romanzo

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GIORGIA M. RIGHI LA CHIAVE DELLA VITA RIVISTA DI EQUIPÈCO CARMINE MARIO MULIERE EDITORE

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Page 1: Romanzo

GIORGIA M. RIGHI

LA CHIAVE DELLA VITA

RIVISTA DI EQUIPÈCOCARMINE MARIO MULIERE EDITORE

ROMANZO

1

GIORGIA

M.RIGHI

LACHIAVEDELLAVITA

RIVISTADI

EQUIPÈCO

CARMINE MARIO

MULIERE EDITORE

Page 2: Romanzo

La Chiave della Vita

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Capitoli

1- L’alba........................................2- Città del Messico.......................3- L’omicidio..................................4- L’indagine..................................5- Giada Mancini...........................6- Il prof. Damiani..........................7- Il karma.....................................8- I servi di Dio..............................9- Quetzalcoatl..............................10- Il secondo omicidio...................11- La svolta...................................12- Un giorno difficile......................13- La conferenza stampa................14- Un rischio calcolato...................15- Il Messia...................................16- Un messaggio misterioso...........17- Il Cairo....................................18- L’Ambasciata italiana.................19- I Papiri e la Bibbia.....................20- I sionisti....................................21- L’assassino................................22- La resa dei conti........................23- La verità...................................Apocalisse 22 - La Parola è Vita...

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L’alba

Iprimi raggi del sole illuminano una fredda mattina d’inverno. I vialialberati si rischiarano lentamente, i lampioni si spengono e la luce

calda colpisce i vetri lucidi delle finestre dei palazzi. La città vede nasce-re un nuovo giorno.

Sul volto dell’assassino dalla pelle scura si possono leggere i segnimacabri della follia, le sue pupille sono dilatate, i denti scoperti in unghigno crudele. Tutt’intorno si sente l’odore acre delle torce, mentrel’uomo viene investito dalla luce vivida dei raggi del sole. Allarga lebraccia per accoglierla, se ne riempie, ne gode.

Lentamente, innalza le braccia brune verso la luce, in mano tienequalcosa... gocciola, si muove… alle sue spalle… l’orrore… la morte.

Capitolo 1 La Chiave della Vita

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Ciudad de México

Il Boeing 747 dell’Alitalia volava alto sul Golfo del Messico, dominan-do un panorama marino sconfinato e ripetitivo. Mancavano ancora

alcune ore all’atterraggio e Massimo Tedesco se ne stava abbandona-to contro lo schienale della poltrona, cercando un diversivo per com-battere la noia. Ormai era in volo da quasi undici ore, escludendo lasosta a Miami e cominciava ad averne abbastanza anche della busi-ness class. Stava andando a Città del Messico per partecipare al prestigioso con-

gresso annuale della World Association of International Studies sull’irri-solto mistero delle Piramidi.

Tra i partecipanti erano previste eminenti personalità nel campo del-l’archeologia, provenienti dalle piú importanti Università del mondo eduno dei relatori, l’egittologo Abdul Salir, era un suo caro amico. Tedesco era nato a Glasgow trent’otto anni fa, ma aveva vissuto quasi

sempre a Roma. Primo del suo corso all’Istituto Superiore di Polizia, lasua carriera era stata tutta in discesa. Dopo la laurea in Legge, ne eraseguita un’altra in Egittologia e proprio quella passione lo aveva resofamoso.

Al Congresso non partecipava in veste di addetto ai lavori, ma sem-plicemente come studioso interessato. Amava considerasi un espertodetective del passato e quando non si occupava di archeologia, dirige-va il Commissariato Flaminio di Roma.

Con un gesto d’insofferenza gettò il libro che stava leggendo da unaparte e si alzò per andare alle toilettes. Dopo essersi chiuso la porta allespalle, i suoi occhi color del mare fissarono l’immagine che gli riman-dava lo specchio sopra il lavabo. Si passò una mano sulla mascellaforte, coperta dalla barba corta e ben curata e si ravviò indietro i capel-li scuri sospirando rumorosamente.Se la giornalista di Magazine mi vedesse oggi!, disse ironicamente pen-sando ad alta voce.

Alcune settimane prima, un periodico a tiratura nazionale aveva pub-blicato un servizio particolareggiato sul riassetto della Polizia di Stato,sulle nuove strutture e le tecnologie rivoluzionarie impiegate nella lottaal crimine. L’articolo si premurava di mettere in risalto il valore degli

Capitolo 2 La Chiave della Vita

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agenti di polizia, uomini e donne che rischiavano quotidianamente lavita sulle strade delle città italiane e in un riquadro intitolatoProfessionalità e Fascino, l’autrice del reportage aveva messo una suafoto a sovrastare un articolo in cui lo descriveva come un poliziotto lacui competenza era eguagliata unicamente dal suo indiscutibile fasci-no.

Le solite cose da giornalisti, aveva pensato Tedesco infastidito.

Finalmente il Boeing era entrato nello spazio aereo del Distrito Fede-ral, ma non per questo stava cominciando la discesa verso la capitalemessicana. Ciudad de México sorgeva sulle rovine dell’antica Tenochtitlàned era una città immane che contava all’ultimo censimento ben venti-quattro milioni di abitanti, con spaventosi problemi di traffico e di inqui-namento. Era talmente sconfinata, che il 747 la sorvolò per piú diun’ora, prima di iniziare la discesa verso l’Aeropuerto Internacional.Disponendo solo del bagaglio a mano, Tedesco si diresse velocemen-

te verso il posteggio dei taxi, eludendo con difficoltà uno stuolo divolenterosi facchini che gli offrivano ogni sorta di servizi.Buenas stardes señor, donde vamos?, gli chiese il tassista girandosiverso di lui.Camino Real, por favor.Está bien.

El Camino Real era un lussuosissimo albergo situato nella zona deimusei del Bosque de Chapultepec e Tedesco lo aveva scelto per la suavicinanza al Museo Nacional de Antropologìa, sede del Congresso.

Il tragitto fino all’albergo era stato interminabile e sperò che quellafosse l’ultima tortura a cui avrebbe dovuto sottoporsi per quel giorno.Quando il taxi si fermò ai piedi dell’imponente entrata dell’hotel, misein mano una banconota al tassista e scese senza indugio.Muchas gracias, señor!, esclamò l’autista valutando l’entità della man-

cia.De nada, rispose tra i denti.Buenas stardes señor, Tedesco disse un uomo in spagnolo, con un ele-

gante completo blu ed un cartellino che lo identificava come membrodell’organizzazione. El señor Salir la sta aspettando al bar per un ape-ritivo. Se intanto vuole darmi il suo passaporto, sbrigherò io tutte le for-malità per la camera.

Giorgia M. Righi

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Benché il suo spagnolo fosse un pó arrugginito, Tedesco gli porse ildocumento e la borsa.Me la fa portare in camera, por favor?.Seguro, dia a me.

Guardò verso il bar cercando di scorgere la figura esile ed elegantedel prof. Abdul Salir e lo vide impegnato in un’accesa conversazionecon due famosi egittologi della Harvard University. Non lo vedeva daun paio di mesi e sperava di trascorrere un pó di tempo con lui.Ciao Abdul!, disse sorprendendolo alle spalle mentre stava salutandogli altri due studiosi.Massimo!, esclamò riconoscendo il suo accento scozzese. Ti stavoaspettando, come stai?, aggiunse tendendogli le braccia.Bene e tu?.Non c’è male, ma questi lunghi viaggi mi riducono uno strofinaccio.

Abdul Mustapha Salir era uno dei piú rispettati egittologi della comu-nità scientifica. I suoi saggi sul periodo amarniano erano stati tradottiin un centinaio di lingue.Prenota un tavolo, Abdul, gli disse mentre indietreggiava in direzionedegli ascensori. Voglio mangiare qualcosa di decente, ma prima vadoa farmi una doccia.

Già fatto, e… ti dispiace se invito una persona alla nostra tavola?.Basta che non sia una donna che cerchi di farmi conoscere.Ma chi lo vuole un orso come te!. Non posso mica rovinarmi la repu-

tazione solo per trovarti qualcosa da fare.Bravo, cosí va bene.Mentre saliva in ascensore sorrise ripensando con affetto all’amico. Si

erano conosciuti due anni prima in Egitto, durante un viaggio che pur-troppo era finito in tragedia. La figlia del suo piú caro amico e collega,Stefano Marconi, era stata uccisa al posto suo e quella disgrazia avevacambiato la sua vita per sempre.

Verso le nove, Tedesco si era cambiato ed era sceso al bar certo ditrovare il prof. Salir esattamente dove lo aveva lasciato. Come avevaprevisto, era coinvolto in un’accesa conversazione con un altro studio-so suo coetaneo.

Ah!, Giuseppe, eccolo, disse l’egittologo al suo interlocutore veden-dolo arrivare.

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Signori… buonasera. Massimo, vorrei presentarti il prof. Giuseppe Damiani, docente di

Storia delle Civiltà Precolombiane all’Università di Roma. Ricordi che tiavevo parlato di due miei cari amici ai quali volevo raccontare quelloche è successo due anni fa sul Monte Gebel Nugrus?. Lui è uno dei due,disse il professore con enfasi.Tedesco annuí in silenzio. Trovava ancora difficile ripensare a quei fatti

e ricordarli lo costringeva ad ammettere che erano accaduti veramen-te. Ma non era solo per la morte di Erika. Dopo trentaquattro secoli,aveva scoperto una verità inaccettabile, un mistero vecchio di migliaiadi anni che aveva attraversato le barriere del tempo. Piacere di conoscerla, professore, disse riemergendo dai suoi pensieri estringendogli la mano.

Il piacere è mio, Mr. Tedesco, mi creda.Il prof. Salir fece strada verso il ristorante, commentando con entusia-

smo la scoperta della cucina messicana. Vi consiglio di prendere unaenchiladas, signori, suggerí l’egittologo porgendo loro i menu. È squi-sita.

Mr. Tedesco, disse lo storico versandosi una minerale, Abdul mi stavadicendo che il Servizio delle Antichità egiziano le ha offerto un incaricoda consulente.

Sí, un paio di mesi fa.Me l’aspettavo. Il nuovo Direttore Generale sta continuando la tradi-

zione dei suoi predecessori di servirsi solo dei migliori.Grazie io… esitò Tedesco a disagio.Il mio non era un complimento Mr. Tedesco, ma una constatazione. Ho

letto alcuni dei suoi articoli sulla prestigiosa rivista del NationalGeographic e ci tengo a farle i miei complimenti per le teorie rivoluzio-narie sul Faraone del Sole. Mi piacerebbe discuterne con lei quando hatempo.

Senz’altro professore.Vede, continuò lo storico con una flemma quasi inglese, sono rimasto

molto impressionato dal metodo con cui ha condotto la sua ricerca. Èrazionale ed assolutamente non convenzionale.

Forse, perché non sono un vero egittologo, ma un poliziotto. La veritàè che la mia è stata piú… un’indagine.Appunto!. La lucidità con cui ha affrontato determinati argomenti mi ha

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messo quasi in imbarazzo, glielo confesso.Tedesco sorrise distogliendo lo sguardo. Non era timido, ma i compli-

menti lo mettevano a disagio.Peccato che Lorenzo non sia qui anche lui, interloquí il prof. Salir con

un’alzata di spalle.Lorenzo?, disse Tedesco aggrottando le sopracciglia.Sí, non lo conosci ancora, è un egittologo italiano arrivato al Cairo solo

sei mesi fa, prima lavorava per il British Museum. È molto in gamba, ilMuseo gli ha offerto un ottimo incarico.

La serata trascorse serenamente. Tedesco si rilassò gustando una squi-sita enchiladas: dei tacos ricoperti di chile e farciti di carne, serviti condella panna acida. Dopo una meritata tequila, si ritirò relativamentepresto. Il Congresso sarebbe iniziato non prima di due giorni e si eraprogrammato uno scrupoloso giro turistico.

Il taxi era diretto a nord-est dello Zòcalo, lungo la calle Semenaria,l’area archeologica che ospitava el Templo Mayor. Quando Tedesco sitrovò di fronte all’antico monumento, ricordò di aver letto in rete, chel’intero recinto sacro rifletteva la visione azteca dell’universo ed elTemplo Mayor ne era il centro. Visitò i vari livelli costruttivi ed appreseche era strutturato in nove piani che in senso verticale scendevano nelregno dei morti e tredici salivano verso i livelli celesti. Il basamento delTemplo Mayor rappresentava il livello terrestre, mentre la costruzionestessa costituiva la rappresentazione dei tredici cieli.La seconda meta della visita era quella che aveva atteso di piú. Il com-

plesso archeologico di Teotihuacàn gli ricordava quello di Giza, ben-ché fosse inserito in un panorama assolutamente diverso. Gli edificierano rivestiti di stucco e decorati con pitture e statue i cui nomi, spes-so illeggibili, erano diversi da quelli generalmente conosciuti. Moltedefinizioni erano il frutto delle arbitrarie interpretazioni che gli Aztechi ogli Spagnoli avevano dato alle loro funzioni. Il primo edificio, definitoCiudadela, ospitava el Templo de Quetzalcoàtl e Tedesco, attraversan-dolo, provò una strana sensazione di disagio. Qualcosa di simile, enello stesso tempo diverso, a ciò che provò due anni prima in Egitto,entrando nella tomba del Capitano Rama. Una volta fuori all’aperto,avvertí un profondo senso di sollievo, come quando ci si libera di una

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grande responsabilità e ci si sente piú leggeri. Dopo pochi passi, lamaestosità delle grandi piramidi assorbirono tutta la sua attenzione. L’intero complesso archeologico era distribuito lungo l’asse nord-sud

della calzada de los Muertos, lungo circa un chilometro e mezzo.Superati alcuni edifici, sulla destra si ergeva imponente la Piràmide delSol, alta 63 metri e costituita dalla diversa inclinazione dei vari livellicollegati tutti da scale, che conducevano fino alla sua sommità.Il complesso si concludeva sulla piazza antistante la Piràmide de la

Luna, alta 45 metri e circondata da piramidi minori. Tedesco raggiun-se la vetta di entrambe, godendo del panorama meraviglioso che sipoteva ammirare dall’apice di ognuna.

Era sera quando decise di rientrare in albergo sublimemente stanco.Il taxi procedeva lentamente nel traffico paralizzato del Paseo de laReforma e il rumore ripetitivo del motore quasi lo fece appisolare.

Al Camino Real trovò un messaggio del prof. Salir col quale si scusa-va di non poter trascorrere la serata con lui, giacché doveva partecipa-re a una riunione dei relatori del Congresso. Non se ne rammaricò.Tutto quello che desiderava era una doccia ed una notte di sonno.

La mattina seguente fece colazione con il prof. Salir in una delle veran-de panoramiche dell’albergo e mentre gustavano una varietà squisitadi frutta tropicale, parlarono del piú e del meno.

Come sta Aziz?, domandò Tedesco con noncuranza. È un pó che nonlo vedo.

Benone. Lavora anche lui per il Museo adesso.Mi fa piacere.Sí, l’anno scorso ha recuperato alcuni reperti provenienti dalla tomba

di Tuthmosi III. Oggetti che erano stati rubati piú di dieci anni fa dalmagazzino, pare da un guardiano corrotto e cosí l’hanno assunto. Sai,vivendo al mercato… .Tedesco infatti lo aveva conosciuto proprio al mercato, pochi giorni

dopo il suo arrivo con Erika al Cairo. Qualcuno gli aveva detto che secercava qualcosa, Aziz era l’uomo giusto per trovarla.L’egiziano se ne stava accucciato in un angolo a leggere, vestito di

stracci, ma dignitosamente pulito. I suoi occhi brillavano d’intelligenzae non si accordavano assolutamente con il suo aspetto dimesso.Tu sei lo straniero, gli aveva detto l’egiziano alzando lo sguardo su di lui.

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Tedesco aveva annuito.Da quel giorno Aziz gli aveva dimostrato una lealtà assoluta, senza

chiedere nulla in cambio.Abdul Salir sospirò tamponandosi le labbra con il tovagliolo. Aziz non

lo ammetterà mai, ma sono certo che ha accettato questo lavoro perchéspera d’incappare nel tizio che ha rubato il papiro del Capitano Rama.

Un papiro. Erika era stata uccisa per un maledetto papiro. Un rotolodi carta vecchio di trentaquattro secoli, nascosto in una tomba dimen-ticata da tutti, incuneata tra i monti dell’Alto Egitto.Andiamo via di qui, mormorò il professore accigliato. Ogni volta cheripensava a quella faccenda, perdeva il buonumore. Quella poveraragazza in definitiva, era morta per niente.

El Bosque de Chapultepec era il parco piú grande de Ciudad deMéxico, un oasi di verde nel mezzo della caotica metropoli. El Paseo dela Reforma, l’arteria piú prestigiosa della città, in linea con i piú moder-ni criteri urbanistici delle capitali europee, lo attraversava lungo il suosettore settentrionale e costituiva la meta preferita delle famiglie incerca di svago ed ossigeno.

Tra i suoi alberi secolari c’era un laghetto, lo zoo, il giardino botani-co, dei campi sportivi ed alcuni piccoli musei.

Proseguendo per i viali alberati, superarono la collina sulla sommitàdella quale sorgeva el Castillo de Chapultepec, la residenza imperialedi Massimiliano d’Asburgo. In fondo, subito dopo il Monolito Tlàloc,appariva l’enorme edificio del Museo Nacional de Antropologìa.

Il Congresso non è ancora iniziato ed io sono già stanco, sbuffò l’an-ziano egittologo asciugandosi la fronte con il fazzoletto.

Siamo quasi arrivati, lo consolò Tedesco con dei colpetti sulla spalla.Le Sale Congressi sono laggiú.

Sí, ma io non ho le tue gambe lunghe. Quando sarò arrivato laggiú…mi servirà la bombola di ossigeno. Questo posto è smisurato!.

E io che speravo di convincerti a visitarlo con me.Neanche morto!. Sono troppo vecchio per fare il turista. Queste fati-

cacce le lascio a te che sei giovane.Tedesco sorrise affondando le mani nelle tasche. Il prof. Salir non per-

deva mai il suo senso dell’umorismo, era un uomo colto e spiritoso. Unconnubio davvero raro.

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