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1 S S S e e e m m m i i i n n n a a a r r r i i i o o o p p p e e e r r r l l l a a a c c c h h h i i i e e e s s s a a a t t t r r r a a a t t t t t t o o o e e e a a a d d d a a a t t t t t t a a a t t t o o o d d d a a l l l l l i i i b b b r r r o o o o o o m m m o o n n i i i m m m o o d d d i i i J J J a a c c k k k S S S e e q q u u e e i i r r a a a

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    SSSeeemmmiiinnnaaarrriiiooo pppeeerrr lllaaa ccchhhiiieeesssaaa tttrrraaattttttooo eee aaadddaaattttttaaatttooo dddaaalll llliiibbbrrrooo ooommmooonnniiimmmooo dddiii JJJaaaccckkk SSSeeeqqquuueeeiiirrraaa

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    III NNN DDD III CCC EEE Prefazione pag. 3 Introduzione pag. 4 Capitolo 1° - Appello a Laodicea pag. 5 Capitolo 2° - Valutazione di Laodicea – I Parte pag. 11 Capitolo 3° - Valutazione di Laodicea – II Parte pag. 17 Capitolo 4° - Laodicea s'inganna pag. 23 Capitolo 5° - Laodicea viene consigliata pag. 28 Capitolo 6° - Laodicea è biasimata pag. 34 Capitolo 7° - Laodicea deve ravvedersi pag. 40 Capitolo 8° - Laodicea deve aprire la porta pag. 47 Capitolo 9° - Laodicea deve vincere pag. 55 Capitolo 10° - Laodicea è sigillata pag. 61 Capitolo 11° - Laodicea è irreprensibile pag. 66 Appendice - Commenti di Ellen White al messaggio a Laodicea pag. 71

    Nota: Salvo diversa indicazione, i testi biblici sono tratti dalla Bibbia versione La Nuova Diodati.

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    PPPRRREEEFFFAAAZZZIIIOOONNNEEE Gli Avventisti, per lungo tempo, hanno avuto difficoltà nel capire a chi fosse effettivamente rivolto il messaggio alla chiesa di Laodicea contenuto in Apocalisse 3:14-22. Nei mesi che seguirono la grande delusione del 1844, essi applicarono tale messaggio a quegli Avventisti che non avevano accettato il sabato come settimo giorno di riposo e il cambiamento del ministero di Cristo nel Santuario Celeste (dal Luogo Santo al Santissimo). Per questo, quando nel 1856 – a seguito di una rivelazione divina – Ellen White cominciò ad attribuire questo messaggio agli Avventisti del Settimo Giorno, le sue parole furono accolte con costernazione e indignazione. Tuttavia, in seguito, una valutazione più seria e approfondita condusse molti a riconoscere la veridicità di questa applicazione e ne seguì un risveglio spirituale.

    Foto: Rovine dell'antica Laodicea Ben presto, però, la maggior parte degli Avventisti del Settimo Giorno fu assorbita dalla necessità di un'organizzazione più razionale della chiesa, nonché dagli obblighi conseguenti alla Guerra Civile Americana. Il concetto secondo cui il consiglio a Laodicea si applicava a loro stessi divenne una dottrina accettata, ma stranamente trascurata; e tuttavia il messaggio di Apocalisse non richiedeva solamente un'adesione concettuale, ma soprattutto una risposta attiva da parte della chiesa. Negli anni che portarono alla fine del diciannovesimo secolo, la chiesa conobbe

    una grande espansione, uno straordinario impulso evangelico ma anche, purtroppo, delle dispute interne. Nonostante l'attenzione accordata all'importanza della "giustificazione per fede" che si sviluppò nel 1888, molti Avventisti trovarono difficile accettare la valutazione del Testimone Verace, applicando il Suo consiglio a loro stessi. Questa condizione è continuata fino ad oggi. Malgrado i ripetuti appelli ad un risveglio e a una riforma, noi siamo rimasti in uno stato di tiepidezza. Un bagno tiepido può essere comodo e rilassante, così come lo è la convinzione che noi abbiamo la "verità" e che stiamo attraversando un periodo di crescita straordinaria di membri, anche in zone dove non ci si sarebbe aspettato tanto. Ma Cristo non trova attraente una chiesa tiepida; Egli, piuttosto, la trova nauseante. E così il pastore Sequeira cerca, mediante un'esposizione biblica accurata e convincente, di farci prendere coscienza della nostra vera condizione, alfine di accettare il rimedio di grazia che ci viene proposto. Egli è consapevole che non è cosa facile, ma è tuttavia essenziale. Il messaggio a Laodicea ispira speranza ed entusiasmo. Speranza per noi stessi ed entusiasmo per la meravigliosa opportunità di rendere gloria al nostro Padre amorevole ed al nostro Redentore pieno di grazie, mediante la potenza del Suo Spirito dimorante in noi. Il più profondo desiderio del Pastore Sequeira è di aiutarci a cantare e a mettere in pratica quel vecchio inno evangelico "Non io, ma Cristo" con onestà, entusiasmo ed umiltà.

    Richard W. Schwarz Professore di Storia Emerito

    Andrews University

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    IIINNNTTTRRROOODDDUUUZZZIIIOOONNNEEE Il libro dell'Apocalisse è essenzialmente un libro profetico riguardante il tempo della fine e quindi esso ha un'importanza speciale per i cristiani che vivono in questi ultimi giorni. In questo libro sono rivelate le "cose che debbono avvenire in breve" (1:1) e, a coloro che lo leggono e tengono conto dei suoi messaggi, è promessa una benedizione speciale (1:3). Prima di passare all'analisi dettagliata del messaggio a Laodicea, che riguarda in modo particolare la chiesa degli ultimi tempi della storia umana, consideriamo un attimo il filo conduttore che lega tutti e sette i messaggi di Apocalisse cap. 2 e 3, simboli di altrettanti periodi della storia della chiesa, a partire dai primi cristiani fino al ritorno di Cristo. Questo comune denominatore è rappresentato da una frase che si ripete per ogni chiesa: "IO CONOSCO LE TUE OPERE" (lo dice ad Efeso in Apoc. 2:2 – a Smirne in Apoc. 2:9 – a Pergamo in Apoc. 2:13 – a Tiatiri in Apoc. 2:19 – a Sardi in Apoc. 3:1 – a Filadelfia in Apoc. 3:8 – a Laodicea in Apoc. 3:15, nella versione La Nuova Diodati. La versione Riveduta Luzzi invece non riporta questa frase a Smirne e a Pergamo, tuttavia manoscritti greci la citano a tutte e sette le chiese). Nei messaggi alle sette chiese Gesù fornisce un giudizio sulla nostra condizione spirituale. Dio giudica dunque le chiese ed i singoli individui in base alle loro opere. Ovviamente siamo salvati per grazia e non per opere; queste ultime – insegna la Parola di Dio – dimostrano solo l'esistenza o meno di una fede vivente. Gesù conferma: "Voi li riconoscerete dai loro frutti" (Matteo 7:16,20). I messaggi alle sette chiese sono precisamente una valutazione di Dio del Suo popolo dal tempo di Giovanni fino all'ultima generazione di cristiani. Diversi passaggi biblici ci aiutano a comprendere che le nostre opere indicano lo stato della nostra condizione. Consideriamo, per esempio, Matteo 5:14 dove Cristo dice ai discepoli: "Voi siete la luce del mondo…". In altre parole: "Voi siete i miei testimoni". Gesù è la Luce (Giovanni 1:9), ma noi dobbiamo rappresentarlo, infatti si legge al vers. 16: "Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli". Quindi le nostre opere rivelano se noi riflettiamo veramente il nostro Salvatore. Un altro esempio lo troviamo in Matteo cap. 25. Quando Gesù verrà, dividerà il mondo in due: pecore e capri. Per quanto nessuno sia salvato grazie alle proprie opere, che cosa dice loro Gesù? "Ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere; fui forestiero e mi accoglieste, fui ignudo e mi rivestiste, fui infermo e mi visitaste, fui in prigione e veniste a trovarmi" (vv. 35-36). Allo stesso modo, Egli usa le opere per dimostrare che gli altri l'hanno rigettato (vv. 42-43). Vi è ancora una cosa da notare riguardo ai messaggi alle sette chiese: esse seguono un certo schema nel quale compaiono quattro elementi:

    - Elogio → Egli mette in rilievo le buone qualità della chiesa di ogni periodo. - Rimproveri → Giudicando mediante le nostre opere, Egli dice: "Questo è quello che ho contro di

    te…". - Consiglio → Dio non ci rimprovera mai senza darci il rimedio per il nostro problema. Per ogni

    problema che la chiesa deve affrontare c'è un rimedio, un consiglio. - Promessa → Il consiglio è seguito da una promessa. Se voi accettate il consiglio e lo seguite, c'è

    una promessa per voi.

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    Vi sono alcune eccezioni a questa regola: fra le sette chiese, ve ne sono due a cui non vengono rivolti rimproveri: Smirne e Filadelfia. Laodicea invece non riceve alcun elogio. Secondo il commento di Ellen White:

    «Il messaggio alla chiesa di Laodicea è una denuncia allarmante ed essa è applicabile al popolo di Dio del tempo presente.» (Testimonies for the Church, Vol. 3 – pag. 252) «Mi è stato mostrato che la testimonianza ai Laodicesi si applica al popolo di Dio nel tempo presente ed il motivo per cui questo popolo non ha compiuto un'opera maggiore consiste nella durezza dei cuori.» (Test. Vol. 1 – pag. 86)

    Questa è una dichiarazione grave. Qui c'è una chiesa che sostiene di avere la verità presente e Dio non ha per essa alcun elogio? Non è forse una denuncia scioccante? Qui c'è una chiesa che sostiene di essere la chiesa di Dio del rimanente e, tuttavia, che cosa dice Cristo? "Non ho niente di buono da dire a tuo riguardo"! In che cosa abbiamo sbagliato? Qual è il nostro problema? Dobbiamo esaminare questa faccenda onestamente, in accordo con la Parola di Dio. L'Apocalisse è un libro profetico, è quindi come un tesoro nascosto e noi dobbiamo scavare per trovare che cosa rappresentino i suoi simboli. Inoltre, il messaggio a Laodicea, come vedremo, è strettamente collegato a quanto messo a fuoco nel 1888, ovvero la Giustificazione per Fede. Ellen White lo mostra molto chiaramente, ma noi dobbiamo scoprirlo usando la Parola di Dio, che possiamo condividere con altri cristiani di fede diversa dalla nostra. Possa Dio aiutarci a discernere la verità che, in questo messaggio, si applica prima di tutto a noi. Quando avremo ben chiaro il nostro problema ed accetteremo il messaggio proveniente da Dio, quando, insomma, risponderemo ad esso in tutta onestà e seguiremo il Suo consiglio di comprare i beni da Lui offerti, allora potremo rivolgerci ad un mondo che perisce con un messaggio che illuminerà la terra della Sua gloria.

    CCCaaapppiiitttooolllooo 111°°° AAAPPPPPPEEELLLLLLOOO AAA LLLAAAOOODDDIIICCCEEEAAA

    "E all'angelo della chiesa in Laodicea scrivi: Queste cose dice l'Amen, il Testimone fedele e verace, il Principio della creazione di Dio" (Apoc. 3:14). a) A chi si rivolge Cristo? Apoc. 3:14a Il vers. 14 di Apocalisse 3 può essere diviso in due parti. Nella prima parte troviamo che l'appello a Laodicea, come del resto alle altre chiese, è rivolto "all'angelo della chiesa". In Apocalisse 1:11 ci viene detto che i messaggi alle sette chiese devono raggiungere le chiese stesse. In questo versetto, Cristo dice: "Io sono l'Alfa e l'Omega, il Principio e la Fine, il Primo e l'Ultimo (cioè: Io sorveglio la chiesa dall'inizio alla fine), e ciò che vedi scrivilo in un libro e mandalo alle sette chiese…". Quindi scopriamo che, mentre i messaggi alle sette chiese devono essere mandati alle chiese stesse, i messaggi sono indirizzati all'Angelo delle chiese. Giovanni, nella sua visione, sente parlare dietro di sé questa voce, forte come il suono di una tromba (vers. 10), si volta e vede per prima cosa sette candelabri d'oro (vers. 12), poi in mezzo ad essi un Essere celeste, chiaramente identificato con Cristo (vv. 13-18) che tiene nella Sua mano destra sette stelle e dalla cui bocca esce una

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    spada acuta, a due tagli (vers. 16). In Ebrei 4:12 la Bibbia, la Parola di Dio, è definita una spada a due tagli. Questi due simboli importanti (i sette candelabri e le sette stelle) sono spiegati da Gesù stesso al vers. 20: "Il mistero delle sette stelle che hai visto nella mia destra e quello dei sette candelabri d'oro. Le sette stelle sono gli angeli delle sette chiese, e i sette candelabri che hai visto sono le sette chiese".

    I candelabri Come abbiamo già visto, in Matteo 5:14, Gesù stesso dice ai suoi discepoli: "Voi siete la luce del mondo"; in altre parole: "Voi siete i candelabri del mondo". È interessante notare che il verbo è al plurale, quindi il "voi" rappresenta i membri della chiesa, tutti noi come corpo collettivo, ma "la luce" è al singolare, perché rappresenta Cristo (Giov. 1:9/8:12). Avendo compreso questo, possiamo dire che in Matteo 5:14 Gesù è la luce del mondo e quindi è Lui che i Suoi discepoli devono riflettere. La chiesa deve rappresentare Cristo, il mondo deve vedere "Cristo in voi, speranza di gloria" (Colossesi 1:27). Ricordiamoci di questo, perché più avanti capiremo perché la chiesa di Laodicea non è riuscita ad essere la luce del mondo. In che modo la chiesa rivela Cristo? Lo dice Gesù sempre nello stesso passo di Matteo 5: "Voi siete la luce del mondo; una città posta sopra un monte non può essere nascosta. Similmente, non si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candeliere, perché faccia luce a tutti coloro che sono in casa" (vv. 14-15). Perché si accende una candela? Ovviamente per avere luce. Ora, dove si mette la candela? La si mette sul candelabro… e infatti in Apoc. 1:20 Gesù dice che il candelabro rappresenta la chiesa. "Perché faccia luce a tutti coloro che sono in casa"; ma Dio vuole che quella luce vada al di là della casa, poiché Gesù dice al versetto successivo: "Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli" (Matteo 5:16). È lo stesso Gesù che dice alle sette chiese: "Io conosco le tue opere".

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    Gli angeli delle sette chiese In secondo luogo, abbiamo visto che le sette stelle che Cristo tiene nella Sua mano e a cui sono indirizzati i sette messaggi rappresentano gli angeli delle chiese. La parola "angelo" significa messaggero. In Ebrei 1:14 troviamo un piccolo aiuto per comprendere in che senso gli angeli siano dei messaggeri: "Non sono essi tutti spiriti servitori, mandati a servire per il bene di coloro che hanno da ereditare la salvezza?". Gli angeli sono dunque spiriti "ministratori" o servitori. Quando usiamo gli angeli come simbolo, è evidente che essi devono riferirsi a coloro che sono i dirigenti spirituali della chiesa. Nella Living Bible, che è una Bibbia parafrasata, non una traduzione letterale, non viene usata la parola "angelo", quando ci si indirizza alle chiese, ma la parola "leader" (dirigente). Ciò comprende i monitori della Scuola del Sabato, gli anziani e gli ufficiali di chiesa. Tuttavia il significato principale si riferisce ai pastori, cioè coloro che sono i maggiori responsabili della condizione spirituale della chiesa. Ellen White scrive a questo proposito qualcosa d'incoraggiante:

    «I ministri di Dio dovrebbero rivelare, con il loro esempio di servizio, l'amore di Cristo. Le stelle del cielo sono poste sotto il Suo controllo. Lui le fa brillare, guida e dirige i loro movimenti. Se non lo facesse, la loro luminosità degraderebbe fino a scomparire. I Suoi ministri si trovano in questa stessa condizione. Essi non sono che strumenti nelle Sue mani; e tutto il bene che compiono è compiuto per mezzo della Sua potenza. La Sua luce deve splendere attraverso il loro servizio. Il Salvatore è l'origine di ogni loro successo. Se essi guarderanno a Gesù come Egli stesso guardò al Padre, saranno resi capaci di portare a termine la Sua opera. Se accetteranno di dipendere da Dio, Egli farà di loro i canali che riflettono la Sua gloria nel mondo.» (Gli uomini che vinsero un impero – pag. 368).

    La condizione spirituale della chiesa è in gran parte nelle mani dei pastori. Un esempio di ciò si trova in Atti 20, dove si narra dell'incontro fra Paolo e gli anziani della chiesa di Efeso. Qui la parola "anziani" è la stessa che viene usata per i pastori, a volte tradotta con "vescovi" (in greco: presbiteros). È per questo che, nei paesi anglosassoni, i pastori consacrati sono chiamati "elders" che deriva dalla parola "anziano". Quando gli anziani arrivarono, Paolo raccomandò loro: "Badate dunque a voi stessi (in altre parole: "Esaminate voi stessi": questo è il significato del vocabolo greco) e a tutto il gregge in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi (Dio ha affidato i membri di chiesa alla vostra cura), per pascere la chiesa di Dio, che Egli ha acquistata col proprio sangue" (vers. 28). Uno dei compiti principali del pastore è di nutrire la chiesa. Salvo rare eccezioni, noi all'inizio accettiamo da Cristo il dono della salvezza per motivi egoistici, poiché – come esseri umani – siamo per natura

    egocentrici. Prendiamo ad esempio gli apostoli: tutti e dodici accettarono Gesù come Messia per una ragione egoistica. Dopo aver vissuto per tre anni e mezzo con Gesù, nella camera alta, discutevano ancora chi fosse il maggiore. A chi stavano pensando? A se stessi! Paolo definisce i credenti di questo genere: "carnali, bambini in Cristo" (I Corinzi 3:1). L'opera del pastore consiste nel sensibiliz-zarli, allo scopo di favorire l'opera dello Spirito Santo, l'unico Agente che può condurli verso una spiritualità più profonda. E questo viene fatto nutrendo, pascendo il gregge. Vi deve essere una crescita spirituale, perché un cristiano carnale è un cristiano debole, un bambino dal punto di vista spirituale. Dunque, Dio sta parlando alla chiesa di Laodicea e dice: "Pastori, c'è qualcosa che non va nella chiesa". Il messaggio è per la chiesa nella sua totalità (ricordiamo che in Apoc. 1:11 Gesù dice: "Manda questi messaggi alle chiese"), ma la responsabilità della crescita della chiesa è dei pastori perché hanno il compito di nutrirla.

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    Ellen White riconobbe la responsabilità dei dirigenti di chiesa, quando scrisse: «"Queste cose dice Colui che tiene le sette stelle nella Sua destra". Queste parole sono rivolte ai conduttori della chiesa, ai quali Dio ha affidato pesanti responsabilità.» (Gli uomini che vinsero un impero – pag. 368).

    Potremmo chiederci perché Cristo rivolga il messaggio ai pastori. Evidentemente, perché possano rendersi conto che nella chiesa c'è qualcosa che non va'. Ma Dio non parla solamente ad alcuni individui: Egli sta parlando alla chiesa intera attraverso i suoi pastori, poiché la condizione spirituale della chiesa non si eleverà mai ad un livello superiore a quello dei sui dirigenti. Probabilmente, ci sono singoli membri di chiesa che possono coltivare un rapporto più intimo con Dio rispetto ad alcuni pastori, ma la condizione spirituale generale della comunità è direttamente proporzionale allo stato spirituale dei pastori. Si tratta quindi di qualcosa di molto serio. b) Come si autodefinisce Cristo scrivendo a Laodicea? Apoc. 3:14b La seconda parte del vers. 14 riporta dei titoli con i quali Gesù si presenta alla chiesa di Laodicea:

    L'Amen, Il Testimone fedele e verace, Il Principio della creazione di Dio.

    In ognuno dei messaggi alle sette chiese, Cristo si attribuisce un titolo speciale. In ogni caso il titolo che Egli dà a se stesso è in armonia con i bisogni di quella determinata chiesa. Così i titoli con i quali si autodefinisce parlando a Laodicea sono in rapporto con il messaggio che Egli rivolge a questa chiesa. L'Amen – il Testimone fedele e verace La parola "Amen" è usata qui come un nome proprio. La parola stessa significa in effetti "così sia", oppure – talora tradotta come "verità" – può anche voler dire "quello che si sta dicendo è la verità". Quando Gesù si trovava dalle parti di Tiro e Sidone, una donna cananea Gli si avvicinò dicendo: "Ti prego, guarisci mia figlia che è posseduta da un demonio". I Giudei consideravano i Gentili come cani, e Gesù – per provare la sua fede – effettivamente la definì, nella Sua risposta, allo stesso modo. Che cosa replicò la donna? Disse: "È vero…", amen nel testo originale. Dunque l'Amen e il Testimone Fedele e Verace sono due titoli analoghi: hanno ambedue a che fare con il concetto di verità.

    In Isaia 65:16 Dio chiama se stesso "il Dio di verità" e la stessa cosa Gesù sembra voler ricordare ai Laodicesi, perché a quanto pare essi hanno un problema. Qual è il problema? Se guardiamo più avanti, al vers. 17, noteremo che vi sono due valutazioni di Laodicea. Una è di Cristo, l'altra è della chiesa stessa; e queste due valutazioni non sono in armonia fra loro. Il vers. 17 si apre con le parole: "Poiché tu dici…". Fermiamoci qui e chiediamoci chi sia il "tu" di cui si parla. Poiché abbiamo già verificato che il messaggio è indirizzato all'angelo della chiesa, identificato con i dirigenti della chiesa, possiamo parafrasare il vers. 17 in questo modo: "Voi pastori, voi dirigenti, dite a proposito della vostra chiesa di essere ricchi e di esservi arricchiti e di non aver bisogno di nulla. Date di voi stessi un rapporto favorevole, ma in realtà c'è un problema, poiché non sapete di essere infelici, miserabili, poveri, ciechi e nudi". Chi dice che Laodicea è infelice, miserabile, povera, cieca e nuda? Cristo, il Testimone Verace, e tuttavia noi di Laodicea diciamo di noi stessi tutto il contrario: due valutazioni evidentemente in completo disaccordo. Questo è il problema… Così la questione è: chi ha ragione? Ovviamente il Testimone Fedele e Verace; per questo Egli si definisce l'Amen: la Verità.

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    Dobbiamo comprendere che la chiesa è un corpo collettivo, ma unico. Quando in una persona un organo è malato, tutto il corpo ne è influenzato. Nella preghiera d'intercessione che si legge al cap. 9 di Daniele, vediamo come il profeta s'indirizzi a Dio dicendo: "Noi abbiamo peccato". Era forse questa la verità riguardo alla situazione spirituale di Daniele stesso? No, ciononostante egli s'identificò con il suo popolo. Anche noi dobbiamo identificare noi stessi con Laodicea ed i suoi errori, poiché siamo un corpo unico.

    In realtà, Laodicea ha lo stesso problema che ebbe Pietro. Gesù, parlando con i Suoi discepoli poco prima di essere tradito, disse: "Voi tutti questa notte sarete scandalizzati per causa mia, perché sta scritto (Gesù cita Zaccaria 13:7): 'Per-cuoterò il pastore e le pecore del gregge saranno disperse'." (Matteo 26:31). Tutti i discepoli lo negarono (vers. 35) e specialmente Pietro che confermò: "Quand'anche Tu fossi per tutti un'occasione di caduta, non lo sarai mai per me" (vers. 33). Pietro aveva un'opinione radicalmente diversa da quella di Gesù a proposito della propria situazione… ma chi aveva ragione? Pietro avrebbe scoperto la verità su se stesso in modo estremamente doloroso. Gesù disse a Pietro: "In verità (il che significa "veramente") ti dico (ti sto dicendo la verità, Pietro) che questa stessa notte, prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte". E Pietro a lui: "Anche se dovessi morire con Te, non Ti rinnegherò in alcun modo", allora tutti i discepoli si unirono a lui nel confermare la stessa cosa (vv. 34-35).

    I discepoli avevano lo stesso problema di Laodicea e, alla fine, avrebbero tutti imparato percorrendo una via difficile. Gesù, allo stesso modo, parla a Laodicea affermando: "Io sono il Testimone Fedele e Verace… Quello che ti sto dicendo è la verità". Se noi non impariamo ad ascoltare Cristo ora, dovremo impararlo passando per una strada più difficile e dolorosa, poiché Egli dice: "Se non vi pentite, Io vi rimprovererò… Sto per vomitarvi dalla mia bocca" (vv. 16,19). Il Principio della creazione di Dio Nella seconda parte di Apoc. 3:14 troviamo un altro titolo che Gesù attribuisce a se stesso: il Principio della creazione di Dio. Molte traduzioni moderne di questa frase hanno causato problemi circa la natura di Cristo. Lungo tutta la storia della chiesa, molti cristiani, compresi diversi pionieri avventisti, come A.T. Jones, E.J. Waggoner, W.W. Prescott e lo stesso James White, hanno compreso da questo testo che Gesù ha avuto un inizio, che fu il Primo essere creato da Dio. Ellen White, tuttavia, corresse questo punto di vista semi-ariano, scrivendo ne La Speranza dell'uomo: «Egli possiede la vita, una vita propria, non ricevuta» (Desire of Ages - pag. 530). Ario fu un dirigente della chiesa primitiva che insegnò che Cristo aveva avuto un principio; ma questa parola nel greco di Apoc. 3:14 non significa "il principio" nel senso di partenza. Vuol dire piuttosto "la fonte" o "l'origine" o ancora "la causa primordiale". Quello che sta dicendo qui Gesù è: "Io sono la Fonte di tutta la creazione", e questo è in perfetta armonia con il resto della rivelazione del Nuovo Testamento (vedi Giovanni 1:3 – I Corinzi 8:6 – Efesi 3:9 – Colossesi 1:16-17). Quello che Cristo sembra dire ai Laodicesi mediante il modo in cui si autodefinisce è: "Io non solo sono il Testimone Fedele e Verace, ma sono anche la Fonte di tutta la creazione e potrei cambiarvi, se voi mi consentiste di farlo. Io posso creare in voi un cuore nuovo; posso farvi diventare una nuova persona, ma solo se vi pentite ed accettate la mia valutazione del vostro stato spirituale". Quindi non solo dice: "Io sono il Testimone Fedele e Verace", ma aggiunge: "Io sono la Soluzione del vostro problema".

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    È questo il motivo per cui Egli si attribuisce due titoli: "Io sono l'Amen e il Testimone Verace, perché voi avete bisogno di conoscere la vostra reale

    condizione, che è un problema inconscio, infatti non siete consapevoli di questo problema" (nel prossimo capitolo vedremo perché non siamo coscienti della nostra vera condizione spirituale).

    In secondo luogo, Gesù afferma: "Io ho anche la soluzione per il vostro problema. Io sono la Fonte della creazione. Tutte le cose sono state fatte da me, quindi io posso togliere via il vostro cuore di pietra e darvi un cuore nuovo".

    In pratica, Gesù desidera adempiere per noi la promessa della Nuova Alleanza. Egli fece questa stessa promessa agli Ebrei, ma il popolo eletto la rigettò. Che cosa fece allora Cristo con questa nazione? Nel momento del Suo ingresso trionfale in Gerusalemme, Gesù – contemplando la città, dopo aver rimproverato l'ipocrisia dei capi religiosi – disse con le lacrime agli occhi: "Quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come la gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco la vostra casa vi è lasciata deserta" (Matteo 23:37b-38). In altre parole: "Io sto per vomitarvi fuori dalla mia bocca come popolo eletto e mi rivolgerò ai Gentili, la chiesa cristiana".

    Foto: Rovine dell'antica Laodicea Dio non adempì la promessa della Nuova Alleanza verso gli Ebrei perché L'avevano rifiutato. Oggi, sta facendo a noi la stessa promessa della Nuova Alleanza, che si trova ripetuta in Ebrei 8:10-13 (cfr. con Geremia 31:31-34 – Ezechiele 11:19-20/36:26-27). Conclusione Qual è la nostra conclusione riguardo alle parole introduttive del messaggio a Laodicea?

    1. Cristo non si rivolge ad alcuni individui della chiesa, bensì alla chiesa intera, attraverso i suoi dirigenti. Questo non è un problema solamente di alcuni membri della chiesa; è un problema di tutto il corpo collettivo di Cristo, ovvero dell'ultima generazione di cristiani che è la nostra.

    2. La valutazione che Gesù fa di noi è negativa, ma reale. La questione è questa: vogliamo

    accettare la Sua valutazione, anche se è dolorosa? È molto triste quando qualcuno ci dice: "Voi siete infelici, miserabili, poveri, ciechi e nudi"… E tutto ciò vale per la chiesa che proclama di avere la verità. Sì, è molto doloroso, tuttavia dobbiamo accettare quello che il Testimone Verace dice di noi, affinché si possa realizzare il piano che Dio ha per noi. Scopriremo più avanti, proseguendo nello studio del messaggio a Laodicea, in che senso siamo infelici, miserabili, poveri, ciechi e nudi.

    Per prepararci a rispondere positivamente a questa scoperta, abbiamo un testo che ci aiuterà a capire il nostro problema: "Il cuore è ingannevole più di ogni altra cosa e insanabilmente malato; chi lo può conoscere?" (Geremia 17:9). Noi siamo dunque stati ingannati, come lo furono gli Ebrei. Essi rigettarono Cristo perché non vollero accettare il Suo verdetto a proposito della loro condizione spirituale, e noi non dobbiamo assolutamente ripetere il loro stesso errore. Procedendo nell'esame di questa valutazione di Laodicea e considerando attentamente i vv. 15 e 16, dovremo ricordare che le parole "fervente", "freddo" e "tiepido" sono simboli che devono essere interpretati alla luce della Parola di Dio e non con il dizionario. Studieremo molto attentamente questi due versetti, perché mentre consideriamo la valutazione di Cristo, siamo anche chiamati a prendere posizione: il verdetto è vero o falso? Se è vero, allora dobbiamo tener

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    conto del consiglio; se non lo consideriamo vero, rifiuteremo il consiglio e saremo vomitati fuori dalla Sua bocca. Dunque questi due versetti sono molto importanti. Qual è il nostro problema? Che cos'è che non sappiamo? Che cosa ci ha ingannato? Non dobbiamo applicare questo messaggio ad altre chiese; applichiamolo prima a noi stessi. Quindi, dopo che avremo rimosso il palo dal nostro occhio, saremo in grado di rimuovere anche la pagliuzza dall'occhio altrui. Che cosa ha voluto dire Gesù quando disse che le nostre opere non sono né ferventi, né fredde, ma tiepide? Vuol dire forse che noi non facciamo abbastanza opere? Non credo che sia così. Noi non manchiamo di opere, è piuttosto che le nostre opere hanno un problema. Questo sarà l'argomento del prossimo capitolo.

    CCCaaapppiiitttooolllooo 222°°° VVVAAALLLUUUTTTAAAZZZIIIOOONNNEEE DDDIII LLLAAAOOODDDIIICCCEEEAAA ––– III PPPaaarrrttteee

    "Io conosco le tue opere: tu non sei né freddo né fervente. Oh fossi tu pur freddo o fervente! Così, perché sei tiepido e non sei né freddo, né fervente, io ti vomiterò dalla mia bocca" (Apoc. 3:15-16 – Versione Riveduta Luzzi) Una chiara comprensione dei vv. 15-16 fornisce la chiave di lettura di tutto il messaggio a Laodicea, in quanto tutto ciò che segue, compresa la soluzione proposta da Gesù, dipende dal passo in oggetto. Questi versetti sono importantissimi, perché costituiscono la valutazione di Cristo della nostra condizione spirituale.

    Il Salvatore esordisce, come negli altri messaggi, dicendo: "Io conosco le tue opere". È chiaro che non si riferisce alle nostre istituzioni, ovvero i nostri ospe-dali, scuole, case editrici, orfanotrofi, dispensari, ecc. Egli ci parla piuttosto delle nostre opere spirituali. E se la nostra condotta spirituale è riprovevole (questo è esattamente il nostro caso), allora naturalmente anche le nostre istituzioni ne subiranno il contraccolpo. È importante quindi che comprendiamo come Cristo valuti esattamente le nostre opere, che sono lo specchio della nostra condizione spirituale. La prima cosa che dobbiamo sapere è che Laodicea non manca di opere… non è questo il nostro problema. Noi abbiamo opere, ma c'è qualcosa che non va a questo riguardo: esse non sono né fredde, né ferventi, ma sono tiepide. Il tiepido, così si spiega generalmente la cosa, è una mescolanza di freddo e di fervente. Notate come qui siano invece ricordati tre tipi ben distinti di opere. Ora, l'Apocalisse – come sappiamo – scrive in simboli ed è nostro dovere scoprire che cosa rappresentino queste immagini: il freddo, il fervente e il tiepido in relazione alle opere. Se leggete attentamente il Nuovo Testamento, scoprirete che quando la condotta umana viene analizzata in ambito spirituale, la si classifica in tre diverse categorie: le opere della carne, le opere dello spirito, le opere della legge. Per poter capire correttamente quale sia il problema delle opere di Laodicea, dobbiamo

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    scoprire che cosa rappresentano le tre categorie di opere appena citate in rapporto al freddo, al fervente, al tiepido. a) Le opere della carne → le opere fredde La Bibbia identifica chiaramente le opere fredde con la opere della carne. Quando la parola "carne" viene usata nel Nuovo Testamento in senso spirituale, essa si riferisce alla nostra natura carnale, decaduta, peccaminosa. Quando Paolo dice, in Romani 7:14, "io sono carnale", vuol dire "io sono un uomo peccatore, decaduto". Di conseguenza, che cosa rappresentano le "opere della carne"? In Galati 5:19-21, Paolo le descrive in maniera palese: "Or le opere della carne sono manifeste e sono (quindi fornisce una lista di condotte peccaminose): adulterio, fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, magia, inimicizie, contese, gelosie, ire, risse, divisioni, sette, invidie, omicidi, ubriachezze, ghiottonerie e cose simili a queste…". Allora, se doveste descrivere le opere della carne, come le definireste in un'unica parola? Peccato! Così le "opere della carne" sono la nostra condotta peccaminosa ed appartengono quindi alla categoria del peccato. Possiamo rinforzare questo punto facendo riferimento a Romani 7. Particolarmente in Romani 7:14 Paolo dice: "… la legge è spirituale, ma io sono carnale, venduto come schiavo al peccato". Nei versetti che seguono Paolo spiega la nostra situazione umana che, anche dopo la conversione, è critica, lontana dallo Spirito Santo. Al vers. 18, l'apostolo afferma: "Infatti io so che in me, cioè nella mia carne (ovvero nella mia natura peccaminosa), non abita alcun bene, poiché ben si trova in me la volontà di fare il bene, ma io non trovo il modo di compierlo". Paolo afferma che la carne è incapace di fare il bene; insiste, dicendo praticamente: "Anche se voglio fare il bene, mi accorgo di non poterlo fare, a causa del peccato che abita nella carne" (cfr. vv. 17,20).

    Il testo chiave per comprendere Romani 7 è l'ultima parte del vers. 25: "Io stesso dunque con la mente servo la legge di Dio, ma con la carne la legge del peccato". L'accento è messo su queste due parole: "io stesso". In greco, un solo vocabolo, ego, esprime bene ciò che è stato tradotto con "io stesso". Ma Paolo usa due parole, invece di una. Egli usa l'espressione "autos ego", che in realtà significa: "lasciato a me stesso, senza l'aiuto dello Spiri-to Santo… da me stesso, l'unica cosa che posso fare è osservare la legge nel mio spirito, ma nella carne sono schiavo della legge del peccato".

    Dopo queste premesse, capiamo che cosa voglia dire Paolo in Romani 8:7: "Per questo la mente controllata dalla carne è inimicizia contro Dio, perché non è sottomessa alla legge di Dio e neppure può esserlo". In altre parole, la carne non può fare niente di buono. Qui troviamo utile la dichiarazione fatta da Gesù al fariseo Nicodemo: "Ciò che è nato dalla carne, è carne" (Giovanni 3:6). Con queste parole, il Salvatore intendeva dire che la carne è immutabile. In pratica, disse a Nicodemo: "Il tuo fondamento è sbagliato. Tu cerchi di fare la volontà di Dio, o di essere santo, con la carne, ma la carne rimarrà sempre carne e, come tale, peccaminosa. Tu hai bisogno di nascere dall'alto; hai necessità di avere in te un altro potere, cioè quello dello Spirito".

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    Ora, perché identifichiamo le opere della carne, o atti peccaminosi, con il "freddo"? Il passo di Matteo 24:12 fornisce la risposta. Qui Gesù sta profetizzando la situazione che sarà in atto sulla terra negli ultimi giorni; una delle ultime cose che dice a proposito dei tempi finali, di cui oggi noi siamo testimoni, è questa: "E perché l'iniquità sarà moltiplicata, l'amore di molti si raffredderà". In questo passo, il Salvatore identifica il freddo con le azioni malvagie, con l'iniquità e la mancanza d'amore, idea che del resto è diffusa in tutto il Nuovo Testamento. In Efesi 5:11-12, Paolo identifica le opere della carne (che in questo testo egli definisce con un altro termine, "opere delle tenebre") con gli atti peccaminosi. Ancora, scrivendo ai Tessalonicesi (I Tess. 5:5), Paolo divide gli uomini in due categorie: i cristiani, che chiama i "figliuoli della luce", e gli increduli, che definisce i "figliuoli delle tenebre". In pratica, egli opera questa distinzione, perché nel Vangelo la luce rappresenta Cristo nostra giustizia, mentre le tenebre simboleggiano il peccato, poiché il peccato viene spesso commesso con il favore delle tenebre. Inoltre, nei paesi mediorientali, la luce è assimilata al calore e la notte al freddo, perché esiste una grande escursione termica fra la notte e il giorno.

    Nel 1980, ebbi occasione di tenere una serie d'incontri di studio in Egitto. Come ringraziamento, i pastori che avevano partecipato alle riunioni mi portarono a fare una escursione sul Sinai. Di giorno, faceva terribilmente caldo, talvolta si arrivava fino a 45°, mentre le notti erano gelide ed io avevo dimenticato di portare con me degli indumenti caldi, perché eravamo partiti di giorno. Dovetti prendere in prestito quello che riuscii a trovare per stare al caldo. Anche il mio sacco a pelo era troppo freddo. Mi resi conto fino a che punto possano arrivare gli estremi di temperatura in terra santa. Questo è il motivo per cui Dio, durante l'esodo, era per

    gli Ebrei una nuvola di giorno e una colonna di fuoco di notte. b) Le opere dello spirito → le opere ferventi Se il freddo s'identifica con le opere della carne, ovvero con la condotta dell'uomo peccatore, che cos'è il contrario del freddo? Il caldo. E il contrario delle opere della carne? In Galati 5, Paolo mette in contrasto le opere della carne con i frutti dello Spirito: "Or io dico: camminate secondo lo Spirito e non adempirete i desideri della carne" (Galati 5:16). Ci sono due tipi di vie possibili per le creature umane: si può camminare nella carne, oppure si può camminare nello Spirito. Se camminate nello Spirito, dice Paolo, voi vincerete la carne. Quindi, nei vv. 19-21, egli descrive le opere della carne, prodotte dagli uomini che camminano per questo sentiero. Tuttavia, subito dopo, l'apostolo offre un contrasto, infatti apre il vers. 22 con un "ma" e prosegue descrivendo il frutto dello Spirito che è amore, gioia, pace, ecc. Ora, il frutto dello Spirito è sinonimo di "opere della fede". Come esempio, prenderemo prima di tutto quanto Gesù disse in Giovanni 14:12: "In verità, in verità vi dico: chi crede in me farà anch'egli le opere che io faccio (se avete fede, farete le opere di Cristo); anzi ne farà di più grandi di queste, perché io vado al Padre". Che cosa ha a che fare il ritorno di Gesù al Padre con il fatto che i Suoi discepoli fanno le Sue opere? Gesù lo spiegherà più tardi, in uno dei Suoi più importanti discorsi agli apostoli, quando disse: "Se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma se me ne vado, io ve Lo manderò". Quando camminiamo per fede, lo Spirito Santo che abita nel credente riproduce le opere di Cristo. L'origine delle opere della fede è sempre lo Spirito.

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    La fede dice: "Io mi rendo disponibile a Te, Cristo, perché in me non c'è niente di buono". Le "opere della fede" sono Cristo che vive in me per fede, come scrive Paolo in Galati 2:20: "Io sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me; e quella vita che ora vivo nella carne, la vivo nella fede del Figlio di Dio…" Come mi ama Cristo? Attraverso lo Spirito. Nelle opere della fede, è effettivamente lo Spirito che compie le opere. Io sto semplicemente portando frutto. Dio vuole che io porti frutto, ma il frutto è opera dello Spirito Santo che dimora in me. Opere della fede e frutti dello Spirito sono quindi dei sinonimi, così come le opere della carne e le opere delle tenebre. c) Le opere della legge → le opere tiepide Se il "freddo" rappresenta le opere della carne e il "fervente" le opere della fede, ci rimane ancora da esaminare il "tiepido". Che cosa simboleggia il "tiepido"? Che cosa ci rimane? Le opere della legge. Esaminiamo ora alcuni testi che definiscono le opere della legge. Un buon punto di partenza lo troviamo in Romani 9:30-32: "Che diremo dunque? Che i gentili, che non cercavano la giustizia, hanno ottenuta la giustizia, quella giustizia però che deriva dalla fede, mentre Israele, che cercava la legge della giustizia, non è arrivato alla legge della giustizia. Perché? Perché la cercava non mediante la fede, ma mediante le opere della legge; essi infatti hanno urtato nella pietra d'inciampo…". Chi era quella pietra d'intoppo in cui essi inciamparono? Il vers. 33 indica che era Cristo: "Ecco, io pongo in Sion una pietra d'inciampo e una roccia di scandalo, ma chiunque crede in Lui non sarà svergognato". Ricorderete che cosa aveva detto Gesù, il Testimone Verace, a Laodicea: "Compra da me delle vesti bianche per coprirti e non far apparire così la vergogna della tua nudità". È la fede in Gesù che consente a Laodicea di non essere svergognata nel giudizio. Paolo parla diverse volte nella lettera ai Galati di "opere della legge". In Galati 2:16, l'apostolo usa tre volte questa espressione: "Avendo pur nondimeno riconosciuto che l'uomo non è giustificato per le opere della legge, ma lo è soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo anche noi creduto in Cristo Gesù affin d'esser giustificati per la fede in Cristo e non per le opere della legge, poiché per le opere della legge nessuna carne sarà giustificata" (Versione Riveduta Luzzi). In Galati 3:10, Paolo descrive qual è il problema delle opere della legge: "Ora tutti coloro che si fondano sulle opere della legge sono sotto la maledizione, perché sta scritto: 'Maledetto chiunque non persevera in tutte le cose scritte nel libro della legge per praticarle'." Dobbiamo ora considerare che cosa inten-de dire Paolo con l'espressione "le opere della legge". La lingua greca all'epoca del Nuovo Testamento non disponeva di un vocabolo equivalente al nostro "legalismo", quindi Paolo usa l'espressione "opere della legge" per esprimere lo stesso concetto. Come possiamo definire il legalismo o "opere della legge"? In questo ci è d'aiuto il cap. 3 dell'epistola ai Filippesi. Qui Paolo ci dice a che cosa rinunciò in cambio della giustizia di Cristo (vv. 7-9). Notate in particolare la frase che egli usa al vers. 9: "… per essere trovato in Lui, avendo non già la mia giustizia che deriva dalla legge, ma quella che deriva dalla fede di Cristo…". "Una giustizia mia, derivante dalla legge…" (Versione Riveduta Luzzi): Paolo sta parlando della "PROPRIA GIUSTIZIA", cioè quella giustizia che è tipica dell'Io, prodotta attraverso i propri sforzi. Nella Bibbia, le opere della legge si riferiscono a coloro che osservano o usano la legge come un mezzo o un metodo per ottenere la salvezza.

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    Vediamo ora come la "propria giustizia" sia una mescolanza di freddo e di fervente. Nella giustizia propria, chi fa le opere: lo Spirito o la carne? Ovviamente, non è lo Spirito Santo, ma l'uomo stesso. Così, sebbene nelle opere della legge sia la carne a fare tali opere, queste somigliano superficialmente alle opere dello Spirito. In altre parole, la carne che appartiene al "freddo" (peccato) compie solo apparentemente quello che in realtà dovrebbe appartenere allo Spirito (fervente). In questo senso, le opere della legge sono opere tiepide, dato che la carne peccaminosa produce quello che sembra essere frutto dello Spirito.

    In Matteo 19:16 troviamo il giovane ricco che chiede a Gesù: "Che devo fare di buono per avere la vita eterna?". Parafrasando quello che Gesù, in pratica, gli vuole dire, potremmo esprimerci così: "Se vuoi andare in cielo mediante le tue opere, devi osservare la legge". Quando il giovane ricco gli chiese: "Quali?", Gesù rispose con sei coman-damenti che si riferiscono alle nostre relazioni con il prossimo (vv. 18-19). Il giovane rispose: "Tutte queste cose le ho osservate fin da quando ero alla Scuola del Sabato dei Tizzoni!". Le opere che questo giovane compiva erano opere della legge. Come abbiamo già visto, significa che la carne tenta di fare il bene e quindi le opere stesse assomigliano alle opere della fede (opere di giustizia). Vi ricordate come pregava il fariseo al tempio? "O Dio, Ti ringrazio che io non sono come quel pubblicano là in fondo: io digiuno e pago la decima…" Consideriamo il seguente paragone:

    Chi fa le "opere della fede" osserva il sabato? Sì. Chi fa le "opere della legge" osserva il sabato? Sì.

    Qual è la differenza? La domanda da porre di fronte ad una persona che osserva il sabato non è: "Sta osservando il giorno giusto?", ma piuttosto: "Quest'osservanza del sabato è un'opera della legge o un'opera della fede?". Questa è una questione importante e vi ritorneremo su quando esamineremo Apoc. 3:17, allora vedremo perché le opere della legge ci ingannano. Ora, le opere della legge NON sono la stessa cosa che le opere della carne, anche se entrambe provengono dalla carne. Le opere della carne, come abbiamo visto, sono peccati e corrispondono al "freddo" di Apoc. 3:15, mentre le opere della legge sono proprio il contrario, sono cioè atti di giustizia. Tuttavia sono solo superficialmente atti di giustizia, e sono quindi opere tiepide, perché la carne, che appartiene al dominio del freddo, pretende di fare le opere dello Spirito, che appartiene al dominio del fervente. Queste opere appaiono buone esteriormente, e sono quindi molto ingannevoli, poiché le opere della legge costituiscono la "propria giustizia" ed È MOLTO DIFFICILE CONVINCERE UNA PERSONA CHE LE SUE OPERE BUONE SONO IN REALTÀ TUTTE CATTIVE! Notate il commento di Ellen White:

    «La vostra propria giustizia è nauseante per il Signore Gesù Cristo… (dopo aver citato Apoc. 3:15-18). Queste parole si applicano alle chiese e a parecchi di coloro che occupano posti di responsabilità nell'opera di Dio» (Bible Commentary, Vol. 7 – pag. 963).

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    Ne La via Migliore, Ellen White ci dice qual è l'opinione di Dio sulla "propria giustizia": «Ci sono alcuni che professano di adorare Dio cercando di ubbidire alla Sua legge, di formarsi un buon carattere e di assicurarsi la salvezza con le proprie forze. Essi cercano di compiere tutti i doveri della vita cristiana che Dio richiede per guadagnare il cielo, ma non sono sensibili al profondo amore di Cristo. Una religione simile non vale nulla.» (pag. 42).

    Così, le opere della legge su cui una persona si basa per osservare i comandamenti di Dio grazie ai propri sforzi non valgono niente. La Bibbia e lo Spirito di Profezia sono d'accordo su questo punto. Nell'ultima parte di Apoc. 3:15 noi leggiamo ancora una cosa che è bene esaminare: "Io vorrei che tu fossi o freddo o fervente". Voi comprendete che Gesù desidera che noi siamo freddi, cioè che commettiamo dei peccati, delle opere della carne? Che cosa ha voluto dire con: "Io vorrei che tu fossi freddo…"? Perché dice questo? Ricordate che Cristo disse che, al giudizio, la sorte di Ninive sarebbe stata migliore di quella d'Israele (cfr. Matteo 12:41)? Quando Dio disse agli abitanti di Ninive tramite il suo profeta Giona che, a causa della loro malvagità, sarebbero stati distrutti, a meno che non si fossero pentiti, essi risposero positivamente e si penti-rono. La malvagità dei Niniviti si espri-meva attraverso i loro peccati ed essi se ne rendevano conto. Non fu difficile quindi per Dio convin-cerli della loro condizione. Ma quando Dio disse agli Israeliti che le loro opere erano malvagie, questi si sentirono offesi e, di con-seguenza, rigettarono il Messia. In altre parole, il popolo eletto era cieco riguardo alle proprie condizioni spirituali. Vedremo come la stessa cosa si verifichi con Laodicea quando arriveremo ad analizzare il vers. 17: i Laodicesi infatti "non sanno…". Ma dobbiamo ancora approfondire due questioni:

    1. Perché Gesù dice: "Io vorrei che tu fossi o fervente o freddo"? 2. Perché Gesù obietta alla nostra giustizia?

    Permettetemi una semplice illustrazione. Se voi avete un bambino che fa del suo meglio per piacervi, la cosa vi fa arrabbiare o piuttosto vi rende felici? Naturalmente, vi fa felici. Ma qui c'è qualcuno che cerca di piacere a Dio mediante i propri sforzi e Dio è in collera. Perché? La risposta a questa domanda è cruciale. Noi dobbiamo prima riconoscere la nostra condizione e questa è la parte più difficile. Quando arriveremo ad Apoc. 3:17, vedremo perché per noi è così difficile riconoscere il nostro problema. Se non compiamo questo passo, il consiglio del Testimone Fedele e Verace (vers. 18) diventa privo di significato. È questo il motivo per cui una comprensione dei vv. 15-16 è così cruciale. Siccome questi versetti segnalano il nostro problema, una volta ben compreso questo passo, saremo a buon punto sul cammino della soluzione del problema. Vedete, il medico deve trovare che cosa non va nel paziente, prima di dare la cura adatta. Cristo, il Testimone Verace, sa che cosa non va in noi? Ovviamente sì, perché Lui è il Grande Medico. È in grado di guarirci? Certamente sì! Qui in America, prima che un dottore possa procedere ad un'operazione chirurgica, bisogna firmare un documento che lo sollevi dalla responsabilità. Così pure, prima che Gesù possa curarci noi dobbiamo

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    ammettere che ha ragione Lui e dobbiamo anche dargli il permesso di compiere l'operazione chirurgica che consiste nel togliere il nostro cuore di pietra per sostituirlo con un cuore di carne… E questo non è facile. Ma nel momento in cui ammettiamo che Cristo ha ragione, si apre la porta alla soluzione. Dobbiamo prima riconoscere il nostro problema, che è quello della nostra propria giustizia, una giustizia che esternamente sembra buona, ma agli occhi di Gesù è nauseabonda. Nel prossimo capitolo, considereremo quattro ragioni per cui le opere tiepide danno la nausea a Cristo e per cui Egli è in collera e le rigetta.

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    "Io conosco le tue opere: tu non sei né freddo né fervente. Oh fossi tu pur freddo o fervente! Così, perché sei tiepido e non sei né freddo, né fervente, io ti vomiterò dalla mia bocca" (Apoc. 3:15-16 – Versione Riveduta Luzzi) L'apostolo Paolo in Tito 3:8 ci dice che coloro che credono in Cristo devono produrre buone opere, che sono le opere della fede (ovvero dello Spirito). Precedentemente (2:14), Paolo aveva ricordato a Tito che Cristo aveva "dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità". La parola "iniquità", quando viene usata in ebraico e in greco in senso spirituale, significa "esser rivolti verso se stessi". In altre parole, Cristo venne "per riscattarci da ogni egoismo" e "per purificare per sé un popolo speciale, zelante nelle buone opere" (Tito 2:14). In greco, il vocabolo tradotto con "zelante" in Tito 2 e quello tradotto con "fervente" in Apocalisse 3, derivano dalla stessa radice, per cui in pratica Paolo dice a Tito: "Mediante la Sua opera redentrice, Gesù Cristo purificherà un popolo che sarà in fiamme, ovvero fervente, per Lui e ciò si manifesterà attraverso le sue buone opere".

    Collegate a questo la descrizione che Gesù fece di Giovanni Battista in Giovanni 5:35, dove Egli lo definì "una lampada ardente"; ricordate anche che il Salvatore aveva detto ai Suoi discepoli "Voi siete la luce del mondo" (Matteo 5:14) ed abbiamo visto che "luce" e "calore" vanno sempre insieme. Torniamo ora ad Apoc. 3:16: "Così, perché sei tiepido e non sei né freddo, né fervente, io ti vomiterò dalla mia bocca". Al tempo di Cristo, non avevano ancora scoperto come produrre la frutta senza semi. Che cosa fate anche voi quando mangiate dell'uva e vi trovate i semi in bocca? Li sputate fuori; di conseguenza, sputare fuori era diventata una frase usata nel Medio Oriente come simbolo di rigetto. "Sputare fuori" significa praticamente "rigettare". Il problema è qui: Gesù Cristo sta dicendoci che le nostre opere non sono né fredde né ferventi, ma tiepide. Se fossero ferventi, sarebbe felice; se fossero fredde, Lui sarebbe capace di risolvere il

    problema, perché sia le opere ferventi che le fredde sono naturali e spontanee. Che cosa intendo dire per naturali e spontanee? La carne è incline al peccato, quindi la cosa naturale che la carne può produrre è il peccato! Quando la carne produce il peccato, quando voi ed io commettiamo dei peccati, stiamo semplicemente agendo in accordo con la nostra natura, che è peccaminosa.

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    Analogamente, quando lo Spirito vive in noi, per lo Spirito è naturale agire secondo giustizia, poiché sta scritto in I Giovanni 3:9: "Chiunque è nato da Dio non commette peccato". La nuova vita che comincia quando lo Spirito Santo dimora in noi non commette peccato, perché lo Spirito Santo agisce naturalmente secondo giustizia. Quindi tanto le opere ferventi quanto le opere fredde sono naturali. Per contro, le opere tiepide non sono affatto naturali. Quando la carne, che è incline al peccato, pretende di essere buona grazie ad opere che sono frutto della propria giustizia, tali opere sono ipocrite. A questo punto, dobbiamo prima vedere che cosa non sono le opere tiepide, poiché oggi circolano molte false idee sull'argomento. In seguito, considereremo quattro motivi per cui Dio rigetta le opere tiepide. Le opere tiepide non sono una mescolanza di opere fredde e ferventi Alcuni interpretano il termine "tiepido" come se le nostre opere fossero talvolta ferventi, altre volte fredde, per cui mettendo insieme il complesso delle nostre azioni, si otterrebbero opere tiepide. Però Gesù non sta dicendo questo, ma dice piuttosto: "Le tue opere non sono né fredde, né ferventi". In altre parole, le nostre opere sono per tutto il tempo, continuativamente, tiepide, ovvero opere della legge. È importante ricordare questo, se vogliamo realmente capire la natura del nostro problema e rispondere positivamente al consiglio. Le nostre opere tiepide non sono un raffreddamento di quelle ferventi La seconda interpretazione che viene spesso data è che noi eravamo ferventi durante i primi tempi. I nostri pionieri lavorarono sodo, le loro vite furono piene di sacrificio. Ma appena siamo cresciuti come chiesa, appena siamo diventati più popolari, siamo diventati tiepidi. Una volta eravamo ferventi, ma ora ci muoviamo verso il freddo; attualmente, siamo tiepidi e bisognosi di risveglio. Una delle prove addotte da coloro che interpretano il passo in oggetto in questo modo, si trova nel messaggio alla chiesa di Efeso. Parlando alla prima chiesa, Cristo dichiara: "Ma io ho questo contro di te: che hai lasciato il tuo primo amore" (Apoc. 2:4). In altre parole: "Una volta eri fervente, ma ora sei diventata tiepida. Stai attenta o io ti vomiterò (vers. 5)…".

    Tuttavia non possiamo applicare alla nostra condizione il messaggio di Efeso. È vero che i nostri pionieri lavorarono sodo e con sacrifici, ma le opere che essi compivano era opere della fede o opere della legge? Permettetemi di darvi qualche evidenza, tratta dalla nostra storia, che può servire a dimostrare che loro, come noi, rimasero intrappolati da una sottile forma di legalismo (ovvero: opere tiepide).

    Foto: Uriah Smith Nel 1874 Uriah Smith pubblicò sulla Review and Herald, dal 17 agosto al 19 dicembre, una serie di articoli che intitolò "Leading Doctrines of the Review" (dottrine principali della Review). In questa serie di articoli scrisse molte cose che riguardavano la legge, ma non veniva fatta menzione della giustificazione per fede, che è la base delle opere ferventi. Tre anni dopo, nel 1877, James White ed Uriah Smith tennero una serie di studi per i pastori avventisti, in uno sforzo inteso a migliorare la loro opera. Essi intitolarono questo ciclo di studi "The Bible Institute", che anni dopo venne pubblicato. Ma nemmeno qui venne menzionata la giustificazione per fede e tenete presente che erano studi diretti ai pastori incaricati di predicare i messaggi dei Tre Angeli. Di fronte alla nostra insistenza sull'importanza dell'osservanza della legge, si può quindi comprendere il

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    motivo per cui cristiani di altre denominazioni cominciarono ad accusarci di legalismo. Ancora oggi abbiamo bisogno di rettificare questa incongruenza. È per questo motivo che la sor. White scrisse: «Noi abbiamo predicato la legge, ancora la legge, fino a disseccarci come le colline di Gilboa!». Questo è quanto Gesù dice a Laodicea: "Se continuate con questo tipo di opere, io vi rigetterò". Perché? Che cosa c'è di male nelle opere tiepide? Perché Dio e Cristo non accetteranno mai le opere della legge? Ricordate l'esempio del bambino che si sforza di fare le cose giuste facendo contenti i genitori? Qualora non riuscisse nel suo intento, avrebbe comunque fatto del suo meglio. Come mai con Dio la cosa non funziona nello stesso modo? Che cosa c'è che non va? Esistono quattro motivi per cui il Signore ha ragione di essere insoddisfatto delle opere della legge. Motivo N° 1 → La Bibbia dice che il nostro tentativo di essere buoni nella carne è IPOCRISIA Non possiamo cercare d'imitare Cristo e la Sua giustizia con la nostra natura carnale: essa è incline al peccato al 100%. Paolo ricordò ai Romani: "Io so che in me, cioè nella mia carne, non abita alcun bene" (Romani 7:18). La pretesa di poter fare il bene da soli è chiamata da Paolo, in Galati 6:12: "Far bella figura nella carne". L'apostolo parla ai Galati del problema delle opere della legge ed è lo stesso problema che affligge noi. Noi conosciamo bene la differenza fra legge cerimoniale e legge morale; ma i cristiani cosiddetti "giudaizzanti" non seppero fare la giusta distinzione che a noi, oggi, appare tanto chiara. Per loro, tutte le leggi di Mosè facevano parte del medesimo bagaglio e insistevano soprattutto sulla circoncisione e sulla legge cerimoniale. E così Paolo scrisse loro: "Tutti quelli che vogliono fare bella figura nella carne, vi costringono a circoncidervi". In altre parole: "A tutti coloro che vogliono mostrare agli altri quanto sono buoni, viene detto: 'Fai questo o fai quest'altro'." In quel tempo si trattava della circoncisione; oggi il punto può essere l'osservanza del sabato o la riforma sanitaria o la riforma nel modo di vestire.

    Gesù ha valutato le opere della legge in Matteo 23. Leggendo tutto il capitolo, noteremo come Cristo abbia valutato i Farisei, che erano esperti nelle opere della legge. Notate quello che il Salvatore afferma al vers. 1: "Gli Scribi e i Farisei siedono sulla cattedra di Mosè", ovvero essi erano maestri della legge, poiché Mosè rappresentava la legge agli occhi del popolo ebreo. I Farisei, naturalmente, erano zelanti nei riguardi della legge, ma guardate che cosa Gesù dice al vers. 3: "Osservate dunque e fate tutte le cose che dicono di osservare (essi chiedevano al popolo di fare buone opere); ma non fate come

    essi fanno, poiché dicono ma non fanno". Dunque il loro problema non era la legge, ma le "opere della legge" e, al vers. 5, Cristo le valuta: "Fanno tutte le loro opere per essere ammirati dagli uomini…". Quello che facevano era buono, ma lo facevano per ottenere ammirazione: "Guarda come sono buono!". Nel capitolo 23 di Matteo, Cristo usa due espressioni a loro riguardo: "ipocriti" e "guide cieche". Ne La Via Migliore Ellen White mostra che questa attitudine dei Farisei può essere anche la nostra: «Come Nicodemo (e Nicodemo era fariseo e membro del sinedrio, per cui non era un fariseo ordinario, ma un fariseo di prima classe), possiamo illuderci di condurre una vita irreprensibile, di avere un buon carattere, di ritenere di non aver bisogno di umiliarci davanti a Dio come dei volgari peccatori (notate: "umiliare il

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    cuore" e non solo umiliarci a parole; è facile dire "Non sono abbastanza buono" o "Non ho niente di buono" ecc., ma qui è del cuore che si sta parlando); ma quando la luce di Cristo rischiara i nostri animi, scopriamo quanto siamo impuri, notiamo che siamo mossi da intenti egoistici che si oppongono a Dio…» (pag. 26). Noi tutti siamo esposti a questa situazione in diverse maniere. Talvolta, quando saluto la gente all'uscita dopo il sermone del sabato, qualcuno mi dice: "È stato un sermone eccellente!", e la "carne" mi dice: "Hai lavorato sodo per ottenere questo, vero?". Allora devo dire a me stesso (ma non alla persona che mi ha parlato, perché potrebbe pensare che la sto insultando): "Vattene via, Satana". Satana incoraggia la carne ad innalzare la sua brutta testa ogni volta che è possibile. Per questo motivo la sor. White ci sconsiglia di lodarci reciprocamente. Per noi è facile lasciare che la carne sollevi la testa e dica: "Non ho fatto bene?!". Notate come Ellen White, nell'ultima frase della citazione appena ricordata, non stia parlando delle azioni in se stesse, ma delle motivazioni egoistiche che ci muovono e che sono inimicizia contro Dio. Ogni volta che ci occupiamo dell'opera del Signore, dobbiamo porci la domanda: "Perché lo sto facendo?". Continua la citazione della sor. White: «Notiamo che siamo mossi da intenti egoistici che si oppongono a Dio e che tutto ciò contamina ogni atto della nostra vita. Allora comprendiamo che la nostra giustizia assomiglia a uno straccio sporco, che il sangue di Cristo può purificarci dalla contaminazione del peccato e rendere il nostro animo simile al Suo.» (La Via Migliore – pag. 26). Una delle opere più grandi che Dio deve compiere prima d'illuminare la terra della Sua gloria è appunto, parafrasando ciò che scrisse Ellen White, la purificazione del tempio dell'anima e questo non solo come atto esteriore, ma come purificazione del cuore, dei moventi. La principale differenza tra la giustizia propria e le opere della fede, che sono la giustizia di Cristo, sta nella motivazione. Siccome non possiamo leggere il movente nel cuore di una persona, non dobbiamo mai giudicare i nostri simili. Per il Signore "gli intenti egoistici" sono "inimicizia contro Dio". Gli Ebrei osservavano il sabato, anzi erano molto rigorosi nell'osservanza del sabato. Avevano ogni sorta di regole per essere sicuri di non trasgredire il giorno di riposo, ma l'osservavano per motivi egoistici: per essere salvati e per essere benedetti da Dio. Un metodo per scoprire da quali motivazioni siete animati è quando avete molto successo nell'opera di Dio e, nel contempo, notate in voi la tendenza a guardare dall'alto in basso coloro che conoscono dei fallimenti. Fate attenzione: è la carne che cerca di dirvi quanto siete bravi. Quando questo accade, Satana usa la carne per suggerirci: "Guarda, sei tu che hai fatto questo!". La nostra natura carnale non vuole riconoscere il merito o la gloria allo Spirito Santo, perché la carne e lo Spirito di Dio sono nemici (Galati 5:17). Non dimentichiamolo mai! Motivo N° 2 → Le opere della legge sono in realtà frutto d'INCREDULITÀ Gesù, in Giovanni 15:5, disse: "Senza di me non potete fare nulla"… nulla di buono, s'intende. Allora, quando pretendiamo di poter agire da soli per il bene, in realtà è come se dicessimo a Dio: "No, non hai ragione". Permettetemi di farvi un esempio. Gesù aveva detto ai discepoli nella camera alta: "Tutti voi mi abbandonerete". I discepoli furono d'accordo con Lui? No. Di che cosa erano colpevoli? D'incredulità nei Suoi confronti. L'incredulità è la negazione di Dio e del Suo verdetto sulla carne. Dobbiamo ricordarlo, perché in Apoc. 3:17 troviamo due valutazioni contrastanti della nostra condizione spirituale. Noi diciamo che siamo "ricchi e ci siamo arricchiti e non abbiamo bisogno di nulla". Invece il Testimone Verace dice che noi siamo "infelici fra tutti, miserabili, poveri, ciechi e nudi". Chi dei due ha ragione? Siete convinti che Gesù stia dicendo la verità oppure pensate che stia commettendo un errore di valutazione? E tuttavia la nostra tentazione è ancora quella di dire: "Ma le nostre opere sono buone. Guarda che rapporti brillanti!".

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    Ma per buone che possano apparire ai nostri occhi le nostre opere delle legge, ricordiamoci sempre che tali opere sono basate sull'incredulità. Ogni volta che la carne cerca di fare qualcosa che Dio ha detto che non potete fare, in pratica state dicendo a Dio: "Signore, sei un bugiardo!". Questa è incredulità. In altre parole, che cosa intendeva Gesù quando, parlando con Nicodemo, affermò "Quello che è nato dalla carne è carne"? Non stava forse effettivamente dicendo: "Permettimi di dirti come stanno le cose, Nicodemo. Questa vostra carne non sarà mai capace di produrre la giustizia. L'unico modo mediante il quale potete produrre la giustizia è la nascita dall'alto per mezzo dello Spirito Santo".

    Foto: Rovine dell'antico acquedotto che portava le acque calde termali di Ierapolis a Laodicea, dove arrivavano tiepide Questa è una cosa da tener presente anche per un'altra importante ragione: solo la giustificazione si compie per fede o anche la santificazione? Questa è una delle questioni che dobbiamo affrontare oggi a livello teologico e che ha diviso i nostri studiosi riunitisi qualche anno fa a Palmadale. Alcuni dei nostri teologi sostennero, e tuttora sosten-gono, che lo stesso principio che si applica alla giusti-ficazione per fede non può essere applicato alla santificazione. In altre parole, la santificazione non avverrebbe unicamente per fede, ma vi sarebbero implicate anche le opere dell'uomo. Allora, se le opere hanno un ruolo nella santificazione, significa che, o la carne è diventata in qualche maniera buona, il che non sarebbe biblico, oppure che, essendo noi (e rimanendo) peccatori, non saremo mai in grado di raggiungere una santificazione totale, perché la carne non potrà mai produrre opere perfette. I teologi, che sostengono quest'ultima tesi, si appoggiano su dichiarazioni di Ellen White, dove lei afferma che le nostre opere sono così corrotte, a causa del canale della carne, che solo la giustizia di Cristo può presentarci perfetti davanti a Dio. La sor. White ha ragione sul fatto che non potremo mai presentarci davanti al Signore perfetti, ma in numerose altre dichiarazioni afferma che, mediante la grazia di Dio, è possibile vincere la carne. Per esempio, scrisse nel 1900: «Non è necessario che manteniamo una qualsiasi propensione al peccato» (Bible Commentary, Vol. 7 – pag. 943). Del resto anche la Scrittura afferma: "Camminate secondo lo Spirito e non adempirete i desideri della carne" (Galati 5:16) e ancora: "Ma siate rivestiti del Signor Gesù Cristo e non abbiate cura della carne per soddisfarne le sue concupiscenze" (Romani 13:14). Motivo N° 3 → Le opere della legge contraddicono l'amore-agape di Dio In I Corinzi 13:5 Paolo ci dice che "L'amore non cerca il proprio interesse" (Versione Riveduta Luzzi). Nell'agape non c'è egoismo. Quindi se facciamo qualcosa per motivi egoistici, cadiamo in contraddizione con l'agape che è il vero movente di tutte le opere della fede. Paolo dedica i primi versetti di I Corinzi 13 alla descrizione di opere, anche molto importanti, che però non hanno come motivazione basilare l'amore-agape che solo lo Spirito Santo può immettere in un cuore umano. E conclude ogni argomentazione dicendo: "Non sono nulla… tutto questo niente mi giova". Consideriamo l'esempio seguente: Pietro viene da Gesù e Gli dice: "Ecco, noi abbiamo abbandonato ogni cosa e Ti abbiamo seguito; che ne avremo dunque?". Si trattava di opere della legge o di opere della fede? Perché Pietro aveva abbandonato tutto? Egli credeva che il Messia avrebbe sconfitto i Romani e lui voleva essere uno dei ministri più importanti del nuovo governo. Ovviamente, era per ragioni egoistiche che aveva abbandonato tutto. Nonostante le opere della legge possano apparire buone esteriormente, esse sono prive di agape. Quindi sono, agli occhi di Dio, dei panni sudici.

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    Motivo N° 4 → La ragione finale per cui Cristo rigetta le opere della legge è molto importante: sono offensive nei confronti di Dio Le opere della legge negano Cristo come nostra Giustizia. Paolo, scrivendo ai Galati, li esorta: "Voi che cercate di essere giustificati mediante la legge, vi siete separati dal Cristo (cioè: Cristo ha perso per voi ogni efficacia); siete scaduti dalla grazia" (Galati 5:4). I Galati avevano lo stesso problema degli Ebrei? No. Gli Ebrei volevano la salvezza esclusivamente mediante le proprie opere. I Galati erano caduti in un'altra trappola; era sicuramente legalismo, ma legalismo in forma più sottile. I Galati si erano fatti l'idea che non fosse sufficiente accettare Cristo come loro giustizia; pensavano di dovervi contribuire facendosi circoncidere ed osservando la legge. In altre parole: salvezza per fede più le opere. La sor. White tratta questo problema nel primo capitolo del suo libro Faith and Works (Fede e Opere). In un passaggio impressionante, essa scrive:

    «Se la fede più le opere può provvedere ad ognuno il dono della salvezza, allora il Creatore si trova in posizione di obbligo nei confronti della creatura…». Poi essa continua dicendo che proprio in questo si è sbagliata la Chiesa Cattolica Romana che insegna la salvezza mediante la fede e la penitenza; occorre far penitenza dopo aver confessato i peccati.

    Foto: Un'altra immagine dell'antico acquedotto di Laodicea Quando ero cattolico e andavo a confessarmi, non potevo uscire dal confessionale liberato dai miei peccati: dovevo prima fare penitenza. Noi giovani eravamo furbi: stavamo attenti a quale prete ci fosse nei vari confessionali, perché alcuni assegnavano lunghe penitenze, altri brevi. In particolare, c'era un prete che trovava piacere nell'assegnare lunghe penitenze, per cui nessuno dei giovani andava da lui. Noi preferivamo aspettare un prete dal cuore gentile e la coda al suo confessionale era sempre più lunga delle code per gli altri preti. Quelli che aspettavano nella coda più breve erano specialmente persone

    anziane; esse desideravano fare lunghe penitenze perché pensavano che più lunga fosse la penitenza, più Dio le avrebbe accettate. Noi giovani andavamo invece dall'altro prete perché non cercavamo altro che l'assoluzione dai nostri peccati. La sor. White conclude il suo ragionamento, affermando che, se aggiungiamo alla fede le opere, non siamo diversi dai Cattolici. Conclusione Queste sono dunque le quattro ragioni per cui la tiepidezza (ovvero "le opere della legge") non è accettabile agli occhi di Dio:

    1. Le opere della legge sono ipocrite, poiché è impossibile alla carne incline al peccato produrre un'autentica giustizia.

    2. Le opere della legge sono colpevoli d'incredulità, perché negano il verdetto di Dio riguardo alla carne.

    3. Le opere della legge sono opere prive di amore-agape, quindi appaiono buone solo esterior-mente, avendo le motivazioni profonde contaminate dall'egoismo.

    4. Le opere della legge negano Cristo come nostra Giustizia. Sia la giustizia imputata (giustificazione) che la giustizia impartita (santificazione) devono venire totalmente da Cristo. Ciò che il mondo ha bisogno di vedere non è noi, ma Cristo che dimora in noi, e questo può avvenire solo tramite lo Spirito. Allora il mondo sarà illuminato (Apoc. 18:1).

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    CCCaaapppiiitttooolllooo 444°°° LLLAAAOOODDDIIICCCEEEAAA SSS'''IIINNNGGGAAANNNNNNAAA

    "Poiché tu dici: 'Io sono ricco, mi sono arricchito e non ho bisogno di nulla'; e non sai invece di essere disgraziato, miserabile, povero, cieco e nudo" (Apoc. 3:17) Possiamo agevolmente dividere questo versetto in due parti:

    a) La prima rappresenta l'opinione che ha Laodicea di se stessa, della propria condizione spirituale. b) La seconda è la valutazione di Cristo o la Sua reazione alla nostra valutazione.

    Il testo indica chiaramente che le due posizioni sono in completo disaccordo. C'è contraddizione fra quello che noi pensiamo di noi stessi e la valutazione che Gesù fa di noi. Inoltre Laodicea ha un problema inconscio, infatti il Salvatore le dice: "E non sai…". Se esiste questo disaccordo, ed è ovvio che esista, che cosa vuol dire Gesù, il Testimone Verace, quando afferma: "E non sai…"? Egli vuol dire che siamo stati ingannati, onestamente ingannati. La ragione per cui siamo stati ingannati risiede nel fatto che non abbiamo saputo distinguere le opere tiepide, della legge, dalle opere della fede. Fra le due la differenza è molto sottile, per cui è facile confonderle. Lutero non fu esente da questa colpa, anch'egli aveva fatto confusione, infatti condannò l'epistola di Giacomo che definì "un'epistola di paglia", anche se poi alla fine della sua vita ammise che Giacomo era uno scrittore ispirato. Lutero pensava che Giacomo contraddicesse Paolo e che quest'ultimo fosse nel giusto. In realtà, come vedremo, non esiste alcuna contraddizione fra le due posizioni. Quello che Paolo condanna non sono le opere della fede, ma le opere della legge, infatti scrive: "Perché nessuna carne sarà giustificata davanti a lui per le opere della legge" (Romani 3:20). E prosegue qualche versetto dopo: "Noi dunque riteniamo che l'uomo è giustificato mediante la fede senza le opere della legge" (Romani 3:28). Analogo discorso si trova in Galati 2:16. Paolo fa coincidere le opere della legge con quello che noi chiamiamo oggi legalismo, o "propria giustizia" ed è molto esplicito nel condannare chiunque cerchi di aggiungere le opere della legge alla giustificazione per fede (cfr. Galati 5:4 – vedi pag. 20). La giustificazione per fede e la giustificazione per opere della legge sono semplicemente inconciliabili! Si escludono a vicenda. Invece, Paolo difende le opere della fede e così è in armonia con Giacomo che cerca di dimostrare che la fede, se è autentica, produce le opere della fede! Nella sua epistola a Tito, Paolo mette in risalto due aspetti delle buone opere. In Tito 3:5 scrive: "Egli ci ha salvati non per mezzo di opere giuste che noi avessimo fatto, ma secondo la Sua misericordia, mediante il lavacro della rigenerazione e il rinnovamento dello Spirito Santo". Le nostre opere, dunque, non danno alcun contributo alla salvezza. Tuttavia, poche righe dopo, afferma: "Sicura è questa parola, e voglio che tu afferma con forza queste cose, affinché quelli che hanno creduto in Dio abbiano cura di applicarsi a opere buone. Queste sono le cose buone e utili agli uomini" (vers. 8). Notate: non a "noi", ma "agli uomini". Le buone opere sono una rivelazione agli uomini di quello che Cristo sta facendo in noi. Esse testimoniano della vera giustificazione per fede. Nella stessa lettera, parlando di Gesù, l'apostolo dichiara: "Il quale ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e purificare per sé un popolo speciale, zelante nelle buone opere" (Tito 2:14). Come già ricordato in precedenza, la parola "zelante" deriva dalla stessa radice da cui deriva anche il "fervente" di Apocalisse 3. Evidentemente Paolo è in favore delle buone opere, non per guadagnare la salvezza, ma per dimostrare l'autentica giustificazione per fede e per attrarre gli altri a Gesù Cristo. Quindi, Paolo e Giacomo sono in perfetta armonia.

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    Non ci confondiamo quando qualcuno ci dice che tutti gli eroi dell'Antico Testamento hanno ottenuto il favore di Dio mediante l'osservanza della Sua legge. Ebrei cap. 11 mostra molto chiaramente che tutti coloro che furono lodati per le loro buone opere, lo furono a motivo delle opere della fede. Avendo fatto questa premessa, sorge spontanea la domanda: perché le opere della legge ci hanno ingannato in modo tale da essere diventati ciechi, quindi inconsapevoli, riguardo alla nostra miserevole condizione spirituale? La differenza non è tanto nelle opere stesse perché, come abbiamo già visto, esteriormente entrambe appaiono uguali. Per esempio, due persone possono osservare il sabato o fare un'offerta per la chiesa: una lo fa come un'opera della legge, l'altra come frutto della fede. Agli occhi umani non vi è differenza, per cui è molto facile confonderle. Ci sono però due sostanziali differenze fra questi due modi di agire. Vediamole. Differenza N° 1 → La fonte La prima differenza sta nell'origine, cioè nella sorgente delle opere stesse. Le une sono fatte mediante sforzi umani, con la carne, le altre sono fatte direttamente da Cristo attraverso il Suo Spirito. Un ottimo esempio di questo si trova nella parabola del Fariseo e del pubblicano che vanno a pregare al tempio (Luca 18:9-14).

    Notate l'introduzione alla parabola, perché è d'importanza cruciale. La ragione d'essere di questa parabola sta appunto nel vers. 9: "Disse ancora questa parabola per certuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri". Disprezzare gli altri è tipico delle opere della legge. I legalisti tendono a guardare dall'alto in basso coloro che non sono alla loro altezza, che non forniscono le stesse prestazioni. Ai vv. 11-12 il Fariseo (una classe di persone che a quel tempo erano considerate molto sante, perché erano zelanti nell'osservanza della legge) elenca diverse "opere": non è ingiusto, non commette adulterio, digiuna, è fedele nella decima… Non è buono tutto questo? E tuttavia non stava facendo opere della fede, ma della legge. Che cosa non andava in questo suo modo di agire? In primo luogo, le sue opere facevano sì che egli si sentisse buono: non viveva per Dio, ma per se stesso. Praticamente stava dicendo al Signore: "O Dio, ti prego, guardami e riconosci come sono".

    In Matteo 7:22, Cristo cita di nuovo dei cristiani che faranno l'elenco delle cose fatte: "Molti diranno in quel giorno: 'Signore, Signore, non abbiamo noi profetizzato nel Tuo nome, e nel Tuo nome scacciato demoni e fatte nel Tuo nome molte opere potenti?'". Tuttavia il Salvatore, al vers. 23, dichiarerà di non averli mai conosciuti e li chiama "operatori d'iniquità". Il significato ebraico di questo termine è: "vivere per se stessi". Per l'Ebreo un iniquo è dunque uno che vive ripiegato su se stesso. Infatti, le opere della legge sono sempre fatte per la nostra gioia, per noi stessi. La fonte di tutto ciò è la carne. La carne non può fare opere autenticamente buone, ma anche se le fa, le motivazioni all'origine sono cattive, perché la carne è sempre dominata dall'ego. Notiamo quante volte il Fariseo, nella sua preghiera, dice "io". Prendiamo la decima: essa è in realtà una confessione che tutto quello che possiedi non ti appartiene, ma appartiene a Dio. Invece il Fariseo, praticamente, sta dicendo: "Questo è mio. Guarda, o Dio, sto aiutando la Tua chiesa. La Tua chiesa non può andare avanti senza di me, per cui io merito sicuramente qualche onore!".

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    In totale contrasto con questo atteggiamento, il pubblicano non aveva opere da sciorinare davanti al Signore: confidava interamente e unicamente nella Sua misericordia. Ora confrontate l'atteggiamento del Fariseo della parabola con quello dell'apostolo Paolo, descritto in Filippesi 3. Paolo, in cambio di Cristo e della Sua giustizia, getta via tutte le sue opere della legge per le quali, come Fariseo, andava famoso.

    Foto: Saulo sulla via di Damasco; conquistato dalla grazia di Cristo, diventerà Paolo, l'apostolo dei Gentili Al vers. 3 scrive: "I veri circoncisi infatti siamo noi (i veri cristiani) che serviamo Dio nello Spirito (Lo serviamo non nella lettera, ma nello Spirito) e ci gloriamo in Cristo Gesù senza confidarci nella carne". Al vers. 9 ribadisce: "Per essere trovato in Lui, avendo non già la mia giustizia che deriva dalla legge (cioè dalle opere della legge), ma quella che deriva dalla fede di Cristo: giustizia che proviene da Dio mediante la fede". Al vers. 10 continua: "Per conoscere Lui, Cristo, la potenza della Sua risurrezione

    e la comunione delle Sue sofferenze, essendo reso conforme alla Sua morte". Sta dicendo, in effetti: "Ora che ho accettato Cristo come mia giustizia, voglio che Egli viva in me". All'inizio di I Corinzi 15, Paolo tratta delle opere della fede, anche se non le cita espressamente. Al vers. 9 scrive: "Io infatti sono il minimo degli apostoli e non sono neppure degno di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la chiesa di Dio". Al vers. 10 continua: "Ma per la grazia di Dio sono quello che sono; la Sua grazia verso di me non è stata vana, anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me". Paolo sta dicendo che ha lavorato più di tutti gli altri apostoli, ma aggiunge che lo ha fatto per la grazia di Dio, lui è stato solo uno strumento volenteroso: le sue erano opere della fede. Differenza N° 2 → La motivazione La seconda differenza, strettamente collegata alla prima, sta nella motivazione. Un credente che s'impegna nelle opere della legge, lo fa per una o più delle seguenti ragioni:

    1. Paura della punizione; 2. Desiderio di una ricompensa: cioè vogliamo andare in cielo; 3. La ricerca della propria gloria

    Ho sempre trovato una certa difficoltà a cantare quell'inno che dice che quando sarò in cielo avrò "gloria per me"; avrei preferito che ci fosse scritto: "gloria per Cristo". Il compositore dell'inno intende dire che avrò gloria per me, a motivo di quello che Cristo fece, tuttavia queste parole suonano in una certa misura egocentriche. In Matteo 23, Gesù condanna il legalismo dei Farisei come ipocrisia. Quest'accusa è corretta perché, quando la carne pretende di essere buona, è come se indossasse una maschera per cercare di farsi passare per quello che non è. Gesù affermò, parlando dei Farisei: "Fanno tutte le loro opere (ricordate: erano opere buone) per essere ammirati dagli uomini". Era per questa ragione che pregavano in pubblico. Dunque il male non stava nelle opere, ma nella motivazione: volevano mostrare a tutti quanto fossero santi.

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    Il problema è che giudichiamo noi stessi in base alle nostre azioni. Dio invece ci giudica in base alle motivazioni che sono all'origine di quelle azioni. Gesù lo sottolinea in Matteo 5. Un fariseo avrebbe detto: "Non ho mai commesso un omicidio o un adulterio", ma Cristo dice: "Un momento, se odiate qualcuno nel vostro cuore, anche se non lo uccidete, è come se l'aveste fatto. Se guardate una donna con desiderio peccaminoso, anche se non commettete l'atto, agli occhi di Dio avete commesso adulterio". Dio guarda al cuore! Ecco perché, al giudizio, metterà in luce ogni movente segreto. "Tutte le vie dell'uomo sono pure ai suoi occhi, ma l'Eterno pesa gli spiriti" (Proverbi 16:2): non gli atti, ma lo spirito. Le due Alleanze di Galati 4 In Galati 4, Paolo fa l'esempio delle due Alleanze. L'Antico Patto è l'uomo che promette di fare la volontà di Dio per poter aver diritto al cielo. Nel Nuovo Patto l'uomo accetta per fede le promesse di Dio e Gli permette di compiere in sé le opere (il frutto dello Spirito). Questa è la differenza tra le due alleanze. Per illustrare questo concetto, Paolo usa come simboli i due figli di Abramo: Ismaele avuto dalla schiava Agar e Isacco avuto dalla moglie Sara. Chi fece nascere Ismaele? Abramo. Chi fece nascere Isacco? Dio, infatti Abramo non avrebbe mai potuto avere figli da sua moglie, perché Sara era sterile ed aveva oltrepassato l'età in cui poteva partorire figli. Gerusalemme era umanamente irraggiungibile, probabilmente per questo Dio aveva aspettato venticinque anni prima di adempiere la Sua promessa ad Abramo. Aspettò anche per mostrarci che le opere della fede sono prodotte da Dio solo quando noi camminiamo per fede, sulle orme di Abramo. Paolo, spiegando la sua allegoria, dice che "Agar è il monte Sinai" (Galati 4:25) e corrisponde alla Gerusalemme di quaggiù. Perché il monte Sinai? Perché quando Dio diede la legge sul Sinai, gli Ebrei dissero: "Noi faremo tutto quello che ci dici di fare". Questa era la Vecchia Alleanza: l'uomo promette a Dio di essere buono. Riuscirono gli Israeliti nell'intento? No!! E quando caddero, invece di riconoscere la loro sconfitta, moltiplicarono le regole da osservare, poi dissero al Signore: "O Dio, noi ubbidiamo alla Tua legge!". Paolo spiega che questo atteggiamento produce schiavitù, mentre nel Nuovo Patto, simboleggiato da Sara paragonata alla Gerusalemme celeste, c'è libertà: "State dunque saldi nella libertà con la quale Cristo ci ha liberati, e non siate di nuovo ridotti sotto il giogo della schiavitù (cioè il legalismo)" (Galati 5:1). In contrasto con il Sinai, Paolo osserva: "Invece la Gerusalemme di sopra è libera (dalle nostre opere) ed è la madre di noi tutti… Ora noi, fratelli, alla maniera di Isacco, siamo figli della promessa" (Galati 4:26,28). E continua al vers. 30: "Ma che dice la Scrittura? 'Caccia via la schiava e suo figlio (questi rappresentano le opere della legge), perché il figlio della schiava non sarà erede col figlio della libera'." Abramo stava cercando di piacere a Dio generando Ismaele, e tuttavia il Signore rigettò Ismaele come figlio promesso, perché Ismaele era frutto dello sforzo umano. Quindi è chiaro che Agar e suo figlio rappresentano le opere della legge prodotte dalla carne, mentre Isacco è simbolo della promessa di Dio e dell'opera di Dio attraverso Sara. Commenta Ellen White: «La nascita del figlio di Zaccaria, come quella del figlio di Abrahamo e del figlio di Maria, ci insegna una grande verità, quella della nostra lentezza a imparare e della tendenza a dimenticare che noi pure abbiamo. Da soli non possiamo fare il bene; se invece siamo umili e credenti, la potenza di Dio compirà in noi tutto quello che non siamo capaci di fare da soli.» (Desire of Ages - pag. 98).

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    Conclusione Perché insistere tanto su questo punto? Perché è un argomento che ci interessa ancora. Molti si lasciano tuttora ingannare da una forma sottile di legalismo ed ignorano sinceramente il problema. Laodicea è stata ingannata e non è consapevole di esserlo stata. Ora, è vero che la fede comporta sempre uno sforzo ed è sempre una battaglia, perché… che cosa significa fede? La fede messa in pratica significa due cose:

    1. La prima è negativa: "non io"; 2. La seconda è positiva: "ma Cristo".

    Il "non io" è la parte più difficile, perché è qualcosa che si contrappone alla nostra natura peccaminosa e al nostro orgoglio. Per dire "non io", dobbiamo andare contro la nostra tendenza naturale e questo è doloroso per il nostro ego. Fondamentalmente, desideriamo che ci venga riconosciuto che abbiamo qualche merito nell'opera della nostra santificazione, ragion per cui preferiamo dire: "Io più Cristo… solo la giustificazione si riceve per fede, nella santificazione devo mettere qualcosa di mio (il mio sforzo, la mia volontà)". Ma questo non è vero, la Bibbia insegna che c'è inimicizia tra la carne e Dio; la carne non è soggetta alla legge di Dio e non potrà mai esserlo (Romani 8:7).

    "Non io, ma Cristo" è costantemente necessario in ogni circostanza: è questo che il Salvatore va dicendo a Laodicea. Noi siamo stati ingannati dalle nostre opere della legge che somigliano tanto a quelle della fede; per questo diciamo di essere ricchi e di esserci arricchiti. Ma Cristo ci dice che siamo: "infelici fra tutti, miserabili, poveri, ciechi e nudi". La parola "infelice" compare solo due volte in tutto il Nuovo Testamento. Oltre che nella valuta-zione di Cristo a Laodicea, si trova in Romani 7:24 dove Paolo dice: "Misero me uomo…". È vero che, insieme a Paolo, possiamo dire: "Io posso ogni cosa in Colui che mi fortifica" (Filippesi 4:13), ma lo possiamo affermare solo dopo aver ammesso che, senza di Lui, siamo "miseri" (la Nuova Diodati traduce: "disgraziato" in Apocalisse 3 e "miserabile" in Romani 7). Ora, arriviamo a dire sinceramente "misero me uomo", solo quando ci rendiamo conto che le nostre opere della legge, per buone che possano apparire, sono agli occhi di Dio, vesti sudice e peccato. Nell'ambito delle opere della fede, il credente si riconoscerà sempre come peccatore, non si sentirà mai giusto. Nell'ambito del legalismo, invece, più fate opere buone e più sale la considerazione che avete di voi stessi. Coloro che hanno molto successo nelle opere della legge, sono pronti a credere o a dire: "Dalla data X non ho commesso nessun peccato". Questo è il tipo di atteggiamento che distruggerà il nostro popolo: è questa, in conclusione, la condizione nella quale si trova Laodicea. Notate invece quello che dice Paolo in I Timoteo 1:15: "Io sono il primo dei peccatori". Usa il tempo presente, non passato. È vero che anche un legalista potrà dire di tanto in tanto: "Io non sono buono", ma il senso autentico di quest'affermazione sarà: "Sono fiero della mia umiltà!".

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    CCCaaapppiiitttooolllooo 555°°° LLLAAAOOODDDIIICCCEEEAAA VVVIIIEEENNNEEE CCCOOONNNSSSIIIGGGLLLIIIAAATTTAAA

    "Ti consiglio di comperare da me dell'oro affinato col fuoco per arricchirti, e delle vesti bianche per coprirti e non far apparire così la vergogna della tua nudità, e di ungerti gli occhi con del collirio, affinché tu veda" (Apoc. 3:18) Mentre noi crediamo di essere ricchi e di esserci arricchiti e di non aver bisogno di nulla, il Testimone Verace di