rework teorie dell'argomentazione

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  Teorie dell’argomentazione. Premesse. A partire dagli studi pionieristici di PERELMAN e TOULMIN, negli ultimi decenni si sono sviluppate le indagini sulla teoria dell’argomentazione, intendendola non già come teoria strettamente logica di produzione e valutazione di argomenti validi e fondati, bencome pratica sociale, dialettica e intersoggettiva di produzione di ragioni a sostegno di una tesi all’interno di una pratica linguistica. Da un lato, l’approccio descrittivo mira ad individuare quali argomenti vengano di fatto accettati in un determinato contesto per comprenderne in un secondo momento la str uttura e il funzionamento (non quali argomenti vengo no considerati validi); dall’altro, l’approccio normativo assume come obiettivo principale la determinazione di una serie di regole o norme generali che caratterizzano l’attività argomentativa e che possono servire per a) ricostruire gli argomenti, b) valutare la loro adeguatezza, c) indicare strategie di ragionamento. La ripresa della teoria dell’argomentazione negli anni cinquanta e sessanta è stata associata all’esigenza di affiancare nuove forme di razionalità alla forma deduttivo- scientifica: si pensi alle critiche di PERELMAN al modello di razionalità cartesiana. Capitolo 1. Logica informale. La logica informale nasce come reazione all’insegnamento della sola logica formale nelle Università, ritenendo quest’ultima incapace di fornire allo studente strumenti adeguati per il corretto ragionamento e per la corretta valutazione degli argomenti presenti nella vita quotidiana. I primi teorici della logica informale partono dallo studio dell’argomentazione espressa nel linguaggio naturale, cercando di descrivere le pratiche argomentative (ripresa dell’approccio descrittivo) piuttosto che individuare forme di ragionamento valide a priori. Mentre la logica formale si ritiene collegata ad una concezione cartesiana della conoscenza, la logica informale si muove su uno sfondo  pragmatico (non astratto) che subordina l’acquisizione della conoscenza all’incontro dialettico tra soggetti parlanti. La differenza principale tra logica formale e logica informale riguarda il concetto di argomento: a) per la logica formale lo studio degli argomenti si fon da su rel azio ni sintat tiche e seman tiche, prescinde ndo dal contesto in cui gli argomenti si collocano. Pertanto un argomento, inteso come combinazione tr a premesse e conclusioni, si considera formalmente valido quando non è possibile che la premessa sia vera e la conclusione sia falsa. LIMITI: il concetto di validità così inteso fa riferimento al nesso tra premesse e conclusioni, il che significa che se è valido il nesso tra premessa e conclus ione non è detto che la premessa stessa (s ot tr atta al la discussione) sia vera. b) per la logica informale l’argomento è un evento storico, che si esprime attraverso il linguaggio naturale, avente natura sociale, dialettica e  pragmatica. Da un lato l’ar gomento viene inteso come pratica sociale pr es upponendo uno sf ondo di signif icati, valori, probl emi socia lment e condiv isi; dall’al tro l’arg oment o ha natura 1

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 Teorie dell’argomentazione.

Premesse.

A partire dagli studi pionieristici di PERELMAN e TOULMIN, negli ultimi decenni si sono

sviluppate le indagini sulla teoria dell’argomentazione, intendendola non già cometeoria strettamente logica di produzione e valutazione di argomenti validi e fondati,

bensì come pratica sociale, dialettica e intersoggettiva di produzione di ragioni a

sostegno di una tesi all’interno di una pratica linguistica.

Da un lato, l’approccio descrittivo mira ad individuare quali argomenti vengano di

fatto accettati in un determinato contesto per comprenderne in un secondo momento

la struttura e il funzionamento (non quali argomenti vengono considerati validi);

dall’altro, l’approccio normativo assume come obiettivo principale la determinazione

di una serie di regole o norme generali che caratterizzano l’attività argomentativa e

che possono servire per a) ricostruire gli argomenti, b) valutare la loro adeguatezza,

c) indicare strategie di ragionamento.

La ripresa della teoria dell’argomentazione negli anni cinquanta e sessanta è stata

associata all’esigenza di affiancare nuove forme di razionalità alla forma deduttivo-

scientifica: si pensi alle critiche di PERELMAN al modello di razionalità cartesiana.

Capitolo 1. Logica informale.

La logica informale nasce come reazione all’insegnamento della sola logica formale

nelle Università, ritenendo quest’ultima incapace di fornire allo studente strumentiadeguati per il corretto ragionamento e per la corretta valutazione degli argomenti

presenti nella vita quotidiana. I primi teorici della logica informale partono dallo studio

dell’argomentazione espressa nel linguaggio naturale, cercando di descrivere le

pratiche argomentative (ripresa dell’approccio descrittivo) piuttosto che individuare

forme di ragionamento valide a priori. Mentre la logica formale si ritiene collegata ad

una concezione cartesiana della conoscenza, la logica informale si muove su uno

sfondo  pragmatico (non astratto) che subordina l’acquisizione della conoscenza

all’incontro dialettico tra soggetti parlanti.

La differenza principale tra logica formale e logica informale riguarda il concetto diargomento: a) per la logica formale lo studio degli argomenti si

fonda su relazioni sintattiche e semantiche, prescindendo dal contesto in cui gli

argomenti si collocano. Pertanto un argomento, inteso come combinazione tra

premesse e conclusioni, si considera formalmente valido quando non è possibile che la

premessa sia vera e la conclusione sia falsa. LIMITI: il concetto di validità così inteso fa

riferimento al nesso tra premesse e conclusioni, il che significa che se è valido il nesso

tra premessa e conclusione non è detto che la premessa stessa (sottratta alla

discussione) sia vera.

b) per la logica informale l’argomento è un evento storico, che si esprime attraverso

il linguaggio naturale, avente natura sociale, dialettica e  pragmatica. Da un latol’argomento viene inteso come pratica sociale presupponendo uno sfondo di

significati, valori, problemi socialmente condivisi; dall’altro l’argomento ha natura1

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dialettica poiché ciascuna affermazione è costruita in relazione a precedenti

affermazioni dell’altro soggetto. Al logico informale non interessa la validità di un

argomento esposto nel linguaggio ordinario, ma soltanto l’accettabilità dello stesso

all’interno di un determinato campo, ovvero la sua capacità persuasiva nei confronti di

un certo uditorio.

Per poter valutare in tal senso un argomento occorre partire dalla struttura globale del

ragionamento su cui si fonda, interessandosi delle sole asserzioni che assumano

rilievo a riguardo. Per i logici informali è importante fare

affidamento non soltanto sulle asserzioni  esplicite (al fine di ricostruire in modo

completo la struttura globale del ragionamento), ma anche sulle asserzioni implicite

(premesse mancanti). A riguardo, vengono in soccorso due regole:

a) regole deduttive, b) considerazioni pragmatiche. Nel primo

caso si ritiene che la parte mancante venga aggiunta per rafforzare il nesso tra

premesse e conclusioni, ma anche per rendere visibile la forma stessa

del ragionamento (non solo il contenuto). Per risolvere taleproblema il logico informale si affida al sillogismo proprio della retorica:

entimema (sillogismo avente una sola premessa). Nella ricerca degli elementi impliciti

gioca un ruolo importante anche la componente pragmatica

dell’argomentazione, in particolare il principio di  cooperazione  e il concetto di

implicatura conversazionale coniato da PAUL GRICE.

Secondo PAUL GRICE la comunicazione è uno scambio in cui gli atti di ciascun parlante

sono strettamente correlati agli atti del suo interlocutore realizzando una successione

di affermazioni collegate tra loro da rapporti reciproci. Beninteso, ogni scambio

comunicativo è regolato dal principio di cooperazione da cui discendono quattro regole

(chi richiamano KANT): a) quantità (bisogna adattare il proprio contributo alle richieste

dell’interlocutore senza fornire info superflue), b) qualità (bisogna fornire un contributo

autentico e non basato sull’inganno), c) rilevanza (bisogna fornire un contributo

appropriato al contesto immediato), d) modalità (bisogna esprimersi in forma chiara,

non ambigua, concisa e ordinata). Si parla di implicatura conversazionale quando il

parlante trasmette all’interlocutore alcune informazioni senza comunicarle

esplicitamente.

ESEMPIO 1: se qualcuno mi chiede dove abita una certa persona e rispondo genericamente “da qualche

parte della Toscana”, sto comunicando implicitamente di non sapere esattamente dove

quella persona abiti nel pieno rispetto della regola della quantità.

ESEMPIO 2: se una persona mi chiede dove poter andare a fare benzina e rispondo semplicemente che

dietro l’angolo c’è un garage sto implicitamente comunicando la mia supposizione che quel garage venda

benzina e sia aperta nel rispetto della regola della rilevanza.

La scelta delle parole in uno scambio comunicativo può determinare la trasmissione implicita di

informazioni. Ad esempio, affermo che una certa persona è povera ma onesta. Posso implicare un

rapporto tra povertà e onestà; in questo caso, però, non ricorre un’implicatura conversazionale, semmai

un’implicatura convenzionale.

Per i teorici che considerano la logica informale un ampliamento dello studio formale

dei discorsi, la struttura dell’argomento è caratterizzata dalla

presenza di premesse e conclusioni. DOMANDA: quanti tipi diargomento ci sono? Esistono solo argomenti deduttivi o vi possono essere relazioni

diverse tra premesse e conclusioni?

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La soluzione monista, offerta da GLOARKE, postula che ogni argomento del

linguaggio naturale possa essere ridotto ad un argomento deduttivo formale. Esiste

dunque una sola forma di nesso tra premesse e conclusioni, fermo restando (come

insegna Aristotele) che il nesso deduttivo non stabilisce la certezza della conclusione,

ma si limita a trasferire il tipo di certezza delle premesse alla conclusione.

La maggior parte dei logici informali predilige forme di pluralismo, sicché accanto ai

ragionamenti deduttivi vengono presi in considerazione altri tipi di argomento:

induttivo, abduttivo, conduttivo, per analogia, a priori, illativo o

inferenziale in senso lato. Secondo JOHNSON (ma anche secondo GOVIER) funzione

principale di un argomento è la  persuasione razionale dell’uditorio e chi argomenta

deve prendere in considerazione anche le critiche o le obiezioni dell’interlocutore,

cercando talvolta di prevenirle. Beninteso, oltre al nocciolo

inferenziale premesse e conclusioni (che troviamo anche nell’argomento deduttivo) va

considerata anche la componente pragmatico-dialettica, comprensiva delle obiezioni e

delle anticipazioni delle critiche dell’interlocutore.

GOVIER introduce l’argomento conduttivo e l’analogia a priori. Quanto all’argomento

conduttivo, esso si distingue da quello deduttivo nella misura in cui presenta più

premesse possibili, ammette la presenza di asserzioni a sostegno della

conclusione ma anche obiezioni e, infine, la conclusione non si considera conseguenza

logica delle premesse ma è raggiunta valutando se sono di più i pro o i contro.

GILBERT si spinge oltre riconoscendo anche gli argomenti non logici. Da un lato

distingue: a) argomento  lineare (minus rispetto a quello logico pur riguardando il

nesso tra premesse e conclusioni) e b) argomento

caotico (scarsamente lineare); dall’altro distingue: a) argomento  clinico (scarsoattaccamento dei partecipanti alle posizioni che difendono) e b) argomento

emozionale (alto grado di coinvolgimento emotivo da parte dei partecipanti). Gli

argomenti emozionali ricorrono in contesti in cui vi è una forte dose di familiarità tra

partecipanti in merito a questioni reiteratamente dibattute.

Negli argomenti emozionali le parole usate dai partecipanti sono meno importanti dei

sentimenti che vengono espressi. In definitiva, nel ricostruire e valutare gli argomenti

di deve tener conto della situazione psicologica e della storia personale dei

partecipanti.

WOHLRAPP ritiene che la plausibilità della conclusione di un argomento siastrettamente legata al frame (campo o cornice all’interno del quale sono considerate

le premesse). Ad esempio, l’argomentazione che si conclude con la

seguente asserzione: “Devi restituire il libro che hai preso in prestito in biblioteca” è

plausibile se collegata ad uno dei possibili frame: a) l’aver preso accordi di restituirlo

(frame legale), b) la presenza di altri utenti che potrebbero

richiederlo (frame sociale), c) l’eventuale sanzione in caso di mancata

restituzione (frame economico).

Infine, secondo i logici informali più lontani dalla logica deduttiva un argomento non

può mantenere la propria validità una volta estraniato dal contesto in cui è stato

enunciato.

Le fallacie.

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Fallace è propriamente un argomento che sembra essere un argomento dialettico ma

in realtà non lo è; un ragionamento che sembra essere un buon ragionamento ma non

lo è.

HAMBLIN distingue asserzioni che: 1) non sono neppure argomenti, 2) sono argomenti

validi ma inaccettabili, 3) sono argomenti ritenuti validi da alcuni, invalidi da altri.Quanto all’ipotesi 1), pensiamo alle domande complesse (ad esempio: “Hai smesso di

picchiare tua moglie?) in cui si cerca di costringere l’interlocutore ad ammettere

qualcosa che non ha commesso (sia che risponda positivamente che negativamente).

Quanto all’ipotesi 2), pensiamo al ragionamento circolare che porta ad un argomento

valido dal punto di vista logico ma inaccettabile e fallace nella misura in cui chiede di

concedere ciò che è in discussione e che ci si è proposti di dimostrare. Quanto

all’ipotesi 3), pensiamo alla c.d. fallacia ad verecundiam basata sul rispetto per i valori

consacrati o per l’autorità che li incarna.

Critiche: nel 1970 non era ancora disponibile una teoria rigorosa, unitaria e coerente

delle fallacie.

 JOHNSON e BLAIR hanno elaborato una teoria informale delle fallacie che poggia sui

concetti di rilevanza, sufficienza e accettabilità. Un argomento è valutato dunque in

base a tre criteri: a) rilevanza probativa delle premesse per giungere ad una data

conclusione, b) sufficienza dell’evidenza prodotta dalle premesse per la conclusione, c)

accettabilità delle premesse per chi argomenta, per l’uditorio e per la comunità critica

in cui si è situati.

Capitolo 2. Logica dialogica.

Dalla scuola di Erlangen, LORENZEN propone una teoria normativa

dell’argomentazione, alternativa alla logica formale, che prende il nome di logica

dialogica. Per tali autori il concetto di verità (riferito ad una proposizione) è spiegabile

ricorrendo ad un principio di verificazione interpersonale. Ad esempio la

proposizione Q(b) è vera quando si attribuisce a ragione il predicato Q all’oggetto

denominato da b e ciò è confermato da ogni altro parlante esperto e razionale. Il

criterio dialogico può applicarsi ad un enunciato elementare ma anche ad enunciati

composti. Normalmente abbiamo un proponente P che asserisce un enunciato ed è

disposto a difenderlo e un opponente O che attacca il proponente chiedendogli di

esibire una prova dell’enunciato.

LORENZEN distingue le regole logiche (con le quali individua costanti logiche usate

nel dialogo) dalle regole generali  (relative all’andamento stesso del

dialogo).

REGOLE GENERALI: P prende la parola asserendo un enunciato nella forma –Q(b). O

può concedere l’enunciato (in questo caso vince P), oppure affermare Q(b) attaccando

P. Quest’ultimo può a sua volta attaccare O chiedendogli di difendere Q(b). Se O riesce

a difendere Q(b) vince, altrimenti perde.

REGOLE LOGICHE: affermare –Q(b) significa essere pronti ad attaccare Q(b) qualora

l’opponente l’affermi nel dialogo. Asserire la congiunzione P(a) ^ Q(b) in un dialogo

significa essere disposti a difendere P(a) e Q(b) (se entrambe le difese hanno successo

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P vince). Asserire la disgiunzione P(a) v Q(b), P può scegliere se difendere P(a) o se

difendere Q(b) (basta avere successo in una delle due difese per vincere il dialogo).

Infine se asserisce P(a) _ Q(b), P è tenuto, qualora O asserisca P(a), a difendere Q(b).

Finora abbiamo definito le regole proprie di un dialogo materiale, vale a dire di un

dialogo nel quale il proponente asserisce un certo enunciato e lo difende contro undeterminato opponente (si valutano gli enunciati concreti, NON le formule per

enunciati). LORENZEN introduce anche una serie di regole che valgono per il c.d.

dialogo formale, che consentono di stabilire se una data formula per enunciati

(chiusa e priva di variabili libere) sia valida o meno. In questo caso, per vincere il

dialogo il proponente P non deve limitarsi a difendere con successo soltanto quel

singolo enunciato (come avviene con le regole del dialogo materiale), ma tutti gli

enunciati della stessa forma.

REGOLA GENERALE: P non può attaccare una formula elementare asserita da O, il

quale potrebbe saperla difendere almeno in un caso, né può asserirne una nuova che

potrebbe nello specifico non avere una difesa. P può tuttavia enunciare una formula

elementare che gli garantisca la vittoria se è stata in precedenza asserita da O (che no

può attaccarla).

Critiche: il procedimento dialogico di LORENZEN non rispecchia l’effettivo andamento

di un dialogo: non è sempre vero che la parola passa a turno dall’uno all’altro

interlocutore con il compito di difendere o attaccare l’enunciato. Non è attribuito

rilievo all’aspetto pragmatico e, dunque, non si tiene conto di eventuali differenze del

contesto nel quale il dialogo avviene, né delle sue finalità.

Mentre LORENZEN recupera la componente dialogica, HAMBLIN si interessaprevalentemente della componente dialettica della logica. Secondo HAMBLIN è

possibile individuare una serie di criteri atti a valutare la bontà di un argomento: a)

aletici concernenti la veridicità di un argomento (è buono se le premesse sono vere, la

conclusione è implicata dalle premesse e segue le medesime, le premesse non

esplicitate sono di un certo tipo che può essere omesso); b) epistemici concernenti

l’atteggiamento epistemico degli interlocutori nei confronti dell’argomento (è buono

perché è noto che le premesse siano vere); c)  probabilistici (premesse

ragionevolmente probabili); d) dialettici concernenti l’accettabilità dell’argomento da

parte dei parlanti (è buono se le premesse sono accettate, se il passaggio da

premesse a conclusioni è di un tipo accettato).

HAMBLIN predilige i criteri dialettici, in base ai quali è possibile ritenere un argomento

accettabile in gradi diversi a persone diverse o gruppi diversi. La dialettica è lo studio

generale dei dialoghi e include la logica che è un insieme di specifiche

convenzioni dialogiche dalle quali discendono specifici goal logici (obiettivi). Le regole

del dialogo si limitano a vietare alcune mosse con la conseguenza che tutto ciò che

non è proibito, è permesso. La dialettica può essere descrittiva (descrive le regole e

convenzioni operanti nella discussione reale) e formale (definisce regole precise ma

non necessariamente realistiche che permettano di inchiodare eventuali argomenti

fallaci).

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Capitolo 3. Dialettica formale.

Con la teoria dialettica formale BARTH riprende la logica di LORENZEN (il dialogo

nasce come contrapposizione tra proponente e opponente che, d’accordo su alcune

regole generali, guidano la discussione, prendono a turno la parola per difendere o

attaccare l’enunciato precedentemente affermato) adattandola al mondo   praticoattraverso un’opera di pragmatizzazione.

La teoria dialettica è formale nella misura in cui si basa su regole di tipo sintattico,

ma anche regole dialettiche d’uso del linguaggio. Pragmatizzare una teoria significa

valutarne la capacità di risolvere in concreto problemi, ponendo in rapporto i costi con

i benefici. La validità di una teoria in questo caso non va intesa come autoevidenza

intuitiva ma come capacità di risolvere problemi logici. A riguardo, si parla

di validità semiconvenzionale (ristretta ad un gruppo di utenti) da quella

convenzionale (validità istituzionale).

Altro aspetto interessante della teoria dialettica di BARTH è il principio diesternalizzazione della dialettica, il quale afferma che le regole secondo cui è

possibile attaccare o difendere un enunciato dipendono dalle parole che compongono

l’enunciato stesso e NON dalle intenzioni dei parlanti. Ammettendo tale principio si

tiene conto soltanto degli enunciati asseriti dai parlanti e si possono considerare come

elementi impliciti soltanto gli enunciati che da essi sono implicati o presupposti. Chi

invece rifiuta il principio di esternalizzazione ricostruisce un argomento tenendo conto

non soltanto degli enunciati asseriti, ma anche delle attitudini proposizionali dei

 parlanti verso ciò che hanno asserito (ad esempio le loro credenze). Non

basta indagare su una cosa che abbia asserito il proponente come tesi iniziale, ma

occorre anche verificare se egli crede alla tesi asserita.

Capitolo 4. Logica interrogativa e teoria dei giochi.

HINTIKKA attacca duramente la logica informale denunciando l’assenza di una vera e

propria teoria generale dell’argomentazione informale. La sua teoria

dell’argomentazione valorizza la logica in contrapposizione alla retorica. Secondo

HINTIKKA la logica è un’attività diretta ad un fine (goal), comprensiva di regole

definitorie  ma anche strategiche. Le prime definiscono le mosse ammissibili

durante il gioco, le seconde distinguono le buone e cattive strategie di gioco.

Domanda: Come può la logica insegnare a ragionare? alla logica viene in soccorso la

dialettica per fornire non soltanto le regole del ragionamento corretto, ma anche

indicazioni di buone strategie argomentative. Richiamando la teoria dei giochi fondata

da VON NEUMANN nel 1944, HINTIKKA fonda la nozione di verità sul

concetto di strategia. Beninteso, la verità presuppone l’esistenza di una strategia

vincente dell’io giocatore contro l’opponente (natura). Al contrario, la falsità viene

definita come l’esistenza di una strategia vincente della natura.

Si parte da enunciati atomici che hanno un valore di verità determinato, estendendo

poi la verità agli enunciati composti. Vincere una partita significa

per un giocatore terminare la giocata con una frase vera. Secondo HINTIKKA, come per

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ARISTOTELE, l’approccio dialettico alla logica consente di ridurre le inferenze logiche a

risposte e domande.

Supponiamo di avere 5 enunciati: A, B, C, D, E e scegliamo di analizzare il terzo. Posto

che gli enunciati sono risposte a domande dobbiamo chiederci se:

1) l’informazione contenuta in C sia nuova rispetto all’informazione contenuta in A e B;2) come è stata introdotta l’informazione nuova; 3) rintracciata la fonte O dobbiamo

chiederci in che modo questa fonte è stata selezionata rispetto ad altre

fonti; 4) quali altre possibili risposte (oltre a C) avremmo potuto dare usando la stessa

fonte O; 5) quali altre risposte avremmo potuto dare

consultando altre fonti.

Si deduce che HINTIKKA concettualizza il processo di domanda e risposta mediante

una logica interrogativa. Gli argomenti devono essere valutati in base alle nuove

informazioni che producono o al contributo che danno al proseguimento

dell’indagine piuttosto che in base al grado di efficacia persuasiva o al ruolo di

garanzia o di sostegno che forniscono ad una tesi. Le regole definitorie e strategiche di

ciascun gioco consentono di individuare le fallacie che si pongono come violazione

delle regole del gioco stesso. Pensiamo, a titolo esemplificativo, alla fallacia della

  petitio principii che presenta l’errore di chiedere ciò a cui invece si dovrebbe

rispondere (assumere ciò che invece si dovrebbe dimostrare all’interlocutore).

Il modello della teoria dei giochi consente di distinguere tra fallacie intese come mosse

non valide e fallacie intese come mosse stupide. Ad esempio, la fallacia ad hominem

la consideriamo fallacia strategica quando (laddove lo scopo del gioco sia la ricerca

della verità) valutiamo la tesi dell’argomentazione in base alle caratteristiche

personali del soggetto parlante. Tale mossa non è fallace però se valutiamo una fontedi informazioni perché in tal senso le caratteristiche della fonte sono essenziali per la

valutazione dell’attendibilità dell’informazione fornita.

Domanda: Qual è la fallacia delle fallacie? Prestare attenzione soltanto alle regole

definitorie e alle violazioni di esse piuttosto che alle regole strategiche. Poiché il gioco

è fatto di domanda e risposta occorre anche saper anticipare le probabili risposte alle

 proprie domande.

Capitolo 4. Pragma-dialettica.

E’ una teoria dell’argomentazione proposta da VAN EEMEREN e GROOTENDORST, che

si propone di conciliare la dimensione normativa a quella descrittiva, fornendo un

codice di condotta per il discorso quotidiano. E’ pragmatica perché si propone di

studiare empiricamente alcune pratiche discorsive, ricostruendo le interazioni

linguistiche dei parlanti secondo un modello teorico; è dialettica perché ricerca il

proprio ideale normativo nella dialettica socratica, vedendo nello scambio tra i parlanti

un tentativo metodico di risolvere una differenza d’opinione.

Gli strumenti teorici sono forniti dal razionalismo critico di POPPER e dalla teoria di

CRAWSHAY-WILLIAMS per la risoluzione del disaccordo di una controversia. In

particolare, quest’ultimo individua tre criteri ai quali ricorrere per risolvere un

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disaccordo su una affermazione: a) criteri logici (i parlanti valutano gli argomenti

logicamente validi), b) criteri convenzionali (i parlanti valutano se c’è qualche

affermazione condivisa da tutti), c) criteri empirici (i parlanti valutano l’accordo tra

l’affermazione e i fatti e in che misura la descrizione dei fatti è in accordo con lo scopo

dell’affermazione).

Gli strumenti normativi sono quelli della logica dialogica di LORENZEN e di HAMBLIN e

della teoria degli atti linguistici di AUSTIN e SEARLE e degli studi di GRICE

sulle regole conversazionali. AUSTIN distingue all’interno di un atto linguistico tre tipi

di atti differenti: a) atto  locutivo (l’atto di dire certe parole) che può essere fonetico

(produzione di una sequenza di suoni), fatico (produzione di parole e frasi secondo un

certo lessico e grammatica), retico  (l’uso delle parole con un certo senso e

riferimento), b) atto illocutivo (dire una certa frase) che può essere

verdettivo (sentenza), esercitivo (nomine), commissivo (premesse), corporativo

(scuse), espositivo (dimostrazione), c) atto perlocutivo (un’azione sull’interlocutore

che ha su di lui certi effetti). SEARLE distingue a sua volta quattro tipi ciatti: a) atti enunciativi (pronunciare parole), b) atti illocutivi (affermare, domandare,

comandare, promettere), c) atti perlocutivi (persuadere, convincere, spaventare,

allarmare).

Domanda: Cosa si intende per argomentazione? Come si deve svolgere la ricerca?

VAN EEMEREN pone quattro regole metateoriche o metodologiche: a)

esternalizzazione (l’argomentazione presuppone la manifestazione di un punto di vista

seguito da una potenziale opposizione; si sottopone a pubblica verifica NON le

intenzioni dei parlanti ma soltanto ciò che è implicato dai loro atti linguistici);

b) socializzazione (l’argomentazione è un’interazione dialogica in cui i partecipantiassumono due ruoli fondamentali: protagonista e antagonista; il fine

del dialogo non è la vittoria sull’interlocutore bensì la ricerca, compiuta

congiuntamente dai parlanti, di una conclusione derivabile da certe premesse

comuni); c) funzionalizzazione (scopo di ogni discussione critica è la risoluzione del

disaccordo); d) dialettificazione (risolve un disaccordo soltanto

un’argomentazione capace di conciliare le reazioni rilevanti dell’antagonista,

imponendo di individuare un insieme di standard critici che stabiliscono una procedura

dialettica valida).

L’insieme di queste condizioni costituisce un ideale critico rispetto al quale valutareogni argomentazione. A questo punto occorre definire la natura e la distribuzione

degli atti linguistici. Alle quattro regole metodologiche VAN EEMEREN affianca 10

regole relative agli atti linguistici che servono a valutare se e quanto

un’argomentazione devia dal corso che meglio condurrebbe alla risoluzione della

disputa. Vi sono tuttavia alcune condizioni preliminari da rispettare

affinché le 10 regole possano costituire un modello normativo

adeguato di valutazione dell’argomentazione: a) la discussione argomentativa sia

ricostruita come discussione critica (argomentazione volta alla risoluzione di un

conflitto), b) i partecipanti mostrino un’attitudine cooperativa.

Dieci comandamenti relativi agli atti linguistici: 1) le parti devono consentire a sestesse di avanzare punti di vista e dubbi sui punti di vista dell’altro, 2) chi avanza un

punto di vista è obbligato a difenderlo se l’atra parte lo richiede, 3) è possibile8

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attaccare l’altra parte, colpendo direttamente il punto di vista da questa espresso,

4) è possibile difendere il proprio punto di vista avanzando argomentazioni relative a

quel punto di vista, 5) non si può rinnegare una premessa assunta implicitamente, né

presentare come premessa un’assunzione che l’altra parte abbia lasciato inespressa,

6) una parte non può presentare ingannevolmente una premessa come un punto di

partenza accettato, né può negare una premessa che rappresenta un punto di vistaaccettato, 7) non può ritenersi difeso in maniera conclusiva il punto di vista se la

difesa non ha avuto luogo per mezzo di uno schema argomentativo appropriato e

correttamente applicato, 8) usare solo argomenti logicamente

validi nella propria argomentazione, 9) la difesa di un punto di vista fallisce quando la

parte che ha avanzato il punto di vista lo ritrae. La difesa è invece conclusiva quando

l’altra parte ritrae i suoi dubbi sul punto di vista, 10) una parte non può usare

formulazioni non sufficientemente chiare, confuse o ambigue. Una parte deve sempre

interpretare le formulazioni dell’altra parte quanto più attentamente e accuratamente

possibile.

Ogni violazione di queste regole, costituendo una trasgressione del codice delladiscussione critica e quindi, in ultima analisi, un atto linguistico cheimpedisce la risoluzione di una disputa, costituisce una fallacia. Beninteso, una voltache i parlanti infrangono uno dei dieci comandamenti commettono una fallacia perchépregiudicano lo scopo dell’argomentazione: risoluzione di una differenza d’opinione eil raggiungimento di un accordo tra i parlanti. Ad esempio: è scorretto esonerarsidall’onere della prova appellandosi ad un principio di autorità- E’ altresì scorrettoavvantaggiarsi ricorrendo a formulazioni ambigue o poco chiare delle tesi proprie. Ciòche rende invalida la fallacia è il tentativo di infrangere le regole delgioco, le quali hanno come scopo proprio quello di rendere criticabili le asserzioni.Le regole del gioco sono infatti norme che caratterizzano un’argomentazione comediscussione critica. Certamente la pragma-dialettica ha il merito di dare unadefinizione unitaria di fallacia, intesa come infrazione di una regola.

Per rendere la procedura pragmaticamente significativa vi sono ben quattro tipi di

atti linguistici che possono essere compiuti nel discorso

argomentativo: a) atti assertivi (esprimono punti di vista), b) atti

direttivi (per sfidare l’altra parte a difendere il proprio punto di vista), c) atti

commissivi (quando si accetta o si rifiuta un punto di vista,

un’argomentazione, una sfida, ovvero quando ci sia accorda per

assumere i ruoli di protagonista e antagonista), d) atti espressivi (i parlanti esprimono

i loro sentimenti e servono ai fini della risoluzione dei disaccordi), e) atti dichiarativi(corrispondono agli atti perlocutivi di AUSTIN; compaiono nella

discussioni critica solo quelli “dichiarativi d’uso” che stabiliscono l’uso degli

atti linguistici come, ad esempio, le definizioni, le precisazioni, le spiegazioni).

Conclusioni.

La pragma-dialettica mira all’elaborazione di un’argomentazione che contribuisca alla

risoluzione di una disputa, determinando quali atti linguistici siano rilevanti al fine

della ricostruzione dell’argomento, imponendo una serie di operazione analitiche che

trasformano il discorso scritto. Si elimina ciò che è superfluo, si aggiunge ciò che è

implicito, si permuta l’ordine degli elementi, si sostituiscono formulazioni ambigue conformulazioni più precise. Contrariamente a quanto riteneva PERELMAN, il carattere

ragionevole di un argomento dipende, secondo i pragma-dialettici, non tanto

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dall'accordo che esso riceve da parte di un uditorio, per quanto universale possa

essere, quanto dalla sua conformità a una procedura di condotta di una

discussione incentrata sul confronto di punti di vista. Limiti. VAN EEMEREN e

GROOTENDORST riescono con i loro strumenti a descrivere molti tipi di

argomentazioni ordinarie la cui ricostruzione e valutazione dipende però dall’ideale

filosofico di discussione critica.

Capitolo 5. Logica informale secondo il “Committment in dialogue” e NEW DIALECTIC.

Un tentativo di giustificare l’approccio e i metodi propri dei logici informali viene

proposto nel “Committment in dialogue” di DOUGLAS WALTON ed ERIK KRABBE i quali

hanno cercato un fondamento teorico nella logica dialogica (LORENZEN e HAMBLIN)

e nella dialettica formale (BARTH).

WALTON e KRABBE non si occupano di regole semantiche o regole di inferenza, ma siinteressano di precisare le regole che presiedono al dialogo,

definendo quali mosse sono considerate legittime rispetto al proposito di

contribuire in modo cooperativo al goal o obiettivo al dialogo. Introducendo le nozioni

di COOPERAZIONE e di GOAL, i due autori ancorano la loro concezione alla teoria

pragmatica introdotta da GRICE e ripresa da HAMBLIN, BARTH e HINTIKKA.

Da GRICE è ripresa l’idea per cui la correttezza di un argomento debba

essere valutata nella misura in cui contribuisce cooperativamente a dirigere

la conversazione verso il suo goal.

Per “argomento” si intende un insieme di proposizioni (premesse e conclusioni)

avendo riguardo verso il contesto dialogico in cui vengono espresse

(intersoggettività). L’argomento può essere altresì inteso come un uso del

ragionamento per raggiungere l’obiettivo comunicativo di un certo tipo di dialogo.

La concezione di dialogo sviluppata da WALTON e KRABBE nasce dall’esigenza di

conciliare i risultati della logica dialogica di LORENZEN con la dialettica di HAMBLIN di

cui unifica i due aspetti – descrittivo e formale – entro un unico paradigma

denominato successivamente NEW DIALECTIC.

La NEW DIALECTIC si presenta come modello di razionalità alternativo a quello

deduttivo della geometria euclidea, privilegiando la tradizione dialettica piuttosto che

quella retorica, intendendo l’argomentazione come uno scambio convenzionale tradue dialoganti piuttosto che come discorso di un parlante ad un uditorio. La NEW

DIALECTIC recupera molte idee della dialettica antica (dai Topici di ARISTOTELE in cui

si ritiene il ragionamento possa essere sviluppato in modi diversi a seconda del tipo di

dialogo o contesto dialogico).

HAMBLIN in logica dialettica, pur connettendo la sua nozione di sistema dialettico a

quella di GOAL, non aveva fornito una vera e propria classificazione dei

sistemi dialettici in base ai tipi principali di GOAL che essi perseguono.

WALTON e KRABBE hanno sviluppato il modello di HAMBLIN fornendo una tassonomia

dei sistemi dialettici, individuando 6  contesti  dialogici caratterizzati da GOALdistinti: 1) persuasione, 2) deliberazione, 3) indagine, 4)

deliberazione, 5) ricerca di informazioni, 6) dialogo eristico (vedi nota pag. 103).

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A ciascun contesto dialogico corrisponde un set di regole che consente il

perseguimento del GOAL. Attraverso la tassonomia dei dialoghi WALTON e KRABBE

enucleano strutture normative deputate a fornire criteri logici oggettivi ma dipendenti

dal contesto per la valutazione degli argomenti. Relativamente a quest’ultimo profilo si

riprende TOULMIN, secondo il quale non vi sono criteri di valutazione degli argomenti

validi a priori in tutti i campi. La validità di un argomento dipende quindi anche dalcontesto in cui occorre e, pertanto, bisogna individuare le strutture

argomentative e i criteri di valutazione interni ad ogni campo. Tali

criteri vengono enucleati in riferimento a dei contesti dialogici. Esistono pertanto

regole che variano da contesto a contesto ma che sono invarianti rispetto ai campi

disciplinari (vedi Tabella pag. 105).

Mentre per TOULMIN solo l’esperto della logica di una particolare disciplina può valutare la validità di un

argomento, per WALTON e KRABBE c’è almeno un gruppo minimale di standard valutativi per ciascun

contesto rispetto ai quali è competente.

In TOULMIN e PERELMAN i concetti di campo, oratore, uditorio restano indeterminati. WALTON e KRABBEmediante la tassonomia dei campi mirano a determinarli intendendoli come contesti dialogici piuttosto

che come ambiti disciplinari).

Nella prospettiva di WALTON e KRABBE il parlante, ogni volta che asserisce un

enunciato, assume un impegno (committment) in ordine al quale si

vincola a tale enunciato dinanzi agli altri partecipanti all’interazione. Pertanto,

chiunque pronunci un’asserzione P si impegna, a seconda del contesto, ad una

qualche linea d’azione di tipo dialettico incentrata sulla proposizione P (dando

evidenza, non negando, difendendo P).

Il Commitment store del dialogo persuasivo (che è il contesto dialogico fondamentaledell’interpersonal reasoning) ha un lato chiaro (light side) che è dato dall’insieme di

impegni che il partecipante assume esplicitamente mediante atti

linguistici noti ad entrambe le parti e un lato oscuro (dark side) formato da impegni

assunti implicitamente. Per rendere conto sia degli impegni espliciti che di quelli

impliciti WALTON e KRABBE introducono due tipi distinti di modelli formali di dialogo

persuasivo: a) permissivo e b) rigoroso, ciascuno caratterizzato da un

set di regole.

Il dialogo persuasivo permissivo è caratterizzato da regole d’introduzione e

ritrazione degli impegni piuttosto flessibile e dalla capacità maieutica di far emergere i

dark side commitments che si presume stiano alla base degli impegni in chiaro deipartecipanti.

Il dialogo persuasivo rigoroso presenta regole più restrittive d’introduzione e

ritrazione degli impegni sicché ogni parte si limita a mettere in questione o ad

attaccare soltanto gli impegni espliciti dell’avversario. Il dialogo rigoroso è inteso

come sottodialogo incastrato nel dialogo permissivo (c’è dunque uno SHIFT

di scarto).

 Teoria delle fallacie e presumptive reasoning.

WALTON e KRABBE introducono la distinzione tra FALLACIA ARGOMENTATIVA (fallacy)intesa come violazione di regole e DEBOLEZZA ARGOMENTATIVA intesa come

strategia cattiva ma non illegale (weakness). Il passaggio da un dialogo permissivo ad11

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un dialogo rigoroso (“passaggio in altro”) può rappresentare un

processo virtuoso di approfondimento del rigore della discussione, ma anche risultare

inappropriato e subdolo. Lo SHIFT illecito tra contesti è associato a ciò normalmente

prende il nome di fallacia. Gli argomenti che la logica tradizionale ha

identificato come fallacie sono generalmente argomenti in cui si ha violazione delle

regole di un contesto dialogico che produce uno SHIFT illecito e che non contribuiscepiù al perseguimento dei GOAL del contesto originale.

Secondo WALTON e KRABBE, le fallacie devono essere studiate non più come

argomenti che sembrano validi ma non lo sono, bensì come tecniche argomentative

che consistono per lo più nel produrre uno SHIFT da un contesto ad un altro e che

possono essere usate in modi differenti all’interno di differenti contesti di

dialogo, talvolta in modo ragionevole (raggiungendo i GOAL di un dialogo), talvolta

illegittimamente (ostacolando i GOAL di un dialogo).

Secondo WALTON esiste una forma di ragionamento (presumptive reasoning) la cui

struttura inferenziale non è riconducibile alle forme induttive e deduttive della logica

tradizionale. I ragionamenti presuntivi sono tali perché l’inferenza che li

sostiene ha carattere presuntivo: le premesse, se accettabili, comportano

l’accettabilità della conclusione ma il nesso potrebbe essere attaccato e rigettato in

circostanze particolari. Per valutare un argomento dato in un caso particolare occorre

sempre porre in relazione tale argomento allo schema di cui è un’istanza.

L’argomento deve essere valutato in relazione al contesto di dialogo in cui

occorre, dato che lo stesso argomento potrebbe essere ragionevole in un certo

contesto di dialogo ma illecito in un altro.

WALTON e KRABBE con il “Commitment in Dialogue” si fanno carico di risolvere ilproblema di come conciliare l’approccio descrittivo al dialogo e la ricostruzione

normativa. Il modello da loro sviluppato si propone di colmare il gap

che sussiste tra sistemi dialogici rigorosi e normativi ma poco realistici (LORENZEN) e

sistemi dialettici rigorosi e realistici ma poco normativi (HAMBLIN); dall’altro,

tra sistemi realistici ma non rigorosi né normativi (HAMBLIN) e sistemi normativi non

matematicamente rigorosi ma abbastanza realistici quali la PRAGMA-DIALECTICS di

VAN EEMEREN e GROOTENDORST.

WALTON ha osservato che alcune forme di ragionamento proprie dell’argomentazione

quotidiana e studiate dalla NEW DIALECTIC quali il ragionamento presuntivo el’abduzione possono giocare un ruolo importante nel campo informatico e nella

costruzione di esperti sistemi basati su logiche non monotone (vedi pag. 120).

Capitolo 6. Razionalità discorsiva: pragmatica universale di HABERMAS

Secondo HABERMAS, ogni atto linguistico presenta due componenti: a) componente

 proposizionale (mondo dell’esperienza), b) componente di tipo performativo (implicita

o esplicita) che si riferisce al tipo di intesa che parlante e interlocutore instaurano

nelle relazioni intersoggettive. Questa doppia struttura fa sì che vi siasempre un piano meta comunicativo di tipo  pragmatico che istituisce una relazione

intersoggettiva tra i partecipanti all’interazione. Si parla di razionalità discorsiva

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perché discorsiva è la relazione che il parlante propone all’ascoltatore nell’atto di

proferire la frase. Tale relazione è altresì dialettica e dialogica.

Sul piano normativo, HABERMAS premette che in ogni interazione discorsiva i parlanti

sono soliti assumere attraverso la componente performativa una serie di impegni o

obbligazioni dialogiche che vengono chiamati pretese di validità. Tali pretese, chegli interlocutori possono accettare o respingere adducendo delle ragioni, sono

universali in quanto avanzate in ogni atto linguistico sensato che possa essere

prodotto da un parlante.

  Tali pretese di validità sono distinte in quattro tipi diversi: a) comprensibilità (il

parlante pretende di dire qualcosa di sensato e comprensibile agli altri), b) verità (il

parlante pretende di dire qualcosa proposizionalmente vero e condivisibile dagli altri),

c) veridicità (il parlante deve voler esprimere in modo veritiero le sue intenzioni di

modo che l’ascoltatore possa credervi), d) giustezza (il parlante deve scegliere

espressioni corrette in riferimento a norme e valori dati, di modo che esse siano

accettabili per l’ascoltatore ed entrambi possano concordare sulla base di uno sfondo

normativo comune e riconosciuto). In tal modo i parlanti

presuppongono in ogni atto comunicativo che sia possibile raggiungere un’intesa

valida, cioè un consenso razionalmente motivato.

Domanda: Cos’è per HABERMAS un’argomentazione? E’ il tipo di discorso in cui i

partecipanti tematizzano pretese di validità controverse e cercano di soddisfarle

mediante argomenti. L’argomento è una sequenza di atti linguistici contenente ragioni

legate alla pretesa di validità. Non si tratta di validità relativa al campo in quanto le

pretese possono apparire in campi e contesti diversi, manifestando un’unica

razionalità argomentativa.

Pertanto, i partecipanti ad una interazione dialogica si impegnano non soltanto ad

osservare le regole specifiche che identificano la struttura normativa di tale contesto

(come accade nella NEW DIALECTIC), ma anche al rispetto delle regole

metacontestuali e universali che essi sottoscrivono nel momento in cui sollevano

pretese di validità.

Per produrre un consenso razionale è necessario vengano soddisfatte determinate

condizioni normative (uguaglianza, possibilità per tutti gli interessati a prendere parte

al discorso e a muovere da obiezioni critiche) che rappresentano presupposti

inevitabili di tipo contro fattuale. Tali condizioni devono essere anticipate in ogni

comunicazione come idealmente soddisfatte, ma possono essere usate anche come

criteri regolativi per valutare la razionalità critica del consenso raggiunto.

HABERMAS distingue il diskurs (discussione critica in cui alcune pretese di validità

divenute problematiche siano messe in discussione) dalle interazioni discorsive

ordinarie in cui si accettano pretese di validità in maniera ingenua.

Nella c.d. teoria dell’agire comunicativo, HABERMAS distingue le azioni comunicative

(volte all’intesa) e le azioni teleologiche (orientate al successo). Le prime

azioni sono considerate più importanti. Tale distinzione identifical’agire comunicativo con le razionalità argomentativa del linguaggio.

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Il concetto habermasiano di razionalità volta all’intesa tiene assieme tre aspetti

dell’argomentazione presenti in Aristotele: retorica, dialettica e logica.

L’argomentazione è un’impresa retorica volta alla persuasione di un uditorio

universale perché volta al raggiungimento di una intesa dialettica che riprende

altresì esigenze proprie della logica informale nella misura in cui si basa sul

soddisfacimento di pretese di validità generale.

Rispetto all’INFORMAL LOGIC, la logica informale dell’argomentazione di HABERMAS

ha uno scopo più ampio perché volta a delineare un modello universale ed unitario di

razionalità umana. La teoria habermasiana è un’indagine

filosofica sulla natura e sulle condizioni dell’argomentazione intesa non come pratica

argomentativa concreta ma come espressione della razionalità umana.

Capitolo 7. Razionalità inferenziale e semantica: pragmatica normativa di BRANDOM.

La pragmatica normativa di BRANDOM è incardinata su due concetti: a) impegno

(committment), b) titolo (entitlement). Per impegni si intende le

affermazioni cui i soggetti parlanti si vincolano quando avanzano pretese di validità.

Per titoli si intende invece le ragioni, giustificazione che i soggetti parlanti sono pronti

a dare su richiesta.

Il linguaggio è concepito come pratica normativa descritta nei termini di impegni

discorsivi a dare e a chiedere ragioni (logon didonai). La pragmatica normativa di

BRANDOM presenta significative analogie con la pragmatica formale di HABERMAS

nella misura in cui è orientata dialogicamente, dialetticamente e

intersoggettivamente. Essa concepisce il linguaggio in termini normativi assegnando

priorità normativa ed esplicativa al contesto linguistico della discussione critica.

BRANDOM, pur connettendo come HABERMAS gli impegni dialogici al contesto della

discussione critico-razionale non introduce presupposizioni idealizzanti quali la

“situazione linguistica ideale” per dar conto del senso ultimo della razionalità,

attirandosi da parte di HABERMAS l’accusa di non saper distinguere

il consenso fattuale da quello razionalmente legittimo.

Domanda: Qual è il contesto argomentativo prospettato dalla pragmatica normativa?

BRANDOM parla di scorekeeping, che è un’interazione entro la quale i partecipantitengono un registro continuamente aggiornato degli impegni e dei titoli di ciascun

partecipante al dialogo e quindi dei punti messa a segno da ciascuno. Lo scorekeeping

ha una funzione analoga a quella ricoperta dalla nozione di Commitment store

(HAMBLIN: ogni interlocutore deve essere coerente con le proprie affermazioni

precedenti).

Capitolo 8. Pragmatica trascendentale di KARL O APEL.

Mentre nella pragmatica formale HABERMAS avanza una pretesa di universalità

quanto ai presupposti necessari dei processi di comprensione linguistica, pur restando

un sapere ipotetico e rivedibile (non c’è distinzione tra analisi logica ed empirica) inquanto ciascuna conferma o correzione rimane demandata a test empirici, la

pragmatica trascendentale, pur condividendo la teoria degli atti linguistici e della

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comunicazione habermasiana, si distingue per ciò che concerne la giustificazione della

teoria stessa. La giustificazione offerta da APEL si configura come strategia di

fondazione ultima ottenuta non più per via ricostruttiva bensì attraverso una

modalità strettamente riflessiva. APEL avanza così una pretesa di infallibilità del

discorso (sciogliendo il nesso habermasiano tra discorso e logica empirica) laddove le

norme fondamentali si mostrino inaggirabili condizioni di possibilità di ognicomprensione linguistica.

HANS ALBERT ha argomentato contro HABERMAS e APEL che ogni tentativo di

giustificazione ultima è destinato a cadere nel trilemma di Munchausen. ALBERT

sostiene che ogni tentativo di fondazione ultima è destinato a ricadere in

uno dei corni del trilemma, vale a dire in un regresso all’infinito, in una

presupposizione arbitraria o in una petitio principii.

DOMANDA: se le regole dell’argomentazione sono norme in base alle quali si

giustificano altre norme, allora sono necessarie norme di terzo grado per giustificarle?

non rischio in questo modo un rinvio all’infinito non ulteriormente motivabile

argomentativamente? in realtà non si tratta di giustificare proposizioni normative

mediante altre proposizioni normative, bensì di giustificare in ultima analisi

l’argomentazione mediante norme pragmatiche che non riguardano (come accade

nelle regole logiche) soltanto le proposizioni, ma regolano costitutivamente i

comportamenti dei parlanti. Chi provasse a negare argomentativamente tali regole

incorrerebbe in una autocontraddizione performativa di tipo pragmatico, in

quanto verrebbe a negare i presupposti pragmatici della sua stessa affermazione.

Critiche.

La necessità di ricorrere alla strategia della fondazione ultima per evitare il regresso

infinito è affermata sulla base di presupposti discutibili. Le norme individuate dalla

teoria dell’argomentazione hanno statuto logico-discorsivo differente. Gli impegni

discorsivi presentano un’articolazione plurale e possono avere diverse condizioni di

accettabilità di modo che risulta discutibile l’idea di farli derivare deduttivamente o

riflessivamente da un unico impegno fondamentale. Gli impegni sembrano essere

intesi come norme cui ci si vincola autonomamente e responsabilmente

nell’ordine della possibilità e non della necessità. Diversamente, le regole

inaggirabili sembrano imporsi autoritativamente in virtù delle loro caratteristiche

oggettive, implicando un riconoscimento automatico della loro validità come qualcosadi dato, necessario e irrefutabile. Inoltre, la giustificazione riflessivo-

trascendentale non è un argomento definibile dialogicamente e dialetticamente.

I ragionamenti dialettici, insegna ARISTOTELE, muovono sempre da endoxa e possono

quindi assicurare la validità di una proposizione nella misura in cui

presuppongono sempre una qualche base di validità non messa in discussione

dall’argomento stesso. TOULMIN afferma che nessuna argomentazione può iniziare se

non si assumono almeno provvisoriamente alcuni warrants del campo. Ciò dunque

vale anche per la giustificazione pragmatica-trascendentale, la quale deve

necessariamente poggiare su presupposti teorici fallibili e assunzioni fattuali a loro

volta non giustificate riflessivamente.

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Capitolo 9. Riflessione sui modelli di razionalità.

La PRAGMA-DIALECTICS (di VAN EEMEREN e GROTENDORST) assume (in base ad una

scelta etica) un ideale di razionalità critica, ricavando da questo un

sistema di norme valutative. Nella NEW DIALECTIC, WALTON ammette una pluralità di

impegni dialogici e, a differenza di HABERMAS, non individua pretese divalidità universali indipendenti dai contesti in cui si incarnano. I concetti normativi

specificano così un set di regole differenti a seconda dei contesti

dialogici. Secondo WALTON e KRABBE la cooperazione in vista

degli obiettivi comunicativi sembra essere la forma di razionalità comune ai vari tipi di

dialogo. A differenza di PERELMAN, TOULMIN e

HABERMAS, WALTON non subordina il concetto di razionalità alla nozione di giudice

razionale. Egli introduce la nozione di commitment store e la figura del giudice

razionale è sostituita da quella del parlante razionale , cioè colui che è in grado di tener

conto di tutti gli impegni presi durante il dialogo, come lo scorekeeper  nella

pragmatica normativa di BRANDOM. HABERMAS e APEL richiamanol’ideale di un uditorio universale e di una comunità ideale della comunicazione.

BRANDON richiama il carattere oggettivo delle inferenze semantiche fondamentali

indipendenti dall’attività soggettiva degli scorekeepers.

Capitolo 10. Fondazione e giustificazione.

Una teoria dell’argomentazione può definirsi normativa non solo in quanto fornisce

una serie di regole in base alle quali valutare le argomentazioni,

ma anche (livello metateorico) nella misura in cui si preoccupa di giustificare le normeargomentative fornite o la teoria stessa. Si parla, a riguardo, di livello fondativo

che serve a giustificare un argomento. Tale fondazione può assumere molteplici

forme: a) grado zero (no esigenza fondativa), b)

forma empirica (appello all’esperienza, al funzionamento effettivo delle pratiche

argomentative da cui le regole traggono origine o in cui sono assunte come valide),

c) forma pragmatica (fondazione regole in base all’analisi dei costi e dei benefici,

ovvero ad una analisi comparativa dei mezzi impiegati e degli scopi assunti), d)

teleologica (orientata allo scopo, regole giustificate in base al fine interno del dialogo o

della comunicazione), e) coerenteristica (creazione di un’unica cornice sistematica), f)

in senso assoluto (fondazione ultima che può procedere in senso deduttivo oppure insenso riflessivo-trascendentale, vedi APEL).

HABERMAS si colloca a metà strada tra fondazione in senso assoluto e quella empirica;

HAMBLIN e BARTH riprendono la fondazione pragmatica e in parte anche quella

coerenteristica; la PRAGMA-DIALECTICS ha un approccio quasi

coerenteristico nella misura in cui sviluppa una cornice unitaria per lo studio

dell’argomentazione, ma anche pragmatica e teleologica (pensiamo all’ideale

filosofico della razionalità assunto in base ad una scelta etica non ulteriormente

giustificabile; infine, una giustificazione di tipo coerenteristico è offerta da BRANDOM.

Capitolo 11. Argomentazione e pratiche sociali.

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Secondo TOULMIN, accanto alle forme di argomentazione e alle regole di inferenza del

ragionamento logico-deduttivo e scientifico-induttivo esistono altre forme di

argomentazioni proprie del ragionamento etico. Vi sono dunque criteri

per distinguere nel campo etico le buone dalle cattive ragioni, gli argomenti

moralmente validi da quelli che non lo sono.

Le regole di inferenza valutativa presenti in TOULMIN prendono il nome di proposizioni

morali in HARE, fungendo da premesse sostanziali dell’argomentazione nel

ragionamento pratico all’interno di una comunità linguistica. Nella concezione

prescrittivistica di HARE i giudizi di valore implicano degli imperativi in quanto hanno

la funzione di raccomandare o prescrivere condotte. Dall’analisi delle espressioni

morali HARE ricava una serie di regole logiche dell’argomentazione pratica che

definiscono il senso della razionalità morale.

Per HARE sono regole logiche del ragionamento morale: a) il  principio di

universalizzabilità  (se prescrivo “Si deve fare X” allora sottoscrivo

implicitamente l’ulteriore prescrizione universale “Chiunque, in situazioni simili sotto

gli aspetti rilevanti, deve fare X”), b) il principio di prescrittività  (se enuncio il

giudizio morale “Si deve fare X” allora sottoscrivo anche l’imperativo “Fa

X”). Trattasi di regole formali procedurali che definiscono il gioco linguistico della

morale ma non definiscono il grado di generalità secondo cui dovrebbero essere

applicate.

Nel dibattito in lingua tedesca l’incrocio tra riflessione morale e teoria

dell’argomentazione ha dato luogo a diversi tentativi di articolare e giustificare

un’etica dell’argomentazione.. Dalla scuola di Erlangen e da APEL negli anni ’70 è

stato lanciato il progetto di un’etica normativa di tipo dialogico.  Tale progetto èstato ripreso e sviluppato da LORENZEN e SCHWEMMER (applicando il metodo

costruttivista all’etica) con la c.d. etica ricostruttivista: essa, per

prendere avvio, deve muovere da un presupposto non accertato metodicamente, vale

a dire lo scopo dell’etica. Ne discendono regole vincolanti per coloro che accettano

per libera scelta lo scopo dell’etica. Attraverso questo procedimento, SCHWEMMER

ricava due principi dell’argomentazione: a) principio della deliberazione razionale che

avanza una richiesta di coerenza (postulato di generalizzabilità che combina il

principio di universalità e prescrittività), b)  principio della morale che avanza una

richiesta di compatibilità.

INTEGRAZIONE: Lo scopo dell’etica consiste nella eliminazione di conflitti senza l’uso della forza e quindi

deve stabilire i principi che devono governare il discorso. Innanzitutto deve essere soddisfatta la richiesta

essenziale della produzione di un uso comune delle parole, cercando di rilevare ambiguità,

indeterminatezze, nonsensi e componenti emotive dei significati. Il principio di deliberazione richiede

vengano realizzati tre livelli di comunanza: a) stesso uso delle parole, b) chi propone all’interlocutore di

assumere un enunciato deve accettarlo egli stesso, c) affinché la comunanza delle parole e degli

enunciati vada oltre i partecipanti del discorso è necessario che le parole siano insegnabili a tutti, gli

enunciati siano accettabili da tutti. Se questi tre livelli vengono accettati si potrà dire di aver ottenuto una

deliberazione razionale.

Nelle deliberazioni pratiche parimenti si possono individuare tre livelli di giustificazione: a) indicazione

dello scopo, b) indicazione di uno scopo attraverso l’indicazione di una norma, c) giustificazione di una

norma. La giustificazione di secondo livello corrisponde alla connessione tra principio di universalizzabilitàe di prescrittività compiuta da HARE, richiamando anche il principio di generalizzazione di HABERMAS

secondo il quale è necessario che ciascuno debba accettare la norma oggetto di discussione.

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La richiesta di coerenza, sollevata da tale principio, non basta per eliminare il conflitto senza l’uso della

forza poiché persone diverse possono sostenere in modo coerente norme incompatibili. Viene in soccorso

il principio della morale, in base al quale se A e B hanno posto come giustificazione dei

loro scopi due norme incompatibili, queste norme vanno considerate norme inferiori sicché sarà

necessario risalire alla norma superiore che possa conciliare le posizioni di A e B e, una volta individuata,

far discendere le eventuali (nuove) norme inferiori che siano compatibili e condivise.

L’etica del discorso elaborata da APEL segue la strategia della giustificazione

trascendentale (vedi supra) e mira ad estrapolare dai presupposti inaggirabili del gioco

linguistico argomentativo una serie di regole logiche e un’etica minimale.

INTEGRAZIONE: Secondo il nostro autore, infatti, bisogna ipotizzare l’esistenza di un

apriori della comunicazione, come garanzia dell’autenticità di qualsiasi espressione o

comprensione linguistica: senza gli altri - cioè senza una potenziale comunità di

comunicazione cui fare riferimento - il mio pensiero non avrebbe senso. E la

relazionalità comunicativa permea non solo ogni pensiero, ma anche ogni azione

umana. L’orizzonte trascendentale è allora la base su cui si fonda tutta la problematica

etica. Secondo APEL, infatti, pragmatica trascendentale ed etica si intrecciano in modoindissolubile nella scoperta della categoria della comunità di comunicazione, alla luce

della quale viene fondata la norma etica del discorso e la

responsabilità morale del singolo uomo. Back to Manuale: secondo APEL tutti hanno

l’obbligo morale di ricercare e osservare norme capaci di consenso in quanto capaci di

soddisfare tutte le pretese reciproche tra loro compatibili.

Secondo APEL esiste un principio etico-normativo del reciproco riconoscimento tra

membri della comunicazione, che si considerano tra loro soggetti capaci di

contribuire egualmente al discorso, essendo dotati di eguale diritto di parola e ascolto

(principio di giustizia), orientati alla cooperazione in vista di una soluzione

argomentativa di problemi (per solidarietà e corresponsabilità).

Il tentativo di una fondazione ultima dell’etica consiste nella pretesa di derivare la

pluralità degli impegni normativi-logici ed etici da un unico impegno fondamentale.

INTEGRAZIONE: HABERMAS instaura un dialogo proficuo con APEL: i due autori sono

convinti che chiunque partecipi a un’argomentazione razionale sensata presupponga

implicitamente alcune pretese universali di validità: 1) giustezza: ogni dialogante deve

rispettare le norme della situazione argomentativa: ad esempio,

ascoltare le tesi altrui o ritirare le proprie, qualora si siano dimostrate false; 2) verità:

ogni dialogante deve formulare enunciati esistenziali appropriati; 3) veridicità: ognidialogante deve essere sincero e convinto dei propri asserti; 4) comprensibilità: ogni

dialogante deve parlare in modo aderente al senso e alle regole grammaticali. Se

anche una sola di queste quattro pretese non è soddisfatta, allora crolla la possibilità

di un’intesa tra gli interlocutori. Naturalmente, queste pretese implicano che la

comunicazione avvenga tra soggetti liberi, senza condizionamenti, autorità o interessi,

ma soltanto sulla base della capacità di convincimento delle ragioni migliori. Tutte

queste pretese hanno un valore etico oltre che logico: a tal punto che esse danno vita

a una vera e propria “etica del discorso”; quando tutte le pretese

sono soddisfatte, si ha la “situazione discorsiva ideale”, ossia un modello di società

giusta incentrata sull’uguaglianza dei dialoganti. Una siffatta società coincide col

modello di comunità democratica composta da uomini uguali, liberi e dialoganti su

questioni collettive nel tentativo di risolvere razionalmente i propri conflitti di interessi.

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L’etica del discorso di HABERMAS si presenta come teoria della razionalità morale che

pone come regola di inferenza argomentativa fondamentale dei discorsi morali il

principio di universalizzazione, giustificabile non per via

trascendentale bensì tramite la ricostruzione delle intuizioni naturali dei parlanti.

Secondo HABERMAS, ogni norma valida deve ottemperare alla condizione che le

conseguenze e gli effetti secondari possano venire accettati senza costrizione da tutti isoggetti coinvolti. Tale principio impone l’obbligo di giustificare universalmente le

norme con ragioni morali rispondenti all’eguale interesse di tutti e

accettabili da ciascun individuo umano. Secondo HABERMAS, è giustificabile

l’affermazione solo se accettabile per ciascun individuo umano che

venisse a trovarsi nella stessa situazione (per HARE:

colui che giudica razionalmente, per essere giustificato nella sua affermazione, deve

chiedersi se sarebbe disposto ad accettare le conseguenze della regola morale

espressa qualora si trovasse nella situazione del diretto interessato).

Capitolo 12. Diritto e politiche dell’argomentazione.

La teoria dell’argomentazione influenza anche la teoria del diritto. TOULMIN assume la

giurisprudenza a modello della logica dell’argomentazione, finendo per proporre una

concezione della logica come giurisprudenza generalizzata. PERELMAN ha trovato

nella controversia giuridica una importante fonte di osservazione ed analisi degli

argomenti retorici, orientando i suoi interessi nello studio della logica giuridica e teoria

generale del diritto. TOULMIN e PERELMAN cercano di spiegare come una decisione

giurisprudenziale possa considerarsi razionale. Quest’ultimo enuncia il c.d. principio

della giustizia formale, in base al quale una decisione, una volta presa, non può

essere mutata se non per ragioni sufficienti (importanza del precedente). Pertanto,

regola generale è quella secondo cui è necessario trattare casi uguali

in modo uguali. La regola di giustizia formale, come il principio di universalizzazione,

non precisa quando due casi facciano parte della medesima categoria né il tipo di

trattamento da adottare.

Il principio di giustizia formale è stato ripreso anche da MAC CORMICK secondo il qualela pretesa giurisprudenziale di correttezza comporta implicitamente l’affermazione

della legittimità di tale pretesa in qualunque altra situazione simile.

 Teoria del caso particolare.

ALEXY intende l’argomentazione giuridica come un caso particolare

dell’argomentazione pratica generale. Il discorso giuridico è un discorso pratico

che si svolge entro condizioni limitative di natura positiva e procedurale (vincolo della

legge, considerazione dei precedenti, dogmatica giuridica, regole dell’ordine

processuale). Tali limitazioni sono necessarie per pervenire a decisioni pratiche in un

lasso di tempo ristretto ma anche da un punto di vista razionale. L’introduzione di

regole giuridiche che permettono di decidere tra più soluzioni possibili è un tramite

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necessario per la realizzazione della ragion pratica. La tesi del

caso particolare non sta ad indicare che l’argomentazione si riduca all’argomentazione

pratica poiché è possibile - salvo si tratti di argomenti specificamente giuridici –

ricorrere a criteri diversi da quelli elaborati per il discorso pratico generale.

Secondo ALEXY non vi è dunque una totale coincidenza tra regole dell’argomentazionegiuridica e regole dell’argomentazione pratica. Inoltre, la pretesa di correttezza

giuridica, sottostando a limitazioni procedurali e positive, coincide solo parzialmente

con la pretesa di correttezza pratica generale (vedremo che HABERMAS si oppone a

questa tesi). Le decisioni giuridiche infatti sono qualificabili come razionalmente

motivabili nel quadro del diritto e per tale ragione non si considerano assolutamente

razionali.

Secondo HABERMAS, non ha senso parlare di razionalità parziale del discorso giuridico.

Per essere razionale una decisione giuridica deve presupporre la razionalità del

legislatore e a sua volta la razionalità del processo di deliberazione politica, altrimenti

verrebbe messa in discussione (una decisione ritenuta parzialmente razionale

potrebbe essere messa in discussione o essere in ogni caso relativizzata). Sulla base di

ciò HABERMAS rifiuta la tesi del caso particolare perché condurrebbe alla

sottomissione del diritto alla morale. Secondo HABERMAS esiste un principio

generale  del discorso D (diverso da U) che si pone al di sopra del diritto e della

morale (U). In base al principio D sono valide soltanto le norme d’azione che tutti i

potenziali interessati   potrebbero approvare partecipando a discorsi razionali. Tale

principio avanza una richiesta di imparzialità, ma non specifica quale contenuto

devono avere le norme da approvare e, infine, sembra ignorare la richiesta di

universalità e uguaglianza dei diritti.

Ne discende che i discorsi  morali soggiacciono al   principio U (che si pone come

specificazione del principio D) e sono giustificati universalmente soddisfacendo la

richiesta di uguaglianza dei diritti. I discorsi politici-giuridici soggiacciono al  principio

democratico (che si pone come specificazione del principio D), in base al quale

possono pretendere validità legittima soltanto le leggi approvabili da tutti i consociati

in un processo discorsivo di statuizione a sua volta giuridicamente costituito. N.B. Il

principio democratico scaturisce dall’intreccio tra principio del discorso e forma

giuridica.

La validità del discorso giuridico non è assimilabile alla validità del discorso morale: tradiritto e morale non vi sarebbe così un rapporto di gerarchia normativa, ma piuttosto

un rapporto di complementarità. La ragionevolezza del ragionamento

giuridico va commisurata alla ragionevolezza del procedimento politico-democratico e

della legislazione politica. Infine, secondo HABERMAS, la democrazia è la forma

politica migliore per istituzionalizzare in forma procedurale il principio D.

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