sette robinson su un'isola matta · dove si trovava lo stabilimento bal-neare. su una barca...

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Bianca PitzornoSette Robinson su un’isola

mattaIllustrazioni di Chiara

CarrerMONDADORI

Capitolo primoPer quale motivo l’isola fosse stata

abbandonata, nessuno riusciva aspiegarselo.

Eppure in tutti i suoi cinquechilometri quadrati non c’era traccia dianima viva. A parte i naufraghi,naturalmente; l’avevano esplorata palmoa palmo alla ricerca di qualche indi-geno che potesse dare loro un fustino dibenzina per proseguire il viaggio. Infattinon erano dei naufraghi veri e propri,nel senso che la loro barca non eraaffondata in una terribile tempesta, maerano semplicemente rimasti senzacarburante.

Le conseguenze comunque erano

uguali a quelle di un naufragio in pienaregola: si trovavano abbandonati suun’isola deserta senza possibilità diripartirne, né di comunicare ad alcuno laloro disavventura.

Avevano, è vero, trovato unapparecchio telefonico, durante la loroispezione, ma il microfono, primaancora che venisse formato qualsiasinumero, dava il segnale di occupato,quindi era come se non ci fosse. Propriouna strana isola, e strano il modo comeci erano arrivati.

Erano partiti come tutte le mattinedal molo sotto la ca-serma deiFinanzieri, su due barche, perraggiungere la spiaggia di Cala di Rena

dove si trovava lo stabilimento bal-neare.

Su una barca c’erano tutti gli adulti,dalla prozia Caterina col suo parasole diseta al ragionier Stinchetti, baffutoamico di famiglia venuto dalla città peril fine settimana. Sull’altra barcac’erano i cinque bambini, con la mammadi Annetta e lo zio Silvestro.

Questa barca si chiamava Sirena deisette mari e aveva un piccolo motorefuoribordo che, a detta del padre diAnnetta, era una cannonata. Non avevamai avuto un guasto da quando era statocomprato, non si era mai fermatoneppure una volta.

Quella mattina invece, appena il

paese fu scomparso dietro la lineadell’orizzonte, e dall’altra parte ancoranon appariva la spiaggia di Cala diRena, il motore della Sirena dei settemari aveva cominciato a sputacchiare.

Quelli della barca grande non sierano accorti di niente, e filavano velociverso il largo, mentre la Sirena perdevacolpi e rallentava la velocità. Lo zioSilvestro armeggiava intorno al motoresenza capirci un granché. La mamma diAnnetta aveva lasciato il timone pervenire a vedere… tutti i bambini eranovenuti a poppa per vedere cosasuccedeva e la barca si era inclinata inavanti minacciando di rovesciarsi.

Senza togliersi la pipa di bocca, lo

zio Silvestro gridò un ordine e tuttitornarono ai loro posti. La Sirena avevaimbar-cato una bella quantità d’acquache dovettero vuotare col ba-rattolo,senza riuscirci completamente.

Intanto dal mare intorno cominciò asalire la nebbia.

Prima leggera leggera, tanto che labarca dei grandi si vedeva in lontananzatutta sfuocata, poi sempre più fitta.

La barca dei grandi sparìcompletamente e attorno alla Sirena deisette mari rimase come un piccolospazio circola-re di pochi metri in cui cisi poteva ancora vedere. Più in là solonebbia, come ovatta bianca, densa eterribilmente silenziosa.

«Strano, la nebbia di questastagione…» bofonchiò lo zio Silvestro«e per giunta col motore che si mette afare il balor-do. Speriamo che non civenga addosso nessuno».

«Per fortuna abbiamo la bussola»disse in tono rassicurante la madre diAnnetta «basterà proseguire verso ilnord-ovest e in dieci minutiraggiungeremo ugualmente Cala diRena».

Così fecero. Ma dopo circamezz’ora avanzavano ancora nellanebbia, senza sentire un suono oltre alleproprie voci, senza vedere una forma,senza incontrare una barca o una costa.

Eppure la bussola segnava

costantemente il nordovest…Fu Martino il primo ad avere un

sospetto. Staccò la bussola dal timone,la fece girare sul palmo della mano…L’ago girava insieme col quadrante,indicava il nord da tutte le parti. Si eracome saldato al perno attorno a cuiavrebbe dovuto girare.

Così non seppero più neppure inquale direzione era stato fino ad allora illoro viaggio e in quale direzioneavrebbe proseguito.

Guardarono gli orologi. Erano fermialle nove del mattino, ora in cui eranosalpati dal molo dei Finanzieri.

Quanto tempo era passato? Eragiorno o notte?

La nebbia, bianca e fitta, splendevadi una luce che non era quella del sole…

«Bene!» esclamò allegramente lamamma di Annetta «da qualche partedovremo pur arrivare… in fondo siamonel Mediterraneo, non nell’Oceano…».

«Anche nel Mediterraneo però imotori delle barche hanno bisogno di

carburante» osservò con disappunto lozio Silvestro, guardando dentro alserbatoio. «Chi ha fatto il pieno l’ultimavolta?»

«E chi lo sa?» rispose la mamma diAnnetta. «Forse mio marito ieripomeriggio quando è andato a pescare.O forse no?… Forse toccava a me farlo,e me ne sono dimenticata.»

Conclusione: non era un guasto chefaceva ansimare a quel modo il fedelemotorino fuoribordo, ma la sete. Labenzina infatti stava per terminare.

Dopo un tempo che nessuno deipasseggeri riuscì a cal-colare, la nebbiacominciò a diradarsi, molto lentamente.

Doveva essere notte, perché il cielo

era azzurro cupo, ma la luna e le stelleerano così luminose che ci si vedevadistin-tamente. I bambini non avevano néfame né sonno. Avevano i piedi bagnatiper via dell’acqua imbarcata all’iniziodel viaggio, ma non sentivano freddo. Invita loro non erano mai rimasti alzatifino a così tardi.

Ed ecco, il motore dette un sussultopiù forte e si fermò, econtemporaneamente sul filo dell’acqua,all’orizzonte, apparve l’isola.

Sulla Sirena dei sette mari nonc’erano remi, perché una volta liavevano prestati a un’altra imbarcazioneche non li aveva mai restituiti. Però unadolce corrente silenziosa portò in pochi

minuti la barca ad arenarsi su unaspiaggia dell’isola.

Così, di punto in bianco, eranodiventati dei naufraghi.

Capitolo secondoEccoli lì, tutti in fila a sguazzare con

i piedi nell’acqua della battigiacercando di tirare in secco la barca: lozio Silvestro sulla settantina, con la pipafra i denti e un’àncora tatuatasull’avambraccio sinistro. Sul destroaveva una sirena e quando era dibuonumore contraeva i muscoli a tempodi musica in modo che la sirena parevaballasse. Poi la mamma di Annetta, contutti i capelli in faccia e i blue jeansarrotolati sugli stinchi magri, affannata atirare all’asciutto, più che la barca, igemelli di due anni e mezzo, maschio efemmina, suoi nipoti e fratelli diMartino. Martino dei gemelli se ne in-

fischiava. Era fortissimo per i suoi noveanni e spingeva con tutte le sue energiela Sirena dei sette mari, aiutato daAnnetta, che a soli otto anni non potevacollaborare come avrebbe dovuto.

Sara, che a dieci anni era superiorea questo tipo di com-petizione, tirava espingeva senza sprecare fiato,preoccupata che nell’acqua notturna nonandasse a spasso qualche polpo, come leera capitato di vedere in un precedentebagno al chiaro di luna.

Tirata in secco la barca, poiché nonavevano neppure una briciola di sonno ela notte era bella chiara, andarono subitoa esplorare l’isola per vedere dove maifossero capitati. I due gemelli stavano a

cavalcioni sulle spalle degli adulti evedevano prima degli altri sentieri,piante, massi e radure ma, essendoinesperti della vita dell’esploratore, nonavvertivano nessuno delle loro scopertee quindi gli altri le cose dovevanoscoprirsele da sé.

Quella notte scoprirono prima ditutto che non si trattava della solita isoladeserta, come quella di RobinsonCrusoe, per intenderci, ma di un’isolauna volta abitata da gente civile propriocome loro e poi per qualche misteriosaragione abbandonata da un momentoall’altro, come lo zio Silvestroraccontava fosse avvenuto all’isola diCreta ai tempi della ci-viltà minoica.

Solo che qui non c’era stato né incendio,né invasione nemica, né terremoto…tutto era bello e nuovo e ben conservato;solo assolutamente deserto.

C’era, nel cuore dell’isola, in unavasta radura tra palme e cedri, ungruppo di costruzioni, una sorta divillaggio turisti-co ben attrezzato. Dallaradura cinque strade ben asfaltate siallontanavano a raggiera verso i diversipunti della costa di-videndo l’isola incinque spicchi, più o meno simmetrici.

Ogni spicchio era diverso dall’altroper terreno, vegetazione e persino per ilclima.

Gli edifici principali della raduraerano un albergo e un supermercato. Poi

c’erano dei tucul in cemento con il tettodi paglia, una piscina, un campo datennis, una palestra coperta ed unarimessa per le barche. Barche però nonce n’erano, e neppure benzina per farripartire la Sirena dei sette mari.

L’albergo era piccolo, a due piani,con palme nell’atrio e aria condizionata.Infatti un gruppo elettrogeno autonomocontinuava a funzionare su una collinettapoco lontana e, con la sua elica chegirava spinta dal vento, riforniva dienergia elettrica tutti gli edifici.

Le stanze dell’albergo erano pulite eordinate, con i letti rifatti, l’acqua caldanei rubinetti e i fiori freschi nei vasi suitavolini. Nel frigorifero del bar c’era

ancora una piccola scorta di gelati.Quando i sette naufraghi ebbero visitatotutto l’e-dificio, dalla cucina allemansarde, suonando tutti i citofoni e icampanelli, lanciando richiami per icorridoi, colpendo persino ripetutamenteil gong della sala da pranzo, siconvinsero che era proprio deserto.

Altrettanto deserto risultò ilsupermercato. Le porte eranospalancate, le luci accese, le scalemobili scorrevano silen-ziose…

I banchi degli alimentari, deisurgelati, dei detersivi erano pieni diprodotti ben ordinati, ma di personenemmeno l’ombra…

Per quale motivo e quando l’isola

era stata abbandonata, e da chi? E di cheisola si trattava?

Lo zio Silvestro, che pur si vantavadi conoscere la geo-grafia di tutto ilmondo, non aveva la minima idea inproposito.

«Se almeno sapessi la posizioneesatta» gemeva. «Ma con questa bussolaimpazzita…»

I naufraghi più giovani pensavanoche non fosse il caso di preoccuparsitanto. L’essenziale era che l’isola fosseacco-gliente, priva di cannibali. Che cifosse da mangiare, da bere e da dormireal riparo. Che terribili bestie feroci nonululas-sero nella notte attorno al fuocodel campo, come capita di solito in tutte

le isole deserte… E fortunati queinaufraghi che possono accendere findalla prima notte il fuoco del campo!

Perché in genere durante il naufragiotutti i fiammiferi si ba-gnano e diventanoinservibili, così che bisogna aspettareche un fulmine cada proprio su uncespuglio secco incendiando-lo, oppurebisogna rompersi le braccia a strofinarelegnetti come i boy-scout, o a sbatterepietre focaie nella speranza che lascintilla giusta cada proprio sulla pagliasecca.

Sara propose di costruire una lentesaldando tra loro i ve-tri di due orologi,come aveva fatto il professor CyrusSmith nel romanzo di Verne L’isola

misteriosa. La lente sarebbe servita aconcentrare i raggi del sole su dei legnisecchi in-cendiandoli. Annetta peròrispose che nessuno di loro era tantostupido da sacrificare il proprioorologio, anche se mo-mentaneamentefermo, quando i fornelli della cucina siac-cendevano immediatamentepremendo un bottone.

Infatti, mentre loro discutevano,nella cucina dell’albergo il fuocoscoppiettava allegro sotto la padella incui la mamma di Annetta cucinava ifiletti di sogliola surgelati, presi dalbanco del supermercato. Annetta eMartino erano un po’ delusi per il fattodi non mangiare pesce pescato da loro

stessi, magari con un amo ricavato dauna vecchia spilla da balia, peròsedettero con gli altri attorno al tavolo efecero onore al pasto.

La mamma non sembrò moltopreoccupata quando la in-formarono chenon avevano la minima idea di dove sitrovasse l’isola. Mettendo i piattisporchi nella lavastoviglie, commentòallegramente:

«Povera me! Chissà quanto miprenderà in giro Giorgio!».

Giorgio era il padre di Annetta, unragioniere molto serio e riflessivo, cherimproverava sempre alla moglie diviaggia-re con la testa fra le nuvole.

«Qui si dimostra che aveva proprio

ragione lui, e che in genere non soneppure in che parte della terra mitrovo!»

concluse filosoficamente la signora.Dopo cena cominciarono ad

avvertire tutti un po’ di stan-chezza. Erastata, a dire il vero, una giornata densadi emo-zioni, quindi decisero che eraarrivato il momento di andare a letto.

A differenza del loro appartamentinodi villeggiatura, qui problemi di spazionon ce n’erano.

Sara scelse una bella camera sullafacciata, dove avrebbe dormito con igemelli. Martino andò con lo zioSilvestro nella mansarda, che aveva unabella veranda sulla radura, e Annetta

seguì la sua mamma nella prima stanzaall’inizio del corridoio del primo piano.

«Così ho la sensazione di tenere lasituazione sotto controllo» commentò lamamma, mentre dava un’ultima occhiatanella tromba delle scale per assicurarsiche tutte le luci fossero spente.

In città Annetta aveva una cameraper conto suo, ma quella notte, perquanto non avesse la minima paura,trovò molto rassicurante dividere consua madre non solo la stanza, ma ancheil morbido lettone.

Mentre lo zio Silvestro dormivarussando saporitamente, Martino sirigirava nel letto, tendendo l’orecchionel tentativo di avvertire fruscii sinistri

nelle scale, ruggiti spaventosi nellaforesta, gemiti di prigionieri nellecantine… ma invano. La nottetrascorreva calma e silenziosa. Stellelucentissime pas-savano nel cielo sopral’isola nello scorrere delle ore, ma fraloro non c’era l’Orsa Minore o la Crocedel Sud che indicas-sero almeno inquale emisfero ci si trovava.

Sara e i gemelli dormivano sodo,con la finestra spalan-cata sulla radura.Era chiaro ormai che i sette abitantidell’albergo erano gli unici esseriviventi su tutta l’isola.

Capitolo terzoL’indomani, appena sveglia, la

mamma di Annetta decise di prenderesubito nota di tutte le idee che le eranovenute durante la notte a proposito dellaloro strana situazione.

Neanche a farlo apposta, nel cassettodel suo comodino c’erano un blocco dicarta ed una penna. La prima idea che leera venuta era quella di tenere unaspecie di diario della loro avventura,anche per non perdere completamente lanozione del tempo, perché fra le tantecose che si trovavano nell’isola nonc’era un calendario, e gli orologi, comeabbiamo visto, si erano fermati e nonc’era più verso di farli funzionare.

Cercò quindi per prima cosa diricordare la data del giorno precedente,ma non era così semplice. Dovevaessere il 13

luglio, o forse il 15? E il giorno eraun mercoledì o un giovedì? In vacanza, ametà settimana, è molto facile perdere ilconto dei giorni.

Lei lo aveva evidentemente perduto.Nella speranza che più avanti qualcunodegli altri naufraghi la aiutasse a rinfre-scarsi la memoria, sospirò e scrissesulla prima pagina:

“Metà luglio, metà settimana”.Quella era la data d’inizio

dell’avventura. Da allora in poi avrebbecontinuato a contare i giorni.

Scrisse come si erano smarriti nellanebbia e come erano finiti sull’isola, maoltre a quello che sappiamo non c’era ungranché da raccontare. Forse i giornifuturi avrebbero chiari-to qualcuno deimisteri, ma per il momento, ad attenersiai fatti senza abbandonarsi allesupposizioni, la storia era tutta lì. Perquel giorno quindi il diario eraterminato.

La seconda idea era quella di fare uninventario delle proprie risorse perrendersi conto su che cosa poter contare.

Ma a differenza di Robinson Crusoe,che doveva elencare solo il contenuto diun paio di cassette di legno, i nostrinaufraghi avevano un’enorme quantità di

oggetti, un intero forni-tissimo villaggiotutto a loro disposizione. Quindi, invecedi un elenco di quello che c’era, eraforse più utile fare un elenco di quelloche mancava.

A questo punto però la mammadecise che poteva per-mettersi un caffè escese in cucina, dove trovò Sara cheman-giava una fetta di pane conmarmellata di castagne.

«Dove sono i gemelli?» chiese lamamma di Annetta.

«Non lo so. Non erano nei loro lettiquando mi sono sve-gliata» risposeSara.

«Povera me! Ecco qual era l’elencopiù importante!»

esclamò la signora picchiandosi lamano sulla fronte. Mentre non era ancoradel tutto sveglia infatti le era balenatal’idea che fosse opportuno fare unelenco e una descrizione precisa di tuttii naufraghi, in modo da avere le ideechiare in caso di smarrimenti o di arrivosull’isola di persone estranee.

I due bambini furono ritrovati dopocirca un’ora di affan-nose ricerche.Erano nel sotterraneo del supermercato,dove avevano scoperto un frigoriferopieno di uova e, nel tentativo ditrasportarle all’albergo per la colazione,ne avevano rotto almeno unacinquantina.

Visto che, oltre ad essere i più

giovani, erano anche i più facili dasmarrire, la mamma di Annetta decise dicominciare da loro l’elenco e ladescrizione dei naufraghi.

Scrisse in cima alla pagina:INVENTARIO DEI NAUFRAGHIDELLA SIRENA DEI SETTE MARIe continuò così:N. 2 gemelli, un maschio e una

femmina; entrambi di due anni equattro mesi, figli di mio fratelloGiovanni e dunque miei nipoti.

1 - La femmina è più grassa delgemello, ha i capelli neri e ricciuti e sichiama INA. Ina sarebbe il diminutivodi un nome più lungo che non ricordomai. Forse Carolina, o Clementina, o

anche Rosina come mia madre, che poisarebbe sua nonna. Comunquequalsiasi nome femmini-le, daAbbondio a Zenobia, può essereabbreviato in Ina.

Noi l’abbiamo sempre chiamatacosì. Le piace il budino di cioccolata,fare buchi per terra con la paletta,andare in triciclo e nascondersi sotto iletti. Quando strilla forte non bisognaprenderla sul serio: è tutta unacommedia.

2 - Il gemello maschio è più magrodella sorella, ha i capelli castani e liscie gli occhi verdi. Detesta il budino dicioccolata, le palette e i tricicli. Glipiacciono le cavallette e i bruchi, il

pesce fritto e gli alberi su cuiarrampicarsi.

Si chiama ROCCO, che vuol direproprio Rocco. Nonostante tutto questova molto d’accordo con Ina. Sonopraticamente inseparabili, per cui seriuscite a scoprire dove si trova uno deidue, saprete anche dove si trova l’altro.

3 - MARTINO è l’unico fratello deidue gemelli. Questo significa che tuttala discendenza di mio fratello Giovannisi trova sull’isola. Penso che lui e miacognata siano un po ‘ preoccupati perloro, ma in fondo sanno che sono conme e che prima o poi torneranno…Anzi, penso che potranno godersiqualche giorno di vacanza in santa

pace. Martino ha nove anni, occhiverdi, capelli scuri: sarebbe un belfusto se fosse un po’ meno grasso.Fortunatamente la vita attiva dell’isolagli tirerà via un po’ di pancetta. E’ unmatematico nato e non c’è scopertascientifica di cui non abbia ripetutol’esperimento. Da grande faràprobabilmente il fisico nucleare, se aquel tempo non sarà una professionescientificamente supera-ta.

4 - SARA è figlia di mia cognataGiuditta, sorella di mio marito, quindinon è per niente parente di Martino edei gemelli. Ha dieci anni ed è anchetroppo giudiziosa per una bambinadella sua età. Pare che sopra ogni altra

cosa le piaccia occuparsi dei gemelli;sa fare molti lavo-retti con le mani, mapurtroppo ha un difetto: ha sempreragione. Questo non è leale neiconfronti degli altri bambini enemmeno dei grandi. Tutti dovrebberosbagliare qualche volta, no? Peròproprio per questo penso che Sara cisarà molto utile su quest’isola deserta.

5 - ANNETTA è la mia unica figlia.Ha otto anni, le manca-no due dentidavanti ed ha i capelli tagliati un po’storti perché glieli ho tagliati io con leforbici da ricamo. Di lei si potrebberodire molte cose terribili e moltebellissi-me, ma non mi sembra compitodi sua madre. Comunque chi la

incontrasse su quest’isola la potràfacilmente di-stinguere da Sara perchéè una spanna più corta, ha i capelli piùchiari e, come dicevo, tagliati male,non ha l’apparecchio per i denti, hauna cicatrice sul ginocchio sinistro.

6 - Lo ZIO SILVESTRO non è zio néparente di nessuno, ma soltanto ilpescatore che tutti gli anni ci affitta laSirena dei sette mari e ci accompagnain tutte le gite in barca. In questo paesedel sud però, anzi in quel paese, perchéadesso siamo sull’isola, si chiama“zio” o “zia” in segno di rispettoqualsiasi persona che abbia superato icinquantanni. Lo zio Silvestro di annine avrà settanta, più o meno. Sembra

un vecchio lupo di mare un po’ scor-butico, ma in realtà ha un cuore d’oro.Noi lo conoscia-mo da vent’anni. E luiche mi ha insegnato a nuotare la primaestate che sono andata al mare, e hatenuto tutti i bambini in braccioquando erano solo dei neonati. Tuttidicono che è un uomo di cui ci si puòfidare. Proprio per questo aveval’incarico di guidare la barca deibambini ed è finito con noi suquest’isola.

Arrivata a se stessa la mamma nonsapeva cosa scrivere.

Le sembrava poco modesto elencarei propri pregi, e descri-vendo i propridifetti temeva di turbare la sicurezza ditutti quei bambini che contavano solo sudi lei in quella terra ino-spitale. Loaveva letto una volta su un libro dipsicologia, che i bambini devono averequalcuno di cui potersi fidare, e, vistoche era l’unica adulta sull’isola, quelqualcuno doveva per forza essere lei.

Lei a sua volta si sarebbe fidatadello zio Silvestro, che apparteneva allagenerazione precedente la sua, e a cuione-stamente non poteva rimproverarealcun difetto.

Pregò dunque Annetta di scrivere leiuna sua descrizione.

Per Annetta questo non era unproblema, dato che la sua maestra avevauna preferenza particolare perl’argomento “la mamma”, e in due annidi scuola, e sotto forma di pensieri-no,ricerca, dettato o componimento, per bensei volte aveva trattato quel tema.Scrisse così:

La mia mamma è la mia mamma,non ha altre figlie e io non ho altramamma. E’ anche l’unica mamma checi sia sull’isola, anche se per i mieicugini è solo una zia.

Ma siccome le loro mamme sonorimaste a Cala di Rena, lei è l’unica

mamma qui, e si devono accontentare.Non ha molta pazienza, specialmentequando cuce o stira, perché si punge osi brucia, e allora grida «dannazione»

e dunque preferisce cucinare.Cucina molto bene, specialmente lepatate fritte. Mio papà le dice sempre:«Mi farai venire il mal dì fegato e ilcolesterolo» e si lamenta che poi devefare il training autogeno che sarebbeuna specie di ginnastica da ufficio doveci si muove senza muoversi, ma nonl’ho mai capito bene.

Non è molto bella, come tutte lemamme dei libri che sono le più belledonne del mondo. Io credo che le piùbelle donne del mondo siano le attrici e

le cavallerizze del circo. La mia non haneppure gli occhi dolci che guardano inalto; è un po’ magra, con le ossa neigomiti e nelle ginocchia che vengonofuori e mio papà, quando era il suofidanzato e la portava al cinema, lechiedeva:

«Ce l’hai il porto d’armi?» perchédice che con tutte quelle ossa lopungeva. Adesso è suo marito, però quinon c’è e in questo momento staràdicendo: «Dove si sa-ranno cacciatequelle due scervellate?…». Lui dicesempre che le donne sono scervellate,però anche lui una volta non si èaccorto che teneva in mano ilsecchiello della spazzatura per

lasciarlo nel portone e allora è uscito eha preso il tram. Tutti lo guardavano,ma lui credeva di avere la sua cartellae così è arrivato in ufficio… questoperò con la mia mamma non c’entra, aparte la somiglianza di essere distrattitutti e due.

La mia mamma io, d’inverno, lafaccio sempre disperare, ma adesso chedeve badare anche a tanti altribambini, non mi sembra tantodisperata. La mia mamma sarebbe…

Ma qui Annetta giudicò che ladescrizione della mamma fosseabbastanza completa e terminò.

Il fatto del disegno però piacquemolto anche agli altri bambini. Tutti

volevano disegnare sul diario lesembianze proprie e degli altrinaufraghi. Litigarono per un po’ strap-pandosi di mano l’un l’altro l’unicamatita e alla fine vinse Ina che per nonrestituirla andò a nascondersi sottol’acquaio, dietro lo sportello dellaspazzatura. Lo zio Silvestro però ri-solse salomonicamente la disputaprocurando altre quattro matite edistribuendo a ciascuno i diversi ritratti.

Così Sara disegnò i gemelli, conmolta passione, come si può vedere.

Martino disegnò lo zio Silvestro eSara, badando più alla somiglianza cheall’estetica.

La mamma disegnò Martino, e i duegemelli riunendo i loro sforzidisegnarono Annetta.

L’unica a non essere moltosoddisfatta dell’inventario dei naufraghiera proprio Annetta: la mamma, per unmalinteso senso di imparzialità, si erarifiutata di elencare i suoi pregi.

Il disegno dei gemelli, come anchevoi potete controllare, non avrebbemesso nessuno, neppure uno specialistain gero-

glifici, in grado di riconoscerla…Annetta, in conclusione, aveva unagrande paura, nel caso di una invasionestraniera nell’isola o nel casodell’arrivo di una spedizione disalvataggio, di venire scambiata perqualchedun altro.

Ma non era un tipo da piantar grane.Salì in camera da letto, si mise davantiallo specchio, e tracciò questo autori-tratto, che poi appese con cura sul bancodella sala d’ingresso dell’albergo,scrivendoci sotto in lettere cubitali:Capitolo quarto

L’indomani il primo ad alzarsi,contrariamente alle sue abitudini, fuMartino. Durante il sonno gli era venuta

una grande curiosità di vedere comefosse fatta l’isola. In fondo non neconoscevano che la spiaggia su cui siera arenata la Sirena dei sette mari, lastrada dalla spiaggia all’albergo e laradura con le sue costruzioni. Al restoavevano dato un’occhiata sommaria laprima sera, giusto per controllare chenon ci fossero abitanti, ma che formaavesse e come fosse fatta nei suoidettagli, a questo proprio non avevanobadato.

Gli altri dormivano ancora quandoMartino, quatto quatto, si avviò su per lacollinetta del gruppo elettrogeno.Arrivato in cima girò lo sguardo intorno,e vide che il colle era abbastanza alto e

l’isola abbastanza piccola, tanto che sene potevano vedere in giro tutte le coste.

Era proprio una piccola isola, diforma tondeggiante, ma con golfi,promontori, scogliere, come ogni isolache si ri-spetti, soltanto tutto piccolo, inproporzione.

Viste dall’alto le cinque strade sisnodavano verso le coste come nastrigrigi, scintillanti sotto il sole sorto dapoco. Il mare tremolava, liscio ma vivo,dalle coste dell’isola fino al-l’orizzonte.E all’orizzonte, tutto intorno, nessunaaltra terra.

In compenso l’isola aveva treisolotti minori, vicini alla costa, mapiuttosto distanti fra loro.

Martino decise che ci sarebberoandati al più presto a fare un pic-nic e agiocare ai pirati.

Guardarsi attorno e vedersicircondato dall’acqua da tutte le parti glidava una strana sensazione diabbandono, di iso-lamento, che gli fecedesiderare, per la prima volta nella suavita, di avere accanto qualcuno,chiunque fosse, persino i gemelli.

Corse giù all’albergo, a svegliareAnnetta per comunicar-le le suescoperte, ma ai piedi della collinaincontrò Sara che si dirigeva con ariapreoccupata verso un boschetto di tame-rici.

“I gemelli!” pensò Martino “sono

scomparsi un’altra volta e ci dovremorimettere alla ricerca, anche oggi!”.

Ma Sara non lo degnò di unosguardo e si inoltrò nel boschetto.

I gemelli in realtà stavano bevendoil loro caffellatte seduti compostamenteattorno al tavolo di cucina, con i loro to-vaglioli di spugna annodati al collo, igomiti serrati ai fian-chi, i cucchiai nelledestre… non davano neppure calci alletraverse delle sedie.

Martino, rassicurato, domandò cosadiamine avesse Sara, e la mamma glirispose che Sara aveva sognato che laSirena dei sette mari aveva urgentebisogno di lei e, senza fare neppurecolazione, si era precipitata verso la

spiaggia dove la barca era in secco.«Che bisogno può avere una vecchia

barca come quella di una ragazzina conla macchinetta nei denti!» esclamò condisprezzo Martino, ma dal suo angolo lozio Silvestro scosse la testa.

«Non si sa mai…»Comunque Sara era abbastanza

grande per badare a se stessa e lamamma non riteneva opportuno chequalcuno le andasse dietro a vederecosa faceva.

Martino allora raccontò come avevavisto per la prima volta tutte le costedell’isola e la sua forma completa, etutti gli altri, incuriositi, decisero diandare subito a vedere anche loro.

Lo zio Silvestro, che fra tutti era ilpiù pratico di esplora-zioni, portò consé carta e matita, così che al ritornoavevano una piantina dell’isola, un po’approssimativa, ma le misure esatte siripromettevano di calcolarle più avanti.

Martino volle subito dare un nomeagli isolotti minori, che all’inizio loavevano tanto interessato.

Quello di nord-est, per la sua forma,non si potè far altro che chiamarlo ilCuore, quello di nord-ovest il Telefono,anche se in realtà somigliava più a unricevitore telefonico cheall’apparecchio completo. L’isolotto asud-ovest fu chiamato Rombo, mentre lafascia di scogli che chiudeva il golfo ad

est-sudest fu detto la Grande BarrieraCorallina. Forse le rocce non eranocorallifere, certo però avevano tuttal’aria di trattenere fuori dalla piccolacala l’impeto dei flutti, se mai il mareattorno a quella placida isola si fosseinfuriato. La spiaggia di sabbia rosa sucui erano approdati si trovava nel golfodi sud-sudest, che fu subito denominato,ad imitazione di Cristoforo Colombo,Golfo di San Salvador.

La mamma voleva che si trovasse unnome anche per l’isola, ma Annetta nonne volle sapere.

«Magari ce l’ha già, un nome»diceva «anche se noi non lo sappiamo.Sono sicura che lo ha già, il nome. Chi

ha costruito tutte queste case glielo avràcertamente dato. E credo che a lei nonpiacerebbe affatto essere chiamata conun nome che non è il suo!».

Questo Annetta lo sapeva peresperienza, perché a scuola la suamaestra la chiamava spesso Giuseppina,confondendo-la con la sua compagna dibanco, e il fatto dava a entrambe(Annetta e Giuseppina) molto fastidio.

L’isola quindi non fu battezzata erimase per tutti semplicemente l’Isola.D’altra parte, come nel caso dellamamma, non ce n’era un’altra chepotesse creare confusione.

Capitolo quintoSara, intanto, giù alla spiaggia di

San Salvador (di cui naturalmenteignorava ancora il nome) stava vivendouna strana avventura. La sensazione chela barca arenata la chiamasse e avessebisogno di aiuto le era nata dentrodurante la notte, e nelle prime ore delmattino si era fatta più precisa.

Ma una volta arrivata alla spiaggia,davanti al grosso scafo inclinato sullasabbia, le era venuto il dubbio di averesognato, di essersi agitata per niente…Tutto aveva un’aria molto normale:nessun segno di pericolo, nessunparticolare fuori posto. L’aria eratranquilla, il mare calmo, la barca al

posto dove l’avevano lasciata… Sara sifermò un attimo ad ammirare ilpaesaggio intorno.

Era proprio una bella spiaggia, aforma di mezzaluna, de-limitata alle dueestremità da gruppi di scogli grigi, conbasse dune nell’entroterra, e fra le dunecespugli di ginepro e ciuffi di giglifioriti. L’acqua era limpidissima e gliscogli la raccoglievano in piccole pozzetranquille.

Tutto era silenzioso, ma a Sara parvedi sentire come un pianto di bambinoprovenire dalla barca. Un po’ incerta sidi-resse verso la riva. E qui capitò lacosa più straordinaria di tutta la suavita, passata e certamente anche di

quella futura, ma non si può mai dire…Infatti, quando si avvicinò alla Sirenadei sette mari si accorse che all’ombradello scafo, dalla parte della battigia,lambita appena dall’acqua che siritirava e ritornava con ritmo regolare,c’era una sirenetta di pochi mesi. Cosìalmeno pensò Sara, che non avevaalcuna esperienza delle dimensioni realidelle sirene. Era proprio come ledescrivono le leggende, proprio comequella tatuata sul braccio dello zioSilvestro! Metà essere umano e metàpesce.

In questo caso la metà umana eraquella di un bambino di pochi mesi, e lametà pesce, grande in proporzione,

termina-va con una coda simile a quelladella triglia. Però, a differenza di unneonato, aveva i capelli molto lunghi, everdi e spes-si come alghe (o cometagliatelle all’uovo, disse Martino piùtardi, quando la conobbe anche lui).Chiaramente era nata da poco einesperta, perché faceva con la coda deimovimenti stupidi, che non la aiutavanoné a venire all’asciutto né a tornare inmare, ma che le costavano certo ungrande sforzo, perché era tutta rossa inviso e piangeva di stizza.

Sara naturalmente, appena la vide, fupresa da una grande preoccupazionematerna per lei, e con sollecitudine andòa raccoglierla dalla sabbia, molto

incerta su quello che si doveva fare peraiutarla.

Occorreva rigettarla in mare? Maera sicura che la Sirenetta fosseautonoma e riuscisse a cavarsela? Erasicura che non annegasse, con quel belfaccino di neonato che spalanca-va labocca a strillare a pieni polmoni, senzal’ombra di bran-chie? Se le fosse andatal’acqua nei polmoni sarebbe forsemorta? Doveva allora tenerla a terra?Sara aveva avuto dei pesci rossi, vinticol gioco delle palline al Luna Park, maqui la situazione pareva più complicata.Tenerla, fra l’altro, significava propriotenerla in braccio, perché era chiaroche, sia per l’età, sia per la mancanza di

gambe, non era in grado di camminare. Ecome l’avrebbe nutrita? Non aveva laminima idea di quello che mangiano lesirene… Gettò un’occhiata di dispettoalla barca:

«Ti sei cavata d’impiccio in fretta,tu» le disse «facendo-mi venire. Ma ioadesso come me la cavo?».

La sirenetta comunque, appena inbraccio, smise di fri-gnare e siaccomodò quieta contro la maglietta diSara. Questa era più che mai perplessa eguardava verso l’interno dell’isola incerca d’aiuto e consiglio, ma fu dal mareche le arrivò la soluzione (soltantoparziale) del problema. Infatti un’ondapiù vivace delle altre gettò sulla sabbia

ai suoi piedi una bottiglia con unmessaggio. Una bottiglia particolare:una volta che l’ebbe raccolta Sara siaccorse che in realtà era un biberon, colsuo tappo ben avvitato e il succhiotto digomma all’interno.

Dentro c’era un pezzetto dipergamena arrotolato, con su scrittoquesto messaggio:

“Si ciama Teti habbiate cura di leisi nutre del placton contenuto

nell’achua del mare dose: sei biberonal dì. dorme in achua di giorno staall’asciutto purchè possa ogni tantobagnare la coda.

apena posso torno a riprenderla.”

Nessuna firma, come potetecontrollare. Comunque i problemi piùurgenti, quello del cibo e quello dellarespira-zione, non esistevano più.

Sara depose la piccola Teti sullasabbia asciutta e andò a prepararle unbel biberon d’acqua di mare che quellascolò rapidamente con chiarasoddisfazione.

Più Sara la guardava e più lesembrava graziosa. Le spol-verò lasabbia dalle squame, la avvolse in unasciugamano che era rimasto sulla barcae giocò alla mamma per tutta la mattina,fingendo che la Sirena dei sette marifosse la loro casa.

Verso mezzogiorno, sentendo un

poco di appetito e non potendo calmarloanche lei con un sorso d’acqua di mare,con la sua sirenetta in braccio Sara feceritorno all’albergo.

Figurarsi la meraviglia di tutti allavista di Teti!

La mamma lesse a voce alta ilbiglietto, e tutti le si affol-larono attornochiedendo spiegazioni.

Martino per esempio voleva sapereprima di tutto cosa significa la parola“plancton”. Neppure gli altri bambini neconoscevano il significato, ma eranotroppo interessati alla provenienza dellasirenetta per chiederselo. Martino peròinsi-stette tanto che la mamma dovettespiegare come il plancton sia un insieme

di organismi piccolissimi, una specie dimi-croscopici pesciolini, che vagadisciolto nell’acqua del mare e che èmolto nutriente, più degli stessi pesci…

Superato il problema del plancton,restava quello di chi avesse scritto ilbiglietto.

«In fondo» fece notare Annetta «sitratta di una lettera anonima».

I tre bambini più grandi sapevanoche alle lettere anonime non si deve darealcun peso.

«Le lettere anonime in genere diconobugie» osservò Martino pieno didiffidenza. «Che sia falsa anchel’istruzione del plancton, e che invecequesta marmocchia mangi bistec-che?

…» ma fu subito zittito dagli altri ancheperché Sara confermò che la sirenettagradiva molto i suoi biberon marini.

Naturalmente, nonostante le piùdisparate ipotesi, non riuscirono aconcludere niente, e quello dellaprovenienza di Teti si aggiunse agli altrimisteri insoluti dell’isola.

La mamma si rimboccò le maniche edisse:

«Povera me! Ogni giorno ce necapita una nuova. Rinun-cio a capire lalogica di quest’isola scombinata. Intantola tribù cresce di un elemento». E corsead aggiornare il suo diario, con ladescrizione e il disegno della sirenetta,che i gemelli vollero a tutti i costi fare

loro. In realtà la mamma non sembravamolto preoccupata di avere un altrobambino a cui badare, se di bambino sipoteva parlare, o forse contava moltosulla collaborazione di Sara.

Questa, temendo che la nuova venutaavesse bisogno im-mediato di dormire,era andata in lavanderia e aveva presouna bacinella da usare come acquario.

Poi aveva spedito i gemelli allaspiaggia e si era fatta portare un po’ disabbia, una manciata di conchiglie e ungrosso sasso, che sistemò artisticamentesul fondo della im-provvisata cullaacquatica, dopo averla riempita d’acquadi mare.

«La metterò sul tavolino della mia

camera da letto» disse«Teti è troppo piccola per dormire

da sola».Immersa nell’acqua, la piccola

sirena mostrò di gradire molto la nuovasistemazione. Agitò festosa la coda, poisi immerse completamente posando latesta sul sasso e si addormentò. Sara,tutta compresa della sua nuovaresponsabili-tà, durante la notte sisvegliò almeno una dozzina di volte percontrollare che la sua protetta stessebene.

Annetta invece, prima di andare aletto, era rimasta dieci minuti buonidavanti allo specchio a contemplarsi ipiedi nudi, facendone roteare le dita congrande soddisfazione. Ri-cordava lanovella di Andersen, la storia dellaSirena che per amore del bel principe(anche lui naufrago, tanto per cambia-re)si era fatta tagliare in due la coda e nonne aveva ricavato che guai. Ringraziavail cielo di avere due belle gambe sepa-rate, con due piedi in cima, ma pensavache, nei panni di Teti, non si sarebbefatta operare alla coda per nessuno sci-munito di principe.

La mamma entrò mentre Annettafaceva la spaccata, come aveva

imparato quell’inverno alla scuola diballo. Le disse di andare subito a letto esi mise al suo posto davanti allospecchio.

Sotto le coperte fino al naso, Annettala guardava piena di interesse. Lamamma si legò i capelli e cominciò amettersi le sue creme sulla faccia (leportava sempre con sé nella borsa daspiaggia per non spellarsi il naso colsole e così non ne era rimasta priva acausa del naufragio). Si dava dei piccolischiaffi, faceva le solite smorfie, e a uncerto punto, guardando bene negli occhila sua immagine riflessa nello specchio,cominciò a discorrere a voce bassa conse stessa, come faceva col papà di

Annetta quando erano a casa tutti riuniti.

Capitolo sestoQualche giorno dopo, Martino

decise che era proprio la giornata idealeper fare una bella escursione lungo lecoste dell’isola. Pensò chi dovessescegliere come compagno di viaggio.Certamente non i gemelli, che gliavrebbero rovina-to tutto andando adannegare giù da qualche scoglio, scom-parendo nella giungla, facendosisbranare da qualche belva feroce…Questo naturalmente escludeva ancheSara, altrimenti chi avrebbe trattenuto igemelli all’albergo? Per fortuna lasirenetta stava tranquillamente nel suoacquario senza richiedere attenzioniparticolari. Si prestava volentieri a far

da bambola a Sara quando questa laprendeva in braccio, ma rimessanell’acqua non protestava, e sguazzavaallegramente fra le sue conchiglie. Saradunque era tornata ad occuparsi deigemelli con la stessa sollecitudine edisponibilità dei primi giorni. LiquidatiSara, Ina e Rocco, come al solito lacompagna ideale per l’escursioneprogettata da Martino restava Annetta.Ma Annetta era preoccupata: la mammanon era scesa a colazione, e quando leiera andata a cercarla in camera da letto,l’aveva trovata seduta in poltrona, conun fazzo-letto legato attorno alla testa, albuio e in preda a un terribile attacco dimal dì denti.

Purtroppo sull’isola non c’eranomedicine. Il supermercato ne erasprovvisto, e non esisteva una farmacia.Tutte le medicine che i naufraghiavevano con sé sulla Sirena dei settemari consistevano in un flacone di oliosolare, una pomata contro le scottature,in una scatola di cerotti e in una boccettadi ammoniaca contro la puntura delleapi. Purtroppo nessuno di questi prodottipoteva alleviare il mal dì denti dellamamma. Sara si offrì di preparare unaborsa di ghiaccio ma, quando la mammase la mise contro la guancia, non leportò alcun sollievo.

Martino allora propose di strapparelui il dente malato.

«Ma non sei un dentista!» obiettòAnnetta «e non hai neppure il trapano!».

«Prima di tutto il trapano ce l’ho»rispose Martino. «Non hai visto il Black& Decker nel reparto “Fatelo da voi”?Comunque il trapano serve per bucare identi, non per strappar-li. Per questooccorre la tenaglia, e anche quella cel’ho. E

per togliere i chiodi, ma in caso dinecessità non si può essere tantopignoli.»

Ma davanti alla grande tenaglia diferro, la mamma non ne volle sapere diaprire la bocca. Invano Martino lepromise che non le avrebbe fatto alcunmale… Lei preferiva tenersi il suo dente

malato. Aveva una faccia strana, tuttagonfia da una parte, e dall’altra pallida egiallastra, tutto sommato abbastanzaridicola, se non avesse avuto tanto male.Aveva anche una vocina fioca fioca, conla quale pregò i bambini di scenderedabbasso e di togliersi di torno fino ache il mal dì denti non le fosse passato.Certamente, aggiunse, non potevadurarle troppo a lungo; anche perché intal caso sarebbe morta dal dolore, e nonaveva mai sentito di nessuno che fossemorto di mal dì denti.

«E chi ci darà da mangiare?» chieseMartino sulla porta con una mano sullamaniglia e l’altra stretta attornoall’inutile tenaglia.

«Arrangiatevi!» rispose la mamma, espense la luce, per significare che ilcolloquio era terminato.

I tre bambini si fermarono sullescale, appoggiati alla rin-ghiera, aconsiderare la situazione, ma Martinonon ci stette a pensare troppo a lungo:

«Tu, Sara, sei la più grande, e seianche una femmina.

Quindi sei capace di arrangiarti pertutti. Io e Annetta intanto andiamo adesplorare le coste dell’isola».

«Io non voglio restare da sola con igemelli e la zia mori-bonda!» protestòSara in tono piagnucoloso.

«Ha appena promesso che nonmorirà, quindi non fare la scema. E poi

c’è sempre lo zio Silvestro. Ciao, civediamo a mezzogiorno!»

Martino salutò saltando i gradini aquattro a quattro verso l’uscita. Ma sullaporta lo raggiunse la voce di Sara, nonpiù piagnucolosa, ma fredda e decisa:

«Benissimo. Andate pure. Amezzogiorno non ci sarà niente damangiare per voi, quindi potete restare afare bi-vacco su qualche spiaggia colpesce che riuscirete a pescare.»

«Scusa, questo non è leale da partetua» protestò Martino. «Perché adessonon vuoi prepararci il pranzo? Ti seivan-tata tante volte che sei capace dicucinare!…»

«È una questione di principio»

affermò Sara. «Non è giusto che perchéla mamma sta male, sia io la sola adarran-giarmi.»

«Va bene. Ti lascerò Annetta»concesse Martino magna-nimo.

Ma neppure così Sara erasoddisfatta, e neppure Annetta a cui nonpiaceva che si decidesse, senzainterpellarla, cosa dovesse fare o nonfare. In definitiva, pensò Martino, quelloche volevano era che fosse lui adarrangiarsi e a cucinare il pranzo.

«Ma io sono maschio!» si ribellòfurioso. Le due bambine però loavevano lasciato solo sulla porta ederano scom-parse in direzione dellacucina. Paonazzo di rabbia, andò a

cercare lo zio Silvestro.Dopo aver guardato invano nei soliti

posti, lo scovò infi-ne in uno dei tucul,in compagnia dei gemelli e con lasirenetta sulle ginocchia.

«Sara mi ha pregato di badare ai piùpiccoli mentre lei e Annetta preparano ilpranzo. Sai che oggi è meglio non di-sturbare la mamma» spiegò con ariagrave.

«Dunque si mangia, dopo tutto!»sospirò Martino solle-vato, ancheperché, se i gemelli restavano con lo zioSilvestro, non lo avrebbero seguito nellasua escursione per im-portunarlo.

«Noi mangeremo» puntualizzò peròlo zio Silvestro. «Ma Sara ha detto che

tu non avrai un solo boccone se nondarai una mano in cucina. E mi sembragiusto. Sapessi quante patate hosbucciato io, quando ero in marina, enon per questo sono diventato unaeffemminata pappamolla!…»

Così Martino li aveva tutti contro!Ebbene, gliela avrebbe fatta vedere!Non sarebbero riusciti a piegarlo!

Prese il suo zaino con carta e matitaper rilevare esattamente la forma dellecoste e si avviò verso il mare senzasalutare nessuno.

Prese quella delle cinque strade cheportava ad est, verso la Grande BarrieraCorallina, e camminò per circa mezz’oraattraverso un boschetto di cedri e pini

non molto alti, con un fitto sottobosco dipalmette nane a ventaglio e di gelsominiselvatici che coprivano la sabbia comeun folto tappeto di la-nugine bianca.Guardò invano tra gli alberi, in cerca diun segno di vita. Nessun animalesembrava abitare quel boschetto, a partecerte grosse cavallette marroni chesaltavano sull’asfalto con un crepitio difoglia secca.

Poi il boschetto finì e la stradaproseguì per un campo brullo, con pochiciuffi di asfodeli secchi e bassi cespuglidi menta profumatissima. Quandoapparvero le prime rocce chedelimitavano la spiaggia, l’asfalto finì eMartino si tolse i sandali per proseguire

a piedi nudi sulla ghiaia. La spiaggia eraformata da ciottoli bianchi e levigaticome uova, ma un po’ più piatti. Verso lariva ce n’erano di quelli tondi e sotti-lissimi che, lanciati di taglio contro lasuperficie dell’acqua, rimbalzanoquattro o cinque volte prima diaffondare. Martino provò subito, ma nonriuscì a far fare al suo disco più di duesalti.

Verso sud le rocce si piegavano aformare un golfo ripa-rato eproseguivano assottigliandosi nellaGrande Barriera Corallina, una catena discogli affioranti appena dall’acqua,ricoperti qua e là da muschio verde.

L’acqua, all’interno di questo golfo,

era particolarmente tranquilla: sidistingueva chiaramente il fondo, anchelui tutto ciottoli, dove nuotavanopigramente grossi pesci argentati, dairiflessi cangianti. Era difficile resistereall’attrattiva di quell’acqua limpida.

Martino si spogliò, fece un fagottodei propri abiti e se lo legò in cima allatesta, come fanno in genere gliesploratori quando affrontano qualcheguado insidioso. Entrò in acqua e nuotòfino al più grosso degli scogli dellabarriera corallina.

Siccome nuotava a rana, cioè con latesta quasi completamente immersa, ilfagotto dei vestiti presto fu tutto bagnato,ma fortunatamente non conteneva né

pistole né fiammiferi, che il contattodell’acqua potesse danneggiare.

Salito sullo scoglio Martino mise ivestiti ad asciugare e cercò con losguardo le numerose patelle cheavrebbero co-stituito la base del suopasto, visto che non aveva ami perpescare. Ma di patelle su quelle roccenon c’era neppure l’ombra.

A sentire Sara, nella spiaggia di SanSalvador c’erano più patelle che scogli,ma qui Martino dovette tristementeconstatare che non ce n’erano affatto.Pensò allora di acchiappare qualchegranchio, e scese nell’acqua bassa,vicino a delle aperture dove pensava sipotessero nascondere. I granchi c’erano,

ma non avevano nessuna intenzione diessere catturati.

I più piccoli erano velocissimi ascappare e a nascondersi sotto le rocce,ed uno molto grosso e peloso credevaevidentemente di dover essere lui acatturare Martino, perché gli si attaccòcon le chele ad un alluce e non lo mollòfinché il ragazzino non ebbe saltellato alungo sullo scoglio scalciandodisperatamente.

Chiuso anche con i granchi, Martinosi rivestì e decise di tentare con i pesci,i grossi pesci argentati e cangianti chevenivano a nuotargli sotto il naso conaria di provocazione, come se volesseroprenderlo in giro.

Probabilmente volevano proprioprenderlo in giro, perché nessuno di lorosi lasciò catturare, né con le mani né conuna specie di fiocina che Martino avevacostruito con un ramo secco.

Durante questi tentativi Martino sibagnò di nuovo tutti i vestiti; e questo fututto quello che ottenne con il suotentativo di pesca.

Stanco, decise che il mattino non erail periodo più adatto per procurarsi ilcibo, e tornò sulla spiaggia a disegnarela forma esatta della cala e degli scogli.

Non starò a raccontarvi degli altrisforzi e tentativi che Martino fece nelprimo pomeriggio per cercare diacchiappare qualcosa da mettere sotto i

denti. Tutto quello che gli riuscì dirimediare fu un grosso riccio nero-violaceo ma, quando lo ebbe spaccatocon una pietra piatta, si accorse che di-sgraziatamente era un riccio maschio eperciò non aveva dentro la stella disaporite lingue rosse, che sono le uovadel riccio femmina, per cui lo gettò viacon dispetto.

Verso le cinque del pomeriggioaveva tanto appetito che avrebbemangiato i sassi. Gli erano venuti deiviolenti cram-pi allo stomaco e temevache, se non avesse rimediato qualcosa dicommestibile entro sera, sarebbe mortodi fame.

Pensò che, tutto sommato, poteva

tornare alla radura senza farsi vedere daquelle vipere delle bambine, introdursinel supermercato e cercare qualcosa chesi potesse mangiare senza bisogno dicucinarla.

Rifece la strada dell’andata conpassi felpati e arrivò al-l’albergo versoil tramonto. Sgattaiolò con mosse felineverso il supermercato, ma arrivatoall’ingresso ebbe la sorpresa di trovarlochiuso da una saracinesca, su cui eraappeso un car-tello: “Per ordinisuperiori il magazzino oggi chiude alledi-ciassette”.

Un altro dei misteri dell’isola? O unbrutto scherzo di Sara e Annetta o dellozio Silvestro? Non si sarebbe mai ab-

bassato a chiederlo. E così non lo seppemai.

Ma sapeva perfettamente di avereuna fame sempre più terribile, per cui,dopo qualche titubanza, osò affacciarsisulla porta della cucina. E qui gli sipresentò uno spettacolo ina-spettato.

Sara e Annetta, che prevedeva ditrovare offese e di pessimo umore peraver dovuto fare tutto il lavoro, ridevanodivertite vicino al frigorifero. I duegemelli se la godevano un mondo aspianare la pasta col mattarello sultavolo di marmo, e lo zio Silvestrotoglieva la buccia a un mucchietto dipatate bollite, cantando canzonimarinaresche.

«Che peccato che tu sia andato inricognizione!» gli gridò Annetta, appenalo vide, senza rinfacciargli niente.«Sapessi come ci siamo divertite acucinare! Per fortuna però sei arrivato intempo per preparare la cena!»

Capitolo settimoDa un paio di giorni Annetta aveva

una nuova preoccupazione. Le parevache lo zio Silvestro non fosse più lostesso vecchio sereno che aveva guidatola Sirena dei sette mari attraverso lanebbia. Allegro il marinaio non lo erastato mai, ma da qualche tempo ibambini avevano l’impressione chefosse terribilmente triste. Annetta,diplomaticamente, aveva cercato difarsene confidare il motivo. Si erainformata sulle sue condizioni distomaco, ma lo zio Silvestro digerivabenissimo. Possedeva ancoraun’abbondante scorta di tabacco da pipae da fiuto, non aveva reumatismi né calli

che sentis-sero il tempo, non soffrivad’insonnia, non era innamorato di unaprincipessa sdegnosa, non avevalasciato a Cala di Rena parenti o amici acui fosse tanto affezionato da non poterresistere un mese senza vederli…

Annetta concluse che probabilmenteera triste perché gli altri naufraghi lotrascuravano. La mamma aveva il suodaf-fare a cucinare, pulire, rintracciare igemelli, calmare i litigi fra Sara eMartino, cercare per l’isola germogli dipiante strane che poi trapiantava in certivasetti trovati nella legnaia, pensare asuo marito, il papà di Annetta, e a quelloche le avrebbe detto al loro ritorno…Non le restava davvero molto tempo per

intrattenere lo zio Silvestro con tutte leattenzioni che ad Annetta sembravanonecessarie. E i cinque bambini eranosempre in giro per l’isola, ad esploraree a cacciarsi nei guai, dai quali,regolarmente, lo zio Silvestro li tiravafuori senza un solo rimprovero.

“Ecco! Ci sono arrivata!” pensòAnnetta. “Lo cerchiamo sempre e soloquando abbiamo bisogno di lui. Ma chelui abbia bisogno di qualcosa, non lopensiamo mai. Certamente è triste acausa della nostra ingratitudine.”

Non era nel carattere di Annetta nonriconoscere i propri errori e non cercaredi porvi rimedio. Appena arrivata aquesta conclusione, convocò i cugini

sull’Isolotto del Cuore e, quando furonotutti riuniti, spiegò loro il motivo dellatristezza dello zio Silvestro.

Gli altri confessarono che non ciavevano mai pensato ma riconobberoche certamente l’ipotesi di Annetta eraquella giusta.

Ora, per farsi perdonare dallo zioSilvestro, l’unico mezzo era ricoprirlodi tante attenzioni che lo ripagasserodella passata ingratitudine.

«Perché non gli facciamo unabellissima festa di compleanno?»propose Martino.

«Ma non è il suo compleanno! Non tiricordi che è nato in dicembre, l’ultimanotte dell’anno, e per questo lo hanno

chiamato Silvestro?» obiettò Sara.«Ma noi in dicembre siamo sempre

in città, e non lo abbiamo festeggiatomai» osservò Annetta. «Non ci sarebbeniente di male ad anticipare la festa,mentre siamo tutti insieme.»

L’idea non era male: i bambini nonaspettavano che un pretesto perrimettersi a cucinare e a organizzare unricevi-mento.

«Gli dovremmo fare dei regali. Deibellissimi regali!»

suggerì Annetta.«D’accordo» rispose Sara «ma dei

regali fatti da noi. Mia madre dicesempre che un regalo comprato vale lametà di un regalo fatto con le proprie

mani. Figuriamoci su quest’isola, doveognuno può andare al supermercato eprendere quello che vuole senza doverlonemmeno pagare!».

In realtà, se lo zio Silvestro avessedesiderato qualche cosa che fossenell’albergo o al supermarket, se lasarebbe già presa.

Bisognava inventare per lui deiregali assolutamente ori-ginali.

Stabilirono che la festa si sarebbetenuta di lì a tre giorni, quando la luna,che stava crescendo, fosse stata piena.

Perché, naturalmente, sarebbe statauna festa notturna.

Il controllo sulla luna era stato datempo affidato a Martino, che ogni notte

segnava con un pastello di cera sul vetrodella finestra della mansarda di quantole dimensioni del sa-tellite della terrafossero cambiate.

Quando erano sbarcati sull’isola laluna era un mezzo disco perfetto: parevaun’anguria tagliata a metà. Poi eradiven-tata sempre più sottile. Una nottel’avevano vista come una falcestrettissima, un capello d’argentocurvato e, la notte dopo, non c’era più.Annetta, che non si intendeva tanto diastronomia, aveva temuto che fossescomparsa per sempre; che un’altradelle stramberie dell’isola fosse quelladi restare senza luna. Ma la notte dopola sottilissima falce era ricom-parsa,

voltata però dall’altra parte, ed eraandata crescendo sotto l’occhio vigile diMartino. Così che presto ci sarebbestato il plenilunio. Esattamente fra tregiorni.

Tre giorni non sono molti perpreparare dei regali, ma i giovaninaufraghi decisero di impegnare tutte leloro energie per riuscirvi. Anche perché,se il tempo a disposizione fosse stato dipiù, forse si sarebbero stufati eavrebbero lasciato i lavori a metà,nonostante tutti i buoni proponimenti.

Per lo zio Silvestro naturalmente iregali dovevano essere una sorpresa. Idue gemelli decisero di fare una collanae una corona di conchiglie come quelle

che portano i re africani nelleillustrazioni delle enciclopedie.

Annetta invece confezionò unberretto a maglia da lupo di mare che glitenesse la testa al calduccio quandofosse tornato a navigare.

Sara aveva preso due lunghi nastri divelluto dal reparto merceria delsupermercato e vi aveva cucito sopradelle piccole pigne, delle bacche diginepro e dei ciuffetti di bacche dieucaliptus, ottenendo due elegantissimebretelle decorate, con le quali lo zioSilvestro avrebbe potuto tener su ipanta-loni, che ora portava legati con unpezzo di corda avvolta intorno alla vita.

Martino dal canto suo, con una

grossa scatola da imbal-laggio dipolistirolo e dei sacchetti di rete cheavevano contenuto delle patate, avevacostruito una gabbia ben arieggiata, peril caso in cui lo zio Silvestro catturasseun coniglio selva-tico o un piccoloippopotamo e lo volesse allevare incasa.

Al terzo giorno i regali eranoterminati, ben confezionati in cartad’alluminio argentata, di quella che siusa in cucina per avvolgere certevivande da mettere in forno.

Al mattino Annetta aveva rivelatoalla mamma il pro-gramma dellagiornata, chiedendole di portare via pertempo i gemelli, che avevano mantenuto

anche troppo a lungo il se-greto ed orastavano per scoppiare, minacciando dirivelarlo prima dell’ora stabilita emandando a monte tutta la sorpresa.

Così, verso le due del pomeriggio,la mamma aveva preso con sé i gemelli,e si era avviata verso il luogo presceltoper la festa.

Sara, con la sua Teti sotto un braccioe una enorme sporta sotto l’altro,l’aveva seguita verso il tramonto.Martino e Annetta erano rimasti abighellonare nella radura, con aria furti-va da congiurati, fino a che lo zioSilvestro, stufo di vederse-li girareattorno senza un motivo, aveva chiestobruscamente:

«Ma insomma, avete il ballo di SanVito, che non potete sedervi un attimotranquilli, o andare da qualche parte agiocare per conto vostro?».

Erano circa le otto e mezzo e ilvecchio era di pessimo umore ancheperché cominciava ad aver fame e nonvedeva alcun preparativo di cena.

Annetta e Martino si guardarono edecisero, senza parlare, che era arrivatoil momento.

«Zio» disse Annetta tutto d’un fiato«devi venire con noi in un posto dove tiaspetta una sorpresa».

«E ti devi lasciar bendare!»aggiunse Martino, perché così avevanodeciso per rendere più emozionante

l’impresa.Lo zio Silvestro si lasciò docilmente

annodare il foulard della mammadavanti agli occhi e dette la mano adAnnetta, mentre Martino li precedeva,aprendo la strada fra i cespugli.

Per arrivare al luogo prestabilitonon percorsero nessuna delle stradeasfaltate, e neppure i sentieri che sisnodavano fra la vegetazione. Perconfondere maggiormente le idee alvecchio marinaio, Martino avevastabilito un itinerario tortuoso attraversoi campi, che toccava tutte le altre zonedell’isola prima di arrivare a quellaverso cui erano diretti. Perciò, senzaveder nulla e guidato dalla mano di

Annetta, lo zio Silvestro camminò, esentì sotto i piedi terra battuta e rocce,sabbia e ciottoli, muschio e ramisecchi… Sentì caldo e fresco, profumidi pini, rose e corbezzoli, rumore dionde e crepitio di grilli…

Ci misero più di due ore araggiungere una spiaggia che distavadalla radura meno di un chilometro, equando Martino tolse allo zio Silvestrola benda dagli occhi, il vecchio potèconstatare che la luna piena splendevaalta nel cielo.

Sulla spiaggia era acceso un grandefuoco, e accanto al fuoco la mamma,Sara e i gemelli accolsero i nuoviarrivati gridando:

«Tanti auguri! Buon compleanno!».Lo zio Silvestro gemette:«Che vergogna! Ho dimenticato che

oggi è il compleanno di Martino? Oforse di Annetta? Perché nessuno me loha ricordato?».

«È il tuo compleanno, e questa è latua festa, zio» disse Annetta, stringendocon affetto la grossa mano che si eraaffidata alla sua per tutto il misteriosopercorso.

Lo zio Silvestro cercò di protestare,di spiegare che lui era nato in dicembre,e che comunque erano secoli che nonfesteggiava più né compleanno néonomastico. Gli altri non lo stetteronemmeno ad ascoltare.

I gemelli gli saltarono addossocostringendolo a scartare il loropacchetto. Gli misero la collana, e leorecchie del marinaio si dimostraronoabbastanza robuste per impedire che lapesante corona gli scivolasse sul naso.

Anche gli altri offrirono i lororegali.

Sara, senza dir niente a nessuno,aveva preparato anche un pacchettinoche consegnò da parte di Teti. Contenevaun batuffolo di ovatta con dentro unrametto di corallo.

La mamma aveva portato un vasocon una piantina di ca-melia fiorita. Lozio Silvestro la sistemò dentro la gabbiaco-struita da Martino.

«Così non mi scapperà» esclamòsoddisfatto «e la potrò annusare ognivolta che ne avrò voglia!».

«Ma io l’avevo preparata perrinchiuderci un animale!»

protestò Martino. «E poi le piantenon scappano!»

Fu una serata memorabile. Saraaveva preparato dei ba-stonciniappuntiti sui quali infilarono dellesalsicce che arro-stirono sul fuoco.Nella borsa della mamma c’eranobiscotti e Coca-Cola.

Sulle rocce trovarono una granquantità di patelle sapori-tissime.Cantarono canzoni di buon compleannoed altre che con i compleanni nonc’entravano affatto, ma non per questoerano meno belle.

Lo zio Silvestro era magnifico eimponente, seduto su un masso con lasua corona di conchiglie infilata sopra ilberretto di lana, le bretelle incrociatesulla canottiera sdrucita e gli altri regali

ai suoi piedi come trofei di caccia.«Gli manca soltanto lo scettro…»

sussurrò Martino all’orecchio diAnnetta, e allora Annetta andò a cogliereun ramo di ginestra fiorita e lo mise frale mani del festeggiato.

Quando finalmente decisero ditornare a casa, non ebbero nessunadifficoltà a ritrovare la strada, perché laluna illumi-nava perfettamente tutta lasuperficie dell’isola.

«Faccio una proposta» disse Sara,mentre si auguravano la buona notte aipiedi della scala dell’albergo«propongo che ad ogni plenilunio sifesteggi il compleanno di qualcuno…».

Naturalmente furono tutti d’accordo.

Capitolo ottavoErano ormai sull’isola da più di

venti giorni. Non erano accadute altrenovità a parte il fatto che i gemelliavevano trovato, in una paludeprosciugata dietro la collina, un’enormetartaruga terrestre che li aveva seguitifino all’albergo, e si era affezionatatalmente da non lasciarli più, neppureper un attimo. Se la portavano anche incamera da letto la notte, trascinandolacon grande fatica su per le scale esistemandola sotto il cassettone.

Di giorno le montavano entrambi sulguscio facendosi trasportare; laportavano alla spiaggia, dove faceva ilbagno con loro.

Galleggiava semisommersa sotto ilpelo dell’acqua, con solo le nariciall’aria per respirare.

I gemelli l’avevano chiamata Lucia,e la trovavano adora-bile.

Poiché non dava fastidio a nessuno,non sporcava, non faceva versi durantela notte (veramente neanche durante ilgiorno, perché le tartarughe sono mute el’unico suono che sono capaci diemettere è uno starnuto. Ma di giorno,anche se avesse nitrito o ululato, nonavrebbe dato fastidio a nessuno), erastata accettata con tolleranza nellapiccola colonia dei naufraghi.

Anche da Sara, nonostante le scaglieche ricoprivano le sue zampe e la sua

coda le ispirassero un po’ di ripugnanza.Ma Martino ripeteva continuamente

che c’era ben poca differenza fra lescaglie di Lucia e le squame della codadi Teti, così che Sara, per quanto pococonvinta e sempre più inva-ghita dellasirenetta, tollerava senza protestare lapresenza della tartaruga.

La vita sull’isola scorrevaabbastanza tranquilla e per i bambiniogni giorno il ricordo di Cala di Rena edei parenti rimasti sulla costa diventavapiù sfumato.

I gemelli non avevano chiesto unasola volta della loro mamma.

In realtà parlavano pochissimo, equando lo facevano era per chiedere

cose essenziali, da ottenersiimmediatamente.

Evidentemente si erano resi contoche la loro mamma non era sull’isola eper questo ritenevano inutile spreco difiato chiedere di lei.

Martino in realtà qualche volta cipensava, ma senza nessuna nostalgia.Era convinto che sua madre stesse bene;lui pure stava bene e certamente ungiorno o l’altro si sarebberoreincontrati.

Sara non aveva lasciato i suoigenitori a Cala di Rena.

Lei, al mare, era ospite dei genitoridi Annetta, perché sua madre negliultimi mesi era stata un po’ sofferente e

aveva deciso di restare in città. Non chefosse di malumore. Aveva dettosemplicemente: «È più prudente così.Preferisco avere un buon ospedale aportata di mano». E il marito, il papà diSara, naturalmente era rimasto a tenerlecompagnia.

Tutti e due avevano uno stranosorriso di complicità, quando avevanosalutato Sara. Come se stessero percombi-narle un bello scherzo. Ma Saraera così contenta di andare al mare conAnnetta, che non aveva chiesto niente.Sapeva che i genitori eranoperfettamente in grado di cavarsela dasoli e, quanto allo scherzo, lo avrebbevisto al suo ritorno.

Sapeva comunque che sarebbedovuta tornare a casa solo a metàsettembre, ed ora non le sembrava che cifosse una gran differenza se, invece chea Cala di Rena, trascorreva le vacanzesull’isola.

Annetta invece aveva un po’ dinostalgia del suo papà, che certamentedava in smanie per l’assenzaingiustificata delle “sue due donne”; manon bisogna dimenticare che era l’unicadei naufraghi ad avere con sé la suamamma, e quindi non aveva il coraggiodi lamentarsi.

Cosa pensasse lo zio Silvestro circale prospettive di un prossimo ritorno aCala di Rena, nessuno lo sapeva, perché

il vecchio marinaio non aveva espressonessuna opinione in proposito.

La mamma invece era moltopreoccupata. Già immaginava irimproveri di tutta la famiglia per nonaver saputo seguire con la Sirena deisette mari l’altra barca anche attraversola nebbia.

Sapeva con certezza che mentre loroerano lì abbandonati, impegnati in unadura lotta per la sopravvivenza su quelloscoglio deserto, le sue sorelle e cognatee cugine sparlavano di lei, che se nestava via tutto quel tempo con i bambinisenza dare notizie. Come se fosse in gitadi piacere!

Le immaginava sedute a bere menta

ghiacciata sulla ter-razza, con i lororicami a mezzo punto e la lingua prontaalle critiche e al pettegolezzo. Ma, indefinitiva, cosa poteva farcì lei, senell’isola non c’era nessun mezzo percomunicare col mondo civile?

Fosse almeno passato un piccioneviaggiatore, gli avrebbe legato ad unazampina un messaggio con richiested’aiuto.

Ma sull’isola volavano gabbiani erondini in quantità; una mattina avevanovisto una famiglia di merli e Martinogiura-va di aver sorpreso nel bosco unpicchio intento a beccare il tronco di unpino.

Piccioni viaggiatori però ancora non

se n’erano visti.Finché, al ventunesimo giorno, la

mamma prese una decisione. Acolazione annunciò a tutti di avereorganizzato un pic-nic e propose comemeta l’Isolotto del Telefono.

Poiché l’isolotto in questione nonera stato ancora esplorato, Martino,pieno di entusiasmo, accettò per primola proposta, trascinando anche gli altri,compreso lo zio Silvestro.

Così, verso le undici di mattina simisero in cammino attraverso ilboschetto di querce che ricopriva quasicompletamente quello spicchiodell’isola a nord-ovest.

Procedevano aprendosi la strada tra

le felci alte quasi quanto loro, guidati daMartino che portava una borsa con uncannocchiale, un metro da muratore, unblocco di carta qua-drettata e un bel po’di penne e matite.

Seguivano i due gemelli, con la lorotartaruga al guinza-glio, e il pesanteanimale abbatteva al suo passaggio unastriscia di felci, facendo un rumored’inferno.

Poi veniva Annetta, con una borsatermica piena di prov-viste preparatedalla mamma; la seguiva Sara, chereggeva con molta precauzione lasirenetta, avvolta per l’occasione in unatenda a fiori staccata da una finestradell’albergo e inu-midita d’acqua salata.

Per ultimi venivano la mamma e lozio Silvestro, carichi come muli di borsee zaini che contenevano un numero inve-rosimile di bottigliette di bibite d’ognitipo.

Sotto le querce non faceva caldocome sulla radura; anche l’aria eradiversa: più limpida e pungente, e gliodori non erano quelli del palmeto odella cala di San Salvador. Attra-versarono a guado un ruscello, quasi unpiccolo torrente dalle acque gelide.

Martino prendeva attentamente notadi tutto nella sua cartina e misurò lalarghezza del ruscello col metrosnodabi-le, rischiando di cadere inacqua.

Finalmente arrivarono in vistadell’Isolotto del Telefono, ma la costanon era bassa, e per arrivare al maredovettero scendere per una crepascoscesa che si apriva quasi a precipi-zio nella roccia di granito scuro. Infondo c’era una piccolis-sima spiaggettasassosa. In realtà erano più conchiglieche sassi, e bianchi ossi di seppia aforma di barchetta, e fram-menti dicorallo rosa.

Qui lo zio Silvestro gonfiò il canottoche aveva trovato in un sottoscaladell’albergo.

Vi chiederete probabilmente perchénon se ne erano ser-viti per cercare dilasciare l’isola, ma era un canotto

troppo piccolo: c’era posto solo per duepersone, non era assolutamente in gradodi affrontare il mare alto e poi in chedirezione avrebbero dovuto navigare?

L’isolotto distava dalla costa pocopiù di cento metri. Prima di tutto lo zioSilvestro vi trasportò Sara che tenevasempre in braccio la sirenetta. Appenasbarcata sull’isolotto Sara corse abagnare la coda a Teti, sistemandola poiall’ombra di un cespuglio, ben avvoltanella tenda a fiorami. Poi fu la volta diAnnetta; quindi lo zio Silvestro trasportòi bagagli. Col viaggio successivo arrivòMartino, mentre la mamma dallaspiaggia dirigeva le operazioni. Fuquindi il turno dei gemelli e per ultima

trasportò la mamma; dopo di che eranoproprio tutti sull’isolotto.

L’operazione di trasporto si erasvolta senza complicazio-ni, a parte unattimo di spavento, quando sembravache il peso di Lucia dovesse faraffondare il canotto.

E lo zio Silvestro non parevaneppure annoiato per aver dovutoripetere lo stesso percorso tante volte.Disse che, quando era in marina e la suanave attraccava a un porto, i marinai allescialuppe dovevano percorrere lo stessotragitto anche cento volte in un giorno, enon per questo si lamenta-vano.

Capitolo nonoCercarono subito un posto dove fare

il pic-nic e trovarono un bello spiazzosgombro di cespugli, ma ombreggiato dadue grandi querce da ghiande. Dallequerce cadeva una pioggia di bruchipelosi, gialli e marroni, bellissimi.Eccitati i bambini si misero araccoglierli per conservarli in scatolettedi fiammiferi ma, quando videro che cen’erano tanti, parte dell’entusiasmo liabbandonò. Li abbandonò del tutto piùtardi, quando diventò un’impresaaddentare un panino imbottito senzadover togliere dal salame un brucoappena piovuto dall’alto.

Quando la mamma svuotò sul

muschio le sue borse e i suoi zaini, ibambini si accorsero delusi che non eratanto brava a organizzare un pic-nic. Lapasseggiata nel bosco aveva fatto venireloro una fame robusta ed ora scoprivanoche la mamma aveva portato pochissimaroba da mangiare e una quantitàimmensa di bevande. C’erano almenocinquanta bottiglie, fra aranciate,gazzose, Coca-Cola, limonate, granatinee altri simili sciroppi. Mentre c’eranosolo quindici panini e, considerando chei naufraghi erano sette, ne toccavanoappena due a testa, con l’avanzo di uno,che subito Martino riservò mentalmenteper sé.

Gli altri non osavano protestare, ma

Annetta, forte della sua stretta parentelacon la mamma, non resistette:

«Insomma» chiese in tono dirimprovero «credevi di por-tarci in undeserto, con tutta questa roba da bere? Ese noi, per caso, avessimo più fame chesete? E se sull’isolotto ci fosse unasorgente? Mentre non ci sarà di certouna pianta di panini imbottiti!».

In realtà Martino in una rapidaricognizione aveva già adocchiato unarbusto di corbezzoli carico delleprofumatis-sime bacche rosse, e già siconsolava dalla prospettiva del di-giuno.

Ma la mamma non parve affattoimbarazzata dal rimprovero di Annetta.

Anzi, spiegò seraficamente che l’avevafatto apposta.

Due giorni prima, dalla collinettadel gruppo elettrogeno, aveva potutoosservare che l’Isolotto del Telefono erail punto dell’isola maggiormenteattraversato dalle correnti marine.

Ce n’erano almeno tre che andavanoin tre direzioni differenti.

Per questo aveva pensato che fosseil posto più adatto per lanciare verso ilmondo civile richiami d’aiuto.

E i richiami d’aiuto devono esserecontenuti nelle bottiglie.

Loro che, a differenza degli altrinaufraghi, fortunatamente ne avevano inabbondanza e non dovevano fare eco-

nomia, invece che un messaggio in unabottiglia, avrebbero lanciato in marecinquanta messaggi in cinquantabottiglie, per avere maggiori probabilitàdi essere salvati, e le tre correnti sisarebbero incaricate di portarli in zonediverse della terra.

Questo progetto consolòimmediatamente i bambini dalladelusione per lo sfumato spuntino.Persino Martino decise eroicamente cheavrebbe diviso il panino in più conqualcuno.

Mangiarono velocemente, ma perquanto avessero cercato di farsi venirsete, alla fine del pasto soltantoquattordici bottigliette erano state

vuotate. Allora si organizzarono così: lozio Silvestro stappava le bottiglieancora piene, i gemelli le vuotavano inuna buca scavata per terra, lerisciacquavano ad una sorgente vicina ele facevano asciugare, mentre lamamma, Sara, Annetta e Martinocompilavano il testo del messaggio.

Anzi, Sara consigliò giudiziosamentedi fare almeno tre messaggi differenti,perché non si sa mai in mano di chipotevano capitare, ed era meglioconsiderare tutte le possibilità.

Non era difficile chiedere soccorso,descrivere la propria situazionedisperata, impietosire l’animo del piùsanguinario corsaro che potesse

imbattersi in una loro bottiglia… Ma ledifficoltà cominciavano quando sidovevano dare le istruzioni per ilsalvataggio. In che modo i soccorritoripotevano raggiungere l’isola, se nonvenivano informati né del suo nome nédella sua posizione?

Forse seguendo al contrario lacorrente che aveva portato fino a loro labottiglia col messaggio?

Sorvolando con un elicottero tutti glioceani alla ricerca di un’isola con suuna radura e nella radura un albergo e ungruppo di tucul? Qualsiasi isola sede diun Club Méditerranée li avrebbe tratti ininganno.

Purtroppo non c’era altra scelta cheaffidarsi alla fortuna.

Come c’erano arrivati loro suquell’isola eccentrica, ci sarebbe purarrivato qualcun altro O forse no?Comunque biso-gnava tentare tutto C’erasempre tempo a mettersi il cuore inpace. Annetta suggerì un messaggio diquesto tenore: Pensava che chiederesoccorso in nome delle nonne fosse unacosa molto originale ed efficace. Quale

lupo di mare o comandante di vascellonon bacia il ritratto della propria nonnaprima di andare a dormire e non lainvoca nei momen-ti di pericolo? Avevavolutamente esagerato la situazionemangereccia, perché pensava che,leggendo che avevano a

loro disposizione un supermercatopieno, nessuno si sarebbe scomodato adarrivare fin lì per salvarli.

Il messaggio di Martino era invecediretto a un salvatore più “scientifico”.Diceva:

Non gli pareva brutto mentire aproposito dei diamanti, in realtà non eraneppure sicuro che fosse una bugia. In

fondo non avevano ancora esploratocompletamente tutta l’isola e potevadarsi che una miniera di pietre prezioseci fosse davvero. Quanto all’aggettivo“tettonico” non sapeva esattamente cosasignificasse, ma lo aveva letto una voltasu un atlante e gli pareva che il suonoavrebbe fatto un ottimo ef-fetto su unsalvatore istruito e desideroso diricchezze.

Il messaggio di Sara era molto piùonesto e rispondente alla realtà:

Era sicurissima che i suoi genitori, eanche quelli di Martino, e il papà dìAnnetta e la nonna Rosina avrebberodato una grossa mancia pur di

riabbracciarli. I genitori dello zioSilvestro probabilmente erano morti datanto tempo, ma Sara avrebbe rotto ilsuo salvadanaio per pagare la loro quotae non far fare una brutta figura al loroanziano amico.

Fecero quindici copie di ciascunodei tre messaggi, più cinque bigliettisemplici, con su scritto AIUTO in tuttele lingue che conoscevano, che nonerano poi molte.

Misero ogni messaggio dentro unabottiglia, che venne tappata con cura epoi organizzarono una gara a chilanciava le bottiglie più lontano. Inmare, naturalmente, anche se i gemelline lanciarono per sbaglio due sullacollina, proprio contro un masso che lemandò in mille pezzi, così che in giroper il mondo di richieste d’aiuto nerimasero solo quarantot-to. Per fortunale due rotte erano di quelle colmessaggio corto, con AIUTO in tutte le

lingue, e i gemelli non furono rim-proverati per la mancanza di mira.

Per rimpiazzare almeno in parte idue messaggi non spe-diti, Martinopropose di usare come ultima bottiglia ilbiberon di Teti, anche perché aveva giàdato ottime prove di saper tenere il maree di arrivare a destinazione, e quasiquasi nell’euforia generale la mammagliel’avrebbe permesso, se Sara non sifosse opposta decisamente, minacciandotutti, compresa l’innocente Lucia, diterribili rappresaglie.

Le correnti marine afferrarono tuttele bottiglie e in un batter d’occhio leportarono al largo, fuori della vista deisette naufraghi.

Martino controllò che non ne fosserimasta qualcuna in-cagliata negli scoglivicini, dopo di che decisero dicominciare ad aspettare i soccorsi.

Capitolo decimoNessuno di loro si aspettava, però,

che i soccorritori arrivasseroimmediatamente. Quindi cercarono diorganizzarsi come meglio potevano pertrascorrere il tempo dell’attesa.

La mamma e lo zio Silvestro feceroun’ispezione al supermercato percontrollare quanto cibo vi restasseancora e per decidere se era il caso dicominciare i razionamenti.

Nei banchi degli alimentari, alsupermercato, i prodotti cominciavano ascarseggiare. E’ vero che all’arrivo deinaufraghi ce n’erano in grandeabbondanza, ma durante tutto quel tempone erano stati consumati parecchi, senza

che nessuno rifornisse i reparti vuoti.Ormai il supermercato faceva una

strana impressione, so-prattutto aibambini, abituati, in città, a fare la spesatutti i giorni fra banchi sempretraboccanti di scatole e pacchetti.

Rimanevano ancora quasi intatti gliscaffali dei detersivi, perché la mammanon aveva poi fatto grandi bucati, prefe-rendo utilizzare le lenzuola e gliasciugamani puliti delle altre cameredell’albergo ogni volta che si rendevanecessario un cambio di biancheria.

C’era anche una certa quantità discatolame, ma le verdu-re fresche eranoquasi esaurite, a parte le barbabietole ele rape che non piacevano a nessuno.Latte, burro e formaggio erano aglisgoccioli. Di carne e salumi ne restavaper circa una settimana; i surgelati eranofiniti completamente, mentre di pasta,riso e fiocchi d’avena ce n’era ancora inabbondanza.

In complesso la situazione non eradrammatica, anche se non si potevanopiù scegliere i menù preferiti con lafacilità dei primi giorni.

Per quanto riguarda le bevande,l’isola aveva diverse sor-genti di acquaben più fresca e dissetante di qualsiasigazzosa o Coca-Cola.

Inoltre in caso di necessità sisarebbero potuti anche nu-trire con lerisorse naturali dell’isola. Dietrol’albergo crescevano infatti un enormemelo secolare, carico di meline rosseprofumate, e due alberi di fico.

La foresta di querce a nord-ovestaveva castagne, cespugli di corbezzoli,arbusti di nocciole e piante di fragole.

Dai pini della zona ad est pendevanogrosse pigne resino-se gonfie dideliziosi pinoli, e con un po’ di buonavolontà lo zio Silvestro avrebbe potutocostruire delle lenze per pescare inumerosi pesci che nuotavano vicinoalle coste.

Certo, gli approvvigionamentisarebbero stati molto più difficili efaticosi, tutto sarebbe statoassolutamente diverso dall’attraversarecol carrello le corsie del supermercatopren-dendo tutto quello di cui si avevabisogno o voglia. E senza dover pagarea nessuna cassa, per giunta.

La colpa era tutta di RobinsonCrusoe, pensava Martino.

Se infatti quel primo naufrago-modello non fosse stato tanto zelante,nessuno lo avrebbe potuto additare comeesempio a chicchessia, e il noncavarsela su un’isola deserta nonsarebbe stata considerata da quellirimasti a terra una cosa vergognosa.

Per non parlare di quegli attivissimiprofessori e nostromi e schiavi negridell’ Isola misteriosa di Verne che Saraammi-rava tanto. Addirittura una voltaaveva detto che da grande avrebbesposato uno come il professor CyrusSmith; senza accorgersi di quanto fosseridicolo, in giro per l’isola selvag-gia

con la sua giacca a falde e il cappello acilindro…

Il primo, il primissimo di tutti inaufraghi illustri, a parte Giona, pensavaMartino, in fondo era stato Ulisse, che dinaufragi ne aveva fatti più di quanti unragazzo avventuroso possa augurarsi.

Ebbene, forse che Ulisse, appenaarrivato a terra, si era dato tanto dafare? Per quanto risultava a Martino dairaccon-ti della sua mamma (cheinsegnava lettere in una scuola media equindi questa storia ormai la conoscevaa memoria) Ulisse non aveva piantato unsolo chiodo, o strofinato un le-gnetto peraccendere il fuoco, o tracciato unacartina geogra-fica… E se l’era sempre

cavata magnificamente, fino a quellasplendida rivincita finale contro i suoiavversari, degna del più emozionantefilm western.

Perché doveva essere Robinson ilmodello da seguire e non Ulisse,Martino proprio non lo capiva. Fral’altro, gli faceva osservare Annetta,Robinson sulla sua isola non aveva unostraccio di fidanzata, mentre Ulisse, intutte le terre dove capitava, facevainnamorare fior di maghe, principesse,ninfe e portatrici d’acqua. Ma su questopunto Martino preferiva la sorte diRobinson. Sono una tale scocciatura ledonne, nei naufragi, con i loro gemelli,le sirenette, le smancerie e la pretesa

che gli uomini aiutino in cucina!Quello della sirenetta era un

argomento che provocava moltediscussioni fra Sara e Martino.

«Non è ecologico che tu la tenga inun acquario casalin-go» dicevaaccusatore il ragazzino. «In questo modorompi l’equilibrio della natura, non tel’hanno insegnato a scuola?

La devi ributtare subito in mare senon vuoi rovinare irrecu-perabilmente lafauna costiera, privandola di uno deisuoi elementi essenziali.»

«Prima di tutto Teti non è una fauna,ma una sirena» ri-batteva Sara, che nonconosceva bene tutte quelle parolescientifiche «e poi non rompe

l’equilibrio di nessuno. Forse chequalcuno è caduto? O è successoqualcosa di male? E

poi, sai benissimo che la devocustodire finché sua madre verrà ariprenderla…».

«Sua madre!» esclamava Martino intono sprezzante.

«Bella madre, autrice di una letteraanonima! Certamente una persona, anziun mezzo-pesce, di cui fidarsi! Credidavvero che verrà a riprenderla?Secondo me ti ha raccontato un sacco difrottole per rifilartela e ha tuttal’intenzione di la-sciartela persempre…»

«Benissimo!» rispondeva Sara in

tono di sfida «in questo caso la terrò persempre. Anzi, lo preferirei proprio,guarda!

E anche mia mamma e mio papà, nesono sicura. E’ un po’ di tempo checontinuano a dire quanto sarebbe belloavere in casa un nuovo bambino…».

«Proprio uno splendido bambino,con la coda e le squame e puzzo dipesce per un chilometro intorno!Scommetto che appena la vedranno ituoi genitori la porteranno al giardi-nozoologico e la regaleranno al dìrettore.Magari in cambio ti daranno unabbonamento gratuito per poterlavisitare tutte le domeniche…»

Regolarmente lo zio Silvestro e la

mamma dovevano intervenire per porrefine al litigio.

Sara afferrava la sua Teti e se neandava in disparte con aria offesa, eMartino continuava la discussione conchiunque fosse disposto ad ascoltarlo ea rispondergli, poiché gli parevaassurdo che Sara rifiutasse di andare afondo della questione, che tutto sommatoera un problema eminentemen-tescientifico.

Annetta invece non aveva problemi,a parte la nostalgia del suo papà.

Tutte le mattine andava col suocostume da bagno in una spiaggia o suuno scoglio diverso, e in questo modoaveva finito per conoscere l’isola molto

meglio di Martino, con le sue spedizioniscientifiche. Il paesaggio era bello evariato. La natura generosa e il climamite promettevano di sopperire a tutte lenecessità dei naufraghi anche quandotutte le scorte alimentari delsupermercato fossero state esaurite.

Non ci sarebbe stata alcunanecessità di abbandonarla, se non fossestato per il resto dei parenti rimasti aCala di Rena.

A volte Sara si chiedeva sospirandoperché anche la barca degli adulti non sifosse smarrita insieme a loro nellanebbia. Questo non avrebbe risolto ilsuo problema personale, perché i suoigenitori non erano su quella barca, ma

non avrebbe privato i gemellidella loro mamma, né la zia di suo

marito, il papà di Annetta.In realtà tutti i naufraghi, mentre

aspettavano l’arrivo dei soccorsi, siaccorgevano anche di quanto sarebbedispiaciuto loro lasciare l’isola.

Ciascuno si augurava in cuor suo discoprire, al momento della partenza, lastrada del ritorno, in modo da potertornare sull’isola ogni volta che neavesse avuto voglia.

Interrogato in proposito, come il piùesperto di questi problemi, lo zioSilvestro aveva però scosso la testa:«Queste isole sono come la giovinezza»aveva detto. «Per quanto riguarda la miaesperienza, quando uno se ne allontananon ha più la facoltà di tornareindietro…»

Martino però non disperava. Nonche dubitasse della sin-cerità dello zioSilvestro; ma in fondo il vecchioapparteneva a un’altra generazione,quando ancora la scienza non avevatrionfato, quando la luna era considerataancora irraggiungi-bile…

Come, gli astronauti, dopo la primavolta, avevano ritro-vato la strada per la

luna, e loro non sarebbero riusciti atornare sull’isola?

La sua convinzione era così fermache operò anche sugli altri bambini,dissipando da loro ogni tristezzaall’idea di una prossima partenza.

Non avrebbero abbandonato la loroisola: la avrebbero solo lasciata per unpoco, giusto per riabbracciare i genitorie la nonna Rosina, ma presto,prestissimo, vi avrebbero fatto ritorno,magari con un operaio dell’aziendatelefonica che riallacciasse la lineainterrotta e permettesse così di averecontatti regolari col resto del mondo.

Capitolo undicesimoCirca una settimana dopo il lancio

delle bottiglie con i messaggi, la sortepose Martino davanti a una drammaticaal-ternativa.

O meglio, ve lo misero i gemelli, mapoiché lo fecero senza nessunapremeditazione di costringerlo ad unascelta, possiamo ben dire che, senzavolerlo, indossarono i panni del destino.

Capitò così: un pomeriggioparticolarmente afoso, la sie-sta dellamamma e dello zio Silvestro fu interrottadai richiami allarmati di Sara, che avevatrovato l’acquario vuoto.

Che la sirenetta se ne fosseallontanata con i propri mezzi non era

possibile: a terra Teti non era capace difare altro che goffi movimenti con lacoda e si trovava impacciata, è proprioil caso di dirlo, come un pesce fuord’acqua.

Qualcuno dunque l’aveva portatavia. Sul primo momento Sara avevapensato che l’essere misterioso chel’aveva abbandonata sotto la Sirena deisette mari fosse tornato a riprenderla. E,oltre che addolorata, si era sentita ancheoffesa che non le fosse stato lasciatoalcun biglietto di ringrazia-mento ospiegazione. Ma poi aveva notato, sottoil tavolo su cui era poggiato l’acquario,delle tracce di bagnato e due o tresquame di Teti.

Seguendo la striscia d’acqua sulpavimento, aveva trovato un sandalo didimensioni minuscole… il sandalo diuno dei gemelli, non era in grado distabilire quale.

Subito era corsa a cercare Ina eRocco in tutti gli angoli della radura incui erano soliti giocare, ma, come siaspettava, non li aveva trovati.

Non era la prima né la seconda voltache i gemelli spari-vano dallacircolazione per un paio d’ore, per poiricomparire sani e salvi e muti comepesci sul modo in cui avevano tra-scorso tutto quel tempo.

Però questa volta avevano portatocon sé la sirenetta e lo zio Silvestro si

accorse che dal sottoscala mancavaanche il canotto, cosa che non facevapresagire niente di buono.

Stabilirono quindi di andare acercarli e si divisero le cinque zonedell’isola, in modo che ciascuno di lorone avesse solo una, ma la potesseperlustrare minuziosamente.

A Martino toccò la zona B, con lasua baia sabbiosa, le palme e gli uccellidel paradiso… E con il piccolo stagnopieno di ninfee, dall’aria falsamentetranquilla.

Fu proprio sulle rive dello stagnoche, dopo un’ora di inutileperlustrazione, Martino sentì le voci deidue gemelli, ed un’altra voce

sconosciuta che parlava in una linguache Martino non aveva mai sentito,neppure scorrendo tutte le stazio-ni dellaradio.

Chi era il misterioso interlocutoredei gemelli? A Martino quasi spuntaronole antenne per la curiosità.

Una ottava persona era vissuta pertutto quel tempo sull’isola senza cheloro se ne accorgessero?

O era appena arrivata dal mare?Strisciando come un indiano dietro

le enormi foglie tro-picali, si spostò inuna posizione in cui potesse anchevedere, oltre che sentire. E questo fuquello che vide: sulla superficie dellostagno galleggiava uno scatolone di

cartone. Dentro lo scatolone stavano igemelli che, chissà per quale motivo,avevano abbandonato il canotto sgonfiosulla riva. Forse, nel trasportarloattraverso gli sterpi, lo avevano bucato.

Avevano con loro Teti e remavanovigorosamente verso un lato dello stagnoin cui si apriva una grotta subacquea, acui Martino, fino a quel giorno, nonaveva fatto molto caso.

Il cartone della scatola si era giàinzuppato d’acqua sul fondo e larudimentale imbarcazione affondavalentamente, ma i suoi occupantisembravano non accorgersene.

Ciò che riempì Martino di terroreperò non fu la semplice prospettiva che i

gemelli finissero a bagno, quanto lapresenza, nell’acqua ritenuta fino adallora così tranquilla, di tutte le bestieferoci la cui comparsa avevano fino adallora spiato invano.

Sull’imboccatura della grotta stavaun grosso ippopotamo, dai piccoli occhimalvagi. Era lui che, con tono insi-nuante, emetteva quei grugniti che primaMartino aveva scambiato per una linguastraniera. Quasi completamente im-

merso nell’acqua e nel fango delfondale, affiorava con le grosse narici econ gli occhietti stupidamente crudeli.Dietro di lui si apriva l’oscuritàmisteriosa della grotta, cheevidentemente si estendeva per un largotratto.

Ina e Rocco, come affascinati, sidirigevano senza esita-zione verso quelbestione. Forse lo credevano un grossogio-cattolo di gomma, forse pensavanoche fosse la madre di Teti, chissà…

Ma l’ippopotamo non era l’unicaminaccia per quei bambini incoscienti.

Fra le piante di ninfea galleggiavanodegli oggetti che dapprima a Martinosembrarono tronchi, ma poi uno dei

tronchi spalancò pigramente la bocca,che era enorme e piena di dentiacuminati, e Martino capì che si trattavadi caimani.

Circondavano la scatola tranquilli,certi che era sufficiente un poco dipazienza perché le prede arrivassero dasole a portata delle loro fauci. E sulfondo dello stagno un rapido guizzare dipinne e un biancheggiare di dentirivelavano la presenza di un branco digrossi pesci piranha affamati. Chiavesse seguito fin qui le gestaspericolate dei gemelli, avrebbe tutto ildiritto di pensare che finalmente perloro era arrivata la giusta punizione.Tante volte avevano sfidato la sorte e la

pazienza dei grandi, che prima o dopodoveva capitare loro qualcosa delgenere.

Anche Martino fece questa logicariflessione, ma solo per un attimo.

Capì infatti che se Rocco ed Inafossero finiti in pancia all’ippopotamo oai caimani, la lezione non sarebbeservita loro a niente, perché nonavrebbero più avuto tempo per met-terlain pratica.

Senza contare che allo stesso rischioera esposta Teti, che non aveva maimosso l’unghia di un alluce (ancheperché non aveva alluci) per darepreoccupazioni a chicchessia.

Non sfiorò la mente di Martino il

pensiero che, senza i pestiferi gemelli ela sirenetta la vita sull’isola e a casasarebbe stata molto più tranquilla, eneppure l’idea che Sara l’avrebbe finitauna volta per tutte con le sue smancerie.

Non si consolò neppure con l’ipotesiche magari tutti quegli animali erano inrealtà innocui e pacifici, e che nonvolevano altro che attirare i gemellinella grotta per eleggerli re e regina delloro mondo sottomarino, cosa cheavrebbe nello stesso tempo datoprestigio alla famiglia ed eliminato lapiù grossa fonte di seccature. Niente ditutto questo pensò il valoroso Martino,piuttosto la sua mente scientifica fu col-pita da un nuovo pensiero.

A parte il pericolo rappresentatodagli animali, cosa sarebbe accaduto aTeti, quando la scatola di cartone fosseaffondata?

Le istruzioni contenute nel biberonparlavano di aria e di acqua di mare, malo stagno era d’acqua dolce e Martinosapeva che per i pesci e gli anfibi ladifferenza è fondamentale.

L’organismo della sirenetta avrebberesistito ad una im-mersione nell’acquadello stagno o la poverina vi sarebbemi-seramente annegata?

Capitolo dodicesimoTutte queste considerazioni che ci

hanno portato via una pagina interaMartino le fece in pochi secondi, mentrefissa-va spaventato il centro dellostagno per tenere sotto controllol’evolversi del dramma. Altrettantorapido fu nel prendere la sua decisione.Sarebbe intervenuto a salvare i trepiccoli incoscienti, anche a rischio difinire con loro fra i denti dei piranha.

Poiché il canotto non galleggiava enon era prudente raggiungere loscatolone a nuoto, l’unica soluzione chegli restava era quella di raggiungerlo pervia aerea. Fortunatamente sulla rivadello stagno crescevano dei grossi

baobab, e dai loro rami pendevano lianerobuste.

Martino ne scelse unaparticolarmente lunga, se ne legòl’estremità attorno alla vita per avere lemani libere e, salito su un ramo, sislanciò nel vuoto con un urlo più potentedi quelli di Tarzan.

Ina fece appena in tempo ad alzaregli occhi verso l’origine di quel rumore,che le braccia di Martino la cinsero,solle-vandola per aria e deponendola,alla fine della traiettoria, su un grossoramo di un albero della sponda opposta.

Vedendosi sfuggire la preda, icaimani si erano stretti mi-nacciosiattorno allo scatolone e aprivano erichiudevano le grandi mascelle con unrumore secco di tagliola.

Un secondo urlo avvisò Rocco cheMartino ritornava.

Questa volta il volo fu più deciso ein un batter d’occhio anche il gemello sitrovò in salvo. Ma quando Martino,ripreso fiato, stava per spiccare il terzobalzo in soccorso della sirenetta, videcon angoscia che forse non avrebbe fattoin tempo a salvarla.

Per il dispetto di vedersi sfuggireanche Rocco, uno dei caimani avevaazzannato un angolo della scatola,

strappandone via un bel lembo dicartone.

La scatola ora affondavavelocemente, e la povera Teti sidibatteva spaventata in quell’elementosconosciuto che era per lei l’acquadolce, starnutendo e stendendo lebraccia pie-tosamente verso Martino.

L’ippopotamo era emerso sbuffandodal fango e si dirigeva anche luifuribondo verso il centro dello stagno.

I piranha aspettavano, acquattati sulfondo, per niente im-pietositi dal fattoche Teti avesse la coda come loro.

Mentre i tre bambini, impietriti, nonsapevano come soc-correre la poverina,videro un grosso sasso scuro che

giaceva sul fondo dello stagnosollevarsi velocemente verso lasuperficie. Il sasso mise fuori testa,zampe e coda e nuotò rapido verso lasirenetta.

Era Lucia, che aveva seguito tutto ildramma dall’inizio e si era tenuta prontaad intervenire nel momento opportuno.

Si infilò sotto Teti e la sollevò soprail pelo dell’acqua, affiorando comeun’isoletta.

Ippopotamo, caimani e piranha le siavventarono contro furibondi, ma Luciaaveva ritirato testa, zampe e coda dentroil guscio, e non riuscirono a farle alcunmale.

Anzi, uno dei caimani si spezzò due

denti incisivi nel tentativo di morsicarla.Per non costringerla a tirare ancora

fuori le zampe per raggiungere la riva anuoto, esponendosi così ai denti dei suoinemici, Martino e i gemelli presero alanciarle contro dei sassi che laspingessero verso la sponda più vicina.Ogni tanto sbagliavano mira e colpivanogli animali, che davano dei grandi guizzie gemiti di dolore. Ma i bambini non sidi-spiacevano affatto di questi sbagli.

Un sasso colpì anche la povera Teti,che arrivò in salvo con un bernoccolosulla fronte, ma in confronto al fatto diavere salva la vita, cos’è un bernoccolo,anche per una sirena?

Quando Lucia e Teti furono al

sicuro, l’ippopotamo dette un grossogrugnito di disappunto, spruzzò dal nasoacqua fangosa in tutte le direzioni enuotò all’interno della caverna seguitodai caimani e dai piranha.

Dopo pochi secondi erano spariti, edella terribile avventura non rimanevaalcuna traccia, se si eccettua ilbernoccolo di Teti e qualche scorticaturasul guscio della tartaruga.

Quell’ipocrita di uno stagno avevariassunto in gran fretta un’aria innocente,con l’acqua ferma, le ninfee profumate ei voli degli uccelli del paradiso fra leliane.

Be’, lo avreste mai detto? Nessunoall’albergo, quando Martino fece ritorno

con i tre scomparsi, credette al raccontodella sua eroica impresa.

La mamma e lo zio Silvestro,constatato che gemelli e sirena fosserosani e salvi, quasi non lo stetteroneanche ad ascoltare.

Sara e Annetta, dal canto loro, loguardarono diffidenti e alla fine glirimproverarono di avere troppa fantasia.(Come se poi questa fosse un difetto!)

I gemelli non fecero niente per darecredito al racconto con la lorotestimonianza. Come al solito, al terminedi ogni sparizione, si chiusero in undignitoso silenzio.

Le uniche che avrebbero volutoaiutare Martino, Teti e Lucia, non

sapevano parlare e le prove concretedella loro avventura che portavano su disé, bernoccolo e scorticature, nonservirono ad altro che procurare al lorosalvatore un bel rimprovero da parte diSara, mentre questa applicava premu-rosa una gran quantità di cerotti.

Così Martino esperimentò dipersona l’ingratitudine el’incomprensione umana.

Capitolo tredicesimoSecondo il diario della mamma, era

arrivata la fine di agosto. Domanisarebbe stato già settembre e a Cala diRena sarebbero iniziati i preparativi peril rientro in città.

I naufraghi si trovavano nell’isola daun mese e mezzo, e niente faceva loropresagire la fine dell’avventura.

Annetta pensava preoccupata chesarebbero cominciate le scuole. Comeavrebbe fatto senza di lei la suacompagna di banco Giuseppina? Leavrebbe conservato il posto metten-doogni giorno fiori freschi in un vasettopieno d’acqua sul banco, o l’avrebbesostituita con un’altra bambina?

Martino diceva che era troppopresto per preoccuparsi per la scuola:che prima sarebbe certamente capitatoqualcosa.

Infatti qualcosa capitò propriol’ultimo giorno di agosto, e fu qualcosatalmente importante da capovolgerecompletamente la situazione.

La mamma aveva di nuovo il mal dìdenti. Non tanto forte da costringerla incamera al buio, ma abbastanza da farlaciondolare per l’albergo con ariasofferente, imprecando contro lamancanza di una farmacia o di undentista.

In realtà ormai erano molte le coseche mancavano sull’isola, e più ancora

quelle che scarseggiavano. Da tre giornila mamma e lo zio Silvestro avevanocominciato il razionamen-to dei cibi econtemporaneamente avevano chiesto aibambini di osservare e segnalare, nelleloro scorribande, tutti i luo-ghidell’isola dove crescesse qualcosa dicommestibile.

Sara aveva fatto di più: avevamunito gli altri quattro bambini dinumerosi sacchetti di plastica e non lilasciava al-lontanare dalla radura senzache ne avessero con sé qualcuno, dariportare indietro pieno di nocciole opinoli. Da parte sua aveva cominciato araccogliere le mele, che ammucchia-vanella dispensa dell’albergo.

Quel giorno però, impietosita dallecondizioni della zia, aveva deciso ditralasciare la raccolta dei viveri e avevachiesto ad Annetta di accompagnarla nelboschetto di cipressi, davantiall’Isolotto del Cuore a cogliere un belmazzo di rose bianche. Avevanosperimentato infatti che un regalo di fioriotteneva il risultato di riportare ilbuonumore alla mamma, quandoqualcosa l’aveva contrariata.

Annetta dubitava che le rosepotessero farle passare il mal dì denti,anzi pensava che il loro profumopenetrante le avrebbe fatto venire ancheil mal dì testa, ma non voleva sco-raggiare le buone intenzioni di Sara,

così la seguì senza protestare versoquelle che erano state battezzate leColline To-scane.

Arrivate in vista dell’Isolotto delCuore le due bambine raccolsero ungran mazzo di fiori, poi sedettero su untronco d’ulivo a riposare.

Ma non erano lì da cinque minuti,quando Annetta arric-ciò il naso condisgusto.

«Che puzzo!» esclamò. «Altro cheprofumo di rose! Co-s’è che manda uncosì cattivo odore?»

«Sembrerebbe benzina» commentòSara, fiutando l’aria.

«È così forte che quasi mi viene ilmal dì mare…»

«Benzina? Se non ce n’è una gocciasu tutta l’isola, da quando la Sirena deisette mari ha consumato tutta quella che

aveva nel serbatoio…»Eppure sembrava proprio odore di

benzina, e di quella non raffinata che ipescatori usano mettere nei motori deiloro pescherecci.

Dopo altri cinque minuti passati afiutare in tutte le direzioni, Annetta nonresistette più. Si alzò e si avviò decisafra i cipressi, verso il punto da cuipareva che l’odore provenisse.

Dovette cercare un bel po’, perchél’aria era talmente impre-gnata chel’origine di quell’odore non era facileda identifica-re.

Finalmente superò un filare di alberiparticolarmente fitto e si trovò davantiall’ultima cosa che si sarebbe aspettata

di vedere sull’isola: un rifornitore dibenzina! Rosso, nuovo e luccicante,stava con le sue due pompe sotto unatettoia de-corata da una scrittapubblicitaria.

«Prima non c’era» ansimò Saraturbata, quando ebbe rag-giunto Annetta.«Sono sicurissima che non c’era! Soloavant’ieri sono venuta proprio qui con igemelli a raccogliere olive daconservare sotto sale!»

Anche Annetta aveva frequentatospesso quelle colline, da sola e conMartino, e non aveva mai incontratol’ombra di un rifornitore, né mai sentitoodore di benzina. Assolutamente mai!

Però, qualsiasi cosa fosse stata in

passato, ora il rifornitore era lì; senzaalcun dubbio, solido e reale nella luceserena dell’oliveto.

Aveva persino un piccolomarciapiede di cemento e una cesta dimetallo per i rifiuti appesa a un palo.

«Sta’ a vedere che c’è anche ilbenzinaio!» disse Annetta, irritata per laillogicità della scoperta.

Ma per quanto chiamassero noncomparve nessun benzinaio.

«Sarà pericoloso?» si chiese Sara.«Potrebbe incendiare l’isola, sequalcuno per sbaglio ci gettasse unfiammifero…»

«Chi vuoi che venga a gettarefiammiferi da questa parte!» ribatté

Annetta. «Non è una cosa pericoIosa, èuna cosa importantissima per tutti noi.Non capisci che ora che possiamorifornire i serbatoi della barca, siamo ingrado di ripartire?»

A questo Sara non aveva ancorapensato. Per l’emozione dovette sedersisul marciapiede del rifornitore, eAnnetta la lasciò lì, a sorvegliare lepompe, perché non sparissero mi-steriosamente come erano apparse,mentre lei correva ad avvertire lamamma e lo zio Silvestro.

In un batter d’occhio furono tuttiattorno al rifornitore.

Alla mamma era passato il mal dìdenti in un attimo, all’ ap-prendere la

novità.Si interrogarono a vicenda, ma

nessuno era in grado di fornire agli altrinotizie in merito alla improvvisaapparizio-ne.

Di una sola cosa erano tutticertissimi. Fino a pochi giorni prima inquel campo non c’era nessun rifornitoredi benzina.

Dunque era nato da sé, come unfungo, durante la notte, per venireincontro ai bisogni dei naufraghi? AMartino la cosa sembrava pocoprobabile, ma la mamma gli feceosservare che, da quando avevano fattonaufragio, tutti loro avevano battuto digran lunga qualsiasi record di

improbabilità.«Be’, anche se prima non c’era, ora

c’è e possiamo tor-narcene a casa!»disse in tono definitivo lo zio Silvestro,dopo aver controllato che le due pompesputassero dalle loro pistole propriocarburante e non qualche altradiavoleria.

«Sì! A casa, a casa!» esclamò lamamma improvvisamente eccitata, nondegnando di uno sguardo le rose cheerano state raccolte per lei e che oragiacevano sul marciapiede delrifornitore.

«Mentre lo zio Silvestro e Martinoriforniscono la Sirena dei sette mari,noi andiamo all’albergo a fare i bagagli.

Prima partiamo, meglio è.»«Mamma» chiese timidamente

Annetta. «Non possiamo rimandare adomani?»

«Sì, ti prego, zia» aggiunse Sara.«Cosa vuoi che sia un giorno di più?»

«Lasciaci abituare all’idea diabbandonare la nostra isola» supplicòMartino.

I gemelli non chiesero niente.Appena avevano sentito parlare dipartenza se l’erano squagliata ed eranoandati a rin-tanarsi in uno dei loronascondigli.

Ma la mamma fu irremovibile:«Partiremo questo pomeriggio»

disse in tono che non ammetteva

repliche. «Non voglio che mi sirimproveri di avervi tenuti lontani dacasa un minuto più del necessario!»

Così si dovettero rassegnare apartire subito dopo pranzo.

Da quel momento gli avvenimentipresero un ritmo fre-netico, e i bambiniavevano l’impressione di non riuscirepiù a controllare la situazione. Lo zioSilvestro costrinse Martino ad aiutarlo atrasportare fino alla spiaggia di SanSalvador due grossi bidoni di benzina,che versarono nel serbatoio asciuttodella Sirena dei sette mari.

Dallo sportellino sotto la prua ilvecchio tolse un baratto-lo di catrameche fece sciogliere sopra un fuocherello

di sterpi, e con catrame e stoppa turò lepoche fessure che si erano aperte nelfrattempo nello scafo. Poi, con una forzache nessuno avrebbe sospettato in lui,spinse la barca in acqua. La Sirenagalleggiava magnificamente, e al primostrappo della cordicella d’accensione, ilmotore cominciò a girare, col suoregolare scoppiettio.

Costeggiando, Martino e lo zioSilvestro guidarono la barca fino allostretto braccio di mare che separaval’Isolotto del Cuore dalla costa e laancorarono in vista del rifornitore, percompletare il pieno di carburante. Permaggior prudenza, quando entrambi iserbatoi, quello d’uso e quello di scorta,

furono pieni, lo zio Silvestro caricò abordo anche cinque grossi bidoni diplastica pieni di benzina. Martinoeseguiva tutte queste operazioni dimalavoglia, cercando nel frattempo diguardare quanto più poteva dell’isola,per imprimersela bene nella memoria.

Alla radura l’attività non era minore.In un batter d’occhio la mamma fece ibagagli. D’altronde avevano così pochecose con sé, quando erano arrivati! Sarae Annetta avrebbero voluto portare viaqualcuna delle cose che si erano abituatea considerare come loro, ma la mammalo proibì nel modo più assoluto:

«Sono già abbastanza avvilitaperché non siamo in grado di pagare

tutto quello che abbiamo consumato»spiegò «ci mancherebbe anche cheportassimo via qualcosa che non ci èstrettamente indispensabile».

Dietro le preghiere delle duebambine, alla fine concesse chemettessero in uno zaino i regali dello zioSilvestro e tre coperte nel caso ilviaggio di ritorno fosse durato a lungo eavessero avuto bisogno di ripararsi dalfreddo.

In un batter d’occhio snidò i gemellidal loro nascondi-glio, e sì che era unodei più segreti; fece loro il bagno, tagliòle unghie delle mani e dei piedi, perriconsegnarli in condizioni decenti allaloro madre.

Sara e Annetta intanto, nonostante ildivieto, erano anda-te al supermercatoed avevano riempito una grossa borsatermica di bevande e di zollette dizucchero, l’alimento più nutriente edenergetico che fosse rimasto negliscaffali. Qualche bottiglia la riempironoanche con l’acqua della sorgente piùvicina, per portare via qualcosa di piùschiettamente “iso-lano”.

Prima di lasciare l’albergo lamamma rifece i letti delle stanze cheavevano occupato con lenzuola pulite,spazzò la cucina, lavò e ripose piatti epentole, chiuse tutte le finestre perchénon sbattessero…

«Non mi potranno accusare di aver

trattato con poca cura le loro cose…»mormorava fra sé, mentre chiudevaaccurata-mente la porta d’ingressodell’albergo.

A Martino non fu neppure concessodi salutare la sua mansarda. Dovetteaspettare sulla barca, vicino alla pompadi benzina, l’arrivo della zia e degli altribambini.

I due adulti sembravano presi comeda una frenesia di partire, senza neppureguardarsi indietro, come se qualcosa dipericoloso li inseguisse. Avevano forsepaura che quella strana isola cambiasseidea e li volesse di nuovo trattenere sulsuo territorio?

Salirono a bordo con i loro pochibagagli.

Rispetto al momento dell’arrivol’equipaggio era però au-mentato di dueelementi: uno era Lucia, che la mammanon aveva potuto ragionevolmenteimpedire ai gemelli di portare sullabarca, e l’altro era Teti, da cui Sara nonintendeva assolutamente separarsi, acosto di venire abbandonata tutta solacon lei sull’isola.

Annetta non portava niente con sé,ma spiava attentissi-ma tutti i particolaridella costa e del mare, per imprimerlibene nella mente e ricordarli nelmomento in cui avesse dovuto ritrovarela strada per tornare sull’isola.

Aveva pensato di disseminare ilpercorso di segnali, come Pollicino, einvece dei sassolini bianchi progettavadi usare degli ossi di seppia, che hannoil vantaggio di non affondare.

A questo scopo ne aveva messo unacerta quantità dentro lo zaino dellecoperte. Ma quando gettò il primo fuoridalla sponda della barca, vide chequello non solo galleggiava, ma se neandava tranquillamente per i fatti suoi,invece di restare fermo a indicarel’itinerario.

Così rinunciò a gettare gli altri edecise di portarseli dietro come ricordo.

Terminato il carico, la Sirena deisette mari si staccò finalmente dalla

costa e si avviò verso il largo.Non sapevano in che direzione

andare, ma ai due grandi la cosa piùimportante pareva, per il momento,allontanarsi dall’isola.

Capitolo quattordicesimoSe ne allontanarono, filando a tutta

velocità sulle onde, e presto l’isola nonfu che un puntino sull’orizzonte, e poisparì, e tutto intorno non ci fu che cielo emare. Annetta stringeva le labbra pernon piangere, Sara teneva abbracciatacon forza la sirenetta, ma Martino nonresistette e cominciò a singhiozzaredisperatamente, senza curarsi diasciugare gli occhi e il naso, così chepresto la sua faccia fu tutta un ma-scherone bagnato. I gemelli gli vennerovicino pieni di buona volontà ecercarono di mettergli Lucia sulleginocchia, ma Martino respinse quellaingannevole consolazione. Voleva

sfogare fino in fondo il suo dolore per lapartenza.

La mamma sembrava (o fingeva?)non accorgersi di niente e teneva conmano salda il timone, guardando fissodavanti a sé.

Anche lo zio Silvestro spiaval’orizzonte, seduto a prua, con unaindifferenza degna di un uomo senzacuore.

E la punizione per tanta insensibilitànon tardò ad arrivare. A un certo puntola superficie del mare si agitò sotto unvento furioso. Si formarono deicavalloni altissimi e la Sirena dei settemari fu lanciata dalla cima alla basedelle enormi ondate, e poi ancora in

cima, e giù di nuovo, come se fossesull’otto volante.

Più tardi lo zio Silvestro avrebberaccontato che in tutta la sua carriera dilupo di mare non aveva mai visto unatempesta così terribile.

La bufera durava da circa due ore ela mamma ormai aveva rinunciato agovernare la barca col timone, quandocominciò anche a piovere. Era scoppiatoun temporale in piena regola, con tuoni efulmini, raffiche di vento e rovescid’acqua…

Dovettero tirare le coperte fuoridallo zaino e tenderle a prua,improvvisando una specie di tettoiasotto la quale ripararsi.

Spensero il motore per risparmiarecarburante e decisero di aspettare la finedi quel cataclisma.

Non si stava poi troppo malerincantucciati vicini sotto le copertetese, tutti bagnati e infreddoliti, maanche piacevol-mente distratti dal nuovoavvenimento, che faceva in un certosenso mettere in secondo piano ildispiacere di aver abbandonato l’isola.

La barca saltava sui cavalloni dicresta in cresta con una agilitàammirevole. Reggeva bene il mare.Nonostante tutto quello sconquasso, e leonde, e la pioggia, non aveva imbar-catoche pochissima acqua. Già l’equipaggiosi era quasi abi-tuato ai suoi guizzi ealle sue impennate e i gemelli tentava-nodi sgattaiolare sopra coperta perammirare meglio il temporale, quandoaccadde qualcosa che Sara non avrebbemai dimenticato.

Fin dall’inizio della tempesta lasirenetta aveva cominciato ad agitarsifra le sue braccia, ma Sara avevapensato che fosse spaventata per imovimenti bruschi della barca.

Man mano però che il mare siingrossava, Teti di ventava piùirrequieta. Non si poteva dire che fosseesattamente spaventata; piuttostosmaniava per liberarsi dalle braccia diSara che la stringevano nel tentativo dirassicurarla.

«Avrà caldo» le fece osservareAnnetta «la stringi talmente forte e quidentro manca l’aria…».

Così Sara aveva allentato la stretta.Ma non era stata una mossa felice,perché subito Teti le era sgusciata dimano, andando a finire con un guizzo sulsedile sotto la sponda destra dellabarca. E prima che Sara potesse alzarsia riacciuffarla, una grande ondata

azzurra dalla cima schiumosa si eraabbat-tuta sulla Sirena dei sette marispazzandone la superficie. E

spazzando via con sé la piccola Teti.Figuratevi l’angoscia di Sara e deglialtri occupanti la barca!… Dimenticodelle ostili-tà del passato, Martino sislanciò fuori del riparo sporgendosiverso le onde e allungando le maniverso quella che aveva portato via Teti.Sperava di acchiappare la sirenettaalmeno per i lunghi capelli sventolanti.

Lo zio Silvestro lo dovette afferrareper i piedi per impedire che cadessefuori della barca.

Una raffica di vento aveva ancherovesciato la borsa di paglia della

mamma, strappandone fuori il diario esbatac-chiandolo qua e là all’internodella barca. Le pagine vibrava-no tutte,schioccavano sbattendosi fra loro, poi siafflosciaro-no bagnate dagli spruzzi, mail vento sollevò ancora il qua-derno e losbatté fuori bordo. Teti intanto saltavacome un delfino sulle creste schiumosedelle onde, con un’aria felice come nonle avevano mai visto sul faccino dabambola. Sara la seguiva affascinata,aspettandosi di vederla affondare da unmomento all’altro, ma come un delfinola sirenetta seguiva da lontano la barca,volteggiando nell’aria.

E a poco a poco le onde siplacarono, diventarono sempre più

basse; la superficie del mare presto fupiatta come uno specchio, mentre Teticontinuava a guizzare allegra, a ri-spettosa distanza.

Allora videro una immensa ombranera salire dal fondo marino verso lasuperficie. Non ne distinguevano laforma, ma aveva qualcosa che leondeggiava intorno, come tentacoli dimedusa, o alghe, o una lungacapigliatura. Mentre i naufraghi laguardavano pieni di terrore, pensando auna piovra degli abissi, alla terribileorca, a una feroce balena tropicale, easpettando che da un momento all’altroattaccasse la barca rovesciandola, Tetidette uno strillo di gioia e si immerse

nuotando verso quell’essere misterioso.Presto fu inghiottita dalla sua ombra escomparve alla vista di tutti.

Non la dovevano rivedere mai più.

Cessata la pioggia, era ritornato ilsole, anche se ormai vicino al tramontoe, mentre si asciugavano i vestitiinzuppa-ti, i naufraghi fecerol’inventario dei danni provocati dallatempesta.

Sara non era tanto triste, come glialtri si sarebbero aspet-tati.

Quando aveva visto il viso radiosodi Teti che si immer-geva verso gliabissi, sebbene con una punta di gelosia,aveva capito che con lei la sirenetta nonsarebbe mai stata completamente felice.

E questo pensiero le era statosufficiente per consolarsi del suodolore, visto che in cambio era statoevitato il dolore della piccola sirena.

L’aveva custodita con tutta la curapossibile finché le era stata affidata, maora la cedeva senza rimpianti al suomondo e agli esseri simili a lei. Non erasicura che i gemelli sarebbero statialtrettanto altruisti, se si fosse chiestoloro di separarsi da Lucia. Infatti orastringevano la tartaruga con aria piena disospetto e cercavano di legarle le zampecon la cin-tura di un accappatoio, perchénon le venisse in mente di prendere lafuga. Lucia però si ritirò tutta dentro ilguscio e non fu possibile legarla inmodo abbastanza solido.

La mamma invece era inconsolabileper la perdita del suo diario.

Lo aveva scritto ogni giorno con

tanta cura, anche quando aveva mal dìdenti, perché restasse un documento dicome avevano fatto tutti il possibile persopravvivere dignitosa-mente; di comelei si fosse occupata di ogni cosa consagacia e costanza… ed ora questaprova era finita in pasto ai pesci!

Quasi quasi avrebbe pianto dallastizza, ma l’esempio di Sara la spinse afarsi forza. Cercò di raccogliere lepagine strappate e sparse sulla barcadalla furia del vento e riuscì arecuperarne quattro, ma purtroppo eranoquelle dove i bambini avevano fatto iloro disegni a commento del testo vero eproprio. Erano inoltre tutte bagnate espiegazzate; l’inchio-stro si spandeva in

rivoli, ma su quella meglio conservataera ancora visibile il disegno fatto daAnnetta il giorno che Sara aveva portatoa casa Teti.

Mostrava Sara con la sirenetta sulleginocchia e Teti era stata riprodotta cosìminuziosamente che pareva volesse bal-zare fuori della carta.

La mamma porse quella pagina aSara, che la spianò con cura sulla toldadella barca, e quando fu ben asciutta laripie-gò e la ripose religiosamente nellatasca interna dello zaino.

La Sirena dei sette mari ora filavaveloce in direzione opposta al sole.

Faceva caldo; i bambini avevanosete e la mamma cominciava a chiedersi

se prima di notte sarebbero arrivati daqualche parte.

Non era esattamente preoccupata, masarebbe stata più tranquilla se avessesaputo che a cinque o a cinquantachilometri dalla prua della Sirena deisette mari si trovava la costa di Cala diRena, o qualsiasi altra costa, purchéfornita di ca-bina telefonica.

Ma per quanto la barca procedessesenza sosta verso l’orizzonte, nessunaterra appariva, e nessun uccello conrami verdi nel becco indicava chesarebbe apparsa di lì a poco.

Il sole stava ormai per tramontare.Tutti i bambini ne se-guirono attenti gliultimi barlumi per esprimere un

desiderio, giusto nell’attimo in cuil’ultimo spicchio affondava sott’acqua.

Il desiderio che tutti avevanoformulato mentalmente (non bisogna maidirlo ad alta voce, altrimenti non siavvera) era quello di arrivare presto aduna meta qualsiasi.

Tranne Martino, che invecedesiderava ardentemente vedere ilfamoso raggio verde, che se si èfortunati si può sorprendere mentresplende lungo tutta la lineadell’orizzonte, proprio nel momento incui il sole scompare. E Martino, quellavolta, fu fortunato, perché il limite chedivideva il cielo dal mare si accese perun magico attimo di bagliori di

smeraldo.Ma questo significava forse che il

desiderio degli altri non si sarebbeavverato?

Dopo il tramonto ci fu luce ancoraper qualche tempo, poi dal marecominciò a salire l’oscurità, e insieme albuio saliva una densa nebbia.

Capitolo quindicesimoEra la stessa nebbia che li aveva

fatti smarrire un mese e mezzo prima?Era una nebbia ostile, o un’amica che liavvol-geva protettiva per ricondurli acasa? Questa volta almeno il motoredella Sirena non perdeva un colpo,seguiva il tempo perfettamente e, perquanto bevesse benzina, nessuno se nepreoccupava a causa della presenza abordo dei cinque bidoni di riserva.

Navigavano nella nebbia da chissàquanto tempo, quando il silenzio fu rottoda un improvviso e strano ticchettio.Erano tutti gli orologi cheimprovvisamente avevano ricomin-ciatoa funzionare.

Solo che, dopo essere statimanovrati tante volte per vedere cheguasto li avesse fermati, ora segnavanociascuno un’ora diversa. Però erasempre meglio di niente.

Dopo circa mezz’ora (controllataquesta volta esattamente sul cronometrodi Martino) la Sirena dei sette mari urtòcontro qualcosa.

Lo zio Silvestro spense subito ilmotore e aguzzò lo sguardo per cercaredi vedere l’ostacolo che si era paratocontro. Non vide assolutamente nulla,tranne nebbia lattigi-nosa, ma sentìchiaramente la voce di Ina che gridava:

«E’ la mamma! E’ la nostramamma!».

Tutti, tranne Rocco, pensarono cheIna fosse impazzita, ma dalla nebbia unavoce nota rispose:

«Ina! Spero che non ti sia mangiatale unghie in tutto questo tempo!».

Se la Sirena dei sette mari avevaresistito valorosamente alla tempesta,ora però rischiava seriamente diaffondare, tanto disordinati e freneticierano i movimenti dei suoi occupanti.

Al suono delle grida di gioia deigemelli la nebbia si sciolse, e tuttipoterono vedere che la Sirena era andataa sbattere proprio contro la grande barcadegli adulti, sulla quale si trovavano igenitori di Martino, il papà di Annetta ela nonna Rosina.

«Siete proprio dei veri incoscientiad andarvene in giro in mezzo allanebbia senza sirena e senza luci diposizione. Me-ritavate che visperonassimo!» accusò subito il papà diAnnetta saltando dentro la barca piùpiccola.

I gemelli intanto erano saltati a lorovolta sulla barca grande con l’agilità didue scoiattoli, ed ora, attaccati al collodei genitori, parlavano così fitto che, sesi fossero messe insieme tutte le paroleche avevano pronunciato sull’isola, nonsi sarebbe ottenuto un discorso lungoneppure la metà del racconto che orastavano facendo.

Fu in questa circostanza che

finalmente fu resa giustizia a Martino.Rocco ed Ina infatti raccontarono deicoccodrilli, dell’ippopotamo e, perrendere più credibile la vicenda, ciaggiunsero anche un leone, un canguro eun orso bianco. A Martino non parvegentile smentirli su questi particolari,proprio ora che, grazie alla lorotestimonianza, suo padre lo ab-bracciava come un eroe.

La nonna Rosina, nel grandeentusiasmo, gettò per sbaglio le bracciaal collo dello zio Silvestro, cosa che incondizioni normali non avrebbe maifatto. Ma fu una fortuna che fosse tantoemozionata da confondersi, perchéaltrimenti lo zio Silvestro si sarebbe

potuto sentire trascurato, nella gioiagenerale; e Annetta avrebbe dovutoorganizzargli subito un’altra festa dicompleanno. E francamente era troppooccupata a ritrovare il suo papà peraverne voglia.

Il papà di Annetta toccò la punta delnaso di sua moglie e disse:

«Ti sei tutta spellata! Come al solitoavrai dimenticato di metterti la crema!»e la mamma di Annetta rispose:

«Poveretta me! E’ vero. Non me neero proprio accorta!».

Era come se non si fossero separatinemmeno per cinque minuti. E, come alsolito, Annetta stava loro tra i piedi,affer-rando ora una gamba del padre,

ora un braccio della madre per attirarela loro attenzione.

Sara intanto aveva raccolto tutti ibagagli dei naufraghi, aveva stanatoLucia, che durante la traversata si eranascosta spaventatissima dentro allosportello di poppa e si era tutta sporcatadi catrame, e stava seduta tranquillavicino al timone ad aspettare che queisaluti frenetici si calmassero.

La nonna Rosina, che per Sara nonera nonna neanche un po’, staccatasidallo zio Silvestro, si accorse chenessuno si occupava di lei, ed essendotroppo lontana per abbracciarla, le gridòagitando il parasole:

«Vedessi che sorpresa ti aspetta acasa, Sara!».

Non sapeva che niente al mondo può

più sorprendere una ragazzina che perquasi due mesi ha fatto da baby-sitter aduna piccola sirena e che l’ha appenarestituita ai misteri degli abissi marini.

Legarono la Sirena dei sette marialla barca più grande e in pochissimotempo raggiunsero Cala di Rena, chedistava solo mezzo miglio.

I bambini cascavano dal sonno e nonvedevano l’ora di andare a letto. Igemelli, anzi, che non avevanoabbastanza pazienza per aspettare diessere a terra, si erano già addor-mentatiin braccio ai genitori.

Anche la mamma sonnecchiava, conla testa sulla spalla del papà di Annetta.

Solo lo zio Silvestro, con gli occhi

che vedevano al buio come quelli di ungatto ben aperti sulla notte, reggevaesperto il timone dirigendo la barcaverso il molo. Martino, Annet-

ta e Sara gli stavano seduti vicino insilenzio, come per assi-sterlospiritualmente nella sua ultima fatica.

L’indomani mattina, avvertiti pertelefono, arrivarono dalla città i genitoridi Sara. E non erano soli. Indovinate chiportavano dentro a un cesto sul sedileposteriore dell’automo-bile? Unaneonata di circa un mese di nomeAngelica: la so-rellina di Sara, natamentre lei era sull’isola senza lapossibilità di ricevere lettere otelefonate.

Era Angelica la sorpresa cui avevaaccennato la nonna Rosina. Era lei “loscherzo” che Sara doveva aspettarsi alritorno delle vacanze. Era graziosa quasi

quanto Teti, ma col passare del tempo sirivelò molto più rompiscatole, cometutte le sorelle minori.

Circa una settimana dopo averabbandonato l’isola, gli ex naufraghi e iloro parenti salutarono lo zio Silvestrocon qualche lacrima e molte promesse diarrivederci, e tornarono in città.

Cominciava un nuovo annoscolastico. Annetta ritrovò Giuseppina eil suo solito banco non usurpato da altricompagni. I gemelli vollero portareLucia all’asilo mostrandola or-gogliosia tutti gli altri bambini.

Martino e Sara non parlarono maicon nessuno della loro avventura estiva.

Col passare degli anni, diventarono

adulti e intrapresero le professioni piùdisparate.

Annetta diventò giardiniera delComune, avendo eredita-to il polliceverde da sua madre. La sua principalemansione era curare le aiuole di tutte lepiazze e dei giardini pubblici.

Martino - chi l’avrebbe mai detto? -diventò un famoso poeta. Crebbe alto epallido. Dimagrì quanto occorreva, etutte le lettrici impazzivano per i suoiocchi verdi quando vedevano la suafotografia nel risvolto interno dellacopertina dei suoi libri.

Sara fece carriera come dirigented’azienda. Comandava un’industria cheproduceva dispositivi contro

l’inquinamento marino. Anche Angelicacrebbe, e a suo tempo diventò pilotad’aereo. Girò il mondo e sposò unprincipe arabo, padrone di molticammelli e di molti pozzi di petrolio.

Rocco coronò le sue aspirazionidiventando pompiere. È

lui che guida il carro rosso quando,a sirene spiegate, attraversa la cittàsenza fermarsi neppure ai semafori.

Ina, con tutto il suo promettentetemperamento dramma-tico, finì per farela cuoca in un grande albergo. Però sisposò con un prestigiatore negro ed ebbetre bei bambini color caffellatte.

Sull’isola naturalmente nontornarono più.

E, a differenza dei personaggi diVerne, chi avesse costruito l’albergo,rifornito il supermercato, chi avesseabbandonato l’isola e per quale motivo,non lo seppero mai.