schizofrenia la spada
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Analisi delle caratteristiche del linguaggio schizofrenico alla luce dei risultati ottenuti tramite l'utilizzo della tecnica di rilevamento dei Potenziali evento-correlati (Erp) linguistici.TRANSCRIPT
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Francesca La Spada
La Semantica Esistenziale nei Potenziali
Evocati:
Schizofrenia e Linguaggio
Tesi di Laurea
A.A. 2007/2008
Università degli Studi di Messina
Tecnologie dell’Istruzione e della Comunicazione
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Indice
Abstract 10
Introduzione 15
Parte Prima. Schizofrenia: storia, definizione ed analisi linguistica
1. La storia della schizofrenia 19
1.1 Le origini 201.2 Il malato di mente come essere umano 211.3 La dementia praecox 221.4 Dalla dementia praecox alla schizofrenia 231.5 La psicoanalisi 241.6 Malattia mentale e linguaggio 251.7 Dopo Binswanger 26
2. Cos’è e come si manifesta la schizofrenia 282.1 Definizione di schizofrenia 282.2 La sintomatologia 29
2.2.1 I sintomi negativi 302.2.2 I sintomi positivi 31
2.3 Le allucinazioni 322.3.1 Il caso Aline 32
2.4 Il delirio 332.4.1 Il caso Suzanne Urban 33
2.5 Il pensiero disorganizzato 352.5.1 Il deragliamento 362.5.2 Il sillogismo debole 382.5.3 Neologismi e paralogismi 392.5.4 I giochi 41
2.6 I limiti del linguaggio schizofrenico 412.7 Il comportamento disorganizzato 42
Parte Seconda. Gli ERPs
1. Cosa sono gli ERPs 451.1 Come leggere gli ERPs 451.2 I diversi tipi di ERP 461.3 I potenziali endogeni 47
1.3.1 La ELAN 471.3.2 La P300 e le sue subcomponenti 481.3.3 La N400 491.3.4 La P600 o LPC 50
1.4 Come vengono registrati gli ERPs 50
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2. Potenziali evento-correlati e sintassi 512.1 Le violazioni della struttura sintagmatica 512.2 Le violazioni di sottocategorizzazione 522.3 Le violazioni di accordo 522.4 Deduzioni 53
3. Potenziali evento-correlati e semantica 553.1 I fattori che influenzano l’accesso lessicale: l’effetto priming 55
3.1.1 Conseguenze dell’effetto priming 573.2 L’effetto frequenza 59
4. Potenziali evento-correlati e ambiguità strutturale 604.1 L’ambiguità strutturale 60
4.1.1 Reazioni cerebrali 61
5. ERPs e le altre variazioni 63
Parte Terza. ERPs e schizofrenia
1. Schizofrenia e percezione 651.2 Percezione 66
2. Schizofrenia e sintassi 682.1 ERPs e sintassi schizofrenica 69
3. Schizofrenia e semantica 703.1 La comprensione 713.2 Ipo-attivazione, iper-attivazione e contesto 72
3.2.1 Il potenziale di riconoscimento 723.2.2 Priming semantico ed effetto di ripetizione 73
4. N400 e sue variazioni 754.1 N400 e disordine del pensiero 76
5. N400, P300 ed LPC 775.1 ERPs e metafore 80
6. Schizofrenia e pragmatica 80
Conclusioni 85
Riferimenti Bibliografici 90
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Abstract
From religious to illuminist persecutions, from internment
to exorcism, men have always tried to give an explanation of
mental illnesses and, unfortunately, such explanation has often
been extremely deleterious for the unlucky man who found
himself living a mental illness in that period.
From 1908 (the year in which E. Kraepelin, the father of
the modern psychiatry, defined the dementia praecox) to
nowdays, the studies that have tried to individualize the cause of
such pathology have had a more and more scientific approach to
the matter, and above all, it has been tried to give back dignity to
the individual.
From Pinel to Esquirol, from Kraepelin to Bleuler, until
Freud, the analysis of the schizophrenia has evolved in the
direction of a personalization of its symptoms, not in the
personalization of the whole pathology.
During XX century, even if there were a lot of organicistic
doctrines which tried to bring together cerebral and psychic
capacities, a field of studies which originated at the time didn’t
consider the patient as a body of symptoms, but as a “generator
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of different experiencial and linguistic worlds” (Falzone, 2004).
The philosophical psychiatry and, above all the existential-
fenomenologic psychiatry, whose major exposer is Ludwig
Binswanger, start from the presupposition that a link between
language and existence exists and that, therefore, the
schizophrenic language is the expression of the schizophrenic
existence. So to understand such existence it is indispensable a
thorough analysis of such language. But during the XX century,
the studies on the schizophrenia have also oriented themselves
towards other directions, such as: a genetic origin (Annett, 1999;
Crow, 2000), an organic neuropatologic and/or biochemical
cause (Pol et al., 2004), a social-enviromental origin (King and
Coker, 1994; Eaton et al., 1988), and also an ontological-
existential origin (Pennisi, 1998), which related itself to the
binswangerian theory.
After this brief historic introduction, which enables us to
underline that the fenomenologic-existential theory is different
from the past and the contemporary ones, we start from the
analysis of some trademark of the schizophrenic language as the
delirium, the loss of goal, the neologism and the paralogism, the
syntactic virtuosity and a series of linguistic expedients as the
metaphor, the syncopation, the aphaeresis and the apocope, the
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hyperbaton and the kenning, and, finally, the behavior, which is
another way to express the existence, with examples and
explanations proposed by various authors.
We will analyze the schizophrenic language through
studies which use a modern technique for the measuring and the
visualization of the cerebral activity, the Event-Related Potentials
(ERPs). They start from the measuring and the graphic
representation of the cerebral electric activity caused from verbal
stimulus. In this way they allow us to control -as time increases-
this activity, to ascertain if there are distortions in the linguistic
processing, and to localize the level affected (perceptive,
phonetic, morphemic, syntactic, lexical, semantic and pragmatic).
Analyzing level by level and comparing the ERPs results to the
schizophrenic language analysis proposed in the first chapter, we
will exclude a perceptive (Pardo et al., 1995; Mohr et al., 2001),
phonetic and morphemic (Covington et al., 2005), and syntactic
(Ruchsow et al., 2003; Ye et al., 2006) schizophrenic deficit.
Analyzing the semantic (Grillon et al., 1991; Martìn-
Loeches et al., 2004; Moritz et al., 2002; Kiang e Kutas, 2005;
Matsumoto et al., 2001; Kostova et al., 2005; Bharat et al., 2000;
Yoshino et al.; Ohta et al., 1999) and pragmatic ERPs (Iakimova
et al., 2005; Ditman e Kuperberg, 2007), we will notice clear
13
abnormalities which underline a difficulty in inserting the
meanings of the words inside contexts socially shared, giving a
test of the validity with the existential-fenomenologic theory
which considers the mental illness as one of the infinite ways of
being in the world that every individual carries out in the
relationship with himself and others.
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Introduzione
Dalle persecuzioni religiose a quelle illuministe, dall’internamento
all’esorcismo, gli uomini hanno sempre cercato di darsi una spiegazione
delle malattie mentali e, purtroppo, molto spesso la spiegazione è stata
estremamente deleteria per il povero sfortunato che si trovava a dover vivere
in quel periodo la malattia mentale.
Dal 1908, data in cui E. Kraepelin, padre della psichiatria moderna, definì
la dementia praecox, ad oggi, gli studi atti all’individuazione della causa di
tale patologia hanno avuto via via un approccio più scientifico alla
questione, e soprattutto si è cercato di restituire dignità all’individuo.
Da Pinel a Esquirol, da Kraepelin a Bleuler, sino a giungere a Freud,
l’analisi della schizofrenia si è evoluta nella direzione di una
personalizzazione, se non dell’intera patologia, almeno dei suoi sintomi.
È con il XX secolo che, nonostante la massiccia presenza di dottrine
organicistiche che cercano di far confluire in un unico fenomeno le funzioni
cerebrali e le funzioni psichiche, si sviluppa un settore di studi filosofici che
parte dal presupposto di non considerare il malato come un insieme di
sintomi, ma come “generatore di mondi esperenziali e linguistici differenti”
(Falzone, 2004). La psichiatria filosofica e, soprattutto la psichiatria
fenomenologico-esistenziale, il cui maggior esponente è Ludwig
Binswanger, partono dal presupposto che esista un legame tra linguaggio ed
esistenza e che, dunque, il linguaggio schizofrenico sia l’espressione
dell’esistenza schizofrenica. Per comprendere a pieno tale esistenza è
dunque indispensabile un’analisi approfondita di tale linguaggio.
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Ma nel corso del XX secolo, gli studi sulla schizofrenia si sono orientati
anche verso altre direzioni: verso la possibilità di un'origine genetica
(Annett, 1999; Crow, 2000), di una causa organica neuropatologica e/o
biochimica (Pol et al., 2004), di un'origine socio-ambientale (King and
Coker, 1994; Eaton et al., 1988), ma anche di una origine ontologico-
esistenziale (Pennisi, 1998), prosecutrice della teoria binswangeriana.
Dopo questa breve introduzione storica, atta a sottolineare la diversità,
rispetto al passato, ma anche rispetto ai contemporanei, della teoria
fenomenologico-esistenziale, partiremo dall’analisi di alcune caratteristiche
del linguaggio schizofrenico quali le produzioni deliranti, i deragliamenti, i
neologismi e i paralogismi, il virtuosismo sintattico e tutta una serie di
espedienti linguistici quali l’uso eccessivo della metafora, di sincopi, aferesi
e apocopi, dell’iperbato e della perifrasi, e, in fine, anche di un’altra
modalità di espressione dell’esistenza, il comportamento, con l’ausilio di
esempi e chiarimenti proposti da diversi autori.
Analizzeremo, poi, il linguaggio schizofrenico tramite studi che hanno
impiegato una moderna tecnica di misurazione e visualizzazione dell’attività
cerebrale, i Potenziali Evento-Correlati (ERPs), che, partendo dalla
misurazione e successiva rappresentazione grafica dell’attività elettrica
cerebrale prodotta da stimoli verbali, consentono di seguire in successione
temporale tale attività, permettendo di stabilire in maniera piuttosto precisa
se esistono alterazioni nell’elaborazione linguistica dei soggetti in esame e
circoscriverne il livello: percettivo, fonetico, morfologico, sintattico,
lessicale, semantico e pragmatico.
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Analizzando livello per livello e confrontando i risultati degli ERPs con
l’analisi del linguaggio schizofrenico proposta nel primo capitolo,
escluderemo un deficit schizofrenico a livello percettivo (Pardo et al., 1995;
Mohr et al., 2001), fonologico/fonetico e morfologico (Covington et al.,
2005), e sintattico (Ruchsow et al., 2003; Ye et al., 2006).
Dall’analisi degli ERPs a livello semantico (Grillon et al., 1991; Martìn-
Loeches et al., 2004; Moritz et al., 2002; Kiang e Kutas, 2005; Matsumoto
et al., 2001; Kostova et al., 2005; Bharat et al., 2000; Yoshino et al.; Ohta et
al., 1999) e pragmatico (Iakimova et al., 2005; Ditman e Kuperberg, 2007),
noteremo delle chiare anomalie che evidenziano una difficoltà ad inserire i
significati delle parole all’interno di contesti socialmente condivisi,
fornendo una prova della validità della teoria fenomenologico-esistenziale
che vede la malattia mentale come una delle infinite modalità di essere nel
mondo che il singolo individuo attua nella relazione con se stesso e con gli
altri.
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Parte Prima. Schizofrenia: storia, definizione ed analisi linguistica
1. La storia della schizofrenia
(…) l’esaltazione fissata, la stramberia, il manierismo, non vengono giudicati in senso medico-psichiatrico, come “minorazioni” patologiche, “deviazioni” morbose o “sintomi”. Vengono bensì considerate come forme di fallimento, di mancata riuscita dell’esistenza umana. Quelle che chiamiamo psicopatia o malattia mentale non sono che forme di questa mancata riuscita, di questo fallimento, limitate entro la cornice della psichiatria come scienza medica, e ridotte sul piano della conoscenza psichiatrica. L. Binswanger, Tre forme di esistenza mancata
In queste parole è racchiuso il concetto base dell’antropoanalisi,
corrente filosofica di cui Ludwig Binswanger è il principale esponente.
Infatti, punto di partenza della psichiatria fenomenologico-esistenziale, o
antropoanalisi, non sono i problemi quantitativi oggettivanti e interpretativo-
causali tipici della scienza naturale, né gli aspetti astrattamente teorici della
psicoanalisi. La psichiatria fenomenologico-esistenziale legge la malattia
mentale come una delle infinite modalità di essere nel mondo che il singolo
individuo attua nella relazione con se stesso e con gli altri. E, attraverso tali
relazioni, ognuno di noi fa delle esperienze e costruisce la propria
personalità. Dunque, punto di partenza dell’antropoanalisi sono proprio tali
relazioni interpersonali, tali rapporti con il mondo e, soprattutto, il modo di
percepirle e di farle proprie dei pazienti. Esperienze che trovano espressione
proprio nel linguaggio “particolare” che essi utilizzano. Si spiega così
20
l'esigenza di raccogliere le testimonianze della loro vita interiore: scritti,
colloqui, storie; l’antropoanalisi cerca di comprendere l'uomo “malato”,
senza la pretesa di produrre una soluzione teorica e soprattutto senza alcun
giudizio sulle scelte o le non scelte della persona “malata”.
Questo indirizzo non vuole e non può avere applicazioni pratiche
standardizzate, né ha ovviamente introdotto nuovi metodi diagnostici o
terapeutici, ma "ha fornito un’originale dimensione modale di comprensione
dell'uomo malato e di arricchimento "umanistico" con l'esperienza di un
incontro trascendente i limiti del rapporto interpersonale e della tecnica
psicoterapica". (Curatolo, 2000).
Ma non è andata sempre così, alle spalle di questo approccio umano nei
confronti dello schizofrenico, ci sono secoli di approcci completamente
diversi. Le teorie sull’origine della malattia mentale hanno sempre oscillato
fra due poli: un polo fisico, che oggi potremmo definire scientifico e un polo
metafisico, quello della follia intesa come qualcosa che deriva dal maligno,
o come alterazione della psiche parte del corpo.
1.1 Le origini
Se nell’antichità i devianti venivano considerati come persone
colpite da punizioni divine, con Ippocrate, nel V secolo a. C. entra in gioco
una visione più organicistica della malattia mentale, attribuendola a cause
puramente naturali, come ad esempio danni fisici.
Nonostante questa visione sia tuttora tenuta in grande considerazione,
intorno al 200 d. C. inizia una nuova fase in cui, grazie al grande potere
acquisito dalla Chiesa, la malattia mentale viene considerata come sintomo
21
di possessione diabolica e gestita dai sacerdoti stessi, che cercano di porvi
rimedio prima con l’ausilio della fede attraverso la preghiera, poi
eliminando il problema all’origine mandando questi sfortunati al rogo.
Tale fase durerà sino all’Illuminismo, periodo in cui, in linea con le
tendenze di non accettazione di ciò che non veniva considerato razionale, gli
alienati mentali erano considerati delle persone senza dignità, ed è per
questo motivo che venivano sottoposti a pratiche repressive e crudeli.
Inoltre, le teorie psichiatriche succedutesi nel corso del XVII e XVIII secolo
riducevano la malattia mentale a cause organiche, corporee; essa dipendeva
sempre da un’alterazione di organi, da traumi fisici, da un inadeguato
funzionamento di ghiandole specifiche. Da ciò nasceva la considerazione
che la schizofrenia fosse una psicosi da cui il malato non poteva uscire, e
che i metodi violenti adottati in quel periodo erano i più efficaci, mentre una
terapia “razionale”, che richiedesse un dialogo con il paziente, era ritenuta
impensabile. (Alessandrini, 2004)
1.2 Il malato di mente come essere umano
È solo con la fine del XVIII secolo che si ha un sensibile
cambiamento nell’approccio alla patologia mentale, grazie all’opera dello
psichiatra Philippe Pinel (1745-1826), che si rapportò in maniera innovativa
ai pazienti del manicomio di Parigi da lui gestito, trattandoli come esseri
umani, parlando con loro, sottolineando la distinzione tra i “malati mentali”
e gli “idioti” e facendo da padre a quello che oggi chiamiamo colloquio
terapeutico. La psicopatologia del linguaggio ottocentesca giunge inoltre ad
un primo grande risultato, quello di dimostrare che la maggior parte delle
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malattie mentali non ostacolano la scrittura e la parola, anzi, in molti casi ne
accrescono l’uso e le funzioni.
Ma è grazie al lavoro certosino di osservazione e descrizione delle
produzioni verbali dei pazienti, ad opera dell’allievo di Pinel, Jean Étienne
Dominique Esquirol (1772-1840), che si inizia a pensare alla malattia
mentale come a qualcosa di lontano dall’idiozia. Per Esquirol, infatti, il
linguaggio, essendo espressione dell’interiorità del soggetto, è il mezzo
attraverso il quale si può interpretare la patologia, sino a “diventare
elemento discriminatore dei vari livelli di follia” (Falzone, 2004), ed egli
trascrive le sue osservazioni dei disturbi linguistici svolte negli ospedali
psichiatrici, nei manicomi, negli asili per gli alienati. Le sue trascrizioni
hanno il merito di dimostrare che la maggior parte delle malattie mentali
non ostacola la scrittura e la parola, anzi, in molti casi ne accresce l’uso e le
funzioni.
1.3 La Dementia Praecox
La prima classificazione compiuta delle malattie mentali si deve,
però, allo psichiatra Emil Kraepelin (1855-1926) che diede priorità non ai
sintomi soggettivi, ma a quelli comuni, in modo da poter individuare le
caratteristiche di ogni patologia. E tra queste individuò quella patologia cui
diede il nome di dementia praecox. 1
1 Kraepelin, allora, lavorava in stretta collaborazione con Alzheimer che, come lui, studiava pazienti con grave
compromissione e deterioramento cognitivo, ma con esordio in età tardiva (oggi diagnosticati come affetti da
demenza di Alzheimer). I pazienti studiati da Kraepelin sviluppavano la loro ''demenza'' in un'età precoce e
pertanto decise di distinguerli da quelli ad esordio tardivo definendoli affetti da Dementia Praecox.
23
(Fig. 1) Classificazione dei disturbi mentali – Kraepelin, 1899
1.4 Dalla Dementia Praecox alla Schizofrenia
Ma il moderno termine “schizofrenia”1 si deve allo psichiatra
Eugene Bleuler (1857-1939). Egli, pur rimanendo vicino alla filosofia
kraepeliana, ne mette in discussione l’idea dell’inguaribilità della
schizofrenia, avendo notato che alcuni suoi pazienti erano andati incontro a
miglioramenti.
24
Per Bleuler, disturbo fondamentale della schizofrenia è la dissociazione2,da
cui prende il nome la patologia, intesa da un lato come scissione della
personalità del soggetto e dall’altro come separazione dell’individuo dal
mondo che lo circonda.
1.5 La Psicoanalisi
L'attenzione verso il mondo interiore del malato e l’esplorazione
delle profondità della sua psiche allo scopo di comprendere i significati
nascosti dei suoi disturbi, sono alla base delle cosiddette psicoterapie
dinamiche, categoria che racchiude tutte quelle forme di psicoterapia che
come modello teorico fanno riferimento alla psicoanalisi. Padre di questa
dottrina è Sigmund Freud. Egli propone un dialogo con la follia, partendo
dall’ipotesi di una sua sensatezza, per “individuare il piano in cui le sue
ragioni possono valere” (Famiani, 2001: 206). Le parole, il dialogo, sono al
centro di questo metodo terapeutico che pone la sua attenzione sul rapporto
tra linguaggio ed esistenza: nella parola è contenuto uno dei tanti mondi
schizofrenici, e il compito dell’analista è quello d’interpretare il linguaggio
affinché questa realtà così tanto diversa dalla nostra venga alla luce. La
psicoanalisi di Freud, come dimostrano i fenomeni del sogno e della
“psicopatologia della vita quotidiana”, ha il merito di aver messo in
discussione la tradizionale barriera tra la patologia mentale e la cosiddetta
“normalità”.
2 Dal greco σχίξω «scindo» e φρήν «mente»
25
1.6 Malattia mentale e linguaggio
I primi anni del novecento sono marcati da un ritorno alle dottrine
organicistiche, anche grazie ai progressi compiuti in ambiti quali
l’afasiologia e la neurofisiologia, che cercano di far confluire in un unico
fenomeno le funzioni cerebrali e le funzioni psichiche. Però, le palesi
differenze tra il linguaggio dei soggetti affetti da patologie cerebrali e quello
dei soggetti affetti da patologie psichiche evidenziavano l’impossibilità di
una loro assimilazione. Nello stesso periodo, si sviluppa un settore di studi
filosofici che parte dal presupposto di un legame tra linguaggio ed esistenza.
E, all’interno di questo settore di studi, possiamo individuare, accanto alla
Psichiatria Filosofica di Minkowski, l’antropoanalisi binswangeriana da cui
siamo partiti, scuole di pensiero che hanno sviluppato una teoria ed una
pratica atte, non più a considerare il malato come un insieme di sintomi, ma
come “generatore di mondi esperenziali e linguistici differenti”(Falzone,
2004).
Nel decorso storico riguardante l'evoluzione del concetto di schizofrenia,
l'introduzione della dimensione fenomenologica in ambito psicopatologico
ha il merito di aver proposto una visione più intera del paziente
schizofrenico. Abbandonato il metodo d’osservazione di stampo
naturalistico, che vede le cause e i sintomi come strumenti di ricerca, la
fenomenologia, con Binswanger, insiste sull'idea che l’esperienza
schizofrenica può rendersi comprensibile all'altro. Automaticamente si
assiste ad un mutamento anche del ruolo dell'osservatore, che non veste più i
panni del freddo indagatore, ma diventa partner partecipe che, attraverso lo
26
studio dei problemi affettivi del malato, volge lo sguardo anche a quelli
sociali, studiando la loro interdipendenza.
1.7 Dopo Binswanger
All’inizio del XX secolo, le indagini di Koller “sulla frequenza dei
disordini mentali tra i pazienti ospedalizzati con disturbi psichici” (Falzone,
2004: 28) hanno ottenuto il risultato di orientare studi sulla schizofrenia
verso varie direzioni: la possibilità di un'origine genetica, come proposto da
Annett e Crow che associano lateralizzazione, capacità di linguaggio e
alterazione genetica (Annett, 1999; Crow, 2000); di una causa organica
neuropatologica, come quella proposta in Pol et al., 2003, in cui si suppone
un legame tra la diminuzione di materia bianca nel corpo calloso con
conseguente relazione interemisferica fallace e ridotta specializzazione
emisferica, e la schizofrenia; di un'origine socio-ambientale, come proposto
da King e Coker (1994), o da Eaton e colleghi (1988); infine di una
ontologico-esistenziale (Pennisi, 1998), prosecutrice della teoria
binswangeriana.
27
28
2. Cos’è e come si manifesta la schizofrenia
Dalle diverse definizioni della schizofrenia date dalle tante scuole di
pensiero che hanno affrontato questo argomento, è emerso il problema di
creare un linguaggio comune in psichiatria, per evitare che coloro che
formulavano la diagnosi, fossero in disaccordo sui parametri, abbassando
così l'affidabilità diagnostica. Per evitare interferenze socio-culturali
nell’interpretazione delle patologie mentali, negli anni ’50 è stato, così,
redatto un manuale che fornisce delle indicazioni ben precise per la diagnosi
delle patologie psichiche: il DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei
Disturbi Mentali), condiviso a livello internazionale.
Partendo proprio dalla definizione di schizofrenia fornitaci dall’ultima
versione, la quarta, di questo manuale, cercheremo di comprendere le
manifestazioni principali di questa patologia, presentando alcuni esempi
fornitici dalla letteratura in merito.
2.1 Definizione di schizofrenia
La Schizofrenia è una psicopatologia che, solitamente, si verifica tra
la fine dell’adolescenza e i 35 anni (anche se esistono casi con esordio prima
dell’adolescenza e dopo i 45 anni di età).
L’età di esordio per gli uomini è fra i 18 ed i 25 anni e quella per le donne è
fra i 25 ed i 35 anni.
È ritrovabile in ogni parte del mondo, in ogni ambiente culturale con
percentuale di incidenza dell’1%.
La quarta edizione del DSM, redatta nel 1994, definisce la schizofrenia
come un disturbo che dura almeno 6 mesi e implica almeno un mese di
29
sintomi della fase attiva (per es., due [o più] dei seguenti sintomi: deliri,
allucinazioni, eloquio disorganizzato, comportamento grossolanamente
disorganizzato o catatonico, sintomi negativi), ed individua 5 sottotipi di
schizofrenia: paranoide, disorganizzata, catatonica, indifferenziata e residua.
La maggior parte dei soggetti affetti da schizofrenia ha una scarsa
consapevolezza del fatto di avere una malattia psicotica. I dati suggeriscono
che la scarsa consapevolezza sia una manifestazione della malattia stessa
piuttosto che una strategia di adattamento.
Le manifestazioni essenziali della schizofrenia sono la presenza di un
insieme di caratteristici segni e sintomi (sia positivi che negativi) per una
significativa porzione di tempo durante un periodo di 1 mese (o per un
tempo più breve se trattati con successo), e la persistenza di alcuni segni del
disturbo per almeno 6 mesi, associati a marcata disfunzione sociale o
lavorativa.
2.2 La sintomatologia
Esistono vari modi di classificare la sintomatologia schizofrenica.
Una classificazione distingue tra:
- sintomi di primo ordine: allucinazioni uditive, furto e influenzamento del
pensiero, influenzamento somatico, percezione delirante;
- sintomi di secondo ordine: allucinazioni varie, non uditive, intuizione
delirante, impoverimento affettivo, perplessità.
La seconda distinzione è tra sintomi fondamentali e accessori, i primi
presenti in ogni schizofrenia latente o conclamata, i secondi non sempre
presenti.
30
I sintomi fondamentali sono la dissociazione, l’incongruità affettiva,
l’ambivalenza e l’autismo, mentre i sintomi accessori sono le allucinazioni, i
deliri, le idee di riferimento, i sintomi catatonici e lo stordimento. Ma la
classificazione più utilizzata è quella che distingue sintomi positivi da
sintomi negativi (Andreasen e Olsen 1982).
2.2.1 I sintomi negativi
I sintomi negativi sono associati con pensieri stigmatizzanti di
fragilità psicologica, di mancanza di volontà o di incapacità di condurre una
vita attiva e partecipata e di prendersi cura di se stessi. L'effetto dei sintomi
negativi può essere percepito come una scelta volontaria di uno stile di vita
caratterizzato da ritiro sociale e dalla mancanza di responsabilità verso gli
altri. Tra questi sintomi annoveriamo:
- L’appiattimento emotivo: le persone che soffrono di schizofrenia
sembrano spesso essere emotivamente piatte e non rispondere agli
eventi che accadono attorno a loro. Non sono in grado di mostrare le
emozioni cambiando l'espressione del viso, il tono della voce o con i
gesti. Queste persone possono non avere nessuna reazione ad eventi
tristi o felici oppure possono reagire in maniera non appropriata.
- L’abulia o perdita di slancio vitale: la schizofrenia può ridurre le
motivazioni della persona perciò si ha una diminuzione della
capacità lavorativa e della partecipazione alle attività ricreative.
- Il ritiro sociale: gli schizofrenici hanno difficoltà a fare e mantenere
delle amicizie o conoscenze; possono avere poche relazioni intime. I
rapporti con gli altri possono essere brevi e superficiali. Nei casi
31
estremi la persona può evitare in maniera attiva tutti i rapporti
sociali.
- L’alogia o povertà di linguaggio: di rado parlano spontaneamente e
rispondono alle domande in maniera breve e senza fornire dettagli.
Nei casi estremi il discorso dello schizofrenico è limitato a frasi
brevi come "si", "no" e "non so".
I sintomi negativi non sono specifici e possono essere dovuti a una varietà di
altri fattori (per es., conseguenza di sintomi positivi, effetti collaterali di
farmaci, depressione, sottostimolazione ambientale o demoralizzazione).
2.2.2. I sintomi positivi
I sintomi positivi sembrano, invece, essere più utili per la diagnosi,
in quanto, in alcuni casi, indicativi della patologia.
I sintomi positivi includono distorsioni o esagerazioni del contenuto di
pensiero (deliri), della percezione (allucinazioni), del linguaggio e della
comunicazione (eloquio disorganizzato), e del controllo del comportamento
(comportamento grossolanamente disorganizzato o catatonico).
I criteri per indicare la presenza della schizofrenia richiedono che almeno
due di queste condizioni siano presenti contemporaneamente per gran parte
di almeno un mese. Tuttavia, se i deliri sono bizzarri o le allucinazioni
comportano un “commento di voci” o una “conversazione di voci”, allora è
richiesta soltanto la presenza di una condizione.
2.3 Le allucinazioni
32
Per il DSM-IV, le allucinazioni possono manifestarsi con qualunque
modalità sensoriale: uditiva, visiva, olfattiva, gustativa e tattile, ma le
allucinazioni uditive sono di gran lunga le più comuni. Sono generalmente
sperimentate come voci che vengono percepite come distinte dai pensieri
propri del soggetto. Certi tipi di allucinazioni uditive (per es., due o più voci
che conversano con un’altra, oppure voci che continuano a commentare i
pensieri o il comportamento del soggetto) sono stati considerati
particolarmente caratteristici della schizofrenia e inclusi fra i sintomi
principali. Se questi tipi di allucinazioni sono presenti, allora sono
sufficienti per indicare la presenza della patologia.
2.3.1 Il caso Aline
Un esempio di allucinazione ci viene fornito da Binswanger (1965).
Aline è una donna di quarantun anni che, dopo l’internamento in un campo
di prigionia, sviluppa una grave forma di delirio allucinatorio di riferimento
e di persecuzione. “Ella ode i suoi stessi pensieri. Per la nostra povera
malata è in generale la stessa cosa sentire di pensare o di sognare o udire ciò
che ha pensato o sognato” (id: 53). Ma le allucinazioni di Aline non si
limitano all’udito. Ella vede uomini “di intangibile chiarezza” (id: 53) e
“percepisce una corrente sotto la pelle” (id: 54), ma ha anche allucinazioni
olfattive e gustative. Se partiamo dalla concezione psichiatrica, le
allucinazioni sono percezioni senza oggetto. Ma Aline sente le voci,
percepisce la corrente, vede delle immagini. Per lei, come per ogni
schizofrenico, l’oggetto è presente. Non lo è per noi, per la nostra
percezione. “Non c'è più nell'allucinare un orizzonte di senso comune e non-
33
privato (pubblico) che consenta a chi-allucina e a chi-non-allucina una
comune regione di significati e di esperienze sensoriali. Il mondo privato
(…) chiude in sé, e risucchia, l'esistenza immersa nella allucinazione;
stralciandola dal mondo comune”. Non esiste l’altro diverso da sé stesso,
dunque “non ci sono persone-che-parlano ma «voci» che scendono sul
malato” (Borgna)
2.4 Il delirio
I deliri sono convinzioni erronee, che di solito comportano
un’interpretazione non corretta di percezioni o esperienze. Il loro contenuto
può includere una varietà di temi (per es., di persecuzione, di riferimento,
somatici, religiosi o di grandiosità). Possono essere lucidi o bizzarri (se non
plausibili).
I deliri che esprimono una perdita di controllo sulla mente e sul corpo sono
generalmente considerati bizzarri; questi includono “furto del pensiero”,
“inserzione del pensiero”, o “deliri di controllo”. Se i deliri sono giudicati
bizzarri, questo solo sintomo è sufficiente per soddisfare il criterio di
individuazione della schizofrenia.
2.4.1 Il caso Suzanne Urban
Alcuni interessanti esempi di delirio ci vengono forniti da Ludwig
Binswanger. Il caso presentato dall’autore è quello di Suzanne Urban che a
quarantotto anni viene ricoverata al Sanatorium Bellevue da lui diretto per
un grave delirio di denigrazione, complicato da un grave delirio di
riferimento, di danneggiamento e di persecuzione. Dopo la scoperta
34
traumatica che il marito è affetto da cancro alla vescica, Suzanne si affida il
compito di accudire il marito e intraprendere una battaglia col suo tumore. Il
tema ha già preso il sopravvento e domina tutta la sua esistenza, infatti,
anche la minima distrazione dall’angoscia viene considerata oltraggiosa. E il
coatta allontanamento dal marito ad opera dello psichiatra, il Dott. R.,
determina la percezione di quest’ultimo come “carnefice di tutta la
famiglia”. Ed è in questo isolamento forzato che, non potendo adempiere al
suo compito, il sacrificio nei confronti di suo marito, prende corpo la
“fabula delirante”. Ben presto il terrore erompe nel mondo individuale,
generando la vera e propria psicosi. Suzanne avverte su di sé il potere di una
forza diabolica che la obbliga a diffamare la sua famiglia, costretta di
conseguenza a terribili punizioni. In questo caso vediamo confondersi i
piani della percezione e del pensiero. Per esempio, ella “ha sentore” che
“qualcuno le sussurri che sua madre è una vecchia l. che ha rubato
dell’argenteria”. Oppure afferma: “li ho accusati in modo così spaventoso
soltanto nel mio pensiero”. Infine: “Vedete torturare davanti a voi i suoi
congiunti, giorno e notte, maledite la polizia che cava loro gli occhi, etc.”.
Da queste citazioni se ne deduce che Suzanne sperimenta degli stati
allucinatori ottici, delle visioni propedeutiche al suo delirio.
Quelle di Suzanne sono delle visioni terrificanti, lo schema monotono delle
torture si sostituisce alla variabilità delle esperienze sensibili. Nelle
esperienze di vita normali, il presente rinvia al passato ed è promessa per il
futuro: se questa concatenazione tra presente (àisthesis), passato (mnème) e
futuro (fantasia) si spezza, la temporalità si fissa e ci domina. In una prima
fase Suzanne è totalmente assorbita dall’insopportabile visione dello schema
35
delirante e non si aspetta che questa sofferenza abbia una fine, non ha più
alcun orientamento verso il futuro, “vive un presente isolato e, direi,
eternizzato”. Ma in una seconda fase si determina una limitazione dello
schema delle torture, a vantaggio di mnème e fantasia, infatti lo schema
delle torture si trasforma nella registrazione di volti ed espressioni che
hanno per Suzanne il significato di una futura punizione. Ad esempio,
assistendo ad una mietitura con la falce, ella riferisce al dottore: “Ho capito
il senso della falce. Vogliono recidere le membra dei miei congiunti,
vogliono martoriarli”. Il presente si trasforma in una “smorfia ostile” ed è
“divorato dal passato e dal futuro”.
2.5 Il pensiero disorganizzato
Un altro dei sintomi positivi è il pensiero disorganizzato o disturbo
formale del pensiero (ThD) descritto per la prima volta nel 1911 da Bleuler.
Anche se può non essere presente in tutti i pazienti, viene considerato, da
certi autori, uno dei sintomi principali della schizofrenia, la sua
manifestazione singola più importante. Per tale motivo è su questo sintomo
che si concentrerà la nostra attenzione. Dal momento che in un contesto
clinico le deduzioni sul pensiero sono basate in primo luogo sull’eloquio del
soggetto, proprio dal linguaggio schizofrenico partirà la nostra indagine.
L’eloquio dei soggetti con schizofrenia può essere disorganizzato in una
varietà di modi. Esso è caratterizzato da deperimento del linguaggio,
tangenzialità, e associazioni bizzarre. La persona può “perdere il filo”
passando da un argomento all’altro (“deragliamento” o “allentamento dei
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nessi associativi”); le risposte alle domande possono essere correlate in
modo obliquo o completamente non correlate (“tangenzialità”); e,
raramente, l’eloquio può essere così gravemente disorganizzato da risultare
quasi incomprensibile, e assomigliare all’afasia recettiva nella sua
disorganizzazione linguistica (“incoerenza” o “insalata di parole”).
La “disorganizzazione” è caratterizzata dalla presenza di tre elementi
fondamentali:
a) disgregazione delle caratteristiche fondamentali della
comunicazione con relativa impossibilità della decodifica del messaggio (le
associazioni tendono a procedere lungo linee insolite e le associazioni
indirette ricevono significati inusuali, che spesso risultano incomprensibili
per l’interlocutore);
b) perdita di nessi logici di collegamento fra concetti della
comunicazione;
c) sconnessione tra comunicazione verbale e non verbale a
connotazione emozionale.
2.5.1 Il deragliamento
Nel deragliamento le idee ed i comportamenti e le parole ad esse
connessi deviano in direzione non apparentemente collegata con il concetto
di partenza. La vita di ogni giorno è connessa all’uso più o meno esplicito di
di regole sociali che determinano i riferimenti tra i concetti, quelli che
Binswanger definisce rimandi. Il soggetto schizofrenico resiste al flusso di
tali rimandi e, dunque, utilizza dei rimandi non socialmente riconosciuti, ma
che, comunque, hanno per lui un senso.
37
Cohen et al., (1974) forniscono alcuni esempi di deragliamento.
Ai soggetti venivano mostrati due dischi di colore simile, ma non uguale. La
risposta dal gruppo di controllo era:
“Sono entrambi di color salmone, ma uno è più rosa”.
Una tipica risposta schizofrenica risultava invece:
“Un pesce nuota. Lo chiami salmone. Lo cucini. Lo metti in un barattolo. Apri il barattolo. E lo vedi di questo colore. Pesce salmone.”
O ancora in Lorenzini e Sassaroli (1992) (in Pennisi, 1996):
Medico - "Quali studi ha fatto ?"Paziente - "Ho iniziato con le elementari ma non ero così elementare anche se ho fatto cose più difficili nella mia vita. È stato difficile quando sono andato via di casa. Non c’è più l’equo canone; non c’è niente di equo, solo i cavalli sono equini. Ho conosciuto una cavalla bionda di Verona ma non mi ha fatto mai montare, solo un infermiera una volta".
Infine un esempio di deragliamento comportamentale e linguistico:
Binswanger racconta di un suo paziente che sta “seduto tranquillamente al
tavolo con un pezzo di lingua fredda (del pasto serale) messo di traverso
sulla sua calvizie” (Binswanger, 1955: 63). Anche in questo caso il
complesso dei rimandi tende ad essere personalizzato. L’uomo non si
preoccupa di tutto ciò a cui quel pezzo di lingua rimanda (dall’animale, al
macellaio, al cuoco che l’ha preparato e agli altri soggetti coinvolti nella
situazione), ma la fa piuttosto rientrare in un complesso di rimandi tutto suo,
escludendo, dunque, gli altri dalla partecipazione.
2.5.2 Il sillogismo debole
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Le connessioni tra le diverse frasi, in questi esempi, sembrano
seguire una logica un po’ particolare. In Pennisi (1994) troviamo una
possibile spiegazione di tale fenomeno partendo dal concetto di “sillogismo
debole”.
Il sillogismo è un tipo di ragionamento dimostrativo che fu teorizzato per la
prima volta da Aristotele, il quale, partendo dai tre tipi di termine,
"maggiore" (che funge da soggetto nella conclusione), "medio" e "minore"
(che nella conclusione funge da predicato) classificati in base al rapporto
contenente - contenuto, giunge ad una conclusione collegando i suddetti
termini attraverso brevi enunciati (premesse).
Esempio classico di sillogismo è:
Tutti gli uomini sono mortali.Socrate è un uomo.Socrate è mortale.
In base al “sillogismo debole” sviluppato da von Domarus nel 1913, i
soggetti schizofrenici creano dei sillogismi in cui non esiste un’identità di
soggetti, ma piuttosto di predicati:
Certi indiani sono velociI cervi sono velociCerti indiani sono cervi
Partendo da questa considerazione, Pennisi fa notare che il sillogismo
debole è il meccanismo che sta alla base della metafora:
Gino è furboLa volpe è furbaGino è una volpe
Visto in quest’ottica, il linguaggio schizofrenico non appare più basato su
un’impostazione logica errata, ma piuttosto metaforica.
39
2.5.3 Neologismi e paralogismi
Sulla base dello stesso principio possiamo analizzare altre due
caratteristiche del linguaggio schizofrenico: i neologismi ed i paralogismi.
L’uso di parole nuove o l’uso improprio semanticamente di parole già
esistenti è un fenomeno caratteristico del linguaggio schizofrenico. Spesso
associato all’uso che ne fanno i soggetti afasici, risulta però da questo
fortemente differenziato, grazie alla motivazione ed alla regolarità.
Binswanger riferisce di un paziente che desidera:
“tirare fuori, coniare parole nuove (…) Il mio scopo è di trovare
sempre un simbolo intuitivo, perché non ho un’altra capacità di
lavorare, nessun compito altrimenti, altrimenti nessun’altra
occupazione”.
Come possiamo notare, a differenza dell’afasico, lo schizofrenico ha volontà
di utilizzo di termini nuovi, che gli consentono di esprimere significati
altrimenti inesprimibili. Proprio come nel caso del linguaggio normale, il
neologismo schizofrenico ha lo scopo di colmare un’insufficienza del
vocabolario a disposizione per esprimere un determinato concetto.
Nonostante si incontrino molte difficoltà ad entrare in contatto e,
soprattutto, a muoversi con dimestichezza tra i neologismi schizofrenici,
qualora esista una forte volontà di riuscirvi e soprattutto la gravità della
patologia non impedisca l’approccio al paziente, non è impossibile riuscire
nell'intento.
Alla richiesta di chiarimenti da parte di Bleuler nei confronti del suo
paziente rispetto l’uso del termine “haragionevolmente" il paziente risponde
40
che fra tutti quelli che lo hanno convinto a ricoverarsi non c’è n’è uno che
non gli abbia detto "hai ragione". Neologismo che ricorda molto quello
dannunziano di me-ne-freg-h-ismo. E ritengo che in pochi sarebbero
disposti a proporre dubbi sulla salute mentale di Gabriele D’annunzio!
Ma anche quando i neologismi sono meno vicini alla lingua italiana, come
nel caso, trattato da Pennisi (1998b), di un paziente dell’ex manicomio
“Mandalari” di Messina che utilizzava neologismi come “ilili-tiloti-o”, che
ad un profano può apparire senza senso, ma, ad uno studio approfondito,
non solo appare il significato (tiloti = redenzione delle donne tramite
inseminazione), ma anche una precisa regolarità grammaticale che cancella
ogni dubbio riguardo il rapporto tra afasia e schizofrenia.
Per quanto riguarda i paralogismi, l’uso particolare di alcuni termini da parte
degli schizofrenici è sempre logicamente giustificabile. Ad esempio un
paziente affermava: "Mio padre è un bucaniere” intendendo con il termine
bucaniere “un uomo a cui tutte le ciambelle riescono col buco”.
In alcuni casi, l’uso eccessivo di neologismi e paralogismi può essere
associato ad un eccessivo virtuosismo sintattico, come nel caso dell’iperbato
“Candite noci sono ad usura a casa loro ad Amalfi”. L’unione di neologismi
quali quelli prodotti dal paziente del Mandalari e di un simile virtuosismo
sintattico conducono alla formazione di vere e proprie neolingue.
2.5.4 I giochi
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Da questi esempi appare un linguaggio manieristico, definito comunemente
come contorto, ricercato, ridondante, artificioso. Un linguaggio nel quale
abbondano anche dei “giochi artistici”, quali perifrasi (per una delle malate
di Binswanger l’aborto procurato era “estirpazione di un impianto di
spermatozoi”) o sostituzioni di lettere, sincopi, aferesi e apocopi. Giochi
che, a volte, si spingono sino alle estreme conseguenze, come nel caso di
Lola Voss, che attribuisce “alle parole un certo senso sulla base della
scomposizione in sillabe” (Binswanger, 1955: 175): Lola incontra un uomo
con un bastone da passeggio in cima al quale si trova in anello di gomma ed
è costretta a fermarsi e a tornare indietro impaurita. La spiegazione fornita è
che in spagnolo bastone si dice baston, ella scompone la parola in bast ed on
ed inverte on in no. In spagnolo gomma si dice goma, scomposta in go e ma.
No e go in inglese, insieme, sono proprio un intimazione a non procedere,
intimazione che viene vissuta da Lola con paura.
2.6 I limiti del linguaggio schizofrenico
Ma accanto a questa enorme capacità di utilizzo della lingua, lo
schizofrenico mostra un limite invalicabile rispetto all’argomento del suo
parlare. Gli schizofrenici, infatti, sono legati ad un’estrema razionalità che
permette loro di analizzare il mondo in maniera serena, una razionalità che
dà loro sicurezza. Ma, la rigidità di tale razionalità non consente loro di
adattare il proprio comportamento alle diverse situazioni della vita, non
possono modificare il proprio punto di vista, da quello logico ad emotivo,
etico, estetico, etc, restando legati, vincolati e limitati al principio che è alla
base del loro delirio.
42
2.7 Il comportamento disorganizzato
Tale limite si riscontra, non solo, come abbiamo detto, nel linguaggio,
ma anche nel comportamento, come nel caso del paziente di Binswanger che
per Natale regala alla figlia malata di cancro una bara. Il padre vede nel suo
gesto la risposta al parallelismo: regalo di Natale = qualcosa di utile,
qualcosa di cui sua figlia ha bisogno. Ai suoi occhi quindi la bara risponde
perfettamente alla necessità di essere utile. “Se mia figlia può ancora aver
bisogno di qualche cosa, questo qualche cosa è una bara, dunque le regalo
una bara”, seguendo lo schema di consequenzialità “se-allora”. Dove sta
allora la stortura? Prima di tutto, senza dubbio, nel fatto che, probabilmente
noi avremmo dato al regalo in questione un’altra funzione, magari quella di
dare gioia, piuttosto che di risultare utile. Dal nostro punto di vista “la bara
in quanto strumento non si articola nel complesso di rimandi “dono
natalizio” (Binswanger, 1955:62). In secondo luogo, il dono in generale
dovrebbe rappresentare una modalità di comunicazione, una co-
partecipazione. Il padre, regalando alla figlia qualcosa che potrà usare solo
dopo la propria morte, le nega tale co-partecipazione. Egli ha spinto “il tema
(…) fino al punto di diventare incompatibile con le sue ovvie conseguenze”
(id: 61) e la consequenzialità cessa di esistere.
Esiste dunque, accanto ad un linguaggio disorganizzato, anche un
comportamento disorganizzato. Tale comportamento può manifestarsi in
una varietà di modi, variabili da una stupidità infantile all’agitazione
imprevedibile. Problemi possono essere notati in qualunque forma di
comportamento finalizzato a una meta, che può evidenziare delle difficoltà
43
nella esecuzione di attività della vita quotidiana, come avere un aspetto
molto disordinato, vestire in un modo inusuale (per es., indossando più
soprabiti, sciarpe e guanti in un giorno caldo), o può mostrare un
comportamento sessuale chiaramente inappropriato (per es., masturbazione
in pubblico), oppure un’agitazione imprevedibile in assenza di stimoli
esterni (per es., gridando o imprecando).
44
Parte seconda. Gli ERPs
45
1. Cosa sono gli ERPs
I potenziali evento-correlati consistono in una stima delle variazioni
dell’attività cerebrale concomitanti al verificarsi di specifici eventi. (De
Vincenzi - Di Matteo, 2004). Diversamente da quelli stimolo correlati, sono
dipendenti dal contenuto informativo dello stimolo: essi infatti compaiono
solo quando il soggetto presta attenzione allo stimolo e quando a questo è
stato attribuito un “significato”.
Gli ERPs possono essere correlati a stimoli di vario genere, visivi, motori,
uditivi, etc. Noi ci dedicheremo all’osservazione di ERPs correlati a stimoli
linguistici, in modo particolare a quelli che riguardano la comprensione del
linguaggio.
1.1 Come leggere gli ERPs
Partendo dalla misurazione dell’attività elettrica cerebrale attraverso
degli appositi elettrodi posti sullo scalpo, si ottiene la registrazione di un
segnale. Tale segnale non indica l’attività cerebrale relativa unicamente
all’evento di interesse, ma, piuttosto, l’attività elettrica globale. Per ripulirlo
dall’attività elettrica di fondo, vengono calcolate le medie dei potenziali
registrati su più prove e su più soggetti (grandi medie) 3. Il risultato di tale
rilevazione è rappresentato graficamente tramite un’onda continua che si
sviluppa nel tempo, costituita da una serie di picchi e avvallamenti che si
trovano al di sopra o al di sotto del valore zero (baseline). Per convenzione
si parla di valori positivi quando il picco4 è al di sotto della baseline, e di
valori negativi quando, viceversa, il picco è al di sopra della baseline. I 3 Sono necessarie almeno 25 – 30 prove per ciascuna condizione sperimentale e 15 – 20 partecipanti
4 Con il termine picco si intende il punto in cui il segnale raggiunge l’ampiezza massima
46
picchi sono denominati con la lettera N se negativi, e con la lettera P se
positivi, seguite da un numero che indica la latenza del picco rispetto alla
presentazione dello stimolo (De Vincenzi – Di Matteo, 2004). La porzione
di onda sensibile alle manipolazioni sperimentali viene indicata con il
termine componente. Caratteristiche di queste onde sono, inoltre, l’ampiezza
e la latenza. L’ampiezza indica l’intensità dell’attività cerebrale conseguente
allo stimolo e la distanza del picco dalla baseline. La latenza, invece, indica
il tempo di elaborazione di un determinato compito cognitivo. Ampiezza e
latenza delle componenti sono gli elementi che vengono confrontati per
valutare se la presentazione dello stimolo ha provocato una variazione. In
caso positivo si parla di effetto della componente.
1.2 I diversi tipi di ERP
Attraverso la rappresentazione grafica degli ERPs è possibile seguire
in successione temporale l’attività cerebrale. In tal modo, utilizzando gli
ERP di stimoli verbali possiamo stabilire in maniera piuttosto precisa se
esistono “alterazioni nell’elaborazione linguistica dei soggetti schizofrenici
e circoscriverne il livello” (Falzone e Patti, 2004: 2). A tal proposito si
possono distinguere tre tipologie di ERPs: le componenti esogene
(riscontrabili da 0 a circa 60 ms); le componenti mesogene (da 60 a 250
ms); e le componenti endogene (da 250 ms a 1 s). Le prime vengono
registrate immediatamente dopo lo stimolo nella zona tronco-encefalica e
risultano legate direttamente alle loro proprietà fisiche. In questo tipo di
onde non troviamo volontarietà in quanto semplice passaggio dalla ricezione
acustica, puramente nervosa, ad una prima ricezione cerebrale.
47
Le componenti mesogene (talamiche) ancora in parte legate alle qualità
fisiche dello stimolo, analizzano le caratteristiche fonologiche che
permettono di discriminare tra uno stimolo linguistico ed un semplice
stimolo acustico.
Il terzo tipo di componenti è endogeno, (corticali) in quanto legato, non più
allo stimolo, ma ai processi cognitivi ad esso conseguenti. La presenza di
questo tipo di potenziali è riscontrabile in concomitanza a “stimoli
complessi (frasi) in cui si presenta un contesto semantico di riferimento”.
(Falzone, 2004: 4)
Questo tipo di componenti, infatti, è prettamente linguistico. Ciò è
evidenziato da vari studi che ne riscontrano l’assenza negli animali e nei
neonati. (Boutros et al., 1997; Javitt et al., 2000; Coch et al., 2002 ).
1.3 I potenziali endogeni
Tra i potenziali linguistici endogeni, le componenti maggiormente
interessanti per la nostra indagine sono: la ELAN, la P300, la N400, la P600
e le LPC (Late Positive Components).
1.3.1 La ELAN
La ELAN è una componente negativa con picco intorno agli 80 ms
dalla presentazione dello stimolo. Solitamente è associata alla presentazione
di parole sintatticamente errate e si ritiene che rifletta l’assegnamento
automatico di una struttura grammaticale ad una stringa di parole.
1.3.2 La P300 e le sue subcomponenti
48
La componente P300 è un potenziale positivo endogeno che si
presenta tra i 250 e i 500 ms e compare solamente in seguito a stimoli
“target”.
Si ritiene che la P300 indichi l’inizio di una situazione inaspettata che
richiede un processo di aggiornamento della propria rappresentazione
mentale del contesto ambientale nel quale si trova ad operare.
In base alla latenza e alla distribuzione sono state distinte due
subcomponenti della P300: P3a and P3b. Queste componenti rispondono
individualmente a stimoli differenti: la P3a (novelty) è associata alla
presenza di un segnale nuovo ed è considerata indice di attenzione
involontaria automatica, rappresenterebbe l’inizio decisionale, processo di
raffronto tra l’input sensoriale attuale e il contenuto della memoria a breve
termine; la P3b si ritiene essere il correlato elettrofisiologico dei processi
relativi all’attenzione volontaria fasica, segnerebbe la chiusura post
decisionale transeunte.
La latenza della P300 esprime il tempo impiegato dal soggetto per
completare il pieno riconoscimento dello stimolo atteso. L’ampiezza,
invece, è funzione inversa della probabilità di comparsa (sia oggettiva che
soggettiva) dello stimolo significativo e dalla quantità di informazione da
esso trasmessa al soggetto.
È generalmente accettato che i cambiamenti nell’ampiezza siano correlati
all’aumento o alla diminuzione dell’intensità dell’energia richiesta per lo
svolgimento di un determinato compito linguistico. Le variazioni della
latenza sono invece collegate al tempo necessario al processamento del
compito. Ogniqualvolta si riscontra una variazione significativa di ampiezza
49
o di latenza della P300, rispetto ad una condizione di controllo, si parla di
“effetto P300” (De Vincenzi e Di Matteo, 2004).
1.3.3 La N400
La N400 è una componente endogena che si manifesta con un rapido
aumento della negatività a circa 250 – 300 ms dalla presentazione di uno
stimolo incongruente, un picco che si colloca intorno ai 400 ms e un declino
successivo che si protrae fino a circa 500 – 550 ms. È stata notata per la
prima volta nel 1980 da Kutas e Hillyard. Essi si accorsero che proponendo
ai soggetti una parola semanticamente anomala, si verificava un potenziale
negativo intorno ai 400 ms. Questo potenziale, chiamato N400, oggi viene
considerato “il correlato elettro-fisiologico specifico dell’incongruenza
semantica” (De Vincenzi-Di Matteo, 2004: 15). Davanti a parole
incongruenti rispetto al contesto, o parole ortograficamente scorrette
(pseudo-parole) vengono riscontrate delle variazioni di ampiezza e/o latenza
di questa componente. Vari fenomeni si verificano intorno alla N400, perché
molti sono i fattori che possono influenzare la sua ampiezza.
1.3.4 La P600 o LPC
Anche la P600 o LPC, come la ELAN, viene elicitata da frasi
sintatticamente scorrette ed è stata associata a processi di integrazione
sintattico - semantica. Un’ampiezza più elevata della P600 è stata osservata
non solo in condizioni di errore sintattico, ma anche in frasi labirinto
50
(garden-path) in cui la struttura sintattica era corretta, ma ambigua
(Friederici et al., 1993, 1996). È stato inoltre suggerito che la P600 indichi
l’integrazione di informazioni sintattiche e semantiche in una
rappresentazione coerente della frase (Ruchsow et al., 2003).
1.4 Come vengono registrati gli ERPs
Solitamente lo stimolo linguistico viene presentato al soggetto in forma
scritta, perché la stimolazione acustica genera dei segnali che si
sovrappongono nel tempo rendendo meno distinguibili le componenti
esogene precoci. Ai soggetti viene chiesto di leggere delle frasi presentate su
un monitor e di svolgere un compito, abitualmente attraverso la pressione di
un tasto. Ad esempio fornire un giudizio su qualche caratteristica della
parola o della frase che è stata presentata. La preparazione del materiale
richiede molta attenzione, perché da un lato si ha la necessità di distanziare
nel tempo la presentazione degli stimoli per evitare che le componenti si
sovrappongano, ma dall’altro bisogna tener conto del fatto che tempi troppo
brevi o troppo lunghi di presentazione, o di attesa tra uno stimolo ed un altro
possono influenzare i risultati. Nell’elaborazione del materiale vanno,
inoltre tenuti in considerazione innumerevoli fattori che influenzano e
modificano l’attività cerebrale, infatti quando nella frase ci sono delle
anomalie, si verificano delle variazioni dei potenziali.
2. Potenziali evento – correlati e sintassi
Il primo studio dedicato all’indagine degli ERPs nel processamento
sintattico è quello di Neville et al, del 1991 che evidenziò un potenziale
negativo intorno ai 100 – 300 ms (chiamato ELAN) o 300 – 500 ms
51
(chiamato LAN) dalla presentazione dello stimolo. Studi successivi sono
stati dedicati ad analisi più approfondite, allo scopo di distinguere tra le
diverse fasi dell’analisi linguistica. Sono stati individuati diversi tipi di
violazioni: quelle che riguardano la struttura sintagmatica, quelle di
sottocategorizzazione, e quelle di accordo.
2.1 Le violazioni della struttura sintagmatica
Gli studi di Neville e colleghi (1991), che riguardano le violazioni
della struttura sintagmatica (nello specifico inversione di nome testa e
preposizione, ad esempio: lo scienziato ha criticato della dimostrazione il
teorema di Max) hanno evidenziato una negatività precoce (ELAN) seguita
da una LAN e da una P600; Hahne e Friederici (1999) hanno invece puntato
l’attenzione su articoli o preposizioni seguiti da verbi flessi (ad esempio: Il
corre) che generavano una ELAN. Un confronto approfondito ha
evidenziato tempi più lunghi per l’elaborazione delle frasi da loro utilizzate
per la necessità di accesso lessicale (per il quale sono necessari almeno 300
ms), che non veniva riscontrata negli altri studi (nell’esempio You write –
your write l’elaborazione necessita di accesso lessicale perché a your
potrebbe seguire un termine come writing).
In casi di false violazioni della struttura sintagmatica (il marito è allarmato
dalla piuttosto emotiva risposta di sua moglie) è stata evidenziata una P600.
Se ne deduce che in casi di reali violazioni sintagmatiche viene prodotta una
ELAN seguita da una P600. In caso di strutture poco frequenti si evidenzia
solo una P600 generata dalla difficoltà di integrazione.
52
2.2 Le violazioni di sottocategorizzazione
Per violazione di sottocategorizzazione si intende una violazione
della struttura sintagmatica dettata da scelte lessicali del verbo. Ad esempio
un verbo transitivo sottocategorizza un complemento oggetto ed uno
intransitivo no: il cane corre la strada; oppure verbi ergativi
sottocategorizzano l’ausiliare essere: io ho caduto. Per notare la violazione,
l’analisi deve raggiungere il livello lessicale, quindi fornisce una reazione
più tardiva rispetto alla violazione sintagmatica. Questi tipi di violazioni
sono state studiate da Rosler e colleghi (1993) (scelta dell’ausiliare) e da
Hagoort e Brown (2000) (intransitivo seguito da complemento oggetto) che
hanno ottenuto lo stesso risultato: una LAN seguita da una P600.
2.3 Le violazioni di accordo
Le violazioni di accordo sono di vario tipo: tra soggetto e verbo (la
ragazza andarono), tra nome e articolo (il cani), tra nome e aggettivo (i
bambini viziato) e tra pronome e antecedente (la donna si congratulò con sé
stesso). Le prime sono state esaminate da Kutas e Hillyard (1983), Hargoort
e Brown (2000) e De Vincenzi e colleghi (2003). Tutti questi studi hanno
evidenziato una negatività intorno ai 200 – 500 ms (distinta dalla N400
perché situata in una diversa zona del cervello) ed una P600.
Osterhout e Mobley (1995) si sono dedicati, invece, alle violazioni di
concordanza pronome-antecedente che genererebbero solo una P600,
probabilmente in quanto il compito richiesto richiederebbe
un’interpretazione della struttura, processo che necessita di tempi più
53
lunghi, generando una P600 indicativa della difficoltà di interpretazione e
integrazione della struttura.
2.4 Deduzioni
Dall’analisi di tali studi e dei loro risultati se ne deduce che il
processo di analisi del linguaggio risulta costituito da alcune fasi: una
precoce ed automatica di costruzione della struttura sintattica attraverso
l’uso di categorizzazioni e regole frasali; una intermedia di recupero
dell’informazione lessicale nella quale l’elaborazione dell’informazione
sintattica e di quella semantica lavorano in parallelo; una finale di
integrazione dell’informazione strutturale e di quella semantico – lessicale, e
dei processi di coreferenza. Se tale integrazione non ha successo si ottiene
una P600 che indica lo sforzo effettuato allo scopo di ricanalizzare e
sistemare la struttura sintattica.
54
3. Potenziali evento – correlati e semantica
L’individuazione del significato, il processamento semantico di una
parola implica il collegamento tra il suono o il segno scritto, il simbolo, e il
55
concetto, l’idea alla quale tale simbolo si riferisce. Ogni individuo ha un
bagaglio di conoscenze lessicali, padroneggia tutta una serie di informazioni
(categoria grammaticale, concordanza con altre parole, significato) riguardo
innumerevoli parole. L’accesso a tale lessico è influenzato da molti fattori.
3.1 Fattori che influenzano l’accesso lessicale: l’effetto priming
Esistono diverse situazioni nelle quali il nostro cervello ottiene delle
agevolazioni, delle facilitazioni nel processamento linguistico e, in
particolar modo, nel processamento semantico.
Uno dei fattori che influenzano il processamento di una parola è il contesto
semantico nel quale le parole sono inserite.
L’effetto priming semantico è quel fenomeno in base al quale la velocità di
riconoscimento di una parola e la facilità del suo processamento linguistico
variano in base alla relazione semantica che essa ha con le parole che la
precedono. L’evidenza dell’effetto priming è facilmente riscontrabile
tramite un semplice test: ai soggetti viene presentata una sequenza di lettere
(definita prime) e, dopo una breve pausa, una seconda sequenza di lettere
(che può essere una parola semanticamente connessa alla precedente, una
parola semanticamente non connessa o una non parola). Il test prevede una
decisione lessicale, cioè decidere, nel minor tempo possibile, se il target è o
meno una parola della lingua italiana. È stato notato che il tempo di
decisione sul target risulta più breve e più semplice quando è preceduto da
una parola connessa rispetto a quando è preceduto da una parola non
connessa.
56
In base a quale meccanismo si ottiene tale facilitazione di riconoscimento?
Esistono diverse ipotesi. Per Collins e Loftus (1975) è probabile che il prime
prepari il terreno al target grazie al meccanismo di diffusione
dell’attivazione, meccanismo che si attiva prima del riconoscimento della
parola target, dunque ritenuto pre- lessicale. Si suppone esista anche un
meccanismo inibitorio, in quanto con un’elevata presenza di coppie prime-
target semanticamente connesse, è stato rilevato un aumento del tempo di
riconoscimento e della difficoltà di processamento di parole semanticamente
non connesse. Tale meccanismo, però, essendo dipendente dal
riconoscimento, non può essere considerato pre-lessicale. Devono
intervenire, dunque, anche dei processi post-lessicali, che dipendono
dall’aspettativa che si crea quando si cerca di anticipare il significato del
target in base al prime. Se le parole sono connesse abbiamo una
facilitazione, perché il significato è già stato recuperato, se invece non lo
sono, l’attenzione deve distaccarsi dal significato errato e procedere ad una
nuova ricerca. Ecco dunque spiegati l’aumento nel tempo di riconoscimento
e le difficoltà che ne derivano.
Un’altra teoria ( Posner e Snyder, 1975) suggerisce invece una natura post-
lessicale sia per le parole semanticamente connesse, che per quelle non
connesse, dipendendo in entrambi i casi dall’aspettativa che si crea attorno
al prime. Questa può essere confermata o meno, ma, in ogni caso, solo in
una fase successiva al riconoscimento. Se viene confermata, abbiamo una
facilitazione, in caso contrario, un’inibizione.
3.1.1 Conseguenze dell’effetto priming
57
Che influenza ha tale fenomeno sui potenziali evento – correlati?
Diversi studi hanno mostrato una diversa ampiezza della N400 in base al
tipo di connessione semantica che intercorre tra prime e target. Infatti, già in
Bentin et al., 1985, che proponevano un compito di decisione lessicale, la
N400 risultava più ampia in corrispondenza di parole non semanticamente
connesse. Tale ampiezza varia, però, in base al tipo di associazione
semantica che intercorre tra le parole: in caso di antinomia (bianco – nero)
la N400 è meno ampia piuttosto che in caso di associazione categoriale
(passero - canarino). “La N400 sembra quindi essere un indicatore di quanto
è prevedibile una parola” (De Vincenzi e Di Matteo).
Fino ad ora abbiamo analizzato la N400 in corrispondenza di singole parole
all’interno di coppie o liste. Ma come si comporta all’interno di contesti più
ampi come frasi o discorsi? I risultati evidenziano che “il riconoscimento di
ciascuna parola è influenzato, oltre che dal contesto (…), anche dalla
specifica combinazione di significato, forma e ordine delle parole che
compongono l’intera frase” (De Vincenzi e Di Matteo, 2004:88). La N400,
in questo caso, riflette la difficoltà di recupero di parole inattese, legata alla
probabilità di uso di tale parola all’interno di quel contesto. Tale fenomeno è
stato dimostrato da Kutas e Hyllyard (1984) che hanno confrontato gli ERPs
in seguito a tre diverse proposte di completamento di una frase (La pizza era
troppo calda da… mangiare / bere / piangere). Inoltre essi hanno sottolineato
come l’ampiezza della N400 fosse inversamente proporzionale alla
vicinanza semantica delle parole di completamento con quella più adatta: al
termine bere era associata una N400 di ampiezza intermedia. Ciò potrebbe
58
indicare che l’organizzazione della memoria semantica è basata sulla
connessione semantica tra le parole.
Alcuni studi (Haegeman 1994, Boland et al, 1995, Boland, 1997 in De
Vincenzi e Di Matteo, 2004) hanno evidenziato, inoltre, che anche le
violazioni di assegnazione del ruolo tematico5 determinano un aumento
dell’ampiezza della N400.
Recentemente Chwilla e Kolk (2005) hanno puntato l’attenzione sulla
cosiddetta World Knowledge, letteralmente conoscenza del mondo. Chwilla
e Kolk partono dal presupposto che la comprensione linguistica dipende
dalle esperienze individuali del mondo. Così, pur non essendo tra di loro
termini semanticamente associati, CAPUFFICIO – MAZZETTA –
LICENZIAMENTO possono assumere un significato globale, creando
insieme un scenario plausibile proprio grazie alla nostra esperienza del
mondo. In base ai risultati ottenuti (effetto N400, diminuzione tempi di
reazione), sembra esistere un processo che, partendo da gruppi di singole
parole, cerca di integrarle in un significato coerente.
Per quanto riguarda l’origine pre- o post- lessicale dell’effetto priming,
dall’analisi degli ERPs si deduce che esistono due tipi di elaborazione del
significato: uno automatico e veloce, di accesso alla memoria semantica;
uno controllato e più tardivo, di integrazione del prime e del target in un
contesto semantico. Questo risultato è avvalorato dalla constatazione che,
solitamente, se in una frase si ha un errore sintattico6, l’integrazione
dell’informazione semantica viene bloccata, a meno che (e qui entra in
5 Casi in cui il verbo non concorda con l’agente come: il cane leggeva il giornale, o con il tema: il vulcano è stato
mangiato; o ancora con il ricevente: Giulia affidò la ricetta al marciapiedi
6 La costruzione della struttura sintattica precede, dal punto di vista temporale, la verifica della congruenza
semantica
59
gioco il processo controllato) non sia espressamente richiesto di orientare
l’attenzione su quest’ultima.
3.2 L’effetto frequenza
Un’altra facilitazione è fornita dal cosiddetto effetto frequenza. In
ogni lingua esistono delle parole che vengono utilizzate più frequentemente
ed altre che vengono usate meno spesso. George K. Zipf (in Gennaro, 2000)
si è dedicato molto a tale fenomeno. Egli, analizzando l’Ulisse di James
Joyce e stilando una graduatoria delle parole in esso contenute in base alla
loro frequenza, notò uno stretto rapporto tra frequenza e posto in
graduatoria, arrivando ad affermare che “il modo in cui selezioniamo e
usiamo le parole dipende da una fondamentale regolarità di una qualche
sorta di principio informatore sottostante”. Questo fenomeno (effetto
frequenza) influenza i tempi di risposta e l’ampiezza della N400, infatti essa
è minore con parole ad elevata frequenza, e, viceversa, maggiore con parole
a bassa frequenza d’uso. Anche la frequenza però sembra essere influenzata
da altri fattori. Infatti, una parola a bassa frequenza, ma ripetuta più volte in
un certo contesto, genera risposte via via più repentine ed una N400 di
ampiezza decrescente all’aumentare del numero delle ripetizioni. Stiamo
parlando del cosiddetto effetto di ripetizione, effetto però che si annulla se
l’intervallo di tempo tra le ripetizioni è troppo lungo.
4. Potenziali Evento – Correlati e ambiguità strutturale
60
Nel linguaggio comune, di tutti i giorni, la nostra capacità di analisi
linguistica viene messa alla prova continuamente, perché molte sono le
ambiguità che abbiamo la necessità di disambiguare per essere in grado di
comunicare.
L’ambiguità strutturale è una di queste.
4.1 L’ambiguità strutturale
Si parla di ambiguità strutturale quando i diversi argomenti della
frase possono riferirsi contemporaneamente a due o più altri argomenti. Ad
esempio nella frase “Chi ha chiamato Gianni?” Chi può essere sia soggetto
che oggetto di ha chiamato, e Gianni a sua volta, diventare alternativamente
soggetto e oggetto. O ancora “Luigi guardava la signora con il binocolo” in
cui il binocolo può essere usato sia da Luigi che dalla “signora”.
Infine esistono le cosiddette frasi ambigue temporaneamente, si tratta di
quelle frasi che vengono interpretate in maniera diversa man mano che
vengono costruite:
Mentre Piero mangia…Mentre Piero mangia la minestra…Mentre Piero mangia la minestra in cucina…Mentre Piero mangia la minestra in cucina si raffredda…Mentre Piero mangia la minestra in cucina si raffredda il secondo piatto…
Il principio in base al quale il nostro cervello analizza tali frasi è quello
dell’economia (Friederici, 2006). Inizialmente l’analizzatore effettua una
sola analisi e sceglie la struttura sintattica più semplice, quella che
determinerà un numero minore di nodi sintattici.
61
Ad esempio: The broker persuaded
in cui persuaded potrebbe essere sia un passato semplice che un participio
passato. L’analizzatore li processerà inizialmente come passato semplice in
quanto:
Fornire un’interpretazione come in A consente un grosso risparmio
energetico e temporale. E la prima interpretazione prosegue finché non ci si
imbatte in una violazione.
4.1.1 Reazioni cerebrali
La reazione del cervello a tale situazione è stata studiata, attraverso i
potenziali evento – correlati per la prima volta da Osterhout e Holcomb nel
1992. Essi sottoponevano ai soggetti due tipi di frasi contenenti delle
preposizioni complemento, un tipo con il verbo intransitivo (a), che forniva
un risultato sempre corretto, e l’altro tipo con il verbo transitivo (b), che
inizialmente veniva processato nella forma attiva, ma, successivamente,
venendo a mancare il complemento oggetto, generava una onda P600 in
coincidenza del to.
62
(a) The broker hoped to sell the stock
L’agente sperava di vendere le azioni
(b) The broker persuaded to sell the stock
L’agente convinse / convinto di vendere le azioni
Tale P600 però aveva una localizzazione diversa rispetto a quella registrata
in seguito ad errori sintattici. Da questi risultati si è dedotto che la P600
possa avere una distribuzione diversa a seconda del tipo di violazione alla
quale si riferisce; e che il processamento linguistico avviene in maniera
seriale.
Fiebach e colleghi (2001) hanno puntato l’attenzione su un tipo di frase che
può generare facilmente delle ambiguità: le interrogative introdotte dal
pronome. La difficoltà di processamento sta nel fatto che tale pronome
rappresenta un elemento che, nella struttura profonda della lingua, ha un
posto ben preciso. L’utilizzo di tale pronome genera uno spostamento che
dal nostro cervello viene risolto grazie al collegamento tra il pronome stesso
e la posizione originaria dell’elemento detto traccia. L’analizzatore
memorizza gli elementi sino al raggiungimento della traccia, momento in
cui si ha un’integrazione segnata da una P600.
Infine, in Friederici et al, 2001 è stata studiata la reazione del cervello al
riconoscimento di un errore di attribuzione della traccia seguito alla
disambiguazione:
Questa è la direttrice che le segretarie cercato hanno
63
Inizialmente l’analizzatore attribuisce a che il ruolo di soggetto;
successivamente, hanno ne disambigua il ruolo di oggetto. La reazione è
una P600 che indica la rianalisi proprio in coincidenza dell’elemento che
determina la disambiguazione.
5. ERPs e le altre variazioni
Abbiamo visto come gli errori sintattici, semantici, lessicali, le
facilitazioni e le ambiguità di vario genere determinino delle variazioni
sostanziali negli ERPs. Ma va sottolineato che esistono molti altri fattori che
influenzano il corso dei potenziali evento – correlati. Tra questi l’età. Mills e
colleghi (1993) hanno notato una sempre maggiore specializzazione
dell’elaborazione linguistica nei bambini tra i 13 e i 20 mesi. In Gunter et al,
(1995) si evidenziano invece rallentamenti nei processi di integrazione
semantico – lessicale e di revisione semantica nei soggetti anziani. Essi
hanno infatti rilevato un rallentamento dell’elaborazione dello stimolo
acustico a livello delle componenti esogene e mesogene. L’uso di sostanze
stupefacenti o farmaci neurolettici, le dimensioni del lessico individuale, le
capacità di memoria, sono tutti fattori che influenzano e personalizzano i
risultati degli ERPs. Infine determinano variazioni degli ERPs anche alcune
patologie come l’afasia o sindromi neuro – degenerative come il Morbo di
Parkinson o quello di Alzheimer, e le psicopatologie, tra le quali la
depressione e la schizofrenia.
64
Parte Terza. ERPs e schizofrenia
Nel capitolo precedente abbiamo visto come i potenziali evocati
rappresentino una modalità di indagine approfondita all’interno
dell’universo linguistico e come, attraverso la loro osservazione, sia
possibile seguire passo dopo passo il processamento linguistico ed,
65
eventualmente, individuare il momento e la situazione esatta che determina
un’anomalia. Applicare gli ERPs allo studio di patologie che hanno forti
ripercussioni sul linguaggio potrebbe servire ad individuarne l’origine.
Come visto nel primo capitolo, la schizofrenia è una patologia che mostra
notevoli ripercussioni sul linguaggio. Proprio per questo motivo adesso
cercheremo di approfondire l’analisi del linguaggio schizofrenico
osservandone le sue manifestazioni neurologiche.
1. Schizofrenia e percezione
Come abbiamo potuto notare, attraverso l’analisi linguistica
effettuata nel primo capitolo, appare abbastanza chiaramente che i soggetti
schizofrenici non presentino alterazioni ai livelli più bassi di analisi del
linguaggio, essendo percezione, decodifica e comprensione di toni, sillabe,
fonemi, monemi e parole assolutamente intatti. A sostegno di questa tesi, ci
vengono in aiuto Covington e colleghi (2005) che hanno analizzato, livello
per livello, il linguaggio schizofrenico, attraverso la letteratura presente sul
caso.
Dal punto di vista fonologico/fonetico, secondo l’analisi di Covington e
colleghi (2005), non si può ritenere che possa sussistere una qualche
alterazione percettiva e/o produttiva nei soggetti schizofrenici, in quanto
“Even the most unintelligible utterances conform to the arrangements of
speech sounds permitted in the patient’s language”7 (Covington et al.,
2005:90). Ed anche una morfologia anomala risulta abbastanza rara nei
soggetti schizofrenici. Delle anomalie sono state, però, riscontrate a livello 7 Anche le espressioni più inintelligibili si conformano all’organizzazione dei suoni parlati permessi nella lingua
del paziente.
66
prosodico: “l’intonazione e il volume risultano spesso costanti e il
linguaggio schizofrenico contiene più pause ed esitazioni rispetto al
linguaggio normale” (id:90). “Queste caratteristiche del linguaggio
schizofrenico possono, però, essere replicate dai soggetti sani se devono
leggere o ripetere storie in cui sono stati inseriti eventi non connessi e
completamente estranei” (id:90). Appare legittimo dedurre che tali anomalie
siano determinate da una difficoltà a livello semantico o pragmatico,
piuttosto che da un deficit specificamente fonologico.
1.2 Percezione
Se tra le tesi sulla causa della schizofrenia ne esistono alcune che la
legano ad un deficit percettivo uditivo, le ricerche di Pardo e di Mohr
bastano a fugare ogni dubbio.
Pardo e colleghi (1995) hanno supposto che le allucinazioni uditive, uno dei
sintomi principali della schizofrenia, potessero essere determinate da uno
scorretto processamento uditivo della propria voce, riconosciuta come
estranea dai soggetti schizofrenici. Hanno, allora, condotto un esperimento,
utilizzando la PET (Tomografia ad Emissione di Positroni), nel quale veniva
chiesto ai soggetti, in una prima fase, di osservare passivamente delle parole
scritte su uno schermo e, in una seconda fase, di leggere le stesse parole ad
alta voce. È stato notato che i soggetti normali mostrano un’inibizione
automatica del processamento uditivo del linguaggio autogenerato durante
la lettura ad alta voce e che le cortecce uditive sono attive allo stesso modo
sia durante la lettura ad alta voce che durante la visione passiva delle stesse
parole. Confrontando i risultati dei soggetti del gruppo di controllo e quelli
67
dei soggetti schizofrenici, non sono state rilevate differenze, infatti i pazienti
con la schizofrenia, così come i soggetti del gruppo di controllo,
sopprimono automaticamente il processamento della loro voce. Quindi le
allucinazioni nella schizofrenia non derivano dalla perdita di auto inibizione
tra produzione del linguaggio e percezione ed il processamento linguistico
funziona alla stessa maniera sia nei soggetti schizofrenici che in quelli
normali.
In Mohr et al, 2001, in un primo esperimento parole e pseudo parole sono
state presentate a soggetti schizofrenici ed al gruppo di controllo o
all’orecchio destro o sinistro (stimolazione monauricolare), oppure ad
entrambi contemporaneamente (stimolazione biauricolare). Nel secondo
esperimento, i soggetti avevano il compito di discriminare due toni
differenti tra di loro per frequenza, durante stimolazioni mono e biauricolari.
I soggetti di controllo hanno mostrato un vantaggio dell’orecchio destro,
certamente connesso alla lateralizzazione emisferica. Lo stesso modello di
lateralizzazione è stato individuato nei soggetti schizofrenici, indicando una
lateralizzazione funzionale al processamento del linguaggio ascoltato non
deficitaria. Inoltre Mohr e colleghi (2001) hanno mostrato che in nessuno
dei due gruppi era presente tale fenomeno connesso a pseudoparole. I
risultati mostrano schemi di asimmetria funzionale normali durante il
processamento del linguaggio ascoltato e durante la discriminazione dei toni
nei soggetti schizofrenici.
Le capacità percettive dei soggetti schizofrenici appaiono, dunque, intatte.
Per tale motivo, ci soffermeremo, allora, sui potenziali endogeni, le
componenti più prettamente linguistiche.
68
2. Schizofrenia e sintassi
Il primo livello linguistico osservabile nei potenziali evocati
endogeni è quello sintattico. Come sappiamo, l’indice del processamento
sintattico è un’onda negativa intorno agli 80 ms dalla presentazione dello
stimolo (ELAN). Frasi sintatticamente non corrette generano dunque ELAN
di ampiezza maggiore rispetto a frasi sintatticamente corrette. Se dunque i
soggetti schizofrenici presentassero un qualche deficit legato al
processamento sintattico, ci si aspetterebbe un’ampiezza minore della
componente ELAN rispetto a quella prodotta dal gruppo di controllo.
Analizzando il linguaggio schizofrenico linguisticamente, al di là dei
risultati dei potenziali evocati, è facilmente intuibile che tali soggetti non
hanno alcun deficit sintattico. Al contrario “non solo lo schizofrenico è
capace di produrre frasi intricatissime, con diversi livelli di incassamento
delle proposizioni subordinate, ma mostra anche una singolare competenza
metalinguistica” (Pennisi, 1994).
Inoltre, seppure il lavoro certosino di Covington e colleghi (2005) mostri
che la schizofrenia è accompagnata da una riduzione della complessità e da
un deperimento della comprensione sintattica, testimonia che “la sintassi del
linguaggio schizofrenico è generalmente normale, anche quando la
semantica e l’organizzazione del discorso sono completamente crollati.
Anche la cosiddetta insalata di parole è costituita da normali componenti
sintattiche” (id.: 91).
Ed anche Kuperberg e Caplan (2003), nonostante abbiano notato una
devianza nell’uso che i soggetti schizofrenici fanno della grammatica,
69
affermano che “la maggior parte degli errori da essi commessi può
presentarsi anche nelle espressioni dei soggetti normali” (id.: 453) e può
essere collegata al livello di istruzione. Affermano, inoltre, che la maggior
parte dei test effettuati sul linguaggio schizofrenico, non producendo
risultati controllabili nel momento in cui viene prodotta l’espressione,
potrebbero non consentire una distinzione tra deficit specifici nel
processamento sintattico, e deficit nella combinazione dei processi
sintattico-semantico-lessicale. Risulta, dunque, a tale scopo, essenziale
l’utilizzo dei potenziali evocati.
2.1 ERPs e sintassi schizofrenica
Ruchsow e colleghi (2003) hanno analizzato i processi di
comprensione del linguaggio in pazienti con schizofrenia confrontati al
gruppo di controllo durante un compito di processamento della frase,
utilizzando i potenziali evento-correlati. Nell’esperimento sono state
presentate ai soggetti frasi corrette, semanticamente non corrette e
sintatticamente non corrette. Ogni frase era seguita da una parola ed i
partecipanti dovevano indicare se tale parola fosse contenuta o meno nella
frase precedente premendo un tasto.
I risultati mostrano ELAN identiche nei due gruppi, suggerendo che i
processi sintattici precoci, come l’assegnamento della struttura sintattica ad
una stringa di parole, siano intatti nella schizofrenia.
La P600 è stata registrata solo nel gruppo di controllo, fattore che potrebbe
indicare, non tanto un deficit sintattico, quanto un deficit specifico del
linguaggio nel processo di integrazione sintattico-semantica.
70
D’altro canto, Ye e colleghi (2006), analizzando i potenziali evocati in
soggetti normali in caso di frasi sintatticamente, semanticamente e sintatto-
semanticamente non corrette, hanno notato che l’onda P600 non era
presente né per le violazioni sintattiche, né per quelle sintattico-semantiche.
I risultati, a tal proposito, appaiono dunque contrastanti.
3. Schizofrenia e semantica
Se il pattern sintattico risulta, dunque, inalterato, la semantica appare
chiaramente anomala, specialmente ai livelli semantici più alti. Nel capitolo
precedente abbiamo sostenuto che a livello di processamento semantico del
linguaggio, la componente che sembra farla da padrone è la N400. Con la
sua mutevolezza in concomitanza di numerosi e variegati fattori, sembra
essere la componente più facilmente influenzabile dal soggetto stesso che la
genera. Abbiamo visto che questa onda, che si manifesta tra i 250 e i 550 ms
dalla presentazione dello stimolo, in linea generale, ha un’ampiezza
maggiore in presenza di incongruenza semantica, anche se tale ampiezza
può essere facilmente manipolata attraverso l’ausilio di primes che
preparano in qualche modo il soggetto sottoposto al test. Nonostante questa
variabilità, il mondo scientifico è concorde nel sostenere che la N400 sia il
correlato elettrofisiologico dei processi di analisi semantica. Le
caratteristiche del linguaggio schizofrenico analizzate nel primo capitolo,
ben si prestano ad un anomalo processamento semantico. Le anomale
connessioni tra significante e significato, ma anche tra le parole stesse, e tra
le parole e il contesto sono dunque al centro della nostra analisi.
71
3.1 La comprensione
I primi studi sui potenziali evocati legati alla semantica nei soggetto
schizofrenici risalgono agli anni ’90. Grillon e colleghi (1991)
confrontarono gli ERPs di diciassette soggetti schizofrenici con quelli del
gruppo di controllo. I soggetti avevano il compito di decidere se, all’interno
di una coppia di nomi, il secondo fosse o meno semanticamente connesso al
primo. I ricercatori, ponendo l’attenzione sulla N400, rilevarono una
riduzione ed un ritardo nei soggetti schizofrenici rispetto al gruppo di
controllo. Anche se queste anomalie non caratterizzavano l’intero gruppo di
soggetti schizofrenici, in quanto alcuni pazienti elicitavano una N400
normale, è significativo un dato: l’attività degli ERPs tra i 500 e gli 800 ms
era maggiormente positiva per le parole connesse rispetto a quelle non
connesse in entrambi i gruppi. Gli schizofrenici riconoscono, dunque
l’anomalia nelle coppie incongruenti e le differenziano rispetto a quelle
congruenti con un maggiore sforzo elaborativo. Se ne deduce che il livello
della comprensione è intatto.
3.2 Ipo-attivazione, iper-attivazione e contesto
Le connessioni tra le parole giocano un ruolo vitale nel linguaggio
umano. Frasi come “il cane ha la coda” e “alla posta c’era coda” sarebbero
più difficili da comprendere se i due differenti sensi di “coda” non fossero
veicolati dal priming semantico di “cane” e “posta” rispettivamente. Poiché
gli schizofrenici hanno la tendenza ad associare le parole in maniera
72
anomala, è stato ipotizzato che il linguaggio disorganizzato schizofrenico sia
il risultato di anomalie nel modo in cui le parole, ed i concetti che esse
rappresentano, si attivano l’un l’altra, all’interno della rete della memoria
semantica. Un’ipotesi sostiene la possibilità che il deficit di memoria
semantica nella schizofrenia sia causato da una difficoltà ad accedere o a
recuperare la rete semantica. Dunque le associazioni inusuali tra concetti,
potrebbero essere conseguenza di una ridotta diffusione delle attivazioni
nelle reti semantiche.
3.2.1 Il potenziale di riconoscimento
A sostenere questa ipotesi sono Martin-Loeches e colleghi (2004).
Essi partono dal presupposto che ogni concetto è costituito dalle proprie
caratteristiche, ma anche dalle relazioni che intrattiene con altri concetti8
che qui vengono a perdersi, rendendo il concetto meno ben formato.
Una componente ERP che, a parer loro, potrebbe chiarire la situazione è il
potenziale di riconoscimento, che si presenta con un picco positivo intorno
ai 200 – 250 ms dalla presentazione dello stimolo. La sua ampiezza varia in
funzione della categoria semantica dello stimolo, essendo maggiore per le
parole concrete rispetto alle astratte. Il potenziale di riconoscimento (RP) è
una risposta elettrica cerebrale che si presenta quando il soggetto vede
stimoli significativi inseriti in un flusso di immagini background ad
un’elevata velocità di presentazione. L’ampiezza di tale potenziale sarebbe
maggiore in presenza di parole concrete piuttosto che astratte. Presentando
ai soggetti un test ad hoc, nel quale veniva chiesto di riconoscere il nome di
8 Per Ferdinand de Saussure si può identificare il valore di un elemento della lingua solo in maniera differenziale,
tramite il rapporto con gli altri termini del sistema che permettono la sua identificazione per opposizione.
73
un animale all’interno di una lista di parole semanticamente corrette,
stringhe di lettere inesistenti ma possibili in spagnolo, stringhe di lettere
impossibili, stimoli di controllo, e stimoli di background, come parole
mancanti di una lettera, è risultato che l’ampiezza dell’RP era ridotta nei
soggetti schizofrenici con ThD e che i soggetti schizofrenici privi di ThD,
mostravano un’ampiezza dell’RP intermedia tra i soggetti con ThD e il
gruppo di controllo. Tali risultati dimostrerebbero una difficoltà di
riconoscimento da parte dei soggetti schizofrenici, supportando l’ipotesi
dell’ipoattivazione.
3.2.2 Priming semantico ed effetto di ripetizione
Un’altra ipotesi sarebbe quella dell’iper-attivazione proposta da
Spitzer (1997), secondo la quale, durante l’accesso lessicale, le attivazioni
procedono in maniera più veloce e diffusa nei soggetti schizofrenici rispetto
ai soggetti normali, causando l’intrusione di associazioni inusuali. Uno
strumento per verificare tale ipotesi è il priming semantico che, in questo
modello, dovrebbe produrre un aumento dell’effetto priming.
Questa ipotesi è stata sostenuta da Moritz e colleghi (2002) che, partendo
dai tempi di risposta al compito, hanno registrato l’effetto priming in
soggetti con disordine del pensiero e non. Moritz e colleghi (2002) hanno
presentato ai soggetti coppie di nomi con le seguenti condizioni:
- Condizione di priming indiretto (formaggio – gatto, mediato da
topo);
- Condizione di priming semantico (sole – luna)
- Condizioni non connesse (rifugio - vernice)
74
- Condizione neutrale (in cui il prime è una stringa di X seguita da una
parola)
I risultati ottenuti hanno mostrato tempi di reazione prolungati nei soggetti
schizofrenici e differenze nei tempi di reazione per le quattro condizioni.
Soprattutto, se l’effetto priming non varia molto per le coppie indirette tra i
soggetti senza disordine del pensiero e il gruppo di controllo, i pazienti con
ThD hanno mostrato avuto un effetto priming molto più marcato,
confermando il collegamento tra disordine del pensiero ed eccessiva
estensione delle attivazioni nella rete semantica dei soggetti schizofrenici.
Questo test si è basato sui tempi di risposta. Se però utilizziamo i potenziali
evocati per calcolare l’effetto priming, le cose cambiano molto.
Come sappiamo, l’ampiezza della N400 è sensibile a tutti quei fattori che
facilitano il processamento di una voce, come la frequenza d’uso, la
ripetizione, il collegamento semantico e la congruità semantica. Essa varia
inversamente al collegamento semantico tra il target e il suo prime. In altre
parole, l’ampiezza della N400 in riferimento ad un target è ridotta (meno
negativa) quando è più legata al prime. Dunque l’ampiezza della N400 è
stata usata per misurare il livello di attivazione reciproca dei concetti nella
memoria semantica in soggetti con schizotipia.
Partendo da tale presupposto, Kiang e Kutas (2005) utilizzano la
componente N400 per analizzare l’effetto priming semantico nei soggetti
schizofrenici e comprendere se il linguaggio disorganizzato sia dovuto ad
una attivazione più forte verso le parole debolmente connesse (producendo
una N400 minima per le parole debolmente connesse, perché attivate
automaticamente) o ad un uso meno efficace del contesto (con una maggiore
75
N400 sia per le parole fortemente connesse che per quelle debolmente
connesse). Ai soggetti sottoposti al test sono state presentate delle
definizioni di varie categorie seguite da sostantivi target, che potevano
essere esemplari ad alta tipicità, a bassa tipicità e non esemplari per la
categoria, ed è stato chiesto di indicare se il target ne fosse o meno un
esemplare. I risultati ottenuti hanno mostrato una N400 più ampia per i non
esemplari, intermedia per gli esemplari meno tipici e più piccola per gli
esemplari tipici in tutti i gruppi. Inoltre, all’aumentare della schizotipia,
aumentava anche l’ampiezza della N400 sia per le parole fortemente
connesse che per quelle debolmente connesse. Questi risultati propongono
quindi, più che un’iper-attivazione della rete semantica, un uso meno
efficace del contesto.
4. N400 e sue variazioni
Abbiamo più volte rilevato in queste pagine che le anomalie degli
ERPs tendono a variare in funzione della presenza o meno nei soggetti
schizofrenici di un alto livello di ThD.
Anche Matsumoto e colleghi (2001), infatti, hanno rilevato tale
correlazione. Essi hanno osservato l’effetto priming nei soggetti
schizofrenici, dedicando, però, maggior interesse all’effetto di ripetizione ed
incrociando i risultati con una variabile tipicamente schizofrenica: la
presenza del disordine di pensiero. I risultati hanno mostrato che sia i
soggetti sani che quelli senza ThD avevano prodotto ERP più positivi per le
parole ripetute piuttosto che per le parole nuove (effetto di ripetizione),
mentre il gruppo con ThD non ha mostrato l’effetto di ripetizione. Queste
76
scoperte suggeriscono che l’anomala attenuazione dell’effetto di ripetizione
durante il processamento semantico possa essere maggiore nei soggetti
schizofrenici con ThD piuttosto che in quelli senza il sintomo.
Un forte fattore di discriminazione potrebbe, allora, risultare il disordine del
pensiero. A tal proposito può risultare importante l’indagine di Kostova e
colleghi (2005). Questo esperimento potrebbe chiarire la causa dell’elevata
variabilità di ampiezza e latenza della N400 nei soggetti schizofrenici.
4.1 N400 e disordine del pensiero
Kostova e colleghi (2005) hanno proposto che le variazioni possano
dipendere dalla presenza o meno del disordine del pensiero. Esplorando il
collegamento tra le anomalie della N400 ed il profilo clinico dei pazienti
schizofrenici, essi hanno notato che, confrontando i risultati ottenuti tra
effetto N400 e vari sintomi della schizofrenia (ThD, sintomi positivi,
sintomi negativi, sintomi generali, dose media di neurolettici) o dati
socioculturali (età, livello lessicale, numero di anni di studio), solo la
correlazione con il disordine del pensiero è significativa: maggiore è il
punteggio del ThD9, minore è l’effetto N400 osservato.
Questi risultati confermano dunque la stretta connessione che intercorre tra
il linguaggio tipicamente schizofrenico e le anomalie della componente
N400. Anomalie sono state riscontrate, però anche durante la registrazione
delle componenti P300 ed LPC.
9 Il punteggio di ThD è stato calcolato attraverso la Scala per la valutazione della Disorganizzazione del pensiero
(SCADIS). Questo strumento si propone di "valutare quantitativamente e qualitativamente la destrutturazione delle
modalità formali della comunicazione associate alla dimensione psicopatologica della "disorganizzazione""
(Pancheri et al., 1996) e non prende in considerazione, quindi, le tradizionali "alterazioni formali del pensiero", ma
i meccanismi che le sottendono in funzione comunicativa.
77
5. N400, P300 ed LPC
Come sappiamo la P300 è quella componente che si ritiene indichi
l’inizio di una situazione inaspettata che richiede un processo di
aggiornamento della propria rappresentazione mentale del contesto
ambientale nel quale si trova ad operare. Solitamente viene registrata
utilizzando stimoli uditivi o visivi impiegati nel cosiddetto paradigma
oddball, in cui al soggetto viene chiesto di rispondere a degli stimoli saltuari
presentati all’interno di una serie di stimoli frequenti. La discriminazione tra
le due categorie di stimoli produce la componente positiva P300, appunto
legata all’inattesa presentazione di uno stimolo.
Anomalie nella P300 di soggetti schizofrenici sono state segnalate sin dagli
anni ’70. In Bharat et al., 2000, ritroviamo una schematizzazione di tutti i
documenti dal 1975 al 1999 che utilizzano il potenziale P300 per valutare
l’ereditarietà o la vulnerabilità alla schizofrenia. Il risultati segnalano
ampiezza ridotta e latenza ritardata, e portano Bharath e colleghi a
considerare la P300 addirittura il marker della schizofrenia, posizione già
sostenuta da Mathalon e colleghi (2000) e da Turetsky e colleghi (2000). Più
recentemente le anomalie della P300 sono state confermate da Condray e
colleghi (2003) e Matsumoto e colleghi (2005), facendo supporre che i
soggetti schizofrenici non reagiscano di fronte ad uno stimolo inatteso.
Le LPC rappresenterebbero, invece, “il grado di sforzo applicato dal
soggetto per il reinserimento della parola nel contesto” (Falzone, 2004 in
Pennisi, 2004: 263).
78
Yoshino e colleghi hanno analizzato la relazione tra P300 ed LPC durante
un compito linguistico in cui i soggetti dovevano dare un giudizio di
congruità semantica. Sono state riscontrate significative correlazioni
positive tra l’ampiezza media della P300 e quella delle LPC in entrambi i
gruppi. Questi risultati indicherebbero l’esistenza di un processo comune
che sottostà alle ridotte P300 e LPC nella schizofrenia. La P300 potrebbe,
dunque, coprire una finestra temporale più lunga che va dai 250 agli 800 ms.
Partendo da questo presupposto, Ohta e colleghi (1999) hanno analizzato le
caratteristiche neurofisiologiche e cognitive del disordine del linguaggio
nella schizofrenia, sottoponendo i soggetti ad un test basato sull’analisi di
congruità semantica di frasi giapponesi. Come previsto, hanno registrato una
N400 più negativa per i pazienti nelle congruenti rispetto alle incongruenti.
Inoltre, dai dati sono emerse una P300 e delle LPC scarsamente positive per
i soggetti schizofrenici. Tale anomalia potrebbe essere dovuta non tanto ad
una ridotta ampiezza delle componenti, quanto piuttosto ad una latenza
ritardata. Ohta e colleghi hanno infatti proposto che, vista la tendenza dei
soggetti schizofrenici a produrre onde con latenza ritardata collegate al
processamento semantico, ed essendo le LPC delle propaggini della P300,
se quest’ultima si presentasse con latenza ritardata sino ad accavallarsi con
la N400, l’ampiezza della P300 e conseguentemente delle LPC, potrebbe
venir coperta o addirittura compensata dall’ampiezza maggiore della N400.
Anche queste ricerche sosterrebbero dunque la teoria secondo la quale il
deficit, se così possiamo chiamarlo, dei soggetti schizofrenici, non sarebbe
legato ad una difficoltà di reperimento del significato lessicale delle parole,
79
o della loro categorizzazione, quanto, piuttosto nella difficoltà di
inserimento dei significati delle parole nel contesto di riferimento.
La difficoltà del reperimento lessicale è, infatti, un sintomo comune di molti
disordini mentali dal danno cerebrale alla semplice stanchezza, ma nella
schizofrenia il reperimento delle parole è disordinato in maniera particolare.
Ad esempio, una modalità comune è l’approssimazione delle parole, l’uso di
parole che si avvicinano soltanto al significato inteso, come “riflettore” per
“specchio”, o alla formazione di nuove parole partendo da parole già
esistenti come “scarpa da mano” per “guanto” o “pattino da carta” per
“penna a sfera”.
A differenza, ad esempio, degli afasici che manifestano lo stesso tipo di
approssimazione, gli schizofrenici utilizzano tali termini con regolarità, fatto
che fa supporre una sorta di “volontà” o logica sottostante all’utilizzo di tali
termini piuttosto che quelli comunemente utilizzati. Si profila piuttosto un
uso metaforico dei termini. A tal proposito abbiamo già citato nel primo
capitolo l’interessante analisi che Pennisi fa dell’uso della metafora e del
“sillogismo debole” in schizofrenia, per la quale le “strambe” associazioni
create dai soggetti schizofrenici avrebbero alla base appunto il “sillogismo
debole”, tipico processo cognitivo della metafora. Del resto già Binswanger
aveva parlato dell’uso delle metafore nei soggetti schizofrenici, ritenendole
“puro linguaggio della trascendenza attraverso il quale si esprimono i modi
di essere di chi le enuncia” (1994, in Meneghetti, 2008). Dunque la metafora
come espressione di sé stessi, come punto di connessione con l’animo
umano. Non stupisce, allora la difficoltà che i soggetti schizofrenici
mostrano nel comprendere le metafore di uso comune.
80
5.1 ERPs e metafore
Iakimova e colleghi (2005) hanno analizzato la capacità cognitiva
dei soggetti schizofrenici nel processamento metaforico, confrontando gli
ERPs e i dati comportamentali da essi prodotti per frasi letterali, metaforiche
e incongruenti, con gli ERPs e i dati comportamentali del gruppo di
controllo. I risultati dei pazienti hanno mostrato, oltre ad un generico ritardo
ed una maggiore negatività per la N400, anche un’assenza di modulazione
tra i tre tipi di frase della LPC, confermando dunque la difficoltà degli
schizofrenici presi in esame nell’interpretazione di metafore socialmente
condivise, e suggerendo processi di integrazione del contesto meno
efficienti.
6. Schizofrenia e pragmatica
A quanto pare, è la pragmatica, la relazione tra linguaggio e
contesto, il livello più ovviamente disorganizzato in schizofrenia.
Ditman e Kuperberg (2007), per comprendere come i soggetti schizofrenici
integrino le informazioni sia a livello pragmatico, sia a livello lessicale-
semantico, hanno esaminato gli ERPs dei pazienti e del gruppo di controllo,
connessi alla costruzione della coerenza durante la comprensione di un
discorso online.
Ai pazienti schizofrenici e al gruppo di controllo sono stati presentati
scenari di tre frasi in cui le frasi finali erano altamente correlate,
mediamente correlate o non correlate al contesto di due frasi precedenti,
grazie ad una parola (in posizione mediana o finale) che ne determinava il
81
grado di correlazione. In isolamento, le frasi finali in tutte e tre le condizioni
erano coerenti. Dopo la presentazione dell’ultima frase, veniva chiesto ai
soggetti di indicare se quest’ultima fosse o meno correlata semanticamente
al contesto costituito dalle due frasi precedenti.
Ci si aspettava che, diversamente dal gruppo di controllo, i pazienti
fallissero nell’uso sia del contesto a livello pragmatico, sia delle
associazioni lessico-semantiche per stabilire la coerenza del discorso, con
una conseguente attenuazione dell’effetto N400 per le parole critiche negli
scenari correlati, ancora più marcata nei pazienti con ThD più severo.
Come ci si attendeva, le analisi hanno rivelato differenze significative nelle
valutazioni dei soggetti. Mentre gli adulti sani hanno mostrato una graduale
diminuzione nell’ampiezza della N400 lungo i tre tipi di scenario (effetto
N400), i pazienti hanno mostrato un’assenza di modulazione della N400.
L’aumento della N400 delle parole critiche mediamente connesse rispetto a
quelle altamente connesse, nei soggetti normali, è probabilmente dovuto
all’aumento dello sforzo cognitivo richiesto per generare ed integrare
inferenze di collegamento in questi scenari. Ad esempio, per comprendere lo
scenario intermedio: “Mark e John stavano discutendo. Mark era sempre
più turbato. La mattina dopo John aveva alcune ecchimosi” il lettore ha
bisogno di andare oltre ciò che è esplicitamente espresso nel testo per
inferire che Mark ha colpito John.
Nel gruppo schizofrenico, l’assenza di effetto N400 in questo confronto,
suggerisce che, dai 400 ms dalla presentazione della parola critica, i pazienti
non hanno provato a generare o usare tali inferenze per costruire la coerenza
tra le tre frasi.
82
Per ciò che riguarda le LPC, è stata registrata una differenziazione tra i
gruppi, una tra i tipi di frase e una anche tra le posizioni della parola target: i
pazienti mostrano LPC meno positive rispetto al gruppo di controllo, a
ulteriore conferma dei dati precedenti. In ogni caso, risultano più positive
per le parole finali, piuttosto che per quelle in posizione mediana, per le
quali non si riscontrano variazioni significative tra i tipi di connessione. Tra
le LPC elicitate da parole in posizione finale, la presenza di una LPC più
positiva per le parole critiche non connesse rispetto alle altamente connesse
mostra che i pazienti, in uno stadio tardivo, discriminano neurologicamente
tra gli scenari altamente connessi e non connessi. Questa LPC non è stata
osservata negli adulti sani, probabilmente perché essi avevano già provato
ad inserire semanticamente la frase finale nel contesto non correlato (come
riflesso dalle differenze nella N400). Una spiegazione per la LPC per lo
scenario non connesso nei pazienti, è che rifletta un tentativo tardivo
inappropriato di estrarre inferenze negli scenari non connessi.
Come predetto, all’interno del gruppo di pazienti, la severità del ThD è
inversamente proporzionale alla dimensione dell’effetto N400.
Inoltre, sebbene le risposte dei pazienti fossero più lente di quelle del
controllo, entrambi i gruppi hanno mostrato un pattern simile di tempi di
risposta (RT): più veloce per i contesti altamente connessi, rispetto a quelli
intermedi e non connessi.
In conclusione, il presente studio ha dimostrato che i pazienti schizofrenici,
particolarmente quelli con ThD, hanno difficoltà nell’uso immediato
dell’informazione causale tra le frasi per costruire rappresentazioni globali
durante il processamento neurale online. Piuttosto i pazienti, inizialmente
83
puntano l’attenzione sulla coerenza locale, frase per frase, a spese di quella
globale, del contesto, provando solo alla fine a generare inferenze causali in
modo da differenziare tra i tre livelli di connessione causale, conducendo a
perfomance del compito che sono molto simili a quelle degli adulti sani.
84
Conclusioni
L’analisi dei potenziali evocati ha fornito alcune precisazioni relative
alle caratteristiche del linguaggio schizofrenico.
“Lo schizofrenico non mostra alterazioni nei potenziali tronco-encefalici,
(…) né in quelli talamici. Il suo deficit non è collocabile a livello della
percezione e della decodifica fonologica, morfologica e sintattica” (Falzone,
2004 in Pennisi 2004: 263-264). Inoltre, quello che per molti è stato, e, in
85
alcuni casi è, un deficit sintattico, alla luce dei risultati qui esposti risulta, al
contrario, un “virtuosismo sintattico” testimoniato, da un lato, dall’assenza
di anomalie degli ERP sintattici, e dall’altro, dalla regolarità costante e
sempre logicamente giustificabile, presente in tutte le produzioni
linguistiche schizofreniche.
Anche l’utilizzo di neologismi e paralogismi appare costante, testimoniando
la “volontà” del soggetto di ricorrere ad un uso personale della semantica,
basata su regole privatamente stabilite.
Abbiamo anche escluso un deficit a livello lessicale, in quanto presenti
differenziazioni tra i potenziali per le parole congruenti ed incongruenti, che
fanno supporre una discriminazione a livello della comprensione dei
significati. D’accordo con i risultati analizzati nelle pagine precedenti, si
può notare chiaramente un’anomalia negli ERPs dei soggetti schizofrenici
ad un livello tardivo, mostrando una difficoltà di reintegrazione dei
significati elaborati, all’interno del contesto, dal quale sembrano distaccati,
come testimoniato dalla N400 maggiormente negativa e dall’assenza di
modulazione delle LPC durante il processamento delle metafore. Poiché il
significato di tali frasi necessita non tanto di un’analisi delle singole parole,
quanto piuttosto di un confronto con l’uso linguistico della comunità di
parlanti in cui è generata, appare chiaro che ciò che manca ai soggetti
schizofrenici è la capacità di interagire con tale uso linguistico, come se non
facesse parte della loro “semantica esistenziale” (Minkowsi in Falzone,
2004: 268).
Tale anomalia concorda con la teoria binswangeriana in base alla quale la
schizofrenia non sarebbe una patologia, ma una modalità di esistenza.
86
Secondo tale teoria, i soggetti schizofrenici, incontrano un’iniziale difficoltà
d’inserimento sociale, trovandosi spaesati nella gestione della vita pubblica.
Tale difficoltà è conseguenza della cosiddetta tematizzazione dell’ovvio, per
la quale ogni esperienza automatica viene vissuta dallo schizofrenico come
ignota e analizzata, come mostrato dalla maggiore ampiezza della N400
riscontrata per le frasi e le parole congruenti. Si ha, così, la perdita
dell’evidenza naturale, con una conseguente sensazione di smarrimento
all’interno di un mondo sconosciuto ed imprevedibile. In tale situazione, gli
schizofrenici tendono a ricercare un punto fermo sul quale basare tutte le
proprie esperienze di vita quotidiana.
La nostra vita è fatta di esperienze del mondo ed ogni essere umano, sulla
base di tali esperienze, impara a vivere e dominare il mondo stesso
attraverso la “decisione”. Per Binswanger il soggetto schizofrenico si trova
davanti ad una quantità eccessiva di esperienze rispetto alla sua capacità di
dominio. Per tale motivo tutta la sua esistenza si blocca su di un unico
problema, chiudendo ogni rapporto con il mondo e mantenendo solo
rapporti con sé stesso. Tale unico problema è la base del suo delirio. Un
delirio che, pur impedendogli una vita serena (non riuscendo ad interpretare
i significati delle esperienze che fa, vive nella tensione e nell’angoscia), gli
fornisce l’unico appiglio, l’unico punto fermo, l’unica ancora di salvezza in
questo “mondo diventato improvvisamente così saturo di significati e
riferimenti da non permettergli più la libertà di scelta”, (Cappellari, 2002),
in cui l’Io risulta prigioniero.
E in funzione di questo delirio egli costruisce tutta la sua esistenza,
interpreta il mondo.
87
Ogni sua azione, ogni sua espressione è tesa a sostenere il suo delirio e allo
stesso tempo è da quel delirio limitata. Con il termine limitata ci riferiamo
alla distinzione che Pennisi fa di deficit di “potenza” e deficit di
“complessità”: utilizzando come termine di paragone il computer, Pennisi
definisce potenza “la rapidità e l’efficienza dei procedimenti di calcolo di
cui è capace”, mentre la "complessità" “la quantità di problemi pratici che il
software implementato riesce a risolvere”. Tenendo in considerazione
questa distinzione, i soggetti schizofrenici mostrano un deficit di
complessità, ma non di potenza. Non commettono errori formali, anzi
risultano agire in maniera estremamente logica e razionale, ma, in virtù di
tale estrema razionalità, non riescono ad adattare il proprio comportamento
alle diverse situazioni della vita, non possono modificare il proprio punto di
vista, da quello logico ad emotivo, etico, estetico, etc, restando legati,
vincolati e limitati al principio che è alla base del loro delirio. E per
difendere tale delirio da confutazioni e critiche che potrebbero minare la
stabilità stessa dell’individuo, lo schizofrenico tende a creare tutta una serie
di protezioni che trovano manifestazione nell’uso a volte esasperato che fa
della sintassi. Ma non si tratta di un distacco volontario dalla realtà. Non si
mette intenzionalmente in opposizione con la nostra esistenza.
Semplicemente prende atto della propria peculiarità. Non vuole essere
diverso, egli lo è. E per tale motivo gli altri non possono comprenderlo. Lo
schizofrenico perde contatto con la realtà esterna al nocciolo delirante, e ciò
ci fornisce una spiegazione alle anomalie degli ERPs a livello
semantico/pragmatico. I significati socialmente condivisi vengono vissuti,
da un soggetto abituato ad assegnare significati basandosi su di un unico
88
privato principio, alla stregua degli errori semantici e pragmatici, (come
manifestato dall’assenza di modulazione della N400) di difficile
interpretazione e necessitano, dunque, di un’elaborazione più profonda.
Il principio regolatore, il significato profondo delle sue espressioni
linguistiche e delle sue azioni risulta privato, nascosto, inaccessibile, ma pur
sempre presente. Il linguaggio schizofrenico risulta, dunque, difficilmente
interpretabile se non a partire dall’esperienza del singolo soggetto, ma pur
sempre logico e consequenziale.
89
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