rotture a fatica acciaio

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  • ROTTURE PER FATICA: DUE SECOLI DI STUDI

    M. Cavallini1, V. Di Cocco2, F. Iacoviello2 1Universit di Roma Sapienza, D.I.C.M.A., via Eudossiana 18, 00185 Roma 2Universit di Cassino, Di.M.S.A.T., via G. di Biasio 43, 03043 Cassino (FR)

    [email protected]; tel./fax: 07762993681

    Tematica: Meccanica della frattura

    Sommario Nel 1837, Wilhelm Albert pubblic il primo articolo scientifico sulla fatica, stabilendo una correlazione fra i carichi applicati e la durata di catene per impiego minerario. Solo due anni dopo, Jean-Victor Poncelet nel suo libro intitolato Introduction la Mcanique Industrielle Physique ou Exprimentale scrisse che le molle sollecitate da una forza ciclica, inferiore alla resistenza massima, si rompono, ed utilizz per la prima volta il termine fatica. Nei due secoli successivi, sono diventati sempre pi importanti gli studi sui meccanismi di rottura dei manufatti metallici anche per sollecitazioni notevolmente inferiori rispetto alla resistenza massima. Ricerche sulla fatica oligociclica (Low Cycle Fatigue, LCF), sulla fatica fatica ad alto (High Cycle Fatigue, HCF) e ad altissimo numero di cicli (Very High Cycle Fatigue, VHCF), sulla propagazione della cricca di fatica e, pi in generale, sui meccanismi di danneggiamento dei materiali sono diventate sempre pi importanti al crescere del numero delle rotture per fatica in esercizio. In questo lavoro gli autori tentano di riassumere due secoli di studi aventi per oggetto una modalit di danneggiamento di sicura attualit e di enorme impatto economico e sociale. Introduzione Fino allinizio dellottocento la fatica era una modalit di rottura sostanzialmente sconosciuta. Fino a quel momento si era certamente posto il problema della caratterizzazione del comportamento dei materiali e dei manufatti e di tentare una caratterizzazione dello stato di sollecitazioni, provando ad identificare quelle condizioni che comportavano, talvolta, eventi di rottura con conseguenze anche catastrofiche, ma tale problema era piuttosto associato ad eccessive sollecitazioni, oppure a carenze intrinseche dei materiali utilizzati, progettuali e/o costruttive. Il problema dellintegrit strutturale, e di salvaguardare lintegrit di un manufatto, lo si trova quindi gi esplicitamente nel Codice di Hammurabi (2250 a.C.), in cui di ammonisce che Se un costruttore edifica una casa per un uomo senza che questa sia stabile, e la casa che ha costruito crolla e causa la morte del proprietario della casa, che il costruttore sia messo a morte. Se il crollo causa la morte di un figlio del proprietario, che sia messo a morte un figlio del costruttore. Se distrugge una propriet, dovr ricostruirla e, dato che non ha costruito la casa in maniera stabile, la ricostruir a proprie spese. I primi studi dedicati alla frattura si occupano di forze e non di tensioni collegate allevento finale della rottura: la singola categoria di oggetti, come fili o travi, a venir caratterizzata, e non il materiale. Materiale, daltro canto, cos intrinsecamente difettoso da indurre Leonardo ad effettuare prove di trazione su fili sempre pi corti per trovare sperimentalmente che la resistenza diminuisce con la lunghezza, a conferma di quanto poteva constatare in pratica chi si occupava di trafilare i metalli. Questa prova di trazione

  • non caratterizza il materiale, ma il tipo di prodotto e la sua tecnologia di produzione: la forza che viene applicata dello stesso tipo di quelle che il filo sopporta in servizio. La indubbia capacit di progettare e costruire senza bisogno di una scienza dei materiali o di quella delle costruzioni non ha promosso lo studio di tensioni, deformazioni, n lo sviluppo di materiali funzionali al miglioramento delle prestazioni [1, 2]. Sulla base della morfologia della frattura, Galileo distingue preliminarmente tra i materiali naturali fibrosi o filamentosi, che costituiscono le corde ed i legni, ed i materiali omogenei, come i metallici ed i lapidei. La sua prova di trazione si riduce ad una prova di resistenza con lapplicazione di una forza tale che violentate da forze gagliarde che dirittamente le tirino, finalmente si separano e si diuidono: la rottura avviene nei primi per strappo dei filamenti, mentre nei secondi si produce un cedimento della continuit, generata da un indefinito glutine: E si come nella corda noi intendiamo, la sua resistenza deriuare dalla moltitudine delle fila della canapa che la compongono, cos nel legno si scorgono le sue fibre, e filamenti distesi per lungo, che lo rendono grandemente pi resistente allo strappamento che non sarebbe qualsiuoglia canapo della medesima grossezza: m nel Cilindro di pietra, di metallo la coerenza (che ancora par maggiore) delle sue parti depende da altro glutine, che da filamenti, fibre, e pure essi ancora da valido tiramento vengono spezzati. La prova di trazione su una colonna [1] un grande passo in avanti rispetto a quanto aveva fatto Leonardo, perch la colonna (il cilindro o prisma AB di legno o di altra materia solida e coerente, fermato di sopra in A e pendente a piombo, al quale nell'altra estremit B sia attaccato il peso C) non destinata a sopportare sollecitazioni di trazione: non una caratterizzazione in opera ma la ricerca di un dato sperimentale. Lo studio dei meccanismi di rottura delle fibre non stimola particolarmente Galileo; linteresse si concentra piuttosto sui materiali omogenei; il problema diventa quello d'intender, qual sia quel glutine, che si tenacemente ritien congiunte le parti de i solidi, che pur finalmente sono dissolubili: cognizione che pur anco necessaria per intender la coerenza delle parti de gli stessi filamenti, de i quali alcuni de i solidi son composti. Ma questo glutine, visco, colla, che tenacemente colleghi le particole, delle quali esso corpo composto deve avere una natura congruente con i fenomeni della fusione e successiva solidificazione dei metalli, a seguito dei quali la resistenza meccanica viene cancellata, per esser di nuovo ripristinata; durante la fusione nulla potrebbe impedire a questa colla di esser arsa, e consumata in una ardentissima fornace in due, tre, e quattro mesi, n in dieci, in cento; doue stando tanto tempo argento, oro e vetro liquefatti, cauati, poi tornano le parti loro, nel freddarsi, riunirsi, e rattaccarsi, come prima. La resistenza locale dei materiali viene spiegata ricorrendo al principio dellhorror vacui riferendosi alle ragioni d'Aristotele in confutazion del vacuo, tenendo conto di una composizione del continuo di atomi assolutamente indiuisibili. Gli atomi sono separati da minuscole cavit tali Vacui sarebber piccolissimi, ed in consequenza ciascheduno facile ad esser superato, tuttauia l'innumerabile moltitudine innumerabilmente (per cos dire) multiplica le resistenze. Il glutine non pu essere una sostanza reale, che verrebbe alterata dalla fusione del metallo, ma il vuoto che agisce a livello locale tra atomi: il passo mancante lintroduzione di una forza interatomica sul modello di quella che agisce tra i corpi celesti, che verr introdotta da Newton verso la fine di quel secolo. Le analisi della natura della materia ed i tentativi di elaborare una teoria della resistenza meccanica della trave proposti da Galilei nella seconda giornata dei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno due nuoue scienze (1638) verranno approfonditi e

  • corretti dai suoi allievi e seguaci [3-5], fino a costituire le basi della moderna scienza delle costruzioni. I testi riportati, pur distribuiti nellarco di poco pi di un secolo, concordano nel mostrare un approccio scientifico allo stato nascente, con accumulo di dati e tentativi di interpretazione: il progresso delle conoscenze ha seguito, anche in questo particolare settore, un percorso tuttaltro che lineare. Leonardo propone una prova di trazione in grado di dare informazioni utili anche oggi, ma i risultati sono viziati dalla difettosit dei materiali. Galilei interessato alla resistenza dei solidi, ma non riuscito a razionalizzare correttamente il problema della trave e a svincolarsi dalla geometria del sistema; non ha introdotto il concetto di tensione, lavorando sulle forze, n quello di deformazione. Forza e deformazione saranno collegati in una relazione lineare (ceiiinosssttuu = ut tensio sic vis) da Robert Hooke alla fine del XVII secolo. Solo con Augustin Cauchy (1789-1857), nel XIX secolo, si arriver ad una trattazione moderna, con tensione e deformazione applicate ad un mezzo continuo [5, 6]. La rivoluzione industriale: nasce la rottura per fatica La fatica un problema relativamente recente. Nasce con la rivoluzione industriale, con lo sviluppo del motore a vapore, del trasporto meccanizzato e, pi in generale, con lutilizzo sempre pi esteso di dispositivi meccanici [7] e limpiego sempre pi esteso di leghe, anzitutto ferrose. Il primo lavoro dedicato esplicitamente alla rottura per fatica quello di Wilhelm August Julius Albert [8]: a partire dal 1829 analizz il fenomeno della rottura di catene di sollevamento utilizzate nelle miniere di ferro che si trovavano sotto la sua responsabilit e not che queste non si rompevano a causa di incidentali sovraccarichi, ma che piuttosto la rottura era dipendente dal carico applicato e dal numero delle volte che questo era applicato. Costru anche una macchina di prova dedicata al fine di sollecitare in maniera controllata le catene oggetto del suo studio. A partire da questo primo lavoro, si pu osservare che lo studio del fenomeno della fatica si sviluppa parallelamente allimpiego dei materiali in condizioni sempre pi gravose ed al verificarsi di eventi incidentali con conseguenze, spesso, catastrofiche. Il termine fatica venne quindi definitivamente associato ad una particolare modalit di rottura dei materiali metallici quando, nel 1839, Jean-Victor Poncelet, in un ciclo di lezioni presso la scuola militare di Metz, descrisse i metalli sollecitati ripetutamente con carichi non elevati come stanchi [9]. In particolare, nel suo libro intitolato Introduction la Mcanique Industrielle Physique ou Exprimentale [10], scrisse che le molle sollecitate da una forza ciclica, inferiore alla resistenza massima, si rompono. Verso la met dellottocento, con lavvento del trasporto ferroviario, hanno luogo una serie di incidenti: il primo fra questi incidenti in Francia, e fra i primi al mondo, quello di Versailles (presso Meudon), verificatosi l8 maggio del 1842 (Figura 1). Due locomotive e diciassette vagoni furono coinvolti in un incidente con un numero di vittime compreso fra sessanta e cento (ma ci sono stime anche superiori), a causa della rottura di un assale della prima locomotiva. Lincidente ebbe una enorme risonanza (alcuni gruppi religiosi ci videro una punizione divina per il fatto che il viaggio si svolgeva di domenica) e fu oggetto di studi approfonditi. La superficie di frattura era inusuale e descritta come lamellare con cristalli di grandi dimensioni, decisamente diversa dalla usuale rottura fibrosa [11]. Il meccanismo di rottura fu identificato in una trasformazione interna, una

  • sorta di recristallizzazione dovuta alla sollecitazione ciclica: tale meccanismo stato successivamente riportato in letteratura fino agli anni cinquanta del secolo scorso.

    Figura 1: Incidente ferroviario di Versailles (A. Provost).

    William John Macquorn Rankine fu tra i primi ingegneri a riconoscere che la rottura per fatica di assali ferroviari era dovuta allinnesco ed allavanzamento di cricche. Egli, infatti, dopo lincidente ferroviario di Versailles del 1842, esamin numerosi assali ferroviari fratturati: la causa della rottura fu da lui correttamente identificata nellinnesco della cricca in corrispondenza di punti di intensificazione delle sollecitazioni e dalla conseguente propagazione (Figura 2). Rankine present le sue conclusioni in un articolo presentato presso l Institution of Civil Engineers [12], lavoro purtroppo a lungo ignorato.

    Figura 2: Schema della rottura per fatica in un assale ferroviario [12].

    Negli anni successivi gli studi pi sistematici di Sir William Fairbairn, principalmente su grandi manufatti [13], e di August Whler, sugli assali ferroviari [14], permisero di definire meglio il problema della rottura di manufatti metallici nel caso di sollecitazioni ripetute con valori del carico inferiori al carico di rottura del materiale. In particolare August Whler, dal 1854 al 1869 direttore delle ferrovie imperiali prussiane, per primo affront in modo sistematico e sperimentale lo studio della fatica degli assali ferroviari, costruendo apposite macchine di prova. In particolare, svilupp la prova di fatica a flessione rotante, introducendo il concetto di limite di fatica. Whler riport i risultati ottenuti sotto forma di tabelle (Figura 3). Solo il suo successore, Spangenberg, direttore del Mechanisch-Technische-Versuchsanstalt, riport i risultati in un grafico, con assi lineari [15]. Le curve S-N furono denominate curve di Whler solo a partire dal 1936. Alcuni anni dopo la pubblicazione dei risultati di Whler, Johann Baushinger, imponendo ad un materiale metallico dei cicli di deformazione trazione-compressione tra valori uguali

  • e tali da superare lo snervamento, rilev un particolare andamento della curva - [15], con un valore di snervamento a compressione inferiore a quello ottenuto durante la prima sollecitazione a trazione. Il principale obbiettivo di questi primi studi era quello di definire delle procedure sperimentali in grado di quantificare la resistenza a fatica di un determinato materiale, in termini di numero di cicli a rottura Nf [16].

    Figura 3: Pubblicazione dei risultati di August Whler, con tabella (a destra).

    Prima met del Novecento: sollecitazione a fatica e meccanismi di rottura Nel 1903, Ewing ed Humfrey esaminarono e documentarono sistematicamente la formazione di cricche superficiali in un provino sollecitato ciclicamente in laboratorio. Essi evidenziarono laumento della presenza delle linee di scorrimento con il procedere della sollecitazione ciclica ed il loro effetto sulla formazione delle cricche di fatica (Figura 4).

    Figura 4: Micrografie di un acciaio per valori crescenti del numero di cicli di fatica [18].

    Nel 1910, O.H. Basquin rappresent la regione a vita finita delle curve di Whler utilizzando degli assi logaritmici loga-logN [19], descrivendo questa zona con la semplice formula:

    na f fN

  • Basquin tabell dei valori sperimentali dei coefficienti f ed n utilizzando principalmente i valori ottenuti da Whler pi di cinquantanni prima, a testimonianza del fatto che successivamente a Whler lattivit sperimentale, almeno dal punto di vista della determinazione di curve a-N, non era molto progredita [20]. In questi anni gli eventi catastrofici associabili alla fatica furono molto numerosi, a partire dagli assali ferroviari, che continuavano a rompersi in maniera cos frequente che verso la fine dellottocento la rivista Engineering stampava dei rapporti settimanali a riguardo, per passare a strutture metalliche diverse, quali, ad esempio, serbatoi in pressione: si pu ricordare, ad esempio, linondazione di melassa di Boston del gennaio 1919, durante la quale un enorme serbatoio di melassa, di 15 metri d'altezza e 27 metri di diametro, collass fisicamente. Tale collasso provoc un'immensa ondata di melassa, alta tra i 2,5 e i 4,5 metri, che si mosse a una velocit di 56 km/h: la violenza sviluppata fu sufficiente a sbriciolare le strutture della vicina stazione di Atlantic Avenue della ferrovia sopraelevata di Boston e fece deragliare un treno dai binari, con decine di morti (Fig. 5).

    Figura 5: Ondata di melassa di Boston, 1919.

    Lapproccio di Whler, presentava diversi limiti. Uno di questi era legato al fatto che le prove erano svolte in condizioni di ampiezza di carico costante. Nel 1945 Miner [21] divulg ed implement un approccio sviluppato venti anni prima da Palmgren [22], proponendo laccumulo lineare del danno a seguito di sollecitazioni applicate di ampiezza differente. Secondo questo approccio, il danno accumulato dal materiale per effetto della sollecitazione ciclica proporzionale al rapporto tra il numero di cicli che il componente ha subito n1 ed il numero di cicli N1 che provoca rottura al livello di sollecitazione. Il danno complessivo accumulato dal materiale per effetto della successione di carichi ciclici quindi ottenuto mediante la sommatoria dei danni relativi ad ogni livello di carico:

    1 2

    1 2

    .....n nDN N

    e la rottura si verifica se

    1ii

    i

    nDN

    Nel 1954, Coffin e Manson, lavorando indipendentemente su problemi di fatica termica, proposero una caratterizzazione della vita a fatica basata sullampiezza della deformazione plastica. Infatti, notarono che il legame fra il logaritmo dellampiezza della deformazione plastica p/2 ed il logaritmo del numero di cicli a rottura 2Nf era sostanzialmente lineare:

  • ' 22

    cpf fN

    Negli stessi anni diventa sempre pi pressante il problema della fatica nel trasporto aereo civile. Fra maggio 1952 ed i primi mesi del 1954 si verificarono alcuni incidenti gravi riguardanti il primo aereo a reazione per il trasporto civile, il de Havilland DH.106 Comet. Il recupero dei rottami, e prove sperimentali condotte in piena scala su un aviogetto privato dei motori, permisero di identificare il problema nellinnesco di cricche di fatica in corrispondenza delle rivettature delle cornici dei finestrini di forma pressoch rettangolare. Seconda met del Novecento: meccanica della frattura Ormai consolidato il concetto che la rottura per fatica era da collegare a meccanismi di innesco e propagazione di cricche di fatica, e non ad improbabili processi di ricristallizzazione indotta da sollecitazioni cicliche, era quasi naturale che la meccanica della frattura potesse fornire un approccio pi evoluto alla caratterizzazione della resistenza alla fatica nei materiali metallici. Introdotto da Irwin nel 1957 il concetto rivoluzionario del fattore di intensificazione degli sforzi K [23], nei primi anni sessanta Paris ed altri [24, 25] proposero che la velocit di avanzamento della cricca (per ciclo di sollecitazione) fosse correlabile con la variazione del fattore di intensificazione introdotto da Irwin con una formula decisamente semplice:

    mda C KdN

    Paris stesso ricorda il tipo di accoglienza che ebbe la relazione sopra riportata [26]: In 1957, as a faculty summer associate at Boeing-Seattle, Paris suggested that fatigue crack growth rates could be correlated using the elastic crack tip stress intensity parameter, K, and that data so represented could be related through this parameter to predict growth rates in structural cracks from laboratory data for the material and environment of interest. The paper written on that work at that time was not published until 1960, since it was delayed by rejection by three journals (ASME, AIAA, and Phil. Mag.). Though that method is widely accepted today, in the late 1960s at Boeing it was rejected by an outside review panel for federal supersonic transport exploratory studies as it simply wont work. In realt il successo dellapproccio proposto da Paris e della relazione che prende da lui il nome stato enorme: nei decenni successivi sono state proposte decine di formulazioni differenti, magari in grado anche di descrivere la correlazione fra da/dN e K oltre lo stadio lineare (zona di soglia e di rottura di schianto), ma il successo della relazione di Paris rimasto insuperato. Alcuni anni dopo, Elber [27] evidenzi per primo il fenomeno del crack closure sulla propagazione della cricca, sottolineando linfluenza della plasticizzazione dellapice della cricca, della rugosit della superficie di frattura e della formazione di ossidi sul K effettivo allapice della cricca. Fra gli anni settanta e novanta del secolo scorso, grazie al notevole interesse dimostrato dallindustria (prime fra tutte, quella nucleare e quella aerospaziale), si osserva un incremento notevole dellattivit di ricerca sperimentale, focalizzando lattenzione sui meccanismi di propagazione della cricca e sulla loro interazione con la microstruttura delle

  • leghe analizzate. Si evidenzia, ad esempio, leffetto di una sovrasollecitazione sulla propagazione della cricca di fatica: levidente rallentamento dovuto alla presenza di un campo di sforzi residui di compressione allapice della cricca sottolinea gli evidenti limiti dellapproccio di Palmgren-Miner. Oppure, ancora, il comportamento sorprendente delle cricche corte, che possono avanzare anche per valori del K applicato inferiore a quello considerato come soglia nelle cricche lunghe [28], consentendo di modellizare un arco di vita sempre pi ampio. Nello stesso periodo, hanno continuato a verificarsi numerosi altri incidenti imputabili a rotture per fatica, sia in campo aeronautico (ad esempio, il caso dellAloha Airlines Flight 243 del 1988, con una decompressione esplosiva dellaeromobile dovuta alla perdita di diversi metri quadrati di fusoliera, che comunque ha consentito latterraggio del velivolo, Fig. 6) che ferroviario (ad esempio, con lincidente di Eschede, del 1998, oppure lincidente di Viareggio del 2009, Fig. 6), che, pi in generale, in ambito industriale.

    Figura 6: Aloha Airlines Flight 243, 1988 (sx); Viareggio 2009, superficie frattura (dx).

    Conclusioni Non si pu concludere un lavoro dedicato allo sviluppo storico degli studi sulle rotture per fatica, e sui modi per evitarle, senza descrivere quali sono le linee di sviluppo pi recenti. Anzitutto gli ultimi venti anni hanno visto un incredibile incremento della potenza di calcolo casalingo dei singoli sperimentatori: essi sono in grado oggi di sviluppare calcoli estremamente complessi utilizzando calcolatori dal costo relativamente modesto ricorrendo a diverse tecniche numeriche (ad esempio, ma non unicamente, gli elementi finiti, FEM Finite Element Method). Ci ha consentito un incredibile incremento dellattivit di ricerca basata sullapproccio numerico. Di questo ne possiamo trovare testimonianza nellincremento negli ultimi venti anni del numero di lavori basati sullapproccio numerico presentati nei convegni delle maggiori associazioni di settore (ad esempio, lInternational Congress on Fracture, ICF, oppure, in Italia, Il Gruppo Italiano Frattura, IGF). Inoltre sono state messe a punto apparecchiature impensabili solo venti anni fa, fra le quali possiamo ricordate, sempre a titolo di esempio, le macchine per prove di fatica ad altissimo numero di cicli (VHCF, Very High Cycle Fatigue) che, permettendo sollecitazioni a frequenze di decine di migliaia di Hz, consentono di applicare in tempi accettabili un numero di sollecitazioni pari o anche superiori a 109, oppure ancora microscopi elettronici a scansione (SEM) caratterizzati da prestazioni decisamente superiori a quelle dei decenni passati, grazie sicuramente alla disponibilit di calcolatori in grado di elaborare segnali relativi ad immagini che solo venti anni fa sarebbero stati considerati dei disturbi. Dal punto di vista sperimentale, quindi, si pu osservare un incremento dellinteresse sulla fase di innesco della cricca, che tanta parte prende nella

  • vita a fatica di un manufatto, e sulla caratterizzazione della fase di soglia, ovvero quella antecedente alla zona lineare di Paris. Bibliografia [1] S. SMITH, A history of metallography, The MIT Press. Cambridge, Massachusetts

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