sentenza n. 5149/2017 pubbl. il 09/05/2017 rg n. … · - per sindrome della cauda equina si...
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N. R.G. 53721/2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO
PRIMA CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Martina Flamini
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 53721/2014 promossa da:
FRANCESCO MAGRO (C.F. MGRFNC64E10C352E), in proprio e nella qualità di esercente la
potestà genitoriale sui minori Davide Antonio, Samanta Rosa, Syria, Cristian e Francesco Alex
MAGRO, e CLAUDIA CIPRIANI (C.F. CPRCLD77R51L378O), con il patrocinio dell’avv.
RONDANINI BRUNO, elettivamente domiciliati in CASOREZZO, PIAZZA GRIGA, 6 presso il
difensore
ATTORI
contro
AZ. OSP. GUIDO SALVINI (C.F. 12314450152), con il patrocinio dell’avv. MARIOTTI PAOLO,
elettivamente domiciliato in MILANO, CORSO SEMPIONE, 39 presso il difensore
CONVENUTO
CONCLUSIONI: Le parti hanno concluso come da fogli allegati al verbale d’udienza di precisazione
delle conclusioni.
OGGETTO: responsabilità professionale medica
Fatto e Diritto
Francesco Magro, in proprio e nella qualità di esercente la potestà genitoriale sui minori Davie
Antonio, Samanta Rosa, Syria, Cristian e Francesco Alex, e Claudia Cipriani, in proprio e in nome e
per conto dei predetti minori, Cristian, Syria e Francesco Alex, hanno convenuto, dinanzi al Tribunale
di Milano, l’ASST (Azienda Socio Sanitaria Territoriale) Rhodense, già Azienda Ospedaliera G.
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Salvini (di seguito Ospedale Salvini) esponendo la seguente vicenda sanitaria: il 17.1.2009, a causa di
una lombosciatalgia e ipostenia agli arti inferiori, era stato accompagnato presso il DEA dell’ospedale
Salvini; che solo il 3.2.2009 l’attore veniva sottoposto ad intervento di emilanectomia DL3 ed
asportazione DEDD e che il 16.2.2009 veniva posta diagnosi di paraparesi in esiti di ernia discale; che i
medici della struttura sanitaria convenuta avevano commesso errori nella diagnosi ed avevano ritardato,
in modo ingiustificato, l’intervento chirurgico che doveva essere eseguito nel termine di 48 ore dalla
comparsa dei sintomi; che, a causa del comportamento della convenuta, l’attore aveva subito ingenti
danni, non patrimoniali (legati, principalmente, ad una condizione di paraplegia) e patrimoniali
(derivanti dall’impossibilità di proseguire nell’attività lavorativa, dal c.d. danno previdenziale, dalle
spese mediche e assistenziali future); che anche la convivente ed i figli minori del Magro avevano
subito un grave danno da lesione del rapporto parentale.
Gli attori hanno concluso chiedendo la condanna della convenuta al risarcimento di tutti i danni subiti,
con vittoria di spese.
L’Ospedale Salvini si è costituito contestando le domande di parte attrice e chiedendone il rigetto.
Acquisiti i documenti prodotti ed espletata una c.t.u. medico legale, le parti hanno precisato le
conclusioni ed il giudice previa concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c., ha trattenuto la causa
in decisione.
Prima di passare all’esame delle domanda formulate dagli attori, si precisa che i documenti prodotti
dalla difesa di parte attrice unitamente alle istanze di rimessione in termini ex art. 153 c.p.c. in quanto
di formazione successiva alla scadenza dei termini perentori possono essere esaminati dal giudicante.
1. Responsabilità professionale.
Le domande spiegate dagli attori sono parzialmente fondate e possono essere accolte nei limiti che
seguono.
Nella responsabilità contrattuale (che lega l’attore alla struttura sanitaria convenuta) parte attrice deve
provare l’esistenza del contratto e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia, ed allegare
l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno (cfr. SS.UU. 577/2008),
mentre il medico debitore è gravato dell’onere di dimostrare che non vi è stato inadempimento o che lo
stesso non è stato eziologicamente rilevante.
La consulenza tecnica espletata in corso di causa (pienamente condivisa da questo giudice in quanto
basata su un completo esame anamnestico e su un obbiettivo studio della documentazione medica
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prodotta), a firma della dott.ssa Anna Tanzini, specialista in medicina legale, e del dott. Vito Nicola
Romanazzi, specialista in neurochirurgia- ha consentito di accertare i seguenti elementi:
- il 17.1.2009, all’arrivo al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Rho, Francesco Magro presentava
una sintomatologia da ricondursi a sindrome della cauda equina (atteso che l’anamnesi ed i
rilievi clinici apparivano fortemente suggestivi per formulare tale ipotesi, poi confermate
dalle successive evidenze);
- per Sindrome della Cauda Equina si intende una grave condizione neurologica dovuta a
disfunzionalità delle radici nervose lombardi e sacrali, all’interno del canale vertebrale;
- le Linee Guida dell’Istituto Superiore di Sanità prevedono che la sindrome da Cauda Equina da
ernia del disco intervertebrale rappresenta un’indicazione assoluta all’intervento di
discectomia, da eseguire entro 24 ore e non oltre 48 ore dall’insorgenza dei sintomi;
- nel caso in esame, dunque, le condizioni del Magr – una sindrome da cauda che appariva ben
diagnosticabile sulla base clinica - avrebbero richiesto l’esecuzione dell’intervento chirurgico
(poi eseguito solo il 3.2.2009), entro poche ore dall’insorgenza dei sintomi (avvenuta il
17.1.2009).
Dai predetti elementi emerge, con chiarezza, che i sanitari della struttura convenuta hanno posto, con
ritardo, la corretta diagnosi di cauda equina (che poteva essere eseguita sulla base dei chiari rilievi
clinici mostrati dall’attore) ed hanno altresì eseguito con colpevole ritardo l’intervento chirurgico di
decompressione delle radici (intervento che doveva essere eseguito a poche ore dall’insorgenza dei
sintomi, avvenuta il 17.1.2009 e che è stato poi eseguito solo il 3.2.2009).
Può pertanto concludersi che il peggioramento clinico documentato a carico del Magro può essere
ritenuto conseguenza immediata e diretta del comportamento tenuto dalla convenuta.
Nell’operato del Salvini è ravvisabile un inesatto adempimento delle prestazioni necessarie ad evitare
le lesioni poi subite dall’attore (sulle quali si tornerà più oltre), con conseguente responsabilità per
violazione del dovere di diligenza ex art. 1176 c.c. e diritto di vedersi risarcito i danni non patrimoniali
ed i danni patrimoniali emergenti che sono conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento (art.
1223 c.c.).
Trattandosi di obbligo contrattuale direttamente gravante sulla struttura sanitaria convenuta, non pare
inutile ricordare che "il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura(o ente ospedaliero) ha la
sua fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo,
da cui, a fronte dell'obbligazione al pagamento del corrispettivo (che ben può essere adempiuta dal
paziente, dall'assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente), insorgono a carico della
casa di cura (o dell'ente), accanto a quelli di tipo "lato sensu" alberghieri, obblighi di messa a
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disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell'apprestamento di tutte le
attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze. Ne consegue che la
responsabilità della casa di cura (o dell'ente) nei confronti del paziente ha natura contrattuale e può
conseguire, ai sensi dell'art. 1218 cod. civ., all'inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo
carico, nonché, in virtù dell'art. 1228 cod. dv., all'inadempimento della prestazione medico-
professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un
rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui
effettuata e la sua organizzazione aziendale, non rilevando in contrario al riguardo la circostanza che
il sanitario risulti essereanche "di fiducia" dello stesso paziente, o comunque dal medesimo scelto"
(Cass. Sez. 3, sentenza n. 13953 del 14/06/2007).
La accertata responsabilità della struttura sanitaria convenuta impone una pronuncia di condanna al
risarcimento dei danni patiti dell’attore, nei limiti di seguito indicati.
2 Danni risarcibili all’attore, Francesco Magro
Dalla relazione di c.t.u., emerge che:
- l’attuale quadro di paraparesi configura un danno biologico nella misura del 55-60%, del
quale una percentuale pari al 15-20% sarebbe residuato comunque anche in caso di
intervento eseguito tempestivamente;
- l’attore ha affrontato un periodo di inabilità temporanea totale pari a 5 mesi.
In merito alla quantificazione dei danni non patrimoniali subiti dall’attore, alla luce delle risultanze
della c.t.u. – condivise da tutti i CTP che hanno partecipato alle operazioni peritali - e delle censure
svolte dalla difesa di parte attrice appare opportuno precisare quanto segue.
Gli ausiliari del giudice, rispondendo ai rilievi critici svolti dalle parti in merito alla quantificazione del
c.d. danno differenziale, hanno chiarito che: non vi è sussistenza – come confermato dalla letteratura
scientifica indicata dai CTU - di probabilità superiore al 50% che un paziente, giunto all’osservazione
clinica con deficit neurologico correlato a Sindrome della cauda anche se operato in tempi brevi, non
presenti alcuna menomazione residua; una parte del danno anatomico è costituita dal necessario ed
inevitabile intervento chirurgico.
La quantificazione dei danni operata dai CTU non può essere revocata in dubbio neanche alla luce delle
censure di parte attrice, svolte sulla base dei documenti prodotti unitamente alle istanze di rimessione in
termini. I predetti documenti, infatti, si riferiscono ad esami ed interventi relativi all’impianto di
elettrodo epidurale e di impianto di generatori di impulsi che non mutano le conclusioni degli ausiliari
del giudice. Questi ultimi, infatti, si sono limitati ad escludere la necessità di interventi chirurgici, al
limitato fine di chiarire come la situazione del Magro non sarebbe stata comunque passibile di
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miglioramento. Gli accertamenti compiuti in seguito alla conclusione delle operazioni peritali,
contrariamente rispetto a quanto dedotto dalla difesa di parte attrice, non dimostrano in alcun modo un
aggravamento del danno biologico stimato dai CTU.
Orbene, prima di procedere alla liquidazione del danno c.d. differenziale, e con specifico riferimento
alle difese del Magro, è opportuno premettere che il giudice deve accertare, sul piano della causalità
materiale, l'efficienza eziologica della condotta rispetto all'evento in applicazione della regola di cui
all'art. 41 cod. pen., così da ascrivere l'evento di danno interamente all'autore della condotta illecita, per
poi procedere, eventualmente anche con criteri equitativi, alla valutazione della diversa efficienza delle
varie concause sul piano della causalità giuridica, allo scopo di evitare l’attribuzione all'autore della
condotta, “responsabile tout court sul piano della causalità materiale”, un obbligo risarcitorio che
comprenda anche “le conseguenze dannose non riconducibili eziologicamente all'evento di danno,
bensì alla pregressa situazione patologica del danneggiato ……“: così, Cass. 21 luglio 2011 n. 15991
(v. anche Cass. 20996/2012).
Tutto ciò premesso, nel caso in esame risulta che, rispetto alla complessiva invalidità di Francesco
Magro (pari al 55-60%), l’entità del danno iatrogeno riferibile all’erronea attività dei sanitari convenuti
può essere quantificato nella misura del 40%.
Questo Tribunale ha già avuto modo di affrontare la questione relativa all’imputabilità risarcitoria del
danno iatrogeno incrementativo sottolineando - con argomentazioni che questo giudice interamente
condivide – come si ponga “la necessità di procedere, sotto il profilo della causalità giuridica, ad una
selezione, nell’ambito della complessiva situazione di invalidità della parte lesa, delle conseguenze per
individuare il danno alla persona oggetto dell’obbligo risarcitorio a carico del medico operante.
Principio che inevitabilmente deve riflettersi anche sui criteri liquidatori di esso che non possono
prescindere dal rilievo che assume la situazione preesistente sotto due principali profili: a) non può
farsi gravare sul medico, in via automatica, una misura del danno da risarcirsi incrementata da fattori
estranei alla sua condotta, così come verrebbe a determinarsi attraverso una automatica applicazione
di tabelle con punto progressivo, computato a partire, in ogni caso, dal livello di invalidità
preesistente; b) la liquidazione va necessariamente rapportata ad una concreta verifica, secondo le
allegazione delle parti, delle conseguenze negative “incrementative” subite dalla parte lesa.”
(Tribunale Milano, giudice Bichi, sent. 30.10.2013).
Ciò premesso, si ritiene di adottare quale parametro di riferimento per la liquidazione del danno le
tabelle elaborate da questo Tribunale e comunemente adottate per la liquidazione equitativa ex art.
1226 c.c. del danno non patrimoniale derivante da lesione dell’integrità psico/fisica (criterio di
liquidazione espressamente sancito dalla Suprema Corte – cfr. Cass. 7/6/2011 n. 12408).
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E’ principio di diritto ormai consolidato quello secondo il quale il risarcimento del danno alla persona
deve essere integrale, essendo compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio
allegato, a prescindere dal nomen iuris attribuitogli. Pertanto, in tema di liquidazione del danno per la
lesione del diritto alla salute, nei diversi aspetti o voci in cui tale unitaria categoria si compendia,
l'applicazione dei criteri di valutazione equitativa, rimessa alla prudente discrezionalità del giudice,
deve consentirne la maggiore approssimazione possibile all'integrale risarcimento, anche attraverso la
cd. personalizzazione del danno (Cass.,ss.uu., n. 26972/08).
Tenuto conto dell’età (44 anni) del danneggiato e della percentuale di invalidità permanente attribuita
all’errore dei sanitari (40%), si perviene ad una prima liquidazione di € 245.057,00, in moneta attuale.
Con riferimento alla specifica quantificazione del danno, anche alla luce di alcune pronunce della Corte
d’Appello di Milano (cfr. Corte d’Appello di Milano sentenza 329/2016, che censura il criterio di
quantificazione del danno incrementativo sopra indicato, evidenziando che il danno differenziale
iatrogeno si innesta su una situazione di salute già in parte compromessa da una preesistenza invalidità,
aggravandone i sintomi, e che, pertanto, per la liquidazione dello stesso corre far riferimento alla
differenza tra i due differenti gradi di invalidità), appare opportuno precisare quanto segue.
La Suprema Corte, in una pronuncia richiamata dalla stessa Corte d’Appello, ha da tempo chiarito che,
qualora la produzione di un evento dannoso possa apparire riconducibile, sotto il profilo eziologico,
alla concomitanza della condotta del sanitario e del fattore naturale rappresentato dalla pregressa
situazione patologica del danneggiato (la quale non sia legata all'anzidetta condotta da un nesso di
derivazione causale), il giudice deve accertare, sul piano della causalità materiale (rettamente intesa
come relazione tra la condotta e l'evento di danno, alla stregua di quanto disposto dall'art. 1227, comma
1, c.c.), l'efficienza eziologica della condotta rispetto all'evento in applicazione della regola di cui
all'art. 41 c.p. (a mente della quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche
se indipendenti dall'azione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l'azione e l'omissione e
l'evento), così da ascrivere l'evento di danno interamente all'autore della condotta illecita, per poi
procedere, eventualmente anche con criteri equitativi, alla valutazione della diversa efficienza delle
varie concause sul piano della causalità giuridica (rettamente intesa come relazione tra l'evento di
danno e le singole conseguenze dannose risarcibili all'esito prodottesi) onde ascrivere all'autore della
condotta, responsabile tout court sul piano della causalità materiale, un obbligo risarcitorio che non
comprenda anche le conseguenze dannose non riconducibili eziologicamente all'evento di danno, bensì
determinate dal fortuito, come tale da reputarsi la pregressa situazione patologica del danneggiato che,
a sua volta, non sia eziologicamente riconducibile a negligenza, imprudenza ed imperizia del sanitario"
(Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15991del21/7/2011).
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Ciò posto, si tratta di esaminare una situazione caratterizzata da lesioni che si inseriscono su di uno
stato di preesistente patologia (che può riguardano lo stesso organo, in caso di lesioni concorrenti,
ovvero organi diversi, in caso di lesioni coesistenti). Tali profili, ad avviso del Tribunale, nell’ambito
del danno iatrogeno, difficilmente sono rapportabili ad un rigido schema liquidatorio (proprio di quelli,
in tesi, che indicano una liquidazione, per differenza aritmetica, tra diversi gradi di invalidità, ciò che,
di converso, sarebbe imposto al giudice che operi un illegittimo frazionamento della causalità
materiale): si pensi, ad esempio, ai diversi effetti che possono determinarsi a seconda che la
complessiva invalidità sia la risultante della sommatoria di lesioni coesistenti che colpiscono diverse
funzionalità, ovvero al caso in cui la condotta del sanitario abbia determinato una concorrente lesione
che incide sulla medesima preesistente disfunzionalità. Distinzione, anche questa, certo non risolutiva
ove si consideri che anche fatti negativi riguardanti funzionalità diverse possono risolversi non in una
mera sommatoria di distinti effetti negativi – da valutarsi in via autonoma ai fini risarcitori - ma
possono comportare un effetto pregiudizievole sinergico, tale da incidere sulla concreta conduzione di
vita della parte lesa, a seconda dell’età, del tipo di vita, della sua condizione familiare ecc.
La liquidazione relativa alla misura differenziale di un danno alla salute, pertanto, deve essere
rimodulato in considerazione della concreta vicenda clinica e della specifica situazione concreta della
parte lesa, e deve tenere conto di tutti i riflessi sull’integrità psico-biologica, del condizionamento e del
pregiudizio delle attività aredittuali, e di ogni ulteriore aspetto che concorra a descrivere il danno non
patrimoniale (sulla base delle risultanze e delle allegazioni offerte dalla parte).
Tale rimodulazione può consentire - partendo dall’individuazione di un risarcimento pari alla
percentuale di danno che, in ossequio ai principi sopra richiamati, può ritenersi ascrivibile al
professionista inadempiente – di giungere ad un risarcimento che ben potrebbe essere operando sul
piano della causalità giuridica, anche superiore a quello risultante dalla differenza trai i due diversi
gradi di invalidità.
Tutto ciò premesso, nel caso in esame risulta che, rispetto alla complessiva invalidità patita dal Magro
– pari al 60% -, l’entità del danno iatrogeno riferibile all’erronea attività dei sanitari dei convenuti può
essere quantificato, come già evidenziato in precedenza, nella misura del 40%.
Il Giudice, attraverso una lettura dell'art. 2059 c.c. conforme alle disposizioni contenute nella
Costituzione, e sulla base delle risultanze della C.T.U., ritiene pertanto che, nel caso di specie, la voce
del danno non patrimoniale intesa come sofferenza soggettiva in sé considerata non sia adeguatamente
risarcita con la sola applicazione dei predetti valori monetari.
Per poter risarcire integralmente il danno non patrimoniale sofferto dall’attore – in considerazione del
fatto che il Magro ha subito un danno complessivo pari al 60% - si ritiene di dover operare una c.d.
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personalizzazione, avuto riguardo alle conseguenze subite dall’attrice a causa degli errati trattamenti ai
quali è stata sottoposta. In particolare, come risulta da quanto allegato dalla difesa attrice e non
specificamente contestato dalla convenuta e dall’esame obiettivo fatto dai CTU, il danneggiato, dell’età
di 44 anni, padre di 5 figli (uno dei quali nato dopo i fatti per cui è causa), presenta un quadro di
paraparesi da mielopatia, manifesta necessità di autocateterismo (cfr. esiti della visita urologica del
14.3.2014), presenta dolore costrittiva dalla schiena, irradiato agli arti inferiori, si sposta
esclusivamente con sedia a rotelle.
Alla luce delle predette considerazioni, anche alla luce del presumibile pregiudizio dinamico
relazionale della vita dell’attore che, all’età di 44, e con quattro figli piccoli ha dovuto affrontare una
situazione di grave paraparesi che ha comportato una radicale trasformazione delle su precedenti
abitudini di vita - si reputa opportuno procedere ad una adeguata personalizzazione del danno non
patrimoniale liquidandolo nella somma di euro 320.000,00.
All’attore spetta poi il risarcimento del danno da invalidità temporanea, pari ad euro 18.000,00.
Con riferimento ai danni patrimoniali si osserva quanto segue.
La domanda diretta ad ottenere il risarcimento del danno futuro, relativo alle spese di assistenza non
può trovare accoglimento.
In merito alla risarcibilità del danno futuro, va ricordato quanto statuito dalla Suprema Corte. In
particolare, la Corte di Cassazione ha precisato che “se non basta la mera eventualità di un pregiudizio
futuro per giustificare condanna al risarcimento, per dirlo immediatamente risarcibile, è invece
sufficiente la fondata attendibilità che esso si verifichi secondo la normalità e la regolarità dello
sviluppo causale (ex multis, Cass., nn. 1637/2000, 1336/1999, 495/1987, 2302/1965)” e che “la
rilevante probabilità di conseguenze pregiudizievoli è configurabile come danno futuro
immediatamente risarcibile quante volte l'effettiva diminuzione patrimoniale appaia come il naturale
sviluppo di fatti concretamente accertati ed inequivocamente sintomatici di quella probabilità, secondo
un criterio di normalità fondato sulle circostanze del caso concreto” (Cass. 10072/2010).
Ciò posto, dalla relazione di CTU è emerso che: non sono documentate spese mediche sostenute
dall’attore; il Magro ha ricevuto e potrà ricevere in futuro tutte le cure tramite il servizio sanitario
nazionale, con esenzione totale dal ticket per reddito dichiarato pari ad euro 797,00 mensili; è stato
riconosciuto invalido civile con totale e permanente inabilità lavorativa al 100% e con impossibilità a
deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore e percepisce l’assegno di
accompagnamento dall’INPS.
Le predette conclusioni meritano di essere condivise anche alla luce delle censure svolte dalla difesa di
parte attrice. Infatti, come evidenziato nella relazione di CTU: l’attore non necessita di terapia
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farmacologia continuativa, utilizza una carrozzina erogata dal SSN, non necessita di fisiokinesiterapia,
stante la stazionarietà del quadro di paraparesi, non necessita di alcuna assistenza infermieristica,
essendo stato formato per i cateterismi vescicali ed il materiale viene erogato gratuitamente dalla ASL,
non necessita per le cure mediche di assistenza da parte di terze persone.
Nulla può pertanto essere riconosciuto a titolo di danno patrimoniale futuro.
Del pari infondata la domanda diretta ad ottenere il risarcimento del danno patrimoniale relativo agli
interventi necessari per l’abbattimento delle barriere architettoniche atteso che l’attore non ha
documentato di aver sostenuto spese a tale titolo e che lo stesso è in possesso di una macchina con
cambio automatico, i cui costi sono a carico dello Stato (in quanto al Magro sono stati riconosciuti i
benefici della l. 104/1992, cfr. verbale dei visita del 17.3.2015, allegato alla memoria ex art. 183 n 1
c.p.c.).
La domanda diretta ad ottenere il risarcimento del lucro cessante (art. 1223 c.c.) derivanti dalla perdita
della capacità lavorativa specifica non può trovare accoglimento.
In via generale, appare opportuno premettere che, in caso di illecito lesivo dell’integrità psicofisica
della persona, la riduzione della capacità lavorativa generica, quale potenziale attitudine all’attività
lavorativa da parte di un soggetto, è legittimamente risarcibile come danno biologico – nel quale si
ricomprendono tutti gli effetti negativi del fatto lesivo che incidono sul bene salute in sé considerato –
con la conseguenza che la anzidetta voce di danno non può formare oggetto di autonomo risarcimento
come danno patrimoniale - che andrà, invece, autonomamente liquidato qualora alla detta riduzione
della capacitò lavorativa generica si associ una riduzione della capacità lavorativa specifica, che, a sua
volta, dia luogo ad una riduzione della capacità di guadagno (cfr. Cass. 27.1.2011 n. 1879; Cass.
1.12.2009 n. 25289).
La capacità lavorativa specifica consiste, dunque, nella contrazione dei redditi dell’infortunato,
determinata dalle lesioni subite, sussistendo quest’ultimo tipo di pregiudizio allorquando, dopo la
lesione ed a causa di essa, la vittima non sia più in grado di percepire il medesimo reddito di cui godeva
prima del sinistro (Cass. 21014/2000; Cass.13409/2001).
La riduzione della capacità lavorativa non costituisce un danno in re ipsa, ma rappresenta una causa del
danno da riduzione del reddito; sicché la prova della riduzione della capacità di lavoro non comporta
automaticamente l’esistenza di un danno patrimoniale ove il danneggiato non dimostri, anche a mezzo
di presunzioni semplici, la conseguente riduzione della capacità di guadagno.
Solo nei casi in cui l’elevata percentuale di invalidità permanente, come nel caso in esame, renda
altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacità lavorativa specifica e il
danno che necessariamente da essa consegue, il giudice può procedere all’accertamento presuntivo
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della predetta perdita patrimoniale, liquidando questa specifica voce di danno con criteri equitativi (cfr.
Cass. 17514/2011).
Nel caso in esame, gli ausiliari del giudice hanno accertato che: l’attore ha lavorato in qualità di
elettrotecnico (come riparatore di computer) in Svizzera dal 1986 al 2001, successivamente ha lavorato
come consulente tecnico della Procura e come collaboratore in una società di impianti di
videosorveglianza; attualmente l’attore non svolge alcuna attività lavorativa; le abilità di elettrotecnico
non sono state compromesse, avendo il Magro conservato la propria integrità psico cognitiva e le
proprie abilità manuali, che gli permetterebbero di svolgere l’attività lavorativa; per gli spostamenti
presso i clienti – sicuramente più difficoltosi – egli potrà utilizzare la sedia a rotelle e l’auto modificata.
In merito alle censure svolte dalla difesa di parte attrice – relative all’impossibilità di svolgere la
professione di installatore di microspie – si osserva come tale attività sia stata svolta dall’attore solo per
un breve periodo, a fronte della ben più lunga esperienza lavorativa come elettrotecnico. Non si
apprezza, pertanto, alcun danno da perdita della capacità lavorativa specifica.
Dalle argomentazioni appena esposte, discende il rigetto della domanda relativa al c.d. danno
previdenziale.
Il credito risarcitorio di Francesco Magro ammonta, pertanto, a complessivi euro 338.000,00.
3.Danni risarcibili ai prossimi congiunti
Prima di esaminare le domande spiegate dai congiunti del danneggiata, va ricordato che i prossimi
congiunti sono legittimati ad agire per conseguire iure proprio il risarcimento dei danni subiti a causa
di quanto accaduto a Francesco Magro.
La Suprema Corte ha da tempo chiarito che, per potersi legittimamente discorrere di danno da lesione
del rapporto parentale, è necessario che la vittima abbia subito lesioni seriamente invalidanti e che si
sia determinato uno sconvolgimento delle normali abitudini dei superstiti, tali da imporre scelte di vita
radicalmente diverse (cfr. Cass. 8827/2003 e, più recentemente, Cass. 25729/2014).
La Corte di Cassazione ha poi precisato (con riferimento all’ipotesi di uccisione del congiunto, ma con
motivazioni indubbiamente utilizzabili anche nel caso di specie, avente ad oggetto una macro lesione)
che "il fatto illecito, costituito dalla uccisione del congiunto, da luogo a danno non patrimoniale,
consistente nella perdita del rapporto parentale, quando colpisce soggetti legati da un vincolo
parentale stretto, la cui estinzione lede il diritto all'intangibilità della sfera degli affetti reciproci e
della scambievole solidarietà che connota la vita familiare nucleare. Mentre, affinché possa ritenersi
leso il rapporto parentale di soggetti al di fuori di tale nucleo (nonni, nipoti, genero, nuora) è
necessaria la convivenza, quale connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l'intimità dei rapporti
parentali, anche allargati, caratterizzati da reciproci vincoli affettivi, di pratica della solidarietà, di
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sostegno economico. Solo in tal modo il rapporto tra danneggiato primario e secondario assume
rilevanza giuridica ai fini della lesione del rapporto parentale, venendo in rilievo la comunità familiare
come luogo in cui, attraverso la quotidianità della vita, si esplica la personalità di ciascuno dei suoi
componenti" (Cass. civ., sez. III, 16 marzo 2012, n. 4253; conf. Cass. civ., sez. III, 23 giugno 1993, n.
6938).
Si tratta, dunque, di valutare gli elementi che siano stati (allegati e) provati da parte attrice, con
riguardo alla singola fattispecie concreta, posto che "il danno biologico, il danno morale ed il danno
alla vita di relazione rispondono a prospettive diverse di valutazione del medesimo evento lesivo, che
può causare nella vittima e nei suoi familiari, un danno medicalmente accertato, un dolore interiore e
un'alterazione della vita quotidiana, sicché il giudice di merito deve valutare tutti gli aspetti della
fattispecie dannosa, evitando duplicazioni, ma anche "vuoti" risarcitori; in particolare, per il danno da
lesione del rapporto parentale, deve accertare, con onere della prova a carico dei familiari della persona
deceduta, se, a seguito del fatto lesivo, si sia determinato nei superstiti uno sconvolgimento delle
normali abitudini tale da imporre scelte di vita radicalmente diverse" (Cass., n. 19402/13).
Ancora in via generale non pare inutile ricordare che, come più volte ribadito dalla Suprema Corte, il
danno esistenziale da perdita del rapporto parentale non può d'altro canto considerarsi in re ipsa, in
quanto ne risulterebbe snaturata la funzione del risarcimento, che verrebbe ad essere concesso non in
conseguenza dell'effettivo accertamento di un concreto pregiudizio (per il rilievo che ben può accadere,
sia pur non frequentemente, che la perdita di un congiunto non cagioni danno relazionale, o danno
morale, o alcuno di essi, v. Cass., 7/6/2011, n. 12273; Cass., 20/11/2012, n. 20292, Cass., 3/10/2013, n.
22585, e, da ultimo, funditus, Cass. 7766/2016) bensì quale pena privata per un comportamento lesivo
(v. Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26973; Cass., Sez. Un.,
11/11/2008, n. 26974; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26975).Esso va dal danneggiato allegato e
provato, secondo la regola generale ex art. 2697 c.c. (v. Cass., 16/2/2012, n. 2228; Cass., 13/5/2011, n.
10527).
Con riferimento ai mezzi di prova, si osserva che la prova del danno non patrimoniale da uccisione (o
anche solo da lesione: v. Cass., 6/4/2011, n. 7844) dello stretto congiunto può essere invero data anche
a mezzo di presunzioni (v. Cass., 31/05/2003, n. 8827; Cass., 31/05/2003, n. 8828; Cass., 19/08/2003,
n. 12124; Cass., 15/07/2005, n. 15022; Cass., 12/6/2006, n. 13546 ), che in argomento assumono anzi
"precipuo rilievo" (v. Cass., Sez. Un., 24/3/2006, n. 6572).
Le presunzioni valgono in realtà a sostanzialmente facilitare l'assolvimento dell'onere della prova da
parte di chi ne è onerato, trasferendo sulla controparte l'onere della prova contraria (v. Cass., 12 giugno
2006, n. 13546).
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Costituendo un mezzo di prova di rango non inferiore agli altri, in quanto di grado non subordinato
nella gerarchia dei mezzi di prova e dunque non "più debole" della prova diretta o rappresentativa, ben
possono le presunzioni assurgere anche ad unica fonte di convincimento del giudice (v. Cass., Sez.,
Un., 11/11/2008, n. 26972; Cass., Sez, Un., 24/3/2006, n. 6572, Cass., 12/6/2006, n. 13546, Cass.,
6/7/2002, n. 9834), costituendo una "prova completa", sulla quale può anche unicamente fondarsi il
convincimento del giudice (v. Cass., 12/6/2006, n. 13546).
Incombe poi alla parte a cui sfavore opera la presunzione dare la prova contraria idonea a vincerla.
Lo sconvolgimento della vita di Claudia Cipriani, compagna del Magro, con lo stesso convivente, può
essere legittimamente presunto alla luce della gravità e dell’irreversibilità delle lesioni subite dall’attore
(nonché dei pregiudizi alla sfera sessuale del rapporto di coppia, come specificamente allegato da parte
attrice e non contestato dalle difese dei convenuti). Con riferimento a tale rapporto di coppia, per
completezza, si osserva come la nascita di Francesco Alex (nel marzo del 2013) e si Syria (nel marzo
del 2011)– sebbene rappresenti un elemento importante da valutare – non porti a ritenere come i seri
problemi all’apparato genito-urinario siano da trascurare (problemi che sono stati documentati dalle
relazioni relative alle visite urologiche effettuate dall’attore).
Deve, pertanto, ritenersi provato, sulla base di univoche e concordanti presunzioni, lo sconvolgimento
delle abitudini di vita dell’attrice – la quale, all’epoca dei fatti, aveva appena avuto un figlio (Cristian)
in conseguenza di quanto accaduto al Magro.
Alla luce di tutti i predetti elementi, ritiene il Tribunale di liquidare alla Cipriani, in via equitativa, un
importo pari ad euro 80.000,00.
In merito alla posizione dei figli minori, in nome e per conto dei quali hanno agito gli odierni attori, in
assenza di più specifiche allegazioni che consentano di parametrare diversamente il risarcimento,
quest’ultimo può essere quantificato sulla base dei seguenti elementi: l’intensità del rapporto familiare
tra padre e figli che, all’epoca dei fatti, avevano 9 (Samanta Rosa), 7 (Davide Antonio) e 5 mesi
(Cristian); il fatto che i primi due figli (Davide Antonio e Samanta Rosa) non abitavano con il padre,
ma con la madre dopo la separazione dei genitori; la tenera età dei bimbi ed il presumibile ruolo
essenziale svolto dal padre nella cura e nell’educazione degli stessi (da valutarsi diversamente per i
figli non conviventi); l’esistenza di una forte comunanza di vita, stravolta dalla condizione nella quale
il padre dei minori si è venuto improvvisamente a trovare; il presumibile stato di intensa e quotidiana
sofferenza nel quale i minori si sono trovati dinanzi ad un padre divenuto improvvisamente disabile; il
diverso e presumibilmente inferiore stato di disagio nel quale si sono trovati Syria e Francesco Alex,
nati quando il padre era già nelle attuali condizioni.
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Alla luce dei predetti elementi, si ritiene equo liquidare, a titolo di danno non patrimoniale iure proprio
le seguenti somme: euro 20.000,00 per Davide Antonio e Samanta Rosa; euro 40.000,00 per Cristian;
euro 30.000,00 per Syria e Francesco Alex.
4.Consenso informato.
Con riguardo alla dedotta lesione del diritto al consenso informato, appare opportuno premettere alcuni
cenni di carattere generale in merito a tale profilo.
Il consenso informato costituisce, di norma, legittimazione e fondamento del trattamento sanitario.
Senza il consenso informato, l'intervento del medico è - al di fuori dei casi di trattamento sanitario per
legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità - sicuramente illecito, anche quando sia stato
eseguito nell'interesse del paziente.
La responsabilità del sanitario per violazione dell'obbligo del consenso informato discende a) dalla
condotta omissiva tenuta in relazione all'adempimento dell'obbligo di informazione in ordine alle
prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente sia sottoposto b) dal verificarsi - in conseguenza
dell'esecuzione del trattamento stesso, e, quindi, in forza di un nesso di causalità con essa - di un
aggravamento delle condizioni di salute del paziente.
Non assume, invece, alcuna influenza, ai fini della sussistenza dell'illecito per violazione del consenso
informato, se il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno.
Ciò perché, sotto questo profilo, ciò che rileva è che il paziente, a causa del deficit di informazione, non
sia stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue
implicazioni, consumandosi, nei suoi confronti, una lesione di quella dignità che connota l'esistenza nei
momenti cruciali della sofferenza, fisica e psichica (v. anche Cass. 28.7.2011 n. 16543).
Il medico è tenuto ad informare il paziente dei benefici, delle modalità di intervento, dell'eventuale
scelta tra tecniche diverse, dei rischi prevedibili.
Ciò posto, si osserva che, come chiarito da tempo dalla giurisprudenza di legittimità (v. Cass. n.
2847/10), i danni non patrimoniali astrattamente risarcibili, purché derivanti da una lesione di
apprezzabile gravità (secondo i canoni delineati dal dalle sentenze delle Sezioni Unite della Corte di
Cassazione nn. 26972/08 e 26974/08), possono essere di duplice natura: 1) quelli conseguenti alla
lesione del diritto all'autodeterminazione del paziente; 2) quelli conseguenti alla lesione del diritto
all'integrità psico-fisica del paziente, tutelato dall'art. 32 Cost.
Nel caso di specie, a fronte di una generica censura – svolta nell’atto di citazione – in merito alla
carente informazione, parte attrice non ha formulato alcuna domanda in merito alla lesione del diritto al
consenso informato, omettendo, altresì, di allegare la lesione del diritto alla salute o
all’autodeterminazione.
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Nulla può, pertanto, essere risarcito a tale titolo.
5. Interessi e rivalutazione
La pretesa, relativa al lucro cessante per il ritardato risarcimento del danno, non può essere liquidata nei
termini richiesti.
L’intero danno non patrimoniale subito dai danneggiati è stato liquidato equitativamente ai valori
attuali della moneta e non deve quindi farsi luogo alla sua rivalutazione.
Inoltre, alla luce dell’insegnamento delle Sezioni Unite della Cassazione (risalente alla sentenza del
17/2/1995 n. 1712), vertendosi in tema di debito di valore, non sono dovuti sul credito risarcitorio
suddetto gli interessi legali con decorrenza dall’illecito.
Si ritiene tuttavia, in considerazione del lasso di tempo trascorso dall’illecito (8 anni) e delle
caratteristiche del danneggiato, che vada riconosciuta all’attore un’ulteriore somma a titolo di lucro
cessante provocato dal mancato tempestivo risarcimento del danno da parte dei responsabili - e
conseguentemente dalla mancata disponibilità dell’equivalente pecuniario spettante al danneggiato -
potendo ragionevolmente presumersi che il creditore, ove avesse avuto la tempestiva disponibilità della
somma, l’avrebbe impiegata in modo fruttifero.
Come già da tempo affermato da questo Tribunale, ai fini della liquidazione necessariamente equitativa
di tale ulteriore voce di danno patrimoniale, non si ritiene di far ricorso al criterio – sovente applicato
dalla giurisprudenza - degli interessi legali al saggio variabile in ragione di anno (determinato ex art.
1284 c.c.) da calcolarsi sull’importo già riconosciuto, dapprima “devalutato” fino all’illecito e poi
“rivalutato” annualmente con l’aggiunta degli interessi, ovvero sul capitale “medio” rivalutato.
Si ritiene preferibile, perché più rispondente alla finalità perseguita e scevro da possibili equivoci che
possono derivare dall’applicazione ai debiti di valore di istituti previsti dall’ordinamento per i debiti di
valuta, adottare per la liquidazione equitativa del lucro cessante in questione un aumento percentuale
nella misura risultante dalla moltiplicazione di un valore base medio del 2% - corrispondente all’incirca
al rendimento medio dei Titoli di Stato negli anni compresi nel periodo che viene in rilievo – con il
numero di anni in cui si è protratto il ritardo nel risarcimento per equivalente. Tale criterio equitativo
sembra meglio evitare, da un lato, di far ricadere sul creditore/danneggiato le conseguenze negative del
tempo occorrente per addivenire ad una liquidazione giudiziale del danno e, dall’altro, più idoneo a
prevenire il rischio che il debitore/danneggiante (la cui obbligazione di risarcire per equivalente il
danno diventa attuale dal momento in cui esso si verifica), anziché procedere ad una tempestiva
riparazione della sfera giuridica altrui lesa, sia tentato di avvantaggiarsi ingiustamente della non
liquidità del debito risarcitorio e della potenziale redditività della somma di denaro dovuta (che resta
nella sua disponibilità fino alla liquidazione giudiziale del danno).
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Nel caso di specie, considerato il tempo trascorso da quando il danno subito da parte attrice si è
verificato, l’importo in questione viene dunque equitativamente liquidato attraverso una maggiorazione
del 16% dell’intero danno suddetto (già rivalutato).
In particolare, applicando il predetto criterio, i danni riconosciuti agli attori, devono essere così
determinati:
- Danno non patrimoniale subito da Francesco Magro: euro 392.080,00 (pari ad euro
338.000,00 ed euro 54.080,00 a titolo di lucro cessante);
- Danno non patrimoniale subito da Claudia Cipriani: euro 92.800,00 (pari ad euro
80.000,00 ed euro 12.800,00 a titolo di lucro cessante);
- Danno subito da Syria e Francesco Alex Magro: euro 34.800,00 per ciascuna parte (pari
ad euro 30.000,00 ed euro 4.800,00 a titolo di lucro cessante);
- Danno subito da Davide Antonio e Samanta Rosa: euro 23.200,00 per ciascuna parte
(pari ad euro 20.000,00 ed euro 3.200,00 a titolo di lucro cessante);
- Danno subito da Cristian: euro 46.400,00 (pari ad euro 40.000,00 ed euro 6.400,00 a
titolo di lucro cessante).
Da tali somme, corrispondenti all’intero danno risarcibile liquidato al creditore, sono altresì dovuti gli
interessi al tasso legale sino al saldo, con decorrenza dalla data della presente pronuncia coincidente
con la trasformazione del debito di valore in debito di valuta.
Dall'ammontare complessivo dei danni vanno detratte le somme corrisposte a titolo di acconto, così
come rivalutate.
La domanda diretta ad ottenere il risarcimento dei danni da lite temeraria non può trovare
accoglimento, stante l’insussistenza dei presupposti previsti dall’art. 96 c.p.c. (anche alla luce della
necessità di disporre una CTU per l’accertamento dei fatti e della disponibilità transattiva manifestata
dalla struttura convenuta).
6. Spese di lite Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Nulla può essere riconosciuto a titolo di spese di consulenza tecnica di parte, in assenza di prova delle
somme a tale titolo corrisposte.
Le spese di CTU, già liquidate con separato provvedimento, devono essere poste definitivamente a
carico di parte convenuta.
P.Q.M.
Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, istanza od eccezione disattesa, così provvede:
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1) Accoglie le domande di parte attrice e, per l’effetto, condanna l’ASST Rhodense, già
Azienda Ospedaliera G. Salvini, al pagamento in favore di Francesco Magro, a titolo di
risarcimento dei danni, della somma di euro 392.080,00, oltre interessi legali dalla data
della presente pronuncia sino al soddisfo (somma dalla quale deve essere detratto
l’acconto già versato);
2) condanna l’ASST Rhodense, già Azienda Ospedaliera G. Salvini, al pagamento in favore
di Claudia Cipriani, a titolo di risarcimento dei danni, della somma di euro 92.800,00
oltre interessi legali dalla data della presente pronuncia sino al soddisfo;
3) condanna l’ASST Rhodense, già Azienda Ospedaliera G. Salvini, al pagamento in favore
di Claudia Cipriani e Francesco Magro, a titolo di risarcimento dei danni, in qualità di
genitori esercenti la potestà genitoriale sui minori Syria, Cristian a Francesco Alex
Magro, delle somme di euro 34.800,00 (per Syria e Francesco Alex) ciascuno, e della
somma di euro 46.400,00 per Cristian, oltre interessi legali dalla data della presente
pronuncia sino al soddisfo;
4) condanna l’ASST Rhodense, già Azienda Ospedaliera G. Salvini, al pagamento in favore
di Francesco Magro, a titolo di risarcimento dei danni, in qualità di genitore esercente la
potestà genitoriale sui minori Davide Antonio e Samanta Rosa delle somme di euro
23.200,00 per ciascun minore, oltre interessi legali dalla data della presente pronuncia
sino al soddisfo;
5) Condanna la convenuta a rimborsare a parte attrice le spese di lite, che liquida in
complessivi euro 31.550,00 oltre euro 518,00 di contributo unificato, oltre spese generali
al 15%, i.v.a., c.p.a. come per legge, da distrarsi in favore del difensore che si dichiara
antistatario;
6) Pone definitivamente a carico della convenuta le spese di c.t.u., già liquidate con separato
provvedimento.
Milano, 8 maggio 2017
Il Giudice dott. Martina Flamini
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