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Edizione curata da Matteo Itri Anno XIX n. 1 - Gennaio 2010 Veglia ecumenica diocesana Sabato 23 gennaio, ore 18, in Cattedrale per l’unità dei cristiani EMERGENZA HAITI E ROSARNO ALL INTERNO: LA TRAGEDIA CHE HA COLPITO IL CENTRO- AMERICA E UNANALISI DI QUANTO SUCCESSO IN CALABRIA Noi cristiani e il carnevale Evviva gli sposi! La domanda apparentemente semplice neces- sita a sua volta di alcuni approfondimenti pro- prio per cercare di non equivocare il tentativo di risposta. Le domande che ci porremo su questa domanda, consapevoli del limite imposto dalla neces- sità di sintesi, sono: «Quan- do usiamo il termine “carne- vale”, che cosa intendiamo? Quando parliamo di “tradi- zione cristiana”, che cosa in- tendiamo?». Il carnevale ha tradizioni molto antiche, quando il passaggio dall’inverno alla primavera veniva eviden- ziato e propiziato con culti ancestrali. Se risaliamo, ad esempio, ai Saturnalia latini o ai culti dionisiaci possia- mo capire dal motto “semel in anno licet insanire” (“una volta all’anno è lecito non avere freni”) come una delle caratteristiche costitutive del carnevale è quella di poter oltrepassare la norma. La tradizione del Carnevale di Venezia, ci può aiutare a percorrere l’evoluzione dello spirito carnevalesco. continua a pagina 2 Un bel gruppo di giovani coppie, alcune sposa- te da pochi mesi, altre da pochi anni, bambini che rendono frizzante l’atmosfera, motivazioni della presenza che vanno dal “confrontarsi e ar- ricchirsi delle esperienze altrui” al “condividere i primi inciampi”, dal “trova- re un tempo per la coppia” al “migliorare la comunicazio- ne della coppia” o al “vivere appieno la vita di coppia alla luce della fede”. Con questi ingredienti come non gioire e sperare in qual- cosa di bello?! Così è partito, con il primo incontro di domenica 10 gen- naio, il cammino di un nuovo gruppo di giovani sposi nella nostra parrocchia. Ci incontre- remo una volta al mese, par- tecipando alla Messa pomeri- diana e condividendo, prima in coppia e poi in gruppo, le riflessioni che alcuni temi ci susciteranno. Cercheremo di riscoprire il matrimonio come vocazione, di “im- parare” a coltivare e far crescere il nostro amore, di immaginare come aprirsi alla comunità par- rocchiale e al mondo in cui viviamo. continua a pagina 3 DOMANDA ALL ESPERTO a cura di F ABIO BILANCIONI

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Page 1: Sabato 23 gennaio, ore 18, in Cattedrale per l’unità dei ... · ai Veneziani di lasciar da par- ... nell’orto degli ulivi, dice loro: «La mia anima è triste fino alla mor-te;

Edi

zion

e cu

rata

da

Mat

teo

Itri

Anno XIX n. 1 - Gennaio 2010

Veglia ecumenica diocesanaSabato 23 gennaio, ore 18, in Cattedrale per l’unità dei cristiani

EmErgEnza Haiti E roSarnoAll’interno: lA trAgediA che hA colpito il centro-AmericA e un’AnAlisi di quAnto successo in cAlAbriA

noi cristianie il carnevale

Evvivagli sposi!

La domanda apparentemente semplice neces-sita a sua volta di alcuni approfondimenti pro-prio per cercare di non equivocare il tentativo di risposta. Le domande che ci porremo su questa domanda, consapevoli del limite imposto dalla neces-sità di sintesi, sono: «Quan-do usiamo il termine “carne-vale”, che cosa intendiamo? Quando parliamo di “tradi-zione cristiana”, che cosa in-tendiamo?».Il carnevale ha tradizioni molto antiche, quando il passaggio dall’inverno alla primavera veniva eviden-ziato e propiziato con culti ancestrali. Se risaliamo, ad esempio, ai Saturnalia latini o ai culti dionisiaci possia-mo capire dal motto “semel in anno licet insanire” (“una volta all’anno è lecito non avere freni”) come una delle caratteristiche costitutive del carnevale è quella di poter oltrepassare la norma. La tradizione del Carnevale di Venezia, ci può aiutare a percorrere l’evoluzione dello spirito carnevalesco.

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Un bel gruppo di giovani coppie, alcune sposa-te da pochi mesi, altre da pochi anni, bambini che rendono frizzante l’atmosfera, motivazioni della presenza che vanno dal “confrontarsi e ar-ricchirsi delle esperienze altrui” al “condividere

i primi inciampi”, dal “trova-re un tempo per la coppia” al “migliorare la comunicazio-ne della coppia” o al “vivere appieno la vita di coppia alla luce della fede”.Con questi ingredienti come non gioire e sperare in qual-cosa di bello?!Così è partito, con il primo incontro di domenica 10 gen-naio, il cammino di un nuovo gruppo di giovani sposi nella nostra parrocchia. Ci incontre-remo una volta al mese, par-tecipando alla Messa pomeri-diana e condividendo, prima in coppia e poi in gruppo, le riflessioni che alcuni temi ci susciteranno. Cercheremo di

riscoprire il matrimonio come vocazione, di “im-parare” a coltivare e far crescere il nostro amore, di immaginare come aprirsi alla comunità par-rocchiale e al mondo in cui viviamo.

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DomanDa all’esperto a cura di Fabio bilancioni

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DOMANDA ALL’ESPERTO • LA DOMANDA ALL’ESPERTO • LA DOMANDA ALL’ESPERTO • LA DOMANDA ALL’ESPE

Come si concilia il carnevalecon la tradizione cristiana?

risponde Fabio Bilancioni, diacono

Quando il Carnevale consentiva ai Veneziani di lasciar da par-te le occupazioni per dedicarsi totalmente ai divertimenti rie-cheggiavano ad esempio que-sti versi: «Qui la moglie e là il marito. Ognuno va dove gli par. Ognun corre a qualche invito, chi a giocar chi a ballar». Nei racconti, forse esagerati, dei nostri anziani genitori, i giorni di Carne-vale a Fano erano momen-ti in cui gesti normalmente folli, come una sassaiola tra la festa, erano non solo accettati, ma vissuti come momento esaltante. La stessa parola carnevale, che potrebbe derivare dal latino “carnem levare” (“elimi-nare la carne”), riferita al banchetto che si imbandiva prima di iniziare il periodo di Quaresima, sembra evidenzia-re, per questo periodo dell’an-no, la valenza e la potenza della carne, carne-vale, indicando proprio la carne come libero spazio alla istintività: l’abdi-cazione della ragionevolezza. Oggi, il carnevale è vissuto, per la maggior parte dei casi, come momento di festa, spensiera-tezza. Oggi, purtroppo, l’andare oltre, sballare, è una condizione svincolata da un periodo parti-colare dell’anno e, per assurdo, il periodo che era ufficialmente da sballo, il carnevale, è si e no rimasto periodo di “ballo”.Passando al secondo punto, nella teologia cristiana le pre-dicazioni degli apostoli alle co-

munità cristiane raccolte nel Nuovo Testamento vengono identificate come “Tradizione cristiana”. Se vogliamo percor-rere la storia della Chiesa nelle sue evoluzioni e restringere il campo, dovremmo usare più propriamente i termini: “Tradi-

zione cattolica”. Come definito nella Dei Verbum (8), la tradi-zione cattolica è la Chiesa, “tut-to ciò che essa è, tutto ciò che essa crede”, nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, nell’atto in cui si perpetua e tra-smette a tutte le generazioni.Per sua natura essa trova la sua Luce in Cristo e il suo compito, la sua missione, è perpetua-re, contestualizzandolo, il Suo insegnamento-testimonianza: amare affinché ogni uomo si senta amato e si riconosca quin-di creato per amare. Cristo non giudica la peccatrice ma la ama e le chiede di non peccare più, cioè di vivere relazioni di vero Amore. La Chiesa quindi non è chiamata a condannare, ma a portare alla salvezza aman-

do. Gesù non è legato a delle regole-Legge, ma la Sua unica regola è l’amore per l’umanità, la valorizzazione della dignità e il risveglio della divinità di ogni singolo uomo. La Chiesa non è legata a delle regole ma ha il compito di aiutare l’umanità a

discernere, tra le vie-espe-rienze della vita concreta, la Via per la vera Vita. La Chiesa ha la responsabilità di individuare ed indicare, in una continua evoluzione culturale e sociale, il difficile rapporto chiesto ai cristiani di vivere intensamente la vita evitando di mortificar-la. Proporre e testimoniare il pensiero cristiano sulla e della vita: l’etica cristiana.Unendo questi due percorsi potremmo forse riformula-re così la domanda: «Come

vivere il periodo di carnevale cristianamente?». Facendo in modo che ogni festa sia un inno alla vita in stretto rapporto e come testimonianza di un’etica cristiana. Che l’idea di far festa sia bilanciata dall’idea di vive-re pienamente la quotidianità che non vuol dire non-festa, ma dare senso a momenti e tempi diversi: il tempo dello svago, il tempo del lavoro, il tempo dello studio, il tempo del riposo, ec-cetera. Che si sappia ringrazia-re per la possibilità di aver fatto festa e ci si metta in moto, tutti i giorni, per fare in modo che chi fatica a vivere possa arrivare a vivere dignitosamente e parte-cipare alla festa della vita.Buon carnevale e buona vita a tutti quanti.

Invia la tua domanda a Cristophorus, via Roma, 169 Fano 61032 (PU) o inviando un’e-mail a [email protected] ESPERTO RISPONDERÀ ALLA TUA DOMANDA ANCHE SE NON SARÀ PUBBLICATA SUL PROSSIMO NUMERO DI CRISTOPHORUS!

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aprirsi il cuore vicendevolmenteUn bel gruppo di giovani coppie. alcune sposate da pochi anni, altre da pochi mesi

Cambiare stile di vita si deve

Soprattutto cercheremo di “condividere l’interiorità”.La condivisione della propria vita interiore costituisce uno degli aspetti più profondi e costruttivi del dialogo in famiglia, tra marito e moglie, tra genitori, figli e fratel-li. Non è un esercizio molto usuale oggi, perché lo si ritiene abbastan-za inutile e poco produttivo. Ciò che conta sembra essere l’efficien-za, per cui se dire una cosa serve a uno scopo concreto e pratico la si dice, altrimenti si tace. Da qui si vede, dunque, come anche le no-stre relazioni umane, quelle più intime, siano state inquinate dalla logica del profitto e dell’utile. In

realtà la comunicazione, se vuol essere completa e autentica, non può limitarsi a ragionamenti, opi-nioni, notizie da dare all’altro, ma deve arrivare ad essere un “dire di se stessi”, chi sono io, ciò che pro-vo, quello che sento di fronte a fat-ti e ad avvenimenti. Non basta dire le proprie idee o le cose da fare. In nome di questa completezza della comunicazione, dunque, di-venta davvero importante che in famiglia si impari a condividere i propri sentimenti e le proprie emo-zioni. Ma non solo. Questo eserci-zio ha una finalità molto impor-tante: quella di conoscere nella sua totalità la persona che ho davanti, che è fatta delle sue idee, opinioni, ma anche e soprattutto di sensibi-lità, di emozioni e di una vita inte-riore assai ricca e importante. Dire i propri sentimenti, quindi, non è semplice sentimentalismo, ma fo-tografare il proprio animo, dire il proprio vissuto, come si reagisce dentro a una situazione che si sta vivendo o pensando.

Per fare questo, però, occorre ri-conoscere e dare un nome alle proprie emozioni. È importante notare come anche Gesù non si sia vergognato di aprire il suo ani-mo ai suoi discepoli, quando nel momento cruciale della sua vita, nell’orto degli ulivi, dice loro: «La mia anima è triste fino alla mor-te; restate qui e vegliate con me» (Mt 26,38). Aprire il proprio ani-mo all’altro è un segno di grande comunione ed esige una notevole capacità di ascolto. Chi sa davve-ro ascoltare ti sente anche quando non dici nulla. Si giunge così alla vera e propria empatia.Aprirsi vicendevolmente il cuore in profondità, dunque, produce vita in pienezza e dà speranza.

Il prossimo appuntamento è per domenica 7 febbraio, se qualcuno volesse aggregar-si può chiedere informazioni in parrocchia; siamo tanti, ma c’è posto per tutti!

Lucia, Massimo e don Mauro

Tante le realtà presenti: Caritas, Azione Cattolica, ACLI, Scout ed immancabilmente i membri del-lo staff della scuola di pace dio-cesana. Altrettanti i testimoni veri, diretti, capaci di raccontare che vivere in pace con sobrietà è possibile. Un’atmosfera calda. Questo il clima che ha accolto, sabato 9 gennaio, presso il Duo-mo di Fano, la ventesima veglia diocesana di preghiera per la Pace. Un’assemblea numerosa ed attenta, caratterizzata dalla com-presenza di tutte le fasce d’età; tanti infatti sono stati i giovani che hanno preso parte ad un sa-bato sera, per così dire, “alterna-tivo”, riunendosi per pregare per qualcosa che coinvolge indistin-

tamente ogni individuo: la Pace.A ritmare la serata era il messag-gio del Papa per la giornata mon-diale della Pace, che ha interval-lato la testimonianza di padre Natale Brescianini, priore della comunità monastica camaldo-lese dell’eremo di Montegiove, e la riflessione del nostro vescovo Armando. «La crisi attuale è una crisi spirituale. Vivere in sintonia con il creato – ha detto padre Na-tale – è senza dubbio una forte emozione per l’uomo, ma riguar-da in primo luogo la sua spiritua-lità. Vivere in pace con il creato ci spinge a rivedere il nostro stile di vita e la solidarietà verso i fra-telli» […]. «Un nuovo stile di vita non si improvvisa; – ha detto a

proposito il vescovo Armando – esso è composto da tre elemen-ti: la spiritualità, una scelta e la prassi. A monte occorre un nuovo rapporto con le cose, con le per-sone, con il creato e, quindi, un nuovo rapporto con la mondiali-tà. Bisogna essere abili a passare da una concezione del “sempre di più” ad una del “forse è già trop-po”» […].

da Il nuovo amico

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Anno XIX n. 1 - Gennaio 2010

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ServizioStampaparrocchiale

«Una tragedia che ha col-pito famiglie innocenti, soprattutto nel paese più povero del sud Ame-rica, non può lasciarci inerti e in-differenti». Sono le prime parole di commento e incoraggiamento di don Giuliano Marinelli, Direttore della Caritas diocesana, che chiede alla popolazione la sensibilità che sempre ha dimostrato.Un team della Caritas nazionale di circa 10 persone è già partito per Haiti, mentre sono già presenti sul posto alcuni operatori delle Caritas europee. Dalle informazioni ricevu-te, le diocesi a nord e a sud del Paese sembra che non siano state colpite in modo grave e che possano esse-re utilizzate per l’accoglienza degli sfollati, oltre che come base per lo stoccaggio degli aiuti.

Un appello per Haiti è stato lanciato da papa Benedetto XVI al termine dell’udienza generale del mercoledì. «Mi appello alla generosità di tutti – ha detto il Papa – affinché non si faccia mancare, a questi fratelli e so-relle che vivono un momento di ne-cessità e di dolore, la nostra concreta solidarietà e il fattivo sostegno della Comunità internazionale». Anche il Vescovo Armando Trasarti fa sue le parole del Papa per estenderle all’inte-ra popolazione del-la Diocesi di Fano Fossombrone Cagli Pergola.

Per soste-nere gli interventi in corso si possono inviare offerte a:

Caritas diocesana di Fano, c/c n° 11701612, specificando nella causa-le “Emergenza Terremoto Haiti” – Via Rinalducci, 61032 Fano (PU).

Il 24 gennaio, in tutte le parrocchie italiane, sarà fat-ta una raccolta straordinaria indetta dall presidenza della Conferenza Episcopale Italia-na.

da fanodiocesi.it

Gli episodi susseguitisi pres-so la città calabra di Rosarno nei pri-mi giorni di questo mese non fanno altro che suscitarmi un grande inter-rogativo, un grande “perché” di fron-te a questa tragedia sociale.Credo che sia superfluo citare la no-stra Costituzione per dire che ogni cittadino ha pari dignità sociale (art. 3) e diritto al lavoro (art. 4). L’unico “problema” è – come qualcuno po-trebbe osservare – che la Costituzio-ne parla di “cittadini”, mentre molti immigrati sul territorio italiano sono in condizioni di completa clandesti-nità, sopra ogni regola, e quindi non aventi diritto di cittadinanza.Non accenno nemmeno del fatto che, per chi di noi si professa cristiano, dovrebbe valere un criterio di ugua-glianza che supera ogni etichettatura sociale.Noi tutti, però, dovremmo imparare a considerare impossibile la concezio-ne secondo la quale un determinato

pezzo di terra appartenga in via del tutto esclusiva ad uno stretto gruppo di persone. Nella Creazione, infatti, l’uomo è stato posto sulla terra, ovve-ro è entrato in un ambiente che non gli è proprio, ma in cui è ospite! Per chi crede, Dio non ha vincolato le sue creature all’interno di muri invisibili detti “confini”; l’unica volta che ha voluto assegnare un territorio ad un particolare popolo (Israele, sebbene sia un racconto prettamente simbo-lico), non sono seguite altro che bat-taglie o vere e proprie guerre a cui assistiamo ancora oggi.Pensarsi padroni di un luogo o co-munque sia migliori di qualche al-tra persona è qualcosa che non può essere legittimato da alcun punto di vista.Anziché ritenerci grati della estrema disponibilità del pianeta nei nostri confronti, dimostrando un attento senso del consumo, cerchiamo di ac-caparrarci anche più del necessario,

magari arrivando a vendere anche ciò che per natura non è affatto no-stro (la privatizzazione dell’acqua ne è un esempio).Le stesse persone che ci stanno at-torno, nessuna etnia esclusa, hanno pieno diritto, così come ciascuno di noi, di “calpestare” questa terra e di goderne dei relativi frutti. Vedere in queste persone dei veri e propri ne-mici, se non addirittura degli “esseri inferiori”, è un’autentica bestemmia contro il Creato e chi della Creazione è l’artefice.

Questo è il pericoloso germe del razzismo, un fenomeno sociale che si credeva sconfitto, ma che per-sone irrispettose (prima di tutto di se stesse) ancora vanno alimentando.In questi termini, possiamo, come qualcuno sostiene, definirci una po-polazione “superiore”?

Matteo Itri,Presidente parrocchiale di AC

«niente indifferenza per Haiti»L’appello del direttore della Caritas diocesana monsignor giuliano marinelli

rosarno e il vecchio mito della razza