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S GERARDO Monza Comunità Parrocchiale di MARZO - N° 3 ANNO 2018 S. PASQUA 2018

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MARZO - N° 3 ANNO 2018

S. PASQUA 2018- 1 -

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I RECAPITI DEI SACERDOTI DI SAN GERARDO

- Don MASSIMO GAIO Via S. Gerardo, 4 Tel. 039 32.44.66

- Don LUIGI VILLA Via S. Gerardo, 4 Tel. 039 59.70.989

INDICE: in questo numero trovateTre giardini p. 3La settimana degli esercizi spirituali p. 6Restiamo in ascolto p. 8Non abbiamo bisogno di eroi p. 10Missione...! p. 12I disegni del cestinoe la festa di ogni papà p. 16La vita nella comunità p. 18

Nella nostra chiesa p. 2026° giornata di preghiera p. 21Scuola e lavoro,tra sogni e realtà p. 24Pasqua in famiglia p. 27Sindesi del verbaledel Consiglio Pastorale p. 29La notte degli Oscar p. 32Cinquanta anni fa: il '68 p. 34

Nei pomeriggi don Massimo è reperibile presso la segreteria dell'Oratoriodurante gli orari di apertura. Il nuovo numero in Oratorio è 039 97.15.766

Orari Ss. Messeferiali: ore 9; 18,30prefestiva: ore 18,30festive: ore 8,30; 10,30; 18Orario dell’Uffi cio ParrocchialeDal lunedì al venerdì: dalle 9,30 alle 11Il sabato solo su appuntamento telefonico al 338 7416563Ss. ConfessioniPrima e dopo le Ss. MesseSabato e vigilie: ore 16,30 - 18,30La chiesa è aperta dalle 7,30 alle 12 e dalle 15,30 alle 19

La parrocchia S. Gerardo al Corpo è anche su internet!

www.sangerardo.org

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TRE GIARDINI

Nonostante Burian bis, l’ondata di gelo proveniente dalla Siberia, capita di vedere in questi giorni sui rami le prime gemme. Piccoli punti luce che squarciano il grigiore di certi giorni freddi di fi ne inverno. Per il mio carattere, sovente vittima di “certi giorni”, è un miracolo. Non tutte le mattine sono uguali. Lo scopro andando di casa in casa. Perfi no i chierichetti che mi accompagnano si fanno seri in volto perché capiscono la gravità della situazione, il peso di una malattia, di un anziano, di una persona sola. Raccolgo voci – come parroco – che raccontano la fatica di alzarsi al mattino. E non per la pigrizia. Ma per l’angoscia di prendere in mano la vita. A me è stata risparmiato il male di vivere. Ho un carattere gioviale però tendente allo psicosomatico. Non bastano i miei dispiaceri o le mie delusioni a rattristarmi, spesso mi lascio travolgere anche dai racconti che ascolto. E sto male. Per questo le chiazze di colore, le fessure di luce che le piante in fi ore di questi tempi rallegrano le nostre vie, mi

fanno bene al cuore. Mi parlano di un primo giardino in cui l’armonia parlava di una eterna connessione fra la natura affi data alle cure di Adamo e l’uomo stesso, maschio e femmina. Prima. Poi la sconnessione. E dunque il degrado. Sul muro delle nostre suore, dopo un’orrenda manifestazione è comparsa recentemente la scritta: “Il vostro decoro è il vero degrado”. Nemmeno Attila ragionava così. Abbiamo bisogno di non rattristare ulteriormente gli occhi di Dio che aveva immaginato l’uomo e la donna in un giardino, l’Eden. Forse non diamo più peso a tutto il carico del degrado fi sico, ambientale, morale che ci circonda. Ci siamo abituati al brutto, anzi al peggio. I nostri bambini saranno abituati a gioire per il verde di un campo di calcio, ma il sogno sarebbe che si entusiasmassero nell’abbassarsi e stupirsi della crescita di un solo fi lo d’erba. C’è bisogno, nelle relazioni con il creato, di una vera Pasqua. Dal giardino dell’Eden ad un altro. Nel libro della Bibbia che canta senza veli

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l’amore degli innamorati si dipinge l’abbraccio di un Dio che ha nostalgia del suo popolo. Sono pagine emozionanti quelle del Cantico dei Cantici, parlano del luogo e del tempo dell’amore. Per uno come me che crede all’amore, è duro costatare che anch’esso che dovrebbe durare per sempre… in realtà si spezza, dura poco. Amore è uscita. Noi ci chiudiamo in noi stessi. Amore è perdersi per ritrovarsi. Noi ci arrocchiamo per difenderci e perdiamo

tutto di noi. Occorre uscire dall’inverno. Passata è la pioggia, passati i giorni grigi. “È primavera! Svegliatevi bambine…” cantava Rabagliati in Mattinata fi orentina. C’è bisogno, nelle relazioni fra di noi, di una vera Pasqua. Dal giardino fi orito del Cantico dei Cantici o dei profeti come Osea, cantore dell’amore ad un terzo giardino. È quello della sepoltura e della risurrezione di Gesù. “Ora nel luogo dove era stato crocifi sso, vi era un giardino e nel

giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto. Là dunque deposero Gesù, a motivo della Parasceve dei Giudei, poiché quel sepolcro era vicino” (Gv 19, 42. 42).Già la sposa del Cantico urlò di dolore alla sola ipotesi di perdere l’amato. Notte insonne fu quella: “Avete visto l’amato del mio cuore?” (Cantico 3, 3).

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la parola del parroco

Anche il giardino del sepolcro dell’uomo di Arimatea conobbe il grido dell’assenza. Era l’alba. Non c’era ancora luce. Mattino inviolato. La tomba di Gesù fu trovata vuota. Il pianto velava gli occhi della Maddalena. Forse quell’uomo, il custode del giardino, saprà qualcosa! Lo rincorre, Lo raggiunge. Gli parla con un groppo alla gola: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo”. Il silenzio del giardino a prenderlo”. Il silenzio del giardino amplifi cò la voce. Ah, quella voce…unica amplifi cò la voce. Ah, quella voce…unica e irripetibile: la Sua! “Maria…” sussurrò e irripetibile: la Sua! “Maria…” sussurrò Gesù. La donna lo riconobbe alla voce. Gesù. La donna lo riconobbe alla voce. Il giardino della morte, di un sepolcro, Il giardino della morte, di un sepolcro, diventa il giardino della vita, di un diventa il giardino della vita, di un incontro, di uno che pronuncia il tuo incontro, di uno che pronuncia il tuo nome. C’ bisogno del nostro rapporto nome. C’ bisogno del nostro rapporto con Dio, di una vera Pasqua. Ciascuno con Dio, di una vera Pasqua. Ciascuno si senta chiamato per nome, da Dio, si senta chiamato per nome, da Dio, dal fratello, dalla creazione. E “…e se dal fratello, dalla creazione. E “…e se mi chiami amore…mi chiamerai per mi chiami amore…mi chiamerai per nome…”(De Gregori)Cari parrocchiani, saremmo lieti di una Cari parrocchiani, saremmo lieti di una Pasqua così. Sarei lieto che ciascuno Pasqua così. Sarei lieto che ciascuno rivivesse una festa di Pasqua in questo rivivesse una festa di Pasqua in questo

modo. Capace di farci ritrovare nel giardino non di cacciate, di maledizioni, di muri, di leggi infrante… alla fi ne…di sepolture; ma abitare un giardino di ritrovamenti, di incontri d’amore e di passione, di grazia, di pace, di misericordia, di vita risorta.Buona Pasqua.

Don Massimo

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LA SETTIMANA

Da lunedì 26 febbraio a venerdì 2 marzo nella comunità cristiana di san Gerardo, su proposta del Consiglio pastorale e secondo la tradizione di questi ultimi anni si sono tenuti i santi esercizi spirituali quaresimali. In realtà l’espressione è molto pomposa rispetto alla realtà della iniziativa che si presenta alla fi ne come cinque serate consecutive di ascolto, di rifl essione, meditazione e preghiera comunitarie. L’esperienza è stata affi -data alla predicazione di fra Alberto Tosini, padre guardiano e superiore delle Grazie. L’idea era quella di poter conti-nuare la provocazione introdotta lo scorso anno da don Roberto Soffi entini che si era similmente soffermato sui cosiddetti fondamentali (come li defi niva il card. Scola) di una comunità di credenti che si richiamasse alla chiesa delle origini, la primitiva comunità degli apostoli. Questa volta l’occasione di approfondimento è

legata alla volontà di aggiornare il nostro progetto parrocchiale steso nel 1996 e che avrebbe bisogno di un aggiornamento. E poiché fu il card. Martini nel lontano 1989 a chiedere ad ogni parrocchia il coraggio di progettare per poi verifi care il loro agire, don Massimo ha insistito nel chiedere a fra Alberto di lasciarsi guidare nella predica-zione dalle prime cinque lettere pastorali

dell’allora Arcivescovo di Milano. Lui stesso si è impegnato a sten-dere i sussidi liturgici per aiutare i presenti nella rifl essione e nella preghiera con brani di Martini. Altro suggeri-mento seguito è stato quello di fare memoria

di un altro grande pastore della nostra diocesi, il Beato Paolo VI che l’attuale pon-tefi ce ha deciso di santifi care ad ottobre, il primo vescovo “milanese” santo dopo san Carlo! Ne è uscita una predicazione pacata e sobria, profonda e provocatoria che ha sinceramente guidato i fedelissimi presenti tutte le sere scaldando il cuore di

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DEGLI ESERCIZI SPIRITUALI

ciascuno nonostante le serate più fredde dell’inverno. Questi i titoli accostati. La dimensione contemplativa della vita. In principio la Parola. Attirerò tutti a me. Farsi prossimo. Partenza da Emmaus. E chi può dimenticarli? Hanno segnato la vita della diocesi tutta e sono documenti profetici, intramontabili, attualissimi. Fra Alberto ha insistito su alcuni punti improrogabili per la vita personale e comunitaria di una parrocchia. La necessità di una mappa, una mappa spirituale da far propria per alimen-tare la sequela del Signore. L’urgenza di andare alle sorgenti perché l’acqua scorre sempre e cambia ogni volta. Ma la sorgente è sempre quella, genuina e rigenerante. Il primato da dare alla Parola per non cadere in una fede troppo soggettiva. La centralità

dell’Eucaristia che non solo ci dona il pane di Gesù ma fa di ciascuno di noi bocconi di pane per gli altri. E infi ne, riprendendo la parola di papa Francesco che in questi anni ha fortemente ribadito che la Chie-sa deve essere “in uscita”… ha rilanciato alcuni punti fondamentali e formidabili della Evangelii Gaudium. Don Massimo era visibilmente commosso e soddisfatto. Ha esortato i presenti con una actio a con-clusione degli Esercizi: avere il coraggio di scrivergli una lettera o una mail con le prospettive per il futuro della Parrocchia di San Gerardo, chiedendo di suggerire un’icona biblica che sia suffi cientemente capace di “dire” la nostra realtà umana e spirituale affi nché possa essere fonte di un progetto nuovo, più al passo con questi tempi così velocemente cambiati. Oltre ai ringraziamenti a fra Tosini, è d’uopo rivol-gerli anche all’animazione musicale che non è mai mancata per ogni sera. Peccato che gli uditori erano veramente pochi. Ma tant’è! Ognuno fa le sue scelte. I parroc-chiani si sono persi un’occasione bella.

La redazione

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RESTIAMO

Qualche giorno fa mi sono imbattuto in un articolo in cui un esperto di comu-nicazione elencava le principali qualità che, a suo modo di vedere, defi niscono un buon conversatore. Bene, potrà sem-brare singolare, ma tra quelle elencate, la prima qualità riconosciuta per dialo-gare bene con gli altri è... l’ascolto. Mi è parsa una indicazione solo apparen-temente ovvia, ma che in realtà celasse spunti di rifl essione interessanti da poter condividere su queste pagine. Facciamoci caso: quante volte, mentre parliamo con qualcuno, accade che noi stessi, o il nostro interlocutore, ci distraiamo, sbirciamo il cellulare, pro-grammiamo quello che andremo a fare di lì a poche ore, oppure semplicemente pensiamo a cosa diremo quando toc-cherà a noi parlare, seguendo un fi lo di pensieri tutto nostro che non tiene in conto ciò che l’altro ci sta dicendo? Perché accade che tante discussioni non esprimano un confronto vero, ma siano solo recite di un copione defi nito, in cui nessuno si sforza di costruire un

dialogo che dall’ascolto sviluppi una risposta coerente? A volte, di fronte al racconto di un’avventura singolare o alla esternazione di una diffi coltà, spesso re-plichiamo con il fatidico “ma sai che è successo anche a me?”: forse lo facciamo per esprimere la nostra vicinanza, ma così purtroppo continuiamo a riportare l’attenzione sulla nostra persona, ci al-lontaniamo dall’altro, minando le basi di un’empatia che dovrebbe partire dal capirsi e dell’accettarsi, rinunciando a una parte di noi per meglio accogliere chi ci sta di fronte.È ascoltando in silenzio che si impara. È quando ascoltiamo l’altro che espri-miamo quel rispetto che ci consente di entrare con lui in sintonia, di ricono-scerne la dignità e, forse, di riuscire a raggiungerlo con quelle poche parole, o a regalargli quello sguardo silenzioso e sincero, di cui ha davvero bisogno.Allora, facciamo di questa Quaresima un momento di ascolto. Di noi stessi, in primis, delle nostre istanze più profonde, spesso soverchiate dal chiasso del “da

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IN ASCOLTO

farsi” quotidiano. Ma l’ascolto è anche degli altri, di chi ha bisogno di parlare, di rac-contarci di sé, e invia messaggi dentro le bottiglie che hanno solo bisogno di essere letti da qualcuno, in silenzio.E proviamo ad ascoltare vera-mente anche Dio. Da qualche tempo riscuotono sempre più gradimento le numerose iniziative di ascolto della Parola, lectio divine in cui le persone ricevono la Parola in silenzio, la meditano con l’aiuto di una voce auto-revole, e la fanno riposare dentro di sé. Come un seme prezioso, con pazienza. Superando un modello assembleare, o da talk show televisivo, dove conta solo aprire bocca, dire la propria su quanto

ascoltato, come gli attuali prin-cipi di assertività personale richie-derebbero. Sia chiaro: lungi da noi discono-scere il valore dell’elaborazione personale della Parola, né l’im-portanza della sua condivisione in un consesso di amici e di fedeli. Proviamo però a superare l’ansia

di dimostrarci in ogni momento che esi-stiamo, obbedendo al sillogismo “apro la bocca, quindi sono”. E cerchiamo di far nostro il più profondo “ascolto, quindi so capire”. Ci accorgeremo che, quando riusciamo a tacere, le voci di tante cose iniziano a parlarci.

Giovanni Boniardi

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NON ABBIAMO

Strana notizia diffusa il 14 febbraio scorso. Era il mercoledì delle Ceneri, ma non è questa la notizia. Per fortui-ta casualità era anche San Valentino, questo già l’ho sentito citato più spesso, ma nemmeno questa era la notizia cui facevo cenno.Mi riferisco alla notizia di un diciotten-ne milanese che ha visto un bambino di due anni e mezzo cadere dalla ban-china direttamente sui binari di una linea metropolitana e, resosi conto della situazione, dopo un rapido sguardo al tabellone dell’attesa del treno, è saltato sui binari, lo ha afferrato, fatto salire in banchina e vi è risalito infi ne anche lui. Grazie al cielo dalla sala controllo avevano comunque visto tutto e avevano preso le misure necessarie a fermare il treno in arrivo.Già la notizia colpisce di per sé e raro è il fatto che rimbalzi sui media nazionali, soprattutto in periodo elettorale. La cosa che mi ha colpito veramente sono state le poche parole del protagonista quando è stato rintracciato; misurate, pacate,

e tese a smorzare qualsiasi montatura iperbolica del salvataggio. Quasi a dire non ho fatto nulla di eroico, non fac-ciamola troppo lunga. Nessuno nega, anzi proprio tutto il con-trario, che è stato un gesto coraggioso, di certo audace, anche perché, diciamolo, fi sicamente non proprio alla portata di tutti, ed è stato defi nito soprattutto un gesto di buon senso: vedo una persona in diffi coltà, lo aiuto, non giro la faccia dall’altra parte! Mi ha colpito proprio perché non è quel genere di notizia po-sitiva che di solito ci propina il nostro sistema d’informazione. E al centro ci sono due persone: il bambino, che speriamo abbia imparato la lezione, e il suo, passatemi la metafora, angelo custode. Forse in un momento in cui anche le tanto acclamate Organizzazioni Non Go-vernative - fi no a ieri paradigma laico dell’etica dell’altruismo - ora si scoprono non immuni da comportamenti di alcuni per nulla altruistici, di certo non etici, a dirla tutta criminali, questo è proprio

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BISOGNO DI EROI

quello ci vuole. Tornare all’uomo. E tor-nare, come amava ripetere il card. Tet-tamanzi, a tutti e a ciascuno. Sì proprio a ciascuno. Perché il buon senso, l’al-truismo, il non girare la testa dall’altra parte, non devono e non possono esse-re prerogativa di pochi. E quand’anche fosse, non ci sentiamo di chiamarli eroi, bisogna chiamarli Uomini (o Donne) con

la lettera maiuscola perché hanno una funzione importante, direi quasi socia-le: ci ricordano, con l’esempio dei gesti, quello di bello, di buono, di veramente importante ognuno di noi ha dentro di sé (e forse che ogni tanto bisognerebbe anche tirarlo fuori).È un po’ scontato allora, ma a questo diciottenne milanese deve andare il sem-

plice grazie di tutti noi. Il suo nome - lo trovate su internet con facilità se vi fosse sfuggito – l’ho omesso volutamente per-ché ognuno di noi possa credere che, come a lui, anche a noi potrebbe ca-pitare domani un episodio del genere. E con altret-tanta innocenza e fi erez-za potremo dire: “Ho fatto solo la cosa giusta”.

Andrea Gerosa

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MISSIONE...!

La chiesa si identifi ca con la missio-ne e ogni battezzato viene inserito nella missione della Chiesa avente la sua origine nella Trinità. Scopo della Chiesa è costruire il regno di Dio tra di noi. È bello vedere la nostra comunità preoccuparsi della sua missionarietà. Il cammino di catechismo per i bam-bini, il catecumenato degli adulti, il cammino del gruppo famiglie, le predi-che del parroco don Massimo, le visite dei missionari, l’iniziativa di adottare una famiglia povera con l’aiuto di San Vincenzo, il sinodo diocesano, insom-ma tutta l’attività della parrocchia è orientata a questa dimensione mis-sionaria. Il cardinale JozefTomko dice: “le vie della missione possono essere diverse: la testimonianza, il primo an-nuncio, la conversione, il battesimo e la formazione delle comunità ecclesiali, l’inculturazione, il dialogo, la promo-zione umana integrale. Ma il movente e il cuore della missione è l’amore che ci spinge: Caritas Christiurget nos!”.È originario della nostra parrocchia

Padre Giovanni Zimbaldi di 89 anni, missionario del PIME che spinto dal-l’amore per il Signore e per il prossimo da 43 anni esercita il suo ministero di sacerdote missionario in Thailan-dia. Noi vogliamo a contribuire con lo stesso amore alla sua missione con la preghiera e opere di carità. Abbiamo raccolto un po’ di informazioni che ri-guardano la sua missione.

Dov’è la missione:La missione si distende lungo il confi -ne con la Birmania e il Laos per circa 200 km all’estremo nord della Thailan-dia, coprendo due province che sono separate da una catena di montuosa. In gennaio il territorio è stato diviso in due missioni: una è Fang, nella pro-vincia di Chiang Mai e l’altra è Ban-Thoed Thai, nella provincia di Chiang Rai con parroci padre Marco Ribolini e padre Massimo Bolgan rispettivamen-te. È presente anche la congregazione delle suore della Presentazione, di origine indiana e pakistana, le quali

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collaborano con padre Massimo. La realtà cristiana di Fang è eterogenea. Ci sono almeno 4 gruppi etnici: Lahu, akhà, shan (taiyai), karen che non hanno cittadinanza e vivono in monta-gne mentre in pianura si trovano thai-landesi a maggioranza buddista.

Lo sviluppo della missione in questi ultimi anni:La missione è nata negli ‘70 e il fon-datore è padre Giovanni Zimbaldi. Si è sviluppata poi soprattutto tra le tribù dei monti. Gradualmente si è svilup-pata attraverso i cristiani stessi che hanno parlato del cristianesimo con i loro parenti e amici che non erano cri-stiani. Quindi pian piano si è allargata partendo da un villaggio o due fi no ad arrivare ad un centinaio di villaggi. Di grande importanza e contributo è stato il lavoro dei catechisti e l’amicizia sta-bilita con alcune persone che hanno contribuito alla diffusione dell’evange-lizzazione in questi luoghi.

La missione:La chiesa principale della missione è dedicata all’ Epifania. Nel territorio sono presenti numerosi villaggi, circa 51. Quindi dal centro della missione i padri devono visitare regolarmente i vari villaggi che hanno una chiesetta, di solito in bambù o di legno. Qui av-viene la catechesi per i cristiani e il ca-tecumenato (il processo di iniziazione cristiana); ogni anno, in ogni villaggio è presente qualche catecumeno, cioè gruppi di persone adulte che si avvia-no verso il battesimo. La collaborazio-ne con i catechisti è importante perché questi aiutano a formare e seguire le comunità nei vari villaggi.

Il progetto della missione:Oltre al cammino formativo della co-munità la missione ha come progetto principale l’educazione dei ragazzi, e sono presenti due ostelli che sono residenze per bambini dalla prima elementare fi no alla terza media. Sono quasi 180 in totale. Il futuro di questa

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missione è molto legato alla gioventù, per questo si cerca di garantire loro un’istruzione oltre che ad un aiuto alla missione. Purtroppo però avviene che i giovani fi niti gli studi vadano a cercare il lavoro in città. Quindi nella comunità rimangono persone anziane. Sono pochi quelli che tornano al vil-laggio quando si sposano, e a restare al villaggio sono anziani e contadini.

I problemi della missione:I problemi sono di varia natura: abbia-mo già parlato del fenomeno della fuga dal villaggio. Un secondo problema è quello della droga, perché la vicinan-za con la Birmania, dove attualmente c’è grande traffi co di droga, espone alcuni poveri alla ricerca di soldi fa-cili e disonesti ad inserirsi in questo commercio. Quindi traffi co e uso di droga. Un altro problema è l’agricol-tura di sussistenza, cioè la raccolta di prodotti dal sottosuolo suffi cienti per mangiare ma non abbastanza per realizzare un commercio, per il quale,

inoltre, mancherebbero gli strumenti. Una civiltà agricola non adeguata alla vita moderna. Poi ci sono problemi sociali come la concordia nei villaggi, a volte ci sono liti, e a livello religioso alcune persone passano dal buddismo al cattolicesimo e dal cattolicesimo al protestantesimo.

Conversioni e motivi:Le conversioni ci sono, anche se poche, e uno dei motivi è l’amicizia, oppure la parentela con alcuni cristiani che suscita interesse, e pian piano alcuni si interessano per diventare cristiani. Certamente una delle motivazioni è data anche dal fatto che la religione tradizionale delle tribù di montagna, non riesce a far fonte allo stile di vita moderna. Quindi cercano un’identità religiosa che dialoghi maggiormen-te con la società moderna mentre le persone che vivono in pianura sono quasi tutti buddisti e la conversione è diffi cile.

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Cosa noi possiamo imparare dalla missione di Fang?Credo che dalla missione di Fang, come anche da tante altre missioni, possiamo imparare che la nostra fede va condivisa. Il Cristianesimo non è qualcosa di puramente soggettivo, da vivere individualmente. Quindi l’inse-gnamento per noi occidentali, potreb-be essere quello di diventare capaci di parlare e di testimoniare la bontà e la bellezza della nostra fede ai nostri pa-renti e ai nostri amici. La fede diventa anche una ragione per stare insieme nella società e anche per affrontare i problemi e le piaghe sociale, come la droga, la prostituzione e la povertà. La fede ci chiede quindi di combattere queste piaghe. Come padre Giovanni fa testimonianza della sua missione: “l’aiuto principale lo diamo annunzian-do Gesù Cristo. L’infl usso del Vangelo è misterioso, è opera dello Spirito Santo. Però la differenza tra un villaggio cri-stiano e uno pagano è evidente a tutti: i matrimoni sono più saldi, i bambini e

le bambine vengono a scuola, villaggio e capanne sono puliti, c’è più impegno nel lavoro, l’abitudine nuova al rispar-mio, collaborazione anche economica per il bene pubblico (ad esempio per co-struire la cappella e la sala comunita-ria, mantenere le strade praticabili), la legge del perdono fa diminuire e quasi scomparire lotte e vendette tra famiglie. Il villaggio pagano ha criteri solo mate-riali di giudizio: se una famiglia povera manda le fi glie a prostituirsi non fa pro-blema, non stupisce nessuno. I cattolici non lo fanno.”

Concludo dicendo che ogni giorno abbiamo qualcosa da imparare o mi-gliorare. Spero che questo cammino di quaresima ci aiuti a riscoprire la nostra fede in Gesù Cristo e a condi-viderlo con i famigliari, i parenti, gli amici, i colleghi del lavoro ecc. perché il regno del Signore venga tra di noi!!

Bhaskar

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Il 19/03/2017, nel giorno dedicato ai papà, il Corriere della sera pubblicava la lettera di una lettrice, che aveva da poco perso il proprio padre di 95 anni, dal titolo: “I disegni del cestino”.“Fin da bambina ho sempre disegnato tanto, ma ero sempre scontenta del risul-tato e gettavo tutto nel cestino. Così per anni e anni. Il giorno della mia laurea in architettura, mio padre arrivò nell’aula con un voluminoso involto: conteneva volumi fi nemente rilegati, titolo: “MCDN (acronimo del mio nome). I Disegni del Cestino”. Tutti i miei disegni incollati anno dopo anno, centinaia di fogli che ogni sera, appena addormentata, pre-levava dal cestino, stirava e archiviava con cura e amore, in segreto. In questi tempi di “tutto e subito”, raccontare una storia di così amorevole pazienza mi sembra importante. Anche per mio padre, Tommaso”.Inutile dire che subito mi aveva molto commosso e quando ho preso la penna per scrivere quest’articolo, puntuale mi è tornato alla mente. Non senza diffi coltà,

vista la mia poca predisposizione alle nuove tecnologie, digitando in Google una sequenza confusa di parole… carta, laurea, sera, album… l’ho ritrovato e rileggendolo ho provato le stesse emo-zioni di un anno fa. La lettrice era stata fortunata ad avere un padre capace di esprimere in un modo così creativo e tan-gibile quello che tutti i padri del mondo conservano gelosamente nei loro cuori: i ricordi dei loro cuccioli che crescono e diventano adulti… a partire da quel primo vagito da cui tutto prende inizio. Alcuni si perdono, ma poi riaffi orano, al-tri sono tenacemente presenti, testimoni di emozioni indimenticabili, a volte sono pensieri legati ad esperienze piacevoli, a volte ad episodi tristi ed allora si vor-rebbero scacciare e invece sono sempre lì, a ricordare come il ruolo di padre preveda un cuore grande, anzi gran-dissimo, contenitore immenso di gioie, fatiche, ansie, passioni, speranze, delu-sioni, gratifi cazioni e soprattutto amo-re incondizionato. Il tutto disseminato nell’arco di una vita intera, racchiuso

I DISEGNI DEL CESTINO

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E LA FESTA DI OGNI PAPA'

tra due immagini di tenerezza infi nita: tra due immagini di tenerezza infi nita: le mani paffutelle del bimbo strette in le mani paffutelle del bimbo strette in quelle del papà, alla ricerca di protezio-quelle del papà, alla ricerca di protezio-ne e sostegno, e le mani forti del fi glio ne e sostegno, e le mani forti del fi glio che stringe quelle tremanti del padre, che stringe quelle tremanti del padre, che trova nel suo sguardo il conforto che trova nel suo sguardo il conforto alle sue paure, il senso della sua fragile alle sue paure, il senso della sua fragile esistenza. Questa è anche la dolcissima esistenza. Questa è anche la dolcissima immagine che ho del mio adorato papà: immagine che ho del mio adorato papà: in quegli ultimi momenti mi sono accorta in quegli ultimi momenti mi sono accorta di non avergli mai voluto tanto bene, o di non avergli mai voluto tanto bene, o forse semplicemente non ne avevo mai forse semplicemente non ne avevo mai avuto una tale consapevolezza; se me avuto una tale consapevolezza; se me ne fossi accorta tempi addietro il nostro ne fossi accorta tempi addietro il nostro rapporto forse sarebbe stato diverso. Ma rapporto forse sarebbe stato diverso. Ma questo è il destino di ciascuno di noi: questo è il destino di ciascuno di noi: esser prima fi glio per vivere poi le stesse esser prima fi glio per vivere poi le stesse scene dell’unico fi lm della vita.

ElisabettaElisabetta

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LA VITA DELLA COMUNITA'

aprile

1 Dom Pasqua di Nostro SignoreAt 10, 34°.37 - 43; Col 3, 1 - 4; Gv 20, 1 - 9

2 Lun Lunedì dell’Angelo8 Dom II domenica di Pasqua

At 4, 32 - 35; Sal 117; 1 Gv 5, 1-6;Gv 20, 19 - 31

9 Lun Annunciazione del Signore15 Dom III domenica di Pasqua

At 3, 13 - 15. 17 - 19; 1 Gv 2, 1 - 5°;Lc 24, 35 - 48

22 Dom IV domenica di PasquaAt 4, 8 - 12; 1 Gv 3, 1 -2; Gv 10, 11 - 18

25 Mer S. Marco evangelista29 Dom V domenica di Pasqua

At 9, 26 - 31; 1 Gv 3, 18 - 24; Gv 15, 1 - 8

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LA VITA DELLA COMUNITA'

maggio

1 Mar Festa di san Giuseppe lavoratore6 Dom VI domenica di Pasqua

At 10, 25 - 26. 34 - 35. 44 - 48; Sal 97;1 Gv 4, 7 - 10; Gv 15, 9 - 17

13 Dom AscensioneAt 1, 1 - 11; Sal 46; Ef 4, 1 -13; Mc 16, 15 - 20

20 Dom PentecosteAt 2, 1 - 11; Sal 103; Gal 5, 16 - 25;Gv 15, 26-27. 16, 12- 15

27 Dom SS. TrinitàDeut 4, 32 - 34.39 - 40; Sal 32;Rom 8,14 - 17; Mt 28, 16 - 20

31 Gio Visitazione della Beata Vergine Maria

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NELLA NOSTRA CHIESA

rigenerati nello spirito

tornati al Padre

16 - Carlo Confalonieri (a.43)17 - Enrico Mariani (a.62)18 - Antonio de Gresti di San Leonardo (a.82)(a.82)19 - Giuseppe Mario Teruzzi (a.61)(a.61)20 - Suor Germana Vanoni (a. 102)(a. 102)21 - Maria Antonietta Valentini (a.89)22 - Suor Rosa Ardesi (a. 84)23 - Amelia Pacenza 23 - Amelia Pacenza 23 - Amelia Pacenza (a. 87)24 - Carmelo Pristerà 24 - Carmelo Pristerà 24 - Carmelo Pristerà (a.61)25 - Suor Ernestina Manganini (a.84)26 - Maria Quagliata 26 - Maria Quagliata 26 - Maria Quagliata (a.86)27 - Lucia Bove (a.74)

1 - Giacomo Rocca2 - Brian Spinoso

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26° GIORNATA DI PREGHIERA

In memoria dei Martiri MissionariIl 24 marzo di ogni anno si ricorda, nel giorno della sua morte, mons. Oscar Ro-mero, arcivescovo di San Salvador, uc-ciso nel 1980 durante una celebrazione eucaristica a causa del suo impegno nel denunciare le violenze della dittatura militare che all’epoca governava il pae-se. Questa giornata da ormai 26 anni ha assunta una valenza di testimonianza missionaria che vuole celebrare, attraver-so la memoria del loro martirio, quanti tra sacerdoti, consacrati e laici donano la loro vita anno per anno per amore del prossimo a suprema immagine dell’Amo-re di Cristo verso gli uomini. E’ solo di qualche settimana fa la notizia che papa Francesco ha fi rmato il decreto per la beatifi cazione dei sette monaci trappisti di Tibhirine, uccisi dopo il loro rapimento nel 1996; oltre al vescovo Pierre Claverie ed altri 11 martiri tra religiosi e religiose tutti uccisi tra il 1994 e 1996 nel contesto della guerra civile che ha insanguinato l’Algeria negli anni ’90, dove il governo di Algeri si contrappose ai diversi gruppi

islamici che rivendicavano una vittoria elettorale, boicottata con un colpo di Stato militare. La guerra, continuata per qua-si un decennio ha causato la morte di centinaia di migliaia di persone, spesso trucidate in modo sanguinario e crude-le. Dice Il postulatore Georgeon “Queste diciannove persone ci invitano alla con-versione: “Prendi apertamente la parte dell’amore, del perdono, della comunione contro l’odio, la vendetta e la violenza””. “Rendere omaggio ai 19 martiri cristiani signifi ca rendere omaggio alla memoria di tutti coloro che hanno dato la loro vita in Algeria negli anni Novanta. È un’occa-sione per ricordare tutti coloro che hanno dato la loro vita in quegli anni bui, ma anche per riscoprire il signifi cato vero del termine “martire”, ovvero “testimone””.Il tema di quest’anno è “chiamati alla vita”. Alla vita vera naturalmente, alla vita della Grazia secondo lo Spirito San-to, alla vita di coloro che nel battesimo si immergono nella morte di Cristo per risorgere con lui.È la vita nuova di cui parla l’Apostolo Paolo nella sua Lettera ai

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Romani (6,3-4) “O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, sia-mo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche

noi possiamo camminare in una vita nuo-va”. Il teologo e biblista Giuseppe Florio su quest’ argomento ci invita a rifl ettere con queste parole:“Il tema del martirio è tornato, negli ultimi tempi, ad interpel-lare le comunità cristiane. É un grande segno positivo.‘La messe’ di cui parlano i Vangeli può essere molta o poca, ma quando all’orizzonte appaiono i martiri allora il messaggio profetico del Vangelo è davanti agli occhi di tutti. Pensando a tutti i martiri di questi ultimi anni ci pos-siamo chiedere: perché ci sono i martiri? e poi, quale vita hanno scelto di ‘testimo-niare’ per essere arrivati fi no al punto di perdere la loro vita?Perché i martiri? Ci sono persone, cristiane e non, che, in coscienza, hanno preferito sacrifi care la propria vita per non venir meno alle loro convinzioni. Nei primi secoli della Chie-sa abbiamo avuto migliaia di martiri che non potevano accettare la divinizzazione dell’imperatore e dello stato. Cesare non aveva alcun diritto di ritenersi Dio. Chi confessava la sua fede in un salvatore, Gesù di Nazaret, crocifi sso e risorto, si

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trovava frontalmente in contrasto con le richieste politiche quanto mai abusive dello stato. L’essere cristiano poteva comportare il morire per la fede, una fede considerata sovversiva che contestava le fondamenta dell’apparato politico e reli-gioso. Un esempio è mons. Romero che non poteva accettare il fi ume di sangue dei poveri, sacrifi cati sull’altare di un potere cieco e crudele.Nel lungo cammino della storia appaiono dei meccanismi di potere e di menzogna talmente disumani che non possono essere accettati se non negando Dio e l’uomo. In tali situazioni chi sente di dover rendere visibile la testimonianza della ‘verità’ si avvia verso il traguardo del martirio. Quale vita di ‘testimonianza’? Nella tradizione cristiana vi sono sempre stati dei martiri, anzi, possiamo dire che il martirio è al cuore stesso del concetto di Chiesa. Ma noi non ricordiamo prima di tutto una ‘dottrina’; siamo chiamati invece a rappresentare, nel tempo, la memoria di Gesù di Nazareth, il Cristo. E’ lui il ‘determinate’ per tutti noi e per tutti i tempi.I primi discepoli e le prime

comunità lo hanno compreso come il giusto sofferente, il ‘servo’ che dona se stesso per gli altri, il profeta perseguitato e persino crocifi sso. Lo hanno considerato il grande martire fedele e credibile nel quale riconoscersi. Il suo messaggio sul Regno di Dio già presente, sul volto di un Dio che andava oltre la Legge, è stato rifi utato. I valori del Regno che aveva proposto erano talmente controcorrente che esigevano un vera e propria ‘conversione’ per il bene dell’uomo e di tutti. Come Gesù, anche il martire crede che ci siano dei valori più grandi della sua stessa vita. L’espressione più alta e autentica della fede cristiana comporta la sequela del Cristo ed è proprio tale sequela che può implicare la condivi-sione del suo destino. Ecco l’opzione che di fatto caratterizza il martire quando si trova ad affrontare situazioni di estrema disumanizzazione …Per terminare merita ricordare una felice espressione usata da s. Agostino: “non è la pena, ma la causa che fa il martire (Sermo 2,13).”

Il gruppo missionario

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SCUOLA E LAVORO,

Ai primi di febbraio si è chiuso il termine per le iscrizioni on-line alle classi prime delle scuole secondarie di secondo grado, le scuole superiori. Si tratta, va detto, di una scadenza importante, perché la scelta di quale tra i percorsi del sistema educativo di istruzione e di formazione seguire produce, virtualmente, effetti di lungo periodo sulle carriere formative e professionali. Le statistiche mostrano, in effetti, che pochi tra quanti propendono per l’istruzione tecnica o professionale decidono di proseguire con gli studi universitari o nel sistema di istruzione e formazione tecnica superiore; molto più frequente è, invece, l’ingresso nel mercato del lavoro, non di rado in posizioni segnate da basso reddito, prestigio e opportunità di carriera. Per contro, chi porta a termine l’istruzione liceale tende a prolungare ul-teriormente il proprio percorso di studio e formazione, anche perché le conoscenze, abilità e competenze acquisite in cinque anni sui banchi di scuola non risultano essere particolarmente richieste o apprez-zate dalla media delle imprese italiane. E tuttavia, conseguire una laurea, specie in

alcuni indirizzi “deboli”, non è garanzia di inserimento lavorativo in tempi brevi e, a ben vedere, neppure di buone prospettive di crescita professionale. A fronte di questo quadro che fare? È questa la domanda che si pongono i nostri giovani e, probabilmente con un carico di ansia maggiore, le loro famiglie. Studiare quanto più a lungo possibile oppure inve-stire in un percorso di istruzione e forma-zione di durata contenuta e, soprattutto, dal carattere tecnico e pratico? Compiere la scelta giusta non è certo facile. Ep-pure le informazioni a disposizione non mancano. Come peraltro non mancano le persone che si propongono di offrire suggerimenti e consigli: professori, pa-renti, amici, conoscenti. Quest’anno anche il presidente di Confi n-dustria Cuneo ha ritenuto utile scrivere una lettera ai giovani e alle famiglie per aiutarli a prendere la giusta decisione. E i contenuti di questa lettera hanno scate-nato non poche discussioni e polemiche. Perché, questo è in sostanza l’invito formu-lato dal rappresentante degli industriali cuneesi, le scelte scolastiche dovrebbero

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TRA SOGNI E REALTA'

essere quanto più possibile obiettive e dunque indirizzarsi verso quegli ambiti e quelle professioni che più sono richieste dalle imprese. Non dove porta il cuore, ma dove conduce il ragionamento. Non verso l’istruzione liceale (ancora una volta in testa alle preferenze dei giovani), ma verso la formazione tecnica e professiona-le. Queste parole vi richiamo alla mente qualcosa? Si tratta, seppure formulato con vocaboli diversi, dello stesso invito/giudizio che qualche anno fa l’allora ministra del lavoro Elsa Fornero aveva rivolto ai giovani; giovani che, a suo dire, erano “choosy”, cioè selettivi, mentre, invece, avrebbero dovuto abbassare le proprie pretese e accettare i posti di lavoro disponibili, anche se poco attraenti. Da che parte sta la ragione? I giovani devono essere realisti e adeguarsi, in-traprendere un percorso di studi pro-fessionalizzante e poi accettare il lavoro disponibile oppure possono porsi come obiettivo quello di investire su di sé nel-la speranza di avere in futuro un lavoro pienamente soddisfacente, perché in linea con i propri desideri, capacità e aspirazio-

ni? Un po’ di sano realismo non guasta, come sempre. Detto questo, siamo pro-prio sicuri che sia un bene, per i giovani e più in generale per il nostro paese, che le scelte scolastiche vengano indirizzate dagli attuali fabbisogni professionali del-le imprese? Proviamo a rispondere, con molta serenità. Le imprese italiane, secondo le ultime ri-levazioni di Unioncamere, non sembrano particolarmente interessate ad assumere personale con qualifi che elevate. Più della metà delle assunzioni previste per l’anno in corso riguarderà persone con al massi-mo la qualifi ca professionale; un terzo dei nuovi posti di lavoro dovrebbero essere appannaggio dei diplomati e solo in un caso su dieci i nuovi contratti andranno a vantaggio dei laureati. In effetti, le fi gure professionali più richieste sono i com-messi, i camerieri, i magazzinieri; quelle ritenute “introvabili” sono gli elettrotec-nici, i sarti e modellisti, i tecnici esperti in applicazioni. Quanto alle competenze richieste, relativamente poca importanza è attribuita alla capacità di utilizzare lin-guaggi informatici, alla padronanza delle

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nuove tecnologie, alla conoscenza delle lingue straniere. E allora, cari ragazzi, perché studiare? Perché intestardirsi e continuare a privi-legiare il liceo e poi l’università? Scegliete il lavoro manuale, a bassa qualifi ca, che sembra dare più garanzie, quantomeno nell’immediato. E tra dieci anni? E tra vent’anni? Quali saranno le conseguenze di un atteggiamento realistico interamen-te ripiegato sul presente? Ecco il rovescio della medaglia. Che futuro ha un sistema economico e produttivo per il quale paro-le come investimento in capitale umano, innovazione, internazionalizzazione sono ancora tabù o comunque molto poco im-piegate? Che futuro hanno le imprese che non sanno avvantaggiarsi dell’apertura mentale, dell’atteggiamento razionale, critico e creativo che l’istruzione liceale e universitaria contribuiscono, senza dubbio alcuno, a formare nei giovani? E ancora: che futuro ha un paese in cui i giovani vengono invitati a conformarsi alla realtà, ancorché cruda e sconfortante, invece che spinti a immaginare e plasmare scenari differenti? Qui sta il punto. Non

dovremmo, piuttosto che asservire le attese delle nuove generazioni (e ancor prima la funzione dell’istruzione!) alle esigenze correnti del sistema economico e produttivo, adoperarci perché il lavoro sia per i giovani professione e vocazione (il Beruf di weberiana memoria), cioè un Beruf di weberiana memoria), cioè un Berufmestiere e, al contempo, una chiamata a cui rispondere, per dare senso alla propria vita e insieme per contribuire al benessere e al progresso, sociale e non solo econo-mico, della comunità? Ciò non vuol dire che il lavoro intellettuale sia da preferire a priori al lavoro manuale. E neppure che l’istruzione liceale sia da prediligere rispetto alla formazione tecnica e profes-sionale. Vuol dire, piuttosto, che ciascuno, i giovani in prima battuta, possa trovare una collocazione ottimale, perché scelta e non subita, nella scuola, nel lavoro, nella società così da far fruttare i propri talenti e quindi metterli a disposizione degli al-tri. Un obiettivo sicuramente diffi cile da conseguire, che tuttavia vale la pena di iniziare a mettere a fuoco.

Egidio Riva

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PASQUA IN FAMIGLIA

Si avvicina la S. Pasqua e - un po’ come succede anche a Natale - i nostri negozi si stanno riempiendo di tutti quei pro-dotti alimentari che simboleggiano la festa più importante per noi cristiani: le colombe farcite in vari modi, incartate in confezioni sgargianti; le uova di cioc-colato, anch’esse in carte scintillanti, che promettono dolci sorprese e che attirano la nostra attenzione. Soprattutto l’atten-zione dei più piccoli, dei nostri bambini.

Ma le uova di cioccolato, che sono buo-nissime, non devono farci dimenticare che, proprio nei confronti dei più piccoli, tutta la comunità cristiana ha un compito speciale: annunciare che, nella Pasqua di Resurrezione, Gesù ha sconfi tto la morte, ha perdonato tutti i nostri peccati, e che il suo messaggio di salvezza attraversa tutti i luoghi e tutti i tempi e raggiunge tutti gli uomini e tutte le donne. Questo annuncio spetta in particolar modo alle

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famiglie e ogni bambino battezzato ha “diritto” a riceverlo. Non sempre tutta-via i più piccoli possono gioire di questo annuncio. Proviamo a rileggere le parole che Papa Francesco ha pronunciato in una catechesi del 29/05/2017. Il Papa, a proposito del diffi cile compito educativo delle famiglie nei tempi attuali, rivolge questo speciale pensiero alle famiglie dei separati:“È ancora più diffi cile per i genitori se-parati, che sono appesantiti da questa loro condizione: poverini, hanno avu-to diffi coltà, si sono separati e tante volte il fi glio è preso come ostaggio e il papà gli parla male della mamma e la mamma gli parla male del papà, e si fa tanto male. Ma io dico ai genitori separati: mai, mai, mai prendere il fi -glio come ostaggio! Vi siete separati per tante diffi coltà e motivi, la vita vi ha dato questa prova, ma i fi gli non siano quelli che portano il peso di questa separazio-ne, non siano usati come ostaggi contro l’altro coniuge, crescano sentendo che la mamma parla bene del papà, benché

non siano insieme, e che il papà parla bene della mamma. Per i genitori sepa-rati questo è molto importante e molto diffi cile, ma possono farlo.”Ed ecco che invece, proprio in conco-mitanza con le feste più importanti per noi cristiani (Pasqua, Natale), i bambini sono ostaggio dei genitori e delle loro dif-fi coltà: il tale giorno devono stare con un genitore, l’anno passato sono stati con il papà e quest’anno tocca alla mamma, il giudice ha disposto non più di 2 giorni consecutivi... La divisione e i tempi degli adulti attra-versano le vite di questi bambini e l’an-nuncio del Vangelo rischia di perdersi nelle pieghe della vita. Ma il Santo Padre ricorda che, pur nella divisione e con molte diffi coltà, non è impossibile ristabilire un’armonia: l’im-portanza e la responsabilità di trasmet-tere l’amore di Gesù, morto e risorto per noi, compete a tutti i genitori cristiani, separati o meno che siano.

Maria Tosti

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SINTESI DEL VERBALE DEL CONSIGLIO PASTORALE

Mercoledi’ 21 Febbraio 2018 alle ore 21 si è tenuto in aula Valentini il Consiglio Pasto-rale Parrocchiale per discutere sul seguente argomento:Rifl essioni sulla scheda pervenuta dalla Diocesi per il Sinodo Minore: “Chiesa dalle Genti”.Don Massimo richiamando il Capitolo 14 del Sinodo 47° (Febbraio 1995) rimarca che alcune delle indicazioni in esso riportate sono alla base dei concetti proposti nella scheda di preparazione al Sinodo Minore predisposto dalla Commissione Diocesana appositamente costituita. Nella scheda siamo richiamati a muoverci con spirito accogliente e invitati a consi-derare la nuova realtà come qualcosa che aiuta a crescere reciprocamente e non come qualcosa da subire passivamente.E’ indicato che lo scopo del Sinodo è trovare soluzioni Pastorali per la Chiesa Ambrosiana nella situazione attuale caratterizzata dalla presenza di genti e fedi diverse.Viene affi dato ai Consigli pastorali, il compito di ascoltare le comunità e nello stesso tempo di fare da cassa di risonanza per questi temi e poi fornire indicazioni utili (entro Pasqua

2018) alla sintesi di un documento fi nale.Vengono citati i principi teologici e biblici che sono il fondamento di una Chiesa ve-ramente “cattolica” (universale, di tutte le genti) che chiedono la coerenza dei nostri comportamenti. Si puntualizza che le questioni del metic-ciato, del concetto di paura, della testimo-nianza cristiana e della nostra credibilità ci spingono a “rideclinare” la grammatica della nostra fede. Siamo invitati a riflessioni e percorsi da fare insieme alle persone di altri paesi, a persegui-re pratiche di ascolto e far emergere quello che già c’è e si fa nelle nostre comunità e trasformare le situazioni

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presenti in opportunità.Sono ricordati i discorsi fatti dagli ultimi due Papi nella loro visita alla Chiesa di Milano:Benedetto XVI (2012): “Impegno per trasmet-tere la tradizione di S.Ambrogio e S.Carlo”Francesco (2017): “Ambrosiani si, ma popolo di Dio”. Don Massimo propone e legge la Traccia di lavoro inviata dalla Diocesi ai Consigli Pasto-rali e chiede gli interventi dei consiglieri: Paolo Avesani afferma che in parrocchia le presenze di stranieri sono diffuse. Gli emi-grati tendono a isolarsi, e d’altra parte quelli che vengono a Messa non sono contattati dai parrocchiani e così non vengono conosciuti. Consiglia di contattarli e di dimostrare loro un minimo di interesse.Marco Brambilla ricorda i dati delle presenze di stranieri nella nostra parrocchia forniti dal Prof. Riva (totali 1450 circa, maggioranza Ecuadoregni con 140 presenze, gli altri in gruppi di circa 100 persone per ciascuna etnia: Romeni, Filippini, Peruviani, Egizia-ni, Bengalesi, Albanesi, ecc…). Molti quindi provenienti da paesi cristiani.Don Massimo porta l’esempio di una fami-

glia ecuadoregna che provenendo da S.Carlo preferisce ancora frequentare la S. Messa in quella parrocchia. Propone di fare cose credibili, con discrezione per “non disturbare” le persone più deboli e sensibili al problema della presenza degli stranieri, di stare attenti al ‘devozionismo’ esasperato e a non creare ghetti.Patrizia Crippa riferisce di esempi di in-tegrazione molto validi in Monza e Brianza (Spazio colore - I Peruviani che si riuniscono in S.Carlo – Mamma Ucraina con la sua espe-rienza di lettura di fi abe in lingua - Parrocchia di Baranzate di Bollate con 70 etnie con il lavoro del suo Parroco Don Paolo Stefano - e molti altri descritti nel fi lmato proposto nell’anno 2016 al cinema/teatro Manzoni durante la Visita Pastorale del Card. Scola) e consiglia di guardare a tali esperienze e di iniziare con piccoli possibili passi. Suor Mariarosa dice che è importante col-tivare la mentalità dell’accoglienza, della capacità di incontrarsi.Suor Gabriella sottolinea che la catechesi è un ambito privilegiato per l’ascolto, la co-noscenza e per un arricchimento reciproco, ma si rende conto che ci sono diffi coltà lo-

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gistiche e pratiche date dai tempi di lavoro e dalle distanze.Don Massimo afferma che la situazione attuale con tutte le sue novità comporta una conversione pastorale, interroga la nostra fede e che questo non può essere facoltativo. Giustino Pasciuti riferendosi a ciò che “ca-pitava” agli apostoli che si facevano capire, per mezzo dello Spirito Santo, da persone di diverse lingue e provenienze, propone che durante la Messa ci siano alcuni momenti in lingua (per esempio il Padre Nostro in spagnolo) perché per farci conoscere occorre farlo nella loro lingua. Paolo Avesani riprende dicendo che la realtà odierna impone di accogliere.Luca Scotti consiglia in proposito di diven-tare cristiani accol-GENTI Ivana Novani suggerisce di procedere a piccoli passi e di fare qualcosa in lingua, esempio per le preghiere dei fedeli farne una sola in 4 lingue. Suor Mariarosa propone di farlo già alla prossima giornata per i bambini della ca-techesi di 3° elementare.Per Alessandro Messi occorre discrezione

nell’accoglienza perché molti chiedono prima di parlare nella loro lingua, di rispettare per quanto possibile le loro tradizioni.Molti consiglieri convengono che la paura si combatte con la conoscenza dell’altro ed in generale conoscendo i dati veri sul tema delle migrazioni per evitare idee confuse e comportamenti inadeguati. Si afferma che dai migranti possiamo imparare molto, per esempio la pazienza nel sopportare cristianamente problemi e situazioni tutt’altro che facili, e il modo in cui pregano. Si richiamano altri ambiti nei quali avvici-nare e accogliere i migranti, uno fra questi è lo sport.Per Don Massimo inoltre occorre pensare percorsi nuovi per i non battezzati.

In conclusione si raccomanda a tutti di rileggere la traccia alla luce anche delle rifl essioni fatte durante il consiglio e di in-viare le proprie osservazioni e suggerimenti per via mail all’indirizzo di Don Massimo: [email protected] entro il 14 Marzo per preparare la risposta della nostra parrocchia alla Diocesi

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LA NOTTE

Nella notte tra Domenica 4 Marzo e Lune-dì 5 sono stati assegnati gli Oscar 2018. Di seguito la

recensione di alcuni fi lms protagonisti di questa edizione.

La forma dell’acquaLa forma dell’acqua del regista messi-La forma dell’acqua del regista messi-La forma dell’acquacano Guillermo del Toro si porta a casa la statuetta sia per il miglior fi lm che per la miglior regia (spesso abbinate), oltre ad altri due premi (colonna sonora e sceno-grafi a). Una storia d’amore tra due diversi che più diversi non si può: una donna delle pulizie sola, muta dall’infanzia, ed un essere acquatico rinchiuso nel laboratorio militare dove la donna lavora. La brava Sally Hawkins (‘Wewant sex’ forse la sua prova migliore fi no ad ora) si impietosisce prima ed innamora poi di una creatura priva di parola come lei e che quindi non bada al suo handicap. Film bello, pieno di poesia ma anche di tensione, sempre

in bilico tra una conclusione tra-gica ed una lieta, mai noioso ma nemmeno mai so-pra le righe. Bravi ed effi caci anche gli altri attori come la collega di colore Octavia Spencer (vista re-centemente in ‘Il diritto di contare’), il cattivissimo capo del laboratorio Michael Shannon ed il mite pittore vicino di casa Michael Stuhlbarg. Da vedere.

L’ora più buia L’ora più buia con Gary Oldman nei panni di un Winston Churchill quasi più vero dell’originale si assicura come da previsioni la statuetta per il miglior attore protagonista. Nel Maggio del 1940, con la Francia in ginocchio e trecentomila soldati britannici sconfi tti ed in balia dei nazisti sulla spiaggia di Dunkerque (o ‘Dunkirk’ all’inglese come titola l’altro grande fi lm storico del 2017), Churchill quasi un pò

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DEGLI OSCAR

per caso viene proiettato alla guida del governo britannico. Ci si aspetta da lui che passi la mano dopo aver fi rmato una pace umiliante, ma come sappiamo non andrà così...Particolarmente emozionante la scena in metropolitana, che Churchill usa per la prima volta per andare alla fatidica riunione di governo dove si deciderà per la pace o per la guerra. Osservate i volti dei londinesi a cui Churchill si rivolge in un ‘sondaggio’ personalissimo ed ispiratore. Un fi lm per chi pensa che la libertà sia un valore assoluto, e che non sempre la pace sia la scelta più giusta.

Tre manifesti a Ebbing, MissouriTre manifesti a Ebbing, Missouri con Tre manifesti a Ebbing, Missouri con Tre manifesti a Ebbing, Missouriquesto fi lm FrancesMcDormand, anche qui con poche sorprese, vince l’Oscar per la migliore attrice protagonista. Frances è la madre di una adolescente violentata ed uccisa mesi prima nella cittadina di Eb-bing. Frances, insoddisfatta dell’operato investigativo della polizia, mette in scena una singolare forma di protesta/denuncia (i manifesti appunto) . In questa storia dura, con qualche occasionale risvolto umoristico, ma nel complesso voluta-

mente spigolosa come la sua protagoni-sta, è inutile cercare buoni o cattivi, a parte l’ombra aleggiante su tutto il fi lm dell’assassino/violentatore ovviamente. Frances non è l’unica a soffrire, non è esente da colpe e limiti, e così sono tutti gli altri personaggi che la circondano. Consigliato a stomaci forti e a chi apprez-za i fi lms dei fratelli Cohen (non a caso Frances è la moglie di uno dei due, Joel, che l’ha diretta nel violento ‘Fargo’).

Coco il cartone animato natalizio della Coco il cartone animato natalizio della CocoDisney vince appunto come miglior fi lm di animazione. E’ una storia coloratissima, che attinge a piene mani dal culto dei defunti di matrice Latino-americana, cosa abbastanza inconsueta per la Disney. Il protagonista è un ragazzino che vuole diventare ‘mariachi’, ovvero musicista di chitarra, contro il volere della famiglia di calzolai. Tra peripezie nel mondo reale e in quello dei defunti, la storia si avvia verso il prevedibile lieto fi ne. Da vedere per riscoprire il valore cristianissimo della memoria delle persone care che non sono più con noi.

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CINQUANTA ANNI FA:

Nella primavera di 50 anni fa iniziava il 68.Già nel novembre del 1967 davanti all’Università catto-lica fondata dal severo pa-dre Gemelli, accade un fatto inusuale per quell’epoca e soprattutto per quel luogo: un’assemblea di studenti che non solo discutono e protestano per la tipologia dei corsi di studio e per la selettività, ritenuta classista, ma pensano anche agli orrori della guerra in Vietnam. Nella nostra Parrocchia, stan-do al Chronicon redatto a mano dal parroco, tutto era tranquil-lo. Riportiamo i progetti per la quaresima, ancora di grande attualità, ed un’iniziativa pro Università Cattolica. Trovate anche due immagini con gli slogan del 68.

A cura di Paolo Avesani

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IL '68

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Le Ss. Messe a MonzaPrefestive17 - S. Paolo, PIME17,30 - Regina Pacis18 - Duomo, S. Ambrogio, S. Carlo,S. Donato, S. Fruttuoso, S. Rocco, Sacro Cuore, Artigianelli, Carmelo,Grazie Vecchie18,30 - Sacra Famiglia, S. Gerardo,S. Biagio, S. Gemma, S. Pio X,S. Giuseppe, Carrobiolo19 - S. Alessandro20,30 - Cristo Re

Festive7 - Grazie Vecchie7,30 - S. Alessandro8 - Duomo, S. Carlo, Sacro Cuore, Carmelo8,30 - Regina Pacis, S. Biagio,S. Fruttuoso, S. Gerardo, S. Giuseppe, S. Rocco, Sacra Famiglia9 - S. Paolo, S. Donato, Grazie Vecchie9,30 - Duomo, S. Ambrogio, Artigianelli, Carmelo

10,30 - Regina Pacis, Grazie Vecchie, Sacra Famiglia, S. Gerardo, Cristo Re,S. Biagio, S. Carlo,S. Fruttuoso,S. Gemma, S. Giuseppe,S. Pio X, S. Rocco, Sacro Cuore, Carrobiolo, S. Maria degli Angeli,S. Maria in Strada11 - S. Paolo, S. Donato, S. Alessandro, S. Ambrogio, Artigianelli, Carmelo, PIME12 - Duomo, Grazie Vecchie12,15 - Carmelo16,30 - Grazie Vecchie17,30 - S. Maria degli Angeli, Artigianelli18 - Cristo Re, Duomo, Regina Pacis, S. Carlo, S. Donato, S. Fruttuoso, S. Gerardo, S. Rocco, Sacro Cuore, Carmelo18,30 - S. Biagio, S. Gemma,S. Giuseppe, S. Pio X, Sacra Famiglia, Carrobiolo19 - Santa Maria in Strada,Grazie Vecchie21 - S. Pietro Martire