"sete - moonlight" di desy giuffrè

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"SETE - Moonlight" è il nuovo progetto in corso di Desy Giuffrè, autrice di paranormal romance YA; tra i più conosciuti "Io sono Heathcliff", "Lady Morgana" e "Never - Yvonne dei Lupi". Tradimento. Ossessione. Passione. Forza. Amicizia. Avventura. Mistero. Sarà questo il cocktail che unirà il sangue e il veleno dei personaggi del ciclo di Sete: - SETE - Moonlight. - SETE - The Return. - SETE - Death and Love Una storia indimenticabile per protagonisti indimenticabili.

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Page 2: "SETE - Moonlight" di Desy Giuffrè

Il mio grazie a voi, amati lettori, per l’entusiasmo e l’affetto con cui mi seguite: siete

l’anima della mia penna, come amo sempre dire!

Grazie al mio agente che, con tenacia e pazienza, ha deciso di credere in me

sostenendomi in questa meravigliosa avventura che è la scrittura e tutto ciò che

ruota attorno ad essa.

Infine, un grazie di cuore ai miei cari, agli amici e a chi sopporta gli imprevedibili

attacks of writing da cui spesso vengo colta in situazioni fuori dalla norma!

E, come sempre, grazie alla mia tenacia che nulla teme e tutto ha la forza di

affrontare.

Desy Giuffrè

Page 3: "SETE - Moonlight" di Desy Giuffrè

口渴

Vorrei presentarmi, ma non posso. Di solito, ci si presenta quando si ha

un nome, un’età, un luogo di appartenenza… una vita. Una storia da

raccontare. Ecco, io non ho nulla di tutto questo. Il mio volto ha

oltrepassato i ricordi del fiume di vite che ho vissuto, -se di vita si può

parlare- divenendo infine una sagoma dai contorni indefiniti, uno

sbiadito schizzo di emozioni.

Al contrario di me, però, il mio nome ha una sua storia da rivelare: un suo

percorso, un suo significato.

Ed è per questo che sono qui, desiderosa di poter dare un senso ad

ogni goccia di sangue che ho versato. Che ho bevuto. E con le quali ho

brindato alla mia eterna condanna.

Vi presento, dunque, Sete. Colei che cambiò il destino dei Senza

Sangue.

月光

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QUANDO LO RIVIDI

口渴

月光

Da ogni germoglio nasce un albero con molte fronde.

Ogni fortezza si erige con la posa della prima pietra.

Ogni viaggio inizia con un solo passo.

Lao Tzu

Il primo giorno di scuola dell’anno in cui lo rividi, un cielo terso e un’aria

afosa vestivano Firenze, la mia città.

Non mi sentivo affatto tranquilla. Sapevo che sarebbe accaduto

qualcosa, dopo tanto tempo di forzata e opprimente noia. Ma non

potevo immaginare quale sarebbe stato l’elemento base che avrebbe

letteralmente sconvolto la mia esistenza. Aimè, il dono della lettura del

futuro non ha mai fatto parte delle mie particolari doti… eppure, una

frizzante e inebriante onda energetica investiva la mia spina dorsale

come mai prima d’allora.

Da rituale, spazzolai lentamente i miei lunghi capelli lisci e corvini davanti

al piccolo specchio dalla cornice ovale, posto sopra la mia scrivania

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colma di cianfrusaglie. Decisi di legarmeli in delle basse code che

scivolavano morbidamente lungo le mie spalle lasciate un po’ scoperte

da una maglietta color lavanda. Jeans bianchi, non a vita bassa: non ho

mai amato seguire con molta cura la moda. Però, sono sempre andata

matta per le zeppe vertiginosamente alte, così ne indossai un paio dalle

rifiniture turchesi. Ricordo perfettamente, come se fosse oggi, che mi

guardai con più attenzione del solito allo specchio, prima di uscire dalla

mia camera. Il mio volto, per assurdo, appariva più diafano e pallido del

solito: gli occhi a mandorla erano orlati da peste ombre violacee,

sebbene cercassi di mascherare i vivi segni della mia oscura natura

attraverso fondotinta tanto costosi da far girare la testa.

Tutto sommato, sembravo carina. Non ho mai prestato particolare

attenzione al mio aspetto fisico, ma ho sempre saputo, in fondo, di non

essere poi così male. Almeno, non quando il buonumore sembrava

bussare alle mie giornate. Il che capitava piuttosto di rado da parecchio

tempo.

Scesi in un lampo le malconce scale che collegavano la piccola soffitta -

adibita a mo di rifugio dal mondo esterno- al resto del modesto

appartamento al quarto piano che io e mia madre occupavamo già da

quattro anni.

Amanda, mia madre appunto, amava l’arte dei traslochi: fare e disfare

bagagli, imballare e svuotare scatoloni, dipingere le pareti delle camere,

organizzare tutto l’armamentario che ci portavamo dietro adeguandolo

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alle esigenze della nuova abitazione. Ha sempre trovato interessante e

soddisfacente tutto quel che io, invece, considero privo di utilità e a dir

poco noioso. Oltre che snervante, vista la mia precaria mania

dell’ordine.

Era inevitabile che, ad ogni trasloco, perdessi sempre qualcosa a cui

tenevo. Ma oramai vi ero abituata, quindi non ne feci un dramma quando

scoprii di aver perduto la mia collezione di conchiglie. Collezionare

qualcosa è uno dei passatempi migliori per chi ha l’eternità innanzi a sé:

sai che alla tua ricerca non ci sarà mai fine e speri di aggiungere ai tuoi

gingilli un esemplare raro ogni qualvolta ne hai l’occasione.

Pazienza. Decisi di ricominciare la mia collezione appena terminato

anche quell’ultimo anno scolastico, e ci fossimo trasferite nella prossima

città. Era stato deciso per Londra, e ne ero veramente felice, perché ci

avrebbe dato la possibilità di rivedere Iriza e il suo clan di sette scatenati

vampiri rompiscatole, tanto simpatici quanto pericolosi.

«Julia?».

Era davvero singolare il fatto che Amanda riuscisse a chiamarmi con

tanta facilità utilizzando i diversi nomi di cui dovevo appropriarmi nel

corso del tempo e durante le varie identità assunte.

«Mamma, eccomi. Sei stata fuori stanotte... Di solito avvisi prima di

uscire».

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«Prendo esempio da te. Di solito non avvisi mai quando decidi di

trascorrere la notte fuori casa».

Ricordo che, a questa sua affermazione, susseguirono alcuni minuti di

profondo e imbarazzante silenzio. Cos’avrei dovuto risponderle? Forse

la verità.

Sì, credo che quello sarebbe stato il momento migliore per spiegarle che

la notte sono sempre riuscita a sentirmi... bene. A mio agio. In totale

sintonia con tutto ciò che mi circonda. E, solo allora, libera dai lacci

della mia condanna. Le ombre mi sono da sempre amiche, le tenebre…

sorelle.

Sì, avrei dovuto dirle almeno questo. Eppure non lo feci.

«Ti senti pronta per il grande giorno?».

«Di cosa parli? Del primo giorno di scuola?».

Mi guardava con espressione incredula, spalancando i grandi occhi di

un caldo nocciola.

«Del primo giorno dell’ultimo anno, ovviamente. Non ti dispiacerà

lasciare i tuoi compagni? Mi sembra d’aver capito che ti sia legata

particolarmente ai giovani incontrati in questa città. O sbaglio?».

Come sempre, si sbagliava. È bene evidenziare la particolare capacità

di mia madre nel non aver capito mai nulla dei miei problemi, dei miei

disagi, e tantomeno della profonda afflizione che il terrificante passato,

di cui eravamo entrambe state protagoniste, ha causato alla mia misera

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esistenza. L’indicibile dolore che mi ha accompagnata per secoli,

logorando i miei giorni fino a divenire parte di me stessa, sembra esserle

passato inosservato. In tal modo, è riuscita a risparmiarsi la pena di

dover vedere la propria figlia totalmente distrutta da una sofferenza più

grande del possibile, e a far finta che nulla fosse mai accaduto.

Spesso ammetto di averla profondamente invidiata per il suo modo di

reagire ai terribili eventi che hanno sconvolto la nostra esistenza, a tal

punto da renderci schiave del tempo e dei ricordi.

«Semplicemente… non credo che loro sentiranno molto la mia mancanza.

Mi meraviglia la tua domanda, sai bene che non amo legare con

nessuno».

Al contrario di lei, ovviamente. Sarà stato uno dei miei innumerevoli

difetti, ma preferivo non dover dire addio a nessuno ogni qualvolta

lasciavamo una città, e poi … non ho mai amato i saluti. Così, in realtà,

godevo al solo pensiero di starmene cupa e silenziosa per i fatti miei,

libera di poter osservare indisturbata tutto quel che mi circondava e di

poterlo analizzare sotto ogni punto di vista.

«Vado. Preferisco fare due passi, prima che inizino le lezioni».

«Ma non sono neanche le sette!».

Non le permisi di terminare la frase chiudendo la porta alle mie spalle. In

fondo, però, dovetti ammettere a me stessa che qualcosa mi sarebbe

mancato. E molto.

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La città. Firenze è a dir poco…

Magica, con le luci notturne dei lampioni che si riflettono sull’asfalto

antico e profumato di vita, dei sogni e delle speranze, dei pianti e del

dolore di tutti coloro che hanno posto il loro passo su esso.

Misteriosa, con le sue mura che racchiudono le opere dei geni di questa

terra, rendendola madre dell’Arte e donna assetata di visitatori.

Segreta, coi suoi vicoli stretti e bui che nascondono innamorati, ladri,

assassini e gattini indifesi. Con i pagliacci che girano per le strade

cercando di donare un sorriso ai passanti, mentre dietro il gessoso

biancore delle loro maschere cercano di celare una lacrima che scende

silenziosa.

Incantevole, con i colori caldi e fantasiosi di un cielo fuso nel morbido

sciabordio delle acque, attraverso la visuale che un ponte può regalare.

Mia. Sì, sin dal primo istante in cui io e mia madre giungemmo in questa

città, ebbi una specie di premonizione. Il mio freddo e immobile cuore ha

sentito che qualcosa, o qualcuno, tra quelle mura antiche e splendide,

avrebbe cambiato la nostra vita.

E giunsi con questa aspettativa e convinzione, fino a quel giorno. Fino

al primo giorno di scuola del mio ultimo anno di liceo da trascorrere in

Italia.

Più mi avvicinavo all’istituto assaltato da una mandria di selvaggi

adolescenti in jeans con tanto di lacca e gel sui capelli, più la gola mi si

Page 10: "SETE - Moonlight" di Desy Giuffrè

serrava in una morsa difficile da spiegare. Era come se sentissi di stare

per incontrare il peggior nemico da dover affrontare e, al contempo,

fremessi dal desiderio di ritrovarmi faccia a faccia con lui.

Non avevo affatto capito di dovermela vedere con i fantasmi del

passato.

Giunsi di fronte la porta bianca con su appeso il cartellino della mia

sezione: III A. Tirai un profondo sospiro e decisi, infine, di varcare la

soglia del mio prossimo inferno. Già le vacanze estive mi mancavano

terribilmente.

Ma la condanna degli emarginati, degli esclusi dai branchi compatti di

ragazzi sempre uguali, oserei dire prestampati -a causa del loro modo di

pensare e atteggiarsi-, può divenire un vero e proprio paradiso per chi,

come me, ama osservare il mondo dall’esterno, decidendo di mantenere

la propria stabilità mentale ben salda in testa, anziché riempire

quest’ultima di farfalle e grilli vuoti. Nel mio caso, comunque, il fatto di

non essere mai stata apprezzata dai miei coetanei, si è rivelato un punto

notevole a mio vantaggio: più è alto il mio tasso di solitudine, minori sono

le possibilità che qualcuno rimanga vittima della mia sete.

E devo inoltre ammettere che tale distacco nei miei confronti sia sempre

stato fortemente causato dal mio bizzarro e lunatico comportamento:

difficilmente piacciono le ragazze sulle cui labbra non compare mai un

sorriso, i cui voti sono sempre i più alti di tutto l’istituto e dalla quale

l’aggettivo “logorroica” è in assoluto il più lontano d’attribuire.

Page 11: "SETE - Moonlight" di Desy Giuffrè

Se mi si chiedesse però una minuscola motivazione per cui debba

ringraziare la mia eternità, risponderei immediatamente e senza esitare:

l’aver potuto vedere, nel corso dei secoli, la difficile e pericolosa ascesa

della donna nel mondo.

Ricordo che, già seduta dietro il banco centrale dell’ultima fila, quella

mattina ripensai alla grandiosità dell’Impero Cinese, la mia terra

d’origine, sotto il regno dell’Imperatrice Wu. Si era nel settimo secolo

dopo Cristo, periodo in cui ero ancora una semplice e splendida umana.

La sua determinata forza nel volersi ribellare alle terribili leggi con cui

Confucio aveva deciso di schiacciare la donna sotto un dominio che le

rinnegava l’alfabetizzazione, la libertà di parola, e la rendeva oggetto di

schiavitù nei confronti dell’uomo, della famiglia, degli anziani, della sua

stessa vita… mi rendeva orgogliosa di essere una donna cinese.

Il suo volersi porre al pari di un uomo, in una società dove il titolo e le

prerogative dell’Imperatore erano unicamente concesse alla figura

maschile, dipinse la sua immagine delle forme più crudeli e mostruose.

Ma… come non pensare, ad oggi, che il suo sia più che altro stato un

rabbioso tentativo di affermazione del moderno femminismo,

atteggiamento tipico di chi è stato sottoposto a secoli di sottomissione?

Page 12: "SETE - Moonlight" di Desy Giuffrè

Nella lunga attesa che le cose mutassero, ho avuto l’immenso piacere di

poter assistere in prima persona, tappa dopo tappa, a questo radicale

cambiamento.

Bé, se non fossi stata un vampiro, non avrei mai potuto assaporare

questa piccola, grande vittoria.

I miei pensieri però, vennero interrotti bruscamente dall’arrivo dei miei

compagni di classe. Otto ragazze -me esclusa- e otto ragazzi, dei quali

ho potuto assistere alla crescita e allo sviluppo sia mentale che fisico,

nei cinque anni di liceo che mi hanno legata a loro… in un modo o

nell’altro.

Ed eccoli, mentre camminavano allegramente, quasi saltellando con i

loro zaini mezzi vuoti in spalla, entrare con aria baldanzosa e

sghignazzando come anatre in uno stagno.

La mia carnagione giallastra, seppur quasi oramai del tutto sbiadita nel

pallore lunare tipico della natura da bevitori di sangue, continuava a

contraddistinguersi tra il roseo colorito degli occidentali, facendomi

apparire stonante come un fiore di papavero in un campo di grano.

Francesca -una stangona dalla pelle color cioccolato grazie alle ultime

vacanze estive appena trascorse, capelli ramati, mossi e lunghi fino ai

gomiti, e un paio d’occhi verdi nascosti da una montatura glamour di

occhiali da sole- mi osservava con aria superiore e una nota di

compassione che m’infastidiva terribilmente. Quanto avrei voluto poter

Page 13: "SETE - Moonlight" di Desy Giuffrè

affondare i miei denti forti e affilati nella tenera carne del suo esile e

gracile collo da umana.

E così, simili alla sua espressione, ricordo quella di Daniela, Giorgia,

Eleonora, Paolo, Stefano e Roberto: membri di una giovane tribù di

balordi pronti a gettare nel cupo pozzo della disperazione il primo,

fragile elemento che avrebbe incrociato il loro cammino.

Mentre tutti prendevano velocemente e con molta confusione i loro

posti, estraevo dal mio zaino il clarinetto da utilizzare durante il breve

spettacolo che si sarebbe tenuto prima della pausa pranzo, come buon

augurio d’inizio anno scolastico. Non sono mai stata una cima di bravura

in Musica, nonostante me la cavassi egregiamente persino in questa

materia che poco amavo praticare. Pregai dunque il drago Qiuniu,

affinché l’esecuzione da svolgere non risultasse per me un fiasco.

Fu in quell’istante che i miei occhi incontrarono i suoi. Ancora una volta.

Dopo secoli di straziante sofferenza vissuti nel suo ricordo.

Era accompagnato dal nostro insegnante di Letteratura, il quale

gl’indicò l’ultimo banco libero rimasto -quello alla mia destra- , prima di

passare alle presentazioni.

Io, con gli occhi sbarrati e il veleno in ebollizione per il violento stato

febbrile in cui mi ero improvvisamente trovata, continuavo a fissarlo come

se stessi vedendo per la prima volta un qualcosa di arcano e celestiale.

Page 14: "SETE - Moonlight" di Desy Giuffrè

Sara, la ragazza che occupava il banco alla sinistra, si accorse del mio

strano cambiamento e, seppur raramente in passato avesse tentato di

scambiare qualche parola con la sottoscritta, quel giorno non riuscì a

trattenere la domanda che mi fece dopo qualche istante:

«Julia, ti senti bene? Sembra che tu abbia appena visto un fantasma.

Hai una cera…»

Non le risposi. Almeno, non subito. La mia mente non riusciva ad essere

del tutto collegata alla realtà presente, catapultata com’ero in un

passato così remoto e dimenticato nel tempo, eppure sempre vivo e

pulsante nella memoria che non mi ha mai abbandonata.

Rapita dall’onda dei ricordi della mia prima vita, infatti, rividi me stessa

attraverso gli occhi della mente: indossavo il mio cheongsam bianco e

correvo disperatamente verso il corpo esanime di Ruben, trafitto dalla

lama impugnata da mio padre.

Vidi il suo sangue diramarsi sul leggero tessuto del mio abito di seta, i

suoi occhi blu fondersi nei miei, i riccioli biondi schiacciati dal sudore

sulla marmorea fronte e, infine, le sue labbra pronunciare il mio

maledetto nome…

«Sete…perdonami. Non avrei voluto lasciarti. Scappa...và via da

quest’inferno!».

Ricordai persino di non aver gridato.

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Il mio dolore rimase lì, saldato in una morsa di ghiaccio, paralizzato come

il mio cuore immobile di freddo vampiro.

No, non gridai. Restai per pochi istanti inerme, ferma ad ascoltare il suo

flebile e soffocato respiro e gli ultimi battiti frenetici del suo cuore.

Ma non era ancora finita. D’un tratto lo sollevai tra le braccia, mi

guardai attorno con sguardo folle, perduto nell’oblio della disperazione,

e corsi via, dileguandomi nell’oscurità della notte.

«Ragazzi, quest’anno avrete un nuovo compagno di studi. Il suo nome è

Anthony Laurence e le sue origini sono americane. Vive in Italia da

qualche anno…» Seguì una pausa forse più lunga del dovuto.

«Abbastanza perché parli la nostra lingua meglio di tutti voi».

Il prof. Tommasi rise di gusto della sua battuta, non notando lo scarso

risultato ottenuto sui suoi alunni, i quali si divisero in due nette fazioni: le

ragazze osservavano Anthony con occhi languidi e sorrisini

ammiccanti… I ragazzi, invece, con sguardi torvi e nasi arricciati,

visibilmente infastiditi dal nuovo oggetto di attenzione generale.

«Spero avrò modo di memorizzare oggi stesso i vostri nomi, ragazzi! Mi

piacerebbe imparare presto a conoscervi».

In risposta all’intervento di Anthony si alzarono delle sciocche risate

derisorie. Erano quegli idioti di Stefano e Giacomo: i peggiori in fatto

di benvenuto ai nuovi arrivati.

Page 16: "SETE - Moonlight" di Desy Giuffrè

«Tutto bene, davvero. Stamattina non ho fatto colazione, sarà stato un

semplice capogiro».

Sara mi osservò con stupore misto ad incertezza.

«Meglio tardi che mai. Temevo fossi svenuta. Lo conosci?». Sorrise,

indicandomi il ragazzo ancora accanto alla cattedra.

Per la seconda volta, non riuscii a risponderle subito. Ma cercai

d’accelerare i tempi: «No...non credo. L’avevo scambiato per un altro».

«Me n’ero accorta, non preoccuparti. Ne vedremo delle belle!». Cercò

di soffocare la genuina risata che le premeva in gola.

«In che senso?». Le domandai intontita.

«Ma non vedi?! Sono tutte pronte all’assalto. Soprattutto Francesca:

se lo mangia con gli occhi».

Non diedi peso alle constatazioni, per quanto fossero giuste, di Sara. I

miei occhi restavano inchiodati al ragazzo alto, i cui riccioli biondi

scendevano morbidamente sulla fronte dalla carnagione lievemente

abbronzata; i suoi occhi blu brillavano di una luce calda e sincera, le

labbra non troppo carnose e dalla linea seducente sorridevano, dando

l’impressione d’ignorare del tutto lo scherno che i suoi nuovi compagni

gli stavano riservando.

«Puoi prendere il tuo posto, Anthony. Iniziate a munirvi di carta e

penna, ragazzi: ho già una bozza del calendario delle lezioni da dettarvi».

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Si alzò un lieve mormorio tra tutti i presenti; il ragazzo di nome Anthony,

la cui rassomiglianza con Ruben mi fece credere sul serio si trattasse di

un fantasma, avanzò a passo veloce verso il posto indicatogli da

Tommasi.

Per un attimo incrociò i miei occhi. Sorrise facendomi l’occhiolino,

lasciando intravedere i denti bianchi e diritti.

«Ruben…»

Pronunciai in un sussurro. E lui, come se colto improvvisamente da una

violenta scossa, mi osservò di nuovo; stavolta socchiudendo gli occhi in

una sottile fessura indagatrice.

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I estratto dal capitolo

OCCHI NEGLI OCCHI

I fiori non parlano, ma profumano. Il silenzio è d’oro.

Detto Orientale

Sapevo che durante le fresche ore notturne a seguire sarei

stata libera di vivere come il mio istinto mi suggeriva di fare, come

l’inconscio desiderio richiedeva ogni istante di poter essere

esaudito.

Bastava solo andare a caccia di guai.

Cercare, nei profondi silenzi delle tenebre, tutte le più svariate

brutture che le strade possono regalare. Da sempre -o quasi-

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avevo deciso di dissetarmi così, andando alla ricerca di assassini,

criminali, farabutti il cui sangue potesse placare la mia sete

perenne e incostante.

Era stata una scelta a dir poco geniale, visto e considerato che

non è affatto difficile riuscire a scovare simili individui,

soprattutto nel cuore della notte. Certo, era necessario

avventurarsi nei luoghi meno raccomandabili per una ragazza, ma

non credo sia necessario sottolineare il fatto che, in quanto alla

sottoscritta… esisteva un’evidente eccezione alla regola.

Camminando lungo Borgo San Jacopo, giunsi all’inizio del

Ponte Santa Trinita. Silenzioso, affascinante, carico dei

profumi delle acque che al freddo della notte emergono,

entrando nelle profondità del cuore di chi li ascolta. Di chi li

sente. Proprio come me.

Mi sporsi leggermente, cercando di penetrare con la mia vista

acuta le acque illuminate dal perlato spicchio di luna. Riempii i

polmoni dell’aria fresca che la notte regala generosamente,

quando… all’improvviso, un lontano grido accese i miei sensi

dando vita alla nera fiamma che mi bruciava la gola.

Page 20: "SETE - Moonlight" di Desy Giuffrè

La mia corsa lieve e impercettibile, simile a quella dei pulviscoli di

polvere trasportati dal vento nel bel mezzo di una tempesta,

riuscì a guidarmi verso l’esatto luogo in cui sentivo battere

violentemente la percezione che stesse per avvenire qualcosa di

terribile.

Mi ritrovai all’inizio di un vicolo stretto, buio e impregnato da un

forte odore di umidità che avrebbe in breve tempo fatto marcire i

polmoni di un essere umano. Il respiro di una donna ansimante di

terrore echeggiava tra le tetre mura rigonfie, mentre il sogghigno

maleodorante di un uomo che le stava col fiato sul collo, rendeva

la scena simile a quelle più acclamate dei film horror.

Oltrepassando la coltre scura della notte, vidi la giovane

ragazza vestita in una maniera tanto poco consona da farmi

immediatamente intuire il suo mestiere.

I lunghi capelli color dell’oro, morbidamente scivolati via dall’alta

coda disordinata in cui erano stati legati, incorniciavano il volto

dalla pelle ambrata. Gli occhi verdi brillavano, colmi di terrore e

ubriachi di una vita insalubre e tormentosa.

La smilza gonna argentata, aderente al fondoschiena, venne

letteralmente lacerata dai modi grezzi e violenti dell’uomo dalla

Page 21: "SETE - Moonlight" di Desy Giuffrè

corporatura massiccia che sovrastava, in tutta la sua volgarità, la

lucciola inutilmente intenta a svincolare la sua presa strisciando

sul freddo e umido selciato. Lo sguardo di lui, famelico e

assetato di orrore, lasciava nitidamente intravedere l’animo

raccapricciante che lo accompagnava.

Finchè il rimbombo di morte che scuoteva il suo cuore arido,

eppure mosso da un pompare inferocito e scoordinato, accese

la mia sete. La stessa che lo portò alla fine dei suoi giorni. La

stessa che, ancora oggi, potrei quasi sentire pulsare nelle mie

vene come una segreta innamorata.

Era giunto il mio momento. Mossi alcuni passi che risuonarono

nel silenzio della stradina, facendo trasalire entrambi i

personaggi dell’opera che, a breve, mi avrebbe eletta indiscussa

protagonista.

Il mio sorriso fece risplendere i denti di un bagliore diabolico,

capace esso stesso d’immobilizzare l’aggressore, il cui volto

adesso era divenuto una maschera di rabbia e incredulità.

Ma non appena riuscì a distinguere la mia immagine, il suo

ghigno divenne una risata aspra e gracchiante. Sputò verso la

Page 22: "SETE - Moonlight" di Desy Giuffrè

donna ancora immobilizzata a terra, prima di gridarmi: «Sei in

cerca di guai, bellezza? Perché non ti unisci a noi?».

Riuscii a sentire il puzzo del suo alito impregnato di alcool e

droga invadere l’aria profumata della notte. Il calore e l’aroma

forte del suo sangue eccitato giunse finalmente fin dentro la mia

gola.

«No, bastardo. Chi si è cacciato in un grosso guaio sei solo

tu».

Quello smorzò per un attimo il ghigno famelico, prima di far

riecheggiare con ancora più forza la sonora risata sotto lo

sguardo frastornato della ragazza che spostava i suoi occhi da

me al suo assalitore.

Fu un istante. Tutto ebbe la durata di un sospiro. Annullai la

distanza che mi separava dalla preda, il mio volto era ad un

centimetro dal suo.

«Riesci a sentire il battito del tuo cuore? Bene: ascoltalo

attentamente. Saranno gli ultimi rumori che ti accompagneranno

all’inferno».

Sussurrando così al suo orecchio, arrestai l’inutile tentativo di

colpirmi con il braccio massiccio e ricoperto da un folto strato di

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peluria bruna, affondando i mie denti nella grossa arteria

pulsante del suo collo tozzo e bagnato da alcune gocce di

sudore.

Le smorzate convulsioni di ciò che era divenuto il mio pasto, mi

spinsero ad incastrare meglio il morso per permettere al sangue

della vittima di sgorgare più facilmente dentro la mia bocca. La

consistenza fluida e calda che scivolava a fiotti e percorreva gli

abissi delle mie velenose zanne, donò pace ai miei arti

febbricitanti e riuscì a placare i segreti tormenti del mio freddo

involucro dalla parvenza umana.

Il suo grido uscì soffocato. Già riuscivo a distinguere il cupo

bagliore della morte nei suoi occhi incendiati di dolore. Quando

sentii le forze della mia preda venir meno, feci scorrere lo

sguardo sulla donna sconvolta, rannicchiata nel punto più buio

della stradina in cui ci trovavamo, che mi fissava con gli occhi

sbarrati dal terrore.

«Và via. Scappa, se non vuoi fare la sua stessa fine».

E lei obbedì all’istante. La mia voce dal tono appagato si

espanse nel silenzio della notte, simile alle note di un’arpa. Non

le avrei mai fatto del male. Ma non potevo permettere che mi

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vedesse bene in viso. E poi… In me non sarebbe mai riuscita a

distinguere l’eroina che l’aveva salvata da una terribile violenza…

Oh, no di certo! Avrebbe sempre e comunque visto il mostro

assetato di sangue che si aggira nelle tenebre per porre fine ai

suoi tormenti. Avrebbe ricordato il volto di una leggenda

divenuta realtà nella sua piccola grande avventura.

Il mio salvare alcune vite umane ha ininterrottamente e

inevitabilmente comportato la perdita di altre. Questa era la mia

legge. E tale sarebbe rimasta.

Bevvi per circa un’ora. Una buona parte della carcassa inerme

tra le mie braccia era ormai stata svuotata. La mia gola non

premeva più come prima e sentivo il fisico nuovamente rinvigorito

dalle forze che erano venute a mancarmi.

Secoli di allenamento e forzata abitudine avevano fatto sì che il

mio stile di caccia divenisse quasi impeccabile; ricordo di aver

sorriso a me stessa in quel preciso istante, mentre notai con

soddisfazione di essere rimasta icredibilmente pulita negli abiti,

sui quali non era caduta neanche una goccia di sangue. Per non

parlare dei fori al collo della vittima accasciata al suolo: quasi del

tutto invisibili. A breve sarebbero sembrati dei morsi d’insetto.

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Improvvisamente, però, accadde qualcosa: per un istante, il volto

dell’uomo che avevo da poco ucciso assunse le sembianze di

Anthony. Del mio nuovo compagno di classe.

I suoi occhi spalancati e velati dall’ombra del sonno eterno, i

riccioli biondi sparsi sul freddo e scuro lastricato…

Rividi Ruben, scosso dalle convulsioni provocate dalla ferita

mortale infertagli, mentre lasciava che, per l’ultima volta, i suoi

occhi si perdessero nei miei.

Capii subito perché l’immagine di Anthony, il gemello

proveniente dal futuro, aveva appena invaso la mia mente:

pensai a lui perché desideravo già il suo sangue.

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II estratto dal capitolo

NOZZE NEGATE

Non c’è altezza che non abbia al di sopra di sé qualcosa di più alto.

Proverbio cinese

Il largo sorriso che illuminò il suo volto riuscì ad infondermi un po’

di buonumore.

Si diresse euforico verso il posto che prima occupava,

mostrandomi il volume che stava esaminando. Non appena capii

l’argomento di cui trattava, lo guardai incredula inarcando -come

sono solita fare- il sopracciglio destro:

«E questo… cosa sarebbe? Devi fare una ricerca sulle antiche

tradizioni cinesi?».

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Arricciò il naso. «Non proprio. Più che altro, volevo scoprire

quali fossero le vostre usanze riguardo il corteggiamento… o

qualcosa del genere. Sapevo esistesse un autentico protocollo

per simili circostanze, ma ne disconoscevo le pratiche. E, se

proprio devo dirlo… alcune cose sono parecchio bizzarre!».

Iniziò a ridere di gusto, tenendosi la pancia con entrambe le mani

e sporgendosi all’indietro con la seggiola sulla quale sedeva.

Si fermò solo dopo aver incrociato i miei occhi carichi di

rimprovero verso il suo infantile comportamento.

«Vorrei sapere cosa ci sia di così ridicolo da farti sbellicare dalle

risate. Fammi un po’ vedere».

Gli tolsi il libro da sotto il naso e iniziai a sfogliarne le pagine

ingiallite. Mi ritrovai di fronte ad un vero e proprio elenco di

antiche usanze cinesi utili al pretendente per chiedere la mano

della fanciulla desiderata alla famiglia d’appartenenza.

Conoscevo benissimo quelle regole assurde.

«A cosa ti serviva sapere tutto questo? Non dirmi che... No.

Non puoi arrivare a tanto».

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L’improvvisa compostezza del suo volto m’indusse a credere di

non essermi sbagliata. I suoi occhi cercavano di attraversare i

miei.

«Invece sì. Visto che non permetti a nessuno di avvicinarti, ho

pensato che il motivo potesse essere un probabile legame ad

alcune tradizioni del tuo Paese, e che avresti gradito se

qualcuno le avesse praticate per te».

Questo era davvero il colmo. Non riuscivo a credere alla serietà

delle sue parole.

«Anthony: non potresti essere su una scia più sbagliata di

questa».

L’allegria svanì del tutto dal suo viso. Corrugò la fronte in

un’espressione contrariata, manifestando lo scontento per il

tempo perduto inutilmente alla ricerca di qualcosa che non

l’aveva aiutato affatto, facendo invece vacillare i piani da lui

stesso stabiliti.

Fu proprio quella particolare espressione dipinta sul suo volto

che rievocò, ancora una volta nella mia mente, alcuni stralci di

ricordi seppelliti oramai da tempo.

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I miei occhi, come i miei pensieri, viaggiarono annaspando in

scene confuse, alcune cariche di una gioia segreta e

incontaminata, altre di profondo dolore, fino a giungere alla

maledetta sera in cui ogni mio intimo sogno d’impossibile felicità

progettata accanto allo straniero umano, venne infranto. Ogni

speranza distrutta da un solo gesto, da un minuscolo e fatale :

no.

Ruben continuava a ripetermi di non temere nulla e che presto

avrei riso di tutti i miei infondati e sciocchi timori. Ma io sapevo…

sapevo quanto potessero rivelarsi spietate le regole che

vigevano sulla mia stirpe, sulla mia vita. Ciononostante, volli

ascoltare la serenità e la profonda sicurezza che le parole di

Ruben riuscivano a infondermi…

«Sete, conosco bene le vostre usanze e l’importanza di questo

incontro. Io non ho alcun dubbio: voglio te. Non importa come ti

avrò, ma sono disposto a tentare qualsiasi via per realizzare ciò

che più d’ogni cosa desideriamo, e questa mi sembra sia la prima

da dover seguire. Perché violare le leggi? Non voglio ti debba

sentire una traditrice nei confronti della tua gente».

La sincerità dei suoi occhi affliggeva le mie tempie. Quando

conobbi Ruben, la trasformazione che mi vide divenire il vampiro

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quale ora sono, non era ancora del tutto completa, eccetto il

tormento della sete che ustionava le mie giornate -primo sintomo

che aveva dato il via alla metamorfosi del mio organismo-.

Le sue promesse avevano funto da nefasto inganno per quello

che in realtà avrei già dovuto sapere e che invece ignorai,

gettando Ruben in pasto ai leoni. Tra le fauci di Chuang, mio

padre.

Ricordo ancora l’atmosfera della nostra dimora, delle varie

camere di forma rettangolare così assolutamente conformi ai

principi di equilibrio e simmetria che l’architettura cinese richiede

in ogni edificio: il legno era da sovrano, simbolo di vita e forza;

l’aria era impregnata dell’intenso profumo d’incenso acceso in

tutte le stanze, le quali mostravano in ogni angolo vari oggetti

rappresentanti i valori etici e sociali della nostra cultura.

E ricordo… lo Shen-I marrone indossato da mio padre, così

stonante con il gessoso pallore del suo volto, lì dove era

stampata una vuota espressione di annoiata attesa, mentre

aspettavamo l’arrivo del nostro ospite.

«Sete, non voglio chiederti il motivo per cui hai preteso con

tanta enfasi il permesso di far mettere piede qui dentro a un

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misero umano. Un umano non appartenente al nostro popolo!

Voglio prima ascoltare ciò che avrà da dirmi. Deciderò poi se

renderlo il mio prossimo pasto, o non avere così tanta pietà e

riservargli una morte più dolorosa».

Le sue parole fecero tremare le mie fredde carni. Continuavo a

ripetermi di non dover dare molto peso alle sue minacce, nella

vana speranza che l’intimo affetto di un padre per una figlia

superasse ogni nero istinto della propria natura, Intanto,

pregavo gli déi affinché Ruben decidesse infine di non venire.

Preghiere che non vennero ascoltate.

Xi Shi -colei che nella generazione attuale preferisce farsi

chiamare Amanda, ovvero mia madre- fece accomodare lo

straniero al tavolo.

I nostri occhi s’incontrarono per una frazione di secondi durante

i quali riuscii a sentire il pulsare frenetico del suo cuore, parallelo

a quello delle mie vene. Era maestosamente e irragionevolmente

bello, vestito della sua armatura da soldato e del coraggio di cui

solo gli innamorati possono vantarsi.

Ruben s’inchinò in segno di rispetto. Le mascelle erano tese, ma

non vi era una goccia di sudore che lasciasse trasparire la sua

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paura. Chuang lo fissava attraverso gli stretti occhi a mandorla

ricolmi d’odio e illuminati da una fluorescente fiamma rossa,

sintomo d’alto grado di sete.

Non vi furono parole durante questo terribile e indimenticabile

incontro. Solo muti gesti, sguardi di variabile identificazione e

una sconsiderata avventatezza.

Dietro silenzioso invito di Ruben, acconsentii con un lieve

cenno del capo alla sua richiesta e andai a prendere il tè da

servire.

Sapevo che nessun membro della mia famiglia avrebbe potuto

ingerire la bevanda per ovvi motivi di diversa alimentazione…

Ma se solo mio padre avesse accettato il tè servito dalla

sottoscritta e dal mio pretendente, avrebbe confermato il suo

consenso al nostro futuro insieme.

Un lieve -e forse soltanto a me visibile- sorriso dipinse le labbra

del soldato che stava per chiedere la mia mano.

In trepidante attesa che mio padre battesse l’indice e il medio

sul tavolo, in segno di ringraziamento per la nostra offerta, io e

Ruben ce ne stavamo lì impalati come due mummie, paralizzati

nella nostra aspettativa.

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Poi…

Il suo rifiuto.

Sfidando con sguardo assassino il giovane che gli stava di

fronte, Chuang respinse l’infuso negando così il suo consenso

alla nostra unione in matrimonio. Ruben piantò un pugno sul

tavolo di faggio attorno al quale eravamo seduti, trattenendo un

grido di rabbia senza rivolgermi neanche uno sguardo.

E andò via.

Lasciando me in preda a una sorda impotenza e frustrazione…

«Julia? Stai bene?».

Fu la voce di Anthony a richiamare la mia mente dal navigare

nelle acque della memoria. Per i pochi attimi che seguirono rimasi

interdetta, chiusa nella mia immobilità emotiva.

«Sì, sto bene. È solo che... questi scritti mi hanno riportata

indietro nel tempo, quando mia madre usava raccontarmi alcune

storie collegate a queste... assurde e insensate usanze. Le ho

sempre trovate a dir poco ridicole. Patetiche».

«Devo ammettere che alcune sono davvero strane, ma hanno il

loro fascino. E puoi starne sicura: se avessi avuto la certezza

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che metterle in atto mi avrebbe aiutato ad avvicinarti, non avrei

avuto alcun ripensamento. Mi sarei anche divertito… credo».

Il suo mezzo sorriso sbilenco, come sempre, mise il centro del mio

stomaco in subbuglio. Perché averlo così vicino, poter sentire il

profumo irresistibile del suo sangue… della sua pelle, stava

divenendo l’unico modo per sentirmi bene come non mai? Per

riuscire a provare quel pizzico di felicità miscelato ad una

quantità abnorme di terrore?

«Non dovresti perdere il tuo tempo con queste sciocchezze. È

meglio che tu mi stia lontano, Anthony».

Mi voltai leggermente: odiavo la sensazione di essere osservata

e commiserata per lo stato esangue e livido con il quale dovevo

apparire. Il quel momento ero certa che fossi più pallida del

solito, il ché non doveva essere un lieto spettacolo.

«Non allontanarti».

«Non mi sto allontanando».

«A giudicare dal tuo comportamento instabile come le nuvole,

direi di sì». Rispose, troppo sicuro di se stesso.

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Furiosa contro ogni mia singola cellula morta che si rifiutava

oltre ogni misura di allontanarsi realmente da lui, lo inchiodai ai

miei occhi neri come la notte.

Tutt’attorno a noi sentii piombare una coltre di tensione. L’uno

attendeva una mossa dell’altro. Il grigio silenzio del cielo

piovoso, al di fuori dell’edificio, accompagnava il concerto dei

nostri respiri regolari e profondi.

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III estratto dal capitolo

L’ORA DELLA VENDETTA

L’uomo saggio non dimentica mai come fu punito a causa dei suoi errori.

L’uomo stolto rammenta sempre i vantaggi che ottenne.

Tao

Le ore gocciolarono velocemente. Il sole vide presto la sua lenta

morte quotidiana. E, nonostante non c’entrasse affatto con

tutto ciò che in quel giorno avrebbe dovuto tenere la mia mente

occupata, ero felice di essere riuscita a rimediare l’episodio

avvenuto il giorno prima con il prof. Tommasi.

«Ci lasciamo qui».

Le mani di Anthony erano fredde quasi quanto le mie.

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«Ricorda quello che ti ho detto. Non devi temere nulla...

tornerò. È una promessa».

Che volevo ad ogni costo mantenere

Dire addio a una felicità che aveva trovato il suo infinito ritaglio

nella mia esistenza, sarebbe stato davvero uno strano e spietato

scherzo del destino.

«Abbi cura di te, Sete. Se non vuoi farlo per te stessa, fallo

almeno per me. Ho bisogno del tuo amore per sopravvivere».

Sapeva bene di essere l’unico motivo che mi teneva ancora

vincolata a questa terra. Se fosse stato possibile, in sua

assenza, mi sarei volentieri gettata tra le braccia di Chuang, e

solo per trovarvi la fine alla quale agognavo da secoli.

«Sei il centro dei miei sensi. La fiamma liquida che ha ridonato

calore alle mie vene, quel calore perduto da un tempo

incalcolabile. Ti amo Anthony Laurence. Amo ciò che hai

scelto di donarmi. Amo te, perché hai avuto il coraggio di

accostarti all’unico frutto proibito che potevo offrirti: il mio

amore. L’amore di un essere freddo e morto».

«Ma capace di amare come pochi saprebbero fare».

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I nostri sguardi erano legati da un’unica certezza.

Un respiro, ed io me ne andai. Senza più voltarmi, illuminata dai

bagliori di un tramonto che cedeva il passo al crepuscolo, con in

spalla il mio zaino e nel petto un’ascia piantatami da secoli, in

attesa di essere rimossa.

I ciottoli del lungo viale -che conduce alle porte del Forte di

Belvedere- erano rischiarati dai pallidi raggi di una luna

crescente. Il cielo era terso.

Durante il periodo trascorso a Firenze, più volte -nelle ore

notturne- mi ero infiltrata all’interno di quelle mura: la possente

struttura a stella che dominava sui Giardini di Boboli e su

Palazzo Pitti, mi aveva accolta rendendomi partecipe del

meraviglioso panorama sulla città, lì dove le colline che la

incorniciano sono ammirabili dal palazzetto centrale racchiuso

dalla fortezza.

Nell’aria si poteva respirare il profumo di una Firenze antica e

soggiogata da arcani segreti.

Ritrovatami in cima ad un bastione triangolare, lasciai che ogni

piccola parte di me s’inebriasse degli eccitanti profumi che i miei

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sensi attenti riuscivano a percepire e ad assimilare. La

solitudine, in simili circostanze, era la mia più cara amica, custode

dei profondi -e meno spaventosi- segreti della mia natura.

Tipica usanza dei Senza Sangue, praticata durante gli incontri

riservati ai membri della stessa cerchia, era quella d’indossare

delle maschere che riuscissero a nascondere il volto di ciascuno.

Non ho mai capito realmente a cosa servisse un simile rituale,

considerato il fatto che tutti sapevano perfettamente quale

fosse il nome celato dietro ogni sciocca bautta. Tuttavia, per

l’occasione pensai anch’io d’indossarne una: copriva il mio viso

fin sotto il naso dietro il suo disegno dai tratti superbi; di colore

nero, era impreziosita da chiare e lucenti perle argentate.

«Pensavo che avresti deciso di non venire, Sete. Figlia mia».

Giunse alle mie spalle, io non mi voltai.

Quella voce. La sua voce. Nessuno avrebbe mai potuto capire

cosa significasse per me udirla… Udire le note aspre e

cavernose provenienti dalle sue corde vocali unite nel

pronunciare il mio nome.

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Odiavo il modo in cui mi chiamava. Riusciva a trasmettere,

attraverso quelle quattro lettere, il lato più orrendo del termine

che il mio nome voleva indicare.

«Tutto ciò sarebbe dovuto accadere molto tempo fa. Quando

il tempo era ancora dalla nostra parte». Continuò a parlare.

Il tempo non era mai stato dalla mia parte.

«Finalmente ci rivediamo… padre». Avrei preferito svanire in un

solo istante piuttosto che ripetere quell’appellativo, ma poterlo

pronunciare con il veleno schiumoso che si agitava all’interno

delle mie labbra, mi diede un pizzico di soddisfazione.

«Ci sono anch’io, bambina mia».

Xi Shi? Amanda?!

Mi volsi in un baleno, trovandomi innanzi una scena per la quale

credevo non sarei mai più stata spettatrice: i miei genitori, mano

nella mano, sospesi a mezz’aria sopra il cornicione del baluardo

su cui mi trovavo, mi fissavano attraverso le loro maschere rosso

sangue, con le labbra atteggiate ad un ghigno funesto e i

mantelli neri al vento.

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«Non essere tanto stupita nel vedermi accanto al mio sposo,

Sete. Dove credevi che volessi andare, quando decisi di

lasciarti sola? Ma adesso... adesso, piccola mia, sono tornata

per ricondurti verso la giusta strada da seguire, com’è ovvio che

faccia un genitore con la sua progenie».

Non riuscivo a dare un senso logico alle sue parole . Mia madre

non era mai stata una madre. O meglio, non da quando il suo

cuore aveva cessato di battere.

Schiava delle sue origini, serva del suo carnefice e complice

dell’assassino di sua figlia.

Erano piuttosto queste le uniche definizioni da poterle

attribuire. In tutta la sua vuota e triste esistenza da vampiro non

aveva mai rivolto una sola parola gentile nei miei confronti.

Sentii un duro e soffocante nocciolo in gola, nel rivederla. Ma

lasciai che nessuno dei due si rendesse conto di ciò che

provavo.

«Chuang. Xi Shi. Sono venuta fin qui perché ho ricevuto un

esplicito invito da parte vostra. Non avrei mai deciso

d’incontrarvi, se negli ultimi tempi non fossero accaduti eventi

fuori da ogni mia aspettativa. Pretendo adesso delle spiegazioni

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riguardo ciò che hai scritto nella tua lettera, Chuang». Mi rivolsi

a lui, fissandolo con tutto l’odio che potessi trasmettere. «Cosa

volevi dire riguardo la profezia alla quale mi hai condannata?».

Svanirono in un lampo grigio. Iniziai a girare su me stessa,

facendo volteggiare i miei capelli. Sentivo i loro respiri addosso.

Sentivo che la mia paura procurava loro un brivido di piacere.

Quando ricomparvero -così com’erano spariti- ad un paio di

passi da me, la voce di Chuang mi colpì in pieno viso con una

violenza tale da ripercuotersi in tutto il mio petto.

«Colei che ha impresso il segno della Luna sulla propria pelle, è

fautrice del destino di tutti coloro che incrociano i suoi passi. La

profezia parla di ciò che potrebbe accadere al nostro regno, in

base a quel che tu deciderai: se occupare il posto che ti spetta e

regnare come imperatrice dei Senza Sangue sul mondo intero,

o rinunciare a tutto e divenire vittima della tua stessa stoltezza».

Continuavo a non capire. A quel punto, ero certa solo di una

cosa: Chuang voleva propormi un patto. In fondo, ero io l’unica

ad essere in grado di decidere se il suo regno avrebbe avuto

ancora vita o meno. Ed era ovvio che, dopo il dolore al quale mi

aveva condannata da secoli, temeva la mia sete di vendetta a suo

discapito.

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«Bambina mia…»

Amanda - Xi Shi- mi si avvicinò con movenze lente e studiate,

somigliando più ad una suggestiva marionetta di dama cinese

che al vago ricordo di lei ancora custodito dalla mia memoria. Di

umano non le restava più nulla. Persino i pensieri.

«E’ giunto il momento di ripercorrere l’antica stirpe da cui

provieni, Sete. Devi prima conoscere le tue origini per

comprendere appieno la responsabilità che grava sul destino

che ti ha scelta… Perché nelle tue vene scorreva lo stesso

sangue dell’Imperatrice Wu, sovrana reggente nel periodo in cui

non eri che una semplice umana. La grandezza delle sue azioni,

del suo coraggio, della sua malvagia e insana volontà nel voler

dominare su tutto ciò che osava toccarla, vive in te come una

preziosa eredità. Sei destinata a indossare anche tu il suo

mantello color indaco sul quale i draghi cavalcano le nuvole, e ad

essere incoronata Imperatrice dei Senza Sangue con la corona

di dodici file di giade che le apparteneva».

Io... discendente dell’Imperatrice?! Oramai nulla avrebbe dovuto

stupirmi, l’inverosimile era entrato a far parte della mia vita senza

che me ne fossi mai resa conto.

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Ma che diavolo potevo c’entrare con la stirpe di una delle

donne dal profilo storico più oscuro che sia mai esistito?

«Si può sapere cosa volete da me? Non ho più intenzione di

udire simili follie. Non voglio più sapere nulla delle vostre

stregonerie, di oracoli che preannunciano ascese e

capovolgimenti di troni… Basta! Sono stanca di fuggire e

cercare me stessa in un volto che non mi appartiene. Adesso

voglio solo dare una svolta alla mia esistenza ponendo fine ai

vostri giochi e divenendo padrona del mio destino».

«Non hai altra scelta, Sete: con noi, o contro di noi. Dimentica

il passato che ci ha divisi, perché oggi sono io che desidero

offrirti uno sposo. Il mezzosangue della profezia è qui. Stasera.

Pronto ad incontrarti e a chiedere la tua mano».

Tremai al pensiero di Anthony reso prigioniero dalla mia

famiglia. No, stavolta non avrei messo a repentaglio la vita

dell’uomo che amavo. Istantaneamente, mi misi in posizione di

attacco mostrando loro i miei denti gocciolanti e affilati.

Poi... una risata, improvvisa e rimbombante nell’aria fattasi più

fredda grazie al lieve venticello alzatosi, bloccò il mio respiro.

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«Sono davvero felice di scoprire che la mia futura sposa sia

incline alla violenza. Renderà tutto molto più eccitante».

Quella voce… Non poteva essere vero. Guardai verso la parte

bassa e circostante del Forte, scorgendo ai piedi del bastione

su cui io e i miei genitori ci trovavamo, il vampiro che aveva

appena parlato: il volto era coperto interamente da una

maschera dorata e dall’espressione sterile, un mantello color

porpora vestiva le sue spalle. Sentii l’intenso aroma del suo

sangue come se fosse stato ad un palmo dal mio naso. E lo

riconobbi. Era lo stesso, identico in ogni sua venatura al sangue

misto di Anthony.

Non vi era alcun dubbio: chi aveva osato ritenermi sua sposa,

era Jonah. L’implacabile.

Come una piuma si lascia trasportare leggera dal vento, così il

suo corpo raggiunse il luogo in cui mi trovavo, piazzandosi a

pochi passi da me.

Non riuscivo a credere in ciò che vedevo. Che sentivo.

Nonostante quella sciocca maschera celasse del tutto i

lineamenti del suo volto, il resto dei miei sensi non poteva far

finta di nulla. Era come se Anthony si fosse trasformato nel mio

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nemico. La loro era una somiglianza sconcertante, ricca di quei

frammenti introvabili persino in due gocce d’acqua.

«La Figlia della Luna non riesce a trovare le parole adatte per

accogliere il proprio sposo? Davvero sorprendente... Ti

avevano descritta diversa, molto diversa da come appari.

Avvicinati».

Io arretrai di un passo. Lui protese una mano per sfiorarmi. Per

nulla esitante, bensì pretenzioso.

«Non oserai». Dissi, a denti stretti.

«Oh...sì che lo farò».

Strinse a pugno la mano che prima mi offriva, stritolando l’aria

rimasta incastrata all’interno del suo guanto.

La sensazione di dover lottare contro chi mi ricordava la

persona a me più cara al mondo, non rendeva certo le cose facili;

ma dovevo essere consapevole della realtà: dietro quella finta e

fredda maschera non si nascondeva il mio Anthony. Piuttosto, il

migliore alleato di Chuang.

«Sete… non riesci a capire? Lui sarà il solo in grado di far sì che

la profezia si compia nel modo più giusto per te. Per tutti noi. È

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il solo mezzosangue che abbia impresso sulla pelle il marchio

della Luna. Il solo che può averti in sposa senza dover lottare

contro un destino già segnato da tempo... Poichè è scritto: sarà

lui l’uomo che governerà al tuo fianco la stirpe dei Senza

Sangue».

Finì di dire Amanda, con espressione buffamente contrita.

Sulle mie labbra si dipinse un sorriso di trionfo. La mia voce

risuonò ferma.

«Vi sbagliate. Non è il solo mezzosangue ad avere queste

caratteristiche. Esiste un contendente, un altro possibile uomo

della profezia. Chi ci dà la certezza che sia Jonah quello giusto?

Cos’accadrebbe se sposassi il mezzosangue sbagliato?».

Sono certa che, se avessi potuto vedere nitidamente i volti di

Chuang e Xi Shi, vi avrei letto il terrore dipinto addosso.

Evidentemente, nessuno dei due avrebbe mai sospettato

qualcosa di simile.

Ma quel che giunse inaspettata fu la reazione di Jonah. I suoi

movimenti divennero flessuosi come quelli di una pantera e quasi

impercettibili, simili al soffice rumore di un sospiro. Mi ritrovai,

senza che me ne rendessi conto, con una sua mano dietro la

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nuca e l’altra all’altezza del mio cuore immobile; stringeva la presa

alla cervice con le sue dita calde e forti.

«Chi è costui?».

L’energia che il suo corpo e la sua mente emanavano era a dir

poco portentosa. Diversa da quella brillante di Anthony, più…

impenetrabile.

«Cosa importa? Ti basta sapere che non sei il solo aspirante al

trono più ambito dalla nostra specie. Se pensi davvero di

essere imbattibile, come in tanti ti descrivono, non dovresti

temere nulla. E nessuno».

Le mie parole suonarono in segno di sfida e lo indussero a

premere con ancor più forza le dita nella mia fredda carne,

accendendo l’ira di mia madre: «Fermati, Jonah! Senza lei, il

nostro regno andrebbe perduto per sempre. È la continuatrice

della tua immortalità, ricordalo».

«Taci, Xi Shi! Non intrometterti, stupida donna». Chuang

cercò di fermare l’improvvisa collera di Amanda, ma invano.

«È inutile continuare a tenerle ancora nascosta la verità. Deve

sapere!».

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Di quali altre verità non ero a conoscenza? Amanda sembrava

volesse rivelarmi qualcosa che avrebbe realmente potuto

cambiare tutto.

«Tua madre vuole semplicemente dirti che il tempo sta per

scadere».

Manteneva il volto così vicino al mio, da permettere al suo alito

d’entrare nella mia bocca. Caldo, irresistibile... ipnotizzante.

Capii subito che anche Jonah fosse dotato del potere

dell’ipnosi. Una suggestione intensa e impossibile da

respingere.

«Facciamo già parte del settantottesimo ciclo, Sete. Il

successivo periodo solare sarà quello di Dàhàn. La prossima

eclissi totale di luna è vicina, e… il solstizio d’inverno segnerà la

fine del tempo che ti è concesso per far sì che la famosa

profezia si compia. Sete…»

Per un attimo, ma solo per un attimo, non lo sentii nemico.

Riuscii a percepire, oltre la dorata maschera che indossava, la

sincerità della sua preoccupazione nei miei confronti. Ebbene,

quel sentimento tanto umano aveva reso la sua immagine meno

mostruosa ai miei occhi.

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Peccato durò tutto per brevi ma indimenticabili istanti.

«Se entro quella notte andrai in sposa al mezzosangue

designato e ti concederai totalmente a lui, avrà inizio la

leggendaria stirpe dei Prescelti. In caso contrario, allo scoccare

del solstizio, accadrà qualcosa di terribile: tornerai umana. Una

semplice e insignificante mortale».

Seppure invisibile, percepii il ritorno del perfido sorriso sulle

sue labbra.

Umana. Quella piccola e cara parola risuonò nella mia mente

come la più dolce delle note.

Umana.

Avrei potuto sentire il mio cuore battere ancora se solo... se

solo questo non avesse significato dire per sempre addio ad

Anthony.

La felicità provata per l’incredibile rivelazione, si disciolse come

neve al sole.