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Antonio D’Andrea – Tecnica delle costruzioni stradali – a.a. 2010/11 RICICLAGGIO DELLA SOVRASTRUTTURA STRADALE Appunti in corso di perfezionamento. Le figure mancanti possono essere reperite sulle slide delle lezioni. Per mantenere la strada in buona efficienza, è necessario rinnovare con una certa frequenza gli strati della sovrastruttura. Il rifacimento dello strato di usura ha cadenza ordinaria compresa tra tre e sette anni, mentre per gli strati più profondi la frequenza è decisamente più diradata e dipende dalle scelte di programmazione adottate in sede di progetto e dallo sfruttamento effettivo della strada, in dipendenza della minore o maggiore entità del traffico rispetto alle previsioni di progetto. I materiali degli strati componenti la sovrastruttura stradale da assoggettare a rifacimento, ancorché invecchiati ed usurati, conservano un rilevante valore tecnico ed economico, in relazione alle potenzialità offerte dal loro riutilizzo. È per questo motivo, oltreché per i costi derivanti dai sempre maggiori vincoli imposti al loro smaltimento in discarica, che si sono affermate nella pratica corrente numerose e molto variegate tecniche di recupero o di riciclaggio. Il processo è stato altresì favorito dall’incremento del costo del bitume, dalla progressiva scarsità degli aggregati di qualità e dalla crescente attenzione verso le problematiche ambientali. Si possono distinguere quattro grandi categorie di intervento, da scegliersi, volta a volta, in base a considerazioni strutturali e funzionali, alla disponibilità di attrezzature, all’esperienza delle imprese, ai vincoli finanziari e ai criteri adottati per la pianificazione della manutenzione: o riciclaggio a caldo in impianto; o riciclaggio a freddo in impianto; o riciclaggio a caldo in sito; o riciclaggio a freddo in sito. Il riciclaggio a caldo in impianto può attuarsi in una centrale per conglomerati bituminosi. È il processo nel quale, grazie all’inserimento di appositi componenti aggiuntivi nelle correnti apparecchiature di produzione, il materiale di risulta ottenuto dalla demolizione di pavimentazioni viene miscelato con aggregati vergini (in ragione del 10-30%, ed in alcuni casi fino al 50%) e con bitume nuovo per ottenere conglomerato a caldo per strati di base, binder e usura. Il riciclaggio a freddo in impianto si realizza in una centrale del tipo per misti cementati o per misti bitumati a freddo. Consiste normalmente nella produzione di miscele stabilizzate con emulsione o schiuma di bitume, raramente con altro genere di leganti o di agenti stabilizzanti, contenenti fino al 100% di materiale recuperato. Il riciclaggio a caldo in sito si attua con complessi treni di apparecchiature che rammolliscono gli strati superficiali, li rimuovono, aggiungono eventualmente additivi rigeneranti, nuovo bitume, nuovi aggregati, o nuovo conglomerato a caldo preconfezionato, ed infine stendono e costipano il conglomerato riciclato. Il riciclaggio a freddo in sito si attua tipicamente per spessori da 75 a 100 mm e non prevede l’impiego di calore. Il materiale granulato ricavato dalla sovrastruttura, eventualmente selezionato granulometricamente, viene miscelato con emulsione bituminosa o con schiuma di bitume ed additivato con ceneri volanti, cemento o calce, steso e compattato. Nella sua variante a pieno spessore (da 100 a 300 mm) il pacchetto degli strati bitumati viene trattato insieme ad una parte dello strato granulare sottostante per produrre uno strato di base stabilizzato. 1. La sovrastruttura usurata come risorsa I benefici rivenienti da un accorto riutilizzo dei materiali delle pavimentazioni usurate investono molteplici aspetti: Revisione n. 16.12.2010 della bozza n. Pagina 1 di 15

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Antonio D’Andrea – Tecnica delle costruzioni stradali – a.a. 2010/11

RICICLAGGIO DELLA SOVRASTRUTTURA STRADALE Appunti in corso di perfezionamento. Le figure mancanti possono essere reperite sulle slide delle lezioni.

Per mantenere la strada in buona efficienza, è necessario rinnovare con una certa frequenza gli strati della sovrastruttura. Il rifacimento dello strato di usura ha cadenza ordinaria compresa tra tre e sette anni, mentre per gli strati più profondi la frequenza è decisamente più diradata e dipende dalle scelte di programmazione adottate in sede di progetto e dallo sfruttamento effettivo della strada, in dipendenza della minore o maggiore entità del traffico rispetto alle previsioni di progetto.

I materiali degli strati componenti la sovrastruttura stradale da assoggettare a rifacimento, ancorché invecchiati ed usurati, conservano un rilevante valore tecnico ed economico, in relazione alle potenzialità offerte dal loro riutilizzo.

È per questo motivo, oltreché per i costi derivanti dai sempre maggiori vincoli imposti al loro smaltimento in discarica, che si sono affermate nella pratica corrente numerose e molto variegate tecniche di recupero o di riciclaggio.

Il processo è stato altresì favorito dall’incremento del costo del bitume, dalla progressiva scarsità degli aggregati di qualità e dalla crescente attenzione verso le problematiche ambientali.

Si possono distinguere quattro grandi categorie di intervento, da scegliersi, volta a volta, in base a considerazioni strutturali e funzionali, alla disponibilità di attrezzature, all’esperienza delle imprese, ai vincoli finanziari e ai criteri adottati per la pianificazione della manutenzione:

o riciclaggio a caldo in impianto; o riciclaggio a freddo in impianto; o riciclaggio a caldo in sito; o riciclaggio a freddo in sito. Il riciclaggio a caldo in impianto può attuarsi in una centrale per conglomerati bituminosi. È il processo

nel quale, grazie all’inserimento di appositi componenti aggiuntivi nelle correnti apparecchiature di produzione, il materiale di risulta ottenuto dalla demolizione di pavimentazioni viene miscelato con aggregati vergini (in ragione del 10-30%, ed in alcuni casi fino al 50%) e con bitume nuovo per ottenere conglomerato a caldo per strati di base, binder e usura.

Il riciclaggio a freddo in impianto si realizza in una centrale del tipo per misti cementati o per misti bitumati a freddo. Consiste normalmente nella produzione di miscele stabilizzate con emulsione o schiuma di bitume, raramente con altro genere di leganti o di agenti stabilizzanti, contenenti fino al 100% di materiale recuperato.

Il riciclaggio a caldo in sito si attua con complessi treni di apparecchiature che rammolliscono gli strati superficiali, li rimuovono, aggiungono eventualmente additivi rigeneranti, nuovo bitume, nuovi aggregati, o nuovo conglomerato a caldo preconfezionato, ed infine stendono e costipano il conglomerato riciclato.

Il riciclaggio a freddo in sito si attua tipicamente per spessori da 75 a 100 mm e non prevede l’impiego di calore. Il materiale granulato ricavato dalla sovrastruttura, eventualmente selezionato granulometricamente, viene miscelato con emulsione bituminosa o con schiuma di bitume ed additivato con ceneri volanti, cemento o calce, steso e compattato. Nella sua variante a pieno spessore (da 100 a 300 mm) il pacchetto degli strati bitumati viene trattato insieme ad una parte dello strato granulare sottostante per produrre uno strato di base stabilizzato.

1. La sovrastruttura usurata come risorsa I benefici rivenienti da un accorto riutilizzo dei materiali delle pavimentazioni usurate investono molteplici aspetti:

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1) riduzione dei costi diretti del rifacimento, grazie al risparmio di materie prime ed energia; 2) minore consumo di territorio e di ambiente, in relazione al contenimento del prelievo di aggregati da

cava ed alla riduzione dei trasporti; 3) nei casi di riciclaggio in sito, minori tempi di interruzione del transito e dei disagi all’utenza

provocate dalle operazioni di cantiere. Nei paesi dove le pavimentazioni flessibili sono comunemente valutate in alternativa a quelle rigide, il

risparmio conseguente al riciclaggio appare oggi l’unica via per mantenere la competitività economica delle prime.

Studi eseguiti in Nord-America [1] attestano un risparmio, riferito al solo costo dei materiali e della costruzione, variabile tra il 14 e il 34%, a fronte di quote riciclate dal 20 al 50%, senza considerare i risparmi sociali ed ambientali.

Nel processo di selezione della migliore tipologia di intervento su una pavimentazione giunta alla fine del periodo di utilizzo si deve considerare che può essere necessario completare la sovrastruttura riciclata con un ricoprimento in materiale vergine. Pertanto devono essere comparate almeno le seguenti alternative:

o demolizione e ricostruzione senza riciclaggio; o posa di nuovi strati in conglomerato sopra la pavimentazione esistente; o riciclaggio senza ricoprimento con nuovi strati di conglomerato a caldo; o riciclaggio con ricoprimento. Concorrono alla scelta considerazioni tecniche, economiche, energetiche e di compatibilità globale.

1.1 Considerazioni tecniche Occorre in primo luogo esaminare le condizioni attuali e la storia della pavimentazione esistente, considerando:

o lo stato di percorribilità, basato su indicatori di percorribilità; o il tipo, l’estensione e la gravità degli ammaloramenti; o la capacità strutturale residua della pavimentazione; o le condizioni climatiche (temperature, insolazione, piovosità, etc.); o le condizioni di drenaggio superficiale sub-superficiale e profondo; o i vincoli costruttivi (franchi, sistemi di drenaggio, banchine, barriere di sicurezza, strutture

contigue, etc.); o l’obiettivo di durata di progetto dell’intervento e il traffico per essa stimato; o la qualità e lo stato dei materiali candidati al riciclaggio; o il tipo, la frequenza e i costi dei precedenti interventi di manutenzione.

1.2 Considerazioni economiche La valutazione economica delle alternative può essere condotta sia secondo il metodo del valore attuale, calcolando l’importo necessario, a valuta corrente, per sopperire a tutti i costi previsti nella vita utile, sia secondo il metodo del costo annuale uniforme equivalente, nel quale l’importo dell’investimento iniziale viene distribuito uniformemente su tutti gli anni di vita utile. Questo secondo metodo è vantaggioso quando si confrontino alternative con differenti durate di progetto.

Se opportunamente applicati, tutti i metodi di riciclaggio sono più convenienti dei metodi convenzionali di riabilitazione di pavimentazioni esistenti, benché la concreta entità dei risparmi dipenda notevolmente dalle situazioni locali.

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Numerose analisi comparative, pubblicate soprattutto negli Stati Uniti, permettono di affermare, che risparmi crescenti, dal 40 al 70%, possono ottenersi , rispettivamente, con il riciclaggio a caldo in impianto, a caldo in sito, a freddo in impianto e a freddo in sito. 1.3 Considerazioni energetiche Il bilancio energetico costituisce in molti casi uno dei più importanti fattori di preferenza per le tecniche di riciclaggio, soprattutto nei periodi di scarsa disponibilità ed elevato prezzo delle fonti energetiche.

Le operazioni che richiedono maggiore consumo di energia e che pertanto possono fare la differenza, sono la preparazione dei materiali, i trasporti, la produzione della miscela, la stesa, il costipamento.

A titolo di esempio, si forniscono i seguenti indicatori: scarifica a caldo 3.5 ÷ 7.0 kWh/m2 frantumazione/fresatura a caldo 0.27 ÷ 0.55 kWh/m2 frantumazione/fresatura a freddo 0.14 ÷ 0.35 kWh/m2 miscelazione e riciclaggio in sito 2.1 ÷ 2.7 kWh/m2 miscelazione e riciclaggio in impianto 2.7 ÷ 3.4 kWh/m2

1.4 Considerazioni generali Oltre alle valutazioni economiche connesse direttamente alla tipologia e alle caratteristiche tecniche dell’intervento, occorre tener conto anche dei seguenti elementi, che a volte possono seriamente condizionare la soluzione finale:

o disponibilità delle attrezzature; o esperienza delle imprese; o investimento iniziale; o costi valutati sull’intero ciclo di vita; o controllo del traffico e disagi arrecati all’utenza; o lunghezza della tratta interessata dall’intervento; o disturbo su lavori ed attività prossime; o interferenze con pubblici servizi e loro eventuale riallocazione.

2. Il recupero dei materiali della sovrastruttura 2.1 La generazione e la gestione del rifiuto Quando una pavimentazione usurata viene demolita per essere trasportata in impianto di riciclaggio il materiale ottenuto dall’attività di demolizione, in forza delle vigenti leggi che regolano la materia in sede europea, assume la qualificazione di rifiuto ed è assoggettato a rigorose regole di tracciabilità fino al momento del suo trattamento in impianto autorizzato a compiere la sua trasformazione in materia prima secondaria, cioè in un prodotto analogo ai conglomerati ottenuti da materie prime vergini (aggregati di cava e bitume da raffineria). 2.2 Asportazione della pavimentazione usurata Quando il prodotto della demolizione deve essere trasportato in impianto, i metodi di demolizione della sovrastruttura si distinguono in fresatura a freddo e scarifica con frantumazione.

Nella fresatura a freddo la pavimentazione viene rimossa per la larghezza e profondità prestabilita da macchinari in grado di realizzare con grande accuratezza profili regolari e pendenze trasversali controllate. La parte principale della macchina fresatrice è l’unità demolitrice, costituita da un tamburo

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rotante dentato, in grado di produrre una granulometria che, di norma, non necessita di ulteriore frantumazione.

La tecnologia di queste apparecchiature si è drasticamente evoluta, con parallela riduzione dei costi dell’operazione. Sono di ordinario impiego fresatrici di larghezza compresa tra uno e quattro metri e profondità variabili da pochi centimetri a 40 cm. Regolando la disposizione e l’inclinazione dei denti si può ottenere una maggiore o minore dimensione massima del granulato, variabile da 2 fino a 40 mm.

La distribuzione granulometrica del fresato è diversa da quella del conglomerato di provenienza a causa della frantumazione dei grani più grandi e della notevole produzione di fino durante il processo. Si evita però di eliminare il fino perché è la frazione che contiene la maggiore quantità di bitume.

In alcuni casi, e per spessori modesti, è possibile utilizzare la tecnica di fresatura a caldo, rammollendo il bitume dello strato superficiale con pannelli radianti o altri sistemi riscaldanti. La produzione di fino ne risulta considerevolmente limitata.

Le fresatrici sono normalmente dotate di sistemi meccanizzati per l’asportazione del materiale prodotto e il suo convogliamento a bordo dei mezzi di trasporto, corredati di un efficiente controllo delle polveri, che è molto importante soprattutto qualora l’intervento si svolga su strada in esercizio, in area urbanizzata o in ambienti naturali sensibili.

In alternativa alla fresatura, soprattutto quando non sia richiesta regolarità al piano residuato al termine dell’intervento demolitivo, possono essere impiegate tecniche denominabili di scarifica e frantumazione, con impiego di macchine scarificatrici, ripper, escavatori, grader e varie altre attrezzature atte o adattabili alla demolizione.

In tal caso, l’asportazione dei frammenti avviene con metodi tradizionali e deve essere seguita da una fase di frantumazione in centrale, per ridurre i grani a dimensioni idonee alla miscelazione in un conglomerato bituminoso.

A tal fine sono utilizzati frantumatori sia a martelli, sia a rulli contrapposti, sia a barre o ganasce. Un tipo di frantumatore specifico per il conglomerato è un tamburo dentato simile alla fresatrice, contrapposto a un piano metallico canalato.

Dal punto di vista operativo, appaiono più efficienti i frantumatori a martelli, poiché sono meno soggetti a fenomeni di agglomerazione delle particelle bitumate (Impaccamento), frequenti con temperature elevate e materiale umido. 2.3 Stoccaggio A causa delle diverse provenienze e dei differenti metodi di demolizione, i granulati di conglomerato usurato che giungono in un impianto di conglomerazione possono essere molto variabili in quanto a composizione granulometrica, contenuto e qualità del bitume, tipologia degli aggregati, cosicché è necessario predisporre cumuli separati e distinti per ciascuna tipologia omogenea.

I conferimenti devono essere costantemente monitorati per escludere l’inquinamento con terra, macerie, calcestruzzo, trattamenti superficiali bituminosi (cheap seal), reti, sigillanti dei giunti, etc.

Quando i quantitativi di ciascuna partita sono troppo modesti per realizzare un cumulo indipendente, si deve provvedere con procedure di miscelazione, ad esempio mediante ri-movimentazione con pale meccaniche, ed eventuale frantumazione.

Le prove di caratterizzazione ed identificazione saranno poi condotte sul cumulo così omogeneizzato. Quando il granulato giace nei cumuli, i due maggiori problemi sono la ritenzione di umidità, favorita

dalla presenza di fini, e la riagglomerazione, dovuta al rammollimento del bitume alle alte temperature. Contrariamente a quanto si supponeva in passato, sembra che la forma migliore per i cumuli non sia

quella larga e piatta, ma quella conica, poiché la riagglomerazione non si estende a tutto il cumulo, nonostante le rilevanti pressioni dovute al peso proprio, ma rimane limitata alla parte più superficiale, dove si forma una crosta spessa circa 20/25 cm, relativamente impermeabile, che favorisce l’allontanamento

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delle acque meteoriche. Al momento del prelievo, questa crosta si sgrana facilmente e, di solito, non è necessaria una nuova frantumazione.

Ben più importante è la ritenzione di umidità che eleva la spesa energetica per l’asciugatura del conglomerato recuperato prima del confezionamento a caldo, o qualora questa non sia prevista, limita pesantemente la quantità miscelabile con gli inerti vergini, ai quali, grazie al loro preventivo riscaldamento, è affidato il compito di far evaporare l’acqua in esso contenuta.

Per questo motivo, può essere conveniente realizzare coperture aperte per lo stoccaggio, in specie nelle regioni piovose. Occorre considerare, infatti, che il calore latente di evaporazione è molto elevato e che la temperatura alla quale possono essere riscaldati gli inerti vergini non può essere portata oltre certi limiti (210 °C), sia per salvaguardare l’integrità dell’impianto, sia per non degradare troppo le proprietà del bitume vecchio e di quello nuovo durante la miscelazione. Nel caso di contatto breve di inerti vergini e materiale da riciclare prima dell’immissione del bitume, e di temperatura del prodotto finito di 150 °C, l’umidità del granulato umido non può superare il 4% se la quota di riciclato è il 10%, il 2% per una quota del 20%, e deve essere asciutto per quote maggiori.

2.4 Riciclaggio in impianto per conglomerati bituminosi a caldo Il materiale da avviare al riciclaggio in impianto può provenire dallo stesso tronco stradale sul quale si disporrà lo strato rinnovato, oppure, molto frequentemente, viene prelevato da cumuli nei quali siano stati raccolti i prodotti di varie attività di rimozione di pavimentazioni.

A questo granulato è uso comune attribuire estensivamente il nome di fresato, parola che sarà utilizzata nel testo in questa accezione estesa, anche se parzialmente impropria. A livello internazionale è ormai universalmente accettato l’acronimo RAP (Reclaimed Asphalt Pavement).

Il fresato deve essere combinato con nuovo aggregato, con bitume ed eventualmente con agenti ringiovanenti, per produrre nuovo conglomerato a caldo, ed entra nel ciclo di produzione ordinario come componente integrativo, in quanto solo raramente riesce a raggiungere quote percentuali superiori al 40%.

Gli impianti si distinguono in due grandi categorie, discontinui e continui, e richiedono specifici accorgimenti e modifiche, che si espongono brevemente.

Uno schema funzionale di un tipico impianto a caldo discontinuo è riportato in Figura 1 Le modifiche e le integrazioni da apportare agli impianti discontinui per poter accogliere una quota di

materiale riciclato, dalle più semplici alle più sofisticate, sono tutte accomunate dall’impiego di un sistema di alimentazione separato per il granulato da riciclare, che lo condurrà alla miscelazione con il materiale vergine in una fase più o meno avanzata del processo di produzione (Figura XIV-2 )

Speciali accorgimenti debbono essere adottati per l’allontanamento di polveri, gas e vapor d’acqua, che si generano durante il riscaldamento del granulato riciclato.

In genere, l’impiego di fresato impone un rallentamento più o meno pronunciato del ciclo di produzione in relazione al metodo utilizzato.

Immissione del riciclato nella tramoggia di pesatura o direttamente nel mescolatore. Il riciclato viene caricato in un predosatore, che rifornisce un elevatore verso la tramoggia di pesatura.

Da questo momento in poi il fresato viene trattato alla stregua di qualsiasi altro componente. Completata la fase di pesatura, non è però possibile utilizzare i vagli, che si intaserebbero in breve tempo. Qualora si debba necessariamente sottoporre a vagliatura finale l’aggregato vergine, si può far giungere il fresato direttamente nel mescolatore, scavalcando la tramoggia di pesatura, ma facendo in tal caso precedere una separata fase di dosatura, a peso o a volume.

Allo scarico nel mescolatore, dalla tramoggia o diretto, il fresato freddo viene a contatto con gli inerti vergini sovra riscaldati, aumenta la sua temperatura e si amalgama con gli altri componenti, ottenendosi anche la liquefazione del bitume in esso contenuto.

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Una quantità notevole di calore si sviluppa in tempi molto rapidi, fino a raggiungere quasi la forma di un’esplosione. Pertanto il gruppo di pesatura e miscelazione deve essere chiuso e viene a volte dotato di una camera di espansione del vapore, dalla quale partono i condotti di evacuazione verso il depolverizzatore e i filtri, oppure verso il sistema di rifornimento d’aria all’essiccatore principale. In quest’ultimo caso, i vapori di idrocarburi e gli altri gas passano attraverso il bruciatore principale e vengono così economicamente abbattuti.

Immissione nell’elevatore a tazze Il contatto del fresato con l’aggregato viene anticipato al momento dell’elevazione verso le tramogge di

pesatura. In ciascuna tazza dell’elevatore viene sequenzialmente immessa solo una piccola quantità di fresato da scaldare ed asciugare. La produzione di vapor d’acqua è molto più diluita nel tempo per l’aspirazione di gas e vapori è sufficiente il normale condotto di evacuazione dell’elevatore a tazze.

La vagliatura ante-miscelatore deve essere anche in questo caso esclusa per evitare l’intasamento delle reti.

Immissione nella parte terminale del cilindro essiccatore Nei tamburi essiccatore “controcorrente” gli aggregati vergini si avvicinano al bruciatore, mentre i fumi

vengono espulsi dal lato dove gli aggregati entrano. In questo tipo di impianti, il fresato può essere introdotto nel tamburo di lato al bruciatore, in modo da evitare il contatto con la fiamma, ma usufruendo delle alte temperature ivi presenti dell’aria e degli aggregati vergini in uscita.

La maggior parte del vapor d’acqua viene aspirato dal sistema di evacuazione dei fumi del tamburo essiccatore e la rimanente dal condotto di evacuazione dei fumi dall’elevatore a tazze.

Una variante migliorativa prevede un anello esterno concentrico al tamburo, posto attorno al bruciatore, dove viene immesso il fresato e dove cade l’aggregato vergine caldo, per proseguire insieme verso l’elevatore.

Immissione nel mescolatore previa essiccazione Questo sistema è il più costoso, ma di certo il più efficiente. È anche detto del “doppio tamburo”, in

quanto il fresato passa all’interno di un tamburo essiccatore dedicato, dove viene asciugato e riscaldato a 100÷130°C ed inviato ad una specifica tramoggia di pesatura che lo immette direttamente nel mescolatore. L’essiccazione del fresato è di solito in “equicorrente”. I fumi ed i vapori escono dallo stesso lato dell’uscita del fresato caldo e vengono convogliati all’essiccatore primario come aria di combustione.

La separazione completa della linea del fresato da quella degli aggregati vergini permette di ottimizzare la manutenzione, in quanto il bitume “vecchio” sporca solo la linea dedicata. Non viene alterato il sistema di pesatura e vagliatura principale.

La percentuale massima di fresato riutilizzabile si aggira attorno al 50% ed è essenzialmente limitata dalla possibilità, da parte dell’essiccatore principale, di assorbire tutti i prodotti dell’aspirazione dell’essiccatore del fresato.

Impianti di confezionamento di tipo continuo Gli impianti di tipo continuo equicorrente (drum-mix plant) offrono alcuni vantaggi rispetto ai

discontinui: o possono essere raggiunte percentuali più elevate di fresato nel prodotto riciclato; o i tempi di produzione non vengono rallentati, sia pur entro certi limiti; o le miscele prodotte sono più omogenee, grazie al più prolungato contatto tra i vari componenti. Gli aggregati vengono avviati nel tamburo essiccatore/miscelatore dal lato del bruciatore e lo

percorrono in tutta la sua lunghezza, riscaldandosi progressivamente nello stesso verso dei fumi aspirati. Nella zona terminale, lontano dalla fiamma, viene immesso il bitume che si amalgama all’aggregato grazie alla rotazione del tamburo. Con riferimento allo schema funzionale di Figura XIV- 3 il sistema di gran lunga più usato prevede l’introduzione del fresato approssimativamente al centro del tamburo, al fine di evitare

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di bruciare il bitume “vecchio” con la fiamma diretta, ma di garantirgli un sufficiente tempo di rammollimento durante il riscaldamento/asciugatura del fresato freddo.

Con questo sistema si possono raggiungere percentuali di riciclaggio anche del 70%, ma i costi connessi al trattamento delle emissioni nocive impongono limiti pratici del 50% o anche inferiori.

Il vapore generato dall’essiccatura del fresato sembra infatti favorire la distillazione delle componenti leggere del bitume vergine che viene introdotto nello stesso ambiente.

Per superare questo problema, lo schema funzionale di base può essere modificato realizzando in vario modo la separazione della zona di miscelazione e immissione del bitume, ovvero riscaldando preventivamente il fresato in controcorrente in una camera concentrica alla zona terminale del tamburo. 2.5 Progetto delle miscele a caldo contenenti riciclato Nel progetto delle miscele a caldo contenenti una quota di materiale riciclato occorre considerare le caratteristiche di tutti i componenti: il granulato recuperato (inerti e legante), l’aggregato vergine, il bitume di apporto e, eventualmente, gli agenti rigeneranti o ringiovanenti.

Il primo passo del processo di progettazione consiste pertanto nel caratterizzare il materiale recuperato, realizzando provini rappresentativi; a tal fine sono disponibili le indicazioni delle normative EN. Il campionamento può essere condotto, a seconda dei casi:

1) mediante carotatura sulla pavimentazione esistente, prima dell’inizio delle operazioni demolizione, suddividendo la tratta in tronchi omogenei (EN 12697-27);

2) sui mezzi di trasporto, con quella numerosità che evidenzi eventuali disuniformità (EN 932-1); 3) sui cumuli realizzati in cantiere, in impianto o nei siti di stoccaggio intermedi (EN 932-1). I risultati ottenuti vanno considerati singolarmente per ciascun provino, in modo da evidenziare la

variabilità e determinare la media e la deviazione standard di ciascun parametro. Quando i mezzi di trasporto siano di diverse provenienze o i cumuli siano stati formati con conferimenti

molto differenti tra loro, può essere necessario procedere ad una rimescolazione ed omogeneizzazione, non solo per campionare correttamente, ma soprattutto per garantire omogeneità della successiva produzione di conglomerato.

La frequenza minima di un campionamento eseguito durante la formazione del cumulo deve essere di quattro prelievi sui primi 2000 Mg e successivamente uno ogni 2000 Mg, con un minimo di cinque prelievi per cumuli inferiori a 4000 Mg. Se si sceglie di campionare il cumulo già costituito, il piano di campionamento dovrà garantire la rappresentatività dell’insieme e la numerosità dei prelievi dovrà essere non inferiore a quella detta.

L’omogeneità e l’identificabilità delle caratteristiche del materiale da riciclare sono molto importanti per la buona riuscita del prodotto finale. Pertanto, i cumuli devono essere gestiti con rigore. A tal proposito, il più recente aggiornamento delle precisazioni federali americane individua l’obbligo di “sigillare” ogni cumulo prima delle prove di caratterizzazione, nel senso che non debbono essere permesse aggiunte di ulteriori contributi prima della sua completa utilizzazione.

Degli aggregati recuperati occorre determinare la granulometria e, se necessario, le caratteristiche di forma, appiattimento, percentuale di materiale frantumato e resistenza all’usura.

L’aggregato vergine, che costituisce nella maggioranza dei casi il volume prevalente del conglomerato riciclato, deve essere costituito da grani tali che la miscela finale sia conforme alle prescrizioni desiderate. La sua curva granulometrica deve essere regolata in base a quella degli aggregati recuperati, conformandosi a fusi granulometrici di riferimento o ad altre prescrizioni o indicazioni tecniche. Al termine del ciclo di progettazione, le risultanze delle prove di controllo sulla miscela prescelta possono indurre a intervenire nuovamente sulla granulometria dell’aggregato vergine.

Il bitume recuperato, che è invecchiato a seguito della posa in opera e della successiva esposizione agli agenti atmosferici e alla radiazione solare, deve essere qualificato sia in quantità, sia per le sue

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proprietà reologiche. Se per la quantità i metodi disponibili sono semplici e affidabili, la determinazione delle proprietà reologiche del bitume estratto si presenta ancora relativamente problematica. Per l’estrazione ed il recupero sono disponibili i metodi Abson (CNR BU 133, AASHTO T170), uno specifico metodo SHRP B-006 (Extraction and Recovery of Asphalt Cement for Rheological Testing), e il Rotovapor (ASTM D 5404-97).

La proprietà reologica più comunemente determinata sul bitume recuperato è la viscosità a 60°C, ma alcuni enti richiedono in aggiunta anche la penetrazione o altre grandezze reologiche. Di questo dato si tiene conto nella scelta del tipo di bitume vergine da aggiungere alla miscela..

Molte esperienze sono state compiute per comprendere quanto interagisca il bitume presente nel RAP ed il nuovo bitume. Se il RAP si comportasse solo da aggregato, allora il vecchio bitume non altererebbe le proprietà del bitume vergine, né contribuirebbe al contenuto totale di legante.

Sinora si è assunto, al contrario, che il bitume invecchiato si mescoli integralmente al bitume nuovo durante la preparazione. Ciò significa non solo che la quantità del bitume di apporto può essere ridotta dell’intero ammontare del legante presente nel RAP, ma anche che le caratteristiche reologiche del bitume di apporto vengono stabilite ipotizzando una completa interazione con il bitume vecchio, eventualmente corretto con agenti rigeneranti.

I risultati più recenti, ancorché ancora non completamente certi, confermerebbero che vi è senza dubbio un’influenza del bitume recuperato sulle caratteristiche finali del nuovo conglomerato, ma che la miscelazione del legante vecchio con il nuovo non si spingerebbe oltre il 40%.

Per contenuti di RAP inferiori al 15÷20% è comune convincimento che la variazione di caratteristiche possa essere ritenuta minimale e non si procede alla determinazione delle proprietà reologiche del bitume estratto. Per quote superiori se ne tiene conto secondo i criteri che saranno esposti in dettaglio nel prosieguo, relativamente alla definizione del bitume di apporto.

A volte, oltre a regolare le caratteristiche del bitume nuovo, è necessario procedere all’aggiunta di agenti rigeneranti o ringiovanenti, altrimenti denominati Additivi Chimici Funzionali (ACF), con l’obiettivo di contrastare, nel bitume recuperato, le conseguenze della perdita dei componenti più volatili (malteni) e dell’ossidazione, che si manifestano con incremento di viscosità, rigidezza e fragilità.

Gli additivi ACF usati nel riciclaggio a caldo sono idrocarburi idonei a ridurre la viscosità del bitume recuperato, quali vari tipi di oli flussanti o lubrificanti a composizione prevalentemente naftenica (oli aromatici) o paraffinica. In questi termini, anche la semplice miscelazione con un bitume nuovo molto poco viscoso può essere considerata equivalente all’aggiunta dell’additivo. Una classificazione dettagliata è fornita dallo standard ASTM D4552. Le proprietà principali sono indicate nella Errore. L'origine riferimento non è stata trovata..

Quando gli additivi sono atti anche a ripristinare le proprietà fisiche e chimiche del bitume invecchiato possono definirsi a pieno titolo agenti ringiovanenti e consistono in oli ad alto contenuto di malteni. Per ricostituire il miglior equilibrio colloidale tra i componenti del legante, separando e disperdendo gli asfalteni, i ringiovanenti devono essere compatibili con il bitume vecchio; in questo si dimostrano migliori quelli nei quali la componente maltenica aromatica prevale su quella satura.

La definizione della quantità e del tipo di bitume di apporto è l’obiettivo centrale della progettazione della miscela. Si riporta di seguito una breve panoramica di due differenti metodi di mix-design.

Il metodo empirico-tradizionale prevede la determinazione preliminare di un contenuto totale di legante di prima approssimazione, secondo una delle numerose formule disponibili (Errore. L'origine riferimento non è stata trovata.).

La quantità di legante di apporto è determinata dalla differenza tra il fabbisogno totale e il quantitativo di bitume ottenibile dal materiale recuperato (Errore. L'origine riferimento non è stata trovata.).

La qualità del legante di apporto viene scelta con riferimento alla viscosità a 60°C, utilizzando la procedura di interpolazione sulla carta di miscelazione mostrata in Errore. L'origine riferimento non è stata trovata.. Se la quota di riciclato non supera il 15÷20% questa fase può essere omessa.

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Qualora sia necessario ricorrere all’aggiunta di agenti rigeneranti, è opportuno confermare il risultato ottenuto su un diagramma sperimentale della viscosità a 60 °C in funzione della percentuale di rigenerante, disegnato con almeno tre punti misurati:

1) viscosità della miscela bitume estratto (metodo ASTM D5404-97) più bitume aggiunto nelle proporzioni determinate con le formule precedenti, senza rigenerante;

2) viscosità della miscela bitume estratto più bitume aggiunto in cui una parte del bitume nuovo è sostituita dall'agente rigenerante nella misura del 10% in peso rispetto al bitume aggiunto;

3) viscosità della miscela simile alla precedente in cui una parte del bitume nuovo è sostituita dall'agente rigenerante nella misura del 20% in peso rispetto al bitume aggiunto.

Da questo diagramma, mediante interpolazione lineare, è possibile dedurre, alla viscosità di 2000 Pa·s, la percentuale di rigenerante necessaria.

L’immissione degli ACF nel bitume deve essere realizzata con attrezzature idonee, tali da garantire l’esatto dosaggio e la loro perfetta dispersione nel legante bituminoso. La presenza degli ACF nel bitume può essere accertata mediante la prova di separazione cromatografica su strato sottile.

Completata la scelta del legante, si procede alla formazione dei provini necessari secondo il metodo di mix-design tradizionale locale (Marshall nelle sue diverse varianti, Hveem, etc.) e si applicano i criteri consueti per stabilire il contenuto di bitume definitivo, totale e di apporto.

Il metodo di mix-design secondo SHRP considera la classificazione dei bitumi basata sul Performance-Grade, nella forma PG X-Y, laddove X è la temperatura massima ammissibile per il criterio di ormaiamento è Y quella minima ammissibile per il criterio di rottura per basse temperature (ad esempio PG 64-28 è Tmax = 64 °C a 20 mm dalla superficie e Tmin = - 28 °C sulla superficie.

Definite le temperature di servizio prevalenti in estate e in inverno, rispetto alla specifica situazione ambientale allo studio, e stabilito il PG richiesto al legante, la procedura prevede la definizione di una miscela di prima approssimazione, in termini di rapporti percentuali tra RAP e aggregato vergine e di quantità di bitume aggiunto, e poi l’affinamento del contenuto di legante con la pressa giratoria (metodo volumetrico). Nella slide è il diagramma di flusso della procedura.

Per la scelta della granulometria e del contenuto di bitume di apporto di prima approssimazione possono essere seguite esattamente la stessa sequenza e la stessa metodologia descritte per il metodo empirico.

2.6 Riciclaggio in impianto per miscele a freddo Il riciclaggio a freddo in impianto è un processo per la produzione di miscele legate a bitume destinate prevalentemente allo strato di base. Può essere applicato in tutti quei casi in cui non sia conveniente o non sia possibile procedere direttamente in sito. Permette anche di smaltire giacenze accumulate di materiale bitumato fresato o demolito, e garantisce un efficace controllo del mix-design e della qualità del prodotto finito.

Il legante bituminoso è fornito sotto forma di emulsione o di bitume schiumato e vengono usati come additivi, a seconda dei casi, le ceneri volanti, il cemento, la calce idrata.

Le fasi di rimozione della vecchia pavimentazione, di eventuale frantumazione e di stoccaggio sono analoghe a quelle necessarie per le miscele a caldo, mentre la fase di miscelazione differisce notevolmente, sia per le proprietà del legante, sia, soprattutto, per la notevole semplificazione dovuta all’eliminazione del riscaldamento di inerti e bitume, che comporta anche l’eliminazione dei complessi sistemi di aspirazione e filtraggio di fumi e vapori.

Gli impianti sono essenzialmente composti da: o sistema di frantumazione e selezione granulometrica, per il fresato e per gli eventuali aggregati

vergini;

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o sistemi di predosatura; o silos del cemento o di altro additivo pulverulento, con coclea dosatrice; o serbatoio dell’acqua; o serbatoio dell’emulsione bituminosa e/o del bitume per la schiumatura; o sistema di pesatura/dosatura finale; o mescolatore continuo o discontinuo. Una disposizione tipica di un impianto discontinuo è raffigurata nelle slide. In molti casi, i normali

impianti per misto cementato possono essere adeguati alla produzione promiscua. Nella generale semplicità del sistema di produzione, l’unico aspetto critico risiede nel tempo di

miscelazione, in specie quando si impieghi emulsione. Tale tempo è facilmente regolabile, sia negli impianti continui, sia in quelli discontinui, e può essere anche variata la posizione di immissione dell’emulsione. Un eccesso di miscelazione può esitare in una prematura rottura dell’emulsione, che invece dovrebbe avvenire solo durante la posa in opera. Una carenza di miscelazione, benché conduca ad un non completo ricoprimento delle superfici dei grani, ha conseguenze meno gravi, poiché il materiale viene successivamente rimescolato anche durante la stesa e il costipamento.

Di solito non sono previste zone di accumulazione del conglomerato in uscita, che viene direttamente avviato in cantiere. Tuttavia, non sussistendo problemi di raffreddamento, la posa in opera può essere eseguita anche a grandi distanze o differita nel tempo.

Un costipamento efficace ed una tempestiva rottura dell’emulsione si ottengono regolando il contenuto d’acqua in base alle condizioni atmosferiche e dosando il cemento o gli altri additivi, affinché con la loro reazione riducano l’umidità al momento opportuno. Quando l’allontanamento dell’acqua risulta rallentato, è a volte necessario differire la posa degli strati di ricoprimento. 2.7 Progetto delle miscele riciclate a freddo Nel riciclaggio a freddo, il bitume presente nell’aggregato recuperato sembra intervenire ben poco nel condizionare le proprietà del legante finale. Solo in certe condizioni si può considerare che una parte del bitume vecchio partecipi a definire il comportamento meccanico della miscela maturata, in particolare se si usano additivi rigeneranti. In ogni caso, per poter essere efficaci, gli agenti rigeneranti debbono essere dispersi molto uniformemente e ben miscelati, e ciò è abbastanza difficile se ne viene usata una quantità modesta. Pertanto non si procede alla caratterizzazione reologica del bitume vecchio e si conduce il processo di mix-design unicamente tenendo conto delle proprietà volumetriche e meccaniche del conglomerato risultante. Dopo aver stabilito la curva granulometrica del RAP può decidersi, se del caso, l’eventuale integrazione con materiale vergine, sulla base di prescrizioni per l’inserimento in fusi di riferimento.

Si procede poi alla definizione della quantità e qualità del legante ottimale. Stabilizzazione con emulsione. Nel caso si usi come stabilizzante un’emulsione bituminosa, si provano differenti tipi e quantità di

emulsioni per trovare la migliore soluzione in relazione alle proprietà meccaniche richieste dall’impiego programmato e alla compatibilità con l’aggregato, da accertarsi mediante prove di ricoprimento/spogliamento. A volte sono impiegate emulsioni modificate con polimeri, allo scopo di ridurre la fragilità a bassa temperatura e l’ormaiamento, nonché per ottenere più elevate e rapide resistenze iniziali.

Le emulsioni a media velocità di rottura sono indicate per avere un tempo di lavorabilità convenientemente lungo, poiché non si rompono appena entrano in contatto con l’aggregato. Sono adatte per granulometrie aperte o grossolane.

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Le emulsioni a lenta rottura sono indicate per granulometrie chiuse e miscele con alto contenuto di fini. La loro già modesta viscosità può essere ulteriormente ridotta con aggiunta di acqua.

Una quantità d’acqua più elevata di quella apportata dall’emulsione può essere altresì necessaria per facilitare il costipamento. Essa può essere già presente nell’aggregato umido o può esservi aggiunta prima dell’emulsione, oppure può diluire direttamente l’emulsione, previa verifica della compatibilità chimico-fisica tra acqua ed emulsione.

I metodi di mix-design dei conglomerati con emulsione sono numerosi e abbastanza variegati, anche per meglio adattarsi ai materiali, alle abitudini e alle esperienze locali.

In alcuni si ricerca un valore di primo tentativo per il dosaggio dei vari elementi sulla base di formule che tengono conto della granulometria; in altri si procede partendo da un valore prefissato di una delle variabili in gioco (quantità di emulsione, o quantità d’acqua totale). Quindi si fa variare l’altra fino a raggiungere una condizione “ottimale”. Infine si varia la prima fino a ottenere il rispetto di alcuni obiettivi di progetto.

Il mix-design non si esaurisce con la determinazione dei quantitativi di acqua totale ed emulsione, poiché deve essere considerata anche l’influenza del filler sulle fasi costruttive e sull’evoluzione delle resistenze della miscela. Di solito, si operano aggiunte di “filler attivo”, quale è il cemento, che partecipa al fenomeno di rottura dell’emulsione, grazie alla sottrazione dell’acqua necessaria per l’idratazione e alla parziale evaporazione provocata dal calore sviluppato durante la presa.

Stabilizzazione con schiuma di bitume La schiuma di bitume si ottiene aggiungendo una piccola quantità di acqua (2%) ad un bitume caldo,

affinché l’acqua si trasformi in vapore in modo quasi esplosivo e generi un insieme colloidale temporaneo di bassissima viscosità, nel quale numerose e grandi bolle di vapore sono trattenute mutuamente separate, le une dalle altre e dall’atmosfera, da sottili veli di bitume caldo.

Se il bitume viene miscelato agli aggregati allo stato di schiuma, li può avvolgere molto rapidamente grazie alla bassa viscosità e all’elevata mobilità.

Lo stato schiumoso è instabile in quanto le bolle vengono progressivamente in contatto con l’atmosfera e i veli di bitume collassano. La schiuma è caratterizzata da:

o Rapporto di espansione (ERm): rapporto tra il massimo volume raggiunto allo stato schiumoso e il volume di legante a processo di schiumatura esaurito;

o Tempo di semitrasformazione; tempo necessario alla schiuma per collassare alla metà del suo massimo volume.

La schiuma di migliore qualità e di maggiore utilizzabilità tecnica è quella con i più elevati valori di entrambi i parametri, che sono funzione del tipo, della temperatura e della viscosità del bitume, nonché della quantità d’acqua. I bitumi cosiddetti ad alta schiumosità sono particolarmente adatti per questa applicazione e garantiscono minori tempi di maturazione, maggiore omogeneità della miscela e migliori risultati meccanici. Può essere definito un indice (FI = Foam Index) idoneo a stabilire la compatibilità della schiuma con aggregati più o meno freddi. La granulometria dell’aggregato da stabilizzare con schiuma di bitume deve essere continua, pena significative riduzioni delle resistenze.

Il buon comportamento strutturale delle stabilizzazioni con bitume schiumato è strettamente legato all’equilibrio tra il legante bituminoso e il cemento, che viene normalmente aggiunto alla formulazione a secco o sotto forma di boiacca o slurry (acqua + cemento).

Il cemento e gli altri eventuali filler attivi, usati come integrazione o come sostituzione del cemento, hanno grande superficie specifica e tante asperità superficiali che favoriscono l’adesione delle minute particelle di bitume originate dall’esplosione delle bolle di vapor d’acqua.

Il bitume si distribuisce primariamente a ricoprire le particelle attive e le frazioni più fini, costituendo un mastice che lega i grani più grossolani.

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Se il contenuto di bitume è scarso, i grani, in specie i più grandi, non vengono avvolti in modo completo ed il cemento può far presa sulle superfici scoperte, creando legami rigidi e fragili. All’aumentare del cemento, il modulo tende ad aumentare.

Quando vi è la giusta quantità di bitume e un buon equilibrio tra i due componenti non si notano grandi variazioni di rigidezza all’aumentare del cemento.

In abbondanza di bitume, lo strato si presenta più deformabile e flessibile, la rigidezza dipende dallo spessore delle pellicole di bitume e diminuisce col crescere del bitume. Il cemento fornisce contributo solo come filler; in queste condizioni un suo aumento incrementa la viscosità del bitume e, a parità di altre condizioni, fa recuperare rigidezza.

3. Il riciclaggio in sito Il riciclaggio in sito presenta, rispetto a quello in impianto, l’essenziale vantaggio di evitare la movimentazione e lo stoccaggio del materiale recuperato dalla pavimentazione da riqualificare.

Il macchinario di cantiere è, per contro, decisamente più complesso e costoso. Negli ultimi anni sono state messe a punto apparecchiature particolarmente potenti ed efficienti, cosicché questo tipo di interventi si è molto diffuso.

Una prima grande partizione può essere individuata distinguendo le tecniche a caldo da quelle a freddo.

Inoltre, con il nome di riciclaggio a caldo in sito possono essere indicate due tecniche, che si distinguono in base al sistema di demolizione della pavimentazione preesistente, mediante preriscaldamento in sito o mediante fresatura a freddo. 3.1 Riciclaggio a caldo in sito con preriscaldamento Il riciclaggio a caldo con preriscaldamento consente di recuperare spessori da 20 a 80 mm di conglomerato chiuso e, con qualche variante, anche drenante.

Trova specifico campo di applicazione nel caso di ammaloramenti della parte superficiale della pavimentazione, che non dipendano da crisi o insufficienza strutturale, quali sgranamenti, perdita dei requisiti di aderenza, ormaiamento dovuto ai conglomerati bituminosi, buche, ondulazioni e irregolarità del profilo, ripristino delle pendenze trasversali, modifiche di granulometria e contenuto di bitume. Ha avuto positive applicazioni anche in presenza di fessurazioni da richiamo con funzione di risanamento propedeutico a un ricoprimento di tipo strutturale.

Al termine dell’intervento, lo strato riciclato può rimanere esposto direttamente al traffico veicolare o essere ricoperto con un ulteriore strato confezionato in impianto.

Il processo si svolge essenzialmente in cinque fasi: o rammollimento e riscaldamento degli strati superficiali esistenti fino a 110÷150 °C, con piastre

radianti o a infrarossi; o scarifica e/o altro sistema di asportazione del materiale in grado di arrestarsi localmente in

corrispondenza di chiusini o toppe di calcestruzzo o altre disomogeneità superficiali; o sollevamento e caricamento nella macchina riciclatrice previa separazione, se del caso, del

materiale non riutilizzabile; o miscelazione a caldo con aggregati vergini (eventuali), con gli agenti rigeneranti o ringiovanenti e

con il nuovo bitume; o stesa e costipamento. Lo studio della miscela e la scelta degli agenti rigeneranti deve essere compiuto tenendo conto anche

dell’ulteriore ossidazione che il bitume della pavimentazione subisce nel corso del riscaldamento

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preliminare all’asportazione, che per necessità operative deve essere rapido, e perciò particolarmente aggressivo.

Il riscaldamento della pavimentazione, oltre a deteriorare il bitume, produce fumo ed emissioni nocive, con notevoli problemi ambientali, soprattutto in zone abitate. Pertanto sono stati messi a punti sistemi di aspirazione e trattamento dei vapori e di abbattimento delle polveri e del particolato.

In relazione alla profondità e all’impegno dell’intervento possono distinguersi: 1) riciclaggio superficiale, senza apporto di nuovi aggregati; 2) ripavimentazione; 3) rimiscelazione. Nel riciclaggio superficiale, o surface recycling, il sistema di apparecchiature si limita all’unità

riscaldante, eventualmente doppia, seguita dall’unità scarificatrice, da un semplice sistema di spruzzatura di legante e additivi e, infine, da una spanditrice-finitrice. Completa la lavorazione un rullo compattatore gommato.

La ripavimentazione, o repaving, combina in modo simultaneo la stesa del materiale riciclato con un nuovo strato di apporto di conglomerato a caldo, in modo da realizzare la massima possibile continuità tra i due strati. È utile quando granulometria, spessore o altre caratteristiche dello strato riciclato non siano sufficienti per gli obiettivi di progetto. Se destinato solo ad ottenere una maggiore aderenza, lo strato aggiunto può essere di spessore molto più modesto di quello che sarebbe necessario in un ricoprimento operato in separato momento. Sulle slide lo schema di una unità di ripavimentazione completa. In alternativa, può essere impiegato un treno coordinato di macchinari indipendenti.

La rimiscelazione, o remixing, comprende tutte le cinque fasi prima elencate e prevede l’integrazione con gli elementi aggiuntivi, che possono essere forniti separatamente o già miscelati in centrale in un conglomerato di apporto che viene avviato all’unità mescolatrice. Il progetto della miscela del conglomerato riciclato in sito deve essere condotto garantendo la rappresentatività dei saggi eseguiti per la determinazione delle caratteristiche del materiale da riciclare. Il campionamento deve in questo caso essere compiuto direttamente sulla pavimentazione esistente, mediante carotaggi da distribuirsi in modo opportuno sulle diverse tratte che siano state giudicate omogenee sulla base di ispezioni visive e di notizie ricavate dalla storia della costruzione.

L’intervento ha, infatti, buone probabilità di successo se si opera su tratte di conglomerato sensibilmente omogeneo.

Una volta delimitate le tratte omogenee, su ciascuna di esse sarà applicato un metodo di campionamento random. Con un minimo di 5-6 locazioni diverse sulla tratta, o, secondo altri autori, 5 ogni km, o uno per isolato in area urbana.

Si deve considerare che il processo di fresatura produce maggiore quantità di fino rispetto al carotaggio; sarebbe perciò opportuno, anche se non sempre è possibile, ricavare i campioni con apparecchiature a funzionamento simile a quelle che saranno poi effettivamente impiegate in opera.

La procedura di progetto della miscela non è concettualmente diversa da quella diffusamente descritta per il conglomerato riciclato in impianto e si compone dei seguenti passi:

o determinazione delle caratteristiche del materiale in posto (granulometria, contenuto e qualità del legante, etc.);

o scelta della curva granulometrica e determinazione delle integrazioni granulometriche; o scelta del tipo e della gradazione del bitume di apporto, nonché del tipo e della percentuale dei

rigeneranti. È sconsigliabile procedere al riciclaggio in sito di strati troppo invecchiati o che richiedano una quantità di agenti rigeneranti superiore all’1% del peso totale della miscela;

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o determinazione della quantità di legante da aggiungere, comprensivo anche di quello dei rigeneranti, mediante verifica delle proprietà volumetriche e meccaniche. Per accogliere il nuovo legante occorre che nella condizione addensata vi sia sufficientemente spazio nello scheletro solido, talché si ritiene che la pavimentazione usurata possa essere addizionata di legante solo se il contenuto di vuoti risulta superiore al 6%.

Le differenze più significative tra riciclaggio in impianto e in sito riguardano il rapporto tra riciclato e aggregato o conglomerato di apporto, che è ribaltato. La quota di riciclato si attesta infatti di frequente oltre l’80%. Come conseguenza diretta, il volume dei vuoti residui difficilmente può essere mantenuto entro i valori ordinariamente prescritti, a causa della impossibilità di correggere completamente i difetti granulometrici che si avessero a riscontrare nel materiale recuperato.

Per converso, non sono candidabili al riciclaggio gli strati di pavimentazione che abbiamo mostrato eccessiva addensabilità e per questo motivo siano stati interessati da fenomeni di ormaiamento o rifluimento, a meno di ricorrere a significative aggiunte di frazioni scelte di nuovo aggregato. 3.2 Riciclaggio a caldo in sito con fresatura a freddo Nel riciclaggio a caldo in sito secondo la tecnica della fresatura a freddo deve essere previsto il riscaldamento del granulato recuperato e degli eventuali aggregati di apporto in una apposita separata unità, che si configura come una replica mobile di quelle utilizzate negli impianti fissi. Normalmente si tratta di un essiccatore/mescolatore continuo rotante in equicorrente.

Il treno dei macchinari si configura, pertanto, come segue: o autocarro o spandigraniglia per distribuire uniformemente il progettato contributo di aggregato

aggiuntivo; o fresatrice a freddo, che può raggiungere profondità anche superiori ai 100 mm; o unità pulitrice della superficie fresata, con sistema di aspirazione delle polveri e dei fumi; o tamburo essiccatore/mescolatore; o finitrice; o rulli compattatori. Progetto della miscela e conduzione dell’impianto sono analoghe a quelli degli impianti fissi dello

stesso tipo. 3.3 Riciclaggio a freddo in sito Rispetto al riciclaggio a caldo in sito, il riciclaggio a freddo ha un campo d’azione molto più vasto, in quanto si può estendere a spessori molto maggiori e può interessare ogni genere di pavimentazioni preesistenti: flessibili, rigide e semirigide.

Può essere condotto a spessore pieno o parziale; con il primo si intende la frantumazione miscelazione e stabilizzazione di tutti gli strati legati e di una parte degli strati non legati della vecchia pavimentazione. Con il secondo il recupero degli strati legati per una profondità dai 50 ai100 mm.

In entrambi i casi, il prodotto finale è uno strato di base da ricoprire con un opportuno spessore di conglomerato bituminoso.

Le fasi costruttive sono: o preparazione dell’area di cantiere, con eventuale riorganizzazione della sede nel caso di lavori

senza interruzione della circolazione; o demolizione e frantumazione della pavimentazione che può essere anche piuttosto impegnativa

nel caso di sovrastruttura rigida in calcestruzzo; o aggiunta dei leganti, degli agenti riciclanti e degli eventuali aggregati vergini; o stesa, costipamento e maturazione.

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La lavorazione viene compiuta in un’unica passata, con treni di macchinari coordinati, o, più recentemente, con un’unica apparecchiatura in grado di compiere tutto il processo.

I treni coordinati sono composti da: o fresatrice a freddo; o frantumatore semovente; o miscelatore mobile; o stenditrice o vibro finitrice; o rullo costipatore; o autobotti per il rifornimento d’acqua, bitume e cemento. Nel caso di macchinario unico, tutte queste operazioni sono distribuite lungo la sua lunghezza, con le

disposizioni le più diverse (cfr. slide). La regolazione iniziale del mix-design deve essere fondata su un preliminare studio di laboratorio,

compiuto come descritto nel paragrafo del riciclaggio a freddo in impianto. L’affinamento sarà compiuto in sito sulla base delle prime produzioni. In special modo devono essere

tenuti sotto controllo il grado di ricoprimento dei grani con il legante, il contenuto di acqua e il livello di addensamento raggiunto dopo costipamento.

Il completamento dell’intervento con gli strati di ricopertura potrà aver luogo solo dopo l’evaporazione dell’acqua ed il raggiungimento di una conveniente maturazione.

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