto dalla guerra di liberazione,

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soffre di una permanente contraddizione tra la sua ispirazione ideale e una continuità mai definitivamente troncata nell’assetto di potere e nelle classi dirigenti.

Sino a pochi anni or sono i programmi di ogni ordine e gra­do delle scuole italiane, non includevano l’insegnamento della sto­ria contemporanea. E ’ difficile spiegare le ragioni per le quali i legislatori italiani avessero stabilito che l’ insegnamento della storia dovesse arrestarsi alla fine della prima guerra mondiale: antichi pregiudizi classicistici si intrecciavano a caratteristiche della men­talità accademica italiana, aliena dall’assegnare un valore forma­tivo allo studio del mondo contemporaneo. Ciò che però permet­teva che tutto questo si traducesse in una decisione legislativa era l’atteggiamento incerto e timoroso verso il passato recente della storia italiana da parte delle forze che si erano insediate al potere dopo il 1948. La protesta delle forze più avanzate della cultura italiana, consapevoli dell’eredità della Resistenza e della necessità di trasmetterla alle giovani generazioni, cominciò assai rapida­mente: innumerevoli si contano a partire dal 19 5 1 , le prese di posizione per una inclusione nei programmi di insegnamento delle scuole elementari e medie della storia contemporanea dalla prima guerra mondiale alla Resistenza e alla nascita della nuova Italia.

Però, perchè si arrivasse, nel novembre i960, alla decisione presa dal ministero della pubblica istruzione di includere la storia contemporanea nei programmi di insegnamento non è stato ne­cessario soltanto passare attraverso una serie di tappe intermedie, quale l’ insegnamento della Costituzione repubblicana, emanazione diretta della Resistenza, nell’educazione civica. E ’ stato altresì ne­cessario che quelle proteste della parte più avanzata della cultura italiana investissero e guidassero un grande movimento di massa e che questo si traducesse, nel luglio del i960, in una forza poli­tica capace di fare intendere che l’ostacolo opposto ad ogni pos­sibile ritorno al passato fascista era armato di una precisa cono­scenza specifica 6.

Sotto questo profilo un lavoro veramente notevole è stato compiuto in Italia proprio in questi ultimi cinque-sei anni. Per primi, se non vado errato, l ’Unione Culturale Torinese e il Cir-

6 Per una aggiornata esposizione del problema c£r. Franco Catalano, P er l’ inse­gnamento della storia della Resistenza, in « Belfagor », X IX (1964), pp. 2 34 -2 4 1. Una bibliografia molto ampia in Mario Bendiscioli - Roberto Berardi, L ’ insegna­mento della storia, Firenze, Le Monnier, 19 6 3.

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colo della Resistenza di Torino presero nella primavera del i960 l’ iniziativa di organizzare una serie di lezioni sulla storia d’ Italia, dalla prima guerra mondiale alla Resistenza. La formula era quella di combinare la lezione storica con il racconto dei fatti, attraverso le testimonianze dei protagonisti e dei partecipanti agli avvenir menti stessi. La lezione doveva essere tenuta da uno studioso di storia, le testimonianze da uomini politici appartenenti alle diverse correnti antifasciste della Resistenza, nessuna esclusa. Questa for- mula unitaria riscosse un enorme successo a Torino dove le ma­nifestazioni, nel numero di quattordici, furono appassionatamente seguite da migliaia e migliaia di giovani: le lezioni furono tenute da alcuni dei maggiori studiosi italiani di stora contemporanea e alle testmonianze parteciparono si può dire quasi tutte le più gran­di personalità dell’antifascismo e della Resistenza. Negli anni suc­cessivi la formula adottata a Torino fu ripresa e viene tuttora se­guita in occasione del ventennale della Resistenza in centinaia e centinaia di grandi e piccole città italiane '. E ’ potuto variare da luogo a luogo il numero delle manifestazioni costituenti il ciclo, è variata e si è notevolmente arricchita la serie degli oratori, tanto per gli autori delle lezioni quanto per i testimoni (talvolta nei centri minori è stato dato vita a lezioni seguite da discussione, eliminando la mediazione delle testimonianze), ma la formula è rimasta sempre la stessa, e cioè unitaria, fondata sul presupposto comune della ricerca della verità sia pure partendo dalla diversità delle concezioni ideali e politiche. Ne è scaturita una delle più grandi manifestazioni culturali che abbiano investito la nazione italiana in questo secondo dopoguerra. Si può con piena sicurezza affermare che questi corsi di lezioni e di testimonianze sono stati complessivamente seguiti da centinaia e centinaia di migliaia di giovani, che in molti casi ne sono stati anche gli organizzatori e che comunque sempre ne hanno costituito il pubblico spontaneo. Si è trattato complessivamente di un’iniziativa privata, anche quando questa è stata incoraggiata e appoggiata da autorità locali, e particolarmente dalle amministrazioni comunali e provinciali di orientamento democratico e antifascista. Ma tutto ciò ha avuto 7

7 Finora sono stati pubblicati i corsi di Torino (Torino, Einaudi, 1961), Milano (Mi­lano, Feltrinelli, 1962), Mantova (Mantova, U .G .I., 1963) e Bologna (Roma, Edi­tori Riuniti, 1964). Per l’ esattezza, un analogo corso di lezioni era già stato tenuto a Roma nel 1959 (Bari, Laterza, i960), ma impostato su di una formula legger­mente diversa.

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il risultato di incoraggiare altre iniziative private e ha finito con l’investire direttamente anche il mondo della scuola.

Tutto questo, se ha segnato un indubbio passo in avanti, ha però contribuito soltanto ad impostare il problema dell’insegna- mento della storia contemporanea in Italia ad un livello più ele­vato. L ’esperienza fatta in questi ultimi anni, e che ha avuto nella scuola, ma non solo in essa, il suo maggiore rilievo, ha dimostrato come non sia assolutamente possibile considerare l’ insegnamento della storia contemporanea come una semplice appendice giustap­posta a programmi, a manuali, a concezioni tradizionalmente in­tesi. Un’accurata analisi della trattazione della storia contempora­nea nei manuali in uso nelle scuole italiane dei diversi gradi, condotta da un gruppo di giovani studiosi milanesi, ha esattamente rilevato, accanto all’esistenza e alla diffusione di alcuni buoni manuali scientificamente aggiornati, la tendenza diffusa di « con­fondere e tacitare ogni problema, di nascondere ogni elemento meno che pacifico, di allineare in soporifera connivenza gli ele­menti più opposti. Sovente — è questo l’esempio più clamoroso di tale originale ’ neutralità scientifica ’ ■— gli autori trovano modo di presentare con accenti parimenti benevoli sia lo Stato prefascista, sia il fascismo, sia la Resistenza; le differenze, i con­trasti, le lotte scompaiono inspiegabilmente, assorbiti in un sem­plicistico ’ storicismo ’ di dubbia origine » 8. Per questo aspetto dei manuali scolastici la situazione dell’ Italia è in parte analoga a quella della Germania occidentale, nel senso che pesanti ap­paiono tuttora gli ostacoli e gli schermi frapposti alla effettiva comprensione del passato. Il fatto stesso che la maggior parte dei manuali parlino della Resistenza come di un fenomeno soltanto italiano e, per lo più, in termini esclusivi di guerra nazionale ed antitedesca, fa sì che essa possa essere facilmente riassorbita nella trama di una equivoca continuità nazionale, che opera essa stessa con una precisa funzione restauratrice.

La differenza tra l’ Italia e la Germania occidentale consiste in­vece nel fatto che in Italia le forze che si richiamano alla Resi­stenza non soltanto sono state in condizione di dirigere una grande guerra popolare di liberazione e hanno saputo validamente con-

8 La stona contemporanea nelle scuole. Note sui libri di testo (a cura di Luigi Ca­napini, Rachele Gruppi Farina, Massimo Legnani, Giorgio Rochat e Angela Sala) in « Il movimento di liberazione in Italia », aprile-giugno 1964, p. 69.

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trastare il processo di restaurazione economica e politica realizzatosi negli anni della guerra fredda, ma hanno anche fortemente per- meato della loro opera la società civile e la vita intellettuale, co­sicché forte ne risulta la spinta ad un insegnamento e ad una presentazione della storia contemporanea che rispecchi la forma­zione dell’ Italia moderna. Abbiamo visto come l’introduzione del­l’insegnamento della storia contemporanea nei programmi scolastici sia da vedersi in stretta relazione con un movimento popolare tradottosi anche in imponenti manifestazioni culturali. Anche oggi d’altra parte è questo grande sviluppo dell’intesse per la storia contemporanea, sono le molteplici iniziative editoriali a tutti i livelli rivolte alla storia del fascismo, dell’antifascismo e della Re­sistenza (appaiono in questi giorni con grande successo di pubblico le prime dispense della Storia della Resistenza di Pietro Secchia e Filippo Frassati), a risvegliare quella viva curiosità che gli inse­gnanti notano negli allievi tutte le volte che toccano questi pro­blemi e l’interesse largamente diffuso che si nota anche tra gli insegnanti nei corsi di aggiornamento organizzati in questi ultimi anni dalle università di Milano, Siena, Roma, Bologna, per non parlare che dei principali.

Questa spinta è stata sostanzialmente alla base anche di un con­vegno su «Scuola e Resistenza», tenutosi a Firenze il 19-20 marzo di quest’anno per iniziativa dell’Istituto per la storia del movi­mento di liberazione in Italia, presieduto da Ferruccio Parri, e dei Centri Didattici Nazionali per conto del Ministero della Pubblica Istruzione. La conclusione comunemente accettata, che dovrebbe trovare un rispecchiamento nei nuovi programmi di insegnamento attualmente in preparazione, è che l’insegnamento della storia della Resistenza può trovare un suo posto adeguato soltanto in un si­stema scolastico che non riduca la storia contemporanea ad un semplice codicillo confinato all’estremo limite di programmi e di manuali, impossibile a porsi da insegnanti e scolari in una posi­zione centrale per la formazione didattica e culturale. Si impone perciò come misura di carattere pregiudiziale una ristrutturazione dei programmi che sposti dal 18 15 al 1870 almeno il terminus a quo della materia da insegnare nell’ultimo anno dei corsi delle scuole medie e delle scuole medie superiori. Correlativamente l’in­segnamento della storia contemporanea deve trovare un posto ben più rilevante nella formazione dei futuri insegnanti (attualmente

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la situazione in Italia è tale che nelle università si insegna storia contemporanea nelle facoltà di scienze politiche, ma non nelle facoltà di lettere e filosofia o di magistero, dalle quali escono gli insegnanti di ogni ordine delle scuole italiane), mentre l’aggior- namento degli insegnanti già in servizio è stato fissato dover es- sere oggetto delle Università e degli Istituti per la storia della Resistenza.

IL

Un bilancio dell’attività svolta in questi ultimi anni non può esaurirsi, però, nè in una rassegna dei programmi d’insegnamento o dei manuali scolastici in uso nei singoli paesi, nè in una visione comparata delle iniziative pedagogiche che sono venute a matu- razione. Limitarsi a questo, e desumere unicamente da ciò le prò- poste da avanzare significherebbe partire dal presupposto che l’ im­magine della Resistenza, nei suoi lineamenti storici e nei suoi rapporti con lo sviluppo storico generale sia stata stabilita una volta per tutte, e permanga immobile al di sopra dello svilupparsi degli studi e del procedere della conoscenza. Ora, se un simile atteggiamento ha, in generale, una assai limitata possibilità di corrispondere con la realtà, pretese ancora minori può avanzare quando riguardi avvenimenti così vicini nel tempo, gli elementi di novità nei quali emergono soltanto gradualmente, da un con­testo di problemi ampio e complesso. D ’altra parte, per ciò che si riferisce al problema che stiamo discutendo, l ’insegnamento della Resistenza, ovvero la Resistenza e le giovani generazioni, ciò che si presenta indiscutibilmente in movimento è il soggetto stesso dell’educazione, per il modificarsi delle generazioni che l’una al­l’altra si succedono e si intrecciano e vengono continuamente de­finendo le proprie tendenze e i propri orientamenti, in un mondo che essó stesso viene cambiando e assumendo un volto nuovo, sia pure attraverso lacerazioni e contraddizioni di ogni tipo.

E ’ vero: l’atteggiamento delle nuove generazioni verso laResistenza è un tema che deve essere affrontato con estrema cau­tela, respingendo la tendenza alle schematizzazioni affrettate e alle generalizzazioni immotivate. Forse lo stesso ammonimento a di­stinguere da paese a paese, per situazioni riflettenti ciascuna di-

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versi apporti politici e culturali, può avere qualcosa di vieto e insieme di superficiale. Come test di un più generale atteggia- mento verso l’eredità del passato e della storia, non meno che verso i gravi problemi aperti nella società nella quale vivono, la tendenza dei giovani a formulare un giudizio specifico o ad assu­mere un atteggiamento generale nei confronti della Resistenza, è soggetto ad influenze diverse ed è suscettibile di esprimersi in forme difficilmente unificabili. Tuttavia il discorso su questo punto dev’essere tentato. Anzi sarà opportuno partire proprio di qui.

Può darsi che il punto di vista dal quale cercherò di affron­tare il problema rifletta particolarmente un’esperienza « occiden­tale », o per essere più esatti l’esperienza di un paese « occiden­tale », per quanto i numerosi autori di inchieste sulla gioventù apparse in questi ultimi anni siano concordi nel ravvisare alcune costanti al di sopra dei confini e dei sistemi sociali negli atteg­giamenti delle giovani generazioni, insieme ad alcune divisioni all’interno degli stessi paesi e di sistemi sociali simili. Le affinità e le diversità investono proprio l’atteggiamento verso la vita poli­tica e la partecipazione alla vita politica, in quanto momento di una concezione della società e del suo sviluppo storico. Non sem­bra però che il contrasto, oggi evidente in molti paesi, tra mino­ranze di giovani spiccatamente politicizzate e larghe masse di giovani attratte dalle manifestazioni più vistose dello sviluppo tecnologico contemporaneo sia da interpretarsi come espressione di orientamenti politici palesemente od occultamente contrastanti. Coloro che si sono dedicati con maggiore penetrazione all’ inda- gine degli orientamenti ideali prevalenti tra le giovani genera­zioni (penso in primo luogo a J. P. Sartre) sono stati abbastanza chiari ed espliciti su questo punto. Non sembra, insomma che le manifestazioni di irrazionalismo, quando si presentano, siano da interpretare come rifiuto consapevole e sistematico della politica, in un senso tale da fare temere che esse contengano in germe la possibilità di una involuzione verso forme nuove o ammodernate di fascismo. Ciò che invece in questi atteggiamenti più colpisce è come la manifestazione di un rifiuto netto e senza mezzi ter­mini di ogni norma convenzionale e di valori codificati riesca soltanto con difficoltà a saldarsi con le grandi tradizioni progres­sive della storia umana, il che equivale a dire che incontra un limite al riconoscimento della propria funzione, e quindi alla co-

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scienza del rapporto tra la propria opera e i termini generali delle lotte del nostro tempo: la forte esigenza di libertà che sta alla base di numerose manifestazioni delle giovani generazioni diffì- cilmente riesce a individuare il collegamento tra la strada che le lotte per la libertà hanno battuto nel passato e quelle che sono da battere oggi.

Più concretamente, mi pare che nulla possa oggi autorizzare l ’impressione che tra le giovani generazioni vi sia disconoscimento dei valori della Resistenza e disprezzo per la somma di forze mo­rali che nella Resistenza è stata spesa: anzi, nella misura nella quale i giovani riescono a conoscerla, alto è il loro apprezzamento. Sarebbe persino difficile elencare tutti gli episodi che possono suffragare una simile affermazione: basta pensare alla fortuna di tutte le iniziative che sono state prese al di fuori del sistema sco­lastico di istruzione in diversi paesi di Europa. Accanto agli esempi già fatti per l ’Italia, altri se ne potrebbero addurre per l’Austria, per la Francia, per la stessa Repubblica Federale Tedesca. Quanto d’altra parte si faccia sentire, all’ interno stesso della scuola, la ten­denza dei giovani ad esprimere un giudizio morale sulle vicende del mondo moderno, sta a dimostrarlo l’esempio che proviene da una scuola austriaca, nella quale gran parte degli alunni, posti di fronte alla scelta tra un tema di varia umanità e l ’argomento della prescrizione dei delitti nazisti, hanno scelto senza esitazione que­st’ultimo, per formulare motivati giudizi di condanna.

Perciò la questione non investe tanto la possibilità di un di­stacco morale tra le giovani generazioni e la Resistenza. Il pro­blema comincia a farsi serio quando quel giudizio morale si debba necessariamente tradurre e sostanziare in un processo conoscitivo articolato, e non si risolva quindi unicamente in un omaggio d’ob- bligo, se non di maniera. A mio parere, se vogliamo precisare dove e in qual senso possa oggi aprirsi il paventato « vuoto » nella formazione delle giovani generazioni, dobbiamo guardare partico­larmente a questo processo conoscitivo e domandarci come stanno le cose a questo proposito. Credo che dobbiamo farlo in un modo veramente spregiudicato, senza risparmiarci di porre anche gli in­terrogativi più diffìcili e impegnativi.

Forse è inutile discutere ancora una volta in astratto l’am­biguo concetto di « generazione ». Non sarà però inopportuno rilevare che le giovani generazioni di oggi, nate negli ultimi anni

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della seconda guerra mondiale o nei primi anni della guerra fred- da, appartengono per molti aspetti ad un’epoca veramente nuova. L ’esperienza storica a contatto della quale si sono sviluppate non ha conosciuto nulla di effettivamente irreversibile. Non voglio af- fatto affermare con questo che l’età nella quale stiamo vivendo, quella che ci separa dalla seconda guerra mondiale, non conosca davvero niente di irreversibile, e in qualche misura di definitivo su scala mondiale, nello sviluppo dei popoli di tutto il mondo, e riguardo al progresso tecnologico e scientifico sarebbe assai dif- fìsile anche avanzare una semplice supposizione di questo genere. Ma negli elementi di esperienza storica immediata che producono la consapevolezza generale dello sviluppo del proprio tempo e nel proprio ambiente, che cosa c’è stato di irreversibile nell’esperienza che si è dispiegata di fronte alle giovani generazioni e che ha com dizionato la loro stessa formazione? Si pensi ai termini estremi dello sviluppo delle relazioni internazionali, e si potrà rilevare come oggi, nella primavera del 1965, sia impossibile tracciare una linea di demarcazione cronologica precisa tra guerra fredda e di­stensione, e non già perchè sia difficile precisare quando finisca la seconda e cominci la prima, ma soprattutto perchè è arduo sta­bilire se la guerra fredda tante volte esorcizzata non sia sempre pronta a risorgere di nuovo e, a sua volta, la distensione da stato d’animo di speranza e anche da consapevole programma di azione si sia davvero trasformata in norma capace di regolare effettiva­mente le relazioni internazionali tra gli Stati e i sistemi politici e sociali nei quali oggi il mondo si divide.

« Le generazioni dopo il 1945 — ha scritto con efficacia Ernst Fischer —■ non hanno figure e idee direttive sulle quali orientarsi. In un modo o in un altro i padri hanno fatto fallimento; per lo più si sono adeguati ai detentori del potere del momento; una minoranza si è sacrificata senza che si verificasse ciò che essa aveva sperato. La capacità di adattamento, la frase sempre pronta, l’ ipo­crisia e la cattiva coscienza dei padri disgusta i figli e le figlie: « Che cosa sono realmente? Fascisti? Socialisti? Democratici? L i­beri pensatori? Credenti? Sono fanatici di un capo o della li­bertà? ». Che essi non siano realmente nulla di tutto ciò, che essi siano tutto soltanto in apparenza, pronti a fare tutto come gli altri, per non essere mai presenti, così vengono visti per lo più dai loro figli. Ma agli altri, agli idealisti falliti o delusi, i

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giovani replicano: « Che cosa avete raggiunto? Che ne è di voi? Che è successo del mondo? » 9.

Come non vedere donde scaturisce la difficoltà che dalla espe- rienza immediata si liberi un’ immagine del passato che l’esperien- za stessa della storia in atto si incarichi di confermare e di veri­ficare? Oggi, lo ripeto ancora una volta, il problema del « vuoto » nasce da questa difficoltà di conoscere il presente come storia, in una forma che abbia a proprio sostegno la definizione precisa dei risultati del passato.

Ecco la caratteristica fondamentale della questione, come si presenta oggi di fronte alle giovani generazioni. A mio parere, se andiamo al fondo di tante discussioni dei giovani di oggi intor­no al carattere della Resistenza, con tutti i limiti anche di incom­prensione che queste discussioni presentano, si trova per l’appunto questa difficoltà di identificare il filo rosso che possa collegare direttamente le loro lotte e aspirazioni presenti con ciò che la Resistenza è effettivamente stata. Una linea retta non c’è o non la si vede; di qui nasce la tendenza a negare ogni rapporto, a caratterizzare il nostro tempo in termini completamente diversi e nuovi, ad elevare una distinzione che è di remora alla conoscenza di un’articolata linea di continuità.

Cercherò di spiegarmi con un esempio: tra i giovani della sinistra italiana, comunisti, socialisti e democratici di varie ten­denze si è acceso recentemente un dibattito che ha preso avvìo dalla celebrazione del ventesimo anniversario della liberazione del paese. Non mi risulta che nessuno dei partecipanti a questo di­battito abbia mai messo in discussione nè l’importanza della Resi­stenza nè il carattere di certe sue conquiste, quale in primo luogo la riconquista dell’indipendenza nazionale. Assai ampiamente dif­fusa mi sembra però la tendenza ad isolare alcuni aspetti della Resistenza, circoscriverli nella loro delimitatezza, per edificare su questi tutta una interpretazione, che è in definitiva quella della Resistenza come fine di un’epoca storica, suggello e composizione insieme di un’età caratterizzata dalle guerre mondiali e dall’af- fermarsi della rivoluzione socialista contrastato sul continente euro­peo dai formarsi dei fascismi. Cercherò di esaminare più avanti in che cosa una simile concezione della Resistenza come conclu-

Cfr. E rnst F ischer, Problème der jungen Generation. Ohnmacht oder Verant-wortung? Europa Verlag, Wien'Kòln-Stuttgart'Zùrich, 1963, p. 64.

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sione di un'epoca storica, separata quindi dal presente che noi viviamo, che credo diffusa anche fuori d’ Italia tra non pochi gruppi di giovani politicamente impegnati, sia scarsamente corri' spondente alla realtà storica. Per ora, basterà osservare come una simile concezione non sia del tutto priva di addentellati con una immagine della Resistenza che è stata largamente tramandata, seppure con intenti e con spirito assai diversi da quelli che ani' mano questi gruppi di giovani: troppo spesso la Resistenza viene presentata come un fatto storico in se definito e concluso, privo dei sostanziali legami storici col processo generale della storia d’Eu- ropa. Certo, tutti gli studi comparati e le conferenze internazio' nali che alla Resistenza sono stati dedicati hanno messo in evidenza le diversità da paese a paese, spesso rispecchiantisi nell’accezione diversa che il termine stesso di « Resistenza » viene ad assumere. Però, a prescindere dalle differenti componenti che in essa si ma' nifestarono, e in primo luogo al di là degli stessi gruppi che la diressero o degli esiti che produsse, profondamente unitario fu il carattere che complessivamente la contrassegnò. E ’ forse uno degli effetti più sconcertanti che la guerra fredda e la conseguente « mi' litarizzazione » della cultura abbiano prodotto, quello di avere impedito agli intellettuali europei, appunto nel momento in cui tanti di loro discettavano, come mai prima di allora era avvenuto, proprio sul tema dell’Europa, di riconoscere e di far valere che la Resistenza è stato forse il più grande movimento europeo che il nostro continente abbia avuto nel corso della sua lunghissima storia. Europeo in primo luogo per la sua ampiezza geografica e per la partecipazione umana che caratterizza quest’ampiezza: in un ristretto e identico giro di tempo la Resistenza mostra un mo­vimento che si estende dalla Francia al cuore della Russia, dalla Norvegia alla Grecia e all’ Italia e nel quale mi sembra profonda­mente errato mettere in evidenza le diversità, talvolta anche le contrapposizioni, di orientamento e di finalità, che in essa si ma­nifestavano, prima di aver cercato di constatarne i tratti storici profondamente affini e comuni, di assoluta originalità. Si può com­prendere come popoli che hanno riconquistato col sangue e a prezzo di durissime lotte la loro indipendenza nazionale nel corso della Resistenza e per gli sviluppi successivi della politica inter­nazionale hanno più tardi potuto temere che tale conquista fosse posta di nuovo in discussione, abbiamo a ragione sottolineato orgo­gliosamente questo risultato come il tratto caratteristico della Re-

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sistenza. Senza dubbio la riconquista dell’indipendenza della prò- pria patria è stata in tutti i paesi l’aspirazione suprema dei com- battenti della libertà, soprattutto perchè si trattava di una patria che non si voleva più in nessun modo capace di divenire oppressiva delle patrie altrui. Ma — dobbiamo oggi ben domandarcelo — in quale misura una simile presentazione non ha contribuito ad inserire la Resistenza dei singoli paesi in una serie di quadri na­zionali precostituiti? Talvolta questo può avere contribuito, pro­babilmente, a modificare in modo non indifferente quel quadro, talvolta invece a ribadirne linee e contorni già conosciuti: in ogni caso, però, questo ha contribuito a frantumare e a sminuzzare il fenomeno storico della Resistenza, ha ritardato o ha impedito che si ponesse in tutta la sua imponenza e in tutto il rilievo il pro­blema del fenomeno unitario della Resistenza europea. I popoli e le culture dei paesi di più antica civiltà hanno in questo una responsabilità particolare, quando hanno assimilato più o meno direttamente la Resistenza con fenomeni della storia passata del loro paese. Nessun italiano può negare l ’importanza che il richiamo alle tradizioni democratiche e nazionali del Risorgimento ebbe nel corso della Resistenza. Un raffronto analogo vale probabilmente nell’Unione Sovietica, per la lotta popolare antinapoleonica, o in Francia per un riallacciamento alle tradizioni della Grande Rivo­luzione, che la dominazione nazista metteva ancora più in pericolo per il coagularsi intorno ad essa di tutte le tendenze reazionarie accumulatesi nella storia e nella società francesi. Ma identificare questo richiamo nella definizione del movimento, chiamare ad esem­pio, come in Italia viene fatto largamente, la Resistenza « Secondo Risorgimento » significa definire il tutto mediante la parte, lace­rare in qualche modo il tessuto connettivo comune della Resi­stenza europea.

Ma questo carattere europeo della Resistenza ha anche altre implicazioni, che devono essere attentamente valutate, e che si riferiscono tanto alle sue origini quanto al suo svolgimento quanto alle sue conseguenze sulla storia successiva. Mi limiterò, qui ad alcune indicazioni esemplificative.

C ’è una condizione comune per l’origine e la formazione della Resistenza in Europa, e questa è costituita dalla dominazione na­zista, dal tentativo di Hitler di dare vita, nel corso stesso del conflitto, a un « nuovo ordine » del continente europeo. In que-

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sto senso, la Resistenza nei paesi occupati dai nazisti e la Resi­stenza nei campi di concentramento, la Resistenza degli eserciti partigiani e la Resistenza dei gruppi politici e religiosi nei paesi fascisti, e in modo particolare in Germania, si saldano in un unico circolo. Sotto questo profilo la Resistenza è un momento inte­grante della seconda guerra mondiale, e bene fece la conferenza che fu tenuta a Karlovy Vary circa due anni or sono a indicare nella politica complessiva di occupazione realizzata dai nazisti nei singoli paesi d’Europa quella che, probabilmente, è la più importante ra­dice oggettiva della Resistenza europea, ciò che pone la premessa perchè a tutti i resistenti dei diversi paesi si pongano problemi e obbiettivi in qualche modo comuni. Però, visto e studiato questo aspetto, resta, o per essere più precisi, sorge proprio a questo punto il problema rappresentato dal formarsi, quasi simultaneamente, di uno sterminato movimento volontario di massa, che si costituisce proprio quando in Europa i margini per la formazione di un mo­vimento volontario e per lo stabilimento di fatto di una comu­nità di azione, sembrano resi letteralmente impossibili dal preva­lere di un’organizzazione spietata che tutto, uomini e mezzi, economia e amministrazione, subordina al volere di una razio­nalizzazione minuta e crudele. E ’ su questa nascita di un movi­mento che è qualcosa di più della somma risultante dalla ribellione ad un ordine costituito in nome della fedeltà agli antichi governi legali, o dell’aspirazione ad un ordine sociale e politico che net­tamente si differenzi da quelli precedenti, che non è di per se nè codificabile per legittimista nè definibile per rivoluzionario (alme­no nei termini consueti e tradizionali), che andrebbe maggiormente concentrata l’attenzione, per comprendere l’originalità storica della Resistenza. Anche la prima guerra mondiale non era stata avara, verso i popoli degli Stati che vi avevano partecipato, di coerci­zioni feroci e di sofferenze inaudite. Forse, si potrebbe addirittura aggiungere che, tutto questo era giunto anche più inaspettato ri­spetto alle previsioni e ai sentimenti degli anni precedenti. Ma è pure un fatto che negli anni della prima guerra mondiale la storia dei popoli per larga parte si identifica, passivamente e dolorosa­mente, s’ intende, ma tuttavia si identifica con quella degli Stati e delle rispettive classi dominanti: le ribellioni esplodono o nella forma ottocentesca della rivolta e della rivoluzione nazionale (l’in­surrezione di Dublino nell’aprile 19 16 è l’esempio più classico al riguardo) oppure si accendono verso il termine del conflitto nella

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forma nuova delle rivoluzioni socialiste. Ma il fenomeno, anche complessivamente considerato, non raggiunge mai l’estensione as- sunta dalla Resistenza nel corso della seconda guerra mondiale: ciò che comporta in primo luogo, che non ne assuma mai carat­tere e dimensione pienamente europei, anche se collocati su di un’onda storica di lunghissima portata.

Ho qui accennato ad un problema che naturalmente merite­rebbe di essere ben altrimenti e ben più profondamente impostato e trattato, ma che non mi risulta sia oggetto di attenzione e di interesse da parte degli storici della seconda guerra mondiale. Ritorniamo sempre alla stessa constatazione: la storia della Resi­stenza è troppo spesso trattata come un genere e come un settore a se stanti, che ha al suo centro l’analisi dei singoli gruppi e mo­vimenti nazionali, il racconto degli episodi militari, la ricostru­zione delle vicende politiche. Come pure, a loro volta, gli studi relativi alla storia della seconda guerra mondiale appaiono ancora divisi nelle ripartizioni tradizionali delle origini, delle vicende mi­litari, magari con la ricostruzione dei programmi politici generali degli Stati belligeranti, delle conclusioni e delle conseguenze del conflitto; ma la connessione e la compenetrazione tra i due aspetti — la guerra tra gli Stati e i movimenti di Resistenza — restano esclusi, e, per conseguenza, svanisce una seria possibilità di reci­proca illuminazione.

Si prendano, ad esempio, le opere più discusse e anche più importanti, oltre che più diffuse, che siano state pubblicate in questi ultimi anni intorno alla storia della seconda guerra mon­diale, e che a me sembra sicuramente di potere ravvisare in The Origins of the Second World War di A. J. P. Taylor e in The Rise and Fall of the Third Reich di W . L. Shirer. Personalmente, non credo che le ragioni addotte dai critici che le hanno* tanto avver­sate contengano seri elementi di validità. Taylor ha avuto per­fettamente ragione di scrivere nella polemica prefazione apposta alla più recente edizione del suo volume, che per le sue Origini della seconda guerra mondiale si tratta di « revisione per la revi­sione » o quanto meno, nelle intenzioni dell’autore, « di revisione per la verità storica » 10. Hitler, il personaggio che da parte di tanti si è voluto vedere da quest’opera di Taylor giustificato se non

10 Cito dalla prefazione del Taylor alla quinta edizione. Cfr. A . J. P. TAYLOR, L e ori­g in i della seconda guerra m ondiale, trad, it., Bari, Laterza, 1965, p. 9.

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addirittura rivalutato, non entra davvero come protagonista nel' l’argomentazione del Taylor. Il suo obbiettivo è veramente di' verso; sottolineare il favoreggiamento da altri offerto alla politica di Hitler, oppure indicare la « cassa di risonanza » che la tradi' zione politica tedesca offriva ai suoi piani di espansione. Allo stesso modo mi sembra da respingere l’opinione di coloro i quali nella storia del Terzo Reich dello Shirer vogliono vedere un unilate' rale atto di accusa, indifferenziatamente rivolto contro tutto il popolo tedesco, in questo senso « un esempio di come la storia non dovrebbe essere scritta »n. Basti pensare come è trattata, sia pure in mezzo a profonde diseguaglianze di esposizione, tutta la questione delle « trattative parallele » che precedettero lo scoppio della seconda guerra mondiale, per rendersi conto che non è uni' camente la responsabilità del popolo tedesco l’oggetto delle criti' che dello scrittore e storico americano.

Un fatto, però, mi sembra risultare indiscutibile proprio dagli esempi addotti: le due opere che abbiamo ricordato come le più significative che recentemente siano apparse intorno alla storia della seconda guerra mondiale sono opere ancora per molti aspetti « retrospettive ». Se è vero che la loro novità, e anche la loro importanza, che sembrano essere sfuggite a molti critici, consi' stono in un tentativo abbastanza deciso di sottrarsi alle conse' guenze storiografiche della guerra fredda e alla polemica paraliz' zante che questa ha comportato circa il rovesciamento delle re- sponsabilità, tuttavia esse si mantengono ancora sul terreno delle origini e della direzione politico'militare della guerra. A proposito dell’opera del Taylor, ad esempio, non ha avuto torto un acuto critico inglese, il Mason, il quale, pure distanziandosi notevolmente da quanti si sono scandalizzati del rifiuto di Taylor di voler considerare che Hitler abbia fatto « tutto da solo, perfino guidare i treni e riempire le camere a gas », ha rilevato come lo schema stesso dell’opera del Taylor miri a riassorbire il problema delle origini della seconda guerra mondiale in termini tradizionali, cer' cando ragguagliarlo alla questione delle origini della prima guerra 11

11 Per questa ed altre espressioni della critica tedesco-occidentale alle Shirer cfr. G erhard H a ss, Z u r M ethode der Polem ik gegen Shirers « A ufstieg un d Fall des D ritten Reiches von sette» der offiziellen w estdeutschen Geschichtsschreibung und Publizistik, in « Zeitschrift für Geschichtswissenschaft », X (1962), pp. 1626- 1643. Per una rassegna comparata coll’accoglienza riservata a quest’opera in altri paesi cfr. « Die Zeit », 27 aprile 1962.

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mondiale: l’analisi condotta quasi esclusivamente in termini di storia diplomatica, nella prospettiva creata da documenti diplo­matici redatti da un personale e secondo un linguaggio che sem­bravano fatti apposta per attenuare, piuttosto che per accentuare le novità caratteristiche della situazione, e cioè il carattere palese dei piani di guerra dell’ imperialismo tedesco 12. Allo stesso modo si potrebbe osservare che la storia del Terzo Reich dello Shirer, proprio perchè accentua i rapporti tra il nazismo e la precedente storia della Germania, e •— come è stato non a torto osservato — riconferma sostanzialmente le osservazioni e i giudizi che lo Shirer aveva formulato come corrispondente e spettatore contemporaneo della Germania nazista 13 14, affida soprattutto alle capacità evoca­trici dell’autore la descrizione di alcuni dei tratti più eminente­mente caratteristici della seconda guerra mondiale.

Ma — ed è questo il punto al quale volevamo arrivare — queste opere non arrivano ad affacciarsi su di un versante storio­grafico che permetta di guardare alla Resistenza come ad un fatto integrante e non solo nominalmente del contesto complessivo della seconda guerra mondiale. E ’ difficile fare una statistica completa di tutte le storie d’insieme — e non soltanto militari — della se­conda guerra mondiale. Non molto numerose sembrano però quelle che danno un risalto più che nominale alla Resistenza, che la pre­sentano come qualcosa di più di un semplice supporto militare allo svolgimento della guerra degli eserciti. Può darsi che la mia informazione su questo punto sia incompleta: mi sembra tuttavia che ad eccezione di qualche opera estremamente impegnata sul piano politico e morale come la popolare Storia della seconda guer­ra mondiale di Roberto Battaglia (e si rilevi come Battaglia ve­nisse parallelamente approfondendo la sua Storia della Resistenza italiana “), pochissimi siano i lavori che mantengano presente nella loro prospettiva l’unità della storia della Resistenza nel quadro della storia della seconda guerra mondiale.

Il fatto è, a mio parere, che le conseguenze paralizzanti della guerra fredda sulla storiografia relativa alla storia della seconda

12 Cfr. T . V . Mason, Som e Origins o f the Second W orld W ar, in « Past and Present », dicembre 1964, pp. 67.87.

13 C fr. M artin Broszat, W illiam , Sh irer und die Geschichte des D ritten Reiches, in « Historische Zeitschrift », Bd. 196 (1963), pp. 1 12 e sgg.

14 Cfr. Roberto Battaglia, Storia della Resistenza italiana, Torino, Einaudi, 1964.

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guerra mondiale, se vengono gradualmente eliminate o se sono ora efficacemente combattute relativamente all’impostazione del problema delle origini, sono ancora largamente presenti per quanto si riferisce alla storia della guerra, e particolarmente delle sue con- clusioni, dei suoi risultati. Forse da ogni parte si tende a spiegare unilateralmente la guerra con le vicende della politica intemazio- naie che le sono seguite; è constatabile l ’orientamento a consider rare la divisione del mondo in sfere di influenza e la formazione dei blocchi politici e militari come qualcosa di insito nel carattere stesso della seconda guerra mondiale. Il nesso di causalità di un simile procedimento di giudizio non si espone soltanto alle critiche di ogni rapporto di estrinseca casualità. Proprio in quanto si rife­risce ad un processo che non si può ancora definire compiuto, corre il rischio di fondarsi su di una parte soltanto degli elementi in presenza, e quindi di operare su di una parte soltanto dei dati ef­fettivamente disponibili. In realtà appare sempre più necessario prendere atto che una contraddizione si è aperta in Europa, tra il programma internazionale della Resistenza e l ’assetto che, con o senza trattati di pace, è seguito alla conclusione della seconda guerra mondiale. E ’ esatto, senza dubbio, anche a questo proposito che la Resistenza europea è ben lontana dal presentarsi come un tutto unico, indifferenziato, e che l’uno o l ’altro degli Stati bel­ligeranti della coalizione antihitleriana suscitavano ben precisi sen­timenti di attrazione o di repulsione nei singoli gruppi di resi­stenti, a seconda della loro provenienza, della loro formazione o anche della loro composizione sociale. Ma, al tempo stesso, si avvi­cina molto alla verità anche l’affermazione che la Resistenza stessa come movimento complessivo non può essere giudicata solo sulla base di sentimenti o dei programmi degli uomini o dei gruppi che la dirigevano. Il suo programma oggettivo e comune tendeva a identificarsi col movimento stesso, ad assumere le caratteristiche dello sforzo simultaneo di grandi masse umane che combattevano contro l’oppressione e contro la guerra: nessuna realistica consi­derazione dei materiali originari coi quali venne impastandosi al­l’origine, e magari in direzioni particolaristiche, il movimento di resistenza nei singoli paesi può farci dimenticare il senso comples- svo del suo sviluppo, come, ci sia concesso il paragone, il ricordo delle origini aristocratiche della Rivoluzione francese non consente di diminuirne la sostanza democratica e innovatrice. E questo

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programma internazionale, complessivamente riguardato come stret­tamente inerente alla natura del movimento mirava ad un assetto nuovo del mondo, liberato dalla incubatrice catastrofica dei pro­blemi che erano stati alla base del conflitto, e ne aveva reso pos­sibile lo scatenarsi. Guardava perciò, in primo luogo, al supera­mento di quei dissensi tra le potenze della coalizione antihitle­riana che avevano reso impossibile, tra l’autunno del 1938 e l’e­state del 1939, l’affermarsi di una politica di sicurezza collettiva e che, anzi, ne avevano provocato l’irrimediabile crisi. Guardava alla trasformazione della collaborazione militare in alleanza politica tra le potenze che combattere la guerra antifascista come ad una grande possibilità storica. Se non vado errato fu questo anche il punto di approdo sostanzialmente comune della conferenza che fu tenuta a Milano nel 1961 sul tema la Resistenza e gli alleati. E ’ verissimo che, appena si tocca un simile soggetto, emergono pos­sibilità infinite di diverse valutazioni come sempre allorché si toccano problemi nuovi o si discuta di una materia che ha un’ im­portanza bruciante per la storia oggi in atto. Proprio di qui, inol­tre, deriva l’impossibilità di annettere ih un senso o nell’altro la Resistenza, di assimilarla ad una potenza od a un gruppo di po­tenze, e anche a un’ideologia preordinata. Ma è anche di qui, dalla considerazione di questo problema, che scaturisce l’ impos­sibilità di trarre un bilancio della seconda guerra mondiale che registri in puri termini di potenza i mutamenti territoriali e le trasformazioni sociali e politiche. Per questo, soprattutto per que­sto, il 1945 non è il 1555 e i mancati o parziali trattati di pace che hanno chiuso la seconda guerra mondiale non hanno posto capo ad una nuova pace di Augusta con l’irrevocabile corollario del cuius regio eius religio.

Certo, l ’impostazione di tutti questi problemi comporta che si consideri la Resistenza come un processo vivente e non come un atto storico in sè definito e concluso. Significa presentare e dibattere di fronte alle giovani generazioni alcune questioni che dicano chiaramente che la Resistenza non è conclusa ma continua. Continua in Europa e fuori di Europa dove la sua esperienza e la sua eredità si sono trasmesse assai più di quanto non si possa ritenere ai popoli che lottano per la libertà e l’indipendenza. Trop­po gravi conseguenze ha comportato anche per le formazioni po­litiche che più avevano contribuito a suscitarla e a promuoverla

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non averne saputo trarre il riconoscimento pronto e adeguato dei modi reali dello sviluppo storico, per non ritenere che oggi il più alto dovere che si richiede agli studiosi di storia, agli educatori, agli insegnanti è di fare conoscere la Resistenza per quello che effettivamente è stata, sul piano della storia universale, perchè essa possa essere veramente svolta e continuata come l’inizio di una nuova epoca storica.

Ernesto Ragionieri.