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Secondo Giacobbi Il padre del figlio adolescente

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Secondo Giacobbi Il padre del figlio adolescente

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Voglio innanzitutto sottolineare la lieve differenza di formulazione che caratterizza il titolo della mia relazione rispetto a quella della collega Rosci che mi ha preceduto: anzichè “madre e figlia adolescente” "il padre del figlio adolescente". Credo che la differenza sia con evidenza significativa. Il titolo di E. Rosci rinvia ad una relazione più diretta, ingaggiata, quasi orizzontale, un “corpo a corpo” come è stato detto. Il mio titolo appare centrare maggiormente sui ruoli la relazione padre- figlio, come relazione mediata dal ruolo affettivo; è un titolo che, come vedremo, implica anche una proposta di riaffermazione del ruolo paterno nel rapporto col figlio adolescente. Il "nome del padre" è certamente ammantato di sacralità nella storia della cultura umana e la psicoanalisi, soprattutto la psicoanalisi freudiana, ha condiviso tale senso di sacralità: Freud descrisse la morte del padre come l’evento centrale della biografia interna dell’uomo maschio. Lacan indicò il costituirsi del “ Nome del padre” nella mente del bambino come l’evento psichico e sociale centrale della vita mentale dell’individuo, vero e proprio spartiacque tra normalità e psicosi, senso della realtà e distruttive illusioni dell’immaginario. F. Fornari ha dedicato pagine appassionate alla figura del padre e lo fece in anni ( gli anni ‘70) in cui la figura del padre e i valori affettivi paterni erano oggetto di un inaudito attacco così in Italia come in tutto l’Occidente. Peraltro la riaffermazione fornariana degli irrinunciabili valori affettivi paterni non aveva nulla di ideologico e reazionario, visto che il Codice del Padre realizza il massimo della sua capacità di saturazione affettiva e vitale solo in un orizzonte di integrazione armoniosa, per quanto anche dialettica, con gli altri Codici Affettivi, della Madre, del Bambino e dei Fratelli. Ricordo ancora, perchè necessario ad un successivo sviluppo del mio discorso, la teorizzazione freudiana della “ paranoia primaria”, attraverso la quale Madre e Bambino ripongono nel padre la reciproca persecuzione che è implicita nell’ evento, duale e conflittuale insieme, del parto. Tale bonifica della relazione madre-figlio a spese del padre ( ed è un sacrificio questo che il padre deve saper tollerare) va oltre il parto e può anche caratterizzare, in modo però anche patologico, sia le relazioni familiari che le dinamiche relazionali e gruppali nei gruppi e nella società. Il nome del nostro Istituto, Il Minotauro, nasce in questo orizzonte di riflessione, e nasce anche da una scommessa sociale: denominarsi attraverso la storia mitica di una figura mostruosa, vuol dire non aver paura dei fantasmi interni, guardare al di là dei processi di demonizzazione e, per quanto attiene il ruolo del padre, saper tollerare tali processi e accettare, non certo masochisticamente, le responsabilità psicologiche connesse col proprio ruolo affettivo. Dicevo della violenta critica e della profonda crisi che investe in Occidente il ruolo paterno a partire dagli anni Sessanta ( quando si cominciò a parlare di “società senza padri”); poi si prese a parlare, sempre più comunemente, di padri “assenti” o “maternalizzati” (figure chiamate abitualmente in causa dalla psicopatologia degli anni Settanta). In fondo anche uno straordinario fenomeno di costume, che si sviluppa proprio in quegli anni, va letto in questo quadro di messa in crisi dei ruoli affettivi tradizionali: sto parlando della comparsa via via più frequente, del padre in sala parto. Da un lato un evento di grande crescita e liberazione del costume affettivo, dall’altro lato una convocazione, per non dire una precettazione, un po' colpevolizzante e maternalizzante per la figura paterna.

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Negli anni ‘80 inizia una progressiva riproposizione di valori paterni, a partire da alcuni ambiti istituzionali (scuola, l’ambito delle comunità, e poi il dibattito politico-culturale) sino ad una riaffermazione della figura paterna nell’ambito della famiglia. Inizia anche un rimpianto ed una nostalgia del padre, e chi lo rimpiange sono spesso le donne, quando si confidano tra loro, o con il loro analista! Nel frattempo però la famiglia è cambiata: la famiglia nucleare, con la donna che lavora, impone una ridefinizione e ridistribuzione di compiti, funzioni e ruoli e un sempre più massiccio interscambio di funzioni tra i genitori. Si ridisegna anche la mappa, per così dire, delle rappresentazioni affettive interne. I figli, ad esempio, sembrano ormai frequentemente percepire i genitori come una coppia sostanzialmente indistinta (e ne parlano spesso in modo indistinto: “ loro”, “quelli là” ecc). Ci sarebbe molto da dire al riguardo. Mi limito a proporre una distinzione, di ordine pragmatico, tra funzioni e ruoli affettivi: nell’insieme “funzioni” collocherei tutti quei comportamenti e quelle azioni a funzionalità operativa (dal cambiare il pannolino ad un bambino piccolo all’accompagnare a scuola un bambino più grande) la cui erogazione rientrava, nella vecchia famiglia, nell’ambito di competenze chiaramente e rigidamente differenziate dentro la coppia genitoriale. Il ruolo affettivo rimanda invece agli aspetti della figura materna e della figura paterna più intrinsecamente connessi con le connotazioni di genere ( femminile e maschile) e con le rappresentazioni simboliche più profonde. Mi sento di dire che se lo scambio delle funzioni è ormai necessario patrimonio e indispensabile competenza della coppia genitoriale, sul piano dei ruoli affettivi e di genere la visibilità e la riconoscibilità e la distinguibilità delle due figure genitoriali deve rimanere a sua volta un fondamentale patrimonio cognitivo e affettivo per la mente dei figli. Ma cosa significa ciò, in particolare per quanto concerne la figura del padre nel rapporto con il figlio adolescente? Vi ricordo quelli che sono indicati abitualmente, per lo meno nel linguaggio del nostro approccio teorico, come i principali compiti evolutivi fase-specifici dell’adolescenza: 1) mentalizzazione della corporeità erotica 2) separazione dalla nicchia affettiva primaria 3) nascita sociale 4) elaborazione di ideali, valori, ambizioni. Credo che dobbiamo definire il ruolo del padre dell’adolescente rispetto a tali compiti evolutivi. 1) mentalizzazione della corporeità erotica. Per l’adolescente integrare nella mente una rappresentazione del proprio corpo che sia inclusiva della straordinaria metamorfosi che la pubertà determina vuol dire molte cose, come ben sappiamo, tutte assai impegnative sotto il profilo dell’elaborazione interna. Vuol dire, ad esempio, accettare che nel corpo possa manifestarsi l’eccitazione sessuale, ma vuol dire anche accettare che il corpo ha sviluppato un’identità sessuale univoca, separata, manchevole (come dice Platone: Amore è figlio di povertà e di mancanza), bisognosa di un Altro. Anche questa accettazione è difficile e angosciante. Ebbene, la figura del padre rappresenta per un adolescente la staordinaria possibilità di osservare da vicino , al di fuori della immediatezza ma anche dei giochi illusori del gruppo dei pari, un maschio adulto nel suo vivere quotidiano: così spesso, specie in pubertà, gli adolescenti spiano, senza dare nell’occhio, i propri padri e si interrogano,quasi senza accorgersene:

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che tipo di maschi sono? che se ne fanno delle loro erezioni? come ci si sente nei panni di un maschio adulto? come si può convivere col proprio bisogno dell’altro? cosa vuol dire dividere il letto e il tetto con una donna? Si tratta anche, come sappiamo, per l’adolescente di rinunciare alle fantasie sessuali e onnipotenti infantili, nelle quali si è tutto e si può essere tutto: maschi e femmine, piccolo e grande, genitore e bambino. E’ una rinuncia dolorosa. Ebbene, credo che una figura paterna, sufficientemente accettante e sicura rispetto alla propria identità sessuale, asufficientemente accettante anche nei riguardi delle debolezze interne e nelle incertezze di tale identità, ma al tempo stesso orgoglioso di essa, riconoscibile nella sua mascolinità senza enfasi ma anche senza colpevolezza, ebbene credo che una tale figura paterna, anche solo attraverso un suo silenzioso esserci fornisca al figlio adolescente uno straordinario punto di riferimento per la propria crescita. Gli testimonia che si può accettare la rinuncia all’onnipotenza infantile e che tale rinuncia dà accesso alla potenza, sessuale e progettuale. D’altra parte la potenza sessuale, per esprimersi, ha bisogno di un Altro da sè. E il ragazzo deve darsi da fare: la mamma è del papà (cioè occorre superare la riaccensione edipica). A questo scopo l’identità maschile del padre è l’aiuto più soccorrevole per il figlio adolescente, perchè è il Codice maschile, alleato a quello paterno, che assegna la madre al padre. Così, anche senza grandi discorsi, col silenzio degli inappellabili dati di fatto, il ragazzo è spinto a cercare l’oggetto d’amore al di fuori delle mura di casa cioè a passare ad un regime mentale di tipo esogamico, cioè genitale ed adulto. 2) Separazione dalla nicchia affettiva primaria. Lo sviluppo sessuale individuale si intreccia qui col secondo compito evolutivo dell’adolescente: quello che gli intima di separarsi dalla protettiva nicchia affettiva primaria, cioè in primo luogo di allontanarsi dalla madre. Gli obiettivi della separazione psico-sessuale e affettiva si sovrappongono; sono come i due stadi vettori propulsivi di un missile che proietta l’adolescente nello spazio aperto, al di fuori e sempre più lontano dall’orbita familiare. Anche rispetto a questo obiettivo il rapporto col padre è decisivo: si tratta di “fare come il padre” anzichè "essere il padre”, come recita la nota formula freudiana, cioè si tratta di rinunciare ad “essere il padre", cioè l’uomo della madre, e cercare un sostituto alla madre al di fuori del contenitore familiare, proprio come fece a sua volta il padre stesso dell’adolescente. Ma nel vissuto cosciente dell’adolescente il rifiuto di essere come il padre viene anche avvertito come rivolta verso la madre, come rifiuto di quel legame con la madre che egli vede testimoniato dal rapporto tra i due genitori, un legame ch’egli considera spesso un po' sprezzantemente dentro di sè. Tollerare questo sguardo adolescente,ora furtivo ora geloso ora sprezzante, da parte del padre, non temerlo, non eluderlo, è molto importante per la crescita del figlio e per la sua nascita sociale. D’altra parte un Codice Maschile scisso dal Codice Paterno, e internamente contrapposto a questo, può rendere intollerabile per il padre lo sguardo del figlio e, al contrario, esporre proprio il figlio allo sguardo ostile e sprezzante del padre. Non si fronteggiano più allora un padre e un figlio,

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ma due maschi, di cui l’uno, il padre, schiaccia l’altro, l'adolescente sotto il peso del proprio disprezzo narcisistico. Non è qui in conto l’esperienza edipica dell’angoscia di castrazione, non il senso di colpa, ma piuttosto la vergogna e il senso di annichilimento che l’esperienza della vergogna può scatenare nell’adolescente. 3) Ogni nascita attiva specifiche angosce genetiche. Così è anche per la nascita sociale dell’adolescente, cioè per il suo progressivo accesso al mondo dell’adultità: studi più avanzati, orientamento professionale, maturità sessuale, primi amori, scelte ideali e valoriali, prime esperienze di lavoro e di impegno sociale. La paura è che nasca un adulto “brutto”, impresentabile, improduttivo, incapace di successo, che riveli al mondo l’inadeguatezza e il fallimento dei suoi genitori. Di fronte alle angosce della nascita sociale (che lui stesso vive, assieme alla madre e allo stesso figlio) il padre sostiene di per sè la naturale spinta dell’adolescente a salpare verso il mare aperto del mondo extra familiare. Notoriamente l’adolescente, nel suo sforzo di uscire dalla nicchia affettiva primaria , si appoggia molto al gruppo dei pari e utilizza ampiamente figure di riferimento alternative ai genitori per emanciparsi emotivamente da essi. Sia il gruppo dei pari sia le figure alternative di riferimento mobilitano nei genitori ansie e intensi sentimenti di gelosia, tanto più intensi in quanto l’adolescente investe talora aggressivamente il contenitore familiare e la coppia genitoriale, l’uno maleficato come luogo di imprigionamento e di soffocante costrizione, gli altri demonizzati come carcerieri o come figure castranti e svilenti. Credo si possa parlare di “ paranoia secondaria”, cioè di una specie di replica, con diversa scenografia e diverso copione, della paranoia primaria di cui ci ha parlato Fornari. Questa colpiva il padre per tutelare la coppia Madre-Bambino e garantire quindi la nascita, fisica e psicologica, del cucciolo d’uomo. Quella che chiamo “ paranoia secondaria” si attiva nella mente dell’adolescente e investe di processi di maleficazione paranoide ( non si dimentichi che parlo però di processi fisiologici della mente e non patologici) le figure parentali. Il fine è liberarsi da un abbraccio fantasticato come imprigionante, temuto ma anche intensamente desiderato e favorire così la propria nascita sociale e il proprio radicamento nei mondi di vita extrafamiliari. Così come “la paranoia primaria” è funzionale alla sopravvivenza della specie, favorendo la nascita fisica e psicologica del bambino, così questa sorta di “paranoia secondaria” è funzionale alla sopravvivenza della specie, favorendo la nascita sociale dell’adolescente, e cioè favorendo in lui l’orientarsi verso oggetti esogamici di accoppiamento amoroso, e favorendo altresì esperienze di “accoppiamento” sociale e gruppale di cui pure si avvale la sopravvivenza della specie umana. Conseguentemente il gruppo viene idealizzato, il mondo extrafamiliare edenizzato, specie in quelle isole felici in cui dominano adulti carismaticamente investiti. Anche di fronte a questa sorta di difesa etologica fase-specifica il compito del padre è fondamentale. Per la madre è in genere più difficile tollerare la maleficazione della nicchia affettiva primaria, del nido di cui è ancora la custode, nonostante i mutamenti che il suo ruolo ha acquisito negli ultimi decenni. Essa poi, semmai, tende a dipingere come insidioso ed ostile il mondo extra-familiare; e il suo compito affettivo è piuttosto quello di accogliere l’adolescente nei suoi momenti di ri-avvicinamento, in quella sorta di versione adolescenziale del processo di separazione-

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individuazione caratterizzato da incursioni verso l’esterno e improvvisi riavvicinamenti alla base materna, di cui la Mahler ha parlato a riguardo del bambino. Il ruolo del padre, analogamente a quello che ricopre alla nascita del figlio, è quello di tollerare e sostenere, semmai favorendone forme di elaborazione da parte dell’adolescente, tale paranoia secondaria. La quale, stavolta, non investe solo lui ma la coppia genitoriale e il contenitore familiare. E’ certamente un compito difficile. Ho già detto che il genitore, oltre a dover reggere le ansie per le esplorazioni talora necessariamente rischiose del figlio; oltre a dover tollerarne i dolorosi processi di disinvestimento e de-idealizzazione, deve anche soffrire la gelosia per i favori che l’adolescente elargisce spesso in modo plateale e provocatorio a figure sostitutive ed alternative. Nella mia attività clinica, mi trovo spesso , negli interventi di consultazione o in colloqui con genitori di adolescenti in psicoterapia, a dover rispondere a domande pressanti di genitori su come fare in situazioni di questo tipo. Io preferisco, mettendomi in un’ottica, per così dire, di consulenza affettiva al ruolo genitoriale, aiutare questi genitori a porsi di fronte a se stessi e a pensarsi in termini che li possano rafforzare nel ruolo. E dico loro questo:compagni del gruppo, divi, cantanti rock, adulti seduttivamente trasgressivi, insegnanti straordinariamente affascinanti e accomodanti, sono certamente referenti importanti, anche utili, ma assolvono ad un ruolo fase-specifico e contingente, per quanto appassionato. Nel profondo del loro mondo interno gli adolescenti mantengono un rapporto fondamentale con i loro genitori, spesso più e meglio di quanto appaia in superficie, e probabilmente più oggi di qualche anno fa. Fornari ricordava che è sulla scena psicologica cosciente che i genitori vengono attaccati e sminuiti; c’è però una scena nascosta dove continuano ad essere investiti intensamente ed appassionatamente, per quanto in modo inevitabilmente ambivalente. L’oggetto idealizzato (contrapposto alla figura genitoriale) è anche, invece, sulla scena nascosta ed inconscia, una figura persecutoria e inquietante da cui si chiede di essere difesi. Dicevo prima del rimpianto e della nostalgia che da qualche tempo si avverte a riguardo della figura paterna. credo si possa ormai parlare di un ritorno della figura del padre: una maggiore presenza del padre è richiesta, dunque,ma non più tanto e soltanto come presenza che consenta anche alla madre di calcare la scena sociale con una propria professionalità e autonoma progettualità. E’ richiesta, anche, e sempre più, come presenza “diversa” cioè specificamente connotata, emotivamente sessuata, genitorialmente maschile e maschilmente genitoriale mi vien da dire. E’ una presenza, lo ripeto, che mi pare siano le stesse donne a invocare. La storia della psicoanalisi, dominata un tempo dalla figura del padre, ha progressivamente concentrato la propria attenzione e le proprie esplorazioni nell’area del rapporto precoce tra Madre e Bambino; ma la figura del padre è comunque sempre implicata in tale relazione, che è solo apparentemente duale, quantomeno come oggetto interno della madre, cioè come sua rappresentazione mentale della figura del padre, una figura magari negata o maleficata o svilita, ma che in ogni caso agisce come crocevia interno nelle transazioni affettive Madre-Bambino. Ora, mi sembra che in adolescenza è particolarmente importante che “la teoria della mente” del figlio adolescente abbia una percezione visibile di tale presenza interna , cioè del fatto che la figura

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del padre è presente nella mente della madre, meglio, ovviamente, se vi è presente come interlocutore positivo, occupando dentro di essa uno spazio riconosciuto, valorizzato e presidiato. Potrà essere un’esperienza ed una constatazione irritante, persino dolorosa, ma tale da concorrere a favorire la maturazione e l’elaborazione dei compiti evolutivi fase-specifici. Ho potuto constatare che una delle esperienze più intense che un adolescente possa fare in psicoterapia , ma anche in un intervento di consultazione, è scoprire o riscoprire dentro di sè amore e rispetto per il proprio padre, e constatare che una simile esperienza può convivere col conflitto, non comporta nè sottomissione nè pacificazione forzata. E’ anche un’esperienza molto imbarazzante, questa, per un adolescente, ma è a sua volta altamente strutturante. Sull’altro lato della relazione, in modo speculare, il padre ha un’esperienza ed una funzione in parte simili, in parte diverse: mentre il figlio deve vivere il conflitto da “aggressore”, dare battaglia bravamente e lealmente e, dentro di sè, segretamente sperimenta l’amore per il padre; il ruolo del padre è invece quello di ,attaccato, accettare l’attacco, imponendo solo che il conflitto non violi le regole della “cavalleria familiare” , e al tempo stesso trovare la maniera di testimoniare al figlio, in modo per costui visibile ma anche tollerabile, il proprio amore e il proprio rispetto. Uno dei compiti più nevralgici che ineriscono al padre nel suo rapporto con il figlio adolescente è dunque testimoniargli che conflitto e amore possono coesistere. Credo che in questa difficile e vitale testimonianza il padre sia sostenuto non solo dal proprio ruolo paterno, ma che questo sia e debba essere vigorosamente supportato dallo stesso Codice Maschile, che si allea al Codice paterno e lo innerva e lo arricchisce di valori pulsionali e affettivi. 4) Elaborazione di ideali, valori, ambizioni. Ma se Amore e Conflitto possono coesistere, allora il conflitto tra i Codici Affettivi può essere elaborato e risolto e la buona famiglia interna ricomposta. Una figura paterna non ideologizzata e non tirannicamente superegoica può favorire nell’adolescente processi di risimbolizzazione affettiva e di riorganizzazione di rappresentazioni , ideali e valori ad un livello più evoluto e maturo. La mente dell’adolescente è sottoposta a fenomeni di straordinaria turbolenza cognitivo-affettiva, che finiscono inevitabilmente per investire anche gli equilibri familiari. Ogni famiglia tende ad avere una propria ideologia e mitologia affettiva; ma soprattutto ogni famiglia ha mandato al potere un codice affettivo, o meglio: ha prodotto una particolare costellazione di potere nell’universo dei codici affettivi, ne ha organizzato gli scambi, la semiotica, le comunicazioni. Ebbene, si può ipotizzare che gli aspetti di straordinaria plasticità e turbolenza dello psichismo dell’adolescente, che non investe solo il livello degli affetti e delle emozioni, ma anche quello, importantissimo, degli ideali e dei valori, siano finalizzati a favorire processi di riassetto e riequilibrio delle disarmonie nel sistema ideologico-affettivo e affettivo-comunicazionale della famiglia. Siamo qui di fronte all’area, davvero nevralgica, dei valori e degli ideali. E’ stato detto che, così come il Super Io è l’erede del conflitto edipico (risolto), così si può dire che gli ideali dell’Io sono gli eredi del processo adolescenziale.

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La vicenda adolescenziale tende ad organizzare un Ideale dell’Io che è il frutto e la sintesi (più o meno felice ed armoniosa) di tutti i modelli identificatori con i quali l’adolescente è venuto a contatto prima nell’area familiare e poi nelle sue più importanti esperienze di socializzazione. Credo che la figura e il Codice del padre, una figura paterna, lo ripeto, nè assente nè maternalizzata, ma neppure ideologizzata in modo superegoico e tirannico, così come è stata decisiva per la formazione del Super Io, in modo analogo possa dare un contributo importante anche per una simile difficile sintesi (formazione dell’Ideale dell’Io) in cui la mente dell’adolescente è spesso dolorosamente impegnata.