rete irresistibile, io sono la più debole
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..Sono la foresta, umida e bollente,
pancia rigogliosa, madre intelligente,
nuvola di vita, morte nella pioggia.
corpo profumato, femmina incosciente
buio sotto al sole, fabbrica del mondo,
puro esperimento, santa d'alchimia
Rete irresistibile, io sono la più debole
tra gli esseri invincibili.
Prendo il tuo respiro, lo respiro io
prendo il tuo delirio e lo faccio mio..
(Rosso d’Emozione - Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti)
..Dove quei furbi che fanno le imprese, no non badano
a spese, pensano che il protocollo di Kyoto sia un film
erotico giapponese..
(Vieni a ballare in Puglia – Michele Salvemini, in arte Caparezza)
..Ma salvare le foreste vuol dire salvare l’uomo,
perché l’uomo non può vivere tra acciaio e cemento
non ci sarà mai pace, mai il vero amore finché
l’uomo non imparerà a rispettare la vita..
(Ricordati di Chico – Nomadi)
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Sommario
1. - INTRODUZIONE ............................................................................................. 4
2.- OBIETTIVI ........................................................................................................ 7
2.1. - Struttura della Tesi ...................................................................................... 8
3. - CAMBIAMENTO CLIMATICO ......................................................................11
3.1. - Aspetti generali ..........................................................................................11
3.2. - Politiche internazionali ...............................................................................14
3.2.1. - Organismi internazionali di ricerca. .....................................................14
3.2.2. - Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici e Protocollo di Kyoto
........................................................................................................................16
3.2.3. - Obiettivi del Protocollo di Kyoto per l’Italia ........................................16
3.2.4. - Strumenti attuativi del Protocollo di Kyoto ..........................................17
3.2.5. - Accordi successivi al Protocollo di Kyoto e sviluppi futuri ..................18
3.3. - Cambiamento climatico in rapporto al settore primario ..............................20
3.4. - Misure di difesa dell’UE contro gli effetti dei cambiamenti climatici sugli
ecosistemi ...........................................................................................................24
3.5. - Modelli climatici ........................................................................................26
3.5.1. - Aspetti generali ...................................................................................26
3.5.2. - Principali Modelli Globali di Circolazione...........................................27
3.5.3. - Scenari di emissione ............................................................................29
4. - INTERAZIONI TRA ECOSISTEMI FORESTALI E CAMBIAMENTO
CLIMATICO ..........................................................................................................32
4.1. - Ruolo delle foreste nei cambiamenti climatici ............................................32
4.1.1. - Effetti dei cambiamenti climatici sulla vegetazione .............................34
4.1.2. - Cambiamenti climatici e avversità biotiche ..........................................40
4.1.3. - Cambiamenti climatici e produttività forestale .....................................41
4.2. - Gestione Forestale e cambiamenti climatici ................................................45
4.2.1. - Strategie di gestione per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti
climatici ..........................................................................................................45
4.2.2. - Approcci gestionali deterministici e indeterministici ............................50
4.2.3. - Valore economico delle foreste toscane per la mitigazione dei
cambiamenti climatici .....................................................................................51
4.3. - Rimboschimenti di Pino nero. ....................................................................53
2
4.3.1. - Cenni storici. .......................................................................................53
4.3.2. - Stato fitosanitario. ...............................................................................55
4.3.3. - Principali criticità. ...............................................................................56
4.3.4. - Rinaturalizzazione. ..............................................................................58
4.4. - Relazioni ecologiche tra vegetazione e ambiente ........................................59
5. - MATERIALI E METODI .................................................................................62
5.1. - Inquadramento della tipologia forestale analizzata. .....................................62
5.2. - Analisi di idoneità ecologica potenziale......................................................65
5.2.1. - Esigenze ecologiche delle specie e scelta dei parametri ambientali ......65
5.2.2. - Modellizzazione dei parametri ambientali............................................68
5.2.3. - Valutazione dei parametri ambientali...................................................69
5.2.4. - Combinazione dei parametri ambientali ...............................................73
5.3. - Scenario di cambiamento climatico ............................................................74
5.4 - Valutazione dell’accuratezza del modello. ...................................................75
5.5. - Relazione tra indici climatici e idoneità ecologica potenziale del territorio. 77
5.5.1. - Indice di De Martonne. ........................................................................77
5.5.2. - Indice di Crowther. ..............................................................................78
6. - RISULTATI .....................................................................................................79
6.1. - Idoneità Ecologica del territorio al 2013 .....................................................79
6.2. - Accuratezza dell’analisi di Idoneità Ecologica............................................81
6.3. - Idoneità Ecologica del territorio al 2020 e al 2080. .....................................85
6.4. - Riclassificazione delle carte di Idoneità Ecologica .....................................87
6.5. - Variazione dell’Idoneità Ecologica del territorio in uno scenario di
cambiamento climatico. ......................................................................................89
6.6. - Variazione dei limiti altimetrici in uno scenario di cambiamento climatico
......................................................................................................................... 100
6.7. - Relazione tra indici climatici e Idoneità Ecologica. .................................. 104
6.7.1. - Indice di De Martonne. ...................................................................... 104
6.7.2. - Indice di Crowther. ............................................................................ 106
6.8. - Indirizzi per la pianificazione forestale e priorità di intervento ................. 109
6.9. - Distretti Territoriali per la pianificazione forestale. .................................. 112
7. - DISCUSSIONE .............................................................................................. 140
3
8. - CONCLUSIONI ............................................................................................. 146
9. ALLEGATI ...................................................................................................... 150
9.1. - Idoneità ecologica del territorio al 2013. .................................................. 150
9.2. - Classi di idoneità al 2013. ........................................................................ 153
9.3. - Idoneità ecologica del territorio al 2020. .................................................. 152
9.4. - Classi di idoneità al 2020. ........................................................................ 151
9.5. - Idoneità ecologica del territorio al 2080. .................................................. 154
9.6. - Classi di idoneità al 2080. ........................................................................ 155
10. BIBILIOGRAFIA ........................................................................................... 156
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1. - INTRODUZIONE
Come emerge dal trattato ambientale internazionale “Convenzione quadro delle
Nazioni Unite sui cambiamenti climatici”, elaborato dalla Conferenza sull'Ambiente
e sullo Sviluppo delle Nazioni Unite, tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992, già da alcuni
decenni il problema del cambiamento climatico è diventato di importanza e rilevanza
mondiale.
E' stata presa coscienza del fatto che le attività umane hanno contribuito ad
aumentare notevolmente le concentrazioni atmosferiche di gas ad effetto serra, che
provocando un ulteriore riscaldamento della superficie della terra e dell’atmosfera,
possono causare un’influenza negativa sugli ecosistemi naturali e sul genere umano.
Si è evoluta e concretizzata la consapevolezza dell’importanza dei pozzi e dei
serbatoi di carbonio negli ecosistemi terrestri e marini, oltre alla percezione del fatto
che la previsione dei cambiamenti climatici è soggetta a molte incertezze, in
particolare per quanto riguarda la collocazione nel tempo, la grandezza dei fenomeni
e le manifestazioni regionali.
Preso atto del problema, in seguito alle varie Convenzioni, Trattati e Protocolli sul
clima mondiale, sulla salvaguardia dell’ambiente e sullo sviluppo sostenibile, le
Nazioni aderenti si impegnano a proteggere il sistema climatico a beneficio delle
presenti e delle future generazioni, cercando di adottare misure precauzionali per
rilevare in anticipo, prevenire o ridurre al minimo, le cause dei cambiamenti climatici
e, ove possibile, mitigarne gli effetti negativi.
Tutte le sfide della sostenibilità tra cui, in primo luogo, la questione dei cambiamenti
climatici, non sono unicamente relative al settore ambientale, ma hanno pesanti
ricadute anche sul sistema economico e sociale. Questi ultimi, infatti, dipendono
strettamente sia dalla disponibilità ed equa distribuzione delle risorse naturali, sia
dalla capacità degli ecosistemi di assorbire l’impatto delle attività umane
sull’ambiente (UNESCO, 2007).
Ulteriori ritardi nell'attuare valide misure di contrasto e difesa verso gli effetti dei
cambiamenti climatici, potranno ripercuotersi negativamente sull'intero pianeta, con
conseguente alterazione degli ecosistemi ed estinzione delle specie più vulnerabili,
aumento della povertà e della fame nel mondo, emergenza idrica e diffusione e
trasmissione di malattie infettive.
Uno degli strumenti più efficaci, per contrastare i cambiamenti climatici, è la
concreta applicazione del concetto di sviluppo sostenibile, inteso come sviluppo in
grado di assicurare «il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente, senza
compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri»
(COMMISSIONE BRUNTLAND, 1987).
Le foreste sono state definite dalla FAO, nel rapporto Global Forest Resources
Assessmnet del 2010, come la più importante fonte di Servizi Ecosistemici, capace di
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fornire una serie di benefici multipli al genere umano. E’ stato riconosciuto, anche
tramite il Protocollo di Kyoto, il ruolo rilevante delle foreste nelle strategie per la
lotta ai cambiamenti climatici, in relazione alle esternalità prodotte, connesse
all’assorbimento e allo stoccaggio dell’anidride carbonica.
Anche il gruppo di lavoro interdipartimentale della FAO sui cambiamenti climatici,
presieduto da Wulf Killmann, sostiene il principio dello sviluppo sostenibile,
rimpiazzando i combustibili fossili con fonti rinnovabili o con i biocombustibili,
come il legno proveniente da foreste gestite in modo responsabile, fermando la
deforestazione, incentivando maggiormente l'utilizzo del legno per i prodotti di lunga
durata, in modo che il carbonio immagazzinato resti più a lungo fuori dell’atmosfera.
La gestione forestale sostenibile (GFS), grazie anche al suo approccio
multidisciplinare, è lo strumento principale di conservazione dei sistemi forestali per
il benessere della società, come sostenuto anche dalla Forest Europe - ex Ministerial
Conference on the Protection of Forests in Europe (MCPFE).
Una attenta valutazione, condotta nell'ambito della ricerca mondiale, sugli effetti del
cambiamento climatico e di quanto questo possa incidere sulla vegetazione forestale,
mette soprattutto in risalto la fragilità ecologica dei sistemi forestali mediterranei,
facendo emergere l’esigenza di delineare nuovi modelli di gestione dei popolamenti
che dovranno prevedere interventi integrati, sotto il profilo sanitario e selvicolturale,
con l’intento di esaltare il potere di autoregolazione del bosco (FRANCESCHINI, et al;
2008).
Non è affatto semplice arrivare a questa conclusione, in quanto le variabili in oggetto
sono molteplici ed agiscono su una scala spaziale e temporale estremamente ampia,
ma solo se la risposta ai cambiamenti climatici verrà pianificata in anticipo, l’impatto
ambientale potrà risultare meno sconvolgente (GIORDANO, et al; 2000).
In conseguenza di rapidi cambiamenti del clima, vengono a modificarsi non solo le
condizioni ambientali, ma anche gli obiettivi della gestione forestale che, al contrario
di quanto accadeva in passato, non si trova di fronte ad un quadro di condizioni
ambientali “costanti”, ma deve confrontarsi con eventi imprevedibili in uno scenario
di incertezza e di rapido mutamento, non solo climatico, ma anche di habitat, di uso
del suolo, di inquinamento, ecc. (PIGNATTI, 2011).
Importante è capire come si rifletterà sul territorio il cambiamento climatico e in che
modo influenzerà la distribuzione della vegetazione forestale, ipotizzando come
saranno i nostri boschi da qui alla fine del secolo. La rapidità del cambiamento
climatico in atto contrasta con la lenta capacità di adattamento naturale degli
ecosistemi forestali alle modificazioni rapide, con il rischio di una conseguente
possibile progressiva disgregazione degli ecosistemi forestali.
Oltre alla imprevedibilità dei cambiamenti climatici e della risposta da parte delle
singole piante e dei popolamenti, occorre prendere atto che il bosco è un sistema
biologico complesso e adattativo, e che questo principio non può essere ignorato per
la salvaguardia delle foreste mediterranee (CIANCIO, 2000).
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Il pensiero classico dell’ecologia, collegato al concetto di comunità climax
(equilibrio ecologico), è ormai superato, per andare verso una visione dinamica della
natura, insieme di sistemi complessi interagenti e caratterizzati dall’imprevedibilità
delle reazioni e dalla pluralità delle retroazioni (NOCENTINI, 2000).
In questa visione, non si può pensare al bosco come a un insieme di alberi, ma come
a un sistema caratterizzato da una struttura ad alto contenuto di informazione, capace
di adattarsi al variare delle condizioni esterne e di evolversi in forme sempre diverse.
(CIANCIO, 2000).
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2.- OBIETTIVI
La ricerca si prefigge l’obiettivo di analizzare la possibile evoluzione del potenziale
ecologico delle principali specie forestali presenti nel sistema “rimboschimenti di
pino nero”, in relazione al cambiamento climatico, al fine di evidenziare, alcune
priorità per le attività di ricerca e di gestione forestale basate sui principi della
selvicoltura sistemica. Come caso di studio è stato scelto il territorio della regione
Toscana, dove l’impiego del pino nero come specie da rimboschimento, iniziato fra
la fine dell’800 e i primi del ‘900, è avvenuto spesso anche in contesti ecologici non
particolarmente idonei per la specie.
La possibile evoluzione dell'attuale potenziale ecologico delle specie oggetto del
presente studio, viene ipotizzata in considerazione del cambiamento climatico
previsto dal modello climatico HadCM3, nello scenario di emissione A2 al 2020 e
2080, previsto dall’Intergovernmental Panel on Climate Change. Questo tipo di
modello GCM è stato prescelto per il presente studio, poiché è riconosciuto a livello
mondiale come uno dei più completi ed utilizzati modelli climatici nel campo della
ricerca scientifica (www.metoffice.gov.uk.; IPCC., 2007)
Per la ricerca è stata scelta la scala regionale in quanto un’analisi su più ampia scala
spaziale quale il livello nazionale, avrebbe portato a risultati di difficile
interpretazione, vista l’alta variabilità del territorio italiano, mentre a livello locale, in
aree geografiche limitate, i modelli climatici risultano poco attendibili, sia per la loro
bassa risoluzione, sia per l’importanza degli aspetti locali che interferiscono sul
clima (correnti d’aria, morfologia del territorio, specchi d’acqua, ecc).
I risultati di questo studio mostrano la teorica risposta delle principali specie forestali
del sistema pinete di pino nero al cambiamento climatico ipotizzato. Su base
cartografica, sono state evidenziate le zone nelle quali le specie risentiranno
maggiormente del cambiamento climatico e in quali pinete sarà maggiore la priorità
di intervento, in relazione alla risposta al cambiamento climatico del pino e delle
specie secondarie presenti. Sulla base di questi risultati sono stati formulati degli
indirizzi di pianificazione e gestione forestale per agevolare la capacità di
adattamento dei sistemi forestali al cambiamento climatico, attraverso l’aumento
della loro resistenza e resilienza.
Comprendere come le specie si comporteranno in un'ottica di global change, segnato
da un tendenziale innalzamento delle temperature e irregolarità delle precipitazioni,
con l'aumento di periodi di siccità associati a fenomeni di precipitazioni estreme, è
sicuramente determinante per cercare di comprendere quale sarà in futuro la
composizione specifica dei boschi.
I “modelli” cartografici-climatici fino ad oggi utilizzati, in un futuro in costante
mutamento, non saranno forse così attendibili come nel passato, ed è proprio in
questa ottica che alcuni studiosi stanno già ipotizzando e riformulando nuove
classificazioni fitoclimatiche per il territorio italiano (BLASI, 2007a; PIGNATTI, 2011).
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A tale proposito, sono stati calcolati alcuni tra i principali indici climatici per tutto il
territorio della Toscana, creando delle cartografie tematiche su base GIS. Dopo di
che, si è cercato di individuare una possibile correlazione tra come variano i valori
degli indici climatici secondo lo scenario di cambiamento climatico e il potenziale
ecologico del pino ad oggi e, teoricamente, al 2080. Questo per poter individuare un
metodo speditivo in costante aggiornamento, che consenta di dare una possibile
lettura del potenziale ecologico di questa specie, svincolandosi dalle carta
fitoclimatica.
In conclusione, gli obiettivi specifici di questa ricerca possono essere così riassunti:
- Determinare una “possibile” evoluzione dell’idoneità ecologica potenziale del
territorio per le seguenti specie: cerro, castagno, faggio e pino nero, esaminate in
un contesto di cambiamento climatico.
- Individuare quali saranno gli ambiti territoriali, nella regione Toscana, nei quali
le specie analizzate risentiranno maggiormente del cambiamento climatico
ipotizzato.
- Verificare se le specie esaminate (cerro, castagno e faggio) si avvantaggeranno o
meno del cambiamento climatico ipotizzato in relazione al pino nero.
- Stabilire in quali pinete di pino nero sarà maggiore la priorità di intervento, in
relazione alla risposta al cambiamento climatico del pino e delle specie
secondarie analizzate, in un’ottica di pianificazione forestale volta alla
mitigazione e all’adattamento al global change.
- Individuare una possibile correlazione tra alcuni principali indici climatici e il
potenziale ecologico del pino ad oggi, e a alle condizioni climatiche previste al
2080dallo scenario IPCC.
- Proporre una metodologia di ricerca che potrà essere applicata anche per altre
tipologie di soprassuoli, e in diversi contesti regionali.
2.1. - Struttura della Tesi
Questa ricerca prevede, nel primo capitolo, una breve introduzione in cui viene
affrontato il problema del cambiamento climatico, i suoi effetti, le misure di
contrasto e, in questa ottica, l’importanza della gestione sostenibile delle foreste,
come uno dei principali strumenti di salvaguardia della salute del pianeta.
Dopo aver illustrato, nel secondo capitolo, gli obiettivi della ricerca, nel capitolo
terzo vengono descritti sinteticamente gli aspetti generali del cambiamento climatico,
soffermandosi, nei primi due sottocapitoli, sugli organismi internazionali di ricerca
(IPCC) e sulle politiche internazionali di contrasto quali: la Convenzione Quadro
delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici e il protocollo di Kyoto; le relazioni
tra global change e il settore primario, e le misure di difesa programmate dalla UE.
Infine, nell’ultima parte del terzo capitolo, viene evidenziata l’importanza della
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ricerca scientifica con breve descrizione sull'utilizzo dei Modelli Climatici (GCM -
Global Circulation Model) nell'ambito della climatologia.
Nel quarto capitolo si analizzano le interazioni esistenti tra il cambiamento climatico
e i sistemi forestali, riportando sinteticamente quali siano i principali effetti del
global change in relazione agli ecosistemi, alla vegetazione, alle avversità biotiche e
alla produttività forestale, individuando così gli ecosistemi forestali maggiormente
penalizzati quali, ad esempio, gli impianti monospecifici realizzati in ambiente
mediterraneo.
A tale proposito, vengono presi in esame i rimboschimenti eseguiti in Italia, in
particolare i popolamenti di pino nero, riportandone alcuni cenni storici, il loro stato
fitosanitario, le caratteristiche e le criticità della loro gestione.
Altro argomento affrontato nel quarto capitolo è quello relativo alle relazioni
ecologiche esistenti tra specie vegetali ed ambiente, al fine di studiare l'idoneità
territoriale delle specie prese in considerazione nel corso di questo elaborato.
Nel quinto capitolo, viene presentata la metodologia della ricerca, specificando la
tipologia forestale, l’area di studio e le specie forestali che verranno esaminate.
Successivamente, viene esposta la struttura dell’analisi territoriale per la valutazione
dell’idoneità ecologico potenziale delle specie oggetto della ricerca. Vengono
descritti alcuni fra i principali parametri ambientali (morfologici, climatici e
pedologici) che influenzano il potenziale ecologico della vegetazione, scegliendo
successivamente quelli che possono essere modellizzati, ottenendo così un modello
cartografico in formato raster georeferenziato per ciascun parametro.
In seguito, tramite la ricerca bibliografica, sono state definite le esigenze ecologiche
delle specie esaminate in relazione ad ogni singolo parametro e, per ciascuno di essi,
è stato definito un livello di idoneità secondo una transizione graduale basata sulla
logica fuzzy.
Il capitolo sesto riguarda i risultati della Tesi. Per prima cosa sono presentati gli
elaborati cartografici dell’analisi di idoneità ecologico potenziale del territorio per di
ogni specie considerata.
Successivamente sono riportati i risultati della validazione dei dati prodotti dal
modello applicato svolgendo l'analisi ROC (Receiver Operating Characteristic). Una
tecnica statistica che misura l’accuratezza di un test lungo tutto il range dei valori
possibili.
L’analisi di idoneità ecologico territoriale è stata poi ripetuta modificando i parametri
ambientali, in relazione al cambiamento climatico ipotizzato dal modello climatico
preso in esame. Una volta calcolata l’idoneità per ogni specie nei diversi scenari
climatici, sono state analizzate le variazioni dei valori di idoneità tra le specie con
riferimento alle condizioni ambientali future. Ulteriori analisi hanno riguardato lo
studio dei valori di idoneità ecologica in relazione all’altimetria del territorio, e agli
indici climatici.
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Nel capitolo settimo, si confrontano le ipotesi di partenza della Tesi con i risultati
ottenuti dalla ricerca effettuata, verificando se la metodologia applicata è stata in
grado di identificare la risposta teorica delle specie esaminate agli scenari di
cambiamento climatico.
Infine, nell'ottavo capitolo, in relazione ad un'attenta analisi dei risultati ottenuti, si
ipotizzano forme di gestione mirata di tali soprassuoli, nell’ambito della
rinaturalizzazione dei rimboschimenti, in modo da prevedere ed assecondare i
dinamismi naturali favorevoli all’insediamento delle specie che si sono dimostrate
essere meglio adattate alle diverse possibili condizioni future.
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3. - CAMBIAMENTO CLIMATICO
3.1. - Aspetti generali
Tutta la superficie terrestre è modellata da una serie di processi associati fra loro e
legati alle condizioni climatiche che caratterizzano determinate zone della Terra,
contrassegnate da particolari forme del paesaggio.
Il bilancio della radiazione solare nel corso dell’anno è responsabile della
distribuzione dei diversi regimi climatici sul Pianeta. La quantità di radiazione solare
ricevuta dalla superficie terrestre, compresa fra i tropici, durante l’anno è
eccedentaria rispetto a quella emessa e riflessa dalla Terra, mentre nella fascia
compresa tra i tropici e i poli, il bilancio è deficitario. Tale fenomeno mette in moto
enormi quantità di energia che si spostano, attraverso le correnti atmosferiche e
quelle marine, dalla fascia tropicale a quella delle regioni temperate e polari. Un
aumento della quantità di energia disponibile sulla superficie del Pianeta, a causa
delle modificate caratteristiche dell’atmosfera per l’aumento dei gas cosiddetti «a
effetto serra», altera i meccanismi meteorologici e la loro distribuzione sulla
superficie terrestre (MARACCHI, 2000).
L'effetto serra è un fenomeno naturale che permette il riscaldamento dell'atmosfera
terrestre, fino ad una temperatura adatta alla vita. Senza l'effetto serra naturale,
sarebbe impossibile vivere sulla Terra, poiché la temperatura media sarebbe di circa -
18 gradi Celsius. L'effetto serra è possibile per la presenza in atmosfera di alcuni gas
detti gas serra. Negli scorsi decenni le attività dell'uomo, in particolare la
combustione di vettori energetici fossili e il disboscamento delle foreste tropicali,
hanno provocato un aumento sempre più rapido della concentrazione dei gas serra
nell'atmosfera alterando l'equilibrio energetico della terra.
All’effetto serra, si aggiungono anche modifiche della stratosfera nella fascia intorno
ai 20 km, dove si assiste a una progressiva diminuzione della fascia di ozono, dovuta
ai clorofluorocarburi, che contribuisce ad una modifica del bilancio radiativo
terrestre. Tali alterazioni si traducono in un rapido cambiamento del clima rispetto
alla sua millenaria stabilizzazione (MARACCHI, 2000).
Appare dunque evidente che un qualunque fattore in grado di alterare la quantità di
energia che la Terra riceve come radiazione solare, o la quantità di energia che essa
emette come radiazione termica, può alterare il bilancio termico e, pertanto,
influenzare drasticamente il clima del pianeta.
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Questi fattori possono essere di diversa natura (GUALDI et al., 2005):
a. - Fattori astronomici
Nel passato, in base ai dati emersi dalle ricerche di paleo-climatologia, le mutazioni
dei parametri orbitali e/o della attività solare hanno causato cambiamenti anche
drammatici nelle caratteristiche climatiche della Terra. La quantità di radiazione, che
dal Sole raggiunge la Terra, si è modificata nel tempo a causa della lenta variazione
dei parametri orbitali terrestri, le cui oscillazioni hanno scale temporali di migliaia di
anni. Il risultato di queste variazioni ha contribuito a produrre l’alternanza delle ere
glaciali e dei periodi interglaciali, caratteristici della storia del clima terrestre
(GUALDI et al., 2005).
Le variazioni plurisecolari dell’attività solare sono riconducibili ai cambiamenti
climatico-ambientali che si verificano circa ogni 500 anni. Un maggior numero di
macchie solari determina riscaldamenti globali, mentre un numero minore provoca
raffreddamenti globali.
Esempio di quanto esposto, è il periodo che va circa dal 1645 al 1715, che fu
caratterizzato da un numero di macchie solari estremamente basso, in questo periodo
di riduzione delle macchie solari il sole emanò una minore radiazione solare e sulla
Terra arrivò una minore quantità di energia. Tale periodo, conosciuto come Minimo
di Maunder, coincide con il culmine della Piccola Età glaciale.
Altro esempio è dato dal periodo di bassa attività solare conosciuto come Il Minimo
di Dalton, dal 1790 al 1830 circa. Dal 1750 è stato invece evidenziato che l’attività
solare ha iniziato ad aumentare e che, dal 1940, il sole si trova in uno stato di grande
massimo. Tale evento si è verificato solo una volta negli ultimi 11.000 anni. Tra 10-
15 anni, si dovrebbe raggiungere il punto di massima produzione di macchie solari
che potrebbe riprendere a partire dal 2050 circa, determinando l’instaurazione di
condizioni climatico-ambientali più calde, simili a quelle descritte nel medioevo
(PAGLIUCA et al., 20007).
b. - Cambiamenti di concentrazione dei gas nell’atmosfera
Un altro fattore di alterazione del clima può derivare dalla concentrazione dei gas in
grado di assorbire la radiazione terrestre (gas serra) che, invece di essere reimmessa
nello spazio, rimane intrappolata nell’atmosfera stessa, alterando il bilancio termico
totale del pianeta.
I gas serra più importanti, che hanno maggior impatto sul bilancio radiativo terrestre,
sono il vapor acqueo (H2O), l’anidride carbonica (CO2), il metano (CH4), il biossido
di azoto (N2O) e l’ozono (O3) troposferico.
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Nel passato, i cambiamenti relativi alle concentrazioni dei gas serra e degli aerosol
avvenivano in conseguenza di fenomeni naturali quali, ad esempio, le eruzioni
vulcaniche. Questi gas, grazie alla loro proprietà di assorbire la radiazione terrestre e
di riflettere quella solare, hanno influito sul verificarsi di periodi di raffreddamento o
di riscaldamento del clima del pianeta.
L’attività dei vulcani, ad esempio, può immettere nell’atmosfera anche grandi
quantità di aerosol (gocce o particelle microscopiche formate da aggregati
molecolari), che riflettendo la luce solare non riscaldano la superficie terrestre.
L'eruzione nel 1815 del vulcano Tambora in Indonesia, ricoprì l'atmosfera di ceneri;
l'anno seguente, il 1816, è conosciuto come l'anno senza estate.
c. - Processi di variabilità interna del sistema climatico
Si possono inoltre avere processi di variabilità interna del sistema climatico, che
possono modificare i modi attraverso i quali la radiazione solare viene ridistribuita
tra le varie componenti del sistema stesso (ad es., oceano, atmosfera, biosfera, ecc).
Esempio di cambiamento climatico a lungo termine, può essere quello indotto dalle
variazioni nella circolazione oceanica profonda e nella distribuzione dei ghiacci
marini, che possono avere un ruolo molto importante nell'evoluzione del clima anche
in scale temporali molto lunghe (migliaia di anni).
d. - Azione umana
In ultimo, anche se non per importanza, va evidenziata l’azione umana, che studi
recenti hanno indicato di rilevante impatto sul clima terrestre.
Il grande consumo di combustibili fossili ha prodotto un rilevante aumento nella
concentrazione dei gas serra nell’atmosfera. La loro immissione nell'aria in grandi
quantità, può produrre significative alterazioni dell’equilibrio radiativo che,
sovrapponendosi alle variazioni dovute a cause naturali, può indurre cambiamenti nel
clima terrestre di notevole entità. Ne è esempio il massiccio utilizzo dei combustibili
fossili a partire dalla Rivoluzione Industriale durante il 19° secolo, che ha prodotto
un considerevole aumento di gas serra nell'atmosfera, e che è ritenuto dagli esperti il
principale responsabile dell’aumento della temperatura media del pianeta osservato a
partire dalla seconda metà del 20° secolo.
I principali gas clima-alteranti (GHG – GreenHouse Gases) prodotti dall'uomo e
immessi nell’atmosfera sono:
la CO2 (anidride carbonica), prodotta dall’impiego dei combustibili fossili in
tutte le attività energetiche e industriali, oltre che nei trasporti;
il CH4 (metano), prodotto dalle discariche dei rifiuti, dagli allevamenti
zootecnici e dalle coltivazioni di riso;
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l’N2O (protossido di azoto), prodotto nel settore agricolo e nelle industrie
chimiche;
gli HFC (idrofluorocarburi), impiegati nelle industrie chimiche e
manifatturiere;
i PFC (perfluorocarburi), impiegati nelle industrie chimiche e manifatturiere;
l’SF6 (esafluoruro di zolfo), impiegato nelle industrie chimiche e
manifatturiere.
Una peculiare caratteristica dei gas serra introdotti nell'atmosfera e specialmente
della CO2, di rilevante importanza per il clima, è rappresentata dai loro lunghi tempi
di permanenza nell’aria. Una volta emessi in atmosfera essi possono risiedervi per
secoli, avendo così un impatto che si protrae per un lungo termine sul bilancio
radiativo (GUALDI et al., 2005).
3.2. - Politiche internazionali
L'aumento della concentrazione di CO2 nell'atmosfera, fu studiato per la prima volta
nel 1958 da Charles Keeling, che mise in evidenza a Mauna Lua, nelle isole Hawaii,
l’elevato incremento di CO2 nella concentrazione atmosferica, che aveva raggiunto
315 ppm, con un tasso di crescita pari a 0.6 ppm annuo, dando così l’avvio alle
ricerche su scala mondiale (GIORDANO et al., 2010).
Negli ultimi due secoli la quantità di CO2 è andata sempre crescendo, e ha raggiunto
nel 2011 la concentrazione di 391 ppmv (parti per milione in volume), valore
superiore all’intervallo di concentrazione naturale (180-300 ppmv) degli ultimi
800.000 anni e, molto probabilmente, degli ultimi 20 milioni di anni, con un aumento
del 40% rispetto al periodo preindustriale.
Oggi, l'evidenza scientifica del legame esistente fra le alterazioni del clima e le
attività antropiche gode di largo consenso fra la maggioranza degli scienziati
(Anthropogenic Global Warming), nonostante il parere diverso di alcuni oppositori,
che attribuiscono tale cambiamento ad eventi naturali (www.nasa.gov).
3.2.1. - Organismi internazionali di ricerca.
Nel 1988, l’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) ed il Programma delle
Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) hanno evidenziato l'importanza delle
problematiche legate al cambiamento del clima e, a tale proposito, hanno costituito
l’International Panel on Climate Change (IPCC). Tale organismo ha il compito di
raccogliere e valutare tutti i dati scientifici, sia tecnici che socio-economici, ritenuti
necessari per la comprensione del rischio dei cambiamenti climatici dipendenti
15
dall'attività dell’uomo. Al fine di renderlo facilmente operativo, questo organismo è
stato suddiviso in tre Gruppi di Lavoro (WG) ed una Task Force.
A tutt'oggi sono stati i pubblicati cinque rapporti di valutazione (Assessment Reports
– AR: 1990, 1995, 2001, 2007, 2013) che hanno costituito la base di partenza nelle
discussioni in ambito UNFCCC (Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui
Cambiamenti Climatici).
Ciascun AR (Assessment Report) è costituito da tre volumi, uno per ciascun gruppo
di lavoro (Working Group – WG) in cui è organizzato l’IPCC:
- WG1: valuta gli aspetti scientifici del sistema climatico e dei suoi cambiamenti;
- WG2: valuta la vulnerabilità dei sistemi naturali e socioeconomici rispetto ai
cambiamenti climatici, le conseguenze negative o positive, e le strategie di
adattamento;
- WG3: valuta le strategie di limitazione delle emissioni di gas-serra (GHG) e le
altre strategie per la mitigazione dei cambiamenti climatici;
- Task Force: effettua la supervisione dei programmi per la realizzazione degli
inventari nazionali dei gas-serra.
Nel 1990, a conferma di quanto esposto, si evidenzia come il Primo Rapporto
redatto, nel quale si riconosceva ufficialmente l'esistenza dei cambiamenti climatici e
la loro gravità, sia stato il documento di partenza per redigere la Convenzione
Quadro sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite (UNFCCC), che venne
adottata nel 1992 ed entrata in vigore nel 1994.
Nel 1995, nel Secondo Rapporto veniva messo in risalto il legame esistente fra i
cambiamenti climatici e l'attività umane evidenziandone i rischi futuri. Questo
secondo rapporto costituì la base del Protocollo di Kyoto (1997).
Nel 2001, venne redatto il Terzo Rapporto che ribadiva con forza il legame esistente
fra l'attività antropica e il clima, evidenziandone i sempre maggiori rischi.
Nel 2007, il Quarto Rapporto di Valutazione sottolinea la maggiore conoscenza
raggiunta nella comprensione del fenomeno, di quanto incida l’apporto antropico e
quello naturale al cambiamento climatico, con un'osservazione dettagliata dei
processi climatici e delle loro relazioni di causa-effetto (attribution), oltre ad una
proiezione di eventuali cambiamenti climatici futuri.
Infine, il Quinto Rapporto, pubblicato nel mese di ottobre 2014, ha confermato la
validità delle conoscenze acquisite in relazione al tema dei cambiamenti climatici,
ribadendo la scientificità delle competenze e dei concetti teorici che costituiscono le
fondamenta della scienza del clima, confermando la legittimità degli studi e delle
ricerche condotte che risultano in grado di esplicare la portata delle variazioni
climatiche avvenute nel passato, e prevedere gli scenari climatici futuri.
16
3.2.2. - Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici e Protocollo di
Kyoto
Il 9 maggio 1992, a New York, è stata approvata a livello internazionale la
Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, per contrastare
e ridurre al minimo gli effetti negativi di questo fenomeno. Questa Convenzione ha
come fine la stabilizzazione a livello planetario della concentrazione dei gas ad
effetto serra, che sono riconosciuti i più importanti fattori di incidenza in grado di
destabilizzare il clima globale del pianeta.
Alla convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, ha fatto
seguito il Protocollo di Kyoto, che è uno degli strumenti giuridici più importanti volti
a combattere i cambiamenti climatici. Questo protocollo internazionale invita i paesi
industrializzati e quelli in via di sviluppo a farsi carico sulla base del principio di
"comuni, ma differenziate responsabilità", di una riduzione delle emissioni dei
principali gas ad effetto serra rispetto ai valori del 1990.
Questo trattato, di natura volontaria, è stato sottoscritto l’11 dicembre 1997 durante
la Conferenza degli stati aderenti a tale accordo, ed è entrato in vigore il 16 febbraio
2005 in seguito alla ratifica del Protocollo da parte della Russia.
Poiché per la sua validità era necessario che venisse ratificato da non meno di 55
Nazioni, e che queste nel loro insieme rappresentassero non meno del 55% delle
emissioni serra globali di origine antropica, la ratifica da parte della Russia è stata
determinate per il raggiungimento di questo primo obbiettivo, anche se gli Stati Uniti
d'America, che sono il principale emettitore di gas serra con una quota del 36,1% sul
totale, non hanno ancora ratificato l'accordo.
Attualmente si stanno negoziando nuovi obbiettivi che potrebbero portare
all'adesione di nuovi paesi. Per alcuni Paesi, già aderenti all'accordo, non è prevista
alcuna riduzione delle emissioni, ma solo una stabilizzazione. Nessun tipo di
limitazione alle emissioni di gas-serra viene invece previsto per i Paesi in via di
sviluppo (ENEA, 2002).
3.2.3. - Obiettivi del Protocollo di Kyoto per l’Italia
I paesi aderenti al Protocollo di Kyoto si sono impegnati (paesi industrializzati e
paesi ad economia in transizione) a ridurre le emissioni annue di gas serra del 5,2 %
rispetto ai valori del 1990, nel periodo 2008-2012, con riduzioni differenti per ogni
singolo paese.
Per quanto concerne l'Unione Europea l'obiettivo generale di riduzione è del 8%,
nell'ambito del quale l'Italia si è impegnata a ridurre le emissioni del 6,5%. Questo
obiettivo appare di particolare difficoltà per l'Italia, che è un paese caratterizzato da
una bassa intensità energetica; va inoltre considerato che dal 1990 ad oggi le
emissioni italiane di gas serra sono notevolmente aumentate. Bisogna quindi
17
considerare che lo sforzo reale richiesto al paese per rispettare gli obblighi previsti
dal Protocollo di Kyoto per il periodo 2008-2012, è del 19 % circa; che corrisponde
ad una riduzione delle emissioni di circa 93 milioni di Tonnellate di CO2eq.(CNEL,
2005).
In Italia, per cercare di raggiungere gli obiettivi sottoscritti nell’ambito del Protocollo
di Kyoto, sono stati posti in essere una serie di strumenti normativi destinati a
recepire ed attuare quanto predisposto del Protocollo medesimo. Fra i più importanti
atti normativi possiamo evidenziare:
- Delibera CIPE 137/08 del 19.12.1998 – “Linee guida per le politiche e misure
nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra“;
- Legge n. 120/02 del 02.06.2002 – “Ratifica ed esecuzione del Protocollo di Kyoto
alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, fatto a
Kyoto l’11 dicembre 1997“, la Legge di ratifica nazionale del Protocollo di Kyoto);
- Delibera CIPE 123/02 del 19.12.2002 – Approvazione del “Piano Nazionale per la
riduzione delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra, 2003-2010”, quale
revisione delle linee guida per le politiche e le misure nazionali di riduzione delle
emissioni dei gas serra (Legge 120/2002). In tali documenti vengono definiti i singoli
obiettivi attributi a ciascun settore del Paese da conseguire entro il termine del
secondo periodo di impegno (cioè entro il 2012).
Secondo il Rapporto “Italian Greenhouse Gas Inventory” (ISPRA, 2011) si evidenzia
che nel 2009 le emissioni nazionali totali dei sei gas serra (GHG), espresse in CO2
equivalente, sono diminuite del 5,4% rispetto ai livelli del 1990.
3.2.4. - Strumenti attuativi del Protocollo di Kyoto
Per il conseguimento delle riduzioni proposte nel Protocollo di Kyoto sono previsti
due diversi tipi di strumenti:
Politiche e misure - All'interno del territorio nazionale vengono previsti
programmi attuativi specifici.
Meccanismi flessibili – In considerazione del fatto che i cambiamenti climatici
sono un fenomeno globale, e che ogni riduzione delle emissioni di gas serra è
efficace indipendentemente dal luogo del pianeta nel quale viene realizzata, si
concede di utilizzare a proprio credito le riduzioni di emissioni effettuate al di
fuori del territorio nazionale. Si possono avere tre tipi di meccanismi flessibili:
1. International Emissions Trading (IET) – questo meccanismo da la possibilità
a uno stato, o eventualmente ad un' azienda, di comperare o vendere ad altri
stati o aziende permessi di emissione in modo da essere in linea con la quota
assegnata. Con questo sistema il soggetto interessato venderà tali permessi
quando le proprie emissioni sono al di sotto della quota assegnata, mentre li
18
comprerà quando le proprie emissioni sono al di sopra della quota assegnata.
Questi permessi vengono chiamati Assigned Amount Units ed indicati con la
sigla AAUs.2.
2. Clean Development Mechanism (CDM)- questo meccanismo si pone il
proposito di attuare una particolare forma di collaborazione attraverso la
quale le aziende o gli stati, che realizzano progetti a tecnologia pulita nei
paesi in via di sviluppo, ricevono, in base alla riduzione ottenuta rispetto ai
livelli che si sarebbero avuti senza il progetto, altrettanti crediti di emissione,
che possono essere a loro volta venduti. Tali crediti vengono chiamati
Certified Emissions Reductions ed indicati spesso con la sigla CERs
3. - Joint Implementation (JI) – questo meccanismo prevede un rapporto di
collaborazione tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo, per il
raggiungimento dei rispettivi obiettivi di riduzione delle emissioni. In questo
modo, similmente al CDM, si possono ottenere crediti di emissione attraverso
investimenti in tecnologie pulite in altri paesi. Tali crediti vengono chiamati
Emissions Reductions Units ed indicati con la sigla ERUs
I meccanismi flessibili sono, dunque, strumenti economici che hanno lo scopo di
ridurre il costo complessivo d'abbattimento dei gas serra, poiché consentono di
ridurre le emissioni dove è economicamente più vantaggioso, pur tenendo sempre
conto degli obiettivi di tipo ambientale
3.2.5. - Accordi successivi al Protocollo di Kyoto e sviluppi futuri
Occorre considerare il Protocollo di Kyoto come il punto di partenza per contenere i
cambiamenti climatici in atto. Rimane infatti viva la speranza che i futuri obiettivi di
riduzione, indicati dagli scienziati, si trasformino in accordi internazionali in grado di
produrre efficaci e sostanziali politiche di riduzione di emissioni di gas serra.
Infatti, in seguito alla stesura del Protocollo di Kyoto (1997-2012), si sono avute una
serie di Conferenze (Conference of the Parties) destinate alla ridefinizione degli
obiettivi: la Conferenza di Copenhagen (Cop 15, Dicembre 2009) che ha lasciato
dietro di se molta delusione, poiché non è riuscita a raggiungere alcun accordo.
Anche la Conferenza di Cancun (Cop 16, Dicembre 2010), non è stata in grado di
organizzare un'azione coordinata tra gli Stati Nazionali per il contrasto al
cambiamento climatico; obiettivo che non è stato ottenuto neppure con la più recente
Conferenza di Durban (Cop 17, Dicembre 2011). A dicembre 2012 si è conclusa,
anche se con scarso successo, la Conferenza Cop 18 di Doha (in Quatar), dove è stato
approvato un documento finale (“Doha climate gateway”) che costituisce una specie
di “ponte” che dovrebbe far passare dal vecchio sistema di contrasto al “climate
change”, basato sul Protocollo di Kyoto e sui suoi impegni vincolanti, al nuovo
sistema “Kyoto 2” basato in buona parte su obiettivi meno vincolanti.
19
A Cop 18 ha fatto seguito la Conferenza sul cambiamento climatico delle Nazioni
Unite, COP19 o CMP9 che si è tenuta a Varsavia (Polonia) nei giorni 11-23
novembre 2013.
La conferenza ha portato ad un accordo che invita tutti gli Stati aderenti all’intesa a
tagliare le emissioni il prima possibile, addirittura entro il primo trimestre del 2015.
Inoltre sono previste una serie di misure atte a tutelare le foreste tropicali e sbloccare
di conseguenza grandi investimenti economici in grado di attuare adeguati interventi.
La COP19 ha discusso inoltre anche del nuovo “meccanismo di Varsavia”, che
avrebbe dovuto aiutare i Paesi in via di sviluppo ad affrontare i danni derivanti da
eventi climatici estremi come: le ondate di calore, le siccità, le inondazioni, oltre
all’innalzamento del livello del mare e la desertificazione. I Paesi sviluppati non
hanno però pienamente sottoscritto tale impegno, in quanto si sono dichiarati poco
disponibili nel mettere altri fondi a disposizione di questo meccanismo.
La 20° sessione della Conferenza delle Parti, si terrà dal 1 al 12 di dicembre 2014,
ospite del Governo del Perù, a Lima.
Purtroppo gli scarsi risultati ad oggi ottenuti dai vari Organismi Internazionali,
appaiono in contrasto con quanto espresso dalla maggioranza degli scienziati (COP
19), concordi nel sostenere la necessità di avviare immediate azioni di contenimento
necessarie a garantire una riduzione emissiva, in grado di mantenere l’aumento delle
temperature medie globali al di sotto dei + 2°C (rispetto ai livelli pre-industriali),
come evidenziato nel report “Warnings of climate science – again – written in Doha
sand” (realizzato dal Climate Action Tracker del Potsdam Institute for climate
impact research (Pik), da Ecofys – experts in energy e da Climate Analytics).
Attualmente, purtroppo, si può contare solo sull'impegno più teorico che concreto di
Doha 2012, per stabilire le modalità e gli strumenti per colmare il divario tra
emissioni attese (58 GtCO2eq), cioè raggiungibili con gli attuali impegni (52-57
GtCO2eq) ed il limite di 44 GtCO2eq, che gli scienziati considerano insormontabile
per raggiungere l'obiettivo teso a limitare il riscaldamento climatico a + 2°C. Il
divario previsto varia tra gli 8 e i 13 miliardi di tonnellate di CO2eq, ed è un valore
che gli scienziati valutano in maniera estremamente negativa, in quanto ci
condurrebbe in maniera irreversibile verso un riscaldamento stimato tra i 3.5°C e i
6°C.
Va inoltre evidenziato che anche se i Paesi industrializzati riducessero
sostanzialmente le loro emissioni di gas serra nei prossimi decenni, il sistema
climatico continuerebbe ad esserne influenzato per secoli. Ciò in dipendenza del
lungo lasso di tempo necessario affinché le politiche di riduzione delle emissioni
abbiano un effetto sulle concentrazioni di gas serra e, di conseguenza, sul clima
(EEA, 2004).
20
3.3. - Cambiamento climatico in rapporto al settore primario
Fra i responsabili dell'emissione di gas serra nell'atmosfera va sicuramente
considerato il settore primario al quale va attribuita, anche se in misura diversa,
l'emissione di alcuni fra i principali gas serra: anidride carbonica (CO2), metano
(CH4) e protossido di azoto (N2O). Nel complesso all'agricoltura viene attribuita la
responsabilità di circa il 30% delle emissioni di GHG di origine antropica (FAO,
2003) Dall'agricoltura hanno origine il 50% e il 70%, rispettivamente delle emissioni
di CH4 e di N2O (Tabella 1). Escludendo le attività forestali, le attività agricole sono
responsabili del 5% delle emissioni di CO2; la deforestazione del 20% circa (IPCC,
2000a).
GHG Era
pre-industriale 2005
Variazione
(%)
% emissioni del
settore agricolo-
forestale sul totale
emissioni
Anidrite Carbonica CO2 (ppm) 280 379 34,4 % 25 %
Metano CH4 (ppb) 715 1774 148,1 % 50 %
Protossido di azoto N2O (ppb) 270 319 18,1 % 70 %
Tabella 1 - Aumento della concentrazione dei principali GHG dall'era pre-industriale
al 2005 (ppm: parti per milione; ppb: parti per miliardo)(IPCC, 2000a)
I dati più recenti, relativi al livello di emissioni dei tre principali GHG che
interessano il settore agricolo e forestale, esaminati dettagliatamente forniscono i
seguenti risultati (IPCC, 2000a).
Si evidenzia un aumento notevole nella concentrazione di anidride carbonica, il più
importante GHG di origine antropica, che è passato da 280 parti per milione (ppm)
dell'era pre-industraile a 379 ppm nel 2005. La variazione di CO2 naturale, negli
ultimi 650.000 anni, è oscillata sempre entro valori di 180-300 ppm; con evidente
difformità per quanto avvenuto nel periodo 1995 - 2005, nel quale si sono registrati i
maggiori tassi di variazione della CO2, con una media di 1,9 ppm per anno (nel
periodo 1960.2005 la media annua è stata di 1,4 ppm).
Dopo i combustibili fossili, il settore agricolo-forestale viene considerato come la
principale causa delle emissioni di CO2. Le emissioni medie annue associate all'uso
dei terreni agro-forestali, negli anni novanta, sono state stimate pari a 5,9 Gt
(Gigaton), anche se con ampio margine di incertezza (da 1,8 a 9,9) (IPCC, 2007a).
Le foreste hanno un ruolo prioritario tra le diverse forme di utilizzo del suolo e
quindi il loro ruolo è determinante nell'emissione di CO2. La capacità fissativa (sink)
di carbonio di 0,7±0,2 Gt/anno delle foreste boreali e temperate non è in grado di
compensare i processi di deforestazione tropicale che comportano una emissione
netta annuale di 1,6±0,4 Gt C. Dai valori rilevati in epoca preindustriale la
21
concentrazione in atmosfera del metano è passata da 715 parti per miliardo (ppb) a
1732 ppb negli anni Novanta, per arrivare a 1774 ppb nel 2005 (negli ultimi 650.000
anni la concentrazione naturale è variata entro i 320 e i 790 ppb). Le attività
zootecniche e l'utilizzo a dei suoli, sono considerati la prima causa delle emissioni,
ma il contributo del settore come quello di altre fonti è molto incerto (IPCC, 2007a).
La concentrazione in atmosfera del protossido d'azoto, è passata da 270 ppb
dell'epoca preindustriale a 319 ppb in 2005. Comunque il tasso di crescita delle
emissioni si è stabilizzato a partire dal 1980. Oggi l'agricoltura è considerata la causa
principale delle emissioni di natura antropica che costituiscono un terzo del totale
emissivo.
I dati finora riportati fanno prevalentemente riferimento ai flussi di GHG e alla loro
concentrazioni nell'atmosfera. Come evidenziato, il settore primario è nel complesso
un emettitore netto di GHG, ma alcune forme di utilizzo dei terreni agricoli e
forestali consentono, e ancor più potrebbero consentire nel futuro, di aumentare le
quantità temporaneamente fissate di CO2. (PETTENELLA, 2007).
Si evidenzia nella Tabella 2, di seguito riportata, una stima dell'attuale capacità di
fissazione. Tale capacità è strettamente dipendente dall'evoluzione del settore, sia
dalle politiche agricole e di sviluppo rurale, sia da quelle energetiche e climatiche in
grado di influire sulle modalità di gestione dei terreni, oltre che rispondere alla
capacità di reazione spontanea del settore al processo stesso del cambiamento
climatico.
BIOMI SUPERFICIE
(109 ha)
STOCK DI CARBONIO (Gt C)
Vegetazione Suolo Totale
Foreste tropicali 1,76 212 216 428
Foreste temperate 1,04 59 100 159
Foreste boreali 1,37 88 471 559
Savane 2,25 66 264 330
Prati e pascoli di zone temperate 1,25 9 295 304
Deserti e zone semi desertiche 4,55 8 191 199
Tundra 0,95 6 121 127
Zone Umide 0,35 15 225 240
Terreni coltivati 1,60 3 128 131
TOTALE 15,12 466 2011 2477
Tabella 2. Stock globale di carbonio nella vegetazione e nel suolo (fino a un metro di
profondità) nei diversi biomi terrestri. (IPCC, 2000a)
Si evidenziano tre categorie in cui suddividere le attività agricolo-forestali con effetti
migliorativi nei bilanci dei GHG:
- le attività che portano ad una crescita dello stock del carbonio o a una riduzione
delle emissioni nelle coltivazioni, negli allevamenti zootecnici, nelle pratiche
22
forestali senza cambiamenti nelle forme d'uso dei suoli (razionalizzazione
dell'impiego di fertilizzanti e combustibili fossili, allungamento dei turni forestali);
- il cambiamento delle forme d'uso del suolo (rimboschimenti, conversione di
seminativi in pascoli,) o la prevenzione di cambiamenti con effetti negativi (difesa
antincendio, deforestazione);
- la produzione di materiali ad accumulo di carbonio (legname con lunghi cicli di
vita) o con effetti sostitutivi di carbonio fossile (produzioni di bioenergia).
- interventi misti (ad esempio una piantagione a biomasse, su terreni agricoli, per la
produzione di biocombustibili).
Nell'ambito delle strategie da mettere in atto per la mitigazione dei cambiamenti
climatici e, nello specifico, per la fissazione della CO2, già dal febbraio 2005, con
l'entrata in vigore del Protocollo di Kyoto, il settore agricolo-forestale è stato
formalmente riconosciuto come un valido strumento utilizzabile per il
raggiungimento di questo obiettivo.
Definito l'oggetto e le modalità di rendicontazione, il Protocollo lasciava liberi i
governi nell'individuare gli strumenti economici più opportuni per raggiungere gli
obiettivi di riduzione.
La maggior parte dei paesi occidentali (Italia compresa) che hanno ratificato il
Protocollo hanno optato per non rendicontare le attività agricole nel primo periodo di
attuazione delle proprie politiche climatiche (CICCARESE et al., 2006). La gestione
forestale è stata selezionata da alcuni paesi (tra cui l'Italia). In tal modo i paesi hanno
valutato che i costi marginali di abbattimento delle emissioni nel settore agricolo
sono mediamente più elevati rispetto a quelli di altri settori.
Lo Schema di mercato delle quote (European Union's Emissions Trading Scheme,
EU-ETS), approvato con la Direttiva 87 del 2003 e reso operativo nel gennaio 2005,
viene valutato nell'Unione Europea come lo strumento di mercato più significativo
direttamente finalizzato a ridurre le emissioni di GHG. Lo Schema, basato sulla
modalità organizzativa “cap and trade”., impone ai comparti economici che
consumano più risorse energetiche, specificatamente per ogni impianto, di non
superare annualmente un tetto di emissione (definito “cap”). Rispetto al cap
destinato, le imprese possono ridurre le proprie emissioni tramite interventi di
risparmio energetico o la riduzione dei livelli di produzione, immettendo così sul
mercato (“trade”) le quote di emissione non utilizzare che possono essere acquisite
da imprese con esigenze opposte. Questo strumento di contenimento delle emissioni
è ritenuto particolarmente efficiente, in quanto premia le imprese che operano a costi
marginali inferiori, evitando azioni impositive di comando o controllo.
La Commissione Europea, nel definire lo schema di funzionamento dell'EU-ETS,
non ha tenuto conto delle diverse aspettative afferenti al mondo agricolo e forestale,
ed ha escluso la possibilità che gli investimenti nel settore primario possano essere
utilizzati per generare crediti spendibili nel mercato europeo delle quote. La
Commissione ha avuto una netta presa di posizione a questo riguardo specificando
23
che l'EU-ETS è finalizzato a ridurre permanentemente le emissioni, mentre gli
interventi nel settore primario sono giudicati temporanei, di risultati incerti e senza
particolari trasferimenti tecnologici. Nonostante la pressante richiesta degli operatori
del settore agricolo e forestale a riconsiderare le decisioni prese dopo il primo
periodo di funzionamento dello Schema, si è avuto da parte della Commissione una
posizione di sostanziale chiusura a qualsivoglia proposta di cambiamento.
Le imprese coinvolte nell' “EU-ETS” possono tuttavia ricorrere nei propri impianti
all'utilizzo a fini energetici di fonti rinnovabili come le biomasse, con la riduzione
delle proprie emissioni di CO2, e attuare in tal modo una valorizzazione economica
delle attività agro-forestali. In ogni modo, è comunque escluso un esplicito e diretto
coinvolgimento del settore primario nello scambio di quote.
All'Italia, in seguito ad un'intensa attività negoziale, è stato concesso un limite di
rendicontabilità per le misure di gestione forestale (art. 3.4 del Protocollo)
relativamente elevato: 10,2 milioni t CO2/anno, pari a più del 10% del totale
dell'impegno di riduzione delle emissioni ufficialmente assunto dall'Italia. Per l'art.
3.3, relativo ai rimboschimenti, è inoltre previsto di rendicontare nel piano nazionale
ulteriori 6 milioni di t CO2, di cui la metà connessi ai fenomeni di espansione
naturale del bosco su ex coltivi. Facendo riferimento ai 5 anni in cui verrà attuata la
prima rendicontazione delle emissioni italiane, si tratta di un servizio ecosistemico
offerto dal settore forestale valutabile intorno ai 400 milioni di Euro(PETTENELLA,
2007). Quanto esposto apre la strada ad una serie di legittime aspettative da parte dei
proprietari forestali rispetto ad una internalizzazione di tale servizio.
Il Ministero dell'Ambiente, in considerazione di quanto esposto, ha manifestato
formalmente con il decreto del 2.2.2005, la volontà politica di organizzare un
”Registro Nazionale dei Serbatoi di Carbonio Agro-Forestali”. Il Registro dovrebbe
essere lo strumento atto a monitorare tutti i terreni potenzialmente interessati alle
attività agricole e forestali sul territorio italiano. Si evidenzia comunque che, di fatto,
verranno prese in considerazione solo le attività forestali, dal momento che il
governo ha scelto per ora di escludere quelle attività agricole dal sistema di
rendicontazione del Protocollo.
Gli interventi forestali utilizzabili ai fini del Protocollo per essere rendicontabili
devono, oltre ad aver avuto inizio dal 1990, essere intenzionali e conseguenti a
interventi diretti e volontari, non osservabili in uno scenario ”business as usual.”
(CICCARESE et al., 2006). L'inclusione, ipotizzata dal piano italiano di riduzione delle
emissioni, di tutte quelle attività che comunque sarebbero state poste in essere o si
sarebbero verificate anche in assenza del Protocollo (ad esempio la ricolonizzazione
naturale di prati e pascoli abbandonati da parte della vegetazione arborea, o la
crescita spontanea di boschi in condizioni marginali), si presta alla fondata critica di
utilizzare strumentalmente il settore forestale per non fare quelle scelte, nel campo
del risparmio e della riconversione energetica, che rappresentano i veri punti critici
delle politiche di riduzione delle emissioni di gas di serra. Da quanto esposto, risulta
chiaramente come non sia stata impostata una chiara politica di governance delle
24
attività agricole e forestali per una riduzione delle emissioni di GHG, oltre a
considerare anche tutti i problemi legati al coordinamento di queste politiche con
quelle di sviluppo rurale ed energetiche.
3.4. - Misure di difesa dell’UE contro gli effetti dei cambiamenti
climatici sugli ecosistemi
L'agricoltura e la selvicoltura nell’UE, rivestono un ruolo di grande rilievo, in quanto
fornitori di servizi ambientali ed ecosistemici in grado di limitare gli effetti derivanti
dagli attuali cambiamenti climatici.
La gestione agricola e forestale è infatti determinante da vari punti di vista come, ad
esempio, la protezione dei corsi d'acqua contro un eccessivo afflusso di nutrienti,
l'utilizzo efficiente delle risorse idriche nelle regioni aride, il miglioramento della
gestione delle alluvioni, la manutenzione e il ripristino di paesaggi multifunzionali,
come i prati ad alto valore naturalistico che ospitano habitat e intervengono nella
migrazione di numerose specie. Per contrastare i rischi connessi ai cambiamenti
climatici, occorre prendere in considerazione l’applicazione di misure che
dovrebbero fornire un valido contributo per mitigare i rischi suddetti, fra questi ad
esempio: la protezione dei prati permanenti, la promozione di tecniche di gestione
forestale che migliorino la resistenza ai cambiamenti del clima, le misure di gestione
del suolo per il mantenimento del carbonio organico (ad esempio, assenza di
lavorazione o lavorazione minimale del suolo) (LIBRO VERDE, 2007).
A tale proposito, il piano d'azione previsto dall'UE intende istituire un contesto
coerente nel quale inserire iniziative a favore dei boschi e delle foreste all'interno
dell’Unione europea, oltre ad essere uno strumento di coordinamento degli interventi
europei e delle politiche forestali degli Stati membri. Il piano propone diciotto azioni
chiave da realizzare nell'arco di cinque anni (2007-2011). In tale ottica sono stati
elaborati i PSR 2007-2013 prorogati al 2014, e adottati dalle Regioni ai sensi del
Reg. (CE) 1698/05. Il regolamento comunitario indirizza l’azione degli stati membri
verso azioni atte a contrastare gli effetti derivanti dal cambiamento climatico: “Ai fini
della protezione dell’ambiente, della prevenzione degli incendi e delle calamità
naturali e dell’attenuazione del cambiamento climatico, occorre estendere e
migliorare la massa forestale mediante l’imboschimento di superfici agricole o di
altre superfici” (CEE, 2005 – punto 38).
Occorre ricordare che il sostegno comunitario all'agricoltura, alla selvicoltura e allo
sviluppo rurale è basilare per la produzione alimentare, oltre che per il mantenimento
dei paesaggi rurali e la fornitura di servizi ambientali.
Per lo sviluppo sostenibile dell'agricoltura dell'UE, sono da considerarsi
fondamentali, anche se non esaustive, le recenti riforme della politica agricola
25
comune (PAC). Comunque sarebbe opportuno , ad esempio, esaminare in che misura
la PAC sia in grado di incentivare buone pratiche agricole che risultino compatibili
con le nuove situazioni climatiche, e come contribuiscano, in maniera proattiva, alla
conservazione e alla tutela dell'ambiente.
Va considerato che il cambiamento del clima avrà profonde conseguenze sulle
componenti fisiche e biologiche degli ecosistemi, cioè l'acqua, il suolo, l'aria e la
biodiversità. Per ciascuna di queste matrici, l'UE ha già predisposto la nascita di
normative e politiche idonee, da attuare in tempi relativamente brevi, in modo da
poter intervenire adeguatamente per rafforzare la capacità di resistenza degli
ecosistemi ai cambiamenti climatici. Anche se a tutt'oggi appare difficoltoso
mantenere gli ecosistemi funzionanti e in buone condizioni, perché i mutamenti del
clima potrebbero compromettere ciò che è già stato fatto, e ciò che si sta facendo.
Tutto questo renderebbe quindi necessario apportare cambiamenti ed aggiustamenti
alle politiche comunitarie previste nel settore.
Vari sono gli aspetti su cui insistere prevalentemente: la necessità di garantire
l'integrità, la coerenza e le connessioni all'interno della rete Natura 2000, la
conservazione e il ripristino della biodiversità e dei servizi ecosistemici nelle zone
rurali in senso lato e nell'ambiente marino, la compatibilità tra lo sviluppo regionale,
territoriale, la biodiversità e la riduzione degli effetti indesiderati delle specie
esotiche invasive.
Lo sviluppo e lo sfruttamento nel settore agricolo-forestale non devono comportare
una diminuzione del capitale naturale o dei servizi ecosistemici, ma condurci verso
ciò che viene chiamato "utilizzo sostenibile" delle risorse. In quest'ambito, le misure
compensative sono un elemento importante per far sì che i progetti di sviluppo
conservino il capitale naturale.
Il piano d'azione che l'UE intende perseguire per le foreste, al fine di concretizzare il
concetto di “utilizzo sostenibile”, prevede un contesto congruente nel quale inserire
iniziative a favore dei boschi e delle foreste, oltre ad azioni di coordinamento degli
interventi europei e delle politiche forestali degli Stati membri. All'interno di questo
piano, si ipotizzano delle misure specifiche per il raggiungimento di questo obiettivo,
che prevede il mantenimento e l'accrescimento in maniera appropriata della
biodiversità, l’immobilizzazione del carbonio, l’integrità e la salute degli ecosistemi
forestali, e la loro capacità di recupero a diversi livelli geografici.
La conservazione della capacità produttiva, della capacità di recupero e della
diversità biologica, è fondamentale per assicurare il mantenimento di un sano
ecosistema forestale, a sua volta indispensabile per una società ed un’economia sane.
A tale proposito l'UE, per favorire il rispetto degli impegni presi nel quadro
dell’UNFCCC e del relativo protocollo di Kyoto, ha previsto una serie di azioni
mirate a contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici, riconoscendo il ruolo e
l'importanza delle foreste in questo contesto.
26
3.5. - Modelli climatici
3.5.1. - Aspetti generali
Stabilire in quale misura i cambiamenti climatici osservati in questi ultimi decenni
possano essere ricondotti e spiegati dagli effetti delle attività umane, e quanto siano il
risultato della naturale variabilità climatica, viene considerato uno dei principali
obiettivi nello studio del clima. In questo ambito va evidenziata comunque la
notevole difficoltà di effettuare questo tipo di indagini. Per validare le ipotesi
presupposte e le teorie esistenti, occorre ricorrere all’uso di modelli numerici, basati
sulla rappresentazione matematica dei processi e delle interazioni che sono coinvolte
nel sistema climatico. I modelli utilizzati, con cui effettuare delle simulazioni sulla
futura variabilità atmosferica, sono alla base delle attuali conoscenze del sistema
climatico e, comunque, costituiscono la miglior rappresentazione ad oggi disponibile.
Essi sono dunque, il miglior strumento di cui disponiamo attualmente per indagare i
meccanismi che governano il clima e per cercare di prevederne il comportamento.
Negli ultimi decenni sono stati compiuti considerevoli progressi nel campo della
modellistica numerica e, oggigiorno, i principali centri di ricerca dispongono di
modelli numerici in grado di riprodurre le principali caratteristiche del clima e della
sua variabilità (GUALDI et al., 2005; MEEHL. et al., 2003).
Esiste una notevole differenza fra i modelli climatici e quelli meteorologici, in
quanto, i primi, oltre a valutare modelli di trasferimento radiativo-convettivo e
fluidodinamici, prendono in considerazione equazioni relative a processi fisici che
hanno scarsa influenza a scala meteorologica (breve periodo), ma peso molto
maggiore a scala climatica (medio-lungo periodo), come ad esempio l'effetto della
copertura nevosa sull'albedo terrestre, l'interazione tra atmosfera e biosfera attraverso
il ciclo del carbonio per la valutazione dell'impatto antropico, e le variazioni delle
correnti oceaniche (modelli oceanici).
A tutt'oggi le Nazioni Unite, mediante l’IPCC, hanno monitorato più di venti modelli
climatici.
Esistono poi modelli climatici detti “accoppiati”, quali a esempio il modello
AOGCM (Atmosphere-Ocean General Circulation Model), dove compaiono le
equazioni che rappresentano in maniera tridimensionale la circolazione oceanica, il
trasporto dell’energia solare assorbita intorno alla Terra, e gli scambi di calore e di
umidità con l’atmosfera. Nei moderni modelli accoppiati compaiono anche equazioni
che descrivono l’influenza della vegetazione, del suolo, della neve o del ghiaccio in
relazione allo scambio termico con l’atmosfera
Dai modelli climatici “globali” (Global Climate Models, GCMs) si ottengono
modelli climatici “regionali” (Regional Climate Models, RCMs) ottenuti con
operazioni di downscaling. Tale termine inglese indica generalmente una operazione
di interpolazione condotta su un insieme di dati, disposti ad una determinata scala
27
spaziale, da cui si ottiene un altro insieme di dati ad una scala diversa, generalmente
a più elevata risoluzione spaziale.
In tal modo, la validità di un modello climatico si valuta sulla sua capacità di
ricostruire il clima passato. Per convalidare un modello climatico si immettono nel
modello i valori misurati o stimati di queste grandezze, ad esempio per l’ultimo
secolo, e si va a vedere se il modello simula correttamente gli andamenti di alcune
variabili medie (come la temperatura globale), e se presenta una loro distribuzione
sul pianeta in sintonia con le osservazioni effettuate (PASINI, 2012).
3.5.2. - Principali Modelli Globali di Circolazione
Come già evidenziato nel paragrafo precedente le Nazioni Unite, mediante l’IPCC,
hanno monitorato più di venti modelli climatici. Fra questi, di seguito vengono
evidenziati quelli più utilizzati a livello mondiale (ROSSO, 2007). Il modello
climatico utilizzato per il presente studio è il modello HadCM3.
ECHAM-4
Questo modello di circolazione generale atmosferica (GCM) ECHAM-4, sviluppato
dal Max-Planck-Institute per la Meteorologia di Amburgo (Germania), rappresenta
un’evoluzione del modello per le previsioni meteorologiche del Centro Europeo per
le Previsioni a Medio Termine (ECMWF, Reading). Il modello è stato utilizzato con
un troncamento spettrale T106, che corrisponde ad una risoluzione spaziale di circa
1.125° x1.125° (circa 100 Km). Il modello atmosferico è stato accoppiato con un
modello a “strato mescolato” (mixed-layer) dell’oceano.
Acronimo: MPI ECHAM4 (T42 L19) 1996
NCAR_PCM
Il Pcm è il Parallel Climate Model (modello parallelo) dell’NCAR. Esso utilizza al
suo interno il modello atmosferico CCM3 (NCAR Community Climate Model), e per
la componente oceanica il LANL Parallel Ocean Program Model (POP) del Los
Alamos National Laboratory.
La componente atmosferica (CCM3) è la quarta generazione dei modelli NCAR
Community Climate Model, esso è una evoluzione del CCM2, ma con evidenti
cambiamenti nella parametrizzazione dinamica e fisica.
Acronimo: NCAR_PCM 1992
28
GFDL R30
Il modello climatico GFDL R30 è l’ultima versione di modello generale accoppiato
“circolazione atmosfera-oceano”, sviluppato nel corso degli anni dal Geophysical
Fluid Dynamics Laboratori in Princeton (1997). Il nome “R30” deriva dalla
risoluzione spettrale del modello atmosferico (troncamento romboidale all’onda
numero 30).
Questa versione del modello, utilizzata essenzialmente per studi climatici, è stata
ricavata dal precedente modello GFDL Dynamical Extended-Range Forecasting
(DERF) apportando alcune modifiche soprattutto nelle parametrizzazioni e nelle
caratteristiche numeriche.
Acronimo: GFDL R30 1997
HadCM3
Il modello climatico HadAM3 fornisce una dettagliata rappresentazione
tridimensionale delle maggiori componenti del sistema climatico.
Rispetto agli altri modelli precedentemente descritti, utilizza un modello atmosferico
di tipo “grid point”. E' un modello accoppiato atmosfera-oceano ed è stato costruito
dall’Hadley Centre, Acronimo: HadAM3 (2.5x3.75 L19) 1998. Può essere
considerato lo stato dell’arte dei modelli climatici, in quanto, rispetto ad altri modelli
di circolazione generale, presenta l’accoppiamento atmosfera-oceano GCM
(Atmosphere-Ocean General Circulation Model AOGCM). Non richiede correzioni
nei flussi di massa e di energia per produrre buone simulazioni.
All’interno dell’HadCm3 l’atmosfera è schematizzata attraverso 19 livelli con
risoluzione orizzontale di 2.5° in latitudine e di 3.75° in longitudine, di modo che la
griglia globale sia costituita da 96 x 73 celle, e l’Oceano è rappresentato da 20 livelli
con risoluzione orizzontale 1,25° x 1,25° (6 celle oceaniche per ogni cella
atmosferica). Il modello è stato utilizzato per simulare la variabilità del clima
(CLIVAR) e i suoi cambiamenti durante i passati 100 anni, e per prevedere i
cambiamenti che si manifesteranno nei prossimi 100 anni. (BARCAIOLI et al., 2006)
Il modello HadCm3 è quello prescelto per il presente studio, in quanto, grazie alla
quantità di simulazioni effettuate in questi ultimi anni che hanno notevolmente
ampliato il materiale a disposizione, consente di utilizzare una base di dati adeguata
per le finalità di questa Tesi.
La scelta fra i molti modelli disponibili, è principalmente legata alle seguenti
considerazioni:
1) Modelli con facile accessibilità dei dati di output;
2) Modelli ritenuti dalla comunità scientifica come i più affidabili;
3) Modelli con ricca e dettagliata documentazione.
29
3.5.3. - Scenari di emissione
La teoria ufficiale del riscaldamento globale del pianeta attribuisce alle cause di
natura prevalentemente antropica l'effetto serra. In considerazione dell’impossibilità
di prevedere l'esatto quantitativo di gas serra rilasciato in futuro dalle attività umane,
le previsioni sui cambiamenti climatici a venire sono espresse in termini di "scenari".
Si presumono cioè diverse ipotesi di emissioni di gas serra ottenute a loro volta sulla
base di modelli economici di sviluppo mondiale.
Un certo numero di possibili “scenari” del clima sono stati previsti dall’IPCC, nel
Rapporto Speciale sugli Scenari di Emissione (SRES). Queste rappresentazioni
vengono considerate plausibili e compatibili con le future emissioni di gas serra e di
altri inquinanti, oltre ad essere coerenti con le conoscenze che abbiamo sugli effetti
dell’aumento delle concentrazioni di tali gas sul clima globale.
Il Terzo Rapporto di Valutazione del WG1 dell’IPCC, descrive quattro ipotesi di
futuri scenari climatici, denominati, rispettivamente,:A1, A2, B1, B2 (Tabella 3)
(Figura 1) (IPCC, 2000b).
PIU’ ECONOMICO
PIU’
GLOBALE
A1 A2 PIU’
REGIONALE B1 B2
PIU’ AMBIENTALE
Tabella 3. Sintesi scenari futuri di emissione e concentrazioni di gas serra (IPCC,
2000b).
Scenario A1- emissioni alte
Tale scenario descrive un mondo futuro con una crescita molto rapida dell’economia
e della popolazione globale, con picco a metà secolo per poi declinare, con la rapida
introduzione di nuovi e più efficienti tecnologie. Principali temi di fondo sono la
convergenza tra le regioni, sviluppo delle capacità culturali e delle interazioni sociali,
con una sostanziale riduzione delle differenze regionali di reddito pro capite tendenti
ad eliminare le distinzioni di reddito fra paesi poveri e paesi ricchi. Nello scenario
A1 il trend economico e demografico sono strettamente correlati ed il benessere
determina l’allungamento della vita media e famiglie di pochi individui (bassa
mortalità e bassa fertilità). La popolazione globale cresce fino a 8,7 miliardi di
individui al 2050 e declina fino a 7 miliardi al 2100. L’economia globale si espande
ad un tasso del 3% fino al 2100. Lo scenario A1 è suddiviso in tre sottoscenari che
descrivono direzioni alternative del cambiamento tecnologico:
A1FI uso intensivo di combustibili fossili;
30
A1T sviluppo di risorse energetiche non fossili;
A1B. un equilibrio di tutte le fonti.
- popolazione: 8,7 miliardi nel 2050; 7 miliardi nel 2100
- tecnologie: evoluzione tecnologica rapida
Scenario A2- emissioni medio-alte
Questo scenario descrive un mondo molto eterogeneo, con una forte crescita della
popolazione, un lento sviluppo economico e una lenta trasformazione tecnologica.
Lo sviluppo economico è essenzialmente orientato su base regionale e pro capite, la
crescita economica e il cambiamento tecnologico più frammentato e lento di altri
scenari. Si pronostica un riacutizzarsi delle tensioni internazionali con una
conseguente minore cooperazione rispetto agli scenari A1 e B1. Persone, idee e
capitali sono molto meno mobili, cosicché anche la tecnologia ha una diffusione
limitata. Le disparità internazionali di produttività sono accresciute rispetto alla
situazione attuale determinando una conseguente disparità anche nel reddito pro
capite. Questo scenario è inoltre caratterizzato da un incremento demografico
costante (15 miliardi di individui entro il 2100) con una diminuzione del reddito pro
capite rispetto a A1 e B1.
- - popolazione: 15miliardi nel 2100
- tecnologie: evoluzione tecnologica frammentata e lenta
Scenario B1 - emissioni basse
I punti focali dello scenario B1 sono l’alto livello di coscienza sociale ed ambientale
unito con un approccio coerente allo sviluppo sostenibile. Un particolare sforzo è
profuso nell’aumentare l’efficienza delle risorse utilizzate attraverso la promozione
di tecnologie a basso impatto ambientale. La popolazione globale raggiunge i 9
miliardi di individui entro il 2050 diminuendo fino a 7 entro il 2100. Questo scenario
è caratterizzato da un alto livello di attività economica ed un progresso significativo
verso una distribuzione più equa delle risorse a livello internazionale.
Si differenzia dall’A1 per il rapido cambiamento delle strutture economiche, verso
una economia di servizi e informazioni, con una riduzione dell'intensità del consumo
delle risorse e l'introduzione di tecnologie pulite e di tecnologie efficienti.
- popolazione: 8,7 miliardi nel 2050; 7 miliardi nel 2010
- tecnologie: sviluppo sostenibile uso modesto delle risorse
31
Scenario B2-emissioni medio basse
Come per lo scenario B1, anche il B2 world presuppone un approccio sostenibile allo
sviluppo dove, però, l'accento è posto su soluzioni locali per sostenibilità economica,
sociale e ambientale. La popolazione mondiale cresce ad un tasso inferiore a quello
previsto per lo scenario A2, con livelli intermedi di sviluppo economico, e con meno
rapida e più diversificata tecnologia rispetto agli scenari B1 e A1. La popolazione
raggiunge 10,4 miliardi di unità in risposta ad una riduzione di mortalità ed un
aumento della fertilità. Le differenze di reddito a livello internazionale diminuiscono
sebbene non così rapidamente come ipotizzato negli scenari A1 e B1.
- popolazione: 10,4 miliardi nel 2100
- tecnologie: evoluzione tecnologica lenta incentrata verso lo sviluppo sostenibile
Figura 1 – Scenari di concentrazione emissione di CO2 (Fonte: Report of
Working Group I of the ICCP 2007).
32
4. - INTERAZIONI TRA ECOSISTEMI FORESTALI E
CAMBIAMENTO CLIMATICO
4.1. - Ruolo delle foreste nei cambiamenti climatici
Nel controllo della dinamica dei cambiamenti globali del clima, le foreste svolgono
un ruolo importante perché contribuiscono a regolare il ciclo del carbonio, anche se
occorre tenere presente che la loro sopravvivenza e la loro funzionalità è fortemente
influenzata e minacciata da tali cambiamenti. Recenti studi di diversa fonte, basati su
simulazioni, presuppongono che le aree già a forte tensione, sia climatica (alte
temperature, scarsa piovosità) che per pressioni antropiche, saranno sottoposte ad
effetti più marcati e dannosi a causa dei cambiamenti climatici (MARINO et al.,
2005).
Tutto ciò è spiegato dal fatto che gli impatti dei cambiamenti climatici sono in
massima parte dipendenti dai sistemi naturali. Dove esistono ecosistemi
sufficientemente stabili e più vicini alle condizioni naturali, si avrà maggiore
resistenza ai mutamenti del clima e, quindi, si avrà maggiore possibilità di continuare
ad erogare i servizi ecosistemici dai quali dipende il grado di prosperità e il futuro
benessere. Per questo gli ecosistemi devono essere al centro di qualsiasi politica di
adattamento ed è pertanto necessario ridurre tutte le azioni che ne causano la
frammentazione, il degrado, l'eccessivo sfruttamento e l'inquinamento (LIBRO
VERDE, 2007).
Svariati sono i fattori di disturbo che, nella regione mediterranea, hanno
compromesso i processi naturali che regolano la funzionalità e l’evoluzione degli
ecosistemi forestali.
Tutte le trasformazioni nell'utilizzo del suolo, dalla foresta alle coltivazioni agrarie,
al pascolo, agli incendi, allo sfruttamento irrazionale del territorio, hanno provocato
danni molto gravi e non facilmente risanabili. Molte superfici boschive sono state
depauperate e impoverite. Si sono manifestati frequenti e gravi fenomeni erosivi che
hanno costituito un'ulteriore minaccia per il territorio. Ha iniziato a manifestarsi il
grave fenomeno della desertificazione aggravata dall'aumento degli incendi boschivi,
emblema della crisi attuale. Per tutto ciò, in Italia vengono considerate maggiormente
a rischio la parte meridionale del paese e le aree montane, anche se è vero che a scala
nazionale si registra una espansione delle superfici forestali (INFC, 2005).
Quanto esposto evidenzia i forti stress fisiologici subiti dalle piante forestali, che
vengono limitate nel loro vigore vegetativo e predisposte a forme progressive di
degrado. Questa condizione è resa ancor più grave dal fatto che la maggior parte
degli ambienti forestali mediterranei è storicamente sottoposta a disboscamenti,
incendi e allo sfruttamento agro-pastorale intensivo, oltre a presentare caratteristiche
33
di instabilità ecologica anche per motivi climatici, orografici e pedogenetici. Tutti
questi fattori creano notevoli difficoltà per il ritorno delle cenosi degradate verso
formazioni forestali. Questo stato di fragilità appare ancora più evidente negli
impianti monospecifici, con specie esotiche o indigene piantate fuori dalle loro zone
di origine, che presentano rischi di disequilibrio che diventano maggiori, quanto più
le stesse sono al limite del loro areale potenziale. Il “deperimento del bosco” appare
come la conseguenza più evidente dei mutamenti climatici, sia nei popolamenti di
conifere che di latifoglie. Questo fenomeno, in continua crescita, è caratterizzato dal
progressivo degrado della vegetazione fino a morte completa delle piante. Questi
fattori, innescati da stress di varia natura, sono inoltre aggravati dagli attacchi di
patogeni e fitofagi. Esistono notevoli difficoltà, a causa della complessità eziologica
del fenomeno, nel definire e applicare misure efficaci di prevenzione e, nonostante i
numerosi studi, il deperimento del bosco costituisce ancora oggi il principale
problema sanitario delle foreste mediterranee (FRANCESCHINI et al., 2008).
Va tuttavia rilevato che, un aumento delle concentrazioni di CO2 può avere non solo
effetti negativi ma anche alcuni effetti positivi. L'anidride carbonica come gas serra è
responsabile del principale effetto negativo, infatti il costante aumento della
temperatura degli ultimi decenni e stato messo in relazione diretta, con sempre
maggiore affidabilità, con il parallelo aumento della concentrazione di questo gas.
Mentre i potenziali benefici derivano dalla stimolazione dell’attività fotosintetica e
dal miglioramento dell’efficienza dell’uso idrico delle piante. L’effetto fertilizzante
dell’aumento di CO2 può essere peraltro ridotto o neutralizzato dall’eventuale
presenza di fattori limitanti, quali la disponibilità di azoto nel suolo, o dal possibile
incremento della respirazione sia delle piante che del suolo, stimolata dall’aumento
della temperatura dell’aria.
Per quantificare e comprendere meglio il ruolo delle foreste nel bilancio globale di
carbonio, occorre effettuare studi di lungo periodo finalizzati alla stima
dell’assorbimento netto di carbonio nell’ecosistema forestale. I metodi classici
inventariali, basandosi su relazioni allometriche tra il diametro a petto d’uomo e la
biomassa delle piante, forniscono stime pluri-annuali della produzione primaria netta.
Le relazioni allometriche sono spesso limitate alla sola componente epigea, sono
sviluppate per lo più per formazioni coetanee e monospecifiche e, per loro natura,
non considerano le dinamiche del suolo che, insieme ai processi di produzione
primaria, determinano il bilancio netto di ecosistema. (MARINO et al., 2005;
BARFORD et al., 2001)
Molti sono gli approcci metodologici proposti per l’identificazione e la valutazione
dei danni economici derivanti dal cambiamento climatico per proporre e sviluppare
strategie e politiche di adattamento e mitigazione. Appare pertanto plausibile
ipotizzare una serie di probabili impatti gravanti sul sistema economico, strettamente
connessi ad una lettura specifica del territorio (dal livello locale a quello
internazionale), all’arco di tempo preso in esame (danni a breve, medio o lungo
termine) ed, in ultimo, al settore considerato (agricoltura, selvicoltura, turismo ecc.).
Per quanto concerne specificatamente il settore forestale, dobbiamo inevitabilmente
34
tenere in considerazione due aspetti: da un lato il carattere di multifunzionalità dei
soprassuoli e quindi la necessità di definire a priori l’ambito funzionale da studiare e,
dall’altro, la tipologia di danno economico da valutare, quantificabile ad esempio
come perdite monetarie da alterazioni climatiche ed eventi estremi o derivanti da
spese di mitigazione del rischio.(BERNETTI et al., 2010).
Facendo riferimento a quanto proposto nel “Libro Bianco” della Commissione
Europea “L’adattamento ai cambiamenti climatici: verso un quadro d’azione
europeo” (LIBRO BIANCO, 2009), il rischio di danni da cambiamenti climatici è stato
considerato come conseguenza dell’azione di due fattori: la vulnerabilità del sistema
in esame e la sua resilienza.
Per vulnerabilità s’intende il grado di suscettibilità di un sistema agli effetti negativi
dei cambiamenti climatici e la sua incapacità a farvi fronte; includendo la variabilità
del clima e gli eventi meteorologici estremi. La vulnerabilità dipende dalla natura,
dall’entità e dalla velocità dei cambiamenti climatici e dalle variazioni cui è esposto
un determinato sistema, dalla sua sensibilità e dalla sua capacità di adattamento.
Al contrario, per resilienza (IPCC, 1997b) s’intende la capacità dello stesso sistema
di assorbire le perturbazioni mantenendo la stessa struttura e le stesse modalità di
funzionamento di base. Vulnerabilità e resilienza dei sistemi agroforestali
antropizzati dipendono, in sintesi, da due ordini
di fattori: le caratteristiche ambientali, definite da variabili ecologiche, morfologiche
e geologiche e la possibilità del sistema socio-economico locale di intervenire
attivamente e autonomamente per mitigare il danno. Entrambe le categorie di
variabili agiscono a livello strettamente locale, e debbono quindi essere stimate e
georeferenziate per poter definire politiche di intervento efficaci (BERNETTI et al.,
2010).
4.1.1. - Effetti dei cambiamenti climatici sulla vegetazione
I principali elementi che agiscono sulle specie animali e vegetali, quali, l’aumento
della temperatura, il cambiamento del regime delle precipitazioni e dei venti, le
variazioni di frequenza e intensità degli eventi estremi, definiscono le caratteristiche
ambientali come la disponibilità dei nutrienti fondamentali per lo sviluppo dei
produttori primari, la copertura dei ghiacci e, in mare, l’intensità dei moti convettivi
e avvettivi, la trasparenza e il livello stesso delle acque. Tutte le specie sia animali
che vegetali, possono rispondere a tali variazioni adattandosi alle nuove condizioni,
in base alla loro plasticità fenotipica, attraverso la selezione di varianti genetiche la
cui fisiologia permetta la sopravvivenza nelle nuove condizioni (MATTM, 2009).
Tutti questi fenomeni di disturbo possono condurre ad una risposta alternativa o
complementare come lo spostamento nel tempo delle fasi del loro ciclo di vita
oppure nello spazio, cioè verso latitudini o profondità della colonna d’acqua, dove le
35
condizioni siano ancora adeguate o lo siano divenute. L'insieme dei cambiamenti
fisiologici, fenologici, demografici, geografici di singoli individui o specie porta
inevitabilmente a modificare le relazioni trofiche, competitive e, più in generale,
interspecifiche. Quanto esposto comporta il realizzarsi di impatti complessi e, in
ultima analisi, la modificazione degli ecosistemi e della loro biodiversità. Escludendo
i processi che avvengono su tempi propri dell’evoluzione biologica, gli effetti del
cambiamento climatico su specie ed ecosistemi possono essere raggruppati nelle
seguenti principali categorie (IUFRO, 2009):
a) impatti sulla fisiologia e sul comportamento;
b) impatti sul ciclo vitale;
c) impatti sulla distribuzione geografica;
d) impatti sulla composizione e sulle interazioni delle specie nelle comunità
ecologiche.
È necessario considerare i tempi di risposta che caratterizzano i diversi processi
influenzati dal cambiamento climatico, dai tempi brevi per gli impatti sulla fisiologia
(giorni-mesi), a quelli più lunghi per le variazioni di areale (anni-decenni), fino alle
scale tipiche dei processi evolutivi (centinaia di anni-millenni).
a) Impatti sulla fisiologia e sul comportamento
Sulla vegetazione forestale, il più immediato e riconoscibile effetto dei cambiamenti
climatici è l'impatto che, certamente, questi fenomeni determinano sulla fisiologia e
sulla fenologia delle piante. Alle medie latitudini, in massima parte, la temperatura
dell’aria regola le fasi fenologiche primaverili come la germogliazione, il
dispiegamento fogliare e la fioritura. La fase fenologica autunnale prevede un
maggior numero di variabili. Numerose possono essere le variabili presenti
nell'ambiente esterno che possono influenzare le fasi fenologiche, siano esse più o
meno direttamente legate al clima, come, per esempio, i livelli di CO2, la
concentrazione di Ozono e i cicli dell’attività solare. Numerosi studi hanno registrato
alle medie latitudini dell’emisfero settentrionale un anticipo dell’avvento delle
fenofasi primaverili, più marcato per gli eventi fenologici propri delle primissime
fasi dell’inizio della stagione vegetativa (ad es., rottura delle gemme, prima
fioritura). Anche i dati riguardanti le fasi di fenofasi autunnali, pur tenendo conto
dell’incertezza legata alle osservazioni di questa stagione, hanno rilevato che
l’anticipo primaverile è accompagnato da un ritardo dell’inizio autunnale con
conseguente allungamento della stagione vegetativa in tutte e due le estremità
(MATTM, 2009).
L’evoluzione nei generi Fagus, Quercus, Prunus, Fraxinus, ha determinato la
fissazione di cicli fenologici definiti in un percorso vegetativo annuale caratterizzato
da una dormienza indispensabile per il superamento dei freddi invernali da una parte,
e per il completamento di cicli ormonali endogeni dall’altra. Un incremento nei
36
valori di temperatura può avere un effetto negativo sulla dormienza riducendone la
durata, con conseguente rallentamento delle attività ormonali. Queste rivestono ruolo
essenziale sulla differenzazione a fiore che, nel caso sopra indicato, può essere
bloccata. La pianta di per sé può avere garantita la sopravvivenza, ma non la sua
capacità rigenerativa: in questo caso l’estinzione è solo rimandata (GIANNINI, 2013).
Confermando studi riconosciuti ormai generalmente legittimi, tutti i programmi
europei di monitoraggio delle foreste (incluso il Programma CONECOFOR italiano)
basati su ricerche confermate da tutto il mondo accademico come universalmente
valide, indicano un anticipo medio di 3 giorni ogni 10 anni di tutte le fasi vitali delle
principali specie forestali (emissione delle foglie, fioritura e fruttificazione). Negli
ultimi 50 anni, quindi, tutti i cicli naturali delle foreste hanno subito un anticipo di
circa 15 giorni, in grado di provocare gravi danni all’equilibrio delle componenti
vegetali, animali e del suolo delle nostre foreste, contribuendo alla loro progressiva
disgregazione (PETRICCIONE, 2007).
Molteplici studi, con riferimento a questo processo, sono concordi nel rilevare una
variazione della stagione vegetativa, sia partendo da dati fenologici provenienti da
esercizi a scala europea, sia da modellizzazioni sulla base dei parametri climatici sia,
infine, da dati acquisiti attraverso rilevamento satellitare. Queste osservazioni hanno
segnalato variazioni della stagione vegetativa, soprattutto per anticipi della fase
primaverile, da 0.12 a 0.43 giorni anno, sino ad 1.16 giorni anno, per il periodo 1982-
1999 nelle zone temperate della Cina. Rispetto a questi dati, va segnalato che, mentre
l’anticipo della fase primaverile sembra avere un effetto generalmente positivo sul
bilancio del carbonio degli ecosistemi terrestri, il ritardo della chiusura autunnale può
determinare effetti controversi con, ad esempio, la perdita di carbonio negli
ecosistemi boreali (SCARASCIA MUGNOZZA et al., 2010).
b) Impatti sul ciclo vitale
Molteplici sono i fattori che interagendo fra di loro sono causa di mortalità di una
pianta, da una particolare sequenza di stress climatici, dal ciclo vitale degli insetti
parassiti fino alle malattie. La siccità può funzionare come un fattore causale che può
portare alla mortalità quelle piante già poste sotto stress da ''fattori predisponenti''
come la vecchiaia, le mancanza di nutrienti nel terreno, l’inquinamento atmosferico,
l'attacco di agenti patogeni e fungini. Di seguito si elencano alcuni esempi di impatti
connessi alla siccità:
- l'estrema siccità e il calore uccidono gli alberi attraverso la cavitazione di colonne
d'acqua all'interno dello xilema;
- la carenza d'acqua causa stress, provocando limitazioni metaboliche che riducono la
fissazione del carbonio, riducendo la capacità della pianta di difendersi dagli attacchi
da parte di agenti biotici, quali insetti o funghi;
37
- giorni prolungati di elevato calore possono determinare un aumento
nell’abbondanza delle popolazioni di agenti biotici, consentendo loro di attaccare con
maggior efficacia una pianta già in stress da siccità.
Bassi potenziali idrici del tessuto durante la siccità possono dunque vincolare il
metabolismo della pianta, impedendo così la produzione e la traslocazione di
carboidrati, resine e altri prodotti del metabolismo secondario, per la difesa contro gli
attacchi biotici.
L'aumento della temperatura aumenta il deficit di pressione di vapore e
l'evaporazione nell'atmosfera. Tutto ciò si traduce in una maggiore perdita di acqua
attraverso la traspirazione con la chiusura degli stomi nel caso di specie mesofite,
oppure decresce il margine di sicurezza da guasto idraulico nel caso di specie
xerofite. L'aumento delle temperature può influire sullo stoccaggio del carbonio degli
alberi in modo particolarmente negativo, perché il tasso di carboidrati consumato e
richiesto dal metabolismo cellulare (respirazione ) è fortemente legato alla
temperatura.
Altri impatti sulla vegetazione possono essere causati dagli agenti inquinanti. Le
foreste sono profondamente influenzate dal cambiamento climatico e
dall’inquinamento che agiscono sulle proprietà chimiche del suolo, sulla crescita
degli alberi, sulla biodiversità, sul livello di sensibilità delle piante agli stress, sul
rischio d’incendio, sulle risorse idriche, sul loro valore ricreativo, ecc. Il
cambiamento climatico può alterare gli effetti degli inquinanti sugli ecosistemi
terrestri. A loro volta, gli inquinanti possono modificare le risposte degli ecosistemi
agli impatti derivanti dal cambiamento climatico (GRASSI, 2005).
Tradizionalmente, gli impatti sugli ecosistemi forestali vengono trattati
separatamente per l’inquinamento e il cambiamento climatico. Peraltro, gli effetti
combinati dei vari fattori legati a questi fenomeni possono significativamente
differire dalla somma dei loro effetti separati, a causa di una serie di interazioni
sinergiche o antagoniste (PAOLETTI, 2007).
L’anidride solforosa (SO2), i nitrati NOx e NH3, come anche i vapori di HNO3,
possono avere effetti fitotossici diretti, ma solo ad alte concentrazioni. Le forme
gassose di azoto e i composti azotati solubili in acqua contribuiscono al complesso
fenomeno dell’eutrofizzazione. L’ozono è l’inquinante con il più alto potenziale
fitotossico e si prevede che, entro il 2100, la metà delle foreste mondiali sarà esposta
a livelli potenzialmente tossici (FLOWLER et.al., 1999).
I fattori del cambiamento climatico che provocano l’apertura degli stomi come per
esempio l’incremento della temperatura, aumentano la sensibilità delle piante agli
inquinanti gassosi come SO2 e O3. I fattori che comportano la chiusura degli stomi,
quali stress idrico e aumento della CO2, aiutano a proteggere la pianta dagli
inquinanti gassosi. I fattori del cambiamento climatico che conducono a un periodo
di accrescimento più lungo (riscaldamento) aumentano l’esposizione delle piante agli
38
inquinanti, mentre i fattori che abbreviano il periodo di crescita (stress idrico)
riducono l’esposizione e quindi il danno (PAOLETTI, 2007).
c) Impatti sulla distribuzione geografica
Le tendenze climatiche in atto e quelle previste dagli scenari dell’IPCC sposteranno
verso nord, a latitudini più elevate, le condizioni climatiche ed ambientali tipiche
dell’area mediterranea. Questo significa che tutti gli ecosistemi del Mediterraneo
tenderebbero a “migrare” verso l’Europa centro occidentale e settentrionale. La
rapidità del cambiamento climatico in atto è però di gran lunga maggiore della
velocità di colonizzazione di nuovi spazi della quale sono capaci le specie vegetali,
soprattutto quelle dominanti nelle foreste. Nei prossimi anni è da attendersi quindi
una progressiva “disgregazione” degli ecosistemi forestali, dei quali solo poche
componenti potranno migrare in aree più adatte ai mutati scenari climatici, mentre la
maggior parte di esse saranno destinate all’estinzione, almeno a livello locale
(PETRICCIONE et al., 2008).
La frammentazione del territorio, legata alla presenza delle attività umane, può essere
in grado di bloccare le potenziali “rotte” migratorie delle piante che non sempre sono
adatte ad una colonizzazione intermedia, a causa di differenti caratteristiche
climatiche ed edafiche. Va inoltre rilevato che le specie vegetali ed animali
posseggono ognuna una diversa capacità e velocità di dispersione e colonizzazione:
bisogna quindi pensare che si possa assistere alla progressiva disgregazione degli
ecosistemi forestali che non saranno in grado di fronteggiare i cambiamenti climatici.
Già nel passato, durante le diverse ere geologiche, abbiamo assistito, in seguito a
rilevanti modifiche climatiche, allo spostamento delle specie forestali. Va però
evidenziato come nelle attuali condizioni queste migrazioni dovrebbero avvenire ad
una velocità più elevata che nel passato, velocità che è stata valutata in 1,5-5,5 Km
all’anno nella direzione dei Poli e 1,5-5,5 m in altitudine. Da quanto esposto si
deduce che dal punto di vista della biodiversità si potrebbe assistere a una riduzione
temporanea della composizione specifica in alcune aree, dovuta alla degradazione o
scomparsa delle foreste presenti, con la conseguente nascita di strutture più varie a
causa delle variazioni ambientali (GIORDANO et al., 2008).
Una visione molto pessimistica fa intravedere scenari e paesaggi molto diversi anche
a causa della componente fattore-tempo. La scomparsa di molte specie, per ridotto
funzionamento eco-fisiologico, può essere molto veloce, mentre l’immigrazione può
richiedere anche tempi assai lunghi, per cui è probabile che il processo sostituivo non
sempre si manifesti attraverso un cammino lento, bensì con percorsi caratterizzati da
fasi spazio/tempo distinte. Grandi speranze vengono riposte nella plasticità genomica
delle singole specie e nelle capacità di queste di sopravvivere in microambienti
favorevoli (GIANNINI, 2013).
I valori relativi al tasso evolutivo e alla velocità di immigrazione di questi ultimi, in
un contesto generale, raggiungono valori molto bassi. Gli alberi forestali sono gli
39
organismi viventi con caratteristiche dimensionali massime, ma sono “costretti” a
stare immobili anche per millenni (GIANNINI, 2013).
La velocità di occupazione è bassa, soprattutto nel caso di specie che:
– raggiungono la maturità sessuale in età avanzata se presenti all’interno del bosco:
70-100 anni;
– producono abbondante seme in anni anche molto distanziati nel tempo: 15-30 anni;
– producono, in molti casi, seme pesante che cade, in massima parte, in prossimità
della proiezione della chioma;
– sono caratterizzati da cicli successionali mediamente lunghi: 300-400 anni.
d) Impatti sulla composizione e sulle interazioni delle specie nelle comunità
ecologiche
Le piante che crescono in modo relativamente lento, possono morire rapidamente.
Per esempio un albero vecchio 200 anni può essere ucciso da una grave siccità anche
in pochi mesi o, in base agli eventi, in pochi anni. Per cui una veloce mortalità di
alberi adulti può provocare cambiamenti dell'ecosistema molto più in fretta di quanto
si avrebbe con una graduale transizione guidata dal ciclo biologico delle piante.
Questo fenomeno, conosciuto col nome di foreste del “die-off”, che costringe le
piante ad adattarsi bruscamente alle nuove condizioni climatiche con effetti
devastanti, produrrà cambiamenti sociali ed ecologici alquanto rilevanti (ALLEN, et
al., 2009).
Va rilevato, inoltre, che la mortalità delle foreste su vasta scala potrebbe condurre, a
livello regionale o globale, ad un cambiamento nel bilancio del carbonio. Dato che le
foreste immagazzinano molto più carbonio rispetto all'atmosfera, con una consistente
ed estesa moria di piante si assisterebbe al rilascio di nuovo carbonio nell'atmosfera.
Si può presumere che il deperimento del bosco dovuto alla siccità, sia conseguenza
della sua mortalità, questo fenomeno potrebbe trasformare le foreste tropicali da
“sink di carbonio” in una grande fonte di emissione di CO2. Nel corso di questo
secolo, si potrebbe assistere ad una potenziale limitazione della capacità delle foreste
del mondo di agire come serbatoi di carbonio nei prossimi secoli.
Rispetto al primo fenomeno, un aumento della temperatura media di 2-4 °C potrebbe
portare ad uno spostamento delle fasce di vegetazione. Fra due fasce contigue, infatti,
vi sono in media solo tre gradi di differenza, mentre a livello altitudinale, mezzo
grado corrisponde a circa 100 m di quota (BERNETTI, 2007).
Un significativo mutamento si potrebbe avere anche per il limite superiore del bosco,
come attestano le fluttuazioni di 200-250 m sulle Alpi nel periodo postglaciale a
fronte di oscillazioni termiche di soli 1.5 °C.
E’ insomma prevedibile “una fase di instabilità negli ambienti forestali, con un
peggioramento rispetto alle cenosi mature, causato da una generale rottura delle
40
relazioni “ecosistemiche” (PETRICCIONE et al., 2009). Le conseguenti modifiche del
paesaggio produrranno profonde modificazioni anche nei settori dell’agricoltura, del
turismo, del tempo libero e nel settore residenziale.
In Italia esiste una Rete Nazionale per il Controllo degli Ecosistemi Forestali
(CONECOFOR), istituita nel 1995 dal Corpo Forestale dello Stato, ed è gestita nel
quadro della Convenzione Internazionale UN/ECE sull'Inquinamento Atmosferico
Transfrontaliero a Lungo Raggio ed in attuazione del Regolamento Comunitario sul
monitoraggio delle foreste e delle interazioni ambientali (Forest Focus). L’obiettivo è
quello di studiare le interazioni ecologiche tra le componenti strutturali e funzionali
degli ecosistemi forestali, i fattori di pressione e il cambiamento su larga scala.
Il Programma CONECOFOR è basato su 31 aree permanenti, sparse su tutto il
territorio nazionale e rappresentative di tutte le principali comunità forestali italiane.
Le ricerche sono condotte dal Corpo Forestale dello Stato in collaborazione con 9
Centri di ricerca di rilevanza nazionale e 12 Amministrazioni locali. La Rete Italiana
per le Ricerche Ecologiche di Lungo Termine (LTER-Italia, Corpo Forestale dello
Stato 2007b), entrata ufficialmente a far parte della Rete Internazionale I-LTER nel
2006, è coordinata dal Corpo Forestale dello Stato, da alcuni Istituti del Dipartimento
Terra & Ambiente del Consiglio Nazionale delle Ricerche e dalla Società Italiana di
Ecologia (SItE).
Il progetto, denominato BioRefugia è realizzato nell’ambito del Programma
CONECOFOR (CONtrollo ECOsistemi FORestali), promosso e coordinato dal
Corpo Forestale dello Stato, ha per obiettivo l’analisi dei possibili effetti dei
cambiamenti climatici sulla distribuzione delle principali specie arboree forestali
nelle regioni Lazio e Abruzzo, con il fine di identificare le potenziali aree di rifugio
(biorefugia) delle specie oggetto della ricerca, quelle aree cioè dove si può prevedere
che tali specie possano essere in grado di resistere anche nei nuovi scenari climatici
previsti per il 2080.
Il completamento e l’estensione a tutto il territorio nazionale del progetto pilota
BioRefugia consentirebbe di disporre dei dati di base per poter adottare urgentemente
provvedimenti di adattamento e di pianificazione del territorio adeguati ai nuovi
scenari futuri (PETRICCIONE et al., 2008; MATTM, 2009).
4.1.2. - Cambiamenti climatici e avversità biotiche
Il clima possiede un ruolo determinante nel regolare la velocità di diffusione di una
malattia nello spazio e nel tempo, e nel predisporre o meno nuovi ospiti all’attacco di
patogeni. L’attuale area di diffusione delle principali malattie forestali, sia
endemiche sia epidemiche, è di fatto determinata da precisi limiti climatici. È d’altra
parte accertato che il cambiamento climatico globale, oltre a un aumento graduale
delle temperature minime e massime, produce un’intensificazione degli eventi
estremi, tra cui quelli siccitosi, con conseguente impatto sugli ecosistemi naturali e
41
semi-naturali, in particolare sulle interazioni all’interno della frazione biotica. In
termini fitopatologici l’equilibrio tra ospiti e patogeni potrebbe fortemente
modificarsi con conseguenze difficilmente prevedibili.
Contemporaneamente, l’incremento delle temperature massime potrebbe da un lato
rendere alcuni ambienti inospitali per organismi patogeni nativi e dall’altro favorire
l’invasione di organismi alieni (MATTM, 2009).
Ne è un esempio in ambiente Mediterraneo il caso della Biscogniauxia mediterranea-
Quercus spp.: fungo endofita del genere Quercus che, in condizioni di stress idrico
della pianta, aggredisce in maniera massiva i tessuti xilematici, meristematici e
corticali, causando il cosiddetto “cancro carbonioso” che talvolta porta a morte una
pianta adulta in un’unica stagione vegetativa. Ulteriore esempio è dato dall'attacco
della Phytophthora spp., che in condizioni di siccità prolungata, su piante legnose,
può aggravare i danni da stress idrico innescando repentini processi di deperimento
(BATTISTI et al., 2009).
A scanso di equivoci, va subito detto che la recrudescenza delle avversità biotiche
dei nostri boschi non è da ascrivere esclusivamente alle modificazioni del clima; altri
fattori, d’ordine economico, politico, sociale e gestionale, concorrono alla loro
diffusione e allo sviluppo epidemico dei parassiti.
Molti parassiti dei vegetali sono ospiti-specifici, per cui per contrastarli
efficacemente può servire la diversificazione spaziale delle piante ospiti (bosco
misto), senz’altro da preferire alla monocoltura che facilita l’insorgenza di epidemie.
I parassiti hanno una maggiore capacità di adattamento alle mutevoli condizioni
ambientali, essendo in grado di selezionare, in tempi molto brevi, geni mutanti che
meglio tollerano le alterate condizioni climatiche. Essi riescono a sfruttare le nuove
nicchie ecologiche, create dall'insorgenza di nuove condizioni ambientali, che
possono divenire spazi adatti alla colonizzazione da parte di specie vegetali esotiche
o di specie autoctone prima non molto diffuse.
Appare quindi opportuno, a livello di coltivazioni agrarie e in ambito forestale,
favorire la variabilità genetica evitando impianti monoclonali su larga scala. Laddove
esistano selezioni dotate di resistenza ai parassiti, esse sono da preferire, avendo
l’accortezza di impiegare materiale corredato di geni diversi di resistenza
(FRANCESCHINI et al., 2008).
4.1.3. - Cambiamenti climatici e produttività forestale
In questi ultimi anni, si è notevolmente accentuato l'interesse da parte degli scienziati
nel prevedere le risposte delle piante e degli ecosistemi all’aumento della CO2
atmosferica e alle modificazioni climatiche (temperatura e regimi pluviometrici) ad
esso associate (GRASSI, 2004).
42
Misure effettuate con cuvette su singole foglie già da tempo hanno dimostrato che un
aumento di CO2 aumenta i tassi di fotosintesi e diminuisce la conduttanza stomatica,
con l’effetto complessivo di aumentare l’efficienza d’uso dell’acqua.
Determinante diventa quindi comprendere come questo tipo di risposta interagisca
con altri fattori limitanti (soprattutto azoto ed acqua) e, soprattutto, se questo
andamento può essere confermato anche a livello di intera pianta o di ecosistema.
Le “open top chambers” effettuate all’inizio degli anni ’90 consentirono di studiare
la risposta all’aumento di CO2 su interi alberi nel loro ambiente naturale.
Anche questi dati, riferibili a singole piante, erano comunque insufficienti, per cui si
ritenne opportuno ideare metodi di studio che permettessero a livello di ecosistema di
comprendere quale potesse essere la risposta della vegetazione ai cambiamenti
climatici (i sistemi “FACE” - Free-Air- CO2-Enrichment). Questa tecnologia
consente di verificare se i risultati dei sistemi FACE confermano le precedenti ipotesi
sulla risposta degli ecosistemi all’aumento di CO2 (Figura 2 e 3).
Di fronte ad un aumento di CO2 di circa il 50%, pari a circa 550 mmol mol-1 rispetto
a 370 mmol mol-1
che si hanno in condizioni ambientali normali, nel breve periodo la
capacità fotosintetica aumenta in modo direttamente proporzionale alla CO2. A
differenza invece di quanto avviene nel lungo periodo, dove si verifica un calo della
capacità fotosinteica riconducibile ad un’acclimatazione dell’apparato fotosintetico
(down-regulation) associato ad una diminuzione di azoto fogliare.
Questo fenomeno non è comunque riconducibile in egual maniera a tutte le specie.
Le specie arboree, ad esempio, mostrano in genere una minore down-regulation
rispetto a quelle erbacee.
Inoltre, va comunque segnalato che, conducendo esperimenti su scale spaziali e
temporali più ampie, l'effetto positivo sulla crescita delle piante legato all'aumento
della CO2 tende a ridursi, in quanto diventa difficile prevedere l'influenza di altri
fattori quali acqua, azoto, ozono e calore.
Data la difficoltà di acclimatarsi alle nuove condizioni atmosferiche, che può
richiedere un periodo di alcuni mesi o addirittura di qualche anno, diventa
indispensabile condurre esperimenti per periodi di tempo piuttosto lunghi.
L’acclimatazione consiste in un aggiustamento verso il basso della capacità
fotosintetica delle piante per cui, dopo un certo intervallo temporale, la fotosintesi ad
alta CO2 si stabilizza su livelli non significativamente differenti da quelli di partenza
in condizioni di CO2 normali. (SCARASCIA MUGNOZZA et al., 2010; NORBY et
al.,2002).
Si possono avere diverse spiegazioni per questo fenomeno:
- eccessive disponibilità di assimilati, ovvero carboidrati che le piante, in determinate
condizioni ambientali e di allevamento, non riescono ad utilizzare pienamente per la
crescita.
43
- riduzione da parte della pianta dell’investimento di risorse nutritive (azoto) in
proteine ed enzimi, quali la Rubisco, in condizioni ambientali in cui si ha,
contemporaneamente, un eccesso di CO2 per la fotosintesi e ridotta disponibilità di
elementi nutritivi.
- un artefatto dovuto all’allevamento di piante in condizioni controllate, con
limitazioni dello spazio fisico, soprattutto a livello di apparati radicali.
La maggior parte del carbonio accumulato nelle foreste dell’emisfero settentrionale
risiede nel suolo. Il riscaldamento climatico, l’incremento della mineralizzazione de i
suoli e l’elevata disponibilità di azoto stimolano la crescita delle piante e quindi
l’accumulo di carbonio, specialmente se l’azoto è un fattore limitante (PAOLETTI,
2007; MIGLIETTA et al., 2007).
È stato ipotizzato che l’aumento della produzione primaria netta, registrato nelle
foreste temperate, dipenda dall’incremento della deposizione azotata, dalle
concentrazioni di CO2, dalla temperatura e dall’allungamento della stagione di
crescita. L’elevata deposizione azotata accelera il tasso di accumulo di sostanza
organica nel suolo a causa di una maggiore produzione di foglie/aghi e lettiera, e di
una riduzione nella decomposizione della sostanza organica (PAOLETTI, 2007).
Per valutare la stima dell’assorbimento netto di carbonio dell’ecosistema forestale, è
indispensabile prolungare il periodo di studio, oltre ad ampliare l'oggetto della
ricerca non solo alla componente epigea di soprassuoli coetanei monospecifici, ma
anche all'intero ecosistema compreso le dinamiche del suolo (MARINO et al., 2005).
Nonostante un maggior assorbimento di CO2 da parte delle piante sottoposte al
sistema FACE, non si è osservata una maggiore crescita del fusto, né una maggiore
produzione fogliare rispetto alle piante di controllo.
Spesso eventi climatici estremi, come ad esempio quello verificatosi nell'estate del
2003, (caratterizzato da un periodo estremamente caldo e siccitoso in tutto il centro-
sud dell'Europa) conducono ad un calo della produttività primaria lorda, come è
emerso dai risultati di ricerche effettuate su 14 ecosistemi forestali. Tale fenomeno si
ripercuote in maniera negativa nei riguardi del ciclo del carbonio, a causa di un
anomalo rilascio netto di CO2, dovuto alla minore capacità di stoccaggio del C da
parte delle piante (GRASSI et al.,2005).
44
Figura 2 - Ricerche del metodo FACE, Nella foresta di Alamance County, North
Carolina (USA). Fonte: www.nature.com
Figura 3 - Ricerche del metodo FACE, Nella foresta di Harshaw, Wisconsin (USA).
Fonte: www.bnl.gov
45
4.2. - Gestione Forestale e cambiamenti climatici
4.2.1. - Strategie di gestione per la mitigazione e l’adattamento ai
cambiamenti climatici
Dopo aver spiegato nei capitoli precedenti l’importanza strategica del settore
forestale nelle politiche internazionali per la lotta al cambiamento climatico e
l’interazioni esistenti tra il global change e gli ecosistemi forestali, si delineano le
principali strategie di gestione volte a favorire la capacità di adattamento delle
foreste ai mutamenti climatici nell'ottica di una gestione forestale sostenibile.
Dati i potenziali rischi indotti dai molteplici fattori del cambiamento climatico, la
gestione forestale deve sviluppare strategie di adattamento volte a migliorare la
resistenza e la resilienza delle foreste, considerando in futuro un aumento sempre
maggiore degli stress climatici.
In questo senso la gestione forestale deve assecondare l’evoluzione naturale del
soprassuolo attraverso un’azione a sostegno dei processi di autorganizzazione del
sistema stesso (NOCENTINI et al., 2009).
Il selvicoltore è chiamato oggi a riconoscere e prevedere le dinamiche in atto per
modificare dove necessario le scelte colturali, al fine di prevenire i rischi ed esaltare i
benefici della gestione selvicolturale per la mitigazione del cambiamento climatico
(MAGNANI et al., 2009).
La selvicoltura sostenibile, stimolando la capacità di fissazione di C da parte delle
foreste, può esaltare il loro contributo alla stabilizzazione del clima; al contrario di
pratiche selvicolturali non sostenibili che potrebbero deprimere tale contributo,
riducendo al contempo la stabilità degli ecosistemi forestali (MAGNANI et al., 2009).
Relativamente al settore forestale, è possibile attuare tre grandi strategie per la
riduzione della CO2 atmosferica, contenendo così il principale gas contribuente
all’effetto serra e quindi al surriscaldamento globale.
Tali strategie intervengono sui livelli di source e di sink di C presenti mediante
azioni che garantiscono la conservazione, l’aumento dello stock di C delle foreste nel
tempo, e l'azione di fissazione di C nei prodotti legnosi.
1. Preservare lo stock di carbonio negli ecosistemi forestali:
• Riduzione della deforestazione
Nonostante che in Italia, secondo le stime provvisorie dell’INFC2015, prosegua
l’avanzata dei boschi con un aumento in termini di superficie rispetto al 2005 di oltre
600.000 ettari, bisogna fare attenzione alle regioni con zone aride e semi-aride, che si
presentano maggiormente vulnerabili ai fenomeni di desertificazione.
46
La gestione forestale deve quindi mirare a prevenire i processi di desertificazione,
attraverso il mantenimento dell’efficienza funzionale delle foreste, con la
prevenzione del degrado e la riduzione dell’impatto delle attività di utilizzazione,
recuperando così la funzionalità dei sistemi forestali degradati (CORONA, 2006).
• Riduzione dei fattori di degradazione del bosco
Nel caso di boschi molto degradati, a causa di numerosi o ripetuti agenti di disturbo,
si può prevedere la sospensione temporanea delle utilizzazioni per consentire un
adeguato reinnesco dei processi funzionali. La gestione si concretizzerà nel
monitoraggio dei processi di autorganizzazione che si instaureranno naturalmente, e
che sono alla base della capacità di fissazione della CO2 (TOMAO et al., 2013).
Ad esempio le formazioni della macchia mediterranea, con l’applicazione di corrette
pratiche selvicolturali (forest management), alle quali corrisponde in genere una
tendenza crescente all’aumento della biomassa, o con la semplice ”difesa“ dagli
incendi, potrebbero giocare un ruolo importante nelle strategie di mitigazione dei
cambiamenti climatici (COSTA et al., 2005).
• Aumento della stabilità del bosco
- Copertura del suolo
Favorire forme di trattamento che facilitano la conservazione di una copertura del
suolo continua nel tempo, anche se temporaneamente più rada, in relazione ai tagli da
eseguire. Proporre trattamenti che riducono la superficie unitaria delle tagliate a raso,
in relazione sempre alla tipologia di soprassuolo, diminuendo così la possibilità di
fenomeni erosivi, perdite di nutrienti del suolo, ed irregolarità nel ciclo degli
elementi come l’azoto e il carbonio.
- Rinnovazione naturale
Favorire forme di trattamento che perseguono la rinnovazione naturale al fine di
costituire soprassuoli potenzialmente più adattabili ai cambiamenti climatici in
relazione alla stazione;
- Tagli intercalari
Il principio per cui vengono eseguiti i tagli intercalari si basa sul controllo della
concorrenza e su una migliore distribuzione dello spazio disponibile per le piante
rimanenti, riducendo così la competizione per le risorse ambientali. Inoltre,
stimolando lo sviluppo armonico tra le varie componenti costitutive delle singole
piante (fusto, chioma e apparato radicale), si accresce la reattività del sistema alla
successione verso soprassuoli, con caratteri compositivi e strutturali, capaci di
47
garantire maggiore stabilità ecologica e maggiore difesa dai fattori abiotici e biotici
(CANTIANI et al., 2010).
- Rinaturalizzazione.
La rinaturalizzazione ha l’intento di portare, attraverso una gestione attiva, un
ecosistema verso uno stato considerato “più naturale” dal punto di vista funzionale e
strutturale. Tale forma di gestione, che ha per obiettivo il ripristino dei processi
naturali di auto-organizzazione e di autoperpetuazione di sistemi forestali
semplificati dall’attività antropica, favorisce l’evoluzione del soprassuolo verso
formazioni forestali con maggiore complessità e biodiversità (aumento della
resistenza e della resilienza dell’ecosistema), formate da specie naturalmente presenti
nell’ambiente (NOCENTINI, 2000; NOCENTINI, 2006).
- Forest Operation ecology
Questo termine caratterizza l'approccio operativo alla sostenibilità delle utilizzazioni
forestali e mira allo sviluppo di tecnologie e sistemi di utilizzazione compatibili con
l'ambiente, all'uso efficiente delle risorse, alla riduzione della produzione di rifiuti ed
emissioni, ed al contenimento degli impatti sulle strutture e sulla funzione delle sfere
ambientali (atmosfera, biosfera, idrosfera, litosfera) (BOVIO et al., 2014).
Uno degli aspetti negativi di maggiore importanza per le utilizzazioni forestali, è dato
dall’impatto che ha sul suolo l’utilizzo di grandi mezzi meccanici e la pratica di
lavorazioni di tipo Whole-Tree Harvesting - WTH - o Full Tree System – FTS. Il
compattamento e la solcatura, derivanti dalla pesante meccanizzazione, provocano
modificazioni nelle proprietà fisiche, chimiche e biologiche del suolo, con la
riduzione della macroporosità e della capacità di infiltrazione dell’acqua, che porta
alla riduzione degli scambi gassosi.
2. Aumento dello stock di carbonio negli ecosistemi forestali:
• Ampliamento delle superfici forestali
- Rinaturalizzazione dei terreni privi di copertura forestale
In Italia, soprattutto in zone montane a seguito dell’abbandono di prati e pascoli e su
zone rurali marginali, si sono verificati e si stanno verificando fenomeni di
espansione naturale del bosco su ex-coltivi, con conseguente incremento del
quantitativo di carbonio fissato nella biomassa arborea.
L’obiettivo di favorire la ricolonizzazione forestale non deve però essere in contrasto
con la tutela degli ecosistemi e degli habitat a cui si va a rinunciare con
l’introduzione del bosco. Inoltre è comunque riconosciuto un limite alla capacità di
fissazione della CO2 delle foreste, legato alla capacità di espansione della superficie
forestale oltre certe barriere naturali. Inoltre, una eccessiva copertura e maturità
48
forestale può creare, in certi casi, fenomeni di degrado ed aumentare il rischio di
distruzione della copertura forestale (incendi, malattie, schianti ecc) (CORONA et al,
2010). Va considerato che oltre ai limiti di estensione territoriale delle foreste, vi è il
problema della “saturazione dei sink forestali”, che si verifica con il raggiungimento
del potenziale massimo biologico di sequestro di carbonio da parte di un ecosistema
forestale (PATTENELLA et al., 2010).
- Realizzazione di piantagioni forestali
Come le Foreste anche gli impianti di arboricoltura da legno possono contribuire allo
stoccaggio della CO2. La loro capacità di assorbimento è però limitata nel tempo,
trattandosi di colture a carattere temporaneo. Questi diversi tipi di intervento possono
offrire un sensibile contributo al sequestro del carbonio atmosferico in termini di
accumulo nel suolo, soprattutto nella fase iniziale di affermazione su terreni ex-
agricoli (BARBATI et al., 2014).
L’Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi di Carbonio, con riferimento a
quanto esposto, rileva che l’assorbimento di carbonio negli impianti di arboricoltura
da legno può essere stimato mediamente pari a 2,45 tonnellate C ha-1
anno-1
per le
conifere, 1,81 tonnellate C ha-1
anno-1
per i pioppeti, 1,84 tonnellate C ha-1
anno-1
per
le altre latifoglie.
- Alberi fuori foresta
Il valore di assorbimento di CO2 svolto dalle foreste urbane non è trascurabile, ed è
stato stimato, da uno studio condotto da Corona (2009), in 30 Mt a livello Nazionale.
Gli Alberi Fuori Foresta hanno un ruolo attivo, seppur marginale, nel contenimento
della CO2, nella riduzione di emissione di CO2 tramite il risparmio energetico (azione
di ombreggiamento, coibentazione e frangivento) e nella riduzione degli inquinanti
atmosferici.
• Aumento della permanenza del carbonio nelle piante e nei suoli (sink)
- Accumulo del carbonio nel suolo
Accumulare carbonio nel suolo può significare il miglioramento della produttività in
alcune aree depresse, della qualità e della disponibilità d’acqua, e il recupero di suoli
ed ecosistemi degradati in aree sensibili (TONON, 2004).
Ad esempio, durante le utilizzazioni forestali, si può preferire la cippatura o
l’accatastamento in loco del materiale di risulta in alternativa alla sua combustione.
La biomassa forestale (ad esempio la cima degli alberi) può essere sotterrata sotto
forma di carbone vegetale o “biochar”, aumentando la fertilità del suolo e trasferendo
una notevole quantità di CO2, in maniera sicura e per vari secoli, dall’atmosfera alle
terre vegetali, ottimizzando così il ciclo del carbonio.
49
- Allungamento dei turni di utilizzazione
L’allungamento del turno nelle utilizzazioni dei boschi consente sia un aumento della
provvigione, e quindi di stoccaggio della CO2, che un maggiore accumulo di
sostanza organica nel suolo. Inoltre un allungamento della durata dei turni nei cedui
riduce l’asportazione degli elementi nutritivi, migliora la fertilità del suolo e non
influisce sulla facoltà pollonifera se non supera una soglia limite variabile da specie a
specie e, infine, accresce il potenziale di fruttificazione delle matricine (CARRARO et
al., 2010).
- Conversione dei cedui all’alto fusto
Questa forma di gestione può essere proposta in aree dove lo consentono sia le
caratteristiche stazionali del soprassuolo, che gli eventuali vantaggi economici
derivanti da questa scelta.
La conversione è un’ operazione colturale che, oltre a consentire valori provvigionali
(massa per unità di superficie) più elevati rispetto alla gestione a ceduo, permette
l’immobilizzazione del carbonio nella biomassa epigea e ipogea per tempi più
lunghi, consentendo anche di valorizzare potenzialmente le produzioni legnose in
termini di assortimenti con ciclo di vita relativamente lungo (BARBATI et al., 2014).
3. Promuovere l’utilizzo di fonti rinnovabili legnose:
• Favorire l’utilizzo di biomasse a scopo energetico
Riduzione del consumo energetico tradizionale, sviluppando a livello locale filiere
energetiche alternative, utilizzando la biomassa come un efficiente surrogato al posto
dei più tradizionali combustibili fossili. Le biomasse sono a pieno titolo fonti di
energia rinnovabile, in quanto la CO2, emessa dai processi di combustione, non
rappresenta un incremento dell'anidride carbonica presente nell'ambiente, ma è la
stessa identica quantità che le piante hanno prima assorbito per svilupparsi e che, alla
loro morte, tornerà nell'atmosfera attraverso i normali processi degradativi della
sostanza organica. L'utilizzo delle biomasse, dunque, accelera il ritorno della CO2 in
atmosfera rendendola nuovamente disponibile alle piante.
• Aumentare il carbonio fissato nei prodotti legnosi. C-stock extraboschivi
- Promuovere l’utilizzo di prodotti in legno
L’impiego di prodotti legnosi genera normalmente un effetto sostitutivo positivo
rispetto all’utilizzo di prodotti non legnosi, che implicano consumi energetici
superiori a quelli richiesti dalla manifattura del legno. Occorre però tenere conto
dell’intera filiera dei prodotti legnosi, per poter valutare complessivamente l’effetto
positivo nei confronti della fissazione di carbonio, in quanto alcune fasi della filiera
potrebbero presentare delle criticità come ad esempio il trasporto (TOMAO et al.,
2013).
50
- Produzione di assortimenti legnosi di maggiori dimensioni e ciclo di vita più lungo
L’allungamento della vita media degli impieghi finali dei prodotti legnosi influisce
non marginalmente sulla quantità di carbonio emesso annualmente in atmosfera.
Quindi, un aumento nell’impiego di prodotti legnosi, con ciclo di vita piuttosto lungo
(ad esempio diffusione dell’impiego del legname in edilizia per usi strutturali), può
contribuire a fissare seppur temporaneamente discrete quantità di carbonio
riducendone il rilascio immediato (ANDERLE et al., 2002).
Gli interventi selvicolturali dovranno perciò essere finalizzati ad ottenere
assortimenti finali, come il legname da opera, che consentano un prolungarsi nel
tempo della funzione di C-sink del prodotto legnoso rispetto alla produzione di legna
da ardere, anche se i benefici ambientali della legna da ardere non sono trascurabili
se viene utilizzata come surrogato energetico dei tradizionali combustibili fossili. Nel
caso di soprassuoli a crescita relativamente lenta, non è conveniente indirizzare la
produzione verso assortimenti legnosi con ciclo di vita breve (esempio per le fustaie
di cerro attualmente utilizzate come legna da ardere).
4.2.2. - Approcci gestionali deterministici e indeterministici
Facendo riferimento ad un recente studio condotto da Wagner et al. (2014), di
seguito si espone in maniera sintetica quanto ampiamente dibattuto sui metodi di
approccio della gestione forestale nei confronti del cambiamento climatico.
La gestione forestale è caratterizzata da un certo grado di indeterminatezza causato
sia dal lungo ciclo di vita dei soprassuoli forestali, sia dal variare del soggetto gestore
nel corso degli anni. L’incertezza di questa attività è inoltre dovuta anche ad altri
molteplici fattori quali: i cambiamenti legati all’andamento del mercato, agli attacchi
patogeni, all’azione dell’uomo e alla imponderabilità dei fenomeni catastrofici
(incendi, frane, valanghe, schianti da vento, ecc..), nonché al fenomeno dei
cambiamenti climatici.
Per quanto riguarda quest’ultimo fattore di imprevedibilità, ad oggi si possono
distinguere due correnti di pensiero che sviluppano due diversi approcci di
pianificazione:
- Pianificazione deterministica: legata alla gestione classica delle foreste.
Presuppone trattamenti programmati e già pianificati nel tempo, prevedendo
teoricamente la risposta delle foreste ai trattamenti proposti. Tale concezione si basa
su un approccio scientifico riduzionista, legando la foresta a determinati servizi
ecosistemici fra cui principalmente quello della produzione legnosa.
L'approccio deterministico tenta di prevedere le condizioni del clima futuro e, per tali
condizioni climatiche, individuare la migliore composizione specifica possibile e la
migliore struttura degli ecosistemi forestali.
51
In questo contesto il termine previsione è caratterizzato dalla migliore proiezione
possibile del futuro associata ad una certa distribuzione di probabilità fornita, per
esempio, da un particolare modello climatico o da un esperto del settore.
In breve, questo approccio deterministico vede le foreste come sistemi che possono
essere perfettamente organizzati con una gestione adeguata, e valuta gli impatti del
futuro cambiamento climatico come se fossero quasi esattamente noti.
L'approccio deterministico, per far fronte al cambiamento climatico, promuove
determinati elementi strutturali e di composizione specifica del bosco che, in base
alle nostre conoscenze attuali, potrebbero migliorare l'adeguatezza della foresta per le
presunte future condizioni del clima.
Questo tipo di approccio trova dei limiti nel caso in cui si debba operare con sistemi
selvicolturali complessi (non monospecifici e con struttura irregolare), e
nell’eventualità in cui le previsioni climatiche non vengano rispettate.
- Pianificazione indeterministica: si basa sull’ammettere l'incertezza insita nella
limitata prevedibilità della risposta degli ecosistemi forestali alla loro gestione,
dovuta principalmente alla interazione delle foreste con i sistemi sociali ed
economici. Inoltre questo approccio tiene conto del fatto che vi è un certo livello di
incertezza insito nelle previsioni relative al cambiamento climatico, soprattutto su
scala regionale e locale.
In base a quanto esposto, si evidenzia come l'approccio indeterministico affronti
l’azione del cambiamento climatico migliorando la flessibilità degli ecosistemi, la
resilienza e la capacità di autoregolamentazione per la foresta, favorendo il suo
adattamento ad un futuro sconosciuto.
4.2.3. - Valore economico delle foreste toscane per la mitigazione dei
cambiamenti climatici
La funzione di mitigazione dei cambiamenti climatici può essere quantificata
attraverso l’attività di fissazione del carbonio immagazzinato negli alberi e per
questo non liberato nell’atmosfera, contribuendo alla riduzione di emissioni di gas
serra e in particolare di anidrite carbonica, in accordo con le direttive del Protocollo
di Kyoto.
In un recente lavoro curato da Marianelli e Marone (2013), è stato stimato per i
boschi della Regione Toscana il loro Valore Economico Totale (VET), traducendo in
termini monetari tutti i benefici e i valori di utilità sociale derivanti dalle foresta
toscane.
All’interno di tale lavoro sono state quantificate le componenti che contribuiscono a
stimare il VET, compreso il possibile valore di protezione dai cambiamenti climatici,
52
oltre alla funzione turistico-ricreativa, naturalistica, di protezione, di produzione di
acqua potabile e di produzione legnosa.
Il valore di protezione dai cambiamenti climatici è stato calcolato stimando l’attività
di fissazione del carbonio immagazzinato negli alberi, dipendente dall’incremento
medio dei diversi popolamenti forestali e dal prezzo riscontrabile sul mercato dei
crediti di carbonio.
Per la stima del valore di protezione dai cambiamenti climatici è stato utilizzato il
seguente modello:
Dioxi = Yi * BEF * Pdiox
Yi = incremento di massa legnosa (mc/ha/anno) ritraibile
BEF = biomass expansion factor (coefficiente di trasformazione da volume della
massa legnosa espressa in mc, a biomassa arborea epigea espressa in t di sostanza
secca)
Pdiox = prezzo della tonnellata di carbonio (euro/t) dato dal Centro Euro-
Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici e del Point Carbon.
I boschi toscani producono servizi di utilità sociale per un ammontare complessivo di
601.644.292 euro per anno. La funzione di Mitigazione ai cambiamenti climatici ha
un valore di 59.017.484 euro, e corrisponde a circa il 10% del totale VET.
Il collegamento tra la quantificazione del VET e il suo inserimento nei processi
decisionali è alquanto complesso, a causa di una serie di fattori limitanti come lo
scarso accesso alle informazioni legate ai servizi ecosistemici e le potenziali
distorsioni tra offerta e domanda (MARONE et al., 2013).
53
4.3. - Rimboschimenti di Pino nero.
Dall'analisi complessiva dell'inquadramento della regione del bacino del
Mediterraneo effettuata da Gualdi et al. (2005), si evidenzia come essa sia una
regione dall’equilibrio climatico delicato e molto sensibile alle perturbazioni.
Il “Clima Mediterraneo” è infatti il risultato di un delicato equilibrio fra due
componenti climatiche distinte, in quanto si trova nella zona di transizione tra due
regimi climatici molto differenti tra loro: regime climatico tropicale a sud e
continentale nelle regioni alle “medie latitudini” a nord. Una perturbazione del
sistema, però, può portare la regione ad essere più soggetta a un regime o all’altro,
provocando sostanziali cambiamenti nelle caratteristiche del suo clima (GUALDI, et
al; 2005).
A questo contesto ambientale, già reso precario dal cambiamento climatico, si
aggiungono altri molteplici fattori di disturbo, che hanno portato all’alterazione dei
processi naturali che regolano la funzionalità e l’evoluzione degli ecosistemi
forestali, quali, ad esempio: trasformazioni di coltura, pascolo, incendi, sfruttamento
irrazionale delle risorse, accentuando in tal modo gravi fenomeni erosivi e di
desertificazione (CIANCIO, 2013).
Lo stato di fragilità degli ambienti forestali mediterranei si accentua negli impianti
monospecifici, con specie esotiche o indigene piantate fuori dalle loro zone di
origine, con rischi di disequilibrio tanto maggiori quanto più le stesse sono al limite
del loro areale potenziale (FRANCESCHINI et al.; 2008).
Come è stato notato anche a livello internazionale, i molteplici rimboschimenti
estensivi, eseguiti spesso con piantagioni di pino in regioni come la Cina e nel
Bacino del Mediterraneo, hanno creato formazioni forestali particolarmente
vulnerabili. Ciò è dovuto in parte sia al fatto che queste formazioni sono situate su
siti marginali dell’areale della specie impiantata, sia all'eccessiva densità di impianto
e alla sconosciuta provenienza del materiale di propagazione (ALLEN et al., 2010).
L’attività di rimboschimento ha avuto comunque una notevole rilevanza per la vastità
delle opere realizzate, per le conseguenze positive sul piano della conservazione del
suolo e per i riflessi su quello paesaggistico ed economico-sociale, contribuendo a
stabilizzare l’occupazione in aree svantaggiate, promuovere lo sviluppo di attività
imprenditoriali collaterali e qualificare la manodopera (NOCENTINI et al., 2009).
4.3.1. - Cenni storici.
Nel tempo, sia in Italia che negli altri Paesi dell’Europa mediterranea, ai
rimboschimenti effettuati sono state attribuite molteplici potenzialità e finalità, che
spesso si sono ricondotte al momento storico vissuto.
54
A partire dalla fine del 1800, in seguito alla Legge forestale italiana (Legge n. 3917,
20 giugno 1877), si iniziano a iscrivere nella legislazione nazionale gli interventi di
rimboschimento prevedendo (art. 11) che il Ministero d’Agricoltura, Industria e
Commercio, le Province e i Comuni, possono ciascuno, o in accordo tra loro,
promuovere il rimboschimento dei terreni vincolati, “al fine di garantire la
consistenza del suolo e regolare il corso delle acque”.
In quel periodo vennero realizzati numerosi impianti, destinati a ripristinare in tempi
brevi la copertura forestale, con lo scopo di contrastare il dissesto idrogeologico in
atto nei bacini montani, con riflessi evidenti anche sull’economia delle zone a valle
(AMORINI et al,1992).
Alla fine del secondo conflitto mondiale, tali interventi furono realizzati anche per
favorire l’occupazione tramite l’impiego di manodopera nei cantieri forestali. Questi
interventi furono eseguiti in modo esteso soprattutto in Liguria, in Toscana, nell’area
delle “marocche” a sud di Trento, nel veronese e nel Carso triestino (DEL FAVERO R.,
2004).
Dalla metà degli anni ‘70 in poi, con la prima conferenza delle Nazioni Unite sulla
desertificazione (Nairobi, 1977), il rimboschimento diventa strumento prioritario di
lotta ai processi di desertificazione;
Negli anni ‘80 il rimboschimento è riconosciuto come possibile misura di intervento
per la riduzione dei fenomeni di frammentazione degli habitat naturali, entrando a far
parte delle strategie di conservazione della biodiversità.
Dagli anni ’90 fino ad oggi, in seguito alla convenzione delle Nazioni Unite sui
cambiamenti climatici e al protocollo di Kyoto, la creazione di nuove superfici
forestali, con finalità principale di sequestro del carbonio, è inserita tra le misure di
intervento per la mitigazione dei cambiamenti climatici.
I rimboschimenti con conifere sono stati realizzati in Italia soprattutto tra il 1877 e il
1983, dopodiché sono state preferite le latifoglie. I rimboschimenti di conifere
occupano una superficie di circa 1.2 milioni di ettari, fra questi le specie più
utilizzate sono state: pino nero, pino laricio, douglasia, pino radiata.
I rimboschimenti con il pino nero (Pinus nigra nelle spp. austriaca, italica e
calabrica) rappresentano, per impiego di una singola specie e per le superfici
interessate, il risultato più rilevante dell’attività di ricostituzione forestale iniziata in
Italia già alla fine del 1800 (AMORINI et al; 1992).
Specificatamente in Toscana, l’impiego del pino nero come specie da
rimboschimento è iniziato fra la fine dell’800 e i primi del ‘900 con piccoli impianti
a Vallombrosa, Bivigliano e Monte Morello nel 1909 (BERNETTI ET AL, 1998).
Dal 1915 al 1940, il pino nero è stato largamente impiegato nel costituire o
nell’ampliare dei comprensori di rimboschimento montano piuttosto grandi. Come
esempi si riportano: Comano e Fivizzano; Monticelli (Gavinana); Calvana e Monte
55
Morello (Prato e Firenze); Scopetone e Rio Rigutino (Arezzo); le Cornate di
Gerfalco in provincia di Grosseto.
Dal 1946 al 1970, questa specie è stata usata per il completamento dei grandi
comprensori precedentemente stabiliti, per la costituzione di nuovi grandi perimetri
(come p. es. a Moggiona vicino a Camaldoli e in alta Valtiberina) e, soprattutto, per
l’impianto di molti piccoli appezzamenti dispersi, che sono terminati alla fine degli
anni ’80 dello scorso secolo (BERNETTI et al, 1998 ; BIANCHI et al., 2005).
Il pino nero è stato scelto in quanto considerato come specie più idonea nell’attività
di rimboschimento, perché è una pianta frugale, di facile allevamento in vivaio, di
pronto attecchimento, particolarmente adatta alla funzione di specie pioniera delle
stazioni montane appenniniche.
Obiettivo dei rimboschimenti, al momento della loro realizzazione, era ricostruire la
copertura boschiva laddove la scarsa fertilità stazionale associata alla gestione troppo
intensa dei soprassuoli forestali, agricoli e pascoli montani aveva portato alla sterilità
del suolo. Le pinete sono state concepite e realizzate per rappresentare la fase
pioniera del bosco in previsione della sostituzione delle specie dopo un periodo
adeguato (CANTIANI; 2012).
Inoltre, nell’area prealpina, si diffuse la pratica di arricchire con conifere i cedui più
scadenti, con l’intento di nobilitarli e quindi sopperire alla cronica carenza nazionale
di legname da opera (DE MAS G., 1993).
La valenza economica diretta delle pinete è scarsa per il valore limitato delle
produzioni possibili, tanto che la gestione attiva di queste formazioni è generalmente
episodica e limitata sopratutto alle stazioni con maggior accessibilità, dove i costi per
la selvicoltura si contengono, e dove è possibile adottare un grado di
meccanizzazione più spinto.
Localmente le pinete possono ottemperare anche ad ulteriori funzioni non meno
importanti, quali testimonianza storica della selvicoltura appenninica e ricreativa,
sopratutto nelle realtà peri-urbane (BERNETTI et al. 1998; CANTINI, 2012).
4.3.2. - Stato fitosanitario.
In Italia le condizioni dei boschi, in relazione a fattori di pressione ambientale
(inquinamento e cambiamento climatico), sono monitorate nell’ambito del
programma CON.ECO.FOR., attivo dal 1996.
La Regione Toscana, tramite il progetto META (Monitoraggio estensivo dei boschi
della Toscana), ha effettuato una serie di studi dai quali sono emersi i dati relativi
allo stato fitosanitario delle foreste toscane, con la descrizione dell'andamento delle
principali avversità relative alle formazioni forestali di maggior interesse a fini
fitosanitari.
56
Dall'ultimo rapporto effettuato nell'anno 2009, emergono le situazioni di sofferenza
del pino nero, con disseccamenti dei getti associati a Diplodia pinea (Sphaeropsis
sapinea) su vaste aree, distribuite su tutta la regione, ma più evidenti in zone collinari
e montane su piante adulte o invecchiate. Il fenomeno si registra in particolare in
stazioni dove lo spessore del suolo è particolarmente ridotto, l’acclività del pendio è
elevata e gli ambienti sono esposti a mezzogiorno. La Diplodia pinea può vivere allo
stato latente asintomatico e manifestarsi, con danni, quando le piante sono soggette a
scompensi idrici.
Oltre a questo patogeno, si sono intensificati anche gli attacchi di coleotteri scolitidi,
appartenenti al genere Tomicus spp. in associazione con funghi del genere
(Leptographium sp.), funghi d’azzurramento. Invece per quanto riguarda la
processionaria del pino, è stata registrata una leggera riduzione della presenza di nidi
nei soprassuoli forestali delle provincie di Arezzo, Grosseto, Pisa, Siena e Lucca,
mentre si è assistito ad un leggero incremento nelle provincie di Prato Pistoia e
Livorno.
Negli ultimi anni, compaiono sempre più frequentemente casi di moria di pini,
specialmente nei rimboschimenti effettuati a quote basse, negli impianti esposti a
mezzogiorno o in località molto ventilate.
I casi più recenti riguardano la Toscana meridionale, la provincia di Arezzo nei
pressi di Gargonza e di Monte San Savino. I pini in questa zona, ricca di cipressi e
lecci, sono stati piantati spesso a quote inferiori rispetto alle loro esigenze.
Le piante di pino mostrano vistosi disseccamenti delle parti più alte della chioma che
interessano le gemme e gli aghi dell’ultimo anno. È inoltre frequente riscontrare nei
popolamenti di conifere forestali fenomeni di arrossamento o disseccamento delle
chiome che si manifestano già a partire dalla tarda primavera. In casi meno frequenti,
ma comunque diffusi su tutto il territorio regionale, si osservano morie localizzate o
puntiformi che si sono sviluppate fin dal 2003.
In seguito a queste osservazioni, sono stati eseguiti rilievi puntuali in due aree nei
popolamenti di conifere situati a Monte Morello (Firenze) a c.a. 700 m s.l.m., dove si
sono accentuati negli ultimi mesi gli stati di sofferenza dei soprassuoli misti di Pino
nero e Cipresso.
4.3.3. - Principali criticità.
L'intensa attività di rimboschimento all’inizio del secolo scorso ha portato quasi
sempre l’uso di conifere, spesso al di fuori del loro areale di indigenato, per
sfruttarne le capacità nella colonizzazione di terreni nudi (AMORINI et al., 1992;
NOCENTINI, 1999).
Ciò è avvenuto anche per i rimboschimenti di pino nero effettuati in Toscana, che
sono stati eseguiti in un contesto ecologico non particolarmente idoneo per la specie.
57
Nei casi di rimboschimenti eseguiti a quote inferiori, in stazioni più aride, il pino
nero spesso ha reagito bene nella fase giovanile, ma poi è andato incontro a forti
limiti di longevità nella fase adulta, per le maggiori necessità di acqua e di elementi
nutritivi, e per il conseguente ricorrere di crisi idriche e di attacchi di parassiti
(BERNETTI et al, 1998)
Ulteriore aspetto che ha contributo alla criticità delle pinete, è stata la realizzazione
di impianti monospecifici, regolari, con densità troppo elevate (2.500 piante ad
ettaro), finalizzati alla ricostituzione rapida della copertura forestale a cui spesso non
sono seguite le cure colturali necessarie. Ciò ha limitato lo spazio aereo a
disposizione di ciascun soggetto, a causa dell'elevata densità, rappresentando così un
limite per uno sviluppo adeguato ed uniforme della chioma, del fusto e dell’apparato
radicale delle piante (BERNETTI et al., 1998)
Molti dei rimboschimenti di pino nero della Toscana si presentano come sistemi
forestali semplificati in cui, a causa dell’assenza prolungata di cure colturali, spesso
si osservano precarie condizioni fitosanitarie e scarsa stabilità individuale e collettiva
(BIANCHI et al., 2009).
La “stabilità” è intesa sia come indicatore di efficienza funzionale dal punto di vista
meccanico di un popolamento forestale, risultato di equilibri ecologici tra
disponibilità ed uso delle risorse (acqua, luce, suolo) (CANTIANI et al., 2010), sia
stabilità del soprassuolo, considerata come la sua capacità di resistere e reagire alle
perturbazioni esterne e di autoperpetuarsi, ovvero l’attitudine di rinnovarsi
naturalmente ed incrementare la complessità ecologica (PIUSSI ,1994).
Si tratta di sistemi come già detto molto semplificati, che non rispondono ai requisiti
di naturalità per composizione, struttura, organizzazione, funzionalità e resilienza
(NOCENTINI, 2001).
Al notevole sforzo di rimboschimento non è sempre seguita l’applicazione di cure
colturali adeguate, nonostante che la sperimentazione abbia dimostrato l’utilità di una
gestione attiva.
Il trattamento delle pinete, come originariamente concepito, prevedeva generalmente
il taglio raso alla scadenza del turno (in media 90 anni), e la rinnovazione artificiale
posticipata con impianto di specie diverse dal pino e più esigenti dal punto di vista
edafico (PAVARI, 1961).
Sono invece quasi ovunque mancati gli sfolli previsti nello stadio di spessina e, nelle
fasi di perticaia e giovane fustaia, gli interventi si sono limitati a interventi di
spalcatura ai fini anticendio e all'asportazione delle piante deperienti. Mentre i
diradamenti sono stati generalmente ritardati rispetto al modulo colturale previsto, o
addirittura non eseguiti in molte proprietà private (CANTIANI, 2010).
58
4.3.4. - Rinaturalizzazione.
I metodi di selvicoltura e di gestione forestale classica che si sono ripetuti nel tempo,
atti a prevedere il tasso di rinnovazione e a garantire una produzione legnosa
massima e costante, hanno di fatto semplificato il bosco (NOCENTINI, 2001).
Questa semplificazione della struttura e della composizione dei soprassuoli è stata
maggiormente riscontrata nelle piantagioni di conifere presenti in quasi tutta Europa
soprattutto per fini produttivi. Tali soprassuoli non riescono più a svolgere la
funzione di conservazione della natura, come farebbero i boschi di latifoglie di
origine naturale, quindi uno dei principali obiettivi della gestione forestale sostenibile
è quello di individuare quelle piantagioni che potranno essere trasformate con
successo in boschi di latifoglie (NOCENTINI, 2005).
Infatti il recupero dei sistemi forestali semplificati, tramite una gestione basata sulla
rinaturalizzazione, può favorire il ripristino dei processi naturali, cioè dei
meccanismi di autoregolazione, di auto-perpetuazione, con l’aumento della
resistenza e della resilienza dell’ecosistema (NOCENTINI, 2000).
Con rinaturalizzazione si intende un processo colturale tendente a favorire l’aumento
della diversità compositiva e della complessità strutturale di formazioni forestali
semplificate nella composizione e nella struttura dalla gestione passata (NOCENTINI,
2006).
Interventi avventati e drastici, come la sostituzione del soprassuolo per via artificiale
(taglio raso e piantagione) con specie ritenute più idonee nel contesto ambientale in
cui si opera, non possono essere intesi come veri e propri interventi di
rinaturalizzazione.
Mentre un corretto criterio di rinaturalizzazione deve prevedere interventi volti a
favorire i processi evolutivi naturali, senza predeterminarne la struttura e la
composizione (NOCENTINI, 1995).
La rinaturalizzazione di un soprassuolo non può essere inoltre intesa come un
semplice ripristino, dal punto di vista strutturale e specifico, di un ecosistema di
riferimento considerato “più naturale”, definendo l’intervento un restauro ecologico
(Ecological restoration). Tale criterio di intervento si scontra con il concreto e reale
problema legato al corretto riconoscimento del modello da riproporre, ricercandolo
nella utopistica fase climax di un ecosistema forestale.
Quindi la rinaturalizzazione dei sistemi forestali non presuppone né il ritorno alle
origini, né il restauro di forme naturali, ma massimizza il contributo naturale di
energia al funzionamento del sistema minimizzando gli input energetici artificiali
(BOVIO et al., 2014).
Una gestione orientata alla rinaturalizzazione dei rimboschimenti comprende tre fasi:
- Momento strutturale: consiste nel valutare l’efficienza evolutiva del popolamento
attraverso l’analisi delle componenti dell’ecosistema che possono influenzare i
processi evolutivi del soprassuolo.
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- Momento colturale: consiste nella scelta dei caratteri e delle modalità degli
interventi fondati sul principio della cautela, continuità e capillarità, con l’obbiettivo
di sostenere i processi naturali di autorganizzazione del sistema.
- Momento gestionale: si concretizza nel verificare la risposta del sistema per
valutare l’efficacia dell’azione colturale in termini di aumento della complessità e
dell’efficienza funzionale.
4.4. - Relazioni ecologiche tra vegetazione e ambiente
Ai fini di studiare l'idoneità ecologica di un territorio per determinate specie forestali,
fattore fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi della Tesi, è opportuno
fare una breve introduzione sulle relazioni tra specie vegetali ed ambiente.
Il termine “ambiente” fu usato per la prima volta agli inizi del 1800 dal poeta danese
Jens Bagesen in lingua tedesca con la parola Umwelt: questa deriva dai termini “Um”
che significa attorno e “Welt” mondo quindi, tradotto letteralmente, sta ad indicare
“il mondo che sta attorno”.
Un’evoluzione di tale visione si ha con l’introduzione del concetto di “ecosistema”,
dove ai fattori abiotici si aggiungono quelli biotici, creando così un sistema più o
meno complesso. Ogni variabile fisica, chimica o biologica in grado di influire
sull’ecosistema in toto, o sulla vita di un singolo organismo che ne fa parte, assume il
ruolo di fattore ecologico (PIGNATTI et al. 2001).
Genericamente si identificano fattori abiotici quali luce, temperatura, umidità,
caratteristiche chimiche del suolo e delle acque, ecc. e fattori biotici che includono
interazioni intra e interspecifiche tra viventi.
La crescita delle piante è regolata in maniera specifica dall’ambiente in cui esse si
trovano ed è condizionata da una serie di fattori ecologici e storici, che giustificano o
meno la loro presenza in un determinato luogo. Ogni specie vegetale ha, nei
confronti di ciascun fattore ecologico, un ambito di tolleranza entro il quale può
svolgere le proprie funzioni vitali.
Da un punto di vista autoecologico i fattori ecologici possono agire sulle dimensioni
del singolo individuo, sulla sua forma, possono influenzare le manifestazioni
biologiche cicliche e la stessa durata della sua vita. Inoltre essi possono controllare la
consistenza delle popolazioni, agendo sul tasso di riproduzione, sulla competitività,
sulla capacità di germinazione e sulla velocità di crescita.
Analizzando in maniera più approfondita i diversi fattori ecologici che agiscono sulla
vita delle piante, occorre concentrare l’attenzione su due componenti fondamentali: il
disturbo e lo stress. Si hanno condizioni di “disturbo” quando un fattore esterno alla
comunità vegetale la danneggia, in modo da determinare la distruzione della
60
fitomassa ad esempio: incendio, taglio, disturbo antropico in generale. Si parla
invece di “stress”, nel caso in cui i fattori ambientali portino ad una riduzione della
produttività vegetale ad esempio: stress idrico da aridità, stress termico da freddo,
ecc.
Ambienti che presentano contemporaneamente elevato stress ed elevato disturbo
sono inaccessibili ai vegetali, mentre le tre restanti combinazioni (alto disturbo-basso
stress, basso disturbo-alto stress, basso disturbo-basso stress) inducono una serie di
adattamenti fisiologici, morfologici e demografici correlati, che rappresentano
rispettivamente le tre strategie vitali descritte da Grime (competitive C; Stress
tolleranti S; Ruderali R) (PIGNATTI et. al., 1995).
Per quanto riguardo lo studio sulla potenzialità ecologia di una specie, bisogna
concentrasi sui fattori di stress e non sui fattori di disturbo, che presentano un'elevata
imprevedibilità dell'evento risultando quindi difficili da analizzare.
Al contrario dei fattori di stress dipendenti da elementi naturali, che in parte possono
essere descritti secondo andamenti climatici, caratteristiche edafiche del suolo,
morfologia del territorio e interazioni intra e interspecifiche fra gli esseri viventi di
un ecosistema.
Ogni specie vegetale ha, nei confronti di ciascun fattore ecologico, un ambito di
tolleranza entro il quale può svolgere le proprie funzioni vitali (optimum) e
l’ampiezza di tale ambito varia da specie a specie. Nell’analisi del potenziale
ecologico di una specie, ciascun fattore ha la sua importanza.
I fattori ecologici che, oltre certi limiti di tollerabilità per una specie, diventano
fattori di stress, possono essere suddivisi in quattro macro-categorie:
- Fattori abiotici: ad es. radiazione solare, idrometeore (pioggia, neve, grandine,
umidità), calore (temperatura, escursione termica, gelate, ...), vento, suolo (proprietà
chimiche e fisiche del terreno), ecc.
- Fattori morfologici: ad es. l’altitudine, l’esposizione, la pendenza, l'orografia, ecc..
- Fattori chimici: ad es. composizione chimica dell’acqua (grado di salinità, presenza
di nitrati, inquinanti), composizione chimica del suolo (presenza di metalli pesanti,
nitrati, humus e elementi nutritivi), composizione chimica dell’aria (presenza di
inquinanti, areosol, CO2 e O) ecc.
- Fattori biotici: ad es. competizione intra e interspecifica, microbiologia del suolo,
patologie, fauna selvatica ecc.
Alcuni illustri botanici, riferendosi alle relazioni specie-ambiente, hanno espresso le
seguenti definizioni (VENAZONI, et al., 1996):
- “Le regioni di vegetazione sono delle regioni climatiche” (Flahault).
- “A condizioni climatiche comparabili corrispondono aspetti analoghi della
vegetazione” (Braun-Blanquet).
61
- “La geografia della vegetazione è anzitutto l'espressione dei rapporti fra piante e
l'ambiente. Il clima fornisce i criteri di classificazione desiderabili: la parentela dei
clima crea la parentela ecologica dei gruppi vegetali” (Emberger).
- “I fattori ecologici agiscono sulla pianta nel loro complesso, la loro scomposizione,
come se fossero indipendenti fra loro, è molto artificiale” (Malejew).
L’obiettivo di sviluppare un modello capace di definire il grado di idoneità odierno e
futuro delle specie forestali, rappresenta un importante supporto alla pianificazione
forestale. Numerosi sono i casi di ricerche che hanno come fine la comprensione
delle dinamiche ecologiche della vegetazione forestale attraverso la creazione di
modelli, si veda ad es.: PETERS et al. 2007, YUE et. al, 2008; VACLAVIK et.al. 2009;
VESSELLA et.al., 2013.
Una maggiore disponibilità di mappe tematiche accurate, consente di migliorare
l’efficienza della gestione e della conservazione delle risorse forestali.
62
5. - MATERIALI E METODI
5.1. - Inquadramento della tipologia forestale analizzata.
Secondo le stime dell’Inventario Forestale della Regione Toscana, la superficie dei
boschi di pino nero è di 20.496 ettari. Questa superficie si riferisce ai soprassuoli
dove il valore di copertura relativa del pino è superiore a quello di tutte le altre specie
presenti, oppure, in caso di parità con altre specie, dove il pino è stato registrato per
primo (HOFMANN et al., 1998).
L’inventario scende gradualmente nel dettaglio suddividendo i soprassuoli di pino
nero, in tre categorie in base alla “destinazione di uso” potenziale:
3. Conservazione, basata sul pregio naturalistico, paesaggistico o turistico.
4. Protezione, basata su dati indicatori di una situazione speciale nei confronti
della difesa idrogeologica.
5. Produzione, basata su condizioni di ordinarietà.
Provincie
Destinazione d'uso
Conservativo
naturalistica
(ha.)
Protettiva (ha.)
Produttiva (ha.)
aree in
rinnovazione (ha.)
AREZZO 0 544 5.392 1.152
FIRENZE 0 544 4.144 272
GROSSETO 0 144 1.744 288
LIVORNO 0 16 16 0
LUCCA 16 272 1.120 32
MASSA CARRARA 0 96 816 48
PISA 0 0 48 16
PISTOIA 16 48 688 0
PRATO 0 0 304 0
SIENA 0 16 2.096 608
TOSCANA 32 1.680 16.368 2.416
Tabella 4 - Superficie forestale dei soprassuoli a prevalenza di pino nero, ripartita per
destinazione d’uso e per provincie (IFT, 1998).
63
Come si osserva dalla Tabella 4, dove sono riportati i valori di superficie dei
soprassuoli di pino nero per provincia e per “destinazione d’uso”, le provincie dove
si concentra la presenza delle pinete sono: Arezzo, Firenze, Siena e Grosseto. I
soprassuoli classificati di importanza naturalistica coprono una superficie modesta
(circa 30 ettari) anche se questo valore è puramente indicativo, in quanto molti di
questi soprassuoli rientrano in siti facenti parte della rete di NATURA 2000.
In questa ricerca le analisi si sono concentrate sui soprassuoli a prevalenza di pino
nero, cioè sui soprassuoli dove la copertura del pino è superiore al 70% della
copertura totale.
La distribuzione in Toscana delle pinete a prevalenza di pino nero è stata estratta
dalla maglia di 400 m x 400 m dell’inventario forestale regionale, selezionando le
celle classificate come “Pinete di pino nero” (Codice = 509). La superficie
complessiva così ottenuta è di 10.710 ha.
Vengono esclusi dall’analisi i popolamenti a prevalenza di pino nero individuati nelle
altre categorie inventariali, in quanto la specie, anche se presente come specie
principale, non raggiunge mai un grado di copertura della chioma del suolo maggiore
del 70%. Tali valori possono scendere anche alla soglia del 30%, in relazione alla
presenza e abbondanza di più specie secondarie.
In questi casi non si tratta più di pinete di pino nero, ma di boschi misti di conifere
varie “id - o boschi misti di conifere e latifoglie”.
Di questi 10.710 ha, solo per circa 3.000 ettari si può parlare di popolamenti puri,
mentre per i restanti circa 7.000 ha sono presenti specie secondarie con un grado di
copertura della chioma variabile, ma non oltre il 30%. Le latifoglie che
maggiormente si consociano con il pino nero sono: il cerro, il faggio e il castagno. In
alcuni casi al pino si associano altre conifere come l’abete bianco, il cipresso comune
e la douglasia.
Ai fini di questo studio vengono prese in esame le specie faggio, cerro e castagno,
poiché hanno in parte lo stesso potenziale di distribuzione del pino nero, occupando
principalmente la stessa zona fitoclimatica del Pavari, corrispondente a quella del
castanetum, oltre ad essere le specie di latifoglie più frequenti nelle pinete di pino
nero (Tabella 5).
64
COMPOSIZIONE SPECIE SECONDARIE NELLE PINETE DI PINO NERO
Specie Superficie
(ha.) Specie Superficie (ha.)
Abete bianco 838 Altre conifere minori 115
Cedro 138 Aceri 37
Cipresso 79 Aceri campestre 14
Cipresso dell'Arizona 34 Ontano napoletano 116
Cipresso comune 438 Castagno 546
Larici 45 Faggio 803
Larice 17 Orniello 51
Abete rosso 102 Carpino nero 438
Pino cembro 17 Pioppi 17
Pino d'Aleppo 113 Pioppo nero 17
Pino nero 14 Querce 178
Pino marittimo 224 Cerro 1.048
Pino domestico 14 Roverella 672
Pino insigne 31 Robinia 124
Douglasia 433 Altre latifoglie minori 293
Totale 7.185
Tabella 5 - Superficie forestale dei soprassuoli a prevalenza di pino nero, ripartita per
specie secondarie.
La zona fitoclimatica del castanetum si distingue per le seguenti caratteristiche
climatiche:
- temperatura media mese più freddo: > -1°C
- temperatura media annua: 10°/15°C
- temperatura media dei minimi: > -15°C
Ad oggi, in Italia centrale, tale zona fitoclimatica corrisponde ad una fascia
altimetrica compresa tra 300 m e 900 m di quota.
Come si può notare dalla Figura 4, la distribuzione delle pinete di pino nero in
Toscana si concentra tra 400 e 1100 m di quota. Tale fascia coincide, per quanto
riguarda la porzione inferiore, con la distribuzione del cerro, per la parte intermedia
con quella del castagno e per quella a quote maggiori con quella del faggio. Vi è
comunque una porzione di fascia altimetrica compresa fra 700 e 1100 metri che
potenzialmente può essere occupata da tutte e quattro le specie.
65
Figura 4 - Distribuzione altimetrica della specie esaminate, espressa in percentuale di
frequenza.
5.2. - Analisi di idoneità ecologica potenziale
L’analisi dell’idoneità ambientale del territorio è stata condotta secondo la
metodologia di riferimento della land suitability (FAO, 1976), finalizzata alla stima
del grado di attitudine di una certa area ad un determinato uso del suolo.
L’analisi è stata sviluppata in ambiente GIS seguendo un approccio multicriteriale su
base raster con logica fuzzy (ZADEH, 1965; GROENEMANS et al., 1997; BURROUGH E
MCDONNELL, 1998; EASTMAN, 2006; COLLINS et al., 2001).
Indagini simili condotte nel nostro Paese per valutare l’attitudine del territorio
all’impianto di specie forestali sono descritte, a esempio, da DE NATALE (1994),
BELLOTTI (1998), PIERANGELI et al. (2001), CHIRICI et al. (2002), SALVATI et al.
(2007) e CAPPELLI et al. (2009). Per una più ampia trattazione di casi di studio nel
settore agro-forestale si rimanda al lavoro di CHIRICI et al. (2007).
5.2.1. - Esigenze ecologiche delle specie e scelta dei parametri ambientali
Per individuare gli ambiti territoriali che presentano caratteristiche ambientali
potenzialmente idonee per le specie oggetto di studio (pino nero, cerro, castagno e
faggio) all'interno della Tesi, è stata condotta un'analisi del grado di attitudine delle
specie a vivere in un determinato territorio, analizzando i valori di tollerabilità delle
specie per alcuni fondamentali fattori ambientali.
0
2
4
6
8
10
12
14
16
18
20
0
100
200
300
400
500
600
700
800
900
1000
1100
1200
1300
1400
1500
1600
1700
1800
Fre
qu
en
za %
Quota (m.)
Pino nero Cerro Castagno Faggio
66
A tal fine è stata eseguita un’indagine bibliografica per individuare i campi di
tollerabilità e le esigenze ecologiche delle specie esaminate La ricerca si è focalizzata
sui parametri ecologici di cui in letteratura è disponibile una loro quantificazione in
relazione alle esigenze di una determinata specie, tenendo in considerazione la
necessità di dovere rappresentare su cartografia la variabilità dei fattori ecologici .
Parametro ecologico Pino nero Faggio
Temperatura
(°C)
Media mese più
freddo
min -2 2 - 4 2
Media annua 7 a 12 2 min 6 a max12 3
Precipitazioni
(mm)
Precipitazioni annue min 400 3 – ott.>1400 1 ott. > 1500 3
Precipitazioni estive min 100 ott. >300 1 >150 ott. > 200 3
Suolo
Drenaggio Basse esigenze 2 Notevoli esigenze 2
Tessitura Sabbiosi e argillosi 1 Medio impasto 1
Profondità Anche superficiali 1 Profondi 1
pH 4 ind. di reazione
Landolt 4
3 ind. di reazione
Landolt 4
1 GELLINI et. al.,1996; 2 BERNETTI, 1995; 3 BERNETTI et. al., 1998; 4LANDOLT, et. al., 2010.
Parametro ecologico Castagno Cerro
Temperatura
(°C)
Media mese più freddo -2 a 3 3 min.-1, 2-3, max. 7 3
Media annua min. 8 2; 9-15 3 min.7,10-15, max17 3
Precipitazioni
(mm)
Precipitazioni annue >600 2 ott. >1000 3 >800 ott.>1000 3
Precipitazioni estive >100-150 3 >80 ott.>100 3
Suolo
Drenaggio Notevoli esigenze 1 Buono 3
Tessitura Molto sciolti 1 Argillosi 1
Profondità Profondi 1 Profondi 3
pH 2 ind. di reazione
Landolt 4
3 ind. di reazione
Landolt 4
1 GELLINI et. al.,1996; 2 BERNETTI, 1995; 3 BERNETTI et. al., 1998; 4LANDOLT, et. al., 2010.
Tabella 6 - Esigenze ecologiche e parametri ambientali selezionati per il pino nero, il
faggio, il castagno e il cerro
67
La scelta di questi fattori è ricaduta dunque su quelli per cui è stato possibile
elaborare dati cartografici per il territorio della Regione Toscana e dei quali si
conoscono le esigenze ecologiche delle specie esaminate.
Bisogna fare attenzione al fatto che lo studio è finalizzato a definire il potenziale
ecologico di una specie a livello di popolamento, e non tanto di singola pianta, o di
piccole comunità locali. Quindi fattori abiotici che a livello locale hanno una grande
importanza, come per esempio: le grandinate, le gelate tardive o precoci, l’umidità
dell'aria e fenomeni di inversione termica, a scala regionale perdono di significato, a
causa dell’alta variabilità dell'evento.
Di seguito si riportano i parametri ambientali selezionati e in Tabella 6 i risultati
della ricerca bibliografica:
- Parametri morfologici
Pendenza del terreno: fattore morfologico che può essere spazializzato,
influisce in maniera indiretta sulla fertilità di una zona, in quanto a valori
maggiori di pendenza corrisponde una minor profondità di terreno e, quindi,
condizione più difficili per l’accrescimento delle piante
- Parametri atmosferici
Temperatura: l’energia termica condiziona la distribuzione delle specie
vegetali in senso geografico, altitudinale ed anche a livello di microhabitat.
Essa influenza le principali funzioni fisiologiche di una pianta, prime fra tutte
fotosintesi, respirazione e traspirazione.
Pioggia: la piovosità ha influenza a livello regionale, ed è quindi di grande
importanza nella distribuzione di specie ed associazioni vegetali. In base
all’andamento ed alla quantità di piogge annuali, si caratterizzano i regimi
delle precipitazioni.
- Parametri edafici:
Tessitura del suolo: questo dato (rapporto percentuale su base di peso tra le
tre classi dimensionali di particelle minerali <2 mm, sabbia, limo e argilla) ha
notevole influenza sulla distribuzione delle varie specie, in quanto regola
l’aerazione, la ritenzione idrica, la meccanica del substrato, ecc.
pH del suolo: è un importante fattore di selezione per le piante che influenza
la disponibilità di nutrienti, o favorisce il rilascio di ioni che possono risultare
dannosi.
68
Drenaggio del suolo: (facilità con cui l’acqua è rimossa dal suolo o il periodo
di tempo in cui il suolo rimane saturato di acqua) questa caratteristica indica
la capacità di deflusso dell’acqua dagli orizzonti del suolo. La scarsa capacità
di drenaggio di un suolo comporta ristagni idrici, con conseguente situazione
di asfissia dell’apparato radicale delle piante.
Profondità del terreno: (spessore del terreno compreso tra la superficie e la
roccia inalterata) questo dato influisce sulla capacità di sviluppo dell’apparato
radicale delle piante. Specie pioniere hanno la capacità di vegetare e di
accrescersi su substrati meno profondi, rispetto a specie più esigenti.
5.2.2. - Modellizzazione dei parametri ambientali
Per ciascun parametro considerato è stato realizzato un modello cartografico in
formato raster georeferenziato, con sistema di coordinatane WGS 84 – UTM 32n. Le
cartografie o carte tematiche in formato raster, utilizzate a tal fine, sono descritte qui
di seguito:
- Pendenza
La carta della pendenza è stata ottenuta in ambiente GIS dall'elaborazione di un
modello digitale del terreno (DTM) con risoluzione spaziale di 250 m prodotto su
scala nazionale da Blasi et al. (2007). La carta della pendenza, espressa in
percentuale, è stata riclassificata in 5 classi di pendenza (Tabella 5).
- Precipitazioni e Temperatura
Sono state utilizzate le mappe digitali (risoluzione spaziale di 250 m) delle
temperature medie mensili, minime, massime e medie, e delle precipitazioni medie
mensili, prodotte da Blasi et al. (2007). Tali dati sono stati ottenuti dalle misurazioni
di temperatura, rilevate nell'arco di 30 anni, su circa 400 stazioni distribuite su tutto il
territorio nazionale. Queste mappe digitali sono state utilizzate per realizzare le
seguenti carte tematiche:
- temperatura media del mese più freddo (mese di gennaio);
- temperatura media annua;
- precipitazione media annua;
- precipitazione media estiva (mesi di giugno, luglio e agosto).
69
- Caratteristiche edafiche del suolo
Per quanto riguarda l’analisi di questo fattore, è stata utilizzata la “Carta dei suoli
della Toscana in scala 1:250.000”. Il progetto per la sua realizzazione è stato
finanziato dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali nell’ambito
del programma interregionale “Agricoltura e Qualità”, per la creazione della “Carta
dei Suoli d’Italia a scala 1:250.000”.
Tale progetto ha lo scopo di monitorare i fenomeni erosivi del suolo, seguendo le
linee guida per la realizzazione del “Manuale del database georeferenziato dei suoli
d’Europa in scala 1:250.000” (FINKE et al., 1998), pubblicato dall’European Soil
Bureau, tramite l'utilizzo della “Carta dei suoli della Toscana a scala 1:250.000”, e la
guida alla descrizione dei suoli in campagna e alla definizione delle loro qualità
(GARDIN et al., 2002)
Sulla base dell'Unità Tipologiche di Suolo (UTS) o Tipologie di Suolo riportate nella
carta dei suoli della Toscana, sono state create quattro carte tematiche che riportano
le seguenti informazioni:
pH del terreno;
Tessitura;
Profondità;
Drenaggio.
5.2.3. - Valutazione dei parametri ambientali
Gli strati informativi dei fattori ambientali sono stati valutati singolarmente per
quantificare l’attitudine del territorio in relazione alle esigenze ecologiche delle
specie forestali esaminate.
La valutazione è stata eseguita secondo un approccio basato sulla teoria dei fuzzy set
(Zadeh,1965). Nelle analisi di idoneità territoriale, l’applicazione di funzioni di
appartenenza fuzzy (membership function) consente di definire il livello di idoneità
secondo una transizione graduale (soft classification) espressa in una scala di valori
continui compresi tra 0 e 1, dove 0 corrisponde al livello minimo di idoneità (non
idoneo), e 1 corrisponde al livello massimo (idoneo). Tutti i valori compresi
nell’intervallo 0-1 esprimono livelli di idoneità intermedi.
Le funzioni di appartenenza fuzzy, utilizzate in questo studio, sono state messe a
punto sulla base delle indicazioni reperite in bibliografia (Tabella 4). Quindi, il
risultato di questa valutazione esprime un valore di idoneità potenziale del territorio
nella scala di valori fuzzy compresi tra 0, idoneità nulla, ed 1 idoneità massima.
Per valutare i fattori relativi alla “temperatura media annua”, alla “temperatura media
del mese più freddo”(gennaio), alla “precipitazione media annua” e alla
70
“precipitazione media estiva” (mesi di giugno, luglio e agosto), sono state utilizzate
le funzioni di appartenenza fuzzy riportate rispettivamente in Figura 5, in Figura 6, in
Figura 7 e in Figura 8.
Pino nero Cerro
1
0
6 7 12 15 (°C)
1
0
7 10 15 17 (°C)
Castagno Faggio
1
0
8 9 15 17 (°C)
1
0
6 7 9 12 (°C)
Figura 5 - Funzioni di appartenenza fuzzy per il fattore “temperatura media annua”.
Pino nero Cerro
1
0
-2 0,5 3 (°C)
1
0
-1 2 3 7 (°C)
Castagno Faggio
1
0
-2 1 3 (°C)
1
0
-4 -2 0 (°C)
Figura 6 - Funzioni di appartenenza fuzzy per il fattore “temperatura media del mese
più freddo”.
71
Pino nero Cerro
1
0
400 1400 (mm)
1
0
800 1000 (mm)
Castagno Faggio
1
0
600 1000 (mm)
1
0
1300 2000 (mm)
Figura 7 - Funzioni di appartenenza fuzzy per il fattore “precipitazione media annua”.
Pino nero Cerro
1
0
100 300 (mm)
1
0
80 150 (mm)
Castagno Faggio
1
0
100 150 (mm)
1
0
150 200 (mm)
Figura 8 - Funzioni di appartenenza fuzzy per il fattore “precipitazione media estiva”.
72
La valutazione dei parametri qualitativi relativi alle classi di pendenza del terreno e
alle classi di suolo è stata eseguita assegnando un punteggio alle classi utilizzando
valori compresi nell’intervallo 0-1 sulla base di un giudizio formulato da esperti.
In particolare, per valutare il fattore “classe di pendenza del terreno” a ciascuna
classe è stato assegnato un punteggio compreso nell’intervallo di valori fuzzy 0-1,
come riportato in Tabella 7.
Classe di pendenza Pendenza in % Valore fuzzy
Classe 1 0-20 1
Classe 2 20-40 0,75
Classe 3 40-60 0,5
Classe 4 60-173 0,25
Classe 5 173-220 0
Tabella 7 - Punteggi nella scala di valori fuzzy assegnati alle classi di pendenza.
Si è proceduto allo stesso modo per valutare il fattore “suolo”, assegnando un
punteggio compreso nell’intervallo di valori fuzzy 0-1, sulla base delle esigenze delle
specie esaminate in relazione al drenaggio, alla tessitura e alla profondità del suolo,
come riportato in Tabella 8.
Parametro edafico Pino nero Cerro Castagno Faggio
Profondità
Profondo 1 1 1 1
Mediamente prof. 1 0,5 0,5 0,5
Superficiale 0,5 0 0 0
Drenaggio
Buono 1 1 1 1
Medio 1 0,5 0,5 0,5
Lento 0,5 0 0 1
Tessitura
Sabbioso 1 0 1 0,5
Limoso 1 1 1 1
Argilloso 1 1 0 0,5
pH
Acidi 0 0,5 1 0,5
Neutri 0,5 1 0,5 1
alcalini 1 0,5 0 0,5
Tabella 8 - Punteggi nella scala di valori fuzzy assegnati in funzione alle caratteristiche
dei suoli.
73
5.2.4. - Combinazione dei parametri ambientali
Per ciascuna specie esaminata i valori di idoneità dei singoli parametri ambientali
sono stati combinati con il metodo della Linear combination (EASTMAN, 2006). Il
risultato di questa operazione esprime, nella scala di valori fuzzy (0, idoneità nulla; 1,
idoneità massima), l’idoneità complessiva del territorio per le specie oggetto di
studio.
Tradizionalmente, le cartografie tematiche presenti all’interno di strumenti di
pianificazione del territorio sono generalmente realizzate tramite tecniche di
classificazione discreta, per cui per ogni poligono o pixel viene attribuita una singola
classe all’interno del sistema di nomenclatura scelto.
Le carte tematiche che vengono prodotte tramite il modello sopra descritto, sono
realizzate secondo una classificazione di tipo soft, in grado di identificare il grado di
variabilità interna all’entità da classificare (pixel o poligono) sulla base di una
funzione di appartenenza di tipo continuo.
In questo modo, il processo di attribuzione ad una classe di appartenenza non sarà
più rigido e limitato alla condizione di appartenenza di tipo booleano {0/1}, ma sarà
graduale, cioè variabile da 0 (grado di appartenenza nullo) a 1 (grado di appartenenza
certo)
.
74
5.3. - Scenario di cambiamento climatico
Lo scenario di cambiamento climatico adottato in questo studio si basa sui dati
riportati nel Quarto Rapporto di Valutazione IPCC, che esprimono, in sintesi, i valori
climatici futuri stimati dal modello climatico HadCM3 United Kindom (IPCC,
2007).
Tali valori sono di carattere globale e si riferiscono allo scenario di emissioni A2,
descritto nel capitolo 3. Il modello ipotizza un aumento della temperatura di 0.5 °C al
2020 e di 3.2 °C al 2080 e una diminuzione delle precipitazioni del 10% al 2100.
(IPCC, 2007b).
Altri modelli riportano valori diversi di intensità del cambiamento che, comunque,
non si discostano molto l'uno dall'altro, mentre vi è una sensibile differenza se
vengono considerati scenari di emissioni future differenti.
Si è deciso l’utilizzo dei valori riassuntivi del modello climatico HadCM3, anche se
si analizza una superficie ridotta come quella della Toscana, dato che si tratta di un
modello globale atmosferico-oceanografico comunemente utilizzato in questa
tipologia di ricerche.
E' stato dunque scelto lo scenario di emissioni future A2, perché è quello che
maggiormente viene proposto in molteplici studi scientifici, ed è quello che più di
altri mette in risalto il cambiamento climatico (BARCAIOLI et al., 2006; BERNETTI et
al., 2010; GUALDI et al., 2005)
Considerando il 2013 come data di inizio per l’applicazione del modello HadCM3, in
Tabella 9 si riportano i valori attesi di cambiamento climatico alle date considerate
dallo scenario A2 (2020 e 2080).
PARAMETRO 2020 2080
Temperatura Media mese più freddo + 0,5 °C + 3,2 °C
Media annua + 0,5 °C + 3,2 °C
Precipitazioni Precipitazioni annue -1 % -7 %
Precipitazioni estive -1 % -7 %
Tabella 9 – Variazione dei parametri climatici al 2020 e 2080, desunti dal modello
HadCM3 per lo scenario climatico A2.
Le variazioni dei valori di temperatura e precipitazione previsti dallo scenario A2
sono stati applicati ai modelli cartografici delle temperature e delle precipitazioni e
sono stati utilizzati per ripetere l’analisi di idoneità ecologica potenziale del territorio
per ciascuna delle specie esaminate alle date del 2020 e 2080.
75
5.4 - Valutazione dell’accuratezza del modello.
Se il risultato del modello è una variabile continua (quantitativa), un metodo per
valutare l’accuratezza del modello è rappresentato dalla cosiddetta ROC (Receiver
Operating Characteristics) (ZWEIG et al., 1993).
Nel caso dell’analisi di idoneità potenziale del territorio, eseguita in questo studio, il
risultato che viene prodotto dall’analisi non è una variabile binaria (si/no; vero/falso),
ma una variabile continua, che esprime il grado di idoneità potenziale del territorio in
una scala di valori compresi fra 0 e 1.
Non trattandosi di un test qualitativo, non esiste un valore soglia selettivo “cut-off”
(cut-point, threshold), che permetta di discriminare i risultati in “idonei” e in “non
idonei”.
E’ necessario quindi procedere con la costruzione della curva ROC, che viene
realizzata considerando tutti i possibili valori del test, calcolando per ognuno di essi
la proporzione di veri positivi (la sensibilità) e la proporzione di falsi positivi
(specificità).
Per eseguire il test di accuratezza è stato effettuato, per ogni specie, un
campionamento casuale di 2000 punti su tutta la Regione Toscana, di cui 1000 punti
ricadenti dove è segnalata la specie dall’IFT, e 1000 dove non è presente.
La proporzione di falsi positivi si calcola con la formula standard: 1 - specificità.
Congiungendo i punti che mettono in rapporto la proporzione di veri positivi e di
falsi positivi (le cosiddette coordinate) si ottiene l’andamento della curva ROC.
TEST PRESENZA ASSENZA
IDONEO a – VERO POSITIVO b- FASO POSITIVO
NON IDONEO c – FALSO POSITIVO d – VERO NEGATIVO
a + c = totale presenza specie b + d = regione Toscana –
areale presenza della specie
Tabella 10 – Tabella di contingenza o tabella della verità.
- la sensibilità: è la probabilità che in un punto del territorio esaminato, che presenta
caratteristiche ambientali idonee per una delle specie esaminate, la specie in esame
sia effettivamente presente sia presente. Questo valore viene calcolato, tramite la
come proporzione dei punti con test positivo (valori idonei) rispetto a tutti quelli su
cui è presente la specie in oggetto [a/(a+c)], “veri positivi” (vedi Tabella 10).
- la specificità: è la probabilità che in un punto del territorio esaminato, che presenta
caratteristiche ambientali idonee per una delle specie esaminate la specie in esame
76
non risulta essere presente non sia presente la specie stessa. Questo valore viene
calcolato come la proporzione dei punti con test negativo(valori non idonei) rispetto
a tra tutti quelli in cui non è presente la specie in oggetto [d/(b+d)], “veri negativi”;
(vedi Tabella 10).
L’area sottostante alla curva ROC (AUC, “Area Under the Curve”) è una misura
dell’accuratezza del modello elaborato.
Più alta è l’accuratezza, maggiore è l’area sottesa ad una curva. Se un ipotetico test
discriminasse perfettamente i risultati, l’area della curva ROC avrebbe valore 1, cioè
il 100% di accuratezza, e potrebbe quindi essere considerato un classificatore
perfetto, convertendo la curva in una retta verticale dal punto (0,0) che restituisce
solo veri positivi. Caso opposto sarebbe se il test non discriminasse per niente i
risultati, la curva ROC avrebbe, in tal caso, un’area di 0.5 (o 50% bisettrice degli
assi).
In genere si considera sufficientemente accurato un modello con un’area sotto la
curva ROC ≥80%. L’area sotto la curva può assumere valori compresi tra 0.5 e 1.0.
Tanto maggiore è l’area sotto la curva (cioè tanto più la curva si avvicina al vertice
del grafico), tanto maggiore è il potere discriminante del modello. Per
l’interpretazione dei valori dell’area sottostante la curva ROC è possibile riferirsi alla
classificazione proposta da Swets (1988):
- AUC=0.5 il modello non è informativo;
- 0.5<AUC≤0.7 il modello è poco accurato;
- 0.7<AUC≤0.9 il modello è moderatamente accurato;
- 0.9<AUC<1.0 il modello è altamente accurato;
- AUC=1 modello perfetto.
77
5.5. - Relazione tra indici climatici e idoneità ecologica potenziale del
territorio.
Stimare il potenziale ecologico delle specie esaminate, tramite il modello applicato in
questa Tesi, richiede un'approfondita conoscenza dell'ecologia delle specie e tutta
una serie di dati climatici, pedologici e morfologici caratteristici del territorio della
Toscana.
Per poter determinare se una specie sia più o meno idonea in un determinato
territorio, tramite metodi più speditivi, si può fare riferimento alla classificazione
fitoclimatica del Pavari, del 1916, che anche se datata è comunque sempre accettata
in ambito forestale.
Tale classificazione, suddivide il territorio italiano in cinque fasce fitoclimatiche e
sottozone, facendo riferimento alle temperature medie dell'anno, del mese più caldo,
del mese più freddo, le medie dei minimi e per alcune zone anche della piovosità.
Questa suddivisione, seppure sempre valida, presenta alcune criticità fra cui la sua
staticità, in quanto non considera il cambiamento climatico che, come è stato
dimostrato da più organismi di ricerca internazionale, è avvenuto nell'ultimo secolo
ed è ancora in atto.
Per ovviare a questa criticità, in questa ricerca si è cercato di determinare in maniera
speditiva l'idoneità o meno per una specie attraverso il calcolo di alcuni principali
indici climatici, valutando poi se esiste una correlazione tra questi e il valore
potenziale di idoneità ecologica del territorio determinato per le specie esaminate alle
date del 2013, 2020 e 2080 sulla base dello scenario di cambiamento climatico.
A tale proposito, tramite la serie di dati climatici utilizzati per il modello è stato
possibile calcolare i seguenti indici semiempirici:
- L'indice di Crowther
- L'indice di De Martonne
Non è stato possibile calcolare altri indici climatici, anche se assai significativi, in
quanto avrebbero richiesto la conoscenza di ulteriori dati climatici come ad esempio:
l'evapotraspirazione, l'umidità del suolo, la capacità idrica del terreno, l' escursione
termica, ecc..
5.5.1. - Indice di De Martonne.
L’indice di De Martonne permette di stabilire il livello di aridità di una determinata
zona, prendendo in considerazione due variabili fondamentali, la precipitazione
media annua e la temperatura media annua (De Martonne, 1927). Nelle regioni dove
78
sono presenti temperature costantemente elevate, vi è una forte perdita di acqua per
evapotraspirazione quindi, anche con precipitazioni relativamente elevate, ben poca
acqua rimane a disposizione delle piante.
L'indice di De Martonne calcola un indice di aridità, facendo il rapporto fra la
precipitazione media annua e la temperatura media annua accresciuta di 10 unità:
ID = P / (T + 10)
P = media delle precipitazioni annue in cm; T = temperatura media annua in °C.
Classificazione dei tipi climatici secondo Martonne:
ID < 5 = Desertico
ID < 15 = Steppico
ID < 20 = Mediterraneo
ID < 30 = Subumido
ID < 60 = Umido
ID > 60 = Perumido
5.5.2. - Indice di Crowther.
L’indice di Crowther riguarda un bilancio fra precipitazione ed evaporazione
(stimata indirettamente) (BOVE et al., 2005).
IC = P - 3,3 T
P = media delle precipitazioni annue in cm; T = temperatura media annua in °C
Classificazione dei tipi climatici secondo Crowther:
IC > 40 = Arido
15 < IC < 40 = Semiarido
15 < IC < 0 = Secco
0 < IC < -15 = Subumido
-30 < IC < -15 = Umido
IC < - 30 = Perumido
79
6. - RISULTATI
6.1. - Idoneità Ecologica del territorio al 2013
Il primo risultato ottenuto dall’applicazione del modello utilizzato nella Tesi è la
creazione, per ciascuna specie esaminata, pino nero, cerro, castagno e faggio, di una
carta tematica della regione Toscana con indicato il valore di idoneità ecologica
potenziale del territorio al 2013, espresso nella scala di valori fuzzy 0-1 (0 = non
idoneo; 1 = idoneità massima).
Figura 9 – Idoneità ecologica potenziale del territorio per il pino nero al 2013.
Anno: 2013
80
In Figura 9 si riporta la carta che esprime il grado di idoneità potenziale del territorio
per il pino nero al 2013. Le carte elaborate per cerro, castagno e faggio sono riportate
nell’Allegato 9.1.
Dall’analisi delle carte prodotte (Figura 9 e Allegato 9.1) si osserva quali sono le
zone più idonee per ogni specie e come varia il grado di idoneità al variare della
specie esaminata.
Nel complesso si hanno valori tendenzialmente bassi in corrispondenza delle zone
urbanizzate dove i livelli di idoneità fuzzy delle caratteristiche edafiche hanno valore
zero.
Per le specie più microterme, come il faggio e il pino nero, si hanno valori di idoneità
maggiori nella zone di montagna, mentre per le specie con caratteristiche più
macroterme si ha un andamento dei valori tendenzialmente opposto.
Un aspetto comune a tutte e quattro le specie esaminate è dato dai valori di idoneità
mediamente più bassi per le zone costiere, soprattutto nella porzione meridionale
della Toscana, più adatte a specie mediterranee tipiche della fascia fitoclimatica del
lauretum.
81
6.2. - Accuratezza dell’analisi di Idoneità Ecologica
La valutazione dell’accuratezza è stata eseguita tramite l’analisi della curva ROC per
ciascuna carta di idoneità ecologica relativa all’anno 2013. I risultati della
valutazione sono riportati di seguito per ciascuna specie esaminata.
- Pino nero
Per il pino nero il valore AUC della curva ROC (Figura 10) è risultato di 0,813, ciò
indica che la carta prodotta presenta un livello di accuratezza moderato (SEWTS,
1988).
Le variabili utilizzate nel modello sono risultate sufficientemente esplicative rispetto
alla distribuzione delle pinete rilevata dall’inventario forestale della Regione
Toscana.
Nel caso del pino, il valore di specificità può essere influenzato dalla presenza di
impianti realizzati in aree non particolarmente idonee alla specie.
Figura 10 - Curva ROC del modello elaborato per il pino nero.
AUC = 0,8136 Cutt-Off = 0,71
Sensitivity = 78,74 % Specificity = 70,75 %
Confidence intervals 99% = 0,797 – 0,835 (p-value) = p < 0.001
82
Il pino nero è comunque una specie che, in termini di esigenze ecologiche e di
strategie di colonizzazione, può essere considerata una “specie pioniera”, non avendo
particolari esigenze sia per quanto riguarda le caratteristiche edafiche, sia per le
esigenze termiche che idriche, anche se quest’ultimo fattore può ritenersi quello più
limitante.
- Castagno
Per il castagno il valore AUC della curva ROC (Figura 11) è risultato di 0,875. Tale
valore si discosta poco dal valore soglia di 0,9 che indica un modello con un livello
di accuratezza elevato (SEWTS, 1988). Anche in questo caso le variabili ambientali
utilizzate sono risultate esplicative rispetto alla distribuzione del castagno rilevata
dall’inventario forestale regionale.
Il castagno è una specie che ben si adatta al clima toscano, soprattutto per quanto
riguarda le esigenze termiche e in modo minore per le esigenze idriche, mentre è
assai più esigente per le caratteristiche edafiche. Nel complesso, comunque, sono
numerose le zone che in Toscana sono potenzialmente adatte al castagno, ma non in
tutte queste la specie è presente. Ciò influisce sul valore di specificità ottenuto per la
carta elaborata per il castagno, che è risultato pari al 70%.
Figura 11 - Curva ROC del modello elaborato per il castagno.
AUC = 0,875 Cutt-Off = 0,75
Sensitivity = 90,07 % Specificity = 70,39 %
Confidence intervals 99% = 0,855 – 0,894 (p-value) = p < 0.001
83
- Cerro
Per il cerro il valore AUC della curva ROC (Figura 12) è risultato di 0,628. Il
modello cartografico elaborato per il cerro è quindi caratterizzato da un livello di
accuratezza relativamente basso (SEWTS, 1988).
Questo risultato si può spiegare con il fatto che il cerro è una specie plastica, che si
adatta bene alle caratteristiche climatiche della Toscana, oltre a non avere particolari
esigenze edafiche. Per questo motivo, nella cartografia prodotta vi sono numerose
zone potenzialmente idonee al cerro dove in realtà la specie non è presente, influendo
così sul valore di sensibilità dell’analisi condotta.
Il valore relativamente elevato di Cutt-Off ottenuto per il cerro, indica che i valori di
idoneità calcolati dal modello sono particolarmente alti, rafforzando la tesi per cui
l’ambiente della Toscana risulta solitamente idoneo a questa specie.
Figura 12 - Curva ROC del modello elaborato per il cerro.
AUC = 0,628 Cutt-Off = 0,767
Sensitivity = 61,47 % Specificity = 59,43 %
Confidence intervals 99% = 0,628 – 0,661 (p-value) = p > 0.05
84
- Faggio
Nel caso del faggio il valore AUC della curva ROC (Figura 13) è risultato di 0,952
ed indica che il modello sviluppato per il faggio è caratterizzato da un livello di
accuratezza elevato. Le variabili ambientali introdotte nel modello sono risultate
esplicative rispetto alla distribuzione del faggio rilevata dall’inventario forestale
regionale. Questo è dovuto alle caratteristiche della specie che presenta optimum
ecologici ristretti in termini di esigenze idriche, termiche ed edafiche.
Figura 13 - Curva ROC del modello elaborato per il faggio.
AUC = 0,952 Cutt-Off = 0,62
Sensitivity = 96,97 % Specificity = 84,32 %
Confidence intervals 99% = 0,937 – 0,965 (p-value) = p < 0.001
85
6.3. - Idoneità Ecologica del territorio al 2020 e al 2080.
Dopo aver valutato l’accuratezza dei modelli all’anno 2013 si è proceduto a calcolare
i valori di idoneità ecologica potenziale delle specie al 2020 e al 2080, variando i
parametri climatici in funzione dello scenario di cambiamento climatico considerato.
In Figura 14 e in Figura 15 si riportano le mappe di idoneità ecologica elaborate per
il pino nero al 2020 e al 2080. Le carte di idoneità elaborate per cerro, castagno e
faggio sono riportate nell’Allegato 8.3 e Allegato 8.5.
Figura 14 – Idoneità ecologica potenziale del territorio per il pino nero al 2020.
Anno: 2020
Scenario A2 IPCC
Temp. media mese più freddo: +0,5° C
Temp media annua: +0,5° C
Prec. medie estive: -1%
Prec. media annua: -1%
86
Figura 15 – Idoneità ecologica potenziale del territorio per il pino nero al 2080.
Anno: 2080
Scenario A2 IPCC
Temp. media mese più freddo: +3,2° C
Temp media annua: +3,2° C
Prec. medie estive: -7%
Prec. media annua: -7%
87
6.4. - Riclassificazione delle carte di Idoneità Ecologica
Per agevolare la lettura e semplificare l’impiego operativo della cartografie prodotte,
è stata eseguita una operazione di hardening in modo da convertire i valori originali
di idoneità, espressi nella scala di valori fuzzy, in tre sole classi: scadente, intermedia,
buona.
I valori soglia utilizzati per effettuare la riclassificazione, sono stati stabiliti
esaminando i valori di idoneità fuzzy in corrispondenza delle celle dell’inventario
forestale della Regione Toscana dove il pino nero, il cerro, il castagno e il faggio
risultano essere la specie principale (copertura > 70 %) (Figura 16).
Figura 16 – Distribuzione di frequenza dei valori di idoneità fuzzy al 2013.
TIPOLOGIA FORESTALE Idoneità fuzzy – 2013
Media Dev. Stand.
Pinete di pino nero 0,768 0,082
Boschi a prevalenza di cerro 0,784 0,109
Boschi a prevalenza di castagno 0,819 0,082
Boschi a prevalenza di faggio 0,764 0,07
Tabella 11 – Media e deviazione standard dei valori di idoneità fuzzy al 2013 calcolati
sulle celle dell’inventario forestale regionale dove è segnalata la prevalenza delle specie
esaminate.
Sulla base di tale analisi si è potuto osservare che la distribuzione dei valori fuzzy
segue, per ciascuna specie, un andamento gaussiano, con un valore medio che più
0
5
10
15
20
25
30
35
0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1
Fre
qu
enza
%
Idoneità Fuzzy
PINO CERRO CASTAGNO FAGGIO
88
frequentemente si aggira intorno a circa 0.77 - 0.78 e con una deviazione standard
approssimativamente di ± 0.08 (Tabella 11).
Di conseguenza si è stabilito di assegnare un livello di idoneità scadente ai valori
fuzzy inferiori a 0.70, un livello di idoneità buono ai valori fuzzy superiori a 0.83, e
un livello di idoneità intermedio a tutti quei valori compresi tra 0.83 e 0.70. In
Figura 17 si riporta il risultato della riclassificazione relativa alla carta di idoneità del
pino nero al 2013.
La procedura descritta è stata applicata per effettuare la riclassificazione delle carte
di idoneità ecologica delle specie esaminate alle date del 2013, 2020 e 2080
(Allegato 9.2, Allegato 9.4 e Allegato 9.6).
Figura 17 – Classi di idoneità per il pino nero al 2013.
Anno: 2013
89
6.5. - Variazione dell’Idoneità Ecologica del territorio in uno scenario
di cambiamento climatico.
Al fine di esaminare gli effetti dello scenario di cambiamento climatico considerato
(scenario A2 del modello CGM dell’IPCC) sull’idoneità ecologica potenziale del
territorio per il pino nero, il cerro, il castagno e il faggio, sono state analizzate per
ciascuna specie le variazioni dei valori di idoneità ecologica nel periodo 2013-2080.
L’analisi è stata condotta su tre diversi livelli spaziali:
- Regione Toscana.
- Celle dell’Inventario forestale della Regione Toscana dove le specie esaminate
risultano essere la specie prevalente (copertura >70%).
- Celle dell’Inventario forestale della Regione Toscana dove il pino nero è specie
prevalente (copertura >70%), e il cerro, il castagno e il faggio sono le specie
secondarie.
- Regione Toscana
Nella tabella 12 viene riportata, per ciascuna specie esaminata, le superficie delle
classi di idoneità al 2013 e al 2080, per tutto il territorio della regione Toscana.
Specie Classe di
idoneità
2013 2080 Variazione
Superficie (ha) % Superficie(ha) % %
Pino nero
Scadente 1.566.105 68,5 1.725.207 75,4 + 6.9
Intermedia 583.031 25,5 548.383 24,0 - 1,5
Buona 138.207 6,0 13.753 0,6 - 5,4
Cerro
Scadente 795.923 34,8 1.638.779 71,6 + 36,8
Intermedia 824.068 36,0 522.624 22,8 - 13,2
Buona 667.351 29,2 125.940 5,5 - 23,7
Castagno
Scadente 1.355.411 59,2 1.891.308 82,7 + 23,5
Intermedia 683.641 29,9 330.743 14,5 - 15,4
Buona 248.290 10,9 65.291 2,8 - 8,1
Faggio
Scadente 2.049.187 89,6 2.271.497 99,2 + 9,6
Intermedia 215.886 9,4 15.470 0,7 - 8,7
Buona 22.269 1,0 375 0,1 - 0,9
Tabella 12 – Evoluzione della superficie delle classi di idoneità delle specie esaminate
per il territorio della Regione Toscana.
90
Per tutte e quattro le specie osservate si verifica, in relazione al cambiamento climatico
previsto dal modello climatico GCM HadCm3, un incremento della superficie della classe
di idoneità territoriale “scadente”, ed una riduzione della classe di idoneità considerata
“intermedia” e “buona”.
- Celle dell’Inventario forestale della Regione Toscana dove le specie esaminate
risultano essere la specie prevalente (copertura >70%).
Nella Tabella 13 è riportato il valore medio del grado di idoneità fuzzy alle date del
2013, 2020 e 2080. I dati riportati in Tabella indicano una progressiva riduzione dei
valori medi di idoneità passando dalla situazione attuale a quella prevista per il 2080.
Ciò mostra che le specie esaminate, risentiranno complessivamente del cambiamento
climatico previsto dall’IPCC, e che nessuna di loro si avvantaggerà del cambiamento
in atto.
TIPOLOGIA FORESTALE
2013
Idoneità fuzzy
2020
Idoneità fuzzy
2080
Idoneità fuzzy
Media Dst. Media Dst. Media Dst.
Pinete di pino nero 0.768 0.082 0,756 0,078 0,713 0,066
Boschi a prevalenza di cerro 0,784 0,109 0,768 0,109 0,658 0,086
Boschi a prevalenza di castagno 0,819 0,082 0,811 0,078 0,745 0.066
Boschi a prevalenza di faggio 0,764 0,07 0,752 0,066 0,635 0,07
Tabella 13 – Media e deviazione standard (Dst.) dei valori di idoneità fuzzy al 2013,
2020 e 2080 nei soprassuoli a prevalenza (copertura >70%) di pino nero, cerro,
castagno e faggio.
Per meglio evidenziare i cambiamenti di idoneità ecologica potenziale del territorio
determinati dallo scenario di cambiamento climatico, nelle Figure 18, 19, 20 e 21 si
riporta la distribuzione della superficie delle specie esaminate nell’intervallo di
idoneità fuzzy 0-1. Dall’analisi di queste figure si osserva un trend simile per tutte le
specie, che consiste nell’aumento generalizzato dal 2013 al 2080 delle superfici che
ricadono in zone con valori di idoneità fuzzy (< 0.7) considerate scadenti.
Inoltre, dalle Figure 18, 19, 20 e 21 si evince che i maggiori cambiamenti si
verificheranno dopo il 2020. Ciò è dovuto al fatto che il periodo che intercorre tra il
2013 e il 2020 è assai breve, ed i valori dei fattori climatici calcolati dal modello
CGM al 2020 si discostano di poco da quelli attuali, mentre è assai più rilevante
l’effetto dello scenario di cambiamento climatico sulle condizioni previste al 2080.
Per questo motivo, di seguito si riportano solo i risultati relativi al 2013 e al 2080.
91
Figura 18 – Distribuzione della superficie dei soprassuoli a prevalenza di pino nero
(copertura >70%) nell’intervallo di idoneità fuzzy 0-1 per gli anni 2013, 2020 e 2080.
Figura 19 – Distribuzione della superficie dei soprassuoli a prevalenza di cerro
(copertura >70%) nell’intervallo di idoneità fuzzy 0-1 per gli anni 2013, 2020 e 2080.
0
500
1000
1500
2000
2500
3000
3500
4000
0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1
Ett
ari
Idoneità Fuzzy
2013 2020 2080
0
2500
5000
7500
10000
12500
15000
17500
20000
22500
0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1
Ett
ari
Idoneità Fuzzy
2013 2020 2080
92
Figura 20 – Distribuzione della superficie dei soprassuoli a prevalenza di castagno
(copertura >70%) nell’intervallo di idoneità fuzzy 0-1 per gli anni 2013, 2020 e 2080.
Figura 21 – Distribuzione della superficie dei soprassuoli a prevalenza di faggio
(copertura >70%) nell’intervallo di idoneità fuzzy 0-1 per gli anni 2013, 2020 e 2080.
In Figura 22 e in Figura 23 è riportata la carta della distribuzione spaziale dei
soprassuoli a prevalenza di pino nero (copertura >70%) riclassificati nelle classi di
idoneità ecologica “scadente”, “intermedia” e “buona” rispettivamente per gli anni
2013 e 2080. Dall’incrocio di queste due cartografie, sulla base di una analisi di
cross-tabulation, è stato possibile esaminare le variazioni di idoneità ecologica per il
pino, e individuare quali saranno le pinete che si troveranno a vegetare in condizioni
ambientali peggiori rispetto alle condizioni attuali. Questo tipo di analisi consentirà,
tra l’altro, di disporre di uno strato informativo di supporto per la definizione di
indirizzi gestionali diversificati per le pinete di pino nero della Toscana e per la
0
3000
6000
9000
12000
15000
18000
21000
24000
27000
0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1
Ett
ari
Idoneità Fuzzy
2013 2020 2080
0
2500
5000
7500
10000
12500
15000
17500
20000
22500
25000
0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1
Ett
ari
Idoneità Fuzzy
2013 2020 2080
93
pianificazione di priorità di intervento differenziate in funzione degli effetti connessi
allo scenario di cambiamento climatico considerato. I risultati dell’anali di cross-
tabulation, descritti di seguito, sono riportati in Tabella 14 e in Figura 24.
Figura 22 – Classi di idoneità del pino nero al 2013.
Anno: 2013
94
1Figura 23 – Classe di idoneità del pino nero al 2080.
Ad oggi la superficie delle pinete di pino nero che ricade nella classe di idoneità
“buona” è pari a circa 2.600 ha, che corrisponde al 24,7% della superficie totale delle
pinete. Una superficie di poco inferiore, che corrisponde al 20% del totale, rientra
nella classe di idoneità “scadente” (Tabella 14).
La variazione di idoneità ecologica per il pino nero, determinata dallo scenario di
cambiamento climatico, comporta un peggioramento complessivo delle condizioni
ambientali tra il 2013 e il 2080 che interessa circa il 50% della superficie delle
pinete, con un picco del 90% per le pinete che ricadono nella classe di idoneità
“buona” (Tabella 14).
Situazioni in cui si osservano al 2080 condizioni ambientali migliori per il pino
rispetto a quelle presenti al 2013 sono praticamente assenti (0,1% della superficie
totale delle pinete).
Anno: 2080
Scenario A2a IPCC
Temp. media mese più freddo: +3,2° C
Temp media annua: +3,2° C
Prec. medie estive: -7%
Prec. media annua: -7%
95
Nelle condizioni climatiche previste dal modello HadCm3, la superficie della classe
di idoneità “scadente” aumenterà fino ad interessare il 46,8% della superficie totale
delle pinete, mentre, la classe di idoneità “buona”, sarà ridotta nel 2080 a 246 ha,
rappresentando il 2,3% del totale delle pinete (Tabella 14 e Figura 24).
CLASSE DI
IDONEITA’
Superficie
al 2013
Evoluzione superficie classi
di idoneità del pino al 2080 Superficie
al 2080 PEG. INV. MIGL.
ha % ha % ha % ha % ha %
SCADENTE 2.206 20,6 - - 2.192 99,4 14 0.6 5.018 46,8
INTERMEDIA 5.864 54,6 2.712 46,2 3.152 53,8 2 0 5.462 50,9
BUONA 2.655 24,7 2.411 90,8 244 9,2 0 0 246 2,3
TOTALE 10.725 100 5.121 47,8 5.588 52,1 16 0.1 10.725 100
Tabella 14 – Ripartizione della superficie dei soprassuoli a prevalenza di pino nero
(copertura >70%) nelle classi di idoneità al 2013 e al 2080
Figura 24 – Ripartizione percentuale della superficie dei soprassuoli a prevalenza di
pino nero (copertura >70%) nelle classi di idoneità al 2013 e al 2080.
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
Cl. SCADENTE Cl. INTERMEDIA Cl. BUONA
PINO
Fre
qu
en
za %
2013 2080
96
- Celle dell’Inventario forestale della Regione Toscana dove il pino nero è specie
prevalente (copertura >70%), e il cerro, il castagno e il faggio sono le specie
secondarie.
Sulla base dei risultati fino qui esposti, che evidenziano per le pinete di pino nero
della Toscana la possibilità che si possano verificare nei prossimi decenni condizioni
climatiche sfavorevoli al pino, si è cercato di esaminare quali altre specie potrebbero
svolgere un ruolo importante ai fini della rinaturalizzazione dei soprassuoli di pino.
A tal fine si sono considerate le specie come il cerro, il castagno e il faggio, essendo
queste le specie secondarie che attualmente si trovano più frequentemente all’interno
delle pinete toscane.
Secondo i dati dell’inventario forestale regionale, in Toscana sono presenti 1048 ha
di pineta di pino nero in cui il cerro è specie secondaria, 546 ha in cui la specie
secondaria è il castagno, e 803 ha in cui è il faggio la seconda specie più diffusa.
Tali zone hanno una particolare importanza a livello gestionale, in quanto possono
rappresentare soprassuoli in cui gli interventi di rinaturalizzazione della pineta
possono avere una maggiore significatività e probabilità di riuscita grazie alla
presenza di queste latifoglie.
Per le pinete dove è segnalata dall’inventario la presenza del cerro, del castagno e del
faggio, è stata quindi estratta dalle carte di idoneità del 2013 e del 2080 la classe di
idoneità ecologica della specie secondaria presente nella pineta. In seguito, sulla base
di una analisi di cross-tabulation, sono state esaminate le variazioni di idoneità
ecologica delle specie secondarie. I risultati di questa analisi, espressi in termini di
superficie e frequenza percentuale, sono riportati nelle Tabelle 15, 16, 17 e in Figura
25.
CLASSE DI
IDONEITA’
Situazione del
cerro al
2013
Evoluzione superficie pinete
con cerro specie secondaria al 2080 Situazione del
cerro al 2080 PEGG. INV. MIGL.
ha % ha % ha % ha % ha %
SCADENTE 10 1 - - 10 0 0 185 17,7
INTERMEDIA 198 18,9 158 79,8 40 20,2 0 0 710 67,7
BUONA 840 80,2 687 81,7 153 18,2 - - 153 14,6
TOTALE 1.048 100 845 81,0 203 19,0 0 0 1.048 100
Tabella 15 – Cross- tabulation tra le classi di idoneità del cerro al 2013 e al 2080 nelle
pinete di pino nero in cui il cerro risulta specie secondaria.
97
Ad oggi l’80% della superficie delle pinete in cui il cerro è la specie secondaria
rientra nella classe di idoneità considerata “buona” per questa latifoglia, mentre solo
l’1% ricade nella classe “scadente”. In seguito all’applicazione dello scenario di
cambiamento climatico si registra una riduzione della superficie delle pinete in cui il
cerro troverà condizioni climatiche “buone”.
Tuttavia, i risultati mostrano che nel 2080 il cerro si troverà a vegetare in condizioni
climatiche da “buone” a “moderatamente buone” su oltre l’80% della superficie delle
pinete in cui il cerro è attualmente segnalato come specie secondaria (Tabella 15).
Alle condizioni climatiche odierne, in oltre il 90% della superficie delle pinete in cui
è presente il castagno come specie secondaria, si evidenzia una classe di idoneità
“intermedia” o “buona” per questa latifoglia. Alle condizioni previste dallo scenario
climatico al 2080, questa percentuale scende al 77% così suddivisa: 14,3% nella
classe “buona”, 62,7% nella classe intermedia (Tabella 16).
CLASSE DI
IDONEITA’
Situazione del
castagno al
2013
Evoluzione superficie pinete
con castagno specie secondaria al 2080 Situazione del
castagno al
2080 PEGG. INV. MIGL.
Ha % ha % Ha % Ha % ha %
SCADENTE 47 8,7 - - 47 100 0 0 125 23
INTERMEDIA 240 44 76 31,7 159 66,3 5 2.1 342 62.7
BUONA 258 47,3 185 71,7 73 22,3 - - 78 14.3
TOTALE 546 100 261 48 280 51 5 1 546 100
Tabella n. 16 – Cross-tabulation tra le classi di idoneità del castagno al 2013 e al 2080
nelle pinete di pino nero in cui il castagno risulta specie secondaria.
Per quanto riguarda il faggio, specie presente su circa 800 ha di pineta, ad oggi solo
il 7% di questa superficie presenta condizioni di buona idoneità per questa latifoglia.
Questo risultato può derivare dal fatto che il faggio e il pino nero sono entrambi
presenti a quote che per il faggio sono considerate il suo limite inferiore di
vegetazione. In seguito all’applicazione dello scenario di cambiamento climatico il
faggio rientra quasi interamente nella classe di idoneità scadente (Tabella 17).
98
CLASSE DI
IDONEITA’
Situazione del
faggio al
2013
Evoluzione superficie pinete
con faggio specie secondaria al 2080 Situazione del
faggio al 2080 PEGG. INV. MIGL.
ha % ha % ha % ha % ha %
SCADENTE 124 15,4 -- - 124 100 0 0 796 99,1
INTERMEDIA 623 77,6 623 100 0 0 0 0 7 0.9
BUONA 56 7 56 100 0 0 - - 0 0
TOTALE 803 100 679 84,6 124 15,4 0 0 803 100
Tabella 17 - Cross-tabulation tra le classi di idoneità del faggio al 2013 e al 2080, nelle
pinete di pino nero in cui il faggio risulta specie secondaria.
In sintesi, come si evince dalla Figura 25, cerro e castagno risultano essere le specie
che potrebbero essere favorite per la rinaturalizzazione di quelle pinete dove queste
due latifoglie trovano condizioni ambientali buone e intermedie.
Figura 25 – Superficie, espressa in percentuale, delle classi di idoneità del cerro,
castagno e faggio, al 2013 e al 2080, nelle pinete di pino nero in cui cerro, castagno e
faggio risultano essere specie secondarie.
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
Cl.
SC
AD
EN
TE
Cl.
INT
ER
ME
DIA
Cl.
BU
ON
A
Cl.
SC
AD
EN
TE
Cl.
INT
ER
ME
DIA
Cl.
BU
ON
A
Cl.
SC
AD
EN
TE
Cl.
INT
ER
ME
DIA
Cl.
BU
ON
A
CERRO CASTAGNO FAGGIO
Fre
qu
en
za
%
2013 2080
99
Nella tabella 18, si riporta le classe di idoneità ecologica al 2080, del cerro, castagno
e faggio, per tutte le celle dell’Inventario Forestale della Regione Toscana dove il
pino nero è specie prevalente (copertura >70%).
Dalla tabella 18 si nota che specie come il castagno e il cerro avranno comunque,
nonostante l’impatto negativo del cambiamento climatico osservato nei risultati
precedentemente esposti, un grado di idoneità ecologica favorevole per quanto
riguarda il castagno su circa il 50 % e per il cerro l’80% delle pinete di pino nero in
Toscana. Mentre per il faggio le zone, dove ad oggi sono presenti le pinete, non
risulteranno idonee per la specie, in quanto oltre il 99% di queste ricadranno nella
classe di idoneità considerata “scadente”.
Specie Classe di idoneità 2080
ha %
Cerro
Scadente 2.224 20.7
Intermedia 6.087 56,8
Buona 2.414 22,5
Castagno
Scadente 5.604 52,3
Intermedia 3.932 36,7
Buona 1.198 11,1
Faggio
Scadente 10.657 99,4
Intermedia 68 0,6
Buona 0 0
Tabella 18 – Superficie, e percentuale, delle classi di idoneità del cerro, castagno e
faggio, al 2080, nelle pinete di pino nero.
100
6.6. - Variazione dei limiti altimetrici in uno scenario di cambiamento
climatico
Come descritto nel capitolo 4.1.1 è probabile che gli effetti del cambiamento
climatico sulla vegetazione forestale comportino uno spostamento a latitudini
maggiori e a quote più elevate dell’areale di distribuzione delle specie (ANFODILLO,
2007; PETRICCIONE et al., 2008; PIGNATTI, 2011; PIERMATTEI et al., 2010).
In questo senso, per cercare di comprendere gli effetti dello scenario di cambiamento
climatico considerato sulla distribuzione altimetrica potenziale delle specie oggetto
di studio, si è proceduto ad esaminare le variazioni dei valori di quota in funzione
dell’idoneità ecologica del territorio nel periodo 2013-2080.
L’analisi è stata condotta sia esaminando i valori di quota in corrispondenza dei
valori di idoneità fuzzy determinati per l’intero territorio della regione Toscana, sia
esaminando i valori di quota media registrati nella sola classe di idoneità considerata
“buona”. Per il pino nero l’analisi è stata effettuata anche per le classi di idoneità
“scadente” e “intermedia”.
Nelle Figure 26, 27, 28 e 29 è riportato l’andamento dei valori di idoneità fuzzy in
funzione della quota calcolati al 2013, 2020 e 2080 per il territorio della regione
Toscana. Come si osserva dalle figure realizzate, l’andamento dei valori di idoneità
è comune a tutte le specie esaminate. Trattandosi prevalentemente di specie tipiche
dell’ambiente medio montano, i valori di idoneità sono bassi a quote inferiori,
aumentano progressivamente all’aumentare della quota per poi diminuire oltre un
certo limite di altitudine.
Ad eccezione del caso del cerro, fra il 2013 e il 2020 non si osservano particolari
differenze nell’andamento dei valori di idoneità fuzzy. Invece, confrontando
l’andamento delle curve tra il 2013 e il 2080, si registra un tendenziale spostamento
verso quote superiori dei valori di idoneità > 0,7 e una riduzione generalizzata dei
valori di idoneità indipendentemente dalla quota.
Considerato che fra il 2013 e il 2020 non vi sono particolari differenze, nelle analisi
che seguono si riportano solo i risultati relativi al 2013 e al 2080.
101
Figura 26 – Andamento dei valori di idoneità fuzzy del pino nero in relazione alla
quota.
Figura 27 – Andamento dei valori di idoneità fuzzy del cerro in relazione alla quota.
Figura 28 – Andamento dei valori di idoneità fuzzy del castagno in relazione alla
quota.
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
0.9
1
0
100
200
300
400
500
600
700
800
900
1000
1100
1200
1300
1400
1500
1600
1700
1800
1900
2000
2100
2200
Id
on
eit
à f
uzzy
Quota m.
pino 2013 pino 2020 pino 2080
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
0.9
1
0
100
200
300
400
500
600
700
800
900
1000
1100
1200
1300
1400
1500
1600
1700
1800
1900
2000
2100
2200
Id
on
eit
à f
uzzy
Quota m.
cerro 2013 cerro 2020 cerro 2080
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
0.9
1
0
100
200
300
400
500
600
700
800
900
1000
1100
1200
1300
1400
1500
1600
1700
1800
1900
2000
2100
Id
on
eit
à f
uzzy
Quota m.
castagno 2013 castagno 2020 castagno 2080
102
Figura 29 – Andamento dei valori di idoneità fuzzy del faggio in relazione alla quota.
In Tabella 19 sono riportate le variazioni di quota media registrate in Toscana
all’interno della classe di idoneità “buona” per ciascuna specie esaminata.
Dall’analisi dei dati riportati in Tabella 19 si osserva per tutte le specie considerate,
un aumento dal 2013 al 2080 della quota media nella classe di idoneità considerata.
La variazione altimetrica più rilevante è quella riscontrata per il faggio, che fa
registrare un aumento dei valori di quota media di oltre 550 metri in circa 70 anni
(circa 8 metri l’anno), mentre, il pino nero, è la specie che presenta una variazione
altimetrica più contenuta nella classe di idoneità “buona”.
SPECIE
Classe di idoneità
“buona” - 2013
Classe di idoneità
“buona” - 2080
Variazione
2013-2080
Quota
media
(m.)
Quota
min.
(m.)
Quota
max.
(m.)
Quota
media
(m.)
Quota
min.
(m.)
Quota
max.
(m.)
Quota
media (m.)
Velocità
teorica
(m/anno)
Pino nero 858 240 1.632 1.197 375 1.968 + 339 4,8
Cerro 445 1 1.315 840 201 1.717 + 385 5,5
Castagno 623 4 1.421 944 379 1.850 + 371 5,3
Faggio 1.056 447 1.706 1.625 1154 2.009 + 569 8
Tabella 19 – Variazione altimetrica della classe di idoneità ecologica potenziale
“buona” per le specie esaminate.
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
0.9
1
0
100
200
300
400
500
600
700
800
900
1000
1100
1200
1300
1400
1500
1600
1700
1800
1900
2000
2100
2200
Idon
eità
fu
zzy
Quota m.
faggio 2013 faggio 2020 faggio 2080
103
Conducendo infine un’analisi più dettagliata per il pino nero, limitata alla
distribuzione dei soprassuoli a prevalenza di pino (copertura > 70%) derivata
dall’Inventario forestale della Regione Toscana, si riportano in Tabella 20 i valori di
quota media registrati nelle classi di idoneità ecologica “scadente”, “intermedia” e
“buona” al 2013 e al 2080. Essendo il pino una specie con caratteristiche ecologiche
che esprimono il loro optimum nella fascia altimetrica medio montana, si può notare
dalla Tabella 20, come alla classe di idoneità “buona” corrisponda una quota media
maggiore rispetto alle altre classi di idoneità.
Anno di
analisi
Classe di idoneità ecologica del pino nero
Scadente Intermedia Buona
Quota
media (m.)
Dev. Std.
(m.)
Quota
media (m.)
Dev. Std.
(m.)
Quota
media (m.)
Dev. Std.
(m.)
2013 587 ± 183 792 ± 232 885 ± 198
2080 748 ± 235 788 ± 238 954 ± 158
Tabella 20 – Valori medi di quota per ciascuna classe di idoneità ecologica dei
soprassuoli a prevalenza di pino nero.
Inoltre, dall’analisi dei dati riportati in Tabella 20 emerge che a causa dello scenario
di cambiamento climatico considerato, si potrebbero verificare in futuro condizioni
ambientali sfavorevoli al presenza del pino a quote medie superiori a quelle attuali.
Infatti, nella classe di idoneità “scadente”, il valore di quota media passa dagli attuali
587 m a 748 m alla data del 2080. La quota media delle pinete che rientrano nella
classe di idoneità “intermedia” rimane all’incirca invariata tra il 2013 e il 2080, per
via della compensazione tra le pinete situate a quote più basse, che passano dalla
classe “intermedia” alla classe “scadente”, e delle pinete che passano dalla classe
“buona” alla classe “intermedia” per effetto del cambiamento climatico.
È da evidenziare il risultato relativo alla variazione della quota media delle pinete
ricadenti nella classe di idoneità ecologica “buona”, che dal 2013 al 2080 aumenta di
circa 70 m di quota. Ciò è dovuto al fatto che le pinete a quote inferiori, comprese
nella classe di idoneità “buona” al 2013, saranno quelle che presenteranno condizioni
vegetative peggiori in un futuro caratterizzato dal cambiamento climatico e quindi
scenderanno di classe di idoneità, rispetto a quelle pinete situate a quote maggiori.
104
6.7. - Relazione tra indici climatici e Idoneità Ecologica.
6.7.1. - Indice di De Martonne.
Tramite i dati climatici a disposizione è stato possibile calcolare l’indice di De
Martonne per il territorio della Toscana alle condizioni climatiche odierne e al 2080,
data alla quale il modello climatico considerato prevede una diminuzione delle
precipitazioni del 7%.
Gran parte del territorio toscano rientra ad oggi nella classe definita “umida” per
circa il 70%, mentre il 25% in quella “periumida”, in corrispondenza delle zone
montane dell’Appennino ed alle quote maggiori di alcuni rilievi isolati della
Toscana.
Nella zona costiera della Toscana meridionale si concentra il restante 5% del
territorio che ricade nella classe “subumida”.
Figura 30 –Evoluzione dell’indice di aridità di De Martonne dal 2013 al 2080 nella
regione Toscana
105
Incrociando le carte dell’indice di De Martonne elaborate per il 2013 e il 2080 e
applicando una analisi di cross-tabulation, è stato possibile analizzare come
varieranno in termini di superfici la classi di aridità di De Martonne nella regione
Toscana (Figura 30).
La diminuzione delle precipitazioni, come previsto nello scenario climatico preso in
considerazione, porta conseguentemente ad un aumento del livello di aridità su tutto
il territorio della Regione Toscana.
La classe di aridità “umida” rimane quella con una superficie maggiore, ma si ha un
rilevante incremento della classe considerata “subumida”, che passa dal 3,8% nel
2013 al 18,8 % nel 2080, a discapito della fascia umida e periumida che
diminuiscono entrambe. La fascia periumida, rimane invariata solamente nelle zone
montane ad alta quota, mentre quelle a quote inferiori entrano nella classe
considerata “umida” (Tabella 21).
Complessivamente, nell’arco di circa 70 anni, su un quarto del territorio della
regione Toscana si osserva un peggioramento della classe di aridità, che si concentra
principalmente nelle zone che prima rientravano nella classe “periumida”.
Tabella 21 – Cross-tabulation tra le classi di aridità di De Martonne in Toscana al 2013
e al 2080.
In Tabella 22 è riportata la relazione tra le classi dell’indice di De Martonne e i valori
medi di idoneità ecologica del pino nero al 2013 calcolati per le classi di aridità. Dai
dati riportati in tabella si osserva che all’aumentare della classe di aridità, e in
funzione del tipo di evoluzione, si assiste a una riduzione dei valori di idoneità
ecologica del pino nero.
Classi di
Aridità
Superficie
al 2013
Evoluzione superficie Toscana al 2080 Superficie
al 2080 PEG. INV MIGL.
Km2 % Km
2 % Km
2 % Km
2 % Km
2 %
Perumido 5.880 25,7 2.091 35,6 3.790 64,4 0 0.0 3.790 16,6
Umido 16.131 70,5 3.440 21,3 12.691 78,7 0 0.0 14.782 64,6
Subumido 862 3,8 7 0,9 855 99,1 0 0.0 4.295 18,8
Mediterraneo 0 0.0 0 0.0 0 0.0 0 0.0 7 0.0
Steppico 0 0.0 0 0.0 0 0.0 0 0.0 0 0.0
Desertico 0 0.0 0 0.0 0 0.0 0 0.0 0 0.0
22.873 100.0 5.538 24,2 16.481 72,1 0 0 22.873 100.0
106
Classi di Aridità 2013 Classi di Aridità 2080 Evoluzione
Idoneità fuzzy
del Pino nero al
2013
Perumido
Perumido Invariato 0,784
Umido Peggioramento 0,733
Umido
Umido Invariato 0.632
Subumido Invariato 0,549
Subumido
Subumido Invariato 0,529
Mediterraneo Peggioramento 0,439
Tabella 22 - Valori medi di idoneità ecologica del pino nero al 2013 calcolati per le
classi di aridità di De Martonne.
6.7.2. - Indice di Crowther.
Per il territorio della Toscana è stato inoltre possibile determinare l’indice climatico
di Crowther. Anche in questo caso l’indice è stato calcolato alle condizioni
climatiche odierne e al 2080.
Ad oggi, secondo i risultati dell’indice, oltre l’83% del territorio toscano (Toscana
Settentrionale ed entroterra) rientra nella classe di aridità definita periumida, mentre
la zona costiera del Sud della Toscana rientra nella classe definita umida.
Anche in questa occasione è stata eseguita un’analisi di cross-tabulation per
osservare come variano in termini di superficie le varie classi di aridità di Crowther
nell’arco di tempo considerato (Figura 31).
Alla data del 2080, la classe di aridità “periumida” peggiora su circa 1/3 del territorio
regionale rientrando nella classe di aridità definita “umida”. Si ha un netto
incremento di questa ultima classe e della classe di aridità definita “subumida”, oltre
alla comparsa della classe di aridità definita secca. Il peggioramento investe
prevalentemente l’area con clima più marcatamente mediterraneo (Tabella 23).
In definitiva, possiamo rilevare che in poco meno di 70 anni si assisterà ad un
peggioramento della classe di aridità su oltre il 36% del territorio della Toscana,
mentre l’area situata a nord della regione e la zona in corrispondenza dei rilievi
montuosi rimarranno nella classe di umidità maggiore.
107
Figura 31 – Regione Toscana, evoluzione superficie indice di Crowther dal 2013 al 2080
Tabella 23 – Cross-tabulation tra le classi di aridità di Crowther in Toscana al 2013 e al
2080.
Classi di
aridità
Superficie
al 2013
Evoluzione superficie Toscana al 2080 Superficie
al 2080 PEG. INV. MIGL.
Km2 % Km
2 % Km
2 % Km
2 % Km
2 %
Periumido 19.079 83.4 6.589 34.5 12.490 65.5 0 0.0 12.490 54.6
Umido 3.749 16.4 1.692 45.1 2.058 54.9 0 0.0 8.647 37.8
Subumido 45 0.2 45 100.0 0 0.0 0 0.0 1.689 7.4
Secco 0 0.0 0 0.0 0 0.0 0 0.0 47 0.2
Semiarido 0 0.0 0 0.0 0 0.0 0 0.0 0 0.0
Arido 0 0.0 0 0.0 0 0.0 0 0.0 0 0.0
22.873 100.0 8.326 36.4 14.548 63.6 0 0 22.873 100.0
108
In Tabella 24 è riportata la relazione tra le classi dell’indice di Crowther e i valori
medi di idoneità ecologica del pino nero al 2013 calcolati per le classi di aridità. Dai
dati riportati in tabella si osserva che all’aumentare della classe di aridità corrisponde
una riduzione del valore di idoneità del pino nero.
Classi di aridità2013 Classi di aridità 2080 Evoluzione Idoneità fuzzy del
Pino al 2013
Periumido
Periumido invariato 0,721
Umido Peggioramento 0,721
Umido
Umido Invariato 0,639
Subumido Peggioramento 0,564
Secco Peggioramento 0,541
Subumido Secco Peggioramento 0,443
Tabella 24 - Valori medi di idoneità ecologica del pino nero al 2013 calcolati per le
classi di aridità di Crowther.
109
6.8. - Indirizzi per la pianificazione forestale e priorità di intervento
Sulla base delle variazioni di idoneità ecologica del territorio osservate per il pino
nero, nel contesto dello scenario di cambiamento climatico considerato, si è cercato
di definire diverse priorità di intervento per le pinete che tengono in considerazione
le condizioni ambientali in cui questi soprassuoli si troveranno a vegetare nei
prossimi decenni. Appare dunque indispensabile definire tali priorità per consentire
un appropriato uso delle risorse disponibili per una corretta pianificazione forestale.
A tale proposito sono state definite tre classi di priorità di intervento: alta, media e
bassa, su un criterio adattativo volto ad aumentare la resistenza e la resilienza del
soprassuolo al cambiamento climatico (Tabella 25). Nel capitolo in cui si espongono
le Conclusioni vengono presentati gli interventi proposti in relazione alle classi di
priorità di intervento elaborate, ed attuati secondo i principi selvicolturali presentati
nel capitolo 4.3.4.
Tabella 25 –Indicazione della priorità di intervento nelle pinete di pino nero.
- Classe di priorità “alta”: in questa classe rientrano tutte quelle pinete che già ad
oggi presentano un basso grado di idoneità ecologica e che, in un futuro
caratterizzato da un aumento delle temperature e una diminuzione della piovosità,
avranno sempre un grado di idoneità considerato scadente.
Classe di
idoneità del
pino al 2013
Classe di
idoneità del
pino al 2080
Superficie
(ha.)
Priorità di
intervento
Superficie
(ha.)
Frequenza
(%)
Scadente Scadente 2.192 Alta 2.192 20.4
Intermedia Scadente 2.710
Media 2.826 26.4 Buona Scadente 116
Scadente Intermedia 14
Bassa 5.706 53.2
Intermedia Intermedia 3.152
Buona Intermedia 2.296
Intermedia Buona 2
Buona Buona 244
TOTALE 10.724 10.724 100.0
110
- Classe di priorità “media”: fanno parte di questa classe quelle pinete che ad oggi
presentano un grado di idoneità intermedio o buono, ma che in futuro saranno più
soggette al cambiamento climatico ipotizzato, rientrando così nella classe di idoneità
scadente. In questa categoria di pinete, gli interventi selvicolturali possono essere
considerati mediamente urgenti.
Figura 32 – Classi di priorità degli interventi selvicolturali e di conservazione, per le
pinete di pino nero.
- Classe di priorità “bassa”: sono comprese in questa categoria tutte quelle pinete
che, in un futuro caratterizzato dal cambiamento delle condizioni climatiche, come
previsto dallo scenario IPCC, avranno un grado di idoneità che rientra nella classe
intermedia o buona. Queste pinete sono presenti in aree che presenteranno, nello
scenario climatico futuro, condizioni ambientali per cui il pino non subirà una forte
diminuzione del proprio potenziale ecologico, non scendendo mai sotto la soglia
111
della categoria considerata intermedia. In questa casistica, gli interventi selvicolturali
potranno essere rimandati a favore della gestione delle pinete considerate ad alta e
media priorità di intervento. Sono incluse in questa categoria, tutte quelle pinete che,
nell’ottica del cambiamento climatico previsto dallo scenario IPCC preso in
considerazione, avranno alla data del 2080, un potenziale ecologico che rientra nella
classe considerata buona. Si tratta dunque di pinete situate in zone in cui le
condizioni ambientali future saranno sempre in grado di garantire per il pino nero alti
valori del proprio grado di idoneità. A quest’ultima sotto categoria è stato attributo il
nome di pinete di “Conservazione” in quanto, in relazione alle caratteristiche
stazionali e del soprassuolo, si può prevedere il loro mantenimento nel tempo.
Questa suddivisione è utile per comprendere meglio il significato e l’importanza
delle variazioni delle classi di idoneità delle pinete, partendo dalle condizioni
ambientali odierne, per giungere a quelle previste alla data del 2080. I dati raccolti
consentiranno di programmare a livello teorico, sulla base della risposta del pino
nero alle future condizioni climatiche ipotizzate dall’IPCC, gli interventi
selvicolturali, volti ad aumentare il grado di resistenza e di resilienza delle pinete,
successivamente riportati nel capitolo delle Conclusioni.
Quasi il 50 % della superficie totale delle pinete, secondo i risultati del modello,
ricadranno in futuro nella classe di idoneità territoriale scadente e quindi, a seconda
delle condizioni di idoneità odierne, rientreranno nella classe di priorità degli
interventi “alta” e “media”.
Da notare comunque che, se anche il 50 % delle pinete sono comprese nella classe di
priorità degli interventi considerata “bassa”, al suo interno vi sono ben oltre 2.000ha
di pinete in cui il valore di idoneità è sceso da buono ad intermedio.
112
6.9. - Distretti Territoriali per la pianificazione forestale.
Per agevolare l’utilizzo dei risultati prodotti in questo studio da parte dei soggetti
preposti alla pianificazione e alla gestione delle pinete di pino nero in Toscana, si è
ritenuto utile suddividere il territorio regionale in distretti territoriali di riferimento
per la pianificazione forestale.
La suddivisione è stata effettuata individuando 13 distretti territoriali caratterizzati da
un comune contesto geografico, morfologico e, dove possibile, anche amministrativo
considerando i confini provinciali e i confini delle Unioni dei comuni (Ex-Comunità
Montane).
Per ciascun distretto individuato è stata creata una scheda tecnica dove sono state
riportate le seguenti informazioni:
- La localizzazione delle pinete, individuando la provincia, il comune e la località.
- La distribuzione altimetrica delle pinete, riportando un dato di quota media e di
intervallo di quota di questi soprassuoli.
- I parametri climatici, calcolati nelle aree di distribuzione delle pinete.
- Le caratteristiche edafiche, indicando la tipologia di suolo maggiormente presente
secondo la “Carta dei suoli della Toscana in scala 1:250.000”.
- La rappresentazione cartografica dettagliata, prodotta su supporto GIS, con
indicazione della localizzazione delle pinete, la classe di priorità di intervento e la
presenza di Aree Protette.
- Una tabella riassuntiva delle priorità degli interventi colturali, con indicazioni per
ogni classe di priorità: della sua ampiezza, della sua quota media e della presenza o
assenza di specie secondarie derivata dai dati dell’inventario forestale regionale.
I 13 distretti territoriali individuati sono:
1) Lunigiana 8) Casentino
2) Garfagnana 9) Val di Chiana
3) Appennino Pistoiese 10) Monte Amiata
4) Monti della Calvana e Monte Morello 11) Colline Metallifere
5) Alto Mugello 12) Isola del’Elba
6) Monti Fiorentini 13) Monti del Chianti.
7) Valtiberina
113
Figura 33 – Distribuzione delle pinete di pino nero nei 13 distretti territoriali.
Figura 34 – Distribuzione delle pinete di pino nero nei 13 distretti territoriali.
114
1 – Lunigiana
Provincia: Massa Carrara.
Comuni: Carrara, Comano, Bagnone, Fivizzano, Pontremoli, Tresana e Zeri.
Località: Monte Debia (Bagnone), Monte del Giogo (Comano), Monte Sagro
(Fivizzano), Monte Cucco (Pontremoli) e Monte Picchiara (Zeri).
Distribuzione altimetrica delle pinete:
- Quota media: 951m - Intervallo di quota: 463m.- 1490m
Caratteristiche climatiche:
Temperatura media annua = 9.5° C Temperatura media minima. = 0.6° C
Precipitazione media annua = 2.056mm Precipitazione media estiva = 223mm
Caratteristiche edafiche:
Unità Cartografica Suolo – Loc. campionamento Classificazione
PONTEPETRI_MARESCA_P
OGGIO DI PETTO
PON1_MRS1_PGG1
PONTEPETRI (PON1),
San Marcello Pistoiese - PT
Typic Dystrudepts, loamy-
skeletal,
mixed, mesic (2.003)
Caratteri pedologici
Suoli moderatamente profondi, a profilo A-Bw-C-R, da ghiaiosi e ciottolosi ad estremamente ghiaiosi
e ciottolosi, a tessitura franco sabbiosa e franca, non calcarei, da fortemente a moderatamente acidi,
saturazione bassa, da ben drenati a talvolta eccessivamente drenanti.
115
Figura 35 – Distretto della Lunigiana
Cl. Priorità
Sup. Cl.
priorità Quota
Specie
secondaria
Sup.
(ha.)
Quota
ha. % media
(m.) dst
media
(m.) dst
Alta 16 2,8 715 ± 122 Assente
Media 283 51 894 ± 205 Castagno 56 839 ± 150
Faggio 26 1.095 ± 79
Bassa 236 42,5 1.030 ± 203
Castagno 9 1.042 ± 80
Faggio 73 1.094 ± 102
Cerro 14 520 ± 37
Conservazione 20 3,7 1.013 ± 100
Tabella 26 – Tabella riassuntiva del distretto della Lunigiana
116
2 – Garfagnana
Provincia: Lucca.
Comuni: Barga, Borgo a Mozzano, Camporgiano, Castiglione in Garfagnana,
Giuncugnano, Minucciano, Piazza al Serchio, Pieve Fosciana, San Romano in
Garfagnana e Sillano.
Località: Loc. Villa (Sillano), loc. Foce Carpinelli (Minucciano), loc. Sillicagnana
(Castiglione in Garfagnana), loc. Monte Giovo (Barga) e loc. Le Pizzorne (Borgo a
Mozzano).
Distribuzione altimetrica delle pinete:
- Quota media: 904 m. - Intervallo di quota: 210 m. - 1550 m
Caratteristiche climatiche:
Temperatura media annua = 9.5° C Temperatura media minima. = 0.6° C
Precipitazioni media annua = 2.056mm Precipitazioni media estiva = 223mm
Caratteristiche edafiche:
Unità Cartografica Suolo – Loc. campionamento Classificazione
PONTEPETRI_MARESCA_POGGI
O DI PETTO
PON1_MRS1_PGG1
PONTEPETRI (PON1),
San Marcello Pistoiese - PT
Typic Dystrudepts, loamy-
skeletal,
mixed, mesic (2.003)
Caratteri pedologici
Suoli moderatamente profondi, a profilo A-Bw-C-R, da ghiaiosi e ciottolosi ad estremamente ghiaiosi e ciottolosi, a tessitura franco sabbiosa e franca, non calcarei, da fortemente a moderatamente acidi,
saturazione bassa, da ben drenati a talvolta eccessivamente drenati
117
Figura 36 – Distretto della Garfagnana
Cl. Priorità
Sup. Cl.
priorità Quota
Specie
secondaria
Sup.
(ha.)
Quota
ha. % media
(m.) dst
media
(m.) dst
Alta 256 22,1 508 ± 134
Castagno 60 510 ± 71
Faggio 3 1141 ± 204
Cerro 19 623 ± 245
Media 263 22,7 999 ± 204
Castagno 20 750 ± 93
Faggio 48 1.147 ± 104
Cerro 8 797 ± 118
Bassa 629 54,3 1033 ± 284
Castagno 78 894 ± 90
Faggio 101 1304 ± 56
Cerro 30 797 ± 37
Conservazione 10 0,86 836 ± 43
Tabella 27 – Priorità degli interventi nel distretto della Garfagnana
118
3 - Appennino Pistoiese
Provincia: Pistoia.
Comuni: Pescia, Piteglio, Pistoia, San Marcello Pistoiese e Sambuca Pistoiese.
Località: Loc. Monticelli – Gavinana e loc. Foresta del Teso a Maresca (San
Marcello Pistoiese), Riserva Naturale dell’Acquerino (Sambuca Pistoiese e Pistoia).
Distribuzione altimetrica delle pinete:
- Quota media: 589 m. - Intervallo di quota: 580m.- 1350m.
Caratteristiche climatiche:
Temperatura media annua = 9.8° C Temperatura media minima = 1.3° C
Precipitazione. media annua = 2.279mm Precipitazione media estiva = 229mm
Caratteristiche edafiche:
Unità Cartografica Suolo – Loc. campionamento Classificazione
PONTEPETRI_MARESCA_POGGI
O DI PETTO
PON1_MRS1_PGG1
PONTEPETRI (PON1),
San Marcello Pistoiese - PT
Typic Dystrudepts, loamy-
skeletal,
mixed, mesic (2.003)
Caratteri pedologici
Suoli moderatamente profondi, a profilo A-Bw-C-R, da ghiaiosi e ciottolosi ad estremamente ghiaiosi
e ciottolosi, a tessitura franco sabbiosa e franca, non calcarei, da fortemente a moderatamente acidi,
saturazione bassa, da ben drenati a talvolta eccessivamente drenati
119
Figura 37 – Distretto dell’Appennino Pistoiese
Cl. Priorità
Sup. Cl.
priorità Quota
Specie
secondaria
Sup.
(ha.)
Quota
ha. % media
(m.) dst
media
(m.) dst
Alta Assente
Media 93 48,4 786 ± 170 Castagno 21 760 ± 63
Cerro 14 879 ± 41
Bassa 99 51,5 916 ± 274
Castagno 13 792 ± 86
Faggio 14 1026 ± 29
Cerro 3 954 ± 10
Conservazione Assente
Tabella 28 – Priorità degli interventi nel distretto dell’Appennino Pistoiese
120
4 - Monti della Calvana e Monte Morello
Provincia: Prato e Firenze.
Comuni: Calenzano, Cantagallo, Prato e Vaiano (PO); Barberino del Mugello,
Fiesole, Sesto Fiorentino e Vaglia (FI).
Località: Monti della Calvana (Prato, Vaiano, Catagallo Calenzano, Sesto
Fiorentino, Barberino del Mugello), Monte Morello (Vaglia) e Vetta le Croci
(Fiesole).
Distribuzione altimetrica delle pinete:
- Quota media: 604 m. - Intervallo di quota: 250m.- 995m.
Caratteristiche climatiche:
Temperatura media annua = 11.2° C Temperatura media minima = 2.4° C
Precipitazione media annuale = 1.694mm Precipitazione media estiva = 193mm
Caratteristiche edafiche:
Unità Cartografica Suolo – Loc.
campionamento Classificazione
VALIBONA_CALVANA_PRATACCIO
VLB1_CLV1_PRT1
CALVANA (CLV1),
Sesto Fiorentino (FI)
Lithic Udorthents, loamy-
skeletal, mesic(1.988)
Caratteri pedologici
Suoli da sottili a poco profondi, a profilo A-C-R, con scheletro da frequente ad abbondante, da
ghiaioso a pietroso, a tessitura franco argillosa e franca, da moderatamente a molto calcarei, da
debolmente a moderatamente alcalini, ben drenati.
121
Figura 38 – Distretto Monti della Calvana e Monte Morello
Cl. Priorità
Sup. Cl.
priorità Quota
Specie
secondaria
Sup.
(ha.)
Quota
ha. % media
(m.) dst
media
(m.) dst
Alta 48 6.6 390 ± 109 Cerro 20 316 ± 18
Media 25 3,4 651 ± 216 Faggio 3 944 ± 18
Bassa 601 83 608 ± 128
Faggio 14 967 ± 16
Cerro 173 583 ± 135
Conservazione 50 7 757 ± 67 Cerro 20 752 ± 30
Tabella 29 – Priorità degli interventi nel distretto Monti della Calvana e Monte Morello
122
5 – Alto Mugello
Provincia: Firenze.
Comuni: Borgo San Lorenzo, Firenzuola, Marradi, Palazzuolo sul Senio e Scarperia.
Località: loc. Santa Agata (Scarperia), loc. Grezzano e Monte Faggeta (Borgo San
Lorenzo), Val della Meda e in prossimità del Fiume Lamone (Marradi) e in maniera
sparsa nei comuni di: Firenzuola e Palazzuolo sul Senio.
Distribuzione altimetrica delle pinete :
- Quota media: 718 m. - Intervallo di quota : 385 m. – 1050 m.
Caratteristiche climatiche:
Temperatura media annuale = 11.1° C Temperatura media minima. = 2.0° C
Precipitazione media annuale = 1.584mm Precipitazione media estiva = 186mm
Caratteristiche edafiche:
Unità Cartografica Suolo – Loc. campionamento Classificazione
CASTELVECCHIO_SALECCHIO_COLLINA
CTV1_SAL1_CLI1
CASTELVECCHIO (CTV1)
Palazzuolo sul Senio - FI
Typic Eutrudepts, fine-silty,
mixed, mesic(2.003)
Caratteri pedologici
Suoli moderatamente profondi, a profilo A-Bw-C-R, da scarsamente ghiaiosi a ghiaiosi e ciottolosi, a tessitura da franca a franco limoso argillosa, da debolmente a fortemente calcarei, da debolmente a
moderatamente alcalini, ben drenati.
123
Figura 39 – Distretto Alto Mugello
Cl. Priorità
Sup. Cl.
priorità Quota
Specie
Secondaria
Sup.
(ha.)
Quota
ha. % media
(m.) dst
media
(m.) dst
Alta 53 5,6 469 ± 63 Castagno 6 471 ± 17
Media 67 7,1 671 ± 235
Castagno 8 467 ± 16
Faggio 16 828 ± 37
Cerro 14 779 ± 27
Bassa 810 86 616 ± 154 Faggio 80 800 ± 112
Cerro 334 586 ± 134
Conservazione 12 1,3 905 ± 56 Faggio 3 886 ± 141
Cerro 4 899 ± 32
Tabella 30 – Priorità degli interventi nel distretto Alto Mugello
124
6 - Monti Fiorentini
Provincia: Firenze.
Comuni: Londa, Pelago Ponteassieve, Reggello, Rufina, San Godenzo e Vicchio
Località: Riserva Naturale di Vallombrosa sopra pian di Melosa e Loc.
Saltino(Reggello), Loc. Passo della Consuma (Pelago), Loc. Monte Cucco e Monte
Vadiglione (Londa), loc. Passo del Muraglio e Castagno d’Andrea (San Godenzo),
loc. Scopeti (Rufina) e in maniera sparsa nel comune di Pontassieve
Distribuzione altimetrica delle pinete:
- Quota media: 756m. - Intervallo di quota: 140m.- 1260m.
Caratteristiche climatiche:
Temperatura media annua = 10.6° C Temperatura media minima. = 2.0° C
Precipitazione media annua = 1.635mm Precipitazione media estiva = 194mm
Caratteristiche edafiche:
Unità Cartografica Suolo – Loc. campionamento Classificazione
MONTEPIANO_GIUNCHETE_GA
SPERONE
MNT1_GIU1_GSP1
Montepiano MNT1
Vernio - PO
Dystric Eutrudepts, fine-
loamy, mixed, mesic
(2.003)
Caratteri pedologici
Suoli moderatamente profondi, a profilo A-Bw-C-R, da scarsamente ghiaiosi a ghiaiosi e ciottolosi, a
tessitura franco limosa e franca, non calcarei, debolmente acidi, saturazione alta e molto alta, da ben
drenati a talvolta eccessivamente drenati.
125
Figura 40 – Distretto dei Monte Fiorentini
Cl. Priorità
Sup. Cl.
priorità Quota
Specie
secondaria
Sup.
(ha.)
Quota
ha. % media
(m.) dst
media
(m.) dst
Alta 179 21 511 ± 184 Castagno 12 489 ± 25
Cerro 36 536 ± 145
Media 354 41,4 880 ± 155
Castagno 28 806 ± 89
Faggio 79 1.041 ± 105
Cerro 34 824 ± 111
Bassa 315 36,8 750 ± 197
Castagno 8 818 ± 27
Faggio 30 459 ± 78
Cerro 11 607 ± 192
Conservazione 7 0,8 963 ± 26
Tabella 31 – Priorità degli interventi nel distretto dei Monte Fiorentini
126
7 - Valtiberina
Provincia: Arezzo.
Comuni: Anghiari, Badia Tedalda, Caprese Michelangelo, Sansepolcro e Sestino.
Località: loc. Convento di Monte Casale (Sansepolcro), Riserva Naturale Zuccaia
(Caprese Michelangelo), loc. Simoncello (Sestino), loc. Albiano (Anghiari).
Distribuzione altimetrica delle pinete:
- Quota media: 632m. - Intervallo di quota 430 m.- 1140m
Caratteristiche climatiche:
Temperatura media annua = 11.4° C Temperatura media minima = 2.6° C
Precipitazione media annua = 1.447mm Precipitazione media estiva = 175mm
Caratteristiche edafiche:
Unità Cartografica Suolo – Loc. campionamento Classificazione
CASTELVECCHIO_SALECCHIO_
COLLINA
CTV1_SAL1_CLI1
CASTELVECCHIO (CTV1)
Palazzuolo sul Senio - FI
Typic Eutrudepts, fine-silty,
mixed, mesic(2.003)
Caratteri pedologici
Suoli moderatamente profondi, a profilo A-Bw-C-R, da scarsamente ghiaiosi a ghiaiosi e ciottolosi, a
tessitura da franca a franco limoso argillosa, da debolmente a fortemente calcarei, da debolmente a moderatamente alcalini, ben drenati.
127
Figura 41 – Distretto Valtiberina
Cl. Priorità Sup. Cl. priorità Quota
Specie
Secondaria
Sup.
(ha.)
Quota
ha. % media
(m.) dst
media
(m.) dst
Alta 175 44,3 469 ± 109 Assente
Media 42 10,6 528 ± 260 Assente
Bassa 168 42,5 804 ± 182 Assente
Conservazione 10 2,5 1008 ± 68
Tabella 32 – Priorità degli interventi nel distretto Valtiberina
128
8 – Casentino
Provincia: Arezzo
Comuni e località: Sita-Pratovecchio (loc. Monte Tufone, loc. Riserva di Camaldoli
e Passo della Consuma), di Montemignano ( Loc. Poggio Tesoro) di Poppi (Loc.
Moggiona vicino a Camaldoli) (Loc. Pratomagno) , Bibbiena (Loc. Badia Prataglia)
di Chiusi della Verna (Loc. Monte Penna e Alpe della Serra), Pieve Santo Stefano
(Loc. Vallico dello Spino e Area Protetta Formole), di Chitignano e Subbiano (Loc.
Alpe di Catenaia), oltre alla zone di Pratomagno per i comuni di Castel San Niccolò,
Talla, Castel Focognano e Loro Ciufegna.
Distribuzione altimetrica delle pinete:
- Quota media: 885m. - Intervallo di quota: 320 m. - 1270 m.
Caratteristiche climatiche:
Temperatura media annua = 10° C Temperatura media minima = 1.5° C
Precipitazione media annua = 1.758mm Precipitazione media estiva = 200mm
Caratteristiche edafiche:
Unità Cartografica Suolo – Loc. campionamento Classificazione
MONTEPIANO_GIUNCHETE_GASPERONE
MNT1_GIU1_GSP1
Montepiano MNT1 Vernio - PO
Dystric Eutrudepts, fine-loamy, mixed, mesic
(2.003)
Caratteri pedologici
Suoli moderatamente profondi, a profilo A-Bw-C-R, da scarsamente ghiaiosi a ghiaiosi e ciottolosi, a
tessitura franco limosa e franca, non calcarei, debolmente acidi, saturazione alta e molto alta, da ben
drenati a talvolta eccessivamente drenati.
129
Figura 42 – Distretto del Casentino
Cl. Priorità Sup. Cl. priorità Quota Specie
secondaria
Sup.
(ha.)
Quota
ha. % media (m.) dst media (m.) dst
Alta 184 6,8 560 ± 127 Castagno 32 537 ± 126
Cerro 14 581 ± 141
Media 1.164 43,2 897 ± 173
Castagno 25 773 ± 257
Faggio 113 987 ± 77
Cerro 143 820 ± 105
Bassa 1.258 46,7 903 ± 205
Castagno 6 693 ± 94
Faggio 75 1.110 ± 94
Cerro 139 730 ± 196
Conservazione 85 3,3 1093 ± 72 Faggio 32 1.073 ± 22
Tabella 33 – Priorità degli interventi nel distretto del Casentino
130
9 - Val di Chiana
Provincia: Arezzo
Comuni: Arezzo, Castiglion Fiorentino e Cortona.
Località: Alta Sante Egidio in prossimità del Convento le Celle (Cortona), Foce di
Scopetone e Monte Lignano (Arezzo)
Distribuzione altimetrica delle pinete:
- Quota media: 675m. - Intervallo di quota: 275m.- 1050m.
Caratteristiche climatiche:
Temperatura media annua = 11.7° C Temperatura media minima. = 3.0° C
Precipitazione media annua = 1.368mm Precipitazione media estiva = 172mm
Caratteristiche edafiche:
Unità Cartografica Suolo – Loc. campionamento Classificazione
SAN PIETRO IN VILLA_MONTE
CROCE_LIPPIANO
SPV1_MCE1_LIP1
SAN PIETRO IN VILLA
SPV1
Sansepolcro - AR
Typic Haplustepts, coarse-
loamy, mixed, mesic
(2.003)
Caratteri pedologici
Suoli da moderatamente profondi, a profilo A-Bw-C, da scarsamente ghiaiosi a ghiaiosi, a tessitura franco sabbiosa, non calcarei, da moderatamente acidi e neutri, saturazioneda alta a molto alta, ben
drenati.
131
Figura 43 – Distretto della Val di Chiana
Cl. Priorità
Sup. Cl.
priorità Quota
Specie
Secondaria
Sup.
(ha.)
Quota
ha. % media
(m.) dst
media
(m.) dst
Alta 118 18,4 446 ± 95 Castagno 2 649 ± 20
Cerro 20 400 ± 26
Media 101 15,7 575 ± 108 Castagno 8 583 ± 20
Cerro 6 846 ± 37
Bassa 421 65,7 771 ± 125 Castagno 4 651 ± 20
Cerro 25 752 ± 47
Conservazione Assente
Tabella 34 – Priorità degli interventi nel distretto della Val di Chiana
132
10- Monte Amiata
Province: Grosseto e Siena.
Comuni: Arcidosso, Castel’Azzara, Cinignano, Roccalbegna, Santa Fiora e
Seggiano (GR); Abbadia San Salvatore, Castiglione d’Orcia, Piancastagnaio e
Radicofani, Sarteanao (SI).
Località: Monte Penna (Castel’Azzara), Pigelleto (Piancastagnaio e Santa Fiora),
Pescinello (Roccalbegna) Poggio all’Olmo (Chinigiano), Monte Acquilaia
(Arcidosso), loc. Poggiolungo (Seggiano), loc. Pietracorciana (Saretano), loc.
Rifugio Amiatino (Abbadia San Salvatore)
Distribuzione altimetrica delle pinete:
- Quota media: 800m. - Intervallo di quota: 300m.- 1290m
Caratteristiche climatiche:
Temperatura media annua = 11.2° C Temperatura media minima = 3.1° C
Precipitazione media annua = 1.289mm Precipitazione media estiva = 173mm
Caratteristiche edafiche:
Unità Cartografica Suolo – Loc. campionamento Classificazione
CASTIGLION DEL BOSCO_SAN
BARTOLO_VIVO
CBO1_SBR1_VIV1
CASTIGLION DEL BOSCO
CBO1 – Montalcino - SI
Typic Ustorthents, loamy-
skeletal, mixed,
calcareous, mesic,
shallow(2.003)
Caratteri pedologici
Suoli poco profondi, a profilo A-AC-Cr-(R), da ghiaiosi a molto ghiaiosi e ciottolosi, a tessitura franco argillosa e franca, da debolmente calcarei a molto calcarei, da neutri a debolmente alcalini, da
ben drenati a moderatamente ben drenati
133
Figura 44 – Distretto del Monte Amiata
Cl. Priorità
Sup. Cl.
priorità Quota
Specie
secondaria
Sup.
(ha.)
Quota
ha. % media
(m.) dst
media
(m.) dst
Alta 1.076 56 684 ± 119
Castagno 37 740 ± 63
Faggio 15 907 ± 49
Cerro 345 698 ± 93
Media 443 23 955 ± 129
Castagno 21 928 ± 32
Faggio 59 1.107 ± 104
Cerro 104 947 ± 86
Bassa 405 21 941 ± 150
Castagno 79 975 ± 70
Faggio 23 956 ± 176
Cerro 94 818 ± 163
Conservazione Assente
Tabella 35 – Priorità degli interventi nel distretto del Monte Amiata
134
11 - Colline Metallifere
Province: Grosseto, Siena e Pisa.
Comuni: Massa Marittima e Montieri (GR); Radicondoli (SI); Pomarance (PI).
Località: Riserva Naturale le Cornate Fossini (Massa Marittima e Montieri), nuclei
sporadici nei comuni limitrofi di Radicondoli e Pomarance.
Quota pinete:.
- Quota media: 560m. - Intervallo di quota: 140 m. - 889 m.
Caratteristiche climatiche:
Temperatura media annua = 12.6° C Temperatura media minima = 4.4° C
Precipitazioni media annua = 1.170mm Precipitazione media estiva = 153mm
Caratteristiche edafiche:
Unità Cartografica Suolo – Loc. campionamento Classificazione
LARDERELLO_POGGIO
TERMINALTO
LRD1_TRM1
LARDERELLO LRD1
Pomarance - PI
Typic Ustorthents, fine-
loamy, mixed, calcareous,
mesic (2.003
Caratteri pedologici
Suoli da poco a moderatamente profondi, a profilo A-C-Cr talora con un orizzonte cambico molto
poco espresso, da scarsamente ghiaiosi a ghiaiosi e ciottolosi, a tessitura franca e franco limosa, da
debolmente calcarei a molto calcarei, da debolmente a moderatamente alcalini, ben drenanti.
135
Figura 45 – Distretto delle Colline Metallifere
Cl. Priorità
Sup.
Cl. priorità Quota
Specie
secondaria
Sup.
(ha.)
Quota
ha. % media
(m.) dst
media
(m.) dst
Alta 118 45,7 429 ± Cerro 30 157 ± 8
Media 23 9 726 ± 103 Assente
Bassa 117 48,3 611 ± 111 Assente
Conservazione Assente
Tabella 36 – Priorità degli interventi nel distretto delle Colline Metallifere
136
12 - Isola d’Elba
Provincia: Livorno.
Comuni: Marciana.
Località: Monte Capanne (Marciana), all’interno del Parco Nazionale
dell’Arcipelago Toscano.
Distribuzione altimetrica delle pinete:
- Quota media: 705 m. - Intervallo di quota: 520 m. – 580 m.
Caratteristiche climatiche:
Temperatura media annua = 10.5° C Temperatura media minima = 0.8° C
Precipitazione media annua = 1.625mm Precipitazione media estiva = 214mm
Caratteristiche edafiche:
Unità Cartografica Suolo – Loc. campionamento Classificazione
S.PIERO_MONTE CAPANNE
SPR1_CAP1
Monte Capanne CAP1
Marciana - LI
Entic Haploxerolls, loamy-skeletal, siliceous, acid,
thermic (2.003)
Caratteri pedologici
Suoli moderatamente profondi, a profilo A-C-R, da scarsamente ghiaiosi a molto ghiaiosi, a tessitura franco sabbiosa, non calcarei, moderatamente acidi, a saturazione molto alta e molto bassa in
profondità, talvolta eccessivamente drenati
137
Figura 46 – Distretto dell’Isola d’Elba
Tabella 37 – Priorità degli interventi nel distretto dell’Isola d’Elba
Cl. Priorità
Sup. Cl. priorità Quota Specie
secondaria
Sup.
(ha.)
Quota
ha. % media
(m.) dst
media
(m.) dst
Alta 14 25,4 573 ± 91 Assente
Media 41 74,5 751 ± 117 Assente
Bassa Assente
Conservazione Assente
138
13 - Monti del Chianti
Province: Siena e Arezzo.
Comuni: Castelnuovo Berardenga, Castellina in Chianti, Gaiole in Chianti e Radda
in Chianti (SI); Bucine (AR).
Località: Monte Calvo (Gaiole in Chianti), in località Monte San Michele e Badia
Coltibuono, (Radda in Chianti).
Distribuzione altimetrica delle pinete:
- Qquota media: 615 m. - Intervallo di quota: 150 m. - 820 m.
Caratteristiche climatiche:
Temperatura media annua = 11.7° C Temperatura media minima = 3.2° C
Precipitazione media annua = 1353mm Precipitazione media estiva = 170mm
Caratteristiche edafiche:
Unità Cartografica Suolo – Loc. campionamento Classificazione
GRETI_PODERE ELCI
GRT1_PEL1
GRETI (GRT1)
Greve in Chianti - SI
Typic Haplustepts, coarse-
loamy, mixed,mesic (2.003)
Caratteri pedologici
Suoli moderatamente profondi, a profilo A-Bw-Cr, da scarsamente ghiaiosi, a tessitura franco sabbiosa e franca, non calcarei, da moderatamente acidi a neutri, saturazione alta e molto alta, da ben drenati a
talvolta eccessivamente drenati
139
Figura 47 – Distretto dei Monti del Chianti
Cl. Priorità
Sup. Cl. priorità Quota Specie
secondaria
Sup.
(ha.)
Quota
ha. % media
(m.) dst
media
(m.) dst
Alta 48 6,6 245 ± 73 Assente
Media 92 12,8 579 ± 76 Assente
Bassa 577 80,4 654 ± 110 Castagno 25 684 ± 16
Conservazione Assente
Tabella 38 – Priorità degli interventi nel distretto dei Monti del Chianti
140
7. - DISCUSSIONE
Questa ricerca ha prodotto una serie di nuove conoscenze che possono ritenersi utili
ai fini della pianificazione forestale delle pinete di pino nero in Toscana in un
contesto di cambiamento climatico. Tramite l’applicazione di un modello di analisi
spaziale multicriteriale è stata valutata l’idoneità ecologica potenziale del territorio
per quattro specie forestali (pino nero, cerro, castagno e faggio) e ne sono state
analizzate le variazioni in funzione dello scenario di cambiamento climatico
HadCM3 previsto dall’IPCC.
Per agevolare la discussione dei risultati ottenuti si affrontano per singoli punti le
principali tematiche trattate.
- Evoluzione dell’areale di distribuzione delle specie
Come descritto nel capitolo 4.1., molteplici sono le interazioni che si creano tra
ecosistemi forestali e cambiamenti climatici. Fra le più studiate ed importanti per la
pianificazione forestale risulta essere quella relativa alla risposta evolutiva della
composizione specifica dei soprassuoli in base alla loro vulnerabilità alla future
condizioni climatiche.
A questo proposito, è utile ricordare che vari studi ipotizzano una riduzione e
disgregazione dell’areale di distribuzione delle specie più mesofile e microterme fra
cui il faggio e il castagno (PETRICCIONE et al., 2008; BERNETTI et al., 2010;
PIGNATTI, 2011; BORGHETTI et al, 2012). Questa previsione di risposta ai
cambiamenti climatici viene confermata dai risultati ottenuti in questo lavoro di Tesi.
Infatti, nelle condizioni esaminate, si è registrato per il cerro e il castagno una
riduzione della superficie territoriale con condizioni ambientali favorevoli alla
presenza di queste specie, riduzione determinata dalle previsioni di cambiamento
climatico del modello GCM HadCm3. Inoltre, come si può osservare dalle carte
tematiche relative al grado di idoneità ecologica per il faggio (Allegati: Figure 55, 63
e 71), si segnala oltre alla contrazione del suo areale anche una sua frammentazione,
con possibili rischi di estinzione a livello locale.
Una diversa evoluzione adattativa viene invece attribuita al cerro, per il quale è stata
ipotizzata una possibile espansione del suo areale di distribuzione (PETRICCIONE et
al., 2008) anche se la ridotta capacità di dispersione del seme da parte del cerro
potrebbe rappresentare un fattore limitante alla sua migrazione verso zone
ecologicamente più adatte (BORGHETTI et al, 2012). Dai risultati di questa Tesi,
emerge che il cerro ad oggi presenta un valore di idoneità ecologia considerato
“buono” su circa il 30% del territorio toscano, ma si prevede una riduzione al 2080
delle superfici potenzialmente idonee se si verificheranno in futuro le condizioni
previste dallo scenario di cambiamento climatico considerato. A favore del cerro
possiamo comunque dire che circa un terzo del territorio della regione Toscana
rientrerà nella classe di idoneità ecologica “buona” o “intermedia” alla data del 2080.
141
Per quanto riguarda il comportamento del pino nero, specie con doti di pionierismo e
rusticità soprattutto nei confronti delle caratteristiche del terreno (GELLINI et al.,
1996a), si evidenzia come il pino potrà meglio di altre specie rispondere ad un
contesto di cambiamento climatico. A esempio, nell’Appennino Centrale (Monte
Vettore –AP) è stata segnalata una espansione del pino al di sopra del limite
superiore del bosco, che mostra il positivo adattamento di questa specie alle mutate
condizioni stazionali (PIERMATTEI et al., 2010). Tuttavia, dai risultati conseguiti nel
modello anche per questa specie, come per le altre, si verificherà una riduzione della
superficie a livello della Toscana in quelle zone dove la specie presenta, a tutt’oggi,
un valore di potenzialità ecologica considerato “buono”. A differenza però di quanto
previsto per specie come il faggio e il castagno il pino nero manterrà, comunque, su
circa un quarto del territorio toscano, un valore di potenzialità ecologica superiore a
quello “scadente”.
Un altro effetto delle interazioni tra vegetazione e surriscaldamento globale è lo
spostamento e l’espansione verso quote maggiori delle specie forestali (PETRICCIONE
et al., 2008, GIORDANO et al, 2008, PIERMATTEI et al., 2010). Anche i risultati
ottenuti in Toscana evidenziano questo tipo di andamento. Per le specie analizzate,
infatti, la quota media della classe di idoneità ecologica ritenuta “buona” tende ad
aumentare di circa 300-550 metri a seconda della specie considerata. Anche la
velocità teorica di spostamento in altitudine delle specie esaminate presenta valori
simili a quelli riportati da Giordano et. al. (2008), corrispondenti a 1,5-5,5 m/anno.
- Accuratezza delle carte prodotte
La validazione dei risultati prodotti dall’analisi di idoneità ecologica del territorio è
stata eseguita tramite l’analisi della curva ROC per ciascuna carta elaborata alla data
del 2013. I risultati ottenuti indicano che i modelli sviluppati sono caratterizzati da
livelli di accuratezza relativamente buoni (Swets, 1988), con valori di AUC > 0,8, ad
eccezione del modello elaborato per il cerro.
Secondo Phillips et al. (2006), a specie con una nicchia ecologica ampia
corrispondono generalmente bassi valori di AUC. Questa considerazione permette di
spiegare i valori elevati di AUC ottenuti per il faggio (AUC = 0,952), specie
caratterizzata da una nicchia ecologia meglio definita rispetto alle altre specie
considerate, e il relativamente basso valore di AUC ottenuto per il cerro (AUC =
0,628), specie forestale con esigenze ecologiche più ampie e con caratteri di elevata
adattabilità e rusticità (AMICI et al,2012; BLASI et al. 2010; PHILLIPS et al.2006).
- Linee guida e priorità degli interventi
Per le pinete che presentano un basso grado di idoneità sia alle condizioni attuali che
nel futuro, si ritiene opportuno intervenire nel breve periodo con interventi finalizzati
ad aumentare la loro capacità adattativa, ristabilendo progressivamente il loro
equilibrio e predisponendo le condizioni ottimali per favorire la rinnovazione
naturale.
142
Come già trattato nel capitolo 4.3.4, si riconosce nella pratica della rinaturalizzazione
il principale mezzo per la gestione di tali soprassuoli.
Le indicazioni geografiche derivanti dal modello dovranno comunque essere
supportate da un’indispensabile ed attenta valutazione in campo dello stato
vegetativo delle pinete, per poter concentrare gli interventi più urgenti laddove si
hanno maggiori necessità. La priorità degli interventi dovrà iniziare da quelle aree in
cui le pinete presentano uno stato vegetativo maggiormente compromesso, con
densità di impianto elevate in rapporto alla loro età, con piante filate e con un elevato
grado di copertura che rallenta i processi di decomposizione della lettiera capace di
ostacolare l’insediamento del novellame e delle specie autoctone.
Lo strumento selvicolturale maggiormente incisivo, per garantire la stabilità di
popolamenti di origine artificiale a struttura compositiva e cronologica semplificata,
è il diradamento (CANTIANI et al., 2010). Questo intervento colturale dovrà avere
come obiettivo quello di ridurre progressivamente il grado di copertura delle pinete,
al fine di determinare le condizioni ecologiche idonee ad accelerare i processi di
decomposizione della lettiera, e creare i presupposti affinché il seme che arriva sul
terreno germini e le plantule possano affermarsi, attuando e favorendo così il
processo di rinaturalizzazione di questi soprassuoli.
Tali interventi avranno come obiettivo quello di determinare condizioni favorevoli
per l’insediamento di specie differenti dal pino nero, con tagli di differente grado di
intensità, modulati in rapporto alle diverse condizioni e caratteristiche dei soprassuoli
e della stazione, svincolati da qualsiasi schema e ripetuti a brevi intervalli di tempo.
Particolarmente importante è analizzare quelle situazioni, all’interno delle pinete,
dove cause diverse hanno provocato l'interruzione della copertura o la rottura della
regolarità del soprassuolo. In queste aree è possibile monitorare e analizzare i
processi evolutivi naturali, e individuare i possibili punti di innesco per favorire la
rinaturalizzazione del sistema (NOCENTINI, 2000).
All’interno delle pinete che ricadono nella classe di intervento con priorità “alta”, la
precedenza degli interventi di rinaturalizzazione potrà essere eseguita nelle zone
dove sono già presenti una o più specie secondarie. Tramite l’analisi condotta e sulla
base dei dati dell’inventario forestale regionale è stato possibile individuare quali
siano le pinete di pino nero dove sono già presenti specie come cerro, castagno e
faggio. Inoltre, i risultati ottenuti indicano che il cerro e il castagno potranno
continuare a vegetare in condizioni ambientali a loro favorevoli su una porzione
significativa di pinete che ricadono nella classe di idoneità scadente per il pino.
Le pinete che rientrano nella classe di priorità alta degli interventi, ricadono in
maniera predominante (50% del totale) all’interno dei seguenti distretti territoriali:
Valtiberina (Anghiari, Sansepolcro), Monte Amiata (Seggiano, Santa Fiora e
Piancastagnanio) e Colline Metallifere (Montieri). Mentre, sono presenti in maniera
minore (circa il 20% del totale) nei seguenti distretti: Garfagnana, Monti Fiorentini
(Rufina), Val di Chiana (Cortona e Arezzo), Isola d’Elba. Queste pinete sono
143
caratterizzate dall’avere quote medie ricadenti principalmente nella fascia basso-
montana, fra i 400 e i 550 metri di quota. Inoltre si segnala la ridotta presenza delle
specie secondarie esaminate, con la completa assenza del faggio. Queste pinete
ricadono principalmente nelle zone con un clima più vicino a quello tipico
mediterraneo, caratterizzato da modeste precipitazioni annuali ed estive.
Facendo riferimento ai dati del servizio META (Monitoraggio Estensivo dei boschi
della ToscanA a fini fitosanitari), nello specifico al modulo “Monitoraggio delle
foreste montane in funzione dell’impatto relativo ai cambiamenti climatici”
(FEDUCCI et al., 2010), si nota una certa corrispondenza tra quanto rilevato nei
soprasuoli di pino nero presenti sui rilievi intorno a Cortona (AR), a Sud di Arezzo, e
sui rilievi fiorentini (Passo della Consuma) e i risultati ottenuti con questa Tesi, che
includono queste pinete tra le aree maggiormente suscettibili in Toscana.
Le pinete che rientrano invece nella classe di priorità considerata “media”, dove si
prevede la possibilità di rimandare a un secondo momento gli interventi di
rinaturalizzazione, sono situate principalmente nei seguenti distretti territoriali:
Lunigiana (Zeri), Appennino Pistoiese (Pistoia), Monti Fiorentini (Londa e
Reggello), Casentino (Loc. Pratomagno e Parco Nazionale delle Foreste
Casentinesi), Monte Amiata (in maniera sparsa nei comuni di Arcidosso,
Castell’Azzara e Abbadia San Salvadore) e Isola d’Elba (Monte Capanne).
Le pinete con “basso” grado di priorità degli interventi si concentrano principalmente
(40% - 50% delle pinete) nei seguenti distretti: Lunigiana (Pontremoli e Comano),
Garfagnana (Sillano, Minucciano) Appennino Pistoiese (San Marcello Pistoiese),
Monti della Calvana e Monte Morello, Alto Mugello, Monti fiorentini (Ponteassieve
e San Godenzo), Valtiberina (Sestino e Badia Tedalda), Casentino (Chiusi della
Verna e Pieve Santo Stefano) ed, in maniera sparsa, nei distretti della Val di Chiana,
Monte Amiata e Colline Metallifere. La quota media delle pinete appartenenti a
questa categoria varia dagli 800 ai 1.000 metri, quote medie più basse, fino ai 600
metri, si registrano per la zona della Calvana e di Monte Morello, dei Monti del
Chianti, della Val di Chiana e delle Colline Metallifere.
Come già spiegato, gli interventi di rinaturalizzazione avranno come obiettivo quello
di aumentare la complessità specifica del soprassuolo, favorendo le specie autoctone
già presenti, nell’ottica di creare popolamenti misti e stabili. Dai risultati riportati nel
capitolo 6.5 risulta che per le specie secondarie studiate (cerro, castagno e faggio) si
verifica una riduzione delle aree di idoneità ecologica nello scenario di cambiamento
climatico considerato. Questa riduzione di superficie idonea è assai più contenuta per
il cerro e per il castagno rispetto al faggio.
Quest’ultima specie, tipica delle zone di alta montagna, incontra il pino nero a quote
che per il faggio corrispondono con il limite inferiore della fascia altimetrica. Avrà
quindi senso favorire il faggio nei processi di rinnovazione delle pinete di alta quota,
in ambienti microtermi caratterizzati da abbondanti precipitazioni. Si segnala inoltre
una significativa presenza del faggio nelle pinete a quote comprese fra i 1.000 –
144
1.200 metri nei distretti della Lunigiana, della Garfagnana, dell’Alto Mugello, dei
Monti Fiorentini, del Casentino e del Monte Amiata,
Nel caso di pinete situate a quote inferiori, con riferimento alle specie studiate,
saranno il cerro e il castagno le specie secondarie che potranno essere favorite nei
processi di rinaturalizzazione. Altri studi segnalano differenti specie forestali che
potrebbero adattarsi al cambiamento. Ad esempio nei dati derivanti dal progetto
BioRefugia si fa riferimento alla possibile futura espansione di specie come il leccio,
la sughera e l’olmo, (PETRICCIONE et al., 2008). In altri studi ancora si riportano altre
specie forestali che potrebbero emergere in uno scenario futuro come il carpino nero
(PIGNATTI, 2011) e la roverella (FITFOREST, 2009)
Infine, l’ipotesi di gestire la pineta secondo criteri di conservazione viene proposta in
quei casi in cui alla data del 2080 le pinete rientrano nella classe di idoneità
considerata “buona”.
Questa pratica di conservazione delle pinete avrà un significato maggiore soprattutto
in quelle aree in cui il pino ha una maggiore importanza sia in termini paesaggistici,
produttivi, ricreativi, che di protezione del suolo dall’erosione. Specialmente per
quest’ultima funzione si prevede l’evoluzione naturale del soprassuolo, fino agli stati
finali di maturità, concentrando, eventualmente, l’azione colturale nella fase di
rinnovazione (AMORINI, 1992). È importante sottolineare che le pinete ad alta quota,
realizzate proprio per stabilizzare i versanti di montagna, hanno valori di idoneità
ecologica ben maggiori rispetto a quelle di bassa quota, quindi in previsione dello
spostamento della specie verso quote maggiori, ha un maggior senso il loro
mantenimento. A questi proposito vi sono studi che dimostrano la colonizzazione del
pino nero dei versanti di alta quota nell’Appennino Centrale (PIERMATTEI et al.,
2010).
Secondo le schede tecniche delle pinete prodotte in questa Tesi, le aree proposte per
la conservazione riguardano le pinete di alta quota che ricadono principalmente nei
distretti territoriali della Lunigiana, dei Monti della Calvana e dei Monte Morello e
del Casentino ed, in maniera meno rilevante, le zone della Garfagnana, dell’alto
Mugello, dei Monti Fiorentini e della Valtiberina. Le pinete che rientrano in questa
classificazione sono situate a quote medie comprese tra i 900 e i 1.100 metri.
Le indicazioni gestionali precedentemente date vanno considerate come linee guida
di massima, utili a capire come i risultati del presente studio possano essere di
supporto alla pianificazione forestale. Sicuramente, in un’ottica di miglioramento
della capacità di mitigazione e per favorire l’adattamento dei soprassuoli al
cambiamento climatico, sarà necessario adottare una prospettiva realmente olistica,
che non si concentri solo sugli effetti di breve termine - certo più evidenti – ma riesca
a prevedere anche l’impatto di lungo periodo dell’azione del selvicoltore su tutte le
componenti dell’ecosistema (MAGNANI et al., 2009). Sarà quindi necessario un
approccio di gestione il più flessibile possibile, che preveda passaggi reversibili,
permettendo di cambiare direzione al variare delle condizioni (WAGNER et al., 2014).
Inoltre una gestione maggiormente flessibile per i boschi di origine artificiale, se la
145
loro stabilità è elevata, permette di ampliare la gamma di scelte selvicolturali in fase
di pianificazione (GIORDANO et al., 2008).
Così, un approccio di gestione forestale definito adattativo comprende un processo
dinamico che coinvolge sistemi resilienti e capacità di adattamento, non solo dal
punto di vista ecologico, ma anche dal punto di vista sociale, politico ed economico,
prevedendo, dove possibile, aggiustamenti alle scelte gestionali attuate in funzione
dei risultati ottenuti in base all’adattamento evolutivo delle specie forestali. Questo
tipo di gestione, inoltre, permette di avere una foresta economicamente flessibile che,
grazie ad una elevata diversità di specie, riesce ad avere un maggior numero di
tipologie di prodotti finali, al fine di avere uno sbocco su più mercati, riducendo il
rischio degli investimenti legati ad un monoprodotto (WAGNER et al., 2014).
- Considerazioni sulla proprietà forestale
Le azioni volte a favorire l’adattamento delle foreste alle future condizioni climatiche
prevedono una serie di operazioni colturali volte a cambiarne gradualmente la
composizione specifica. Verranno favorite quelle specie che più si adatteranno al
cambiamento climatico, queste azioni colturali potranno creare situazioni diverse a
seconda, comunque, del fatto che la proprietà delle foreste sia pubblica o privata.
In base ai dati emersi dalla lettura dell’Inventario Regionale (1998), la superficie
forestale totale in Toscana è pari a 1.086.016 ha. La proprietà pubblica è
rappresentata da 9.971 ha (0,9%) di proprietà dello Stato, gestiti dagli Uffici
Territoriali per la Biodiversità del Corpo Forestale dello Stato (UTB ex-ASFD), e da
111.193 ha (10,2%) di proprietà regionale, gestiti da Comuni e Unioni dei Comuni;
1.045 ha (0,8%) sono le proprietà di altri Enti, pubblici o privati, in affidamento alla
Regione, e da oltre 88% da proprietà privata. (RAFT, 2005).
Per i soggetti privati, che mirano a massimizzare la produttività di soprassuoli,
eseguire interventi per migliorare la capacità di adattamento delle foreste potrebbe
condurre, almeno nel breve periodo, ad una riduzione della produzione e ad
interventi colturali non economicamente vantaggiosi.
Mentre per gli Enti Pubblici, che hanno principalmente lo scopo di mantenere attivi
più servizi escositemici possibili e non quello esclusivamente produttivo, gli
intereventi selvicolturali non saranno visti in un’ottica negativa o di rimessa
economica. Pertanto nelle proprietà pubbliche possono essere proposte più
facilmente forme selvicolturali di miglioramento e manutenzione che vanno ad
aumentarne i caratteri di stabilità dei soprassuoli (WAGNER et al., 2014; BERNETTI et
al., 2010).
146
8. - CONCLUSIONI
È ormai ampiamente riconosciuto che le attività di gestione forestale sono lo
strumento fondamentale per garantire il raggiungimento degli obiettivi sottoscritti dal
nostro Paese nella tutela degli ecosistemi e dei connessi aspetti paesaggistici e
ricreativi, nella salvaguardia della risorsa idrica, nella prevenzione dei processi di
degrado e nella mitigazione e adattamento ai processi di climate change, e
rappresentano per il nostro Paese una importante opportunità di sviluppo per le aree
rurali e per l’economia forestale e montana e delle sue filiere (INEA, 2010).
La modellistica forestale sta diventando sempre di più uno strumento interconnesso e
di supporto per la pianificazione e la gestione dei sistemi forestali. I modelli di
processo permettono una rappresentazione semplificata e schematizzata di sistemi
complessi come quelli forestali e delle interazioni che intercorrono tra le diverse
componenti ecosistemiche (RIPULLONE et al., 2007). Pertanto, la modellistica
forestale, attraverso un approccio interdisciplinare, viene sempre più applicata alla
comprensione e rappresentazione delle possibili risposte dei sistemi forestali alle
variabili ambientali, attuabile su diverse scale sia spaziali che temporali.
Nell’ultimo decennio sono stati sviluppati numerosi modelli di processo su base
fisiologica delle specie forestali, supportati da sistemi GIS. Vi sono modelli che
stimano su questa base la produttività primaria netta dei sistemi forestali,
l’andamento delle principali fitopatologie e il comportamento della vegetazione in
relazione al cambiamento climatico.
Il modello sviluppato in questa Tesi ha permesso di valutare l’idoneità ecologica
potenziale del territorio della Regione Toscana per quattro specie forestali (pino
nero, cerro, castagno e faggio) e di esaminare le variazioni dell’idoneità sulla base
delle previsioni di cambiamento del modello climatico GCM HadCm3.
La metodologia proposta può essere trasferita e facilmente adattata per esaminare
contesti ambientali diversi anche sulla base di altri scenari climatici. Inoltre sarà
possibile aggiornare il modello con nuovi dati climatici, nuovi dati ambientali e di
distribuzione delle specie. La validazione dell’analisi di idoneità ecologica si è basata
sull’utilizzo delle curve ROC.
Un esempio di diversa applicazione del modello potrebbe riguardare altri
popolamenti forestali artificiali che presentano un elevato grado di criticità nei
confronti dei cambiamenti climatici, come i popolamenti di cipresso, di douglasia, di
pino d’Aleppo e di pini esotici che in Toscana coprono superfici di una certa
importanza.
Un processo di studio essenzialmente deterministico, come può essere definito quello
di questa tesi, può essere giustificato dal fatto che sono stati analizzati, come
tipologia forestale, popolamenti monospecifici a struttura semplifica e con una
147
complessità ridotta rispetto a popolamenti misti di origine naturale. Il fatto di avere
trattato popolamenti monospecifici, a struttura semplificata e spesso coetanei, riduce
e semplifica molto le scelte gestionali, rendendo quindi più facile una loro
classificazione. Questo metodo dovrà comunque essere supportato da una attenta e
successiva analisi in campo per verificare ulteriormente i risultati ottenuti.
Di interesse per la pianificazione forestale sono le indicazioni di massima fornite da
questo studio sulla priorità degli interventi nei rimboschimenti di pino nero. Nella
pianificazione forestale conoscere quali siano le priorità di intervento permette di
ottimizzare l’allocazione delle risorse disponibili nello spazio e nel tempo,
concretizzando i principi di una corretta gestione sostenibile.
In un’ottica di politiche regionali, di enti locali o su vasta scala, è utile disporre di
indicazioni georeferenziate relative alle condizioni di maggiore o minore suscettività
al cambiamento climatico dei diversi complessi boscati presenti sul territorio, in
particolar modo per quelli ritenuti più vulnerabili.
Riducendo la scala di analisi e di gestione a livello comprensoriale o aziendale,
saranno necessari indicatori più puntuali che consentano di collegare, in maniera
coerente, gli indirizzi della pianificazione di area vasta alla concreta programmazione
degli interventi su scala locale.
Nel futuro sarà possibile un cambiamento della vegetazione forestale connesso al
mutamento del clima e all’aumento dell’incidenza dei fattori di disturbo ad esso
collegati, ma saranno difficilmente prevedibili i tempi e le modalità del cambiamento
e la vulnerabilità e l’evoluzione delle varie specie, delle comunità e degli ecosistemi
forestali.
Va rilevato che, nonostante l’impegno profuso negli studi, una ricerca basata
esclusivamente su modelli previsionali, spesso non tiene presente aspetti
fondamentali nella dinamica degli ecosistemi, come ad esempio la capacità del
sistema a sviluppare nuove strutture o processi adattativi, o la tolleranza dei disturbi
da parte delle piante in situazioni di stress. Prevedere la futura composizione
specifica di un bosco è assai complicato. Le dinamiche che possono instaurarsi in
seguito a un fattore di disturbo, possono essere estremamente lente e venire bloccate,
per esempio, dallo sviluppo di comunità erbacee dotate di notevole stabilità, in grado
di rallentare l’insediamento della rinnovazione per molti decenni e condizionare così
la successione delle specie forestali.
Nel condurre questo tipo di ricerche, è di rilevante importanza riflettere sulla
grandezza della “scala di indagine”. L’applicazione di una scala non idonea può
condurre a errori di valutazione o, quantomeno, a distorsioni significative nella
comprensione degli effetti o degli impatti sulla crescita, sui dinamismi floristici e
strutturali delle popolazioni forestali.
Si possono verificare fenomeni a livello locale, come già avvenuto in ere passate, che
consentono alla vegetazione di conservarsi relativamente inalterata in habitat di
148
rifugio, caratterizzati da condizioni ambientali più stabili, rispetto ad un paesaggio
circostante segnato da forti cambiamenti (MIPAAF, 2011).
Nonostante quindi il generale innalzamento delle temperature, come previsto dai
principali modelli climatici, in relazione agli scenari futuri dell’IPCC, in alcune
stazioni con particolare conformazione morfologica e pedologica, si potranno
verificare localmente condizioni climatiche anomale che, inevitabilmente,
influenzeranno la crescita delle formazioni forestali, a seconda delle risposte non
correlate linearmente all’aumento della temperatura.
Un ulteriore limite attribuito ai modelli, è quello relativo alla loro applicazione per
aree trasformate per millenni dall’azione dell’uomo, come la maggior parte delle aree
del Mediterraneo. Il potere predittivo di modelli basati sulle variabili climatiche ed
ecologiche, può risultare ridimensionato a causa della maggior rilevanza che possono
assumere disturbi di origine antropica (incendi, inquinamento, urbanizzazione,
pascolo intensivo, erosione del territorio) (AMICI et al., 2012).
È necessario quindi sviluppare una ricerca multidisciplinare, perché focalizzarsi su
singoli fattori di stress può portare a politiche forestali inappropriate.
Per una migliore comprensione delle molteplici interazioni che si verificano la tra
vegetazione forestale e i cambiamenti climatici, oltre ad una serie di dinamiche
indirette che da questi possono derivare come, ad esempio, l’alterazioni nei rapporti
preda-predatore o parassita-ospite, ed il variare delle interazioni competitive tra le
diverse specie, si dovrà avvalere di reti di monitoraggio degli ecosistemi. Questa
modalità di ricerca dovrà essere realizzata nel lungo termine, ben pianificata,
strutturata, e con un approccio quantitativo, basata su indicatori e indici in grado di
descriverne la funzionalità. La modellistica dovrà quindi essere integrata con la
ricerca ed il monitoraggio, in modo da conseguire con tale sinergismo suggerimenti
gestionali su basi scientifiche concrete.
Sarà quindi sempre più necessario sviluppare nuove e specifiche reti di monitoraggio
oltre a quelle già esistenti, come quella del CONECOFOR, e coordinare a livello
nazionale le ricerche con i progetti attualmente esistenti (insetti, patogeni, clima,
inquinamento, stato delle piante), per armonizzare le metodologie di monitoraggio e
costituire banche dati comuni.
Possiamo quindi concludere che, in un futuro sempre più prossimo, in costante
cambiamento ed evoluzione, segnato da un processo ormai irreversibile di “Global
Change”, che investe a livello mondiale, la società, l’economia, l’uso delle risorse, le
comunicazioni, la salute umana, e il clima, avrà sempre più importanza la
comprensione degli effetti di questo cambiamento sui dinamismi degli ecosistemi
forestali. Il costante incremento su scala mondiale della popolazione, con il
consequenziale aumento del consumo delle risorse, non legato ad una completa ed
omogenea innovazione tecnologica, sta provocando inevitabilmente un aumento
delle emissioni di Gas serra e di agenti inquinanti. Sia dagli organismi
intergovernativi, che a livello di politiche comunitarie, viene sempre più riconosciuta
149
l’importanza delle utilità eco-sistemiche offerte dalle foreste, viste come una fra le
principali fonti di benefici multipli per il genere umano. La loro salvaguardia e la
loro corretta gestione, secondo i principi della sostenibilità, dovranno essere gli
obbiettivi da prefiggersi per la loro conservazione alle generazioni future.
150
9. ALLEGATI
9.1. - Idoneità ecologica del territorio al 2013.
Figura 48 – Idoneità ecologica potenziale del
territorio per il pino nero al 2013.
Figura 49 – Idoneità ecologica potenziale del
territorio per il cerro al 2013
Figura 50 – Idoneità ecologica potenziale del
territorio per il castagno al 2013.
Figura 51 – Idoneità ecologica potenziale del
territorio per il faggio al 2013.
151
9.2. - Classi di idoneità al 2013.
Figura 60 – Classi di idoneità per il pino nero al
2013.
Figura 61 – Classi di idoneità per il cerro al 2013.
Figura 62 – Classi di idoneità per il castagno al
2013.
Figura 63 – Classi di idoneità per il faggio al 2013.
152
9.3. - Idoneità ecologica del territorio al 2020.
Figura 56 – Idoneità ecologica potenziale del
territorio per il pino nero al 2020.
Figura 57 – Idoneità ecologica potenziale del
territorio per il cerro al 2020
Figura 58 – Idoneità ecologica potenziale del
territorio per il castagno al 2020.
Figura 59 – Idoneità ecologica potenziale del
territorio per il faggio al 2020.
153
9.2. - Classi di idoneità al 2020.
Figura 52 – Classi di idoneità per il pino nero al
2020.
Figura 53 – Classi di idoneità per il cerro al
2020.
Figura 54 – Classi di idoneità per il castagno al
2020.
Figura 55 – Classi di idoneità per il faggio al
2020.
154
9.5. - Idoneità ecologica del territorio al 2080.
Figura 64 – Idoneità ecologica potenziale del
territorio per il pino nero al 2080.
Figura 65 – Idoneità ecologica potenziale del
territorio per il cerro al 2080
Figura 66 – Idoneità ecologica potenziale del
territorio per il castagno al 2080.
Figura 67 – Idoneità ecologica potenziale del
territorio per il faggio al 2080.
155
9.6. - Classi di idoneità al 2080.
Figura 68 – Classi di idoneità per il pino nero al
2080.
Figura 69 – Classi di idoneità per il cerro al 2080.
Figura 70 – Classi di idoneità per il castagno al
2080.
Figura 71 – Classi di idoneità per il faggio al
2080.
156
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Ringraziamenti
Desidero ringraziare quanti mi hanno sostenuto ed aiutato in questo percorso di
studi.
Il principale ringraziamento va alla Prof.ssa Susanna Nocentini e al Prof. Davide
Travaglini, che con la loro competenza, fiducia e passione professionale mi hanno
consentito di pervenire a questo traguardo, altrimenti irraggiungibile.
Un doveroso ringraziamento è rivolto a Franco Piemontese e a Patrizia Rossi,
entrambi sempre disponibili, in molti casi di fondamentale aiuto ed instancabile
supporto morale, che mi hanno accompagnato in questi anni di studio e di ricerca.
Ulteriore ringraziamento va al Dott. Cristiano Foderi, collega ed amico, che mi ha
aiutato nell’elaborazione statistica della Tesi.
Ed infine un sincero in bocca al lupo a Silvia, Francesca e Chiara che hanno
condiviso con me i momenti più belli e difficili di questo percorso, comprendendo e
condividendo le difficoltà, i pensieri e i dubbi di un giovane ricercatore. Auguro ad
ognuna di voi di realizzare i propri sogni professionali, riuscendo sempre di più a
comprendere la bellezza e l’importanza del nostro settore.