sentenza n. 708/2014 del 2 ottobre 2014
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Sent. N. 708/2014 REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE
PER IL LAZIO
Composta dai magistrati:
Ivan De Musso Presidente
Chiara Bersani Consigliere Rel.
Maio Giuseppina Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di responsabilità n. 73420 ad istanza della Procura Regionale per la
Sezione Lazio, in persona del V.P.G. Domenico Piccirillo, contro:
-Percoco Armando, rappresentato e difeso dall’Avv. Susanna Chiabotto, con domicilio in Roma, al
P. le Clodio, n. 22, e dall’Avv. Giancarlo Laganà, domiciliato in Roma, alla Via Nicotera, n. 20;
-Leone Alberto, rappresentato e difeso dagli Avv.ti. Domenico e Paolo Bonaiuti, e presso di loro
domiciliato in Roma, alla Via Riccardo Grazioli Lante, n. 16;
-Fusco Vincenzo, residente in Trevignano Romano, alla Via Monte Fumaiolo, n.6/A, costituito
personalmente;
Visti gli atti ed i documenti di causa;
Uditi alla pubblica udienza del 08.07.2014, con l’assistenza del Segretario di udienza Sig.ra Sarina
Anna Ponturo, il P.M. in persona del V.P.G. Domenico Peccerillo, l’Avv. Andrea Musacchio per
delega dell’Avv. Chiabotto, e l’Avv. Paolo Bonaiuti;
Ritenuto in
FATTO
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A seguito di esposto trasmesso dal Comitato Parchi di Terracina il 12.02.2011, la Procura di questa
Corte ha avviato istruttoria, esitata in inviti a dedure e nell’atto di citazione emesso il 02.12.2013,
sull’esecuzione di lavori per la realizzazione di un parcheggio per auto in località Parco Montuno,
Terracina, per il danno conseguente alla definitiva interruzione ed abbandono dei lavori stessi,
conseguente al ritrovamento di reperti storici ed archeologici nell’area del cantiere, danno
quantificato in euro 126.772,36, pari alla liquidazione del primo (ed unico) SAL alla Ditta
esecutrice Gemini Appalti, avvenuta il 19.05.2011.
Premette la Procura che, come afferma la delibera comunale (D.G. n.183 del 04.04.2011), “durante
i lavori di scavo del costruendo parcheggio interrato in località Montuno sono stati trovati ruderi di
una antica costruzione di epoca romana...e che tale ritrovamento...impedisce la costruzione del
parcheggio"; a seguito di tale ritrovamento l’esecuzione dell’appalto ha subito tre interruzioni ed
infine, con la citata delibera, dando atto di tali ritrovamenti, il Comune ha deciso di “rinunziare ai
lavori in itinere a fine di riformulare una nuova progettazione anche in virtù dell’antieconomicità
dell’eventuale realizzazione di un parcheggio di dimensioni ridotte….”, ed ha conferito “mandato al
Dipartimento LL.PP di redigere apposito progetto per il ripristino dei luoghi”. L’opera sarebbe stata
pertanto non cantierabile sin dall’inizio, circostanza questa che sarebbe stata verificabile solo se
fossero state rispettate le norme in materia di attività di progettazione e le prescrizioni urbanistiche
e di vincolo esistenti sull’area.
Nell’atto di citazione si contesta, infatti, che i lavori sarebbero stati affidati senza che in sede di
progettazione preliminare fosse stata compiuta la verifica dell’interesse archeologico, in violazione
dell’art. 95, comma 1, del D.lgs. n. 163/2006, senza la preventiva approvazione del progetto da
parte del locale Sovrintendente regionale, in violazione dell’art. 96, comma 2, del medesimo D.lgs.
ed in base alle disposizioni del Piano Particolareggiato approvato dalla Regione con atto n.2163 del
28.04.1980, ricadendo l’area nell’ambito del piano stesso, come risulterebbe da certificato di
destinazione urbanistica del 14.12.2006 (nulla osta richiesto dal Comune di Terracina solo il
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03.06.2009, e cioè successivamente alla consegna del lavori, con la motivazione che “considerata la
criticità dell’area, prima di dare inizio ai lavori di sbancamento….occorre un sopralluogo congiunto
in modo da valutare l’opportunità di effettuare delle indagini preliminari..”). Tali omissioni
integrerebbero “carenze progettuali” di cui all’art.163, comma 6, del D.lgs. n. 163/2006, nonché un
non efficace svolgimento delle attività del RUP, in particolare di quelle di validazione del progetto,
condotte in contrasto con quanto disposto dall’art.47 del DPR n.554/1999 e dall’art.112 del d.lgs. n.
163/2006, atteso che, a fronte delle omissioni suddette, lo stesso RUP, nel verbale di validazione del
13.10.2008, aveva invece affermato che era stata verificata “l’esistenza delle indagini geologiche e,
ove necessario, archeologiche nell’area di intervento e la conseguenza dei risultati di tali indagini
con le scelte progettuali”, imputabili pertanto al progettista e al RUP a titolo di colpa grave.
Afferma la Procura che il ritrovamento archeologico era sicuramente destinato ad emergere dallo
sbancamento della collina di Montuno, essendo l’area interessata, oltre che dal vincolo
paesaggistico e urbanistico, proprio da vincolo archeologico di cui al D.M. del 23.11.1965, e che la
forte probabilità di ritrovamenti archeologici sarebbe senz’altro emersa ad esito delle verifiche
preliminari obbligatoriamente previste, e non effettuate, per cui in dette omissioni e carenze
progettuali e di validazione ha individuato il nesso causale con il danno e, richiamando
l’esposizione dei fatti come relazionata nella determina della AVCP n.0051110 del 24.05.2012
(intervenuta nel corso della fase preprocessuale del giudizio) e le relative conclusioni in diritto, in
parte riportate nell’atto di citazione, ha imputato il predetto danno all’Ing. Percoco Armando, nella
sua qualità di estensore del progetto preliminare ed esecutivo e di Direttore dei Lavori, al Geom.
Leone Alberto, in qualità di RUP dell’intera opera, ed all’Ing. Fusco Vincenzo, Dirigente dei
Lavori Pubblici all’epoca dei fatti, tutti già costituiti in mora dall’amministrazione il 02.05.2012.
Nell’atto di citazione si fa anche cenno alle ulteriori vicende che interessano ad oggi l’area, ivi
compreso il processo penale attualmente pendente per i medesimi fatti.
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Leone Alberto si è costituito il 11.02.2014 tramite l’Avv. Domenico Bonaiuti, depositando
successive memorie di difesa, ed ha pregiudizialmente eccepito la nullità dell’atto di citazione per
violazione del termine di 90 gg a difesa, ex art. 163 bis, comma 1, c.p.c. (tra la notifica dell’atto di
citazione, avvenuta il 16.12.2013, e la fissazione dell’udienza del 13.03.2014, violazione dell’art.
166 c.p.c. che assegna al convenuto 20 giorni liberi prima dell’udienza per il deposito di memorie,
in quanto al convenuto è stato assegnato termine sino al 20.02.2014 per il deposito di memorie e
documenti); all’udienza del 13.03.2014 con sentenza/ordinanza n. 314/2014, l’eccezione è stata
respinta e sono stati assegnati termini a difesa alle parti convenute, con fissazione dell’udienza al
08.07.2014.
La difesa del Leone ha inoltre eccepito sempre in via preliminare la nullità dell’atto di citazione per
genericità, ex artt. 112 c.p.c. e 164, comma 4, c.p.c., ed ex art. 1 del R.D. n. 1038/33, per mancanza
di alcuna specificazione dei singoli profili di responsabilità in relazione al titolo di imputazione
(colpa grave), nonché della quantificazione della parte che viene addebitata al convenuto nella
fattispecie di corresponsabilità parziaria, avendo la Procura chiesto la condanna con richiamo alle
“quote che saranno ritenute di giustizia”, ed il difetto di giurisdizione, in quanto la citazione
introdurrebbe una domanda restitutoria e non risarcitoria, essendo il petitum di ammontare identico
al SAL liquidato alla ditta esecutrice dei lavori.
Nel merito, dopo ampia ricostruzione della vicenda inserita nel programma triennale dei lavori
pubblici del comune di Terracina, ha ribadìto la tesi, già sostenuta in sede di istruttoria, che l’area
interessata ai lavori oggetto del presente giudizio sarebbe esente da ogni vincolo, per cui non
sussisterebbe alcun profilo di illiceità collegato alle contestate omissioni in sede progettuale; in
particolare, corroborando le osservazioni anche con una relazione a firma dell’Archeologo Dr.
Pietro Longo depositata il 18.06.2014:
-l’area rimarrebbe estranea al perimetro del bacino portuale, il cui limite è individuato nella tav.9
del PPE del Centro Storico (approvato con D.G.R. n.2163 del 28.04.1980), e pertanto sarebbero
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inconsistenti le censure di violazione delle prescrizioni del PPE rilevate dalla Procura e dalla
AVCP, nonché di omessa richiesta del preventivo parere alla Sovrintendenza, obbligatorio solo per
le aree ivi ricomprese;
-l’area non sarebbe gravata da vincolo paesaggistico di cui al D.lgs. n. 42 del 22.01.2004, atteso che
essa non ricadrebbe nelle previsioni del PTP Regionale approvato con DGR n. 2280 del 28.04.1987
e con L.R. n. 24 del 06.07.1988, se non per la fascia di tutela del c.d. Canale Linea Pio VI;
-essa non ricadrebbe nel vincolo archeologico di cui al D.M. del 23.11.1965, che neanche si
riferirebbe ai “ruderi costituenti l’antico Porto di Terracina”. La circostanza sarebbe avvalorata dal
fatto che, con nota n.1261 del 22.10.2010, la stessa Sovrintendenza, interpellata prima dell’inizio
dei lavori, avrebbe ritenuto di dover effettuare specifiche verifiche archeologiche solo per
scongiurare l’eventualità di rinvenimenti imprevisti ed imprevedibili, poiché l’area era esterna al
perimetro dell’antico porto; pertanto, correttamente l’amministrazione avrebbe omesso, in sede di
progettazione, la richiesta di parere preventivo alla Sovrintendenza archeologica, in applicazione
delle stesse raccomandazioni della deliberazione regionale n. 2163 del 28.04.1980, che non la
prevedono come obbligatoria per le aree esterne a detti vincoli, e delle previsioni del D.lgs. n.
163/2006 e del D.P.R. n. 554/99 (l’art. 95 del D.lgs. non prevede come obbligatoria la trasmissione
del progetto preliminare alla Sovrintendenza per interventi che non comportino scavi o nuova
edificazione a quote diverse da quelle già impegnate da manufatti esistenti, e l’area sarebbe
immediatamente circondata da immobili anche superiore a quattro piani fuori terra con quote di
scavo certamente superiori a quelle dell’area interessata a parcheggio) .
La difesa del Leone ha poi rilevato la mancanza di colpa grave sia dall’assenza d’illecito, sia dal
fatto (attestato nel verbale di sopralluogo effettuato dal competente funzionario della
Sovrintendenza il 22.10.2010) che, pure a fronte dell’estraneità dell’area a vincolo di qualsiasi tipo,
e della non attribuibilità della collina di Montuno all’epoca di effettuazione degli scavi per la
realizzazione del porto romano (relazione citata), i movimenti di terra effettuati sino a quel
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momento erano stati finalizzati alla preparazione dell’area onde consentire l’esecuzione di ulteriori
indagini di accertamento o varianti per la realizzazione di parcheggio di dimensioni ridotte, e che
una tale variante è stata poi effettivamente approvata (DGC n.568 del 16.12.2011 che ha deciso un
aumento di parcheggi in Via Manzoni con ripristino dello stato dei luoghi) senza rilievi
dall’Assessorato delle Politiche della Mobilità e del Trasporto della regione Lazio nota 186555 del
27.04.2012), ed assistita da finanziamento integrale regionale, senza che la Regione abbia rilevato
alcun contrasto con la variante medesima e l’art. 132, comma 1, del D.lgs. n. 163/12006. La
circostanza, per la difesa, dimostrerebbe definitivamente sia la mancanza di colpa grave che la
correttezza sostanziale dell’operato del convenuto; ha eccepito infine l’assenza di danno, in quanto i
lavori effettuati costituirebbero solo lavori di scavo e pertanto sarebbero i medesimi che si
sarebbero effettuati nella fase delle indagini preliminari che la Procura censura siano state omesse,
ed anzi avrebbero impegnato un costo assai minore di quelli, ed ha concluso per l’accoglimento
delle eccezioni pregiudiziali e preliminari, e nel merito, per l’assoluzione da ogni addebito,
chiedendo in via gradata l’applicazione del potere riduttivo dell’addebito ed il computo dell’utile
conseguito dall’amministrazione.
Il Sig. Percoco Armando si è costituito il 21.02.2014 tramite l’Avv. Susanna Chiabotto.
Sostanzialmente simili sono le argomentazioni a difesa: ha eccepito pregiudizialmente difetto di
giurisdizione per identità del petitum con un’azione di tipo restitutorio, in via preliminare ha
eccepito la nullità dell’atto di citazione per violazione del termine a difesa ex art. 163 bis c.p.c. e per
genericità ex art.164 c.p.c, per mancata illustrazione dello specifico fatto ascritto al convenuto e dei
tratti distintivi della sua responsabilità in una fattispecie in cui concorrono altri corresponsabili,
nonché del preteso danno; nel merito ha sostenuto anch’egli che l’area non sarebbe interessata da
vincolo archeologico né paesistico, per cui la successiva richiesta di parere alla Sovrintendenza, che
il DL ha inoltrato dopo l’inizio dei lavori, ha costituito frutto di suo puro scrupolo, ed ha consentito
il ritrovamento del manufatto di epoca romana, a seguito del quale detto reperto è stato ricoperto di
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terra, i lavori sono stati prima sospesi e poi definitivamente rinunziati (DG Comunale n.183 del
04.04.2011), ed il progetto per il parcheggio è stato approvato con variante in altra area (DC
n.568/2011), evidenziadosi così agli atti la mancanza, oltre che della colpa grave, anche del danno,
considerati sia la mancata valorizzazione del rudere, sia il minor costo dei lavori di scavo eseguiti
rispetto a quelli che sarebbero stati eseguiti se si fosse dato corso ad indagini preliminari in fase
progettuale. Anche la difesa del Sig. Percoco, infine, ha concluso per l’accoglimento delle eccezioni
pregiudiziali e preliminari, e, nel merito, per l’assoluzione da ogni addebito, chiedendo in via
gradata l’esercizio del potere riduttivo dell’addebito ed il computo dell’utile.
L’Ing. Fusco Vincenzo ha presentato memoria di costituzione e difesa personale con la quale ha
sostenuto l’estraneità alla vicenda, nella sua qualità di Dirigente p.t. LL.PP del Comune di
Terracina, estraneo pertanto all’intero procedimento di realizzazione dell’opera, non avendo egli
ricoperto funzioni né di D.L., né di progettista, né di RUP, né di responsabile della sicurezza, unici
soggetti ai quali il D.lgs.n.163/06 ed il citato regolamento n.554/9 collegano le responsabilità
imputate nell’atto di citazione. Ciò premesso, in punto di fatto ha ritenuto di chiarire quanto rilevato
nella propria relazione tecnica del 25.03.2011 (redatta con riferimento alla nota del Corpo Forestale
dello Stato di Terracina n.14965/2011, con la quale si chiedeva di relazionare in ordine al medesimo
esposto inviato anche a questa Corte, e nella quale si sosteneva l’insussistenza di vincoli
archeologici o paesaggistici con argomentazioni oggi riprese, nel presente giudizio, dalle due difese
dei convenuti Percoco e Leone), precisando che l’area interessata dai lavori è ricompresa nel Piano
Particolareggiato Esecutivo per il “Centro Storico in declivio e pianura e Area Archeologica
Portuale”, ma non nella più particolare zona inclusa nell’Area Archeologica Portuale, per la quale
il medesimo piano prevedeva l’obbligo di richiedere il nulla osta preventivo alla Sovrintendenza; il
giudizio di “criticità dell’area” che la Sovrintendenza ha emesso in sede di sopralluogo ed ha
comunicato nella nota del 01.10.2009 n.9806 non potrebbe valere ad estendere ad essa la rilevanza
del “rischio archeologico” che, a norma del precitato PPE, rimarrebbe circoscritto alle sole aree
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vincolate con le procedure previste per legge. Ha eccepito poi, similmente alle difese degli altri
convenuti, che non sussisterebbe alcun danno per l’identità dei lavori di scavo eseguiti rispetto a
quelli necessari in fase d’indagini preliminari, ed anzi di spesa assai inferiori a quelli, ed ha
concluso per il rigetto della citazione e, in via subordinata, per l’esercizio del potere riduttivo
dell’addebito.
Con sentenza/ordinanza n.304/2014 pronunziata all’udienza del 13.03.2014, è stata respinta
l’eccezione di nullità dell’atto di citazione ex art. 164 c.p.c., per violazione dei termini di cui all’art.
163 bis c.p.c., ed è stato disposto il rinvio dell’udienza alla data del 08.07.2014, onde consentire
adeguata difesa ai convenuti.
Con memoria del 07.07.2014 l’Ing. Percoco ha nominato difensore l’Avv. Giancarlo Laganà del
foro di Roma, che per l’udienza del 08.07.2014 ha conferito delega all’Avv. Musacchio e depositato
memoria di difesa ed allegati, e alla stessa udienza il V.P.G. Peccerillo e l’Avv. Bonaiuti, che ha
depositato documentazione, hanno concluso come in atti.
DIRITTO
1. L’eccezione di difetto di giurisdizione è infondata.
L’azione di responsabilità erariale esercitata dalla Procura contabile, anche nell’ipotesi in cui il
preteso danno sia determinato nell’esatto ammontare di pagamenti o liquidazioni effettuate in
violazione di norme di legge, non ha né contenuto, né finalità sovrapponibile con l’azione
meramente risarcitoria che rientra nella giurisdizione del giudice civile, ma è finalizzata
all’accertamento di responsabilità patrimoniale amministrativa (e, difatti, è munita di tutti i
correttivi di natura processuale e sostanziale volti a proporzionare l’addebito al tipo ed alla
dimensione della partecipazione del convenuto, sia sotto il profilo dell’elemento soggettivo che di
quello oggettivo e causale, ed al danno sofferto dall’amministrazione). Per tale motivo essa non
costituisce affatto una duplicazione di quella esercitabile in sede civile, nell’ambito dei rapporti con
i terzi, dall’amministrazione che si pretenda danneggiata. Il principio è del tutto consolidato nella
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giurisprudenza della Corte dei Conti e della Corte di Cassazione (cfr., tra le recenti, Corte dei Conti,
Sez. Terza Appello, n. 433/2014, che cita Corte di Cassazione nn. 6581/2006, 27092/2009 e
63/2014: “le due azioni sono e restano autonome e operano su piani del tutto distinti, e l'avere
entrambe per oggetto il medesimo danno, con le specificità proprie dell’uno e dell’altro giudizio,
non osta alla loro coesistenza, ne' comporta rischi di duplicazione del risarcimento, atteso che la
giurisdizione civile e quella contabile sono reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali,
sicché il rapporto tra le due azioni si pone in termini di alternatività anziché di esclusività, dando
luogo a questioni non di giurisdizione , ma di proponibilità della domanda.). Ciò vale ad escludere,
senza più profuse argomentazioni, l’eccezione di difetto di giurisdizione sulla odierna azione,
essendo essa anzi espressamente riservata alla giurisdizione esclusiva della Corte dei Conti
dall’art.1, comma 4, della legge n.20/94, per il quale “la Corte dei Conti giudica sulla
responsabilità amministrativa degli amministratori e dipendenti pubblici”.
2. E’ pure infondata l’eccezione di prescrizione.
Il termine prescrizionale per l’azione di responsabilità erariale inizia a decorrere quando sussistono
entrambi i presupposti perché possa essere esercitato il diritto al risarcimento, e cioè quando si
realizzi sia l’elemento oggettivo, dell’effettiva depauperazione patrimoniale, che quello soggettivo,
della conoscibilità dell’illecito da parte dell’amministrazione; il che nella fattispecie si è avuto solo
dopo che l’amministrazione, con il verbale redatto dall’Ing. Pietro Carlo Innico (incaricato con
determinazione n.19/V del 10.02.2010), che ha dato atto del rinvenimento di un reperto
archeologico nell’area interessata ai lavori di scavo, è venuta a conoscenza della non cantierabilità
dell’opera nelle modalità e caratteristiche con le quali essa era stata deliberata, e con l’emissione del
certificato di pagamento n. 1 del 13.04.2011 ha liquidato il SAL alla ditta esecutrice dei lavori.
Rispetto a tale momento, pertanto, l’atto di citazione, emesso il 02.12.2013, è ampiamente
tempestivo, anche non considerando la preventiva messa in mora da parte della stessa
amministrazione, avvenuta nel 2012.
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3. In relazione al petitum ed alla causa petendi, e con particolare riguardo alle norme la cui
violazione è imputata ai convenuti, l’eccezione di nullità dell’atto di citazione per genericità è del
tutto infondata per l’Ing. Percoco e per il Geom. Leone, in quanto detta sanzione è comminata
dall’ordinamento solo quando l’atto introduttivo del giudizio manchi degli elementi che siano
sufficienti a determinare con certezza tali due elementi essenziali dell’azione.
Per l’Ing. Percoco e per il Geom. Leone, in citazione è fatta specifica menzione delle norme la cui
violazione, in tesi, costituisce, ad un tempo, elemento oggettivo dell’illecito (violazione artt. 95 e 96
del D.lgs. n. 163/2006; carenze progettuali ex art. 132 del D.lgs. n. 163/2006, e di validazione del
progetto ex art. 47 del D.P.R. n. 554/99) e comportamento omissivo ascrivibile ai soggetti che, per
legge, sono direttamente tenuti all’applicazione delle norme medesime. Sono, altresì, chiaramente
indicati i comportamenti che, in base a dette norme, la Procura ritiene che siano stati pretermessi e
la responsabilità, conseguentemente, è imputata a titolo di omissione. La chiamata in giudizio,
infine, è stata esplicitamente effettuata in ragione delle specifiche competenze rivestite
nell’amministrazione e coinvolte nella fase della progettazione: a fronte dell’asserita “carenza
progettuale”, l’Ing. Percoco è stato citato “nella sua qualità di estensore del progetto preliminare e
di D.L.”, ed il Geom. Leone nella sua qualità di Responsabile Unico del Procedimento, per un “non
efficace svolgimento delle attività del RUP” e con descrizione analitica di tutte le omissioni che la
Procura afferma a lui imputabili nella fase della progettazione. Essi sono i soggetti ai quali la legge
direttamente riferisce gli obblighi che la Procura afferma omessi, ed ai quali detta omissione,
perciò, è direttamente riferibile. In tale contesto, così dettagliatamente descritto, è palesemente
infondata anche l’eccezione di nullità sollevata dalla difesa dei convenuti sotto il profilo che l’atto
di citazione non descriverebbe separatamente i tratti della responsabilità ascrivibile a due convenuti
in responsabilità parziaria.
Quanto alla posizione dell’Ing. Fusco, che è stato chiamato a rispondere dei medesimi fatti in
qualità di Dirigente p.t. del servizio LL.PP. del Comune di Terracina, rileva il Collegio che le citate
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disposizioni non sono a lui dirette, avendo come destinatari i referenti della progettazione
dell’opera; a lui non può imputarsi la paventata violazione delle norme sulla verifica preventiva del
progetto preliminare, senza descrivere più compiutamente comportamenti o circostanze a lui
direttamente o indirettamente ascrivibili, o da lui tollerati, che in qualche modo lo coinvolgano
causalmente nel preteso danno. E’ pur vero, come risulta agli atti, che egli ha del tutto “sposato” la
tesi del D.L. e del RUP (cfr. la sua relazione tecnica sulla realizzazione dei parcheggi in zona
Montuno del 25.03.2011, redatta su richiesta del Comando di Polizia Locale-Ufficio Polizia
Giudiziaria ed Ecologica), non rilevando egli in quella sede l’esistenza di un rischio archeologico
nella zona e sostenendo l’assenza di vincoli nell’area dei lavori, ma, in assenza di una più specifica
contestazione di fatti rientranti nelle sue competenze e strettamente inerenti la fase della
progettazione e delle verifiche preliminari, o che possano altrimenti coinvolgerlo - descrizioni, che
non si rinvengono nell’atto di citazione - l’addebito nei suoi confronti è generico e non soddisfa i
requisiti minimi di cui agli artt. 163 e 164 c.p.c..
Conseguenzialmente, la citazione deve essere dichiarata inammissibile nei suoi confronti.
4. L’eccezione di violazione dei termini a difesa fissati dall’art. 163 bis c.p.c. per la comparizione
delle parti, riproposta dalla difesa anche dopo il rinvio della discussione all’odierna udienza, è
infondata.
Con la sentenza/ordinanza pronunziata nel presente giudizio all’udienza del 13 marzo 2014 è stata
respinta l’eccezione di nullità dell’atto di citazione, sollevata con riferimento agli artt. 163 e 164
c.p.c., e, in relazione all’eccezione di violazione dei termini per comparire, ed a tutela del
contraddittorio e del diritto di difesa, è stato concesso termine alle parti mediante rinvio della
discussione all’odierna udienza dell’8 luglio 2014.
Sostiene la parte che i termini a comparire sono rispettati solo se è lasciato al convenuto l’intero
periodo di 90 giorni, non interrotto, tra la comunicazione d’udienza e la data dell’udienza stessa.
Ciò non sarebbe avvenuto nel presente giudizio, né con riferimento alla prima data di udienza
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(13.03.2014), né con riferimento all’odierna udienza, alla quale la prima era stata rinviata proprio
per concedere alla parte termine a difesa.
Osserva il Collegio, conformemente all’univoca giurisprudenza di questa Corte (fatta eccezione di
un solo precedente: Sez. Appello Sicilia del 2009, che non suffraga però la contraria conclusione
con motivazioni specifiche sul punto), che la sanzione di nullità che nel giudizio di responsabilità
civile inficia l’atto di citazione privo dell’indicazione dei termini a comparire, o con termini a
comparire inferiori a quelli minimi previsti dall’art. 163 bis, non è compatibile con la struttura del
giudizio di responsabilità patrimoniale amministrativa, poichè questo è introdotto con una citazione
priva dell’indicazione dei termini a comparire di cui al medesimo art. 163 bis: la data di udienza è,
infatti, fissata con decreto del Presidente dopo il deposito della citazione presso la Sezione (artt. 45
e 46 del r.d. n. 1038/33). Una tale sanzione, dalla quale si ricavi la perentorietà dei suddetti termini,
non si riscontra neanche nell’ambito delle norme procedurali di cui al regio decreto n. 1038/1933,
non essendo essa contenuta né nell’art. 7 ( secondo il quale il termine per comparire dinanzi alla
Corte dei Conti è quello stabilito dall'articolo 148 codice 1865 - oggi, art. 163 bis c.p.c. - a
decorrere dalla notifica dell'atto che intima la comparizione ), né altrove.
Da tale fatto la giurisprudenza, anche di appello, trae argomento per affermare che “il Presidente
della Sezione ben può stabilire una data per l’udienza di discussione della causa tale che il termine
per comparire sia inferiore a quello stabilito dal menzionato art. 163-bis “ (Sezione Terza Appello,
n. 52/2013), e che “ Il termine che deve essere lasciato libero dalla data di notificazione dell'avviso
di fissazione di udienza e la data dell'udienza non è espressamente regolato, per cui esso deve
rispondere unicamente ai criteri di congruità e deve essere, comunque, coerente con il termine che
il Presidente, nello stesso decreto di fissazione di udienza, deve fissare per il deposito degli atti e
documenti” (Sezione Prima Appello n. 322/2014; nei termini, Sezione Prima Appello, n. 73/2002;
Sezione Seconda Appello, n. 268/2010). Si osserva anche (Sez. Prima Sezione Appello, sentenza
n.545/2009) che “giusto il disposto dell’art. 26 del r.d. n. 1038/1933, il rinvio dinamico al codice di
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rito (anche quello effettuato dall’art. 7, comma 1, del suddetto decreto in merito ai termini di
comparizione) è da considerarsi operante nei limiti della compatibilità con il complessivo sistema
processuale della responsabilità amministrativa”, traendone la conseguenza che, atteso che le norme
specifiche del processo contabile disciplinano il termine per comparire (art.7 Reg. Proc., che non lo
individua quale contenuto necessario della citazione in quanto è fissato con decreto Presidenziale),
mentre “il termine che deve essere lasciato libero tra la data di notificazione dell’avviso di fissazione
di udienza e la data dell’udienza non è invece espressamente regolato”, né la citazione deve
contenere l’indicazione di tali termini, né essa può esse inficiata di nullità nel caso in cui tali termini
non siano rispettati (così anche la citata Sez. Prima Appello n.322/2014).
Questo Collegio ritiene che, in assenza di un’espressa previsione di nullità o di altra sanzione
collegata all’inosservanza dei termini di cui all’art. 163 bis c.p.c., si deve escludere che l’eventuale
violazione dei termini previsti dal suddetto art. 163 bis comporti questioni d’invalidità dell’atto di
citazione (e se ciò si deve escludere per la prima udienza di comparizione, si deve parimenti
escludere anche per l’udienza alla quale la discussione sia rinviata eventualmente senza il rispetto
dei termini di cui all’art 163 bis; nel presente caso, comunque, il rinvio disposto all’udienza del 13
marzo 2014 ha lasciato alla difesa ben oltre il termine di 90 giorni liberi tra la data di udienza e la
successiva odierna udienza del 8 luglio 2014).
La violazione dei termini di cui all’art. 163 bis comporterà, invece, riflessi sul piano
dell’accertamento della regolare costituzione del contraddittorio, dovendosi garantire alle parti
convenute di poter esercitare senza difficoltà ed adeguatamente il diritto di difesa, nell’ambito del
generalissimo principio del giusto processo al quale il giudizio di responsabilità amministrativa, al
pari degli altri riti, deve informarsi. Una seppur risalente, ma chiara, pronunzia della Corte di
Cassazione conforta il Collegio in tale conclusione: in Cass. Civ., Sez. I, 16 luglio 1996, n. 6432 si
mette in chiara correlazione l’art. 163 bis c.p.c. con il giudizio con citazione a comparire a data
fissa, e si precisa che “nel giudizio di responsabilità amministrativa la notificazione della citazione è
14
elemento esterno alla citazione medesima, diretto unicamente ad instaurare il contraddittorio”,
ponendosi, pertanto, il principio che tutte le questioni scaturenti o connesse con la notificazione
dell’atto introduttivo del giudizio nel giudizio di responsabilità erariale si riflettono esclusivamente
sulla verifica del rispetto del contraddittorio (e non sul piano della validità dell’atto introduttivo del
giudizio). In base a tale principio, si deve escludere che comporti invalidità dell’atto di citazione
anche il mancato rispetto dei 90 giorni liberi tra la sua notifica e la data di comparizione, poiché i
termini per comparire decorrono, appunto, dalla notificazione dell’atto di citazione, e si deve
accertare la regolarità e la adeguatezza del contraddittorio.
Posto ciò in punto di diritto, quanto alla verifica della situazione difensiva delle parti convenute il
Collegio osserva che, nella fattispecie, hanno costituito adeguata garanzia del rispetto dei diritti
della difesa il rinvio ad udienza successiva, disposto dal Presidente alla precedente udienza del 13
marzo 2014, ed il termine che, tra tale rinvio e l’odierna udienza del 8 luglio 2014, è stato concesso.
Anzi, il termine risulta adeguato e congruo sin dalla prima notificazione dell’atto di citazione. Le
parti, infatti, già alla prima udienza avevano ampiamente argomentato tutte le rispettive tesi
difensive, specificatamente contro tutti i fatti e le conclusioni che la Procura ha loro ascritto
nell’atto di citazione; la circostanza è evidente dal raffronto tra l’atto di citazione, la
documentazione depositata dalla Procura e gli atti difensivi depositati dalle parti, ed è ulteriormente
comprovata dal fatto che per l’odierna udienza del 8 luglio 2014 le difese, pur disponendo di ampio
termine all’uopo concesso (abbondantemente superiore ai 90 giorni liberi), non hanno sollevato
ulteriori censure o rilievi, fatta eccezione per la censura di violazione dell’art. 163 bis. In tale
contesto difensivo, pertanto, il diritto dei convenuti al contraddittorio ed a una adeguata difesa in
giudizio sono stati perfettamente rispettati e garantiti.
5. Nel merito, l’imputazione del danno conseguente alla liquidazione del SAL all’impresa
esecutrice dei lavori, come da contratto di appalto aggiudicato dal Comune di Terracina, è basata
sull’affermazione che l’opera, così come progettata ed appaltata, non era ab origine cantierabile,
15
poiché la realizzazione di un parcheggio interrato in zona interessata da vincolo archeologico è
inevitabilmente destinata ad essere interrotta e rinunziata, come in definitiva è avvenuto nella
fattispecie, a fronte dei futuri ed inevitabili ritrovamenti di reperti, e sulla conseguente inutilità dei
lavori liquidati all’impresa. L’elemento oggettivo dell’illecito è costituito, in tesi, dalla violazione
delle norme che disciplinano la progettazione preliminare imponendo verifiche del rischio
archeologico nelle zone interessate dalle opere, richiamandosi la Procura sia agli artt. 95 e 96 del
D.lgs. n. 163/2006, sia alle specifiche disposizioni dei piani urbanistici che rimandano ad esse, o
coinvolgono la Sovrintendenza nei relativi accertamenti in fase progettuale.
La documentazione agli atti conferma che i lavori sono stati rinunziati a causa del ritrovamento di
reperti archeologici, e non tanto per la tutela dell’interesse archeologico coinvolto, bensì per la
tipologia dei reperti stessi, trattandosi di un “poderoso muro romano” (nota della Sovrintendenza
del 22.10.2010) portato in luce per una lunghezza di mt.15 ed altezza di mt. 3,5 e che continua ad
inoltrarsi nel fianco collinare contiguo (relazione dell’Archeologo Carlo Innico, incaricato dalla
Sovrintendenza agli scavi-indagine), il quale “impedisce la completa edificazione del
parcheggio…e rende antieconomica la realizzazione di un parcheggio di dimensioni ridotte”
(Deliberazione G.C. n. 183 del 04.04.2011). E’ pertanto evidente, come risulta anche dal fatto che la
variante successivamente approvata e finanziata dalla Regione non interessa affatto la stessa zona
sulla quale sono stati effettuati i lavori di scavo (deliberazione G.C. n.568/12, di approvazione del
progetto di variante in corso d’opera per la realizzazione del parcheggio in Via Manzoni ed il
ripristino dello stato dei luoghi), che detti lavori erano inutilizzabili e sono rimasti inutilizzati ai fini
della realizzazione dell’opera poi concretamente realizzata.
E’ anche incontestato tra le parti che non sono state effettuate indagini preliminari in sede di
progettazione per la verifica dell’interesse archeologico, e che sul progetto non è stata
preventivamente interpellata a tal fine la Sovrintendenza, alla quale il D.L. ha richiesto solo il
03.06.2009, cioè dopo la consegna dei lavori (avvenuta il 20.02.2009), di effettuare un sopralluogo
16
per valutare l’opportunità di eseguire delle indagini archeologiche preliminari. La Sovrintendenza,
con nota del 01.10.2009, ha chiesto di eseguire indagini preventive, le quali si sono concretate in
sbancamenti-indagine durante i quali è avvenuto il ritrovamento del reperto, a seguito del quale
l’amministrazione si è subito determinata per individuare altro sito per l’opera (deliberazione C.C.
n.26 del 24.05.2010).
Il punto della questione sta, invece, nella legittimità o meno della procedura di progettazione
dell’opera sotto il profilo della pretesa violazione degli obblighi a carico del progettista-D.L. e del
RUP, relativi all’acquisizione del nulla osta della Sovrintendenza e della preventiva validazione del
progetto con riferimento alla tutela dell’interesse archeologico; carenze ammesse dai convenuti,
come si è visto, ma per le quali essi sostengono l’assenza di qualsiasi illegittimità, difendendo sin
dalla fase delle deduzioni la tesi dell’inesistenza di vincoli sulla zona interessata ai lavori, e la
conseguente inapplicabilità dell’obbligo di preventive indagini archeologiche. Essi affermano, anzi,
che l’aver chiesto un parere alla Sovrintendenza pur in assenza di vincoli esistenti sulla zona depone
a favore di un particolare scrupolo tecnico ed operativo del D.L. e del RUP, non costituendo un
obbligo di legge.
6. La materia è disciplinata dagli artt.95 e 96 del D.lgs. n. 163/2006 (Procedura di verifica
preventiva dell'interesse archeologico), che riproducono le diposizioni degli articoli 2-quater e 2-
quinquies, D.L. n. 63/2005 conv. nella legge n. 109/2005.
In base a tali norme, le stazioni appaltanti hanno l’obbligo di “trasmettere al soprintendente
territorialmente competente, prima dell'approvazione, copia del progetto preliminare
dell'intervento o di uno stralcio di esso sufficiente ai fini archeologici….”. Tale obbligo è
previsto in via generale e “per tutte per le opere sottoposte all'applicazione delle disposizioni del
presente codice in materia di appalti di lavori pubblici”…, “ai fini dell'applicazione dell'articolo
28, comma 4, del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio
2004, n. 42”, e cioè al fine di mettere in grado la Sovrintendenza , “In caso di realizzazione di opere
17
pubbliche ricadenti in aree di interesse archeologico, anche quando per esse non siano intervenute
la verifica di cui all'articolo 12, comma 2, o la dichiarazione di cui all'articolo 13” , di esercitare
la facoltà, ivi prevista, di richiedere l'esecuzione di saggi archeologici preventivi sulle aree
medesime a spese del committente dell'opera pubblica.
La valutazione preventiva della Sovrintendenza sul progetto preliminare, pertanto, è prevista quale
obbligo generale per tutti i progetti di opere, e non è limitata alla preesistenza di un accertato
vincolo archeologico sulla zona stessa; del resto, non poteva di certo il legislatore, perché non
avrebbe avuto alcun senso, limitare l’obbligo di trasmissione del progetto alla Sovrintendenza,
finalizzato alla valutazione della opportunità di disporre indagini e misure cautelari (quali le
suddette indagini sono espressamente definite dal citato art. 28 del codice dei beni culturali e del
paesaggio) a opere ricadenti in zone nelle quali sia stata già accertata l’esistenza di reperti, ed è
invece perfettamente coerente, sia con la logica che con il principio di buona amministrazione che
da essa discende, che nell’ottica della tutela preventiva dell’interesse archeologico, perseguita con i
predetti articoli 95 e 96 del D.lgs. n. 163/2006 e con il citato codice dei beni ambientali e culturali ,
tali indagini “preventive” debbano essere compiute su aree che presentino, per le loro
caratteristiche, un interesse archeologico anche potenziale, sia al fine di scongiurare il rischio di
rinvenimento di reperti in corso d’opera, sia, nel caso in cui siano rinvenuti reperti rilevanti, al fine
di addivenire all’imposizione del vincolo stesso (il citato codice prevede, appunto, che nei casi in
cui, a seguito delle indagini preliminari, si accerti un interesse archeologico su specifici reperti o
zone, siano di seguito attivati i poteri del Ministero dei beni Ambientali e Culturali ai fini
dell’apposizione del relativo vincolo ai sensi degli articoli 12 e 13 del codice dei beni culturali e del
paesaggio).
Con ciò cade la tesi dei convenuti, e cioè che l’assenza del vincolo archeologico giustifichi
l’omesso invio del progetto alla Sovrintendenza, omissione che, come la Procura correttamente
afferma, costituisce violazione dell’art. 95, comma 1, del citato D.lgs. n.163/2006; infatti a tale
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verifica preventiva della Sovrintendenza il progetto avrebbe dovuto essere sottoposto in ogni caso,
in attuazione della generale regola sopra illustrata e dettata dagli art.95 e 96 del D.lgs. n. 163/2006,
anche indipendentemente dall’assenza di vincolo archeologico sull’area dei lavori, ed anche
indipendentemente dalla circostanza se l’area medesima ricadesse o meno nell’ambito di quelle per
le quali il Piano Particolareggiato prevedeva l’obbligo di acquisire il previo nulla osta della
Sovrintendenza.
Restano escluse dalle procedure della legge in esame (comma 7) solo le opere ricadenti in aree e
parchi archeologici di cui all'art. 101, cioè quelle già vincolate, nonchè le “zone d'interesse
archeologico” ex art. 142 del Codice, per le quali vigono le disposizioni già contenute in
quest'ultimo, per le quali entrambe, essendo già accertato l’interesse archeologico, la relativa tutela
segue procedure diverse da quella specificatamente dettata dall’art.95 ai fini di una valutazione del
tutto preventiva e cautelare.
Se tale adempimento risulta derogabile nei casi previsti dall’art. 95, comma 1, ultimo periodo, che
limita l’ambito della deroga (per cui non è necessaria la trasmissione alla Sovrintendenza) agli
“interventi che non comportino nuova edificazione o scavi a quote diverse da quelle già impegnate
da manufatti esistenti”, il fatto addotto dalla difesa, che l’area sarebbe “immediatamente circondata
da immobili di altezza anche superiore a quattro piani fuori terra con quote di scavo certamente
superiori a quelle dell’area interessata a parcheggio”, non integra la fattispecie disegnata dalla
norma derogatoria, che parla di manufatti “esistenti sull’area”, e non attigui alla stessa; del resto,
come più avanti si vedrà, l’area interessata dal progetto era attigua anche a zona già sottoposta a
vincolo archeologico, per cui, fermo rimanendo che la norma in esame deve essere intesa come
riferita a edifici esistenti sulla medesima area interessata dai lavori, non è comunque comprensibile
la ragione per la quale, in sede di esame della sussistenza o meno dell’obbligo di invio del progetto
preliminare alla Sovrintendenza, dovrebbe darsi una tale rilevanza derogatoria al fatto che esistano
edifici nelle zone attigue all’area, e, al contrario, nessuna al fatto, senz’altro maggiormente
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indiziario sotto il profilo della possibile sussistenza di un interesse archeologico, della contiguità
dell’area con zona vincolata.
In conclusione, il progetto in esame doveva, in applicazione dei citati artt. 95 e 96 del D.lgs. n.
163/2006, essere inviato alla Sovrintendenza prima dell’approvazione, per l’esame del “rischio
archeologico” e per porre l’amministrazione di tutela nella possibilità di verificare l’opportunità di
indagini preliminari; il tardivo interpello della Sovrintendenza non è dunque esaustivo degli
obblighi di legge, ed interviene in una fase - dopo la progettazione definitiva e la consegna dei
lavori - nella quale si è già realizzato proprio il risultato che la legge intende scongiurare, costituito
dal fatto che la stazione appaltante ha intrapreso l’esecuzione di opere in una zona nella quale è alto
il rischio che esse non possano essere eseguite nei modi in cui sono state affidate, o non possano
essere eseguite affatto, come infatti è avvenuto nella fattispecie.
7. In merito al profilo soggettivo dell’illecito, atteso che, come si è visto, a seguito delle nuove
disposizioni della legge n. 109/2005 (l’art. 2-ter ha introdotto la fase della verifica preliminare
dell’interesse archeologico ad integrazione delle precedenti disposizioni della legge n. 109/94), la
portata dell’obbligo di trasmissione del progetto alla Sovrintendenza è del tutto generale, in quanto
la valutazione del “rischio archeologico” è operazione che spetta a tale ultimo organo e non ai
singoli progettisti e RUP, non rilevano ai fini difensivi, e specificatamente al fine di escludere
l’elemento soggettivo della colpa grave, le argomentazioni dei convenuti tese a dimostrare
l’imprevedibilità del ritrovamento. La norma, generale e di chiara interpretazione, imponeva al
progettista un obbligo inderogabile nell’assolvimento del quale egli non era tenuto a valutazioni
tecniche o discrezionali, tutte rimesse alla Sovrintendenza.
Peraltro, osserva il Collegio che dell’esistenza di un rischio collegato al ritrovamento di reperti di
interesse archeologico il progettista era ben conscio, come dimostra la sua stessa relazione tecnica
del 08.10.2008, nella quale egli dichiara che “l’intervento non presenta particolari difficoltà
esecutive se non per la presenza di testimonianze storico ambientali che necessitano di ulteriori
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approfondimenti in fase esecutiva”; e, del resto, egli avrebbe senz’altro dovuto esserlo, a causa
dell’immediata contiguità della zona ad una area già vincolata per l’esistenza di reperti di tale tipo
(come risulta dalla stessa planimetria della zona, depositata agli atti, che mostra che essa risulta
confinante con “vincolo l.24.06.2939, n.1497”, e come ha considerato la stessa Sovrintendenza
laddove, una volta interessata del progetto, ha rilevato l’opportunità di dare corso ad indagini
archeologiche proprio per la “prossimità delle antiche strutture portuali e di edifici pubblici e privati
di epoca romana noti da bibliografia…”, elementi tutti che evidenziavano già per tabulas, e
preventivamente rispetto a qualsiasi ritrovamento, la presenza possibile, ed anzi molto probabile, di
ulteriori reperti. Il progettista, pertanto, contravvenendo ad una disposizione che lo obbligava in via
del tutto generale a trasmettere alla Sovrintendenza il progetto e gli allegati utili ai fini della
valutazione del rischio archeologico, ne ha pretermesso la trasmissione obbligatoria per legge; tale
omissione, già di per sé grave perché trasgressiva di un obbligo di natura generale e chiaramente
interpretabile, assume un connotato di particolare gravità nella particolare fattispecie dell’area di
Montuno, attigua all’area dell’antico porto di Terracina ed a zona già vincolata, in quanto tali
elementi evidenziano l’intuibile rischio che la zona presentava, ed il conseguente pericolo che ne
fosse compromessa la sua concreta fattibilità.
7.1 Analoga posizione, rispetto alle contestate violazioni, assume il RUP, soggetto che nella fase
della progettazione svolge un ruolo di garanzia del rispetto dei suindicati connotati di legittimità ed
esaustività del progetto preliminare. Sia il progettista che il RUP, infatti, sono tenuti alla verifica
dell’osservanza delle norme che disciplinano la redazione del progetto preliminare, essendone il
progettista il diretto firmatario ed il RUP il garante della completezza e corrispondenza a tutti gli
obblighi di legge, in quanto preposto alla verifica della legittimità e congruenza della
documentazione relativa a tutta la procedura, e specificatamente a quella della fase progettuale.
L’art.8, comma 1, del DPR n. 544/98 gli affida, infatti, compiti specifici in materia di accertamento
ed indagini preliminari : “Il responsabile del procedimento, fra l’altro: a) promuove e sovrintende
21
agli accertamenti ed alle indagini preliminari idonei a consentire la verifica della fattibilità tecnica,
economica ed amministrativa degli interventi;.. c) redige, secondo quanto previsto dall’articolo 16,
commi 1 e 2 della Legge, il documento preliminare alla progettazione (il quale contiene, tra l’altro
“l’indicazione delle regole e norme tecniche da rispettare” e “dei vincoli di legge relativi al contesto
in cui l’intervento è previsto”;…e) coordina le attività necessarie al fine della redazione del progetto
preliminare, verificando che, nel rispetto del contenuto del documento preliminare alla
progettazione, siano indicati gli indirizzi che devono essere seguiti nei successivi livelli di
progettazione ed i diversi gradi di approfondimento delle verifiche, delle rilevazioni e degli
elaborati richiesti;…o) effettua, prima dell'approvazione del progetto in ciascuno dei suoi livelli, le
necessarie verifiche circa la rispondenza dei contenuti del documento alla normativa vigente”.
L’art.93, comma 2, del D.lgs. n. 163/2006 gli affida il potere di integrare la documentazione tecnica
allegata al progetto preliminare, nei casi in cui egli la ritenga non sufficiente: “ Le prescrizioni
relative agli elaborati descrittivi e grafici contenute nei commi 3, 4 e 5 sono di norma necessarie
per ritenere i progetti adeguatamente sviluppati. Il responsabile del procedimento nella fase di
progettazione qualora, in rapporto alla specifica tipologia e alla dimensione dei lavori da
progettare, ritenga le prescrizioni di cui ai commi 3, 4 e 5 insufficienti o eccessive, provvede a
integrarle ovvero a modificarle.” In sede di procedura di validazione, prevista dall’art.112 del
D.lgs. n. 163/2006, l’art.47 affida al RUP in via principale, in contraddittorio con il progettista, il
compito di provvedere “a verificare la conformità del progetto esecutivo alla normativa vigente ed
al documento preliminare alla progettazione.
Viceversa, il RUP Geom. Leone, che firma unitamente all’Ing. Percoco il verbale di validazione del
progetto ai sensi dell’art.47 del D.P.R. n. 544/99, dà atto dell’esistenza e completezza delle
“indagini geologiche, geotecniche, e, ove necessario, archeologiche, nell’area di intervento…”,
pure a fronte dell’inesistenza agli atti del progetto di qualsiasi indagine archeologica , o valutazione
della sua necessità da parte della competente Sovrintendenza, e pur nella consapevolezza, che anche
22
egli, nella sua qualità ed anche solo in via intuitiva, doveva avere del rischio archeologico dell’area.
Tali tipologia di indagini non risulta effettuata neanche documentalmente, con una mera
prospezione dei ritrovamenti esistenti e del probabile sviluppo degli edifici già vincolati; allegata
alla documentazione tecnica preliminare al progetto è solo la relazione geologica tecnica redatta dal
geologo Massimo Mattioli, la quale però si limita ad un esame geologico del terreno e non copre
gli aspetti del rischio archeologico. La documentazione, necessaria per la completa ed esaustiva
definizione della progettazione preliminare, è incompleta, e di tale fatto egli non ha tenuto conto in
nessuna fase di esercizio delle sue competenze.
E’ pertanto corretta la conclusione che la Procura ne trae, e cioè che il preteso danno derivante dalla
liquidazione delle opere eseguite in zona Montuno in esecuzione dell’appalto, e che sono state
definitivamente rinunziate dall’amministrazione, costituisce un illecito imputabile a colpa grave sia
del progettista che del RUP.
8. E’ inoltre del tutto corretto, da parte dell’accusa, sostenere che l’opera non era cantierabile, e che
la mancata valutazione di tale elemento da parte dell’amministrazione sia dovuta a colpa grave del
progettista e del RUP, poiché la concreta fattibilità amministrativa e tecnica è oggetto di una distinta
valutazione del progettista in sede di progettazione preliminare, ed è accertata attraverso quelle
“indispensabili indagini di prima approssimazione” che il disposto dell’art. 93, comma 3, del D.lgs.
n. 163/2006 impone tra i contenuti essenziali del progetto preliminare; la fase della progettazione
preliminare è ben lungi dall’essere una fase più “approssimativa” di identificazione dell’opera, se
non per quanto concerne strettamente gli aspetti esecutivi dei lavori, ed anzi, per tutto ciò che
concerne l’esatta definizione dell’opera nel suo insieme, il suo inquadramento nell’ambiente nel
quale essa si inserirà, la sua funzionalità, il rispetto del territorio sul quale andrà ad incidere, il
rispetto dei limiti di costo – cioè, dell’elemento economico in base al quale l’amministrazione deve
valutare il rapporto costi/benefici- essa, nelle intenzioni del legislatore, deve costituire la precisa
traduzione in documenti tecnici, progettuali ed illustrativi della valutazione concreta ed attendibile
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di tutti gli aspetti sopra detti. Pertanto, se è vero che l’identificazione concreta degli elementi di
fattibilità dell’opera è frutto di una valutazione di discrezionalità amministrativa e tecnica del
progettista, rimane certo che l’omessa valutazione del rischio archeologico (per la mancata
trasmissione del progetto preliminare alla Sovrintendenza) fa venir meno anche un elemento
determinante ai fini della decisione sulla concreta fattibilità dell’opera.
9. Né la Procura né le difese dei convenuti si soffermano in modo particolare sulla contestazione
dell’esistenza del danno, e ciò, presumibilmente, perché è del tutto intuitivo, alla luce dei fatti e
dell’esito finale dell’opera intrapresa con l’affidamento dell’appalto – come premesso al punto 4
della presente sentenza, l’opera è stata definitivamente rinunziata, essendosi l’amministrazione
determinata a realizzare altro parcheggio in altra area – che la liquidazione di lavori rimasti
inutilizzati costituisce danno erariale.
Piuttosto, le difese dei convenuti si sono soffermate sulla quantificazione del danno, chiedendo la
valorizzazione del costo di lavori di scavo e sostenendo che essi coprirebbero interamente i costi di
quelle che sarebbero state le indagini preliminari archeologiche se svolte nei tempi di legge (cioè
preventivamente alla consegna dei lavori), eccependo, sostanzialmente, l’integrale compensazione
del preteso danno con il relativo costo, che quantificano in una somma addirittura superiore a
quella che è stata liquidata all’impresa.
La stessa disciplina dell’esecuzione delle verifiche preliminari, e ragioni di logica applicate
all’analisi delle circostanze che si sono verificate nella fattispecie, impediscono di accedere a tale
tesi.
L’ampiezza e la tipologia dei lavori effettuati (e liquidati) non sono affatto paragonabili a quanto
avrebbe dovuto essere compiuto in sede di indagine preliminare.
La documentazione allegata al SAL evidenzia lavori di scavo esteso e di sbancamento, di
abbattimento di alberi di alto fusto (pioppi), e di demolizione di muratura, che, sommati ai lavori di
scavo ed ai costi dei mezzi di trasporto e del personale, ammontano ad euro 115.247,60 (poi
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liquidati in euro 126.772,36). Nell’esecuzione di indagini archeologiche il citato art. 96, comma 1,
impone invece un forte criterio di gradualità, sia per contenere i costi di tale fase, sia per evitare una
compromissione irreversibile, se non ad alto costo, del territorio nei casi in cui altri tipi di indagine,
meno invasiva, permettano di accertare la presenza di reperti che impediscano la realizzazione
dell’opera e non siano meritevoli di valorizzazione.
Per la predetta norma, “La procedura di verifica preventiva dell'interesse archeologico si articola in
due fasi costituenti livelli progressivi di approfondimento dell'indagine archeologica”, e nella
prima fase, finalizzata alle verifiche preliminari rispetto all’effettuazione di scavi-indagine, più
costosi ed invasivi, esse constano in “carotaggi, prospezioni geofisiche e geochimiche o saggi
archeologici tali da assicurare una sufficiente campionatura dell'area interessata dai lavori”.
Nella seconda fase, che l’art. 96, comma1, lett. b) prevede integrativa della progettazione definitiva
nell’eventualità che siano emersi elementi archeologicamente significativi all'esito della fase
precedente, è prevista “l’esecuzione di sondaggi e di scavi, anche in estensione”: il che dimostra
che, comunque, neanche in questa fase, e cioè neanche dopo il rinvenimento della prima traccia del
reperto, lo scavo in estensione è il mezzo che elettivamente deve essere utilizzato al fine di definire
l’importanza del rischio archeologico, potendo scavi di minor portata, carotaggi e sondaggi fornire
sufficienti elementi per valutare il rapporto costi/benefici dell’opera con riferimento a tutte le
componenti di interesse pubblico, sia relative alla fattibilità dell’opera che alla valorizzazione del
reperto.
In realtà, gli atti dimostrano che l’amministrazione, nonostante la prescrizione della Sovrintendenza
(01.10.2009) e nelle more dell’effettuazione delle prescritte indagini archeologiche, intendeva
comunque procedere alla realizzazione dell’opera come progettata, come mostra il fatto che proprio
a tal fine, sempre nell’ottobre del 2009 (delibera C.C. n.135 del 27.10.2009, adottata, quindi, subito
dopo detta nota della Sovrintendenza), aveva approvato una variante al PPE “Centro storico in
declivio e pianura –Area archeologica portuale”, nella quale prevedeva che “Per una porzione
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dell’area facente parte dell’area Montuno è consentita anche la realizzazione di parcheggi
entroterra, fermo restando la destinazione del suolo sovrastante a verde pubblico attrezzato” -
delibera richiamata, infatti, dalla difesa dei convenuti proprio al fine di confermare la legittimità del
progetto sotto l’aspetto di conformità alle previsioni urbanistiche. Conformemente si è orientato il
D.L., come emerge dalle numerose interruzioni e riprese dei lavori: per i lavori che erano rimasti
sospesi a seguito della citata nota della Sovrintendenza, il D.L. (verbale di ripresa dei lavori del
18.02.2010) ordina “…la ripresa a regola d’arte dei lavori in oggetto”, senza affatto limitare detti
lavori a più circoscritte operazioni di indagine archeologica, che erano state prescritte da detta nota.
Ma vi è di più.
Che detti lavori non siano stati elettivamente diretti a tale tipologia di indagini e scavi mirati è
dimostrato anche dal fatto che solo nell’aprile del 2010 il Comune conferisce incarico al Dr. Carlo
Innico per la “sorveglianza dello scavo stratigrafico e di rilievo archeologico di dettaglio” del
realizzando parcheggio (convenzione del 08.04.2010), attività che si è conclusa in soli giorni 10 di
lavoro (fattura di cui alla nota n.45116 del 10.08.2010); prima di essa, dunque, i lavori sono
proseguiti come antecedentemente, ed immediatamente dopo, e, finalmente, l’amministrazione dà
atto del ritrovamento del reperto (delibera C.C. del 24.05.2010). I lavori, che vengono nuovamente
sospesi il 05.06.2010 “a seguito del ritrovamento del reperto ed in attesa delle determinazioni della
Sovrintendenza”, vengono ripresi (verbale del D.L. del 07.02.2011) facendo riferimento alla
necessità di porre in essere le prescrizioni della Sovrintendenza di cui alla nota del 22.10.2010. E’
bene qui precisare che con la nota ultima citata la Sovrintendenza non aveva escluso la fattibilità
dell’opera ma aveva imposto: 1) l’effettuazione di ulteriori indagini nell’eventualità che
l’amministrazione intendesse proseguire nella realizzazione dell’opera, reputando accettabile la
prescrizione di un importante ridimensionamento dell’opera; 2) la tutela del ritrovamento e la sua
valorizzazione; 3) la rimodulazione dell’opera con notevole ridimensionamento, per cui la
Sovrintendenza reagisce all’ennesima ripresa dei lavori, non avendo concordato affatto alcuna
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modalità esecutiva di ulteriori indagini né con il D.L. né con il tecnico nominato dal Comune,
ordinando ancora al D.L. di disporre per la sospensione dei lavori stessi (nota della Sovrintendenza
n. 2000 del 16.02.2011, alla quale è seguito il verbale di sospensione dei lavori del D.L. in
medesima data); a tali lavori, effettuati dal 08.02.2011 al 15.02.2011, si riferisce la “lista n. 2 dei
mezzi d’opera” liquidata con il SAL . Detti lavori costituiscono gli ultimi effettuati, in quanto, sulla
base delle suindicate prescrizioni finali della Sovrintendenza (citata nota del 22.10.2010),
l’amministrazione ha infine proceduto ad una diversa valutazione dell’opportunità dell’opera,
proprio in rapporto ai suoi costi (delibera C.C. n.183 del 04.04.2011), ed al ripristino dello stato dei
luoghi quanto al reperto ritrovato (che è stato reinterrato: nota del D.L al MBBAACC n. 20605/U
del 19.04.2011).
Nel verbale del sopralluogo eseguito il 24.02.2011 dalla Dr.ssa Nicoletta Cassieri della
Sovrintendenza per verificare sia la consistenza dei resti rinvenuti, sia i lavori eseguiti dal 7 all’11
febbraio, si afferma che detti lavori erano consistiti in “opere di disboscamento e di movimento
terra”, e che erano stati finalizzati “alla preparazione dell’area per consentire l’esecuzione delle
ulteriori indagini di accertamento da parte di ditta specializzata in possesso di idonea certificazione
SOA OS25 qualora la rimozione dell’intero strato sabbioso evidenzi resti di natura archeologica,
nonché per la redazione di una variante al progetto iniziale per la realizzazione di un parcheggio di
dimensioni ridotte”, e che “il movimento terra ha riguardato la parte sommitale dell’altura non
scendendo in nessun punto al di sotto della quota della cresta dei muri raggiunta in precedenza..”.
Nessuna ulteriore indagine archeologica risulta effettuata successivamente, dall’ultima sospensione
sino al definitivo abbandono dell’opera (verbale di ripresa dei lavori del 27.04.2011, con il quale il
D.L. ordina lavori di ripristino dello stato dei luoghi).
Dunque, in conclusione, risulta agli atti che sono stati compiuti lavori, anche di scavo e
sbancamento (lista dei mezzi d’opera n.1, dal 10.05.2010 al 21.05.2010, e lista dei mezzi d’opera
n.2, dal 08.02.2011 al 15.02.2011), ma che essi non sono affatto sovrapponibili, né nell’estensione,
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né nelle modalità esecutive, a quelli che sarebbero stati necessari e sufficienti ad effettuare indagini
archeologiche ai sensi della normativa vigente (art.96 del citato D.lgs.).
Ritiene, più precisamente, il Collegio che possano essere riferibili a lavori di indagine archeologica
solo quelli eseguiti nei 10 giorni nei quali essi sono stati seguiti dall’incaricato Dr. Innico, e cioè i
lavori svolti nel mese di maggio del 2010, di cui alla lista n.1 dei mezzi d’opera allegata al SAL
(che indica lavori per circa 10 giorni, dal 10 al 21 di maggio), per un importo che può essere
valutato equitativamente in euro 50.000,00 (tra costi dei mezzi di trasporto sabbia ivi documentati
in euro 29.688,00, e costi diversi, non ricavabili esattamente dalla documentazione agli atti).
Non possono, invece, essere ricondotti a costi effettivi e necessari d’indagine archeologica
preliminare quelli di cui alla successiva lista n.2 allegata al SAL, eseguiti nel febbraio del 2011, in
quanto espressamente disconosciuti dalla Sovrintendenza (citata nota del 16.02.2011), non consistiti
in operazioni di indagine ma in generici lavori di “preparazione dell’area per consentire
l’esecuzione delle ulteriori indagini di accertamento da parte di ditta specializzata” (verbale della
Dr.ssa Cassieri sopra citato), e non esitati in ulteriori approfondimenti archeologici rispetto a quanto
già rinvenuto e documentato nella relazione del Dr. Innico (depositata al Comune il 10.08.2010,
prot. 45118/I). I relativi costi sono, anzi, la prova che l’interruzione di un’opera non correttamente
valutata nella fase della sua progettazione preliminare rimane un episodio che incide negativamente
sul patrimonio dell’amministrazione committente, che si trova ad affrontare costi di approntamento
di cantiere, costi di sospensione dei lavori, costi di ripristino dello stato dei luoghi, oltre ai costi
“indiretti” derivanti dalla perdita di utilità del finanziamento ottenuto (o di quella che sarebbe
derivata dal corretto utilizzo delle somme a disposizione).
Né è utile per la difesa (non ai fini dell’esclusione del nesso causale e non ai fini di un
ridimensionamento del danno) richiamare la variante che è stata successivamente approvata
dall’amministrazione comunale “senza rilievi” da parte della Regione, poiché detta variante insiste
su area del tutto diversa da quella interessata dal progetto preliminare qui in esame, ed anzi, anche a
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prescindere da ogni valutazione di legittimità, che non rileva nella presente sede, essa semmai
dimostra quanto la Procura afferma, e cioè che l’opera, così com’era stata progettata ed approvata,
non era cantierabile nel sito di cui all’originario progetto ed alle condizioni indicate dalla
Sovrintendenza nella nota del 22.10.2010, così com’è stato ritenuto dall’amministrazione nella
citata delibera C.C. n.183 del 04.04.2011.
Tantomeno, infine, può ritenersi incidente in alcun modo, sotto il profilo causale, la sopra rilevata
persistente volontà dell’amministrazione comunale, fortemente indirizzata all’effettuazione delle
opere come già previste, se non a costo di un’inaccettabile inversione dei termini della questione:
se l’amministrazione fosse stata sin dall’inizio, e cioè prima dell’approvazione del progetto
preliminare dell’opera, in grado di pronunziarsi sulla fattibilità tecnica e amministrativa alla luce
delle indicazioni che la Sovrintendenza ha esposto nella citata nota del 22.10.2009, tale volontà non
vi sarebbe stata (come non vi è stata una volta assunte le necessarie informazioni), e la decisione di
realizzare un parcheggio sarebbe stata presa con modalità o in siti diversi.
Pertanto, il danno conseguente all’illecito deve essere determinato in euro 76.772,00, somma che
costituisce la differenza tra quanto liquidato dall’amministrazione in esecuzione dei lavori di cui
trattasi, cioè euro 126.772,36, e la quota corrispondente a quanto, di detti lavori, può essere detratto
in accoglimento parziale dell’eccezione di compensazione (euro 50.000,00).
10. Venendo, infine, alla determinazione della quota di detto danno che è concretamente imputabile
a ciascuno dei convenuti per i quali é stata qui accertata la responsabilità a titolo di colpa grave,
rileva il Collegio che da detta somma va detratta la quota pari ad un terzo, contestata all’Ing. Fusco
a titolo di responsabilità parziaria pro quota, nei cui confronti la citazione è stata dichiarata
inammissibile, per cui il danno imputabile ai due convenuti è, complessivamente, di euro 51.181,00.
Di tale danno essi devono rispondere in parti eguali, e cioè per euro 25.590,00 ciascuno, perché, per
il ruolo da essi ricoperto nella predisposizione del progetto preliminare, che comporta responsabilità
di pari rilievo nella verifica della rispondenza del progetto preliminare alla legge, eguale ne risulta il
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rispettivo apporto alla causazione del fatto; oltre a tale somma, comprensiva della rivalutazione, essi
dovranno corrispondere gli interessi nella misura legale dalla presente decisione sino al soddisfo.
11. Quanto alle spese del giudizio, i convenuti dovranno rifondere le spese nella misura che è
liquidata in dispositivo, per la metà ciascuno.
Nulla è a disporre per l’Ing. Fusco, né quanto alle spese del giudizio, stante la soccombenza della
Procura, né quanto alla refusione delle spese legali, sia per l’assenza di procuratore costituito, sia
perché il convenuto in parola è stato assolto con sentenza di rito e senza un accertamento nel merito.
P . Q . M .
La Corte dei Conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, definitivamente pronunziandosi,
respinta l’eccezione di difetto di giurisdizione,
DICHIARA
inammissibile la citazione per Fusco Vincenzo. Nulla per le spese.
Respinte le eccezioni preliminari,
CONDANNA
Leone Alberto e Percoco Armando a rifondere al Comune di Terracina la somma di euro 25.590,00
ciascuno, oltre interessi legali dalla presente decisione sino al soddisfo. Condanna gli stessi al
pagamento degli oneri processuali che si liquidano in euro 715.74 (settecentoquindici/74)
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 08.07.2014.
Il Relatore Il Presidente
F.to Chiara Bersani F.to Ivan De Musso
Depositata in segreteria il 2 ottobre 2014
P.IL DIRIGENTE
IL RESPONSABILE DEL SETTORE
GIUDIZI DI RESPONSABILITA’
F.to Dott. Luigi De Maio