scuola primaria “cuore immacolato di maria” la … di... · 2013-10-01 · scuola primaria...
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SCUOLA PRIMARIA “CUORE IMMACOLATO DI MARIA”
LA CLASSE III
PRESENTA
E ALTRE STORIE…
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Prefazione
Cari genitori,
spesso nelle nostre conversazioni quotidiane utilizziamo
motti, proverbi e modi di dire che ci servono per esprimere
un concetto attraverso un’immagine che ne riassume il
significato. Così per esempio diciamo “Tirare il can per l’aia”
per indicare una persona che perde tempo in chiacchiere
inutili, oppure talvolta si parla di “Averne fin sopra i capelli”
per dire che siamo al limite della nostra pazienza, che non
ne possiamo proprio più.
Queste espressioni le usiamo in modo meccanico, senza
chiederci da dove provengano o chi le abbia inventate.
In questo libro i bambini, attraverso la loro grande
fantasia, hanno cercato di risalire al vero significato di alcuni
modi di dire. Le storie che hanno inventato sono originali e
davvero divertenti. Noi insegnanti ci siamo solo limitati dare
una maggiore struttura ai racconti, per il resto “E’ tutta
farina del loro sacco”.
Questo lavoro prende spunto, ovvero plagia
completamente l’idea e il libro “Parlare a vanvera” della
scrittrice Bianca Pitzorno.
Buona lettura e Buon Natale.
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Indice
Che barba! La vera storia di Babbo Natale 4
Col cavolo 6
Essere un pezzo di pane 8
Mangiare la foglia 10
Incrociare le braccia 12
Sputare il rospo 13
Andare al fresco 15
Salvare la pelle 16
Far rizzare i capelli in testa 17
Avere la puzza sotto il naso 18
Affogare in un bicchier d’acqua 19
Col fischio 20
Avere le mani bucate 21
Cercare il pelo nell’uovo 23
Avere un colpo di fulmine 24
Fare il pappagallo 26
Volere la luna 28
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CHE BARBA! LA VERA STORIA DI BABBO NATALE
Scritto dalla classe III
Babbo Natale esiste da tantissimo tempo e ogni
anno si ritira nella sua casa a preparare i regali che donerà a
tutti i bambini.
Un giorno mentre lavorava nel suo laboratorio,
senza che se ne accorgesse, gli cadde dalle mani un po’ di
polverina magica che gli gnomi utilizzano per costruire i
giocattoli migliori.
Il caso volle che la polverina finì proprio dentro la
tazza di latte di renna che Babbo Natale beveva ogni
mattina per colazione. Così, la mattina dopo, il simpatico
omone fece colazione e ingoiò la magica polverina.
Improvvisamente la sua barba bianca iniziò a crescere e
diventò lunghissima.
Babbo Natale provò anche a tagliarsela ma, dato che
faceva molto freddo, la barba si ghiacciò e divenne molto
dura. Il poveruomo dovette quindi tenersi quella barba così
lunga anche se gli dava fastidio.
La notte del 24 dicembre, la vigilia di Natale, Babbo
Natale finì di preparare gli ultimi doni, li caricò tutti sulla
slitta e partì verso le case dei bambini.
Il viaggio inizialmente sembrava tranquillo ma, ad un
certo punto, si alzò molto vento e la barba lunga iniziò ad
ondeggiare di qua e di là sbattendo da tutte le parti. Come
fosse una frusta colpì anche le renne che si imbizzarrirono.
La barba era così lunga che, ogni tanto, finiva fin sotto le
ascelle del caro Babbo Natale facendogli solletico e
portandolo a ridere: « Oh, oh, oh!»
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Tutti bambini allora, sentendo la sua voce, si
affacciavano felici alle finestre sperando di vedere la magica
slitta.
Volando sopra le città capitava anche che la barba
andasse a sbattere contro i tetti delle case e, ogni tanto, si
incastrasse in un camino, sbilanciando la slitta e facendo
cadere i pacchetti.
Babbo Natale quindi doveva fermare le renne, liberare la
barba, scendere a terra senza farsi vedere dai bambini,
raccogliere i pacchetti e ripartire.
Babbo Natale, che non era più un giovanotto,
affaticato e sudato diceva: « Che noia questa barba così
lunga!»
Il viaggio continuò in questo modo per buona parte della
notte magica.
Una volta, addirittura, la barba si ingarbugliò tra i
rami di un grande albero di Natale facendolo oscillare a
destra e a sinistra finché cadde, con un tonfo, a terra. Anche
questa volta, Babbo Natale, fu costretto a fermare le renne,
scendere a terra per raccogliere l’albero con tutte le palline
e gli addobbi prima di ripartire. E anche questa volta, con le
mani sui reni per il mal di schiena, Babbo Natale disse:« Che
noia questa barba così lunga!»
Finalmente arrivò sopra i cieli di Valmadrera, un
paese che a lui stava molto a cuore, ma ancora una volta la
barba lo infastidì.
Il vento spinse la barba contro il campanile della chiesa dello
Spirito Santo facendo cadere Babbo Natale con la faccia
nella neve.
Il povero Babbo Natale si rialzò, raccolse tutti i regali e, pur
inciampando nella sua barba, riuscì a consegnare i doni a
tutti i bambini di quel paese ( e di quelli vicini).
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Rientrato a casa dopo quella faticosa notte di Natale,
Babbo Natale si sedette sulla sua vecchia poltrona, si lisciò la
lunga barba bianca e disse:« Per fortuna è finita, con questa
barba non ce la facevo più!»
Da quel Santo Natale di molti anni fa, “Che barba” si usa per
dire che noia.
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COL CAVOLO!
Scritto da Giuseppe e Luca
In una terra lontana, tanto tempo fa, c’era un bel
castello dorato. In quel castello vivevano un principe ed una
principessa.
Il principe si chiamava Mario e aveva un grosso naso a
patata. La principessa, invece, si chiamava Peach ed era
molto bella. Aveva i capelli biondi e lunghi, indossava
sempre un vestito rosa e portava una corona d’oro sulla
testa.
I due giovani erano molto innamorati così, un giorno,
decisero di sposarsi.
Velocemente organizzarono il matrimonio e, pochi giorni
dopo, si ritrovarono in chiesa davanti al prete.
Molti furono gli invitati alla cerimonia di nozze ed erano tutti
emozionatissimi. I genitori della sposa piangevano di gioia e
così anche i genitori dello sposo. L’unico a sembrare triste
sembrava il Luigi, il fratello dello sposo.
Tutte le persone rimasero in silenzio quando il
sacerdote chiamò i giovani sposi e disse loro: « Tu, Mario,
vuoi prendere in sposa la principessa Peach?»
Mario stava già per rispondere di «Sì» quando Luigi, che era
segretamente innamorato della principessa, si alzò in piedi,
prese un cavolo e lo scagliò addosso a suo fratello Mario.
Mario, cadendo a terra, urlò: «Noooo! »
A questo punto il matrimonio fu sospeso e, da quel
giorno, per dire «No» si usa dire “Col cavolo!”
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ESSERE UN PEZZO DI PANE
Scritto da Lorenzo e Luca
C’era una volta un bambino cattivo che faceva sempre
confusione e lasciava tutte le sue cose in disordine.
Il bambino viveva in campagna, in una casa tutta di paglia.
In quel posto c’era sempre vento.
Un giorno una fatina magica dalle ali d’oro vide il
bambino che stava distruggendo un giocattolo. Gli si
avvicinò e gli fece assaggiare un pezzo di pane magico. Il
bambino cattivo smise di rompere il giocattolo e iniziò a
mangiare quel gustoso pezzo di pane. Il pane era davvero
buono ma, quando inghiottì l’ultima briciola del pane fatato,
si accorse che il suo piede si era trasformato in una mollica
di pane.
Il giorno dopo, mentre il bambino cattivo stava
distruggendo la sua nuova bicicletta a colpi di martello,
riapparve la fata che, con calma, gli si avvicinò e gli fece
assaggiare ancora un pezzetto di pan fatato.
Anche l’altro piede si trasformò in pane.
Il giorno successivo il bambino stava cercando
ancora di spaccando il suo robot giocattolo. Il bambino quel
giorno era molto arrabbiato così la fata gli fece assaggiare
un altro bel pezzettone di quel buon pan fatato e il corpo si
trasformò in un pezzo di pane.
Insomma, in pochi giorni tutto il bambino si trasformò in un
grosso pezzo di ottimo pane.
Così non era più in grado di muoversi e quindi non poteva
più distruggere niente.
Un giorno gli animali del bosco si avvicinarono a
quel bel pezzo di pane e lo assaggiarono. «Che buono!»
dissero in coro.
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Da quel giorno “Essere un pezzo di pane“ significa essere
molto buono.
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MANGIARE LA FOGLIA
Scritto da Cristian e Lorenzo
C’era una volta un gruppo di super eroi che si
chiamavano Lanterna Verde, Batman, Flash, Hulk,
Spyderman e Superman.
I super eroi vivevano sul pianeta terra in pace ma un giorno,
il 17 gennaio 1990, arrivarono dei draghi spaziali che
ruppero questa pace.
I draghi erano molto affamati e il loro piatto preferito erano
gli esseri umani.
I supereroi cercarono in tutti i modi di ricacciarli nello spazio
cosmico dal quale erano arrivati ma i draghi sembravano
imbattibili.
Questi terribili mostri avevano un unico punto
debole ma nessuno lo conosceva.
Durante una dura battaglia Superman venne afferrato dal
capo dei draghi e venne scaraventato nello spazio.
Superman sembrava spacciato finché atterrò su un altro
pianeta.
Qui vide un albero dalle foglie d’oro. Si avvicinò, prese una
foglia e la osservò. Era una foglia a forma di cuore e grande
quanto una mano. Al vederla sembrava molto saporita, così
Superman se la mangiò.
All’improvviso, come per magia, capì la soluzione del
problema: i draghi erano allergici al veleno di serpente
gigante!
Con i suoi super poteri riuscì a tornare sul pianeta
terra e andò nella giungla per catturare un serpente
gigante. Volando alla velocità della luce in un attimo riuscì a
prelevare alcune gocce di veleno, dopodiché raggiunse i
suoi amici che stavano combattendo contro i draghi.
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Fece assaggiare il veleno ai draghi che morirono all’istante.
Il pericolo era superato e la razza umana poteva continuare
a vivere.
Da allora in poi “Mangiare la foglia” significa capire subito
una situazione.
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INCROCIARE LE BRACCIA
Scritto da Giusi e Rebecca
Questa è la storia di una signora che tutti prendevano in
giro perché era cicciona e aveva tantissimi peli sulla faccia;
non parliamo della bocca che aveva solo due denti!
Rosamunda, questo era il nome della signora, faceva un
lavoro importante: muoveva le lancette dell’orologio del più
importante campanile della città. In poche parole, lei era la
responsabile del tempo che passa.
Rosamunda da giovane era molto bella, ma questo
lavoro era talmente impegnativo che non le lasciava più
nemmeno il tempo per pensare a sé stessa.
Per questo divenne brutta!
Quando i suoi colleghi iniziarono a prenderla in giro
lei si arrabbiò così tanto che li rincorse uno a uno, li afferrò
per le braccia e gliele stortò, piegandole come la croce del
suo campanile.
I suoi colleghi, con le braccia così “incrociate”, non
poterono più lavorare così da quel giorno “Incrociare le
braccia” significa non lavorare più.
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SPUTARE IL ROSPO
Scritto da Alessandra, Gabriele, Alessandro B.
Un giorno un bambino di nome Victini va al mercato
con la sua mamma di nome Giratina. Camminano in mezzo
a tante bancarelle piene di cose buonissime e Victini
convince la mamma a comprare le caramelle.
Si avvicina alla bancarella dei dolci e il bambino viene
attirato da una strana caramella: è molto grossa, verde e ha
la forma di un rospo.
La mamma accetta la richiesta del bambino e
compra un bel sacchettino di caramelle però stringe un
patto con suo figlio: Victini dovrà condividere le caramelle
con sua sorella!
Tornati a casa il bambino, incurante del patto stretto
con la mamma, si rifugia nella sua cameretta e inizia a
mangiare avidamente le caramelle.
Sua sorella si accorge di quello sta succedendo allora si
precipita in camera di suo fratello e gli ordina di dare
qualche caramella anche a lei. Victini si rifiuta e continua a
trangugiare i dolcetti.
Sua sorella allora, visto che con le “cattive” non era riuscita
ad ottenere niente, decide di passare alle maniere più dolci
e dice a suo fratello: « Se mi dai una caramella ti svelo un
segreto». Victini è troppo curioso per resistere così si mette
in ascolto del segreto di sua sorella.
La ragazza si fida e rivela al fratello che quella
mattina ha preso un bruttissimo voto in matematica.
Victini inizia a ridere poi prende il sacchetto con le
caramelle, si infila in bocca la caramella verde a forma di
rospo quindi scappa dalla sua mamma che sta preparando
la cena in cucina.
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Arriva di fronte alla sua mamma e cerca di parlare ma, un
po’ perché ha il fiatone, un po’ perché ride e un po’ perché
ha la bocca piena, non ci riesce. Sua sorella gli è ormai alle
spalle e sta per agguantarlo quando lui sputa la caramella a
forma di rospo e racconta tutto alla sua mamma. La povera
ragazza finisce in castigo mentre il dispettoso Victini si sbaffa
tutte le caramelle.
Da questo giorno “Sputare il rospo” significa rivelare un
segreto.
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ANDARE AL FRESCO
Scritto da Margherita e Katherine
L’estate in cui si svolge la storia fu davvero calda. I vecchi
del paese non ricordavano di aver mai sofferto così tanto
caldo in vita loro.
Anche una giovane ragazza di nome Letizia aveva
molto caldo ed era tutta sudata.
Un giorno si incamminò per una via in cerca di un po’ di
fresco e trovò una gelateria con due congelatori.
Entrò, li aprì, ci si tuffò dentro e si mise a mangiare tutti i
gelati. Poi in quella bella frescura, e con la pancia piena, si
addormentò.
Poco dopo arrivò un cliente che chiese un gelato. Il
proprietario allora aprì i congelatori e non trovò più niente
tranne Letizia che dormiva profondamente. Il gelataio,
infuriato, chiamò i poliziotti che come castigo lasciarono
Letizia nel congelatore per tutto il giorno.
Solo il giorno dopo la tirarono fuori. La ragazza era tutta
congelata così si pentì perché capì che rubare non è bello.
La notizia si diffuse in tutto il mondo e da quel giorno,
quando andare in prigione si dice “Andare al fresco”.
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SALVARE LA PELLE
Scritto da Giuseppe e Alessandra
C’era una volta un ragazzino di nome Kevin che viveva
con Racom, suo padre.
Un giorno Racom si mise a costruire un sottomarino per
mandare suo figlio a visitare le rovine di Atlantide.
Terminata la costruzione, lanciò il sottomarino nel mare con
dentro Kevin.
Dopo un lungo viaggio il ragazzo uscì
dall’imbarcazione con la sua muta da sub ma gli vennero
incontro dodici squali pronti a mangiarlo. L’unico modo che
Kevin aveva per salvarsi era prendere la pelle di un pesce
arcobaleno perché, tutti lo sanno, gli squali hanno paura di
quel tipo di pelle.
Quando ormai stava per essere divorato, Kevin notò
che su uno scoglio poco distante c’era proprio la pelle di un
pesce arcobaleno. Quella era la sua unica salvezza.
Il ragazzo nuotò molto velocemente per andare a prenderla,
ma proprio quando mancavano solo pochi metri, spuntò
fuori un polipo che era molto ghiotto di pelle di pesce
arcobaleno.
Kevin riuscì ad afferrare la pelle ma il polipo lo
attaccò. Il ragazzo allora prese il fucile che portava sempre
con sé e uccise il polipo. Subito dopo mostrò la pelle agli
squali che fuggirono impauriti.
Kevin così riuscì a ritornare al sottomarino sano e salvo.
Da quel giorno “Salvare la pelle” significa scampare a un
pericolo mortale.
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FAR RIZZARE I CAPELLI IN TESTA
Scritto da Matteo e Alessandro S.
C’era una volta un gruppo di bambini che giocava in
un parco. I bambini erano dei compagni di classe ed erano
anche molto amici però, tra di loro, ce n’era uno
particolarmente antipatico che si divertiva sempre a fare
brutti scherzi ai suoi compagni.
Questo bambino era stato soprannominato “Rancido”
perché assomigliava ad un caco andato a male.
Dopo l’ennesimo brutto scherzo di Rancido, i
bambini decisero di fargliela pagare.
Una notte decisero di andare a casa del compagno
antipatico e di farlo spaventare. Si radunarono sotto la
finestra di Rancido, si arrampicarono sul muro e riuscirono
ad entrare in casa senza farsi sentire.
Si infilarono silenziosamente nella stanza del loro compagno
antipatico che dormiva come un angioletto e, senza
svegliarlo, con il gel gli fecero una cresta altissima sui capelli.
Rancido ora sembrava proprio un punk!
La mattina seguente, quando Rancido si alzò, passò
distrattamente davanti allo specchio del bagno e vide la
cresta. Il bambino sgranò gli occhi e, dallo spavento, saltò in
alto. Ricadendo a terra, addirittura, sfondò il pavimento e
cadde al piano di sotto.
Dal quel giorno “Far rizzare i capelli in testa” significa
spaventare qualcuno.
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AVERE LA PUZZA SOTTO IL NASO
Scritto da Stefano e Alessio
C’era una volta una bambina bionda con gli occhi
azzurri che si chiamava Assunta Camnasio.
Assunta era una bambina molto intelligente ma, sotto
l’apparenza di brava bambina, si nascondeva un’ anima
perfida. Un giorno, infatti, per vendicarsi di un torto subito,
rubò la bambola preferita di sua sorella e le staccò la testa!
Assunta era così intelligente che riuscì perfino a non farsi
scoprire.
Anche a scuola era una bambina brillante e riusciva
sempre a risolvere operazioni e problemi prima del suo
maestro.
Era così brava in matematica che il suo insegnante la iscrisse
alle “Olimpiadi di logica”.
Il Giorno delle gare arrivò presto e Assunta si
qualificò per le finali.
Giunta a questo punto, era così sicura di essere più forte e
più intelligente di tutti gli altri, che iniziò ad andare in giro
tra il pubblico per farsi vedere e per far vedere a tutti quanto
fosse brava.
Non aveva fatto i conti con la sua pancia!
Sarà stata l’emozione, sarà stato il cibo mangiato la
sera prima, sta di fatto che Assunta diventò rossa, si gonfiò
tutta e fece una puzza talmente intensa che l’odore le arrivò
fin sotto al naso facendola svenire e facendole perdere la
gara.
Da quel giorno “Avere la puzza sotto il naso” significa darsi
delle arie.
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AFFOGARE IN UN BICCHIER D’ACQUA
Scritto da Letizia e Katherine
Tanti anni fa nel mondo degli insetti, si svolse un
grande torneo a cui parteciparono tutti i migliori insetti del
mondo.
Per vincere, ogni piccolo animale, doveva superare tre
prove: il bicchiere d’acqua, il salto con l’ago di pino e la fuga
da Cipì l’uccello predatore.
Elì era un piccolo moscerino che aveva poca fiducia
in sé stesso; tuttavia era un ottimo atleta.
Il giorno del torneo Elì si preparò sulla linea di partenza. Di
fronte a lui c’era un grosso bicchiere d’acqua e questa era
solo la prima delle tre prove.
Elì guardò il bicchiere con preoccupazione: avrebbe dovuto
saltare il bicchiere senza cadere nell’acqua gelida. La prova
non sembrava così difficile e il piccolo moscerino poteva
farcela.
Si era allenato molto, sentiva in forma eppure quel grosso
bicchiere lo impauriva. Si concentrò, raccolse tutte le
energie e prese la rincorsa. Corse, corse, corse sempre più
veloce, sempre più veloce finché spiccò il salto.
Elì fece un salto altissimo ma…
A metà strada qualcosa non funzionò. Il moscerino si ritrovò
a testa in giù e, senza neanche accorgersi, finì dentro il
bicchiere d’acqua.
Le gare per lui erano finite prima ancora di poter dimostrare
il proprio valore.
Da quel giorno “Affogare in un bicchier d’acqua” significa
fermarsi alla prima difficoltà
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COL FISCHIO
Scritto da Arianna e Letizia
Emma era una ragazzina di 15 anni con gli occhi
azzurri e i capelli biondi. Era proprio una bella ragazza e i
ragazzi della sua età la guardavano sempre ammirati.
Un giorno, era mercoledì pomeriggio, Emma decise di
andare a fare un giretto al parco di Oggiono. Mentre
passeggiava per le stradine del parco, vide un ragazzino
bellissimo e ne rimase profondamente colpita.
Senza pensarci due volte si avvicinò a quel ragazzo
sconosciuto e riuscì a conoscerlo. Anche il bel ragazzo aveva
15 anni come lei e, inoltre, aveva una moto nuova
parcheggiata nel piazzale.
Emma prese coraggio e gli chiese se sabato sera
l’avrebbe portarla al ristorante.
Lui accettò.
Il giorno dell’appuntamento arrivò presto e Emma si
preparò con cura. Uscì di casa e trovò il ragazzino che
l’aspettava in sella alla sua moto.
Emma si spaventò: non era mai salita su una moto! La
ragazzina venne presa dalla paura e si allontanò di qualche
passo. Poi, con un sussurro, provò a chiedere: « Andiamo a
piedi?»
Il ragazzo si arrabbiò, accese la moto, che emise un fischio
fortissimo, e se ne andò lasciando la ragazza da sola.
Il fischio della moto fu così forte che lo sentirono tutti.
Da quel giorno “Col fischio” significa No!
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AVERE LE MANI BUCATE
Scritto da Alessandro S. e Stefano
C’era una volta una poliziotta che si chiamava Leila. La
poliziotta aveva una folta capigliatura da clown, solo che il
clown indossa una parrucca mentre lei aveva realmente
quei capelli!
Un giorno Leila stava andando alla ricerca di un grande
criminale molto ricercato che si chiamava Kay-Kay. Lo trovò
davanti ad una banca. Leila mantenne la calma, estrasse la
pistola, scese dalla macchina. La poliziotta guardò il ladro e
gli disse: « Mani in alto».
Il ladro si fermò di stucco e si girò con la pistola puntata
contro Leila.
La poliziotta spaventata lasciò cadere la pistola e alzò le
mani. Il ladro allora le sparò.
“BUM BUM”
I proiettili le trapassarono le mani e il ladro riuscì a scappare.
Subito dopo arrivò l’ambulanza che soccorse la poliziotta
”NI - NO - NI – NO – NI - NO”
Arrivarono in pochi istanti all’ ospedale ma i dottori non
riuscirono a ricucirle le mani che erano bucate.
Qualche anno dopo Leila andò all’Esselunga a fare la
spesa. Comprò tante cose e le mise nel carrello ma, quando
giunse il momento di pagare, successe un fatto incredibile.
Leila prese il portafogli, lo aprì ed estrasse i soldi. Purtroppo
con quei buchi nelle mani, non riuscì a pagare
normalmente, infatti tutti i soldi che aveva le caddero e
finirono direttamente nella cassa.
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Da quel giorno “Avere le mani bucate” significa spendere
tutti i soldi.
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CERCARE IL PELO NELL’UOVO
Scritto da Alessio e Cristian
C’era una volta una mamma uccello che aveva tre uova.
Due di queste erano normali mentre il terzo era peloso. Un
giorno le uova si schiusero e dall’uovo peloso nacque un
pulcino tutto peloso. Il pulcino aveva gli occhi molto grandi
e azzurri come lo zaffiro. Il pelo era giallo brillante come il
sole.
Un mese dopo il pulcino volle contare e sue piume ma
ne mancava una: quella nera. Era una piccola piuma
insignificante, tanto piccola che sembrava un pelo.
Così il pulcino decise di andare al negozio di piume per
cercarla. In quel negozio c’erano migliaia di piume: verdi,
rosse, nere, grandi e piccole ma nessuna andava bene al
pulcino.
Il pulcino, un po’ arrabbiato, tornò a casa. Non
riusciva a pensare ad altro se non al proprio piccolo pelo. Lo
cercò ancora e ancora senza trovarlo. Giunto a casa sollevò
il suo vecchio guscio e finalmente trovò il pelo che era
rimasto incastrato lì dentro.
Il pulcino lo prese e finalmente fu contento.
Da quel giorno “Cercare il pelo nell’uovo” significa essere
molto pignolo.
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AVERE UN COLPO DI FULMINE
Scritto da Arianna e Margherita
Un po’ di tempo fa, in un parco acquatico, c’era una
ragazzina di 18 anni con gli occhi azzurri e i capelli castani
che si chiamava Emanuela.
La ragazza era davvero bella ed era molto interessata
ai bei vestiti.
Quello stesso giorno, per una strana coincidenza, nel
parco acquatico venne organizzata una sfilata di moda ed
Emanuela fu invitata a fare la modella.
Emanuela era molto emozionata: si preparò con
cura, indossò un bell’abito e iniziò a sfilare sulla passerella.
Un ragazzino della sua età, che si chiamava Marco, si
sedette in prima fila per godersi lo spettacolo di moda. Vide
sfilare Emanuela e fu così colpito dalla sua bellezza che si
innamorò all’istante. Purtroppo per lui, Emanuela era
concentrata solo a sfilare bene che non si accorse neanche
della presenza del ragazzo.
Intanto Marco continuava a guardarla con occhi sognanti
quando iniziò a piovere.
La pioggia divenne sempre più forte e, ad un tratto,
un fulmine cadde proprio sul palco, sfiorò la giovane
modella che svenne tra le braccia del ragazzo.
Dopo pochi secondi la ragazza riprese i sensi e si ritrovò tra
le braccia di Marco che continuava a guardarla incredulo.
Emanuela riaprì gli occhi, incrociò lo sguardo di Marco e si
innamorò di lui.
I due giovani decisero di sposarsi e vissero per sempre felici
e contenti.
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Da quel giorno “Avere un colpo di fulmine” significa
innamorarsi all’istante.
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FARE IL PAPPAGALLO
Scritto da Rebecca e Alessandro B.
Tanto tempo fa nella giungla vivevano due bambini
che si chiamavano Schiaccher e Hosè Pinto.
Al bambino piacevano gli animali della giungla e li imitava
sempre: saliva sugli alberi come una scimmia, strisciava in
terra come un serpente, ruggiva forte come un leone: ma
l’animale che più gli piaceva era il pappagallo. Il bambino si
appollaiava su un ramo e iniziava a muovere i gomiti piegati
come fossero delle ali e a fare versi, imitando perfettamente i
pappagalli verdi e gialli delle foreste tropicali.
Un giorno la maestra di scuola chiese a tutti gli
alunni di disegnare l’animale da loro preferito.
Schioccher non ebbe dubbi. Prese i suoi pastelli
colorati e disegnò un bellissimo pappagallo giallo e verde.
Hosè Pinto, che era vicina di banco di Schioccher, non aveva
molta fantasia, così girò la testa verso il banco del bambino
e ricopiò perfettamente il pappagallo del compagno. La
maestra vide tutta la situazione, si avvicinò alla bambina e,
con fare tranquillo, le disse:
« Non devi fare il pappagallo, quello è l’animale
preferito di Shioccher, non il tuo!».
Hosè Pinto cancellò il disegno ma, non appena la
maestra si allontanò dal suo banco, girò di nuovo la testa e
ricopiò il pappagallo del suo amico. Qualche istante dopo la
maestra si avvicinò ancora al banco di Hosè Pinto, vide che il
disegno non era stato cancellato allora, con una certa
irritazione, sgridò la bambina: « Ti avevo detto di non fare il
pappagallo!»
Purtroppo, dopo che l’insegnante si fu allontanata di
qualche metro, la bambina continuò a copiare il disegno del
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proprio compagno di banco e riuscì a realizzarlo uguale
identico al suo.
La maestra al termine della lezione si accorse dell’accaduto e
urlò forte: « Ti ho detto di non fare il pappagallo!»
Da quel giorno “Fare il pappagallo” significa copiare tutto
quello che fa un altro.
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VOLERE LA LUNA
Scritto da Gabriele, Matteo e Giusi
Tanto tempo fa un bambino di nome Kevin vide un
cartello pubblicitario che avvisava dell’imminente arrivo del
“Circo Luna” nel suo paese. A Kevin piaceva molto il circo e
in particolare il “Circo Luna” perché regalava, ad ogni
bambino, un peluche della luna. Questo peluche era molto
morbido e con i crateri fluorescenti.
Finalmente il circo arrivò in paese.
Era la vigilia di Natale e fuori nevicava. Kevin
costrinse il suo povero papà a mettersi in fila per comprare i
biglietti.
Purtroppo davanti alla biglietteria la coda era molto lunga e,
dopo ore di attesa, quando arrivò il loro turno, tutti i biglietti
erano esauriti. Kevin così non riuscì a prendere la “luna”.
Disperato tornò a casa e scrisse una letterina a Babbo
Natale ma nemmeno lui riuscì a trovarla. Tutte le scorte
erano proprio esaurite!
L’anno seguente, sempre alla vigilia di Natale, il circo
tornò in paese portando con sé altri peluches della luna.
Kevin si rimise in coda e, questa volta, riuscì a prendere
l’ultimo peluche rimasto.
Proprio quando stava tornando a casa, un bambino
invidioso lo seguì e gli rubò la “luna”.
Kevin disperato lo rincorse ma era più lento e non riuscì a
riprendersi la luna.
Da quel giorno “Volere la luna” significa desiderare qualcosa
di irraggiungibile.