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All’Interno NEWS: Husqvarna 701 Enduro | Kawasaki SC 01 Spirit Charger e Z125 | Yamaha Motobot | Lezioni di enduro con Gio Sala: la discesa | MOTOGP: DopoGP con Nico e Zam. Il GP di Sepang | KTM RC16, prime foto della MotoGP Numero 219 03 Novembre 2015 77 Pagine Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica Scarica l’APP del Magazine Novità 2016 Triumph Bonneville T120, Black, Thruxton, Thruxton R e Street Twin Nico Cereghini Pressione e scoppi irregolari Prova Aeon Elite 400 Crescono cilindrata, dotazioni e prestazioni ma non cambia lo stile | PROVA SUPERSPORTIVA| HONDA RC 213V-S da Pag. 02 a Pag. 13

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All’InternoNEWS: Husqvarna 701 Enduro | Kawasaki SC 01 Spirit Charger e Z125 | Yamaha Motobot | Lezioni di enduro con Gio Sala: la discesa | MOTOGP: DopoGP con Nico e Zam. Il GP di Sepang | KTM RC16, prime foto della MotoGP

Numero 21903 Novembre 2015

77 Pagine

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Novità 2016Triumph Bonneville T120, Black,Thruxton, Thruxton R e Street Twin

Nico CereghiniPressione e scoppi irregolari

Prova Aeon Elite 400Crescono cilindrata, dotazioni e prestazioni ma non cambia lo stile

| PROVA SUPERSPORTIVA|

HONDA RC 213V-Sda Pag. 02 a Pag. 13

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HONDA RC 213V-S Abbiamo provato sul circuito di Valencia la straordinaria MotoGP “omologata” prodotta in piccola serie da Honda. Un sogno di perfezione riservato a pochissimi di Francesco Paolillo

PROVA SUPERSPORTIVA

Honda RC 213V-S Prezzo 192.000 €PREGI Esclusività e realizzazione DIFETTI Prezzo

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L ucida follia. Questo è il primo pensiero che balena nella mente non appena si posa lo sguardo su questa Honda, moto unica nel suo genere, nata da un’idea affascinante e ardita al tempo

stesso, che ha preso forma ai piani alti del quar-tier generale Honda in Giappone. Bando ai meri calcoli statistici di un mercato potenziale, prag-matismo e razionalità giapponese: per questa volta sono rimasti chiusi nel cassetto mentre sulla scrivania rimane la capacità tecnologica di un costruttore che si è permesso di fare quello che nessun altro ha mai voluto, o forse, non era mai riuscito a fare. L’idea affascinante era quel-la di riuscire a omologare per l’utilizzo su strada una vera MotoGP, mantenendo in tutto e per tutto le caratteristiche tecniche dei principali

componenti: motore, ciclistica ed elettronica. Un progetto, o meglio una sfida, che i tecnici Honda hanno vinto con pochi compromessi e, naturalmente, qualche difficoltà. L’esclusività e l’unicità della RC 213V-S si pagano care, ovvero 203.300 € IVA e kit di potenziamento compre-si: ai 192.000 della versione “base”, infatti, ne vanno aggiunti solamente (e non è ironico) altri 11.000 per la gioia di calvalcare una formidabile “quasi open”. Un prezzo che non dovrebbe spa-ventare i potenziali clienti (beati loro) e che non deve far gridare allo scandalo, tenendo conto del fatto che ogni singolo componente è realizzato e assemblato a mano con cura maniacale ed è frutto del lavoro di tecnici e operai specializzati. Ne saranno realizzati circa 250 esemplari, do-podiché chi vorrà comprarla dovrà solamente aspettare che qualche fortunato possessore

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decida di disfarsene. Pare che sul suolo italico ne perverranno circa una ventina di esemplari.

Il motoreRiuscire a far rientrare il V4 di 90 gradi della RC213V all’interno del quadro normativo Euro 3 deve essere stato un impegno improbo per i tecnici Honda, che però hanno raggiunto l’obiet-tivo riuscendo sulla versione omologata strada-le a raggiungere anche un livello di affidabilità di tutto rispetto, con intervalli di manutenzione ogni 12.000 chilometri. Per arrivare a questi risultati si è dovuto abbandonare il controllo pneumatico delle valvole e limitare il regime di rotazione massimo entro i 12.000 giri, con una potenza massima erogata di 159 cv a 11.000 giri. La coppia si attesta a 10,4 kgm a 10.400 giri. Il cambio seamless, del resto non presente

nemmeno sulla versione Open ma solo sulla Mo-toGP factory, è sostituito da un più longevo sei marce estraibile dotato di quickshifter. La di-stribuzione pneumatica cede il posto a molle di richiamo con un comando che resta a cascata d’ingranaggi. L’impianto di scarico prevede due catalizzatori e una coppia di silenziatori di di-mensioni incredibilmente ridotte che non distur-bano la linea né, soprattutto, gli ingombri della moto. Un’altra differenza con la moto “ufficiale” è che, pur mancando il blocchetto di accensione su entrambe, la “S” è dotata di Keyless. Si deve trovare uno spazietto nella tuta per il suo allog-giamento. Nel caso in cui si voglia liberare il V4 dai vincoli normativi, e quindi adottare lo scarico in titanio nonché l’Eprom per la centralina che innalza di ben tremila giri il regime di rotazio-ne massimo, la potenza sale a 215 cv erogati a

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13.000 giri (coppia massima 12,4 kgm a 10.500 giri) mentre il peso scende da 170 a 160 kg. Il pacchetto elettronico che monta la RC213V-S potrebbe apparire sottotono in termini di fun-zionalità (launch control et similia) rispetto alle dotazioni di alcune supersportive di ultima ge-nerazione, ma prima di dare giudizi avventati si deve tener conto di alcuni fattori. Prima di tutto il fatto che questa moto é in tutto e per tutto figlia della RC213V, che non prevede per regolamento ausili elettronici paragonabili a quelli delle sporti-ve stradali; secondo, a nostro giudizio, arricchire la dotazione con sistemi di controllo nati in un se-condo tempo e per un altro tipo di utilizzo, avreb-be potuto snaturare il progetto e avrebbe creato una sorta di filtro con quelle che sono le sensa-zioni dure e pure che questa moto riesce a tra-smettere. Godiamoci quindi le magnifiche doti di guida di questo gioiello tecnologico, potendo

intervenire e regolando i parametri riguardanti la potenza massima (3 livelli), controllo di trazione (9 livelli) e freno motore (4 livelli), tutti operanti sulla base dei dati ricevuti da una raffinatissima piattaforma inerziale.

Sport KitDifficile credere che i clienti di questa splendi-da creatura possano resistere alla tentazione di montare lo Sport Kit sulla RC213V-S, un vero e proprio grimaldello che spalanca le porte del Paradiso o dell’Inferno – a seconda dei punti di vista. Possiamo capire gli sforzi fatti dai tecnici Honda per rendere piacevole e utilizzabile questo mostro a due ruote su strada, ma la Kit é un’altra cosa, e per provare sensazioni davvero racing, come già detto, l’esborso ulteriore è davvero ir-risorio, in relazione al valore del “giocattolo” in questione. E che giocattolo! Via il gruppo ottico

anteriore e al suo posto si monta un convoglia-tore d’aria che accresce la portata e che, grazie alla Eprom specifica per la centralina, dà più fiato al quattro cilindri che riceve, oltre a quattro can-dele specifiche, anche un impianto di scarico in titanio libero di gridare la sua cattiveria, privo di catalizzatori e silenziatori. Il cambio diventa “ro-vesciato” e riceve un sensore con cella di carico per il quick shift con cinque regolazioni differen-ti, mentre le pastiglie freno vengono sostituite da quelle specifiche per uso in pista, e la leva freno riceve un utile comando remoto per la doverosa regolazione. A esaltare, o stroncare, le velleità di guida del pilota ci pensa un datalogger che per-metterà di visualizzare e quindi analizzare i dati relativi alla guida memorizzati su una chiavetta USB. Non possono mancare, in ottica racing, una serie completa di rapporti per adattare al meglio la RC213V-S ai diversi circuiti, due cavalletti e un telo per proteggerla dalla polvere, anche se co-prirla é davvero un peccato!

CiclisticaTelaio e forcellone della RC213V-S sono entram-bi in alluminio e prevedono parti forgiate, fuse e pressofuse, assemblate manualmente con una metodologia identica a quella che viene utilizza-ta per la RC213V da tecnici e operai altamente specializzati. Naturalmente la ciclistica è in par-te regolabile, si può quindi intervenire, oltre che sull’angolo di sterzo e sull’altezza del posteriore, sul posizionamento delle pedane. Il posiziona-mento delle componenti è stato studiato per ot-tenere la massima centralizzazione delle masse e la compattezza in termini assoluti, tutto questo per ottenere una moto dall’inerzia minima.

Sospensioni e freniDerivando direttamente dalla moto da gara, la RC213V-S non prevede elettronica di gestio-ne per le sospensioni, che sono delle ultraper-formanti (e totalmente “meccaniche”) Öhlins: forcella pressurizzata TTX25 e mono TTX36,

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prelevati direttamente dalla Open, con la quale ha in comune anche l’ammortizzatore di sterzo a funzionamento rotativo. L’impianto frenante naturalmente non prevede ABS (in gara é vieta-to e probabilmente sarebbe anche stato difficile da collocare sulla moto) ma può contare su un trio di dischi flottanti in acciaio prodotti dalla giapponese Yukata, con flangia in alluminio, sui quali si danno da fare altrettante pinze mono-blocco Brembo. I cerchi sono anch’essi forniti da un produttore italiano, essendo dei Marche-sini (marchio da tempo appartenente a Brem-bo) forgiati in magnesio, entrambi da 17 pollici: quest’ultima é una delle poche differenze rispet-to alla RC213V, che fino alla fine di quest’anno utilizzerà cerchi da 16,5”.

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Prove

On trackNegli ultimi anni le Case costruttrici ci hanno abi-tuati a guidare moto sempre più simili e vicine alle moto da gara. Similitudini che crollano mi-seramente non appena entriamo in pista con la Honda RC213V-S. Un certo Rocket Ron Haslam ci fa da apripista, e per il primo turno di guida ci “tira” in modalità totalmente conservativa, che con una moto del genere (parliamo di esclusività e prezzo) é quanto è lecito attendersi. Anche gui-dando con un ritmo che per questa moto definire blando sarebbe eufemistico, emergono caratte-ristiche difficilmente riscontrabili su altre moto. Bisognerebbe prendere da ognuna il meglio, poi riunire il tutto e mescolare per bene, ma questo servirebbe solo in parte, perché la RC213V-S va

oltre. E lo fa in maniera dirompente ed esaltante al tempo stesso, soprattutto quando si prova la versione “kittata”, e con le scarpette giuste – le Bridgestone Battlax V02 slick. Le Bridgestone Battlax RS10, infatti, mortificavano in parte la raffinata ciclistica della RC213V-S anche con “soli” 159 cv, e di conseguenza portavano a una strana sensazione di guida sulle uova, soprattut-to tenendo conto delle pressioni volutamente stradali. Difficile credere che i potenziali clienti resisterano alla tentazione di equipaggiarla con pneumatici più performanti, come difficilmen-te chi avrà la fortuna di parcheggiare nel box questo gioiello riuscirà a resistere alla tenta-zione di montare lo Sport Kit. E dopo aver gui-dato per un turno la versione full power si può

tranquillamente affermare che “nulla sarà più come prima”. Di moto da corsa nel corso degli anni ne abbiamo provate parecchie, ma la diffe-renza é che erano moto confezionate e tagliate su misura per i loro piloti, potevi trovarne una che ti si addiceva per taglia, un’altra che ti esal-tava per la risposta del motore o l’inserimento in curva. Questa RC213V-S invece é una vera Mo-toGP, ma che passata sotto le grinfie dei collau-datori Honda si adatta perfettamente a diverse tipologie di guidatori. Insomma è una Honda! Guidandola si capisce realmente cosa voglia dire “centraggio delle masse”. Il peso su questa moto è del tutto relativo, e si fatica a percepirlo. La leg-gerezza e l’agilità non influiscono sulla stabilità in alcun frangente. Frenando forte il posteriore

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si alleggerisce solo in parte, e lo fa senza scom-porre più di tanto l’assetto, il resto lo fa un fre-no motore (regolabile) che funziona in maniera perfetta, almeno per i nostri parametri. Un simile bilanciamento non viene meno neppure andando a riprendere in mano il gas, azione accompagna-ta da una voce rauca del V4 che fa rizzare i peli sotto la tuta di pelle. La spinta degli oltre 215 cv, che si portano a spasso poco più di 160 kg, ben-zina compresa, è terrificante ma lineare al tempo stesso. Non si può certo definire “morbida” ma neanche scorbutica come ci si aspetterebbe da un motore da corsa. L’avantreno si alleggerisce ma l’assetto non si scompone di un millimetro, i semi manubri non scuotono le braccia del pilota, così come la profilata carenatura evita qualsiasi forma di turbolenza. Ci si godono l’accelerazio-ne e la voce del V4 così come le fucilate che il quick shift tira al cambio, e questo basterebbe a giustificare “il prezzo del biglietto”. Poi arriva il momento di frenare, e con altrettanto piacere si sente il motore cantare come un due tempi in scalata. L’avantreno disegna al millimetro la traiettoria desiderata, mentre in percorrenza si fatica a percepire il peso della moto, e ci si accor-ge che in tal modo si ha una migliore percezione dell’aderenza dei pneumatici. In uscita di curva si riesce a raddrizzare la moto prima e più facil-mente che non con qualsiasi sportiva di grossa cilindrata (e non …) provata sino a oggi. Quest’ul-tima affermazione ci porta anche a dire che dopo aver provato questo gioiello tecnologico, appun-to, nulla sarà più come prima. Meno male che il giudizio deve essere complessivo: la voce prezzo influisce pesantemente, relegando la RC213V-S a sogno per molti e realtà per pochissimi, altri-menti il paragone con altre sportive sarebbe dav-vero imbarazzante.

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Casco: AGVTuta: IxonGuanti: OJStivali: TCX

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OHonda RC 213V-S 192.000 euro

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Cilindrata 999 cc Tempi 4Cilindri 4 Raffreddamento a liquido Avviamento elettrico Alimentazione iniezioneFrizione multidisco Coppia 12 kgm - 120 nm - 9.000 rpm Emissioni Euro 3 Capacità serbatoio carburante 18,5 ltABS Sì Pneumatico anteriore 120/70 ZR 17” Pneumatico posteriore 200/55 ZR 17” Peso a secco 184 Kg

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AEON ELITE 400 Aeon: dall’Elite 350 al nuovo 400. Cresce la cilindrata,

crescono dotazioni e prestazioni ma non cambia lo stile poliedrico da “GT di città”. Sale inevitabilmente anche il

prezzo, 5.249 euro, ma l’ABS è di seriedi Cristina Bacchetti

Foto Thomas Bressani

PROVA SCOOTER

Aeon Elite 400 Prezzo 5.249 €PREGI Motore e finiture DIFETTI Cavalletto centrale

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A eon nasce a Taiwan nel 1965 come produttore specializ-zato nello stampaggio ad iniezione di materie plasti-che impiegate nel settore motociclistico. Attenzione

alla qualità dei materiali e alla filiera produttiva sono le peculiarità chiave su cui l’azienda pun-ta anche oggi, 50 anni dopo, con 60.000 ATV esportati in tutti il mondo e una più recente gamma scooter che sta provando a farsi largo nel trafficatissimo mondo della mobilità urbana. A diffondere il verbo di Aeon in Europa ci pensa Cesare Galli, titolare della Pelpi Interntional, l’a-zienda lombarda che importa e distribuisce an-che il neonato Marchio Overbikes. Una realtà che crede molto nella crescita di questi nuovi prodot-ti anche nel vecchio Continente, e che collabora attivamente allo sviluppo degli stessi.

Com’è fatto Elite 400Salone di Milano EICMA 2014, stand Aeon: si to-glie il velo ad una rinnovata versione dell’apprez-zato Elite 350 (cilindrata effettiva 313 cc), una linea più moderna e filante, un nuovo motore da 346 cc e, graditissimo, l’ABS. Ora che Elite 400 calca le nostre strade, abbiamo avuto modo di provarlo per raccontarvi come va, ma prima ve-diamo un po’ cosa c’è sotto alle carene. Partia-mo dal propulsore: trattasi di un monocilindrico 4 tempi, raffreddato a liquido, con i 346 cc che possono contare su una potenza di 32 cavalli a 7.500 giri. La coppia invece è di 30 Nm a 3,500 giri. L’upgrade non riguarda solo il motore ma anche ciclistica e sovrastrutture, puntando al comfort, perché si propone come GT, ma restan-do agile e intuitivo per la guida di tutti i giorni in città. Un immancabile occhio di riguardo anche per la sicurezza: ad assistere l’impianto frenan-te – un disco da 256 mm all’anteriore, idem al

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posteriore – arriva l’ABS di serie. Troviamo poi diverse chicche quali un bel cruscotto digitale a colori, con la strumentazione chiara e ben leggi-bile in qualsiasi situazione di luce. E c’è pure la porta USB per ricaricare i mille devices elettroni-ci che ormai portiamo sempre con noi: non man-ca nemmeno lo spazio per riporli nel capiente sottosella illuminato, che ospita tranquillamen-te un casco e altri piccoli oggetti. Veniamo alla ciclistica e ai numeri. A smorzare le asperità ci pensano una forcella telescopica con steli da 35 mm e una corsa di 90 mm e un doppio ammor-tizzatore con corsa da 85 mm. I cerchi in allumi-nio misurano entrambi 15” e calzano pneumatici da 120/70 davanti e 140/70 dietro. 1.545 mm di interasse, 800 mm l’altezza della sella dal suo-lo, 180 i kg segnati dalla bilancia con scooter a secco. Infine, (tutto in grande su questo Elite!) il serbatoio da 13,5 litri, che consente lunghe per-correnze senza troppi pensieri. Il tutto a 5,249 euro, esclusa la messa su strada.

Come vaMa veniamo al dunque. Sulla carta i numeri ci sono tutti, ma su strada, come se la cava?Innanzitutto ci stupisce subito il bel motore pron-to, allegro, dall’erogazione lineare e senza vibra-zioni: sembra un 400 pieno, anche se la cubatura effettiva si ferma a 346 cc. Portarlo a spasso per le vie del centro è divertente, ma lo è ancor di più scorrazzare fuori porta, grazie anche all’agi-le ciclistica che smentisce le forme pienotte da piccolo GT. Il manubrio è ampio e abbastanza alto da consentire facili manovre, la posizione comoda, nonostante la sella un po’ dura. Seduta grande e quindi comoda anche in due ma, vista la larghezza generosa e gli 80 cm di altezza, poco adatta ai meno alti che potrebbero trovare diffi-coltà ad appoggiare i piedi a terra o a manovrare lo scooter per parcheggiarlo. Anche il cavalletto centrale, posto molto indietro rispetto al bari-centro dello scooter, potrebbe risultare faticoso per i meno forzuti. Ma poco male: c’è il sempre

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comodo laterale. Segnalati subito i piccoli difet-ti riscontrati, torniamo ai pregi del nuovo Elite: subito dopo il motore, in termini di gradimento, piazziamo la dotazione di serie (ABS, presa USB, ampio sottosella) e le finiture. E sì, dobbiamo essere sinceri, non ce lo aspettavamo così ben fatto. Invece le plastiche sono di qualità, gli ac-coppiamenti ben allineati, i particolari curati a partire dalla bella strumentazione fino alle grandi frecce integrate, al maniglione per il passeggero, il grande doppio faro anteriore. Solo i comandi al manubrio lasciano trasparire una certa semplici-tà, ma tutto il resto è assolutamente piacevole da vedere. Stesse peculiarità riscontrate sulla Tou-rer 250 di Overbikes, Marchio gemello e sempre sotto l’attenzione di Pelpi. Motore, agilità, quali-tà delle parti. E poi un giusto equilibrio delle so-spensioni tra comfort e agilità per un utilizzo a 360°. And last but not the least un buon impianto frenante, arricchito in sicurezza dall’ABS.

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In conclusioneEquilibrato. E’ il primo termine che ci viene in mente per descrivere il nuovo Aeon Elite 400, Un buon compromesso tra linea e prestazioni, una buona dotazione che giustifica un prezzo non bassissimo, ma comunque in linea con la concorrenza. Un mezzo senza troppe pretese, ma c’è davvero tutto quel che serve. Solo due le colorazioni disponibili: rosso e antracite.

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Casco NolanGiacca Alpinestars Stella AirGuanti AlpinestarsJeans Alpinestars

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Aeon Elite 400 i ABS 5.249 euro

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Cilindrata 346,4 cc Tempi 4Cilindri 1 Raffreddamento a liquido Avviamento elettrico Alimentazione iniezione Frizione automatica Potenza 33 cv - 24 kw - 7.500 rpm Coppia 3 kgm - 30 nm - 6.500 rpm Emissioni Euro 3 Capacità serbatoio carburante 13,5 ltABS Sì Pneumatico anteriore 120/70-15 Pneumatico posteriore 140/70-15 Peso a secco 172 Kg

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TRIUMPH BONNEVILLE T120 2016di Maurizio Gissi | Rivoluzione in casa Triumph: nasce una nuova generazione di Bonneville articolata in cinque modelli da 900 a 1.200 cc. Estetica che più classica e riuscita non si può, nuovo motore bicilindrico raffreddato a liquido e nuova ciclistica

A ttesa da molti appassionati, la fami-glia delle modern classic di Hinckley conosce in vista del 2016 una nuova generazione. Una serie di modelli

proiettata nel futuro anche se con una estetica che più classica, e bella, non si può. La nuova famiglia Bonneville, che abbiamo conosciuto du-rante un visita nel quartier generale Triumph nel

Leicestershire e che vi riassumiamo nell’intervi-sta video qui sopra del nostro Andrea Perfetti, si articola ora su cinque modelli. Tutti targati 2016 e inediti. Si tratta delle nuove Bonneville T120 e T120 Black, delle nuove Thruxton e Thruxton R e della Street Twin, nome che debutta con que-sto modello e che ricorda la famosa Speed Twin del passato. Della nuova Scrambler non è stato

News

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annunciato ancora nulla, ma è facile ipotizzare un ampliamento della gamma presentata ora. Queste cinque moto, che potremo vedere diret-tamente alla prossima Eicma, sono completa-mente nuove sotto il profilo meccanico e cicli-stico, oltre che ridisegnate nella linea. Vedono il debutto dei nuovi motori bicilindrici paralleli. Queste unità si segnalano per il raffreddamento a liquido, reso necessario dalle nuove normative che regolano le emissioni allo scarico e quelle acustiche, per la nuova cubatura (900 cc per la Street Twin, 1.200 per le altre quattro), la ge-stione e la dotazione elettronica, e il cambio a sei marce.

Bonneville T120 e T120 BlackDal punto di vista estetico il richiamo allo stile iconico delle prime Bonneville è estremo, con una forte attenzione ai cromatismi e alle finiture delle parti meccaniche. La stessa sigla T120, che ricorda la cilindrata, è guarda caso la stessa della prima Bonneville del 1959, quella progettata da Edward Turner. I cilindri abbondantemente alet-tati e il radiatore perfettamente celato fra le culle del telaio non denunciano il passaggio al raffred-damento a liquido, che su una una classica del genere è visto come qualcosa che ne inquina lo stile. Lo scarico con i silenziatori dai terminali a collo di bottiglia ha ora i collettori dritti, più belli dei precedenti rialzati. La dotazione di serie vede

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elaborati stemmi cromati, il maniglione, il caval-letto centrale, le manopole riscaldate, i ricordati doppi collettori di scarico cromati e rivestiti per non colorarsi con le alte temperature. La nuova Bonneville T120 Black si arricchisce di un’ele-gante sella marrone scuro e di dettagli all-black quali i cerchi, il maniglione per il passeggero, lo scarico e il motore. La T120 è disponibile in quat-tro colorazioni di ispirazione classica: Cranberry Red e Aluminium Silver, con filettature verniciate a mano, Jet Black e Pure White, con filettature verniciate a mano, Jet Black Cinder Red. La T120 Black è disponibile in due colorazioni più aggres-sive: Jet Black e Matt Graphite. Il nuovo motore 1.200 cc denominato High Torque è come sem-pre un parallelo. Ha distribuzione quattro valvole

per cilindro, imbiellaggio a 270°, acceleratore ride by wire, due mappe motore (road e rain), ali-mentazione a iniezione con ammissione a doppio corpo e cambio a sei marce. Questo nonostante la coppia generosa: 105 Nm dichiarata a 3.100 giri. Nulla si sa ancora invece riguardo la potenza massima o altre caratteristiche tecniche quali il peso. Il telaio di nuovo disegno è un doppia culla in tubi tondi di acciaio, stesso materiale anche per il forcellone a sezione rettangolare. All’avan-treno campeggia un doppio freno a disco – in luogo del singolo precedente – con pinze a dop-pio pistoncino. Di serie ci sono l’Abs, l’accelera-tore ride by wire che ha permesso l’adozione di due mappe motore (road e rain) e del controllo di trazione. Il nuovo cambio beneficia della frizione

News

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multidisco ora con dispositivo antisaltellamento, ci sono i fari a led, le manopole riscaldabili e una presa Usb sul cannotto di sterzo. La strumen-tazione a doppio quadrante circolare è classica d’aspetto ma ricca di informazioni digitali (come indicatore marcia inserita, modalità di guida, consumi, autonomia, orologio, eccetera), men-tre la chiave di contatto comprende la funzione immobilizer. La gamma accessori conta 160 articoli per le due Bonneville T120, fra questi: si-lenziatori slip-on a cromati Vance & Hines, selle con cuciture a vista, carter frizione cromato, de-corazioni per alternatore e corpo farfallato e un autentico stemma Triumph “4 Bar” per il serba-toio. E’ stato creato un kit Prestige che è punto di partenza per realizzare la propria T120 custom e che comprende: stemma “4 Bar” cromato per il serbatoio, sella nera a coste con cuciture, indica-tori di direzione a Led neri con lenti trasparenti, silenziatori slip-on a cerbottana cromati Vance & Hines, manopole nere a botticella, paracatena cromato, coperchi per frizione e alternatore e decorazione per corpo farfallato.

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TRIUMPH THRUXTON E THRUXTON R 2016Evoluzione della nota Thruxton, ovvero la più sportiva della serie Triumph Classic, questa nuova versione è totalmente nuova a livello di motore (1.200 cc a liquido), estetica e ha sospensioni più raffinate. C’è in versione base e “R”

L e nuove Triumph Thruxton e Thruxton R sono probabilmente le moto dal passato sportivo più rappresentativo e impegnativo da riproporre in chiave

contemporanea all’interno della nuova famiglia Bonneville. Negli anni Sessanta e Settanta dire Thruxton era sinonimo di successo agonistico

in casa Triumph, sia a livello internazionale sia, nello specifico, al Manx TT. Una moto che ispi-rò una generazione di giovani amanti del genere Café Racer e preparatori. Le nuove Thruxton e Thruxton R non si limitano a riproporre un look all’altezza del loro passato: hanno anche le pre-stazioni e le capacità per rivivere quell’epoca

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d’oro. La nuova Thruxton riporta la Café Racer alle sue origini ad alte prestazioni, a cominciare dal motore 1.200 “Thruxton spec”. La più con-temporanea Thruxton R preme sul tasto delle emozioni e delle prestazioni. Si arricchisce di pinze monoblocco Brembo radiali per il doppio disco anteriore, di forcella Showa big piston, coppia di ammortizzatori posteriori Öhlins e pneumatici Pirelli Diablo Rosso Corsa. Il motore 1.200, bicilindrico parallelo con fasatura a 270° e quattro valvole per cilindro, è dotato di raffred-damento a liquido ma anche di vistose alette di raffreddamento sui cilindri. Rispetto all’unità montata sulla Bonneville T120 ci sono albero motore più leggero, un rapporto di compressio-ne superiore e un’airbox maggiorato. L’accelera-tore è di tipo ride-by-wire di ultima generazione e ci sono autentici doppi corpi farfallati; la coppia del motore “Thruxton spec” è dichiarata in 112 Nm a 4.950 giri. Il dato relativo alla potenza e le altre specifiche tecniche non sono state al mo-mento comunicate. La definizione ciclistica è naturalmente più sportiva rispetto alla T120, e la

posizione di guida diversa conta sui semimanu-bri clip-on. La ruota anteriore è da 17 pollici e le sospensioni sono regolabili. La versione R spinge più in la l’immagine e la sostanza sportiva arric-chendo la dotazione ciclistica con il doppio disco flottante Brembo, le pinze radiali monoblocco a quattro pistoncini e la pompa di comando Brem-bo. La forcella è una Showa Big Piston e la coppia di ammortizzatori è Ohlins a serbatoio separato e regolazioni complete. Le gomme sono in questo caso Pirelli Diablo Rosso Corsa. Anche sulla Thruxton ci sono l’ABS, l’acceleratore ride by wire integrato sta-volta alle tre mappe motore (sport, road e rain) e al controllo di trazione (disinseribile). I gruppi ottici sono a Led, ci sono immobilizer e presa Usb. Come sulla T120 la strumentazione è con due elementi circolari (contagiri e tachimetro) e quadranti 3D con elementi digitali multifunzione. La nuova Thruxton è disponibile in tre colorazio-ni: Jet Black, Pure White (con una striscia nera sul serbatoio) e Competition Green, con una stri-scia oro metallizzato sul serbatoio. La Thruxton

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R è disponibile invece in Diablo Red e Silver Ice. Entrambi i modelli montano un tappo flip-top “Monza”, novità per le moto di serie, oltre a una sella con codino integrato, specchietti alle estremità del manubrio in alluminio leggero. La Thruxton R aggiunge altri dettagli e si arricchisce di un coprisella posteriore aggiuntivo verniciato in tinta, della piastra superiore di sterzo lucida-ta, di una striscia in alluminio sul serbatoio e del forcellone in alluminio anodizzato trasparente. Così come le racer Thruxton originali ispiraro-no una generazione di Café Racer minimaliste,

con la gamma di accessori originali predisposti per la nuova famiglia Bonneville (fra cui oltre 160 componenti per Thruxton e “R”) è facile creare la propria special. La gamma comprende una se-rie di componenti ispirati al mondo delle special, come il cupolino, gli scarichi Vance & Hines, il kit di rimozione del parafango posteriore, il manu-brio clip-on ribassato e gli indicatori di direzione compatti. Inoltre è possibile scegliere fra tre kit: “Track Racer”, “Café Racer” e “Thruxton R Per-formance Race”, appositamente sviluppato per girare in pista.

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TRIUMPH STREET TWIN 2016Mentre la nota Bonneville sale di cilindrata, e diventa T120, arriva la inedita Street Twin. Con il suo nuovo motore 900 e la sella più bassa diventa così la Bonneville di accesso alla gamma delle classiche inglesi

N ella nuova famiglia Bonneville debut-ta l’inedita Street Twin. Fra le nuove Bonnie è la più moderna e pensata al lifestyle dei motociclisti odierni.

Combina il carattere Bonneville, il look unico, la

maneggevolezza e il motore personale con una altezza della sella ribassata. Si adatta alla custo-mizzazione ed è la modern classic più accessibile per la cilindrata inferiore e il prezzo che sarà – è stato anticipato – interessante. Il motore High

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Torque è qui nella cilindrata 900 cc, eroga una coppia massima di 80 Nm a 3.200 giri (ovvero il 18% rispetto alla precedente unità di cilindra-ta vicina e a un regime inferiore). Il manovelli-smo è a 270°, la distribuzione è a otto valvole e il raffreddamento è a liquido come per la nuova versione 1.200. Triumph dichiara un consumo di carburante inferiore del 36% rispetto al pre-cedente bicilindrico ad aria. Telaio e sospensio-ni – dalla corsa confortevole - sono state scelti appositamente per questo modello, con quote ciclistiche che esaltano la maneggevolezza. L’al-tezza contenuta della sella (manca il dato nume-rico, così come il resto della moto) non esclude una imbottitura adeguata all’uso comodo. La do-tazione di serie comprende l’impianto ABS (all’a-vantreno c’è un solo freno a disco) e il traction control (disinseribile) grazie appunto all’intro-duzione dell’acceleratore ride by wire. Come sul motore da 1,2 litri ci sono la frizione antisaltella-mento e il cambio a sei marce. Il faro posteriore è a Led e c’è una presa Usb per la ricarica di dede-vice. La chiave di contatto è dotata di trasponder

immobilizer e la strumentazione è con quadrante singolo e display digitali (marcia, contachilome-tri, livello carburante, autonomia, orologio, ecce-tera). Le ruote sono integrali con finitura nera e strip colorate, i silenziatori sono in acciaio inox spazzolato e i parafanghi sono verniciati di nero. Le tinte cromatiche previste sono cinque: Cran-berry Red, con strisce su serbatoio e cerchi, Alu-minium Silver, con strisce su serbatoio e cerchi, Matt Black, Jet Black e Phantom Black. La gam-ma accessori comprende 150 particolari e sono previsti tre kit: Scrambler, Brat Tracker e Urban. Il primo prevede: sistema di scarico alto Vance & Hines con finitura spazzolata, Kit di rimozione del parafango posteriore con fanalino posteriore compatto, sella special marrone a coste, mano-pole marroni a botticella, indicatori di direzione a Led compatti e paracoppa in alluminio spazzola-to. Il Kit Brat Tracker si differenzia dal primo per la sella e le manopole in nero, mentre il kit Urban ha in più il manubrio Ace, scarichi Vance & Hines, parabrezza basso fumé e borsa laterale singola in cuoio e cotone cerato.

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HUSQVARNA701 ENDUROHusqvarna entra nelle entro-fuoristrada di media cilindrata con l’allestimento enduro della nuova 701. Anche per neopatentati

D opo la Supermotard, ecco anche la Enduro: Husqvarna svela anche la (prevedibile, non ce ne vogliano i ra-gazzi del marchio austro-svedese)

declinazione dual-sport basata sulla piattafor-ma monocilindica su cui a Mattighofen puntano tanto per completare il rilancio della Casa della “H”. La 701 Enduro punta ad essere un mezzo

potente ma versatile, a suo agio sull’asfalto – fuori e dentro le città – ma anche nel fuoristrada. Il propulsore è l’ormai noto monocilindrico da 690cc da 67 cavalli con doppia accensione, ge-stione acceleratore Ride-by-wire e tre mappature motore. La potenza non pregiudica l’affidabilità, dal momento che gli intervalli di manutenzione si attestano sui 10.000km. La ciclistica conta su

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un telaio a traliccio in acciaio altoresistenziale al Cromo-Molibdeno pensato per l’uso on-off, con sospensioni che consistono in una forcella WP 4CS a cartuccia sviluppata appositamente (con piastre forcella lavorate CNC ed anodizza-te) e monoammortizzatore completamente re-golabile con forcellone in alluminio pressofuso. L’escursione si attesta a 275mm per entrambe le estremità. I cerchi, da 21” e 18”, calzano pneu-matici Continental TKC 80. Le sovrastrutture sono particolarmente originali: caratterizzate da grafiche stampate direttamente sulle plastiche (termine riduttivo), svolgono anche in qualche caso funzione portante. Stiamo parlando del te-laietto posteriore, che oltre ad essere appunto portante integra il serbatoio della benzina da 13 litri. Il quadro si completa con l’ABS sviluppato specificamente nelle logiche di funzionamento per l’uso in fuoristrada che tiene sotto controllo l’impianto frenante Brembo e la frizione antisal-tellamento. La 701 è anche disponibile in versio-ne per neopatentati grazie ad una speciale map-pa motore “A2”, che limita la potenza a 30kW.

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NUOVA KAWASAKI SC 01 SPIRIT CHARGERDopo aver riportato in auge il motore sovralimentato con la H2 e la racing H2R, Kawasaki presenta al Tokyo Motor Show il concept Spirit Charger, un nuovo motore che conferma il suo credo nella tecnologia Supercharger lanciando la filosofia “Rideology” per il futuro

S i è aperto oggi il 44° Tokyo Motor Show e Kawasaki, per voce del pre-sidente della divisione Motorcycle and Engineering di Kawasaki, Kenji

Tomida, ha ribadito il suo credo nei motori so-vralimentati. E’ stata confermata la produzione anche per il 2016 della H2 e, in serie limitata, della H2R da oltre 300 cavalli. Tomida ha det-to che le nuove edizioni si presentano con un

nuovo colore con l’adozione della frizione assi-stita e anti-saltellamento per la Ninja H2 e nuovi settaggi della centralina. E soprattutto ha mo-strato lo sketch di un concept svelando un futuro modello sovralimentato e la linea di pensiero Ka-wasaki a proposito del progetto Supercharger. Il Concept SC 01 o “Spirit Charger” rappresenta solo una delle direzioni che i designer Kawasaki stanno considerando per la futura linea di moto

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ad “induzione forzata”. Con materiali dalle linee più morbide e ricercate rispetto alle spigolose forme della Ninja H2 e Ninja H2R, lo “Spirit Char-ger” sarà indirizzato al comfort come al diverti-mento nell’uso quotidiano e sulle lunghe distan-ze. Uno degli aspetti più interessanti del progetto sarà il Balanced Supercharged Engine, motore in questo caso presentato concretamente, un po’ come era capitato prima del lancio della H2, pen-sato per mantenere l’emozione della sovralimen-tazione con un occhio più che attento ai consu-mi. Questo sarà possibile grazie a flap controllati elettronicamente all’ingresso del supercharger che gestiranno il volume in ingresso ed in uscita dell’aria per aumentare l’efficienza. Definendo con un termine la filosofia di design seguita da Kawasaki, Kenji Tomida ha svelato “Rideology” e i tre principi alla base del processo che regolano i parametri di progettazione dei modelli Kawasaki del passato, presente e del futuro.

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KAWASAKIZ125Una piccola fun-bike sportiva per contrastare il fenomeno Honda MSX. Purtroppo solo fuori dall’Europa

L a risposta Kawasaki all’Honda MSX 125, modello di grandissimo successo sul mercato asiatico e vero fenomeno di mercato negli USA (dove viene ven-

duta con nome Grom) si chiama Z 125. Una moto che, come la rivale, è spinta da un piccolo mono-cilindrico orizzontale monoalbero, naturalmente raffreddato ad aria con cambio a quattro marce

con frizione manuale o automatica. I cerchi da 12” calzano pneumatici da 100/90 e 120/70 ri-spettivamente per avantreno e retrotreno, con un freno a disco da 200mm all’anteriore ed uno da 184 al posteriore, entrambi con pinze a singo-lo pistoncino. Le sospensioni sono una forcella rovesciata da 30mm ed un monoammortizzatore disassato

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come ormai da buona tradizione Kawasaki. La Z 125 mutua lo stile dalle sorelle maggiori, con una linea spigolosa ed aggressiva. Il peso è di 101kg in ordine di marcia, con un serbatoio dalla capienza di poco superiore ai 7 litri. Al momento il model-lo non è omologato per il mercato europeo (non aspettatevi di vederlo ad EICMA) ma in futuro, magari...

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YAMAHA MOTOBOTIL ROBOT CHE GUIDA LA R1di Maurizio Gissi | Yamaha lavora sull’automazione per migliorare la sicurezza di guida. Il robot umanoide presentato al Tokyo Motor Show guida in pista a oltre 200 km/h

A eroplani che decollano, volono e at-terrano grazie a sistemi autopilota, navi e barche che navigano nella neb-bia grazie ad appositi software e si-

stemi Gps, automobili che guidano e parcheggia-no da sole sono già una realtà. Ed è stato è stato proprio il volo il primo a essere automatizzato al-cuni decenni fa aprendo lo sviluppo tecnologico. Sulle strade di tutti i giorni gli ostacoli, il traffico,

le condizioni del percorso e gli imprevisti rendo-no però più difficoltoso fare andare autonoma-mente un’automobile senza che questa provochi o subisca danni. Gli stessi aeroplani hanno anco-ra la fase taxi, il trasferimento dal parcheggio alla pista e viceversa, svolto e controllato dall’uomo. Rispetto all’automobile, poi, la moto ha una di-namica molto più complessa e influenzabile da molti fattori esterni per cui le cose si fanno molto

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difficili. Prima che un robot possa sostituire un pilota, e magari batterlo come promette Mo-tobot 1 a Valentino Rossi nel video, passerà del tempo. La cosa in sé non sarebbe neppure inte-ressante - a meno che il robot non provi come noi piacere ed emozioni nella guida - se non fosse che capire il comportamento dell’insieme moto/pilota potrà migliorare l’utilizzo e la sicurezza di una moto da parte di ciascuno di noi. E’ quello che si prefigge Yamaha con Motobot. Il costruttore nipponico ha dichiarato che questo progetto, la tecnologia e il know-how adottati in questa sfida, è infatti finalizzato alla creazione di sistemi elettronici avanzati per la sicurezza e per il supporto al pilota. E costituiscono anche il pri-mo passo per esplorare nuovi segmenti di mer-cato. Motobot (Versione 1) è un robot umanoide

che è stato presentato al Tokyo Motor Show in corso in questi giorni. E’ in grado di guidare una normale moto di pro-duzione ed è stato costruito abbinando le tecno-logie motociclistiche e robotiche conosciute da Yamaha. L’obiettivo principale del team di Ricer-ca e Sviluppo della casa di Iwata è stato quello di realizzare un robot che sia in grado di guidare una moto di serie in pista, a una velocità supe-riore ai 200 km/h. Controllarne il movimento complesso a velocità elevata richiede una serie di controlli che funzionino con la massima pre-cisione. Una strada sperimentale che servirà a raccoglie-re informazioni e a sviluppare nuove tecnologie di gestione del motore, della ciclistica e dei siste-mi di sicurezza.

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LEZIONI DI ENDURO CON GIO SALALA DISCESAdi Andrea Perfetti | Il grande campione di enduro Gio Sala ci spiega come affrontare le discese più toste su fondi differenti: il sasso smosso, le radici, il canale e il gradino. Occhio a dove mettiamo le ruote!

M oto.it vi presenta la nuova serie di puntate video in cui sveliamo tutti i segreti dell’enduro professiona-le. Il nostro e il vostro maestro è

il mito dell’enduro mondiale, Gio Sala. Sei titoli mondiali, diciannove campionati italiani e dieci Dakar in Africa sono l’incredibile palmarés del campionissimo bergamasco. Il Gio è affiancato

dal nostro tester Aimone Dal Pozzo (campione italiano di enduro nel 2002 e istruttore federale FMI). Le lezioni del Gio si rivolgono agli enduristi esperti, che vogliono mettersi alla prova e che desiderano migliorare il proprio stile di guida.

Come affrontare la discesaGio Sala ci spiega nel video in apertura come

Iniziativa

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affrontare la mulattiera in discesa. E’ una delle difficoltà tipiche dell’enduro, che può a sua volta offrire diverse situazioni che variano al cambia-re del fondo. E’ fondamentale guidare sempre in piedi e mantenere una velocità controllata, aiutandosi col motore e coi freni. Risulta ovvia-mente avvantaggiato il 4 tempi, che ha un freno motore sufficiente a rallentare la moto. Il nostro maestro-campione segue l’allievo sul campo e gli dà le indicazioni in diretta, parlandogli nel casco con l’interfono Offroad by Cellularline. In questo modo Aimone riceve le correzioni di Gio in tempo reale e può subito rimediare agli errori di guida.1. Partiamo con le radici, tipiche dei fondi del Nord Europa, ma presenti spesso anche sulle no-stre montagne. Qui è essenziale spostare il peso indietro e alleggerire la ruota davanti. Il motore va tenuto in tiro, usando la frizione per modulare la trazione. Ricordiamoci poi il colpo di gas per superare le radici più grandi. Spesso può essere persino utile saltarle, sfruttando la velocità che la nostra moto ha in discesa.2. Passiamo ora al sasso smosso, croce e delizia dell’endurista. Il motore deve spingere sempre, anche in discesa; in questo modo si evita la chiu-sura dello sterzo, che ci farebbe perdere la dire-zionalità. Teniamo quindi il motore in tiro, dando colpi di acceleratore per superare i sassi davanti a noi. Lo sguardo va tenuto lontano, per indivi-duare la traiettoria migliore e più scorrevole. 3. Anche le discese presentano gradini (o grado-ni!) inaspettati. Se sono molto profondi, rallen-tiamo, portiamo il peso indietro e copiamoli dan-do un leggero colpo di gas per non far chiudere lo sterzo. Se sono appena accennati, superiamo-li con un leggero salto solo dopo aver verificato che non ci siano ulteriori asperità dopo il gradino.4. Nei canali in discea cerchiamo di contrastare la chiusura dello sterzo col l’uso del motore, e teniamo le braccia libere sul manubrio. E’ infatti fondamentale muoversi di lato sulla moto per te-nere la moto centrale nel canale. Teniamo la ve-locità costante e guardiamo sempre molti metri in avanti per individuare la linea migliore.

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RIDE IN THE USAJT RACING, RINASCE UN MARCHIO LEGGENDARIOdi Pietro Ambrosioni | La casa di abbigliamento più cool degli anni 80 nel cross USA torna a nuova vita

L a scorsa settimana alla AIMExpo di Orlando ho incontrato il mio vecchio amico Darryl Atkins, ex pilota neo-zelandese di altissimo livello, la cui

carriera a metà anni 90 è stata interrotta da un terribile incidente in macchina che gli è quasi costato un braccio. Nonostante Darryl non sia più riuscito a tornare completamente nel giro dei piloti più veloci del Mondiale, ha continua-to a correre in diverse categorie e discipline, chiudendo la carriera su una Aprilia Factory nella AMA Supermoto americana. La sua sto-ria meriterebbe un articolo a se stante, e più ci

penso più credo che in effetti sia la cosa giusta da fare, a breve. Ma oggi parliamo di JT Racing, un marchio che proprio da Darryl ed un gruppo di investitori è stato rivitalizzato e che dopo 6 anni di ritorno sul mercato ha iniziato a riconquistare importanti spazi nel panorama off-road mondia-le. Ho incontrato Darryl nella sede di Irvine, CA, dove ci sono il quartier generale della JT, l’uffi-cio stile, la showroom e il magazzino. Ma prima ancora di parlare con Darryl voglio spendere due righe su JT e su cosa il marchio rappresenti per non vecchietti: JT è stato un vero e proprio mito del motocross americano e dalla fine degli Anni

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On the road

’70 fino alla metà degli Anni ’90 è stato non uno dei marchi ma “il” marchio dell’abbigliamento e delle protezioni per il motocross. Sono stati i primi ad inventare la mentoniera da agganciare al casco con gli automatici, e anche i primi a svi-luppare una pettorina integrale rigida (le mitiche V-1000 e V-2000). E che dire dei caschi ALS-1 ed ALS-2? O dei completi Bones e Dalmatian? Tutti i grandi campioni dell’epoca, prima o poi, sono passati da JT,se non per l’abbigliamento almeno per gli accessori: Danny La Porte, David Bailey, Ron Lechien, Johnny O’Mara, Jean Michel Bayle e persino Ricky Johnson dopo aver abbandonato la Fox. A proposito, secondo quanto mi ha detto Darryl, in origine Fox era uno dei distributori JT e solo quando la Casa di Chula Vista (lo so, lo so…) decise di vendere direttamente ai negozi a fine Anni ’70 la Fox prese l’iniziativa e creò una linea a proprio marchio. Si può quindi dire che senza JT la Fox non sarebbe mai esistita. Anche la storia di come JT sia uscita dalle moto è interessante. A metà Anni ’90 John e Rita Gregory, proprietari

originali, erano in cerca di altri mercati dopo es-sere sbarcati con enorme successo in quello del BMX e soprattutto della mountain bike. Un gior-no un impiegato si presentò in magazzino con una pettorina, occhiali, maschera e guanti tutti imbrattati di vernice. Disse che usava il materiale JT durante le sue partite di Paintball, uno sport emergente, e a John si accese una lampadina. In meno di un anno fu messa assieme una linea completa dedicata al Paintball ma non solo: John riuscì ad accaparrarsi in esclusiva il cliente più grande sul mercato, ovvero la catena Walmart. Fu allora che il suo concorrente principale, non disposto a perdere l’intero mercato, si fece avan-ti per comprare la JT. John e Rita Gregory accet-tarono (ai tempi si parlò di qualcosa come 10 milioni di dollari) e andarono felicemente in pen-sione, mettendo di fatto la parola fine alla pre-senza JT nel settore delle moto. Il tutto fino a 7 anni fa quando i diritti di utilizzo del marchio al di fuori del Paintball vennero riacquistati e dopo un anno di lavoro fervente fu presentata la gamma

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del “grande rientro”. «Il primo anno ci insegnò una lezione importantissima» spiega Darryl. «Il rientro fu accolto con enorme entusiasmo, ma all’incredibile numero di ordini da parte dei dea-ler non corrispose un altrettanto entusiasmante “sell out”, ovvero i clienti finali non comprarono come ci si aspettava. Il problema era generazio-nale: i titolari dei negozi erano nella fascia di età che ancora aveva visto i Bailey e Lechien correre negli anni 80 e in modo genuino aveva accolto il ritorno di JT. Ma aver puntato tutto su una alta gamma in stile “vintage” fu un errore, perché il mercato vero, quello formato da piloti ed appas-sionati era molto più giovane: il 99% nemmeno avevano mai sentito parlare di JT prima. Il ri-sultato fu che molta roba restò invenduta sugli scaffali e molti negozianti rimasero un po’ scot-tati e diffidenti». Incredibile. La tradizione di un marchio, quello che dovrebbe essere il principale

argomento di vendita, diventa una palla al piede. «Si, assurdo ma vero. Ci abbiamo messo diversi anni a venirne fuori e per farlo abbiamo puntato tutto sul prodotto: dal 2016 la gamma reintro-durrà nuovamente un casco - che avevamo ab-bandonato - e lanceremo anche gli stivali, alcune borse tecniche e le protezioni per le ginocchia. E nel 2017 usciremo anche con una gamma com-pleta per Mountain Bike e Downhill».

Al di la di Mike Alessi avete qualche altro pilota di spicco che vi fa da portavoce?«No, a meno che si presenti l’occasione perfet-ta non siamo alla ricerca di nessuno. Dopotutto non avrebbe senso buttare cifre tra i 300 e gli 800 mila dollari per ingaggiare un pilota che non arrivi nei primi cinque. E senza quel tipo di pre-stazioni è praticamente impossibile farsi notare. Quel denaro preferiamo reinvestirlo nei clienti,

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attraverso prodotti sempre più curati e perfor-manti, che sviluppo personalmente».

Quindi hai ancora tempo e voglia di andare in moto!«Altroché… vado a girare in moto spesso e vado in MTB ancora più spesso. Sono io il pilota in tutte le foto d’azione nei cataloghi JT… anche perché in quel modo posso vestire con i nostri prodotti da capo a piedi senza nessun tipo di conflitto con altri sponsor».

Quali sono i punti salienti che distinguono JT da tutti gli altri? Dove è più visibile la cura ex-tra che mettete nei vostri prodotti?«I pantaloni, ad esempio: abbiamo triple cuciture ovunque, anche dove in teoria non servirebbe. Poi usiamo una Cordura più spessa della con-correnza ed integriamo le protezioni nei fianchi. Sai. quei pannelli di espanso che di solito sono attaccati con il velcro all’interno dei pantaloni e che tutti buttano via? Noi abbiamo sviluppato un materiale che integra la protezione e lo usiamo sui fianchi dei nostri pantaloni. All’interno delle

ginocchia usiamo ancora vera pelle e la rinforzia-mo con uno strato inferiore di Kevlar. In vita ab-biamo un sistema di chiusura micrometrica e via dicendo». «Per il palmo dei guanti abbiamo intro-dotto quest’anno un materiale sintetico giappo-nese che si chiama Nanofront e che sembra pelle ma non si deforma quando diventa umido. Il nuo-vo casco è invece stato sviluppato in collabora-zione un produttore giapponese che ha lavorato per diversi anni con Shoei e che ci ha permesso di uscire con un prodotto molto leggero ma allo stesso tempo all’avanguardia come protezione».

Rivedremo mai una linea vintage?«E’ bello avere una tradizione ma credo sia im-portante guardare avanti e operare sul mercato per quello che è: giovane e dinamico e non vec-chio e nostalgico. Le nostre grafiche non include-ranno mai teschi e croci, ma allo stesso tempo cercheremo di essere attuali: avremo sempre una linea di primo prezzo giovane un po’ più ap-pariscente, una linea intermedia più sobria e una linea top gamma dedicata a chi chiede il massi-mo».

On the road

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NICO CEREGHINIPRESSIONE E SCOPPI IRREGOLARIPurtroppo hanno sbroccato in tre: Marquez il vendicatore, Rossi che ha reagito male, Lorenzo che ha gettato la maschera. Peccato, sembrava il più bel mondiale dell’era MotoGP…

fine della gara, era necessario sentire le versioni dei due piloti prima di prendere una decisio-ne, sbaglia il mio amico Pernat che voleva il ride-trough per Rossi. E l’episodio andava puni-to, va bene, ma i giudici hanno determinato che del calcio di Rossi manca la prova certa: si vedono la testata di Marc e il ginocchio di Vale che si allarga, poi il piede di Rossi che torna sulla pedana mentre Marquez cade, non c’è una relazione sicura tra il movimento della gamba di Rossi e la caduta di Marquez. Poi ciascuno vede quello che vuole, ma i fatti ac-certati dall’unica giuria paten-tata sono questi. Vorrei invece discutere sul confine tra anti-sportività e scorrettezza, per-ché la punizione scatta su una labile differenza. Lo spagnolo è stato giudicato antisportivo su-gli otto giri di gara ma non scor-retto, l’italiano invece scorretto perché ha portato il rivale fuori linea fin quasi a fermarlo. A me questa manovra sembra meno grave di tante “antisportività” rischiose di Marquez, però alla fine è scattata la punizione sol-tanto per Rossi, che in assoluto non è la più severa delle pene, ma che diventa pesantissima perché manca una sola gara. E qualcuno ha gridato: “Scanda-lo! Un mondiale deciso a tavo-lino!” Ma purtroppo non è una novità nel mondo dei motori e ci sono tanti precedenti in F1. Perché tre assi come Sen-na, Prost e lo stesso Schumi passano giustamente per dei

Ciao a tutti! La s e t t i m a n a scorsa, dopo l’Australia e lo show di quella gara strepito-

sa, accennavo allo stress. Il succo era: questi piloti si di-vertono, certo, ma non è tutto facile, ricordatevi che devono sopportare una grandissima pressione. Ebbene, arrivati in Malesia Valentino ha denun-ciato pubblicamente la sua vi-sione, il giochetto tiratogli da Marquez a Phillip Island per

rallentarlo a favore di Lorenzo, e la pressione è salita così tan-to che i tappi sono saltati. Marc ha deciso di vendicarsi con una gara privata, tutta centrata sul danneggiare Rossi; Rossi esa-sperato ha commesso un fallo di reazione più o meno grave a seconda dei punti di vista; Lo-renzo ha sbroccato esprimen-do l’enorme livore che teneva nascosto. Troppa pressione. Peccato, era il più bel mondia-le dell’era MotoGP e adesso è rovinato. Purtroppo ne escono tutti male, o quasi tutti. Mi è

piaciuto Lin Jarvis che in una situazione difficilissima (tra il troppo teso Rossi e l’idrofobo Lorenzo) ha tenuto dritta la barra del timone: il team sta sempre dalla parte del suo pilo-ta che in quel momento rischia di più, punto. Mi è piaciuto il tre-dici volte campione del mondo Angel Nieto che, alla domanda “come andava ai tempi tuoi?”, ha sorriso e fatto capire tutto borbottando: ”allora non c’e-rano le telecamere…”. Sulla direzione corsa ho un giudizio incerto. Giusto attendere la

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grandissimi dello sport, ma tra speronamenti e spinte fuori pista ne hanno fatte di tutti i colori. Quando la posta in gioco è altissima saltano tutti i freni inibitori e di gentleman in giro non ne trovi più. Qui la vera biz-zarria è stata che un terzo inco-modo, Marquez, si è infilato nel duello tra i due contendenti per influenzare il risultato. E la mia domanda per voi è: e adesso, come faranno a convivere tre nemici così giurati?

QUANDO LA POSTA IN GIOCO È ALTISSIMA SALTANO TUTTI I FRENI INIBITORI E DI GENTLEMAN IN GIRO NON NE TROVI PIÙ

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DOPOGP CON NICO E ZAMIL GP DI SEPANGdi Giovanni Zamagni | Analizziamo le parole di Rossi, le traiettorie di Marquez e la dinamica del contatto. Chi ha ragione? Giusta la penalità?

P arliamo del “nervosismo” di Rossi esploso in conferenza stampa, della risposta in pista di Marquez e ovvia-mente della reazione che ha portato

al contatto. Chi ha ragione? Ma soprattutto come è andata veramente? Pedrosa è l’unico vincitore

della trasferta in Malesia, sia in pista che fuori. Lorenzo ha il titolo in tasca? Analizziamo anche la gara sfortunata delle Rosse: il radiatore di Ian-none, la caduta di Dovizioso e il sesto posto di Petrucci. Bene Aprilia e Suzuki. Come al solito tanta tecnica con l’Ing. Bernardelle.

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SHUHEI NAKAMOTO, HRCMARQUEZ È CADUTO PER UN COLPO SULLA LEVA DEL FRENOUn’intervista diffusa direttamente da HRC in cui il boss del Reparto Corse Honda offre la sua visione dei fatti sulle vicende degli ultimi giorni

L o scontro fra Marc Marquez e Valen-tino Rossi a Sepang sta portando la tensione a livelli molto elevati, facen-do trascendere la vicenda dai norma-

li confini di un episodio sportivo. Dell’affare si stanno occupando tutti, dagli addetti ai lavori fino a media generalisti e personaggi pubblici la cui competenza in materia è quantomeno di-scutibile. Ci fa quindi molto piacere poter dare la parola ad una delle parti in causa, sia pure per in-terposta persona. Si tratta di Shuhei Nakamoto, Vice President HRC e responsabile del progetto MotoGP. Un giapponese atipico, come lo hanno spesso definito gli addetti ai lavori che hanno avuto a che fare con lui, spesso schietto e ruvido come solo noi occidentali riteniamo accettabile. Molto onestamente, Nakamoto inizia chiarendo i fatti, specificandone la differenza con quelle che invece sono conclusioni che risentono dalle posizioni personali. «Prima di tutto vorremmo specificare che riteniamo molto importante par-lare di fatti, non di assunti. Un fatto è un fatto, e ce ne può essere una sola interpretazione. Gli assunti si possono tradurre in molti modi diversi a seconda della posizione in cui ci si trova. Per il bene dello sport, vorremmo che tutti si limitas-sero a considerare i fatti accaduti, che possiamo chiaramente riassumere come segue:- Marc Marquez ha vinto il GP d’Australia, sor-passando Jorge Lorenzo all’ultimo giro e portan-dogli quindi via cinque punti in campionato;- Il Giovedì prima del Gran Premio di Male-sia, in Conferenza Stampa, Valentino Rossi ha

accusato Marc di correre contro di lui a Phillip Island per aiutare Jorge Lorenzo.- Nel GP della Malesia, Rossi ha intenzionalmen-te spinto Marc fuori traiettoria, gesto che ne ha causato la caduta. La Direzione Gara lo ha per questo penalizzato con ratifica della FIM».«Questi sono gli unici fatti che possiamo pren-dere in considerazione e commentare; qualsia-si altra discussione sarebbe basata su assunti. Parlare di assunti non farebbe che aumentare l’atmosfera negativa che stiamo respirando in questo momento senza cambiare la realtà di ciò che è successo».

Cosa ne pensa dell’attuale situazione dopo il GP della Malesia?«Noi di HRC siamo molto dispiaciuti del crearsi di questa situazione. Prima di tutto vorremmo sottolinare come Marc sia stato accusato senza prove dopo la gara di Phillip Island. Chiaramente non ci sono prove a supporto del fatto che abbia voluto aiutare qualunque altro pilota in Campio-nato, considerando quanto ha spinto per vincere la gara, riuscendoci. Se riguardate le immagini potrete vedere Valentino e Marc stringersi la mano dopo la bandiera a scacchi in Australia, a suggello di uno scontro divertentissimo e leale».

Crede che la lotta nel GP della Malesia fra Marc e Valentino sia il risultato delle accuse di Ros-si?«Onestamente non crediamo che sia questo il caso. Sappiamo tutti come Marc corra sempre al

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100%, è uno dei motivi per cui tutti lo amiamo e ha tanti fan in tutto il mondo. Marc spinge sem-pre al massimo per ottenere il miglior risultato possibile. Ha vissuto grandi battaglie con tanti avversari nel corso della sua carriera e nessuno se ne è lamentato. In Malesia sappiamo che Marc stava faticando ad inizio gara, con il serbatoio pieno come gli era già successo diverse volte in questa stagione. A Sepang ha anche commesso un errore ad inizio gara, permettendo a Jorge di passarlo. Poi è arrivato Valentino, e hanno inizia-to a lottare per il terzo posto. I sorpassi sono sta-ti estremi ma sicuri da parte di entrambi i piloti. Due dei più grandi campioni che abbiamo mai visto lottare in pista».

E’ possibile che Marc abbia rallentato Valentino in quei giri?«I tempi sul giro erano piuttosto veloci, e di-mostrano chiaramente come non ci fosse

intenzione da parte di Marc di rallentare Valenti-no. Inoltre, dopo che Marc è caduto, e Valentino ha quindi avuto pista libera davanti a sé, i suoi tempi non sono scesi rispetto a quelli che ha staccato durante la battaglia con Marc. Credia-mo che stessero entrambi spingendo al massi-mo. Entrambi volevano la terza posizione per poi cercare di recuperare su Dani e Jorge, ma questo scontro ha ovviamente permesso ai primi due di prendere vantaggio. Le gare sono così, e quando si scontrano due talenti come Marc e Valentino possiamo assistere ad una battaglia meraviglio-sa come quella che abbiamo visto».

Crede che Valentino abbia dato un calcio alla moto di Marc?«E’ chiaro come Valentino abbia spinto Marc verso l’esterno della pista, una mossa vietata dal regolamento, quindi Marc non ha avuto altra possibilità se non allargare. I dati dalla moto di

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Marc mostrano che nonostante stesse rialzando la moto cercando di evitare il contatto con Valen-tino, la sua leva anteriore ha di colpo ricevuto un impatto che ha bloccato la ruota anteriore, che è il motivo della sua caduta. Crediamo che que-sta pressione sia il risultato del calcio di Rossi. L’acquisizione dati della moto di Marc è disponi-bile, se chiunque fra Dorna, FIM o media vogliono controllare».

Crede che Marc dica la verità quando sostiene che non stava cercando di rallentare Valentino a Sepang?«Conosco bene Marc. E’ un bravo ragazzo, con valori solidi e onesti. Marc stava solo cercando di difendere la sua posizione, come avrebbe fatto qualunque altro pilota, e gli crediamo al 100%».

Qual è la sua posizione sull’operato della Dire-zione Gara?

«Rispettiamo la loro decisione e non vogliamo far passare qualunque giudizio sul fatto che la pena-lità decisa sia giusta o sbagliata. Ma crediamo che ci fossero abbastanza prove per consentirgli di prendere una decisione durante la gara, non era necessario attendere la fine».

Cosa pensa dell’appello di Valentino al CAS (Court of Arbitration for Sport) contro la deci-sione della Direzione Gara e della FIM?«E’ un suo diritto. Rispetteremo la decisione del CAS».

La gente sostiene che non è giusto che Marc abbia lottato con Valentino, visto che non sta lottando per il campionato come Rossi.«Ma queste sono le gare! Non ci sono state po-lemiche o commenti dopo che Dani ha lottato con Valentino ad Aragon, battendolo, né a Phil-lip Island con Iannone – nessuno ha accusato

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Andrea di cercare di aiutare un contendente più di un altro. E’ stata una stagione difficile, e a Se-pang Marc ha semplicemente cercato di ottene-re il miglior risultato possibile per lui e per il suo team, non è nella sua natura accontentarsi del quarto posto quando ha la possibilità di punta-re al terzo. Bisognerebbe anche rivedere Motegi 2010, quando Valentino era tagliato fuori dalla lotta per il titolo ma ha dato vita ad un bellissimo duello con il suo compagno di team Jorge. Dopo la gara, quando Jorge si è lamentato dell’aggres-sività di Valentino, insensata perché non era in lotta per il titolo, Valentino ha commentato: ‘Ho detto alla Yamaha: cosa vi aspettate, che ar-rivi dietro? Se fosse così resto a casa’. Siamo

completamente d’accordo con l’approccio di Valentino, e supporteremo sempre i nostri piloti per aiutarli a raggiungere il miglior risultato pos-sibile».

Cosa pensa di Valentino in questo momento?«Valentino è il più grande campione del nostro sport. Crediamo che quest’anno abbia fatto un lavoro incredibile, e se vincesse il titolo lo merite-rebbe davvero, perché è stato velocissimo e mol-to regolare per tutta la stagione. Il fatto che abbia 36 anni non fa che aumentare il nostro rispetto per un campione del genere. Detto questo, non capiamo l’accusa rivolta alla gara di Phillip Island e la sua manovra a Sepang. Speriamo che Valen-

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tino ci rifletta e capisca il suo errore».Qual è il vostro obiettivo per Valencia?«L’obiettivo è quello di sempre: vincere! Speria-mo che Marc e Dani possano giocarsi la vittoria. Se potessero finire primo e secondo – non ci in-teressa l’ordine – saremo molto felici. Prima di tutto perché vogliamo chiudere questa stagione con la quarta vittoria consecutiva, secondo per-ché se entrambi saranno davanti a Jorge e Va-lentino il risultato non avrà conseguenze nella lotta per il titolo e – infine – speriamo che tutti capiscano che i piloti Honda corrono per la vitto-ria e per la pura competizione, niente altro».

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GP VALENCIAYAMAHA SMENTISCE HONDAUn comunicato di Yamaha Racing rigetta le illazioni della Casa rivale

L ’ intervista/comunicato divul-gata ieri da HRC ha infastidito non poco i vertici della rivale Yamaha. Che risponde pronta-

mente, contestando le ipotesi espresse dal co-municato ufficiale post-gara (intitolato “Pedrosa vince, Marquez cade dopo un calcio antisportivo di Rossi”) e dall’Executive Vice President HRC Shuhei Nakamoto. Entrambe le comunicazio-ni accusano infatti Valentino Rossi di aver dato un calcio alla moto di Marc Marquez, tesi non

dimostrata dalle indagini della Direzione Gara e dunque contestata nel comunicato da Yamaha. La casa quindi smentisce e non accetta le pa-role usate nei comunicati sopra citati, che non corrispondono a quanto stabilito dalla Direzione Gara. Il comunicato tenta di chiudere smorzando i toni della polemica: “Yamaha non desidera con-tinuare la discussione relativa a questo sfortuna-to incidente. Il nostro unico desiderio è di conclu-dere la stagione MotoGP 2015 nel miglior modo possibile”. “Andiamo a Valencia con la chiara

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intenzione di fare del nostro meglio per vincere quella che speriamo sia una gara memorabile, con tutti i team e i piloti impegnati sportivamen-te come si addice alla massima categoria delle competizioni motociclistiche”. L’atmosfera, in-tanto, è ben lontana dall’essere distesa come di-mostra l’abolizione della tradizionale conferenza stampa del giovedì con l’evidente intento di evi-tare dichiarazioni che possano infiammare gli animi di piloti e tifosi. Confidiamo nel buon senso di tutte le parti in causa, spettatori compresi.

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KTM RC16, PRIME FOTO DELLA MOTOGP DI MATTIGHOFENShakedown per la V4 austriaca al Red Bull Ring con il collaudatore Hofmann alla guida

I l debutto in griglia è previsto per il 2017, dunque fervono i preparativi per il rientro di KTM in MotoGP. Dopo il recente annun-cio dell’ingaggio di Mika Kallio nel ruolo

di collaudatore (il finlandese aveva corso con la Casa di Mattighofen in 125 e 250) ecco finalmen-te le prime immagini della RC16 in pista al Red Bull Ring, l’ex A1-Ring di Zeltweg, anche se in sella - a giudicare dalla tuta - dovrebbe esserci ancora Alex Hofmann. Il test è evidentemente ancora uno shakedown preliminare, anche se l’allestimento di carenature già sponsorizzate lascerebbe intendere un progetto in fase più che

avanzata. La MotoGP KTM (da cui deriverà una versione stradale) pare fedele agli schemi cari al marchio austriaco, vista l’adozione del telaio a traliccio e la scelta di sospensioni che parreb-bero WP. Il serbatoio è evidentemente ospitato sotto la sella, come del resto su tutte le MotoGP, come confermato dal forcellone con capriata di irrigidi-mento inferiore. Freni Brembo in fibra di carbo-nio, ed andamento degli scarichi che ricorda un po’ la Honda RCV213, elemento del resto confer-mato dalle dichiarazioni KTM che hanno sempre parlato di un propulsore V4.

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LE FOTO PIÙ SPETTACOLARI DI SEPANGGli scatti più belli del GP della Malesia. Le foto che raccontano un week end indimenticabile nel bene ma soprattutto nel male

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DAVIES E SYKES APRONO I TEST INVERNALIdi Carlo Baldi | Due giornate di test al Motorland Aragon per Davies e Sykes. Nuovi componenti per la Panigale in versione 2016, mentre Sykes ha testato una versione ibrida 2015/2016 della Ninja

I test invernali dei team e dei piloti del mondia-le Superbike sono iniziati il 28 Ottobre al Mo-torLand Aragon. Solo due i piloti in pista: Tom Sykes (Kawasaki Racing Team) e Chaz Da-

vies (Aruba.it Racing – Ducati Superbike Team). I loro compagni di squadra non erano presenti in quanto Jonathan Rea è rimasto a casa a dare il benvenuto al suo secondo genito mentre Davide Giugliano deve ancora guarire completamente dall’infortunio patito a Laguna Seca. La prima delle due giornate di test previste sulla pista ara-gonese è stata ostacolata dalla pioggia. Il pilota

della Kawasaki ha potuto provare una versione ibrida della ZX-10R. Sulla base della moto 2015 sono stati apportati importanti aggiornamenti, sviluppati per la nuova versione della Ninja. Il gal-lese della Ducati ha invece testato nuovi compo-nenti 2016 che hanno riguardato l’elettronica, il telaio e la distribuzione dei pesi. Nella seconda ed ultima giornata i due piloti hanno invece po-tuto sfruttare condizioni meteo favorevoli, con sole e temperature miti. Davies e Sykes hanno potuto lavorare per tutto l’arco della giornata. Il primo si è concentrato sulla prova di diverse

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configurazioni della sua Ninja ZX-10R. In tutto Tom ha percorso 65 giri, con un miglior tempo di 1’50.5 (quasi tre decimi più veloce del miglior riferimento fatto segnare in gara lo scorso aprile (1’50.890). Nel box Ducati Davies ha continuato a passare al vaglio numerosi nuovi componenti. Il pilota gallese si è impegnato a fondo in questa seconda giornata, completando ben 70 giri, il più veloce dei quali in 1’50.8, migliorando il suo mi-glior giro nelle due gare di quest’anno (1’51.156). Ecco le dichiarazioni dei due piloti al termine dei test del Motorland Aragon :Tom Sykes: “Sono contento. Abbiamo lavorato nella giusta direzione. In questo test abbiamo compiuto un buon passo avanti in quanto a fe-eling, rispetto a quello che avevo con la Ninja 2015. Ci aspettano ancora numerosi test questo inverno, ma senza dubbio il Motorland è un buon tracciato per ottenere utili informazioni sulla no-stra nuova moto”.Chaz Davies: “Sono stati due giorni molto im-pegnativi ma anche positiva. Abbiamo lavorato molto sulla nuova elettronica e specialmente sul freno motore, che per me è molto importante. Gli aggiornamenti introdotti per il 2016 hanno avuto

effetti positivi ed alla fine la moto è risultata co-stantemente stabile, specialmente all’anteriore. Abbiamo fatto anche una comparativa interes-sante tra il setting della gara fatta qui ad apri-le, quello di fine stagione e quello della moto in versione 2016 e si è sempre confermato il trend positivo, sia in termini di feeling sulla moto che di tempi sul giro”. Entrambe le squadre torneranno in pista la pros-sima settimana a Jerez. Davies sarà ancora il solo pilota Ducati in pista, mentre a Sykes si af-fiancherà il Campione del Mondo 2015 Jonathan Rea. Sulla pista andalusa vedremo all’opera per la prima volta Alex Lowes e Sylvain Guintoli, pilo-ti del nuovo team ufficiale Yamaha Crescent Ra-cing. Per assistere al debutto in Superbike di Ni-cky Hayden bisognerà invece attendere il 16 e 17 Novembre quando ad Aragon l’americano salirà per la prima volta sulla sua CBR 1000, assieme al suo compagno di squadra Michael VdMark. I due si potranno confrontare subito con i loro avver-sari di Ducati, Yamaha e Kawasaki. Tutti questi team torneranno poi al lavoro nell’ultimo test in-vernale del 2015, che si svolgerà a fine Novem-bre a Jerez dal 25 al 27.

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CAMPIONI DEL MONDO RALLY RAIDMATTHIAS WALKNERdi Piero Batini | Vincendo il OiLibya Rally del Marocco, il pilota austriaco raccoglie l’eredità di Marc Coma e diventa Campione del mondo 2015. Adesso lo aspetta la verifica della Dakar. Secondo il pilota austriaco, da prendere con la massima circospezione

N eanche trent’anni, di Salisburgo, Matthias Walkner è universalmente conosciuto quando, nel 2012, diven-ta campione del mondo MX3. Giun-

to a un bivio della sua carriera, Matthias decide di seguire i consigli di Heinz Kinigadner, il suo mentore, e di impiegarsi a tempo pieno nei Ral-ly Raid. Lo scorso anno debutta al Rally del Ma-rocco, e quest’anno alla Dakar conquistando la vittoria nella terza tappa. Terzo nella generale a metà gara, il giovane pilota-rivelazione è costret-to al ritiro durante la decima tappa. L’Ufficiale Red Bull KTM Factory Team vince il suo primo Rally di Campionato del Mondo in Sardegna, e diventa campione del Mondo al termine del Rally del Marocco, succedendo a Marc Coma che nel frattempo si è ritirato dalle competizioni per di-ventare Direttore Sportivo della Dakar.

Complimenti Matthias. Ricordi? Solo un anno fa debuttavi nel Campionato del mondo pro-prio al Rally del Marocco. Un anno è passato, e oggi il Campione del mondo sei tu. Ne hai fatta di strada, in così poco tempo!«Grazie per i complimenti! È veramente strano anche per me notare come le cose siano suc-cesse così velocemente. All’inizio della stagio-ne volevo solo allenarmi, imparare e migliorare poco a poco, e così è stato fino a un certo punto. Poi, in Sardegna, è accaduto qualcosa che mi ha fatto sentire le cose in modo diverso. Ho vinto il Sardegna Rally Race, la mia prima vittoria nel

Campionato del mondo, e a quel punto ho av-vertito che la motivazione iniziava a spingere in modo davvero forte. È stato un trampolino. Ho cercato di capire cosa potevo fare e mi son reso conto che potevo avere la carte per riuscire. Ci dovevo provare. In Sardegna mi sono sentito bene con la navigazione, per esempio, e dopo in Cile, all’Atacama Rally, ho sentito un grande sen-so di fiducia nei miei mezzi. Sono stati i due Rally che mi hanno fatto fare il salto di qualità dandomi completa fiducia e la freddezza necessaria per affrontare i Rally nel modo giusto».

In Marocco la situazione era delicata. Tu con-tro Quintanilla, due piloti della stessa “epoca” e della stessa squadra.«Sì, è stata un‘altra bella battaglia, ma molto pia-cevole e senza alcun “odio”. Contro Pablo Quin-tanilla. Lui non ha commesso nessun errore, e io ho cercato di fare altrettanto. Abbiamo corso giorno dopo giorno praticamente affiancati. Alla fine è stato bello, perché abbiamo combattuto ma siamo buoni amici, e ognuno, fino all’ultimo giorno, era felice per le fortune dell’altro. Non così l’ultimo giorno. Lui è caduto e, dico la verità, mi è dispiaciuto molto».

Anche questa deve essere stata una strana no-vità. Lottare gomito a gomito con un compa-gno di squadra e contro un amico. Non è vero?«Questo è vero, ma è vero anche che proprio in un caso così delicato come quello ho imparato a

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gestire la pressione. E ho scoperto di non averne, di non sentirla. Anche questo dipende forse dal fatto che tutto è arrivato così in fretta. Se fossi arrivato tra i primi cinque nel Mondiale sarei sta-to già felicissimo. Il fatto che sia finita così, e che io abbia vinto il Campionato del mondo, è stato un po’ una sorpresa. L’ultimo giorno in Marocco, per esempio, correvo pensando che Quintanil-la sarebbe diventato campione ed ero felice lo stesso, per lui. Ho spinto in ogni caso al massi-mo, ed è finita così, nel modo che mi rende an-cora più felice. Mi è servito per imparare ancora, anche a come essere felice. Contento quando gli altri piloti sono più veloci, contento quando il più rapido sono io. Tutto diventa più facile quando si ha una grande passione per quello che si fa».

Dunque hai corso un’intera stagione sorpren-dendo te stesso. Adesso credo che sia arrivato il momento di sorprendere tutti gli altri, e di pensare alla Dakar?«Questo è un caso nel quale bisogna pensare, agire e procedere per gradi. Per prima cosa pen-sare, cioè, a finire la Dakar. Poi, forse, iniziare a pensare a conquistare un podio, e solo per ul-tima cosa, man mano che le cose vanno avanti senza intoppi e una volta conquistato il podio, allora si può iniziare a parlare di vittoria. Quindi, teoricamente, ho bisogno di tre anni ancora per essere autorizzato a parlare di vincere la Dakar! Penso di aver già sorpreso abbastanza quest’an-no, e di aver mostrato di essere costante nel rendimento, abbastanza veloce, e buono nella

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navigazione. Ma la Dakar è una corsa a se, così lunga, così difficile. La cosa più sensata che si possa dire al riguardo, quindi, è che va affronta-ta… cercando di fare del proprio meglio».

Chi ti ha portato ai Rally Raid?«È stato Heinz Kinigadner. Dopo il Motocross, un giorno gli ho chiesto, vista la mia situazione, quale fosse secondo lui la cosa migliore per il mio futuro. Heinz è un grandissimo appassionato di Rally Raid, oggi KTM ha vinto così tanto ma tutto è iniziato grazie a Kinigadner, e mi ha consigliato di provare in questa direzione. Aveva ragione, ho provato e mi sono immediatamente appassiona-to anch’io. Sono lunghe, dure, stressanti giorna-te in sella alla moto, ma si vedono e si sentono così tante belle cose. Penso oggi che il Rally mi piaccia davvero tanto, più di ogni altro Sport dei motori, e più ancora del Motocross che pure mi ha dato tantissimo. Non avrei mai immagina-to che mi sarebbe piaciuto così tanto. Velocità, resistenza, navigazione, strategia e tattica. È un insieme di sensazioni veramente grande».

Vincendo il Campionato del Mondo, succedi a uno dei più grandi Campioni di tutti i tempi, Marc Coma. Cosa pensi di questo fatto, e di lui?«Marc è un’altra storia. Un capitolo della storia che sta su un altro piano. Non credo che possa arrivare tanto presto un altro pilota così forte, e rappresentativo della disciplina dei Rally Raid, come lo è stato Marc. Coma è stato fortissimo per tanti anni, e non ha mai fatto grandi errori. Quando per la prima volta mi è capitato di veder-lo allenarsi su una pista di motocross, ho pensa-to che non era poi questo “mostro”, che era, ok, un Rally Man. Ma quando poi l’ho visto correre insieme a me in Marocco lo scorso anno, per me era la prima volta, immediatamente mi sono chiesto come era possibile che un Pilota potesse essere così veloce, così forte e sicuro. Mi sono tolto il cappello… il casco in segno di ri-spetto. Quello che mi aveva fatto vedere, e capi-re, era impressionante!»

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