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0 SITI ARCHEOLOGICI E INFRASTRUTTURE Uno stretto connubio lega l’operato dell’uomo antico e dell’uomo moderno. Dagli scavi per le strade di domani, emergono quelle del passato, le testimonianze silenziose di un tempo perduto e ritrovato…

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SITI ARCHEOLOGICI E INFRASTRUTTURE Uno stretto connubio lega l’operato dell’uomo antico e dell’uomo moderno. Dagli scavi

per le strade di domani, emergono quelle del passato, le testimonianze silenziose di un

tempo perduto e ritrovato…

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INDICE Introduzione…………………………………………………………………………………………………………p.2

1. Regione Sardegna……………………………………………………………………………………………p.5

1.1 Scheda degli interventi e dei ritrovamenti………………………………………………………… p.5

1.2 Scavi archeologici sulla variante alla SS.196, Cantiere Linea Ferroviaria Cagliari-Golfo Aranci,

tratta Decimomannu - San Gavino Monreale…………………………………………………… ..p.11

1.3 L’insediamento neolitico di Puisteris – Logoro (OR): nuovi dati dallo scavo di una “sacca” in

località Serra Neula………………………………………………………………………………………p.28

2. Regione Campania…………………………………………………………………………………………..p.35

2.1 Scheda degli interventi e dei ritrovamenti…………………………………………………………..p.35

3. Regione Calabria……………………………………………………………………………………………..p.43

3.1 Scheda degli interventi e dei ritrovamenti…………………………………………………………..p.43

4. Regione Basilicata…………………………………………………………………………………………….p.45

4.1 Scheda degli interventi e dei ritrovamenti…………………………………………………………..p.45

5. Regione Sicilia………………………………………………………………………………………………….p.47

5.1 Scheda degli interventi e dei ritrovamenti…………………………………………………………..p.47

6. Nuove linee ferroviarie e antiche testimonianze……………………………………………………….p.51

Bibliografia e Ringraziamenti……………………………………………………………………………………p.55

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INTRODUZIONE

Questa pubblicazione è frutto di una ricerca effettuata nell’ambito di uno stage

rientrante nel Progetto S.F.E.R.A. 2003, svolto presso il Ministero delle Infrastrutture nel

corso del 2007.

Lo scopo dello studio è quello di evidenziare l’attenzione e la sensibilità dedicata al tema

archeologico nell’ambito della progettazione e messa in opera delle infrastrutture

realizzate con i finanziamenti del PON Trasporti 2000-2006. Si propone quindi di rendere

noti nuovi e importanti siti archeologici scoperti durante l’esecuzione dei lavori, che

hanno permesso di arricchire la conoscenza del patrimonio storico-archeologico del Sud

d’Italia, terra dell’antica Magna Grecia, culla di arte, scienza e cultura, le cui tracce

sono disseminate su tutto il territorio.

Grazie alla collaborazione di ANAS, RFI, TAV, ITALFERR e di alcune Soprintendenze

Archeologiche di competenza, è stato pertanto possibile conoscere la natura delle

evidenze archeologiche emerse nelle tratte oggetto di cofinanziamento del PON

Trasporti o comunque facenti parte dell’infrastruttura, e le eventuali modifiche

progettuali adottate in conseguenza di tali preziose scoperte.

Per ciascuna Regione vengono quindi segnalati i relativi ritrovamenti contestualizzandoli

nell’intervento infrastrutturale corrispondente.

Il PON Trasporti (Programma Operativo Nazionale Trasporti 2000-2006) ha come

obiettivi il potenziamento e la riqualificazione delle infrastrutture relative alla mobilità e ai

trasporti nelle Regioni a Obiettivo 1, che rientrano nel Quadro Comunitario di Sostegno

2000-2006, ovvero Campania, Calabria, Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna. Tali

interventi mirano a contribuire allo sviluppo socio-economico del Sud Italia per facilitarne

l’integrazione nell’ambito del territorio nazionale, ma anche nel quadro più ampio

dell’Unione Europea e in quello che riguarda il bacino del Mediterraneo, che ha nel

Mezzogiorno un importante ponte con il Nord Europa.

Un ulteriore elemento che può contribuire allo sviluppo del Mezzogiorno è inoltre senza

dubbio la valorizzazione del suo ricchissimo patrimonio archeologico e artistico, che può

trovare un concreto aiuto proprio attraverso il potenziamento dei collegamenti e della

viabilità.

Da ciò emerge pertanto l’importanza delle infrastrutture non soltanto come strumento

per un generale sviluppo del territorio, ma anche come mezzo per rendere i beni culturali

un’autentica risorsa per il Sud.

Le opere finanziate nell’ambito del PON Trasporti, inoltre, non solo contribuiscono a

rendere migliore la fruibilità del patrimonio culturale meridionale già noto, ma al tempo

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stesso, attraverso la realizzazione di interventi di grande respiro, che incidono sul territorio

in maniera importante, hanno permesso anche di portare alla luce nuovi e rilevanti siti

archeologici, o hanno fornito l’occasione per una valorizzazione dei siti conosciuti

mediante la realizzazione di accessi speciali che ne ottimizzassero la fruizione. E’ il caso,

ad esempio, dei lavori per l’adeguamento della strada a scorrimento veloce nell’ambito

dell’allacciamento della S.S. 106 “Jonica” all’A/3 nella Regione Calabria in località

Stombi, dove è stato previsto un raccordo stradale per facilitare e migliorare l’accesso

all’importante Museo della Sibaritide.

Nei casi in cui vi sono stati ritrovamenti archeologici durante la messa in opera dei

progetti, gli Enti coinvolti nella realizzazione dei lavori, congiuntamente con le

Soprintendenze Archeologiche di competenza, hanno avuto il delicato compito di

mirare alla tutela del patrimonio rinvenuto e di elaborare soluzioni progettuali che non ne

minassero l’integrità, ma che, al contrario, contribuissero a valorizzarlo.

Il ritrovamento di beni archeologici durante l’esecuzioni dei lavori è tuttavia anche un

imprevisto che può causare appunto cambiamenti progettuali, ritardi, rinvio dei lavori

stessi. Pertanto l’evento ha sempre un doppio aspetto: se da un lato è occasione di

scoperte talvolta anche molto importanti per la conoscenza del nostro patrimonio storico

e archeologico e di collaborazione tra Enti differenti, dall’altro può comportare una serie

di problematiche che possono rimettere in discussione i progetti e rimandare a date

incerte la fine dei lavori e quindi la messa in opera di infrastrutture importantissime per lo

sviluppo del territorio delle Regioni interessate.

Le metodologie generali seguite dagli Enti incaricati della realizzazione dei lavori nel

caso di ritrovamenti archeologici sono ascrivibili a quanto decretato dall’attuale

legislazione italiana relativa ai beni culturali (vedi il Codice dei Beni Culturali e del

Paesaggio o Codice Urbani, che è il Testo Unico delle disposizioni legislative vigenti per i

beni culturali e ambientali). In caso di ritrovamenti fortuiti, gli Enti sono tenuti ad arrestare i

lavori e ad avvertire la Soprintendenza, che provvede a intervenire tempestivamente al

fine di tutelare, catalogare e studiare il sito. Inoltre la Soprintendenza deve dare le

indicazioni su eventuali varianti progettuali che vengono poi elaborate dagli Enti e

sottoposte nuovamente ad approvazione da parte della Soprintendenza. Si tratta quindi

di un lavoro di stretta collaborazione, che spesso vede il procedere parallelo dei lavori

per la realizzazione dell’opera e di quelli mirati alla salvaguardia dei beni culturali

ritrovati.

La presente pubblicazione comprende contributi di alcuni dei protagonisti coinvolti

in queste procedure, nello specifico le Soprintendenze Archeologiche di competenza e

ITALFERR.

In particolare gli articoli della Soprintendenza Archeologica di Cagliari sono relativi a due

diversi interventi: il raddoppio della linea ferroviaria Cagliari-Golfo Aranci, nel tratto

Decimomannu-San Gavino e il miglioramento della S.S. 131 “Carlo Felice”.

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Il contributo di ITALFERR, invece, espone le metodologie adottate nel caso di ritrovamenti

archeologici durante l’esecuzione dei lavori e mostra come talvolta la scoperta di beni

archeologici possa comportare il sorgere di problematiche tali da creare la necessità di

nuovi provvedimenti legislativi al fine di tutelare i beni stessi senza compromettere la

messa in opera dei progetti.

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1. Regione Sardegna

Evidenze archeologiche rinvenute nella regione Sardegna

ANAS – S.S. 131 “Carlo Felice”:

- Insediamento nuragico di Sa Tumba

- Tombe megalitiche nuragiche nel territorio di Uras (OR) e complesso nuragico di Sa

Domu Beccia

- Ponte romano in agro di Tramata (OR)

- Sito preistorico di Puisteris – Logoro (OR) in località Serra Neula

RFI – Linea ferroviaria Cagliari – Olbia”:

- testimonianze della cultura prenuragica dell’età del Rame e sito nuragico dell’Età del

Bronzo nel Comune di Villasor (CA)

1.1 Scheda degli interventi e dei ritrovamenti

Gli interventi ascrivibili al bacino di progetti cofinanziati dal PON Trasporti nella

Regione Sardegna, durante l’esecuzione dei quali vi sono stati rinvenimenti archeologici

importanti sono due: il raddoppio della linea ferroviaria Cagliari-Golfo Aranci nel tratto

Decimomannu-San Gavino e l’adeguamento della S.S. 131 “Carlo Felice”.

Questi interventi, importanti per adeguare il sistema di trasporto sardo a quello

nazionale, contribuiscono ad agevolare le attività produttive e gli scambi commerciali,

abbreviando i tempi di trasporto delle merci ed i flussi turistici e apportando quindi un

generale miglioramento all’economia sarda.

Il primo intervento, relativo alla linea ferroviaria Cagliari-Golfo Aranci, prevede il

raddoppio della linea nel tratto Decimomannu-San Gavino, a completamento del

raddoppio già esistente tra Cagliari e Decimomannu, e rientra nel progetto di una

razionalizzazione del sistema di trasporto che interessa l’area di Cagliari al fine di

costituire un punto di partenza per la riqualificazione del tessuto urbano e del territorio

limitrofo, in particolare con la realizzazione della Stazione di San Gavino e

l’adeguamento di altre stazioni esistenti lungo il tracciato.

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Il secondo progetto mira invece ad un miglioramento della mobilità sulla S.S. 131

“Carlo Felice”, la principale arteria di collegamento tra il nord e il sud della Sardegna, in

particolare nel tratto tra Oristano e Cagliari, dal km 79+500 e il km 108+300. L’intervento è

significativo non solo per lo sviluppo dei traffici commerciali, ma anche per il

miglioramento dei collegamenti verso la costa occidentale della Sardegna, di grande

valore paesaggistico e ricca di beni storici, artistici e archeologici, che potranno essere

più accessibili ai turisti.

La conoscenza dell’entità dei ritrovamenti archeologici rinvenuti durante gli interventi

menzionati è stata possibile grazie all’attiva partecipazione della Soprintendenza

Archeologica di Cagliari e in particolare all’interessamento della Dott.ssa Canepa, del

Dott. Fanari , della Dott.ssa Usai e del Dott. Cicilloni, oltre che di tutti i loro collaboratori.

Le notizie qui riportate relative ai ritrovamenti effettuati durante i lavori per il

raddoppio della Linea ferroviaria Cagliari – Golfo Aranci, nella tratta Decimomannu – San

Gavino, sono ascrivibili ad una prima ricognizione dell’area da parte della

Soprintendenza Archeologica di Cagliari, che ha poi provveduto all’approfondimento

delle indagini e degli studi dei reperti rinvenuti. Per quanto riguarda quindi le fasi

successive degli scavi e il risultato degli studi, si rimanda al contributo della

Soprintendenza Archeologica di Cagliari (1.2 Scavi archeologici sulla variante alla SS.196,

Cantiere Linea Ferroviaria Cagliari-Golfo Aranci, tratta Decimomannu - San Gavino

Monreale, p.11).

Dalla relazione preliminare dell’Archeologa Dott.ssa Maurizia Canepa si

apprende che, in una prima fase, in corrispondenza della realizzazione di una variante

alla S.S. 196 per la costruzione di un cavalcaferrovia nel comune di Villasor, sono emerse

evidenze archeologiche che hanno determinato l’intervento della Soprintendenza

Archeologica di Cagliari, che ha provveduto allo scotico dell’area interessata dai lavori.

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Figura 1 - Localizzazione del sito archeologico nel Comune di Villasor

Le testimonianze archeologiche rinvenute sono ascrivibili ad un periodo compreso tra il

Neolitico e l’età moderna e sono rappresentate da “sacche”, ovvero discariche,

appartenenti alla cultura prenuragica dell’Età del Rame (2500-2000 a.C.) e numerose

sepolture.

Sono inoltre state ritrovate le tracce di un sito nuragico dell’Età del Bronzo con vocazione

prevalentemente agricola testimoniata dalla presenza di macine e macinelli. Alla stessa

epoca sono riferibili anche due recipienti fittili contenenti vasetti miniaturistici dalla

funzione rituale (vedi Fig. 2-3-4)

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Figura 2 – Vasetti miniaturistici rinvenuti nel sito archeologico di Villasor

Figura 3 – Vasetto miniaturistico Figura 4 - Vasetto miniaturistico

Di età medievale e moderna sono invece alcuni ritrovamenti relativi alla locale

produzione di vasi e materiali per l’edilizia, fra i quali vi è un forno per la realizzazione di

tegole.

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Figura 5 – Scavi di Villasor

Figura 6 – Scavi di Villasor

Figura 7 – Scavi di Villasor

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Le indagini archeologiche sono successivamente proseguite per approfondire la

conoscenza del sito e per trovare adeguate soluzioni progettuali che ne preservassero

l’integrità. Come già precedentemente accennato, per un’analisi dettagliata si rimanda

alla relazione della Soprintendenza Archeologica di Cagliari al paragrafo 1.2, p11.

Nella relazione dell’Archeologa Dott.ssa Emerenziana Usai e dell’Archeologo

Riccardo Cicilloni (che si riporta interamente nel paragrafo 1.3, p.28), si apprende che,

nei mesi di maggio-giugno 2000, è stata effettuata una serie di saggi di scavo in loc.

Serra Neula (Mogoro) presso il noto villaggio prenuragico di Puisteris, ricco centro di

lavorazione dell’ossidiana durante il Neolitico. Il ritrovamento è stato conseguente ai

lavori di adeguamento del vecchio tracciato della SS 131, nel tratto compreso tra il Km

58,500 ed il Km 65,200. L’indagine ha rivelato la presenza di una “sacca”, scavata nella

roccia, e ha permesso il recupero di numerosi strumenti litici in ossidiana ed in selce e

ceramiche, attribuibili alla cultura di Ozieri1.

Durante il Neolitico l’insediamento fu probabilmente un ricco centro di lavorazione

dell’ossidiana e importante nodo del suo commercio e degli oggetti realizzati con essa.

Le ricerche archeologiche effettuate dalla Soprintendenza hanno permesso di

individuare oltre 260 “fondi di capanna” e di ricostruire le varie fasi di vita e di sviluppo

del villaggio risalente all’epoca neolitica, che hanno confermato il ruolo fondamentale

dell’ossidiana nell’ambito dell’economia della cultura Ozieri.

1 La Cultura Ozieri è ritenuta dagli archeologi la prima grande cultura sarda. Si sviluppò lungo un arco di tempo che va dal 3800 al 2900 a.C. circa in tutta la Sardegna. Le sue origini sembrano essere di provenienza orientale. E’ probabile che gli scambi culturali e commerciali incorsi tra le popolazioni sarde e quelle neolitiche greche abbiano favorito l’importazioni di nuovi modelli di vita e di nuove tecniche, che hanno dato vita ad una società più evoluta. Tale cultura prenuragica deve il suo nome al luogo in cui furono rinvenute le sue testimonianze più significative, nei pressi del comune di Ozieri.

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1.2 Scavi archeologici sulla variante alla SS. 196, Cantiere Linea Ferroviaria Cagliari - Golfo Aranci, tratta Decimomannu – San Gavino Monreale Maurizia Canepa, Fabrizio Fanari, Michela Migaleddu, Fabio Nieddu, Sergio Orrù, Marco

Piras

Nel 2005 ITALFERR presentava alla Soprintendenza Archeologica per le province di

Cagliari e Oristano un progetto, finanziato con i PON Trasporti 2000-2006, Misura I.1, che

prevedeva alcuni lavori di potenziamento infrastrutturale e tecnologico della rete

ferroviaria sarda. In particolare, lungo la linea Cagliari - Golfo Aranci sarà completato

entro la fine del 2008 il raddoppio di 38 km. della tratta R.F.I. da Decimomanu a San

Gavino Monreale, località dove è già stata inaugurata la nuova stazione ferroviaria

prevista nel progetto. Una particolare attenzione è stata rivolta ai collegamenti viari ed

al decongestionamento del traffico cittadino: saranno eliminati tutti i passaggi a livello,

sostituiti con opere stradali alternative (cavalcavia e rotonde), potenziando così la rete

viaria urbana ed extraurbana del territorio. (Fig. 8)

Figura 8 - Veduta d’insieme del cantiere archeologico ed edile a Villasor

Per quanto riguarda l’impatto delle opere civili sul patrimonio archeologico, fu

subito rilevato che la variante alla Strada Statale n. 196 nel Comune di Villasor (CA)

ricadeva in un’area (Forada Gureu, Forada Campana e Tanca Fara) da tempo

conosciuta dagli studiosi e sottoposta a tutela da parte del Comune di Villasor, che la ha

inserita nella carta archeologica recepita nel Piano Urbanistico Comunale. I sopralluoghi

preliminari, effettuati sul terreno dagli incaricati della Soprintendenza, hanno evidenziato

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che alcuni interventi di viabilità si sarebbero sovrapposti ad un vasto insediamento di età

preistorica e storica, compreso tra la SS. n. 196 e la linea ferroviaria. Si tratta

principalmente di contesti relativi al Neolitico (precisamente delle culture di Bonu Ighinu,

S. Ciriaco ed Ozieri, datate tra il 4.000 ed il 3.000 a.C.) ed all’età del Rame iniziale (cultura

Sub-Ozieri, inizi del terzo millennio a.C.) e recente (cultura di Monte Claro, circa 2.500-

2.000 a.C.). In realtà in passato lavori per la realizzazione della SS n. 196, insieme ad opere

di irrigazione eseguite dagli enti di bonifica, avevano intaccato il vasto insediamento

preistorico ed il materiale rinvenuto era confluito in alcune collezioni private, in seguito

divenuto oggetto di studio, ad esempio per tesi di laurea (vedi: V. Marras, Le culture

prenuragiche nella Collezione Vargiu di Villasor (CA), in Studi Sardi, XXXI [1994-1998],

Cagliari 1999).

Poiché il progetto prevedeva la realizzazione di una strada in rilevato, con

conseguente sbancamento dell’area ed asportazione integrale del deposito

archeologico in essa contenuto, per realizzare l’opera ed allo stesso tempo

salvaguardare il sito, in sede di Conferenza di Servizi la Soprintendenza ha prospettato a

ITALFERR tre soluzioni possibili.

La soluzione n. 1 prevedeva lo spostamento della strada più a sud; la n. 2, la creazione di

un viadotto al posto della strada in rilevato, con conseguente scavo archeologico dei

depositi interessati dai plinti di fondazione; la n. 3, l’esecuzione di uno scavo

archeologico preventivo di tutta l’area interessata dalla realizzazione del rilevato.

ITALFERR ha optato per la soluzione n. 3, di sicuro la più impegnativa, che prevedeva di

eseguire lo scavo archeologico preventivo dell’area, sotto la direzione scientifica della

Soprintendenza Archeologica, con l’impiego di Archeologi e Tecnici, con la possibilità di

realizzare al meglio il progetto elaborato.

I lavori, attualmente ancora in fase di esecuzione, prevedono un impegno finanziario a

carico di ITALFERR. Il gruppo di lavoro ha visto impegnati Archeologi e Tecnici della

Soprintendenza, quali l’Archeologa Maurizia Canepa, l’Assistente tecnico scientifico

Marco Piras, l’Assistente tecnico fotografo Leonardo Corpino, il Restauratore

conservatore Sergio Orrù e l’Aiuto restauratore Serenella Deplano.

Per ITALFERR l’intervento è stato coordinato dagli ingegneri Mario Barsanti, Daniele

Maranzano e Roberta Olivi. Per la Ditta Appaltatrice SAFERR a.r.l. A.T.I. Adanti S.p.A., gli

ingegneri Alessandra Zedda (Responsabile Ufficio Qualità, Sicurezza ed Ambiente),

Carmine Benedetto (Direttore tecnico del cantiere), Dario Pangallo (Direttore tecnico)

ed il geometra Pasquale Bucci (Capo cantiere). Inoltre, grazie alla disponibilità

dell’Amministrazione Comunale di Villasor nelle persone del Sindaco Walter Marongiu,

dell’Assessore alla Cultura Concetta Sangermano e del Responsabile dell’Ufficio Tecnico

geometra Sandro Pili, è stato possibile sistemare tutti i reperti rimessi in luce con lo scavo

destinando un idoneo locale - deposito per la conservazione e lo studio dei medesimi.

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Il gruppo che ha operato sul campo durante la campagna di scavo, dietro la direzione

scientifica dell’Archeologa Maurizia Canepa e dell’Assistente tecnico scientifico, Marco

Piras, è composto dagli Archeologi: Fabrizio Fanari, Gianfranco Canino, Valentina

Marras, Michela Migaleddu, Fabio Nieddu, i quali si sono avvalsi della manodopera del

personale, delle attrezzature da lavoro, dei mezzi meccanici e dell’assistenza tecnica e

logistica del cantiere messi a disposizione dall’Appaltatore.

L’intervento ha avuto, nel periodo febbraio-giugno 2007, una prima fase di indagine

archeologica sulla variante alla S.S. n.196, in località Forada Gureu – Forada Campana

nel territorio di Villasor, ed un intervento di scavo a Decimomannu in località Bingia Felis,

presso il casello ferroviario della linea Decimomanu - San Gavino. Da luglio 2007 ha avuto

inizio, ed è tuttora in corso, lo scavo archeologico stratigrafico sulla variante alla S.S. 196

presso Villasor. (Fig. 9)

Figura 9 - Inquadramento topografico delle aree archeologiche

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A Decimomannu l’area di intervento è localizzata presso la strada comunale

denominata “Via del Ponte Romano”, nella sua intersezione con i binari della ferrovia

Cagliari - Golfo Aranci. Il nome della strada è dovuto alla presenza nelle sue vicinanze di

uno dei più grandiosi ponti romani della Sardegna antica, presso il quale recenti

interventi di scavo e restauro hanno messo in luce un lungo tratto di strada romana e di

annesse strutture di servizio per la viabilità.

I lavori di sbancamento, necessari per il raddoppio dei binari, hanno rivelato alcune

discariche di età romana imperiale, il cui scavo ha fornito nuovi dati scientifici relativi ad

un’area già nota per la sua importanza archeologica e storica.

Già nel 1871, quando la Compagnia Reale delle Ferrovie sarde costruiva la prima

stazione a Decimomannu, era venuta alla luce una necropoli di età punica e romana.

Questo sito, sin dalle età più remote, era stato scelto come punto focale della viabilità

che collegava la costa meridionale della Sardegna e il suo attuale capoluogo Cagliari

(l’antica Karalis o Karales) con i porti della costa sud-occidentale e centro-occidentale

dell’isola.

Lo scavo archeologico ha consentito di recuperare vasellame da cucina e da mensa,

insieme a resti di pasto, grazie ai quali è stato possibile precisare dal punto di vista

topografico l’estensione di quell’antico insediamento.

I lavori sono stati eseguiti effettuando lo sbancamento delle infrastrutture ferroviarie ormai

in disuso con mezzi meccanici (escavatori tipo “mini” o “terna”), e con il successivo

approfondimento delle “sacche” archeologiche eseguito a mano, con attrezzi da scavo

leggeri. Vista la superficie limitata oggetto dell’indagine, i lavori archeologici sono stati

completati velocemente e l’area è stata resa agibile al completamento delle opere

ferroviarie alla fine del mese di Aprile del 2007. (Fig. 10)

Figura 10 - Saggi archeologici a Decimomannu

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Proseguendo lungo un immaginario itinerario stradale storico-culturale in direzione

nord, un punto di estremo interesse archeologico si estende all’ingresso meridionale del

centro abitato di Villasor, in un’area di alcuni ettari compresa tra la linea ferroviaria

Cagliari - Golfo Aranci e la Statale 196. Questa strada, costruita nella seconda metà

dell’ottocento per collegare Decimomannu all’attuale provincia di Oristano, ricalcava i

tracciati viari della Sardegna antica, terminando nel comune di Marrubiu, presso la S.S

131 Carlo Felice.

In questo caso l’intervento archeologico si è rivelato piuttosto complesso: l’area da

indagare equivalente alla superficie delle opere stradali comprendeva oltre 10.000 metri

quadri di suolo agricolo, all’apparenza privo di qualunque emergenza visibile nel

soprasuolo, a parte la monocoltura dei carciofi tipica di questa zona. In realtà questi

terreni apparentemente piatti e monotoni conservano, anche a poche decine di

centimetri sotto il piano di campagna, uno degli esempi più interessanti di insediamento

rurale in Sardegna, un insediamento frequentato dal periodo neolitico al medioevo.

L’intervento si è svolto in due fasi distinte.

Nella prima, dopo la delimitazione topografica dell’area di intervento con un reticolo di

135 quadrati di m.10x10 e la ricognizione visiva di superficie, si è passati allo

sbancamento con mezzi meccanici di piccole o medie dimensioni (mini-escavatore e

terna), scavando sino ad una profondità di circa 50 cm. al di sotto del piano di

campagna.

Questa misura è stata stabilita in base alla necessità di rimuovere la parte superficiale del

terreno agricolo, che sarà sostituito con materiale inerte idoneo alla realizzazione del

sottofondo stradale. Tale quota di scavo meccanico garantiva inoltre contro eventuali

danni nei confronti di strutture archeologiche superstiti, giacché l’intera area è stata

oggetto da secoli di continue arature per l’uso agricolo del suolo. Nonostante una

profondità di 50 cm. sia in linea di massima inferiore a quella raggiunta dagli aratri

odierni, l’estrema concentrazione di manufatti archeologici ha comunque permesso

l’individuazione di alcune aree dove la frequentazione antica era particolarmente

evidente. (Figg. 11 - 12)

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Fig. 11 - Ubicazione dell’area di intervento archeologico nella variante alla S.S. 196

Fig. 12 - Lavori preliminari di sbancamento

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Dove si è ritenuto necessario si è intervenuti con l’approfondimento ed il recupero dei

reperti eseguito manualmente con attrezzi leggeri da scavo, nonché con la

documentazione topografica e fotografica. Tutti i materiali archeologici raccolti sono

stati catalogati e sistemati in locali idonei forniti dall’impresa, poi trasferiti in magazzini

comunali, tranne alcuni manufatti di particolare pregio che sono stati inviati

direttamente al laboratorio di restauro della Soprintendenza archeologica di Cagliari.

(Figg. 13 - 14)

Figura 13 - Ritrovamento di un vaso “a tripode” dell’età del Rame sotto la cunetta della S.S.196

Figura 14 - Lo stesso vaso “a tripode” dopo il restauro

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I risultati scientifici prodotti da questa prima fase sono stati consistenti e, forse, anche

al di là delle aspettative. La cronologia preistorica già nota in questo sito è stata non solo

confermata, ma anche approfondita nei sui aspetti di cultura materiale, ed a questa si è

aggiunta la rivelazione di presenze umane importanti in due fasi cruciali della storia sarda

in età storica, una nell’alto medioevo, tra la caduta dell’impero romano d’occidente e

l’affermarsi nell’isola dell’Impero Bizantino (V-VIII secolo d.C.), e l’altra nel pieno

medioevo, durante il passaggio tra il governo autoctono dei Giudici a quello spagnolo

(XIII-XIV secolo).

Nella seconda fase è avvenuto lo scavo archeologico stratigrafico, circoscritto in tre

aree distinte, denominate Saggio 1, 2 e 3, venute in luce durante i lavori di sbancamento

con mezzi meccanici. Vista la necessità di rendere liberi alcuni settori dove era più

urgente procedere con le opere civili, e allo stesso tempo permettere il passaggio ai

mezzi meccanici impegnati in tali opere, i Saggi sono stati eseguiti iniziando dal settore

più vicino alla linea ferrata, dove sono già state realizzate le pile del cavalcaferrovia

(Saggi 1 e 2). (Fig. 15)

Figura 15 - In primo piano, il Saggio archeologico 1 in esecuzione e, dietro, il cavalcaferrovia in

costruzione

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Il Saggio 3, tuttora in corso, riguarda invece l’area limitrofa alla rotatoria prevista presso il

nuovo svincolo della S.S. 196.

Nel Saggio 1, presso la linea ferroviaria, si è proceduto allo scavo di un’area di circa metri

12x5, che si era rivelata molto promettente vista la gran quantità di reperti ceramici, litici

e faunistici visibili a poca profondità. Si tratta di un villaggio databile all’inizio dell’età del

Rame, che i reperti ceramici ascrivono alla cosiddetta “Cultura Sub-Ozieri”, la cui

cronologia è compresa tra il 3.000 ed il 2.800 a.C.

Lo scavo è stato compiuto interamente a mano, con attrezzi leggeri (palettine o trowels,

piccozze, scopette, pennelli, bisturi ecc.), asportando il deposito con tagli successivi di

sottili porzioni di terreno, mentre i reperti archeologici di qualsiasi natura, compresi

carboni, materiale osteologico, paleobotanico e campioni sedimentologici, sono stati

recuperati in modo sistematico, siglati e sistemati in contenitori idonei.

Il rilievo è stato eseguito con una stazione totale laser Leica TCR 405 Power, scegliendo

come capisaldi due punti riferiti alle coordinate Gauss-Boaga, materializzati dai topografi

dell’impresa nelle immediate vicinanze del cantiere e da loro utilizzati per il rilievo delle

opere civili, così come le quote sono state riferite al livello del mare. Il rilievo dei reperti,

delle unità stratigrafiche e delle strutture è finalizzato ad un loro posizionamento in vista

della realizzazione di un G.I.S. Intra Site. Durante lo scavo sono stati posizionati circa

20.000 reperti, ora depositati presso un locale che l’amministrazione comunale di Villasor

ha messo a disposizione degli studiosi per eseguire le analisi ed il restauro dei pezzi

ricostruibili al termine della fase operativa di scavo. (Fig. 16)

Fugura 16 - Operazioni di scavo e rilievo topografico nel Saggio 1

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Il villaggio, che si estende anche al di là della zona indagata, è costituito da strutture

infossate (sacche) di forma circolare polilobata, scavate nel terrazzo alluvionale per una

profondità di un metro ed oltre. La loro funzione è tuttora oggetto di dibattito tra gli

studiosi, ma sicuramente il loro uso primario era abitativo, come ha mostrato il

ritrovamento sul loro fondo di vespai e letti di argilla compatta all’apparenza orizzontati.

(Fig. 17)

Figura 17 - Fondo di una capanna preistorica, con tracce di vespaio e resti di pasto

Successivamente alla fase abitativa, le sacche sono state utilizzate come discariche,

secondo uno schema già noto in altri siti analoghi della Sardegna. Oltre alle sacche, è

venuto in luce un pozzo circolare del diametro di metri 1,80 e 3 di profondità, utilizzato

per l’acqua o come silos. Anche in questo caso il suo uso finale è stato quello di

discarica, ed ha infatti restituito, oltre a numerosi frammenti di reperti ceramici e

faunistici, anche alcuni vasi integri. (Fig. 18)

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Figura 18 - Scavo di un pozzo ubicato nel villaggio preistorico

I reperti di terracotta recuperati in tutto il Saggio 1 (alcune decine di contenitori intatti e

migliaia di frammenti in parte ricostruibili) appartengono integralmente alla cultura Sub-

Ozieri, e rappresentano l’intera gamma di tale produzione artigianale, compresa la

ceramica cosiddetta “sub-figulina” con superfici giallino chiaro e sovrapittura, nelle

forme della fiasca e del vaso a collo, con le anse “a tunnel”. (Fig. 19)

Figura 19 - Frammento di ceramica “sub-figulina” (Cultura Sub-Ozieri, 3.000-2.800 a.C.)

Oltre alla terracotta, sono numerosi gli oggetti litici, soprattutto macine, macinelli e

pestelli, usati nella trasformazione alimentare dei cereali, e i cosiddetti “pesi da telaio”

che, insieme alle fusaiole in terracotta, testimoniano l’attività di tessitura. Di estrema

importanza il ritrovamento ed il recupero di una gran quantità di reperti faunistici, che

evidenziano l’incidenza economica dell’allevamento, testimoniata dai resti di ossa

macellate di bovini, ovini, caprini e suini. A questo si aggiunge l’attività di caccia,

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documentata soprattutto da resti di cinghiale sardo (Sus scrofa meridionalis), ma anche

di cervo (Cervus elaphus corsicanus) (Fig. 20) e di altri piccoli animali, che uno studio

approfondito potrà rivelare se si tratta di roditori e volatili selvatici o da cortile.

Interessante è anche la presenza di numerosi esemplari di volpe (Vulpes vulpes

ichnusae): in questo caso gli animali non erano stati macellati, ma gettati via interi. Ciò

farebbe pensare alla loro uccisione non a scopo alimentare, ma per la conciatura delle

pelli. Sempre in ambito alimentare va citata la presenza costante, in tutti gli strati

analizzati, di una quantità rilevante di gusci di molluschi. In primo luogo le cozze (sia il

Mytilus galloprovincialis, tuttora presente sull’isola, che un altro genere di Mytilus ora

estinto), ma anche le arselle “cuore” (Cardium edule), le ostriche (Ostrea edulis) e

perfino i cannolicchi (Solen marginatus). (Fig. 21)

Infine, sono stati raccolti campioni sistematici di terreno da analizzare, in modo da poter

approfondire l’indagine anche nel settore dell’archeo-botanica.

Figura 20 - Corno di cervo insieme a manufatti in pietra e terracotta

Figura 21 - Reperti faunistici dal villaggio preistorico: in senso orario, dall’alto a sinistra, ostriche,

cozze, arselle e cannolicchi

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Nel Saggio 2 è stato messo in luce un forno per terrecotte di età medievale che, da

confronti con opere analoghe e dai ritrovamenti di ceramiche, può essere datato in un

periodo compreso tra il XIII ed il XIV secolo. Nell’area circostante sono emerse tracce

consistenti di lavorazione dell’argilla, ed in particolare della produzione di tegole del tipo

“coppo”, tipiche dell’edilizia tradizionale della Sardegna. E’ probabile che l’argilla fosse

estratta in loco, ma soltanto le analisi chimiche potranno confermare quest’ipotesi.

Il manufatto, in parte costruito interrato mediante l’escavazione del sottosuolo ghiaioso

ed argilloso, era stato realizzato interamente con mattoni crudi legati con argilla. Il crollo

della parte aerea ha mantenuto intatta e perfettamente visibile la camera di

combustione, che ancora conserva sul fondo le tracce della cenere accumulatasi

durante le operazioni di cottura.

Alcune fasi della lavorazione sono chiaramente riconoscibili, come i frammenti di tegole

“affumicate” usate per la copertura della canna fumaria, e gli elementi in terracotta

utilizzati come distanziatori o supporti per i manufatti da cuocere. (Fig. 22-23)

Figura 22 - Scavo di un forno di età medievale, protetto da palancole

In considerazione dell’importanza e della limitata conoscenza di analoghi

ritrovamenti, la Soprintendenza al fine della sua tutela e valorizzazione ha ritenuto

necessario proporre ad ITALFERR la realizzazione di una struttura fissa -appositamente

ideata all’interno della scarpata in prossimità del sovrappasso- realizzata in cemento

armato su tre lati ed il lato frontale chiuso con un muro ed una porta di accesso con

alcuni bocchettoni per l’areazione. Tale manufatto si è reso necessario per proteggere i

resti dalle variazioni termiche e dagli agenti atmosferici e renderli fruibili.

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Alla realizzazione di tale progetto hanno partecipato attivamente i Tecnici

dell’Impresa appaltatrice. (Fig. 24)

Figura 23 - Rilievo delle parti superstiti del forno medievale

Figura 24 - In primo piano, costruzione di opere di protezione in cemento armato per il forno ; dietro,

scavo del villaggio preistorico.

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Infine nel Saggio archeologico n. 3, tuttora in corso, già dalle prime indagini sono

venuti in luce alcune reperti intatti conservati nella loro posizione originaria. In questo

caso ci troviamo nell’età del Bronzo recente e finale (circa 1.300 - 900 a.C.), in quel

periodo della preistoria sarda noto come Civiltà Nuragica. In questo saggio sono evidenti

anche le tracce di sacche preistoriche riferibili a fasi precedenti risalenti all’età del Rame.

Siamo probabilmente davanti ad una porzione di territorio che potrebbe celare una

sequenza stratigrafica molto articolata e forse più complessa rispetto al Saggio 1, e che

certamente fornirà nuovi ed importanti dati scientifici agli studi sulla preistoria della

Sardegna. (Figg. 25 e 25bis)

Figura 25 - Vaso dell’età del Bronzo scoperto nel Saggio 3

Figura 25 bis - Lo stesso vaso dell’età del Bronzo dopo il restauro

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Relazione sul restauro dei materiali archeologici

Il lotto di materiali provenienti da Villasor, arrivati in laboratorio direttamente dallo

scavo, nel complesso si presentano in uno stato di conservazione discreto. I reperti, tutti in

terracotta, per il 50% sono frammentari e il restante solo in parte lacunoso ad eccezione

di una decina di vasi miniaturistici che sono integri. (Fig. 26)

Figura 26 - Vasi miniaturistici dell’età del Bronzo dopo la pulizia ed il restauro, insieme ai resti dei

contenitori dove erano conservati

Tutti i vasi sono lavorati al tornio con argille non depurate e, già con un’analisi ad occhio

nudo si possono osservare degli inclusi naturali, utilizzati come degrassante. Le superfici si

differenziano per il colore: quelli di cultura “Monte Claro” di color rosso e gli altri di color

bruno scuro. Il primo intervento che è stato effettuato in laboratorio è la pulitura: dopo

aver eliminato con acqua corrente le incrostazioni terrose grasse, si è proceduto

ammorbidendo la terra più tenace con dei batuffoli di cotone, impregnati di alcool puro

95°, e si è proceduto alla rimozione meccanicamente con l’ausilio di un bisturi. Su alcuni

vasi, dove sono state riscontrate delle parti concrezionate, localizzate, di natura

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calcarea si è dovuto procedere con metodo chimico, ammorbidendo con acido

solfammico le croste e poi asportandole meccanicamente. Tutte le ceramiche dopo la

pulitura, sono state essiccate in stufa termoventilata a temperatura controllata (C°45),

per poi procedere al consolidamento con resina metacrilata. I vasi miniaturistici

presentavano delle piccole macchie nere diffuse, molto tenaci e difficili da rimuovere

meccanicamente. Dopo alcune prove di laboratorio, si è riscontrato fossero macchie di

manganese. Si è proceduto utilizzando dei cotton fioc con una soluzione ad azione

attiva in maniera localizzata (BDG, CTS) sciogliendo le piccole macchie, riducendole o

asportandole totalmente. Alcuni vasi sono stati ricomposti incollando i vari frammenti con

una resina polivinilica (Mowital HH60) solubile in alcool puro.

La “situla” di cultura “Monte Claro”, pur mancando il 70% dell’oggetto, è stata

ricomposta ottenendo la continuità dell’oggetto dal fondo fino in alto all’orlo: in

laboratorio, dopo aver elaborato dei grafici, si è realizzato un supporto in plexiglas sul

quale sono stati ancorati tutti i frammenti con una resina siliconica reversibile. La situla

riacquista la sua posizione verticale e oltre ad aver ridato la giusta lettura al reperto essa

è pronta per essere musealizzata. (Figg. 27 - 28)

Fig. 27 - Vaso dell’età del Rame (situla) al Fig. 28 - Lo stesso vaso (situla) dopo il restauro

momento del ritrovamento

Tutti gli interventi sono stati impostati seguendo le direttive del superiore Istituto Centrale

per il Restauro del nostro Ministero, ed osservano i principi di reversibilità e di durata nel

tempo.

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1.3 L’insediamento neolitico di Puisteris – Mogoro (OR): nuovi dati dallo scavo di una “sacca” in località Serra Neula

Riccardo Cicilloni, Emerenziana Usai

Nei mesi di maggio-giugno 2000 si è effettuata una serie di saggi di scavo in loc.

Serra Neula (Mogoro) presso il noto villaggio prenuragico di Puisteris, ricco centro di

lavorazione dell’ossidiana durante il Neolitico. L’indagine ha permesso, tra l’altro, di

mettere in luce una “sacca”, scavata nella roccia, con una stratigrafia ben definita; si

sono inoltre recuperati numerosi strumenti litici in ossidiana ed in selce e ceramiche

attribuibili esclusivamente alla cultura di Ozieri.

L’insediamento di Puisteris

La località Serra Neula, o Serra Nebis, in comune di Mogoro, già segnalata per la

presenza di alcune grotte (Puxeddu 1962: 223-224), si trova su un piccolo pianoro situato

lungo i margini meridionali del villaggio prenuragico di Puisteris, al quale si devono

correlare le testimonianze archeologiche venute in luce nell’area indagata.

Il vasto insediamento di Puisteris, ubicato in una zona di depositi calcarei miocenici

presso le pendici nord-occidentali dell’altopiano basaltico di Perdiana, è noto sin dagli

anni ’50 grazie alle ricerche di Cornelio Puxeddu, che ne fece oggetto di studio nella sua

tesi di laurea, pubblicandone in seguito i risultati (Puxeddu 1962; Puxeddu 1975).

Successivamente Enrico Atzeni identificò i più antichi momenti di frequentazione del

villaggio, pubblicando materiali di cultura Ozieri e di Bonuighinu (Atzeni 1978: 56), e

Giovanni Lilliu ne sottolineò la rilevanza nel quadro della lavorazione e del commercio

dell’ossidiana del Monte Arci (Lilliu 1988: 78-80). All’inizio degli anni ’90 sono stati poi

pubblicati alcuni reperti ceramici attribuibili alle culture di Bonuighinu e di San Ciriaco

(Meloni 1993).

L’importante insediamento dovette costituire, durante il Neolitico, un ricco centro di

lavorazione dell’ossidiana e forse anche un punto nodale per la commercializzazione

della stessa materia prima e degli strumenti da essa ricavati. Le ricerche hanno permesso

di individuare oltre 260 “fondi di capanna” e di ricostruire le varie fasi culturali del

villaggio, comprendenti le culture di Bonuighinu, San Ciriaco, Ozieri, Sub-Ozieri, Monte

Claro, con sporadiche frequentazioni anche in età nuragica (Puxeddu 1975).

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L’indagine scientifica

In occasione di lavori di adeguamento del vecchio tracciato della SS 131, nel tratto

compreso tra il Km 58,500 ed il Km 65,200, si è reso necessario, nell’ambito dell’attività di

tutela di competenza della Soprintendenza ai Beni Archeologici per le province di

Cagliari e Oristano, effettuare vari sopraluoghi di controllo ed un intervento di scavo nella

località Serra Neula, finalizzato a verificare l’estensione del villaggio di Puisteris.

Le indagini si sono svolte nei mesi di maggio-giugno 2000, con la direzione

scientifica della dott.ssa E. Usai, la conduzione sul terreno dell’archeologo R. Cicilloni e la

collaborazione dell’assistente tecnico M. Sannia. Sono stati effettuati quattro saggi di

scavo, denominati rispettivamente Saggio A, Saggio B, Saggio C e Saggio D, ubicati a

pochi metri dal vecchio tracciato della SS 131, sulla sinistra per chi viene da Cagliari,

precisamente al Km 59,9 (Fig. 29).

Figura 29 - Puisteris-Serra Neula (Mogoro): planimetria generale dell’area indagata con l’indicazione

del nuovo tracciato viario della S.S. 131. Figura 30 - Puisteris-Serra Neula (Mogoro): strumenti litici in ossidiana (disegni A. Gallo).

Lo scavo del Saggio A, eseguito sino al discoprimento della roccia calcarea di base,

ha permesso l’individuazione di tre piccoli pozzetti, scavati nella roccia, isolati e non in

rapporto con altre strutture. Sicuramente artificiali, furono, con ogni probabilità, scavati

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dalle genti che abitarono durante il Neolitico Finale a Puisteris, come sembrano

documentare i pochi frammenti fittili e di ossidiana di cultura Ozieri recuperati all’interno.

Potrebbe trattarsi di pozzetti per raccogliere l’acqua, magari per l’abbeveraggio del

bestiame. L’ampliamento dell’area del saggio per verificare la presenza di altre strutture

non ha portato all’evidenziazione né di ulteriori pozzetti né di sacche culturali.

Nell’area del Saggio B, caratterizzata dalla presenza, in superficie, di abbondante

materiale archeologico, si è messo in luce un canalone naturale che si apre nel

bancone calcareo, con andamento Nord-Sud, riempito di terra con numerosi reperti litici

e fittili; potrebbe trattarsi di un dilavamento di materiali archeologici dalle zone più alte,

dovuto anche alle arature effettuate nel sito, oppure potrebbe trattarsi di un’antica

discarica.

Infine, poiché del Saggio C si scriverà in seguito, ricordiamo il Saggio D, di piccole

dimensioni, dove si è scavato sino alla roccia calcarea di base; le ricerche hanno

permesso l’individuazione del bordo del canalone naturale che, già evidenziato

nell’area del Saggio B (ubicato pochi metri più a Sud del Saggio D), proseguiva

evidentemente verso Nord.

L’indagine scientifica permette dei affermare che la località di Serra Neula dovette

costituire un’area limitrofa al villaggio di Puisteris, probabilmente sfruttata per

l’allevamento del bestiame e forse anche per l’agricoltura. Il materiale archeologico

recuperato, attribuibile con sicurezza alla cultura di Ozieri, attesta la frequentazione della

zona durante le fasi finali del Neolitico.

Lo scavo e i materiali della “sacca”

Lo scavo dell’area denominata Saggio C, che ha permesso l’evidenziazione della

“sacca” oggetto di studio, ha confermato la grande importanza rivestita, per gli abitanti

di Puisteris, dell’ossidiana che il vicino Rio Mogoro trasportava in abbondanza dal Monte

Arci e depositava, dopo le piene delle stagioni piovose, sotto forma di noduli, e che

veniva utilizzata come materia prima per la fabbricazione di armi e strumenti litici. Il

Puxeddu aveva individuato nell’esteso villaggio almeno due “capanne” interpretate

proprio come botteghe artigianali adibite alla lavorazione dell’ossidiana (Puxeddu 1975:

79).

Il saggio di scavo è stato effettuato lungo il limite orientale della vecchia

carreggiata della SS131, in un punto caratterizzato dalla presenza in superficie di

numerosi frammenti fittili e ossidiana.

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Figura 31 - Puisteris-Serra Neula (Mogoro): “sacca”, scavata nella roccia (ripresa da Sud).

Nel saggio, costituito da un’area rettangolare lunga 5 m e larga 4 m, si è arrivati sino alla

roccia calcarea naturale, evidenziando la presenza di una “sacca”, o “fondo di

capanna”, isolata, scavata nella roccia, con pianta subcircolare, tendente all’ellittico, di

sezione concava.

Le operazioni di scavo hanno permesso di ricostruire con esattezza la situazione

stratigrafica e di recuperare numeroso materiale archeologico, costituito da strumenti

litici in selce e soprattutto in ossidiana, da frammenti fittili pertinenti anche a forme

parzialmente ricostruibili, e da resti di pasto quali ossa animali e valve di molluschi.

Al di sotto del terreno vegetale superficiale, misto a materiali di età moderna (US15),

compariva, a quota –0,30 m rispetto all’attuale piano di campagna, un secondo strato

(US16), formato da terreno vegetale, la cui superficie superiore costituiva, probabilmente,

il piano originario di campagna. Ancora al di sotto, alla quota media di m. –0,75, veniva

in luce, nell’area di quasi tutto il saggio, un bancone di roccia naturale, calcareo, con

andamento pianeggiante, denominato US18. Al centro del saggio, però, sempre a

quota –0,75 m, si evidenziava una chiazza di terra bruno grigiastra (US17), pertinente alla

sacca in esame, da cui proveniva numeroso materiale archeologico, tra cui due punte

di zagaglia foliate in ossidiana. Si rinvenivano inoltre frammenti fittili, litici e resti di pasto

quali ossa e valve di molluschi. La US17 copriva, all’interno della sacca, la US19, un

terreno color bruno-chiaro, che compariva a quota –0,90 m. Tale strato inferiore, che

arrivava sino alla quota di –1,35 m, cioè sino alla roccia calcarea di base, si

caratterizzava per la minore presenza di materiale archeologico rispetto allo strato

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superiore (US17); si sono recuperate comunque, tra gli altri materiali, una punta di

zagaglia foliata in ossidiana, un pestello e vari frammenti fittili.

Figura 32 - Puisteris-Serra Neula (Mogoro): frammenti fittili di cultura Ozieri provenienti dalla

“sacca”.

Lo studio dei materiali archeologici venuti in luce è ancora nella fase preliminare,

ma comunque si possono già fare alcune considerazioni.

I materiali rinvenuti nei due strati individuati all’interno della sacca sono di esclusiva

pertinenza alla cultura di Ozieri. Lo dimostrano i numerosi frammenti fittili rinvenuti, sia

inornati che decorati, tipici della cultura. Accanto a ceramiche con impasti grossolani,

con semplice lisciatura delle superfici, si riconoscono tipi più fini, con impasto ben

depurato e superficie lucidata od ingubbiata.

Tra le forme, più numerosi appaiono i vasi a cestello, con o senza linea incisa nella parete

interna sotto l’orlo. Un esemplare, con brillante ingubbiatura rossastra, presenta un

motivo plastico costituito da costolatura curvilinea, raffrontabile con esempi analoghi

presenti su vasi a cestello rinvenuti a Sa ‘Ucca de su Tintirriolu-Mara (Loria-Trump 1978:

141; fig. 15, 8-9; tav. XIV, 6, 8 ).

Si hanno poi vasi tripodi, ciotole, ciotoloni, di cui si segnala un frammento con una

particolare bugnetta con tacche “a polpastrello”, motivo presente spesso nella

ceramica Ozieri su bugne allungate o cordoni, come ad esempio in un frammento di

San Gemiliano-Sestu (Atzeni 1962: 84, tav. XIV,2), ed in uno proveniente dalla struttura 27

di Su Coddu-Selargius (Usai 1989: 245-246; fig. 3,7). Caratteristica anche una ciotola

carenata che presenta una bugnetta orizzontale lungo la carena ed una linea incisa

che corre al di sopra della carena stessa. Il reperto trova puntuale riscontro in un

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esemplare da Sa ‘Ucca de su Tintirriolu-Mara (Loria-Trump 1978: 144; fig. 19, 5; tav. XVIII,3).

Completano il repertorio vascolare rare pissidi, vasi globulari, spiane, queste ultime spesso

con fondo impresso “a stuoia”, del tipo ritrovato ad esempio nella capanna 21 (di

cultura Ozieri) di Su Coddu-Selargius (Nuvoli 1989: 255; fig. 4, 1).

Le decorazioni sono quelle classiche della cultura di San Michele, con abbondanza di

bande impresse tratteggiate, spesso incrostate con pasta bianca e rossa, in motivi per lo

più curvilinei. Si hanno anche motivi a banda tratteggiata rettilinea, posta sotto l’orlo di

ciotole, da cui si dipartono bande parallele e motivi a festoni a bande tratteggiate

alternate a bande lisce. La decorazione è presente anche sulle superfici interne, come in

varie ciotole che presentano motivi a festonatura tratteggiata lungo l’orlo interno.

Presente anche la tecnica con impressioni “a segmenti dentellati”, che ricoprono forme

globulari con motivi a linee parallele o ad archi concentrici.

È, però, l’industria litica che caratterizza l’insieme del materiale archeologico rinvenuto

nella sacca. Innanzitutto si deve sottolineare la preponderanza dell’ossidiana, nei tipi

opaca, lucida e traslucida, come materia prima rispetto ad altri materiali quali selce o

quarzo. Su 200 elementi litici recuperati nei due strati della sacca, 159 sono in ossidiana

(costituendo il 79 % del totale), contro 14 elementi in selce (7 %) e 24 in altri materiali,

quali quarzo, basalto, rocce dure (14 %). Si è notato che l’utilizzo dell’ossidiana

diminuisce leggermente nello strato superiore (US17) rispetto a quello inferiore (US19),

mentre la percentuale di elementi in selce si presenta abbastanza costante.

La presenza di numerosi scarti di lavorazione e di ciò che resta di nuclei, sembra

attestare una lavorazione in loco della materia prima, da cui si ricavavano gli strumenti

per l’uso quotidiano.

Tra i manufatti in ossidiana, si distinguono, per la raffinata lavorazione, strumenti

appartenenti al gruppo tipologico dei foliati, la cui diffusione in Sardegna avviene

durante le fasi finali del Neolitico, per opera delle popolazioni di cultura Ozieri (Lugliè

2000: 24-25). Tali strumenti appaiono infatti, in associazione stratigrafica con fittili

pertinenti alla cultura di San Michele, nella già citata grotta di Sa ‘Ucca de su Tintirriolu-

Mara (Loria-Trump 1978: 158-159, 194-195; fig. 33, 1-6).

Dalla US17 provengono due punte di zagaglia foliate (fig. 30, a-b), di forma lanceolata a

foglia di lauro (lunghe rispettivamente cm. 8,3 e cm. 7,1), una punta di freccia foliata (fig.

30, c), dai margini assimmetrici (lunga cm. 4,9) ed una punta di freccia peduncolata

piuttosto tozza (fig. 30, d), lunga cm. 4,4. Anche dalla US19 proviene una punta di

zagaglia foliata (fig. 30, f), lunga cm. 6, ed una seconda punta di freccia peduncolata

(fig. 30, e), abbastanza allungata, frammentata nella parte sommitale (lungh. cm. 4). Il

repertorio litico in ossidiana comprende poi lame e lamelle, spesso con margini irregolari

e con accentuata torsione del piano di stacco. Si riconoscono poi strumenti quali

raschiatoi e grattatoi, di varie forme e dimensioni.

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Tra gli strumenti in altre materie prime, si segnala una preziosa lama ed un perforatore in

selce, provenienti dalla US17. In basalto si hanno poi alcuni frammenti di macinelli,

mentre in roccia dura si hanno lisciatoi, percussori ed un’accettina levigata.

L’analisi, seppure ancora molto parziale, dei manufatti litici rinvenuti nella sacca di

Serra Neula, consente dunque di inquadrare con sicurezza il repertorio nell’ambito della

cultura Ozieri, come è anche dimostrato dall’associazione in strato con fittili pertinenti a

tale cultura. Permette inoltre di ribadire, se ce ne fosse ancora bisogno, il ruolo primario

dell’ossidiana nell’economia delle popolazioni neolitiche di cultura Ozieri, sia per l’utilizzo

quotidiano che, probabilmente, per gli scambi commerciali.

Referenze bibliografiche

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presso Cagliari e le ceramiche della “facies” di Monte Claro, Studi Sardi XVII [1959-61]: 3-

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2. Regione Campania

Evidenze archeologiche rinvenute nella regione Campania

ANAS – Autostrada A/3 SA – RC:

- Villa romana di età repubblicana presso Polla (SA)

- Insediamento villanoviano presso Pontecagnano (SA)

- Necropoli e acquedotto romano nei pressi della strada statale per Padula (SA)

TAV – AV Tratta Roma – Napoli:

- 149 siti archeologici di diverso tipo

TAV – AV Tratta Roma – Napoli,

Linea a monte del Vesuvio:

- Tratto dell’acquedotto augusteo presso il viadotto Volla (NA)

2.1 Scheda degli interventi e dei ritrovamenti

L’intervento di ammodernamento e ampliamento dell’Autostrada A/3 Salerno –

Reggio Calabria è un’opera di grandissima importanza a livello non solo regionale, ma

anche nazionale, fondamentale per il futuro sviluppo economico del Mezzogiorno.

Dal momento che gli interventi andavano ad interessare una zona ricca dal punto di

vista storico-archeologico, al fine di tutelare i siti che sarebbero emersi nel corso dei

lavori, la Soprintendenza Archeologica di Salerno ha collaborato strettamente con ANAS

anche nella fase progettuale.

Nel corso dell’opera di ammodernamento dell’Autostrada Salerno - Reggio Calabria

sono stati così rinvenuti numerose evidenze di interesse archeologico di varia rilevanza: si

parla di 15 siti importanti e di 150 nuclei minori. Tutti i reperti sono stati studiati e catalogati

e molti, dopo un attento e opportuno restauro, hanno trovato un posto di rilievo nei

musei archeologici di zona; altri, invece, sono stati nuovamente interrati per dare la

possibilità ai lavori di essere portati a termine. In alcuni casi, inoltre, i ritrovamenti hanno

dato luogo a varianti del progetto originale al preciso scopo di preservare l’integrità dei

siti rinvenuti.

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Nello specifico, in territorio campano si ricordano i ritrovamenti avvenuti nel

Tronco 1° dell’A/3, in particolare nei Tratti 1°, 2° e 6°.

Nel Tratto 1° i siti emersi sono due, risalenti entrambi all’Età del Ferro. Si tratta di ricche

necropoli che hanno restituito molti monili di argento, ambra e bronzo e numerose armi.

Inoltre sono stati rinvenuti anche sistemi di canalizzazione e di bonifica di epoca

preromana e romana e un nucleo artigianale medievale.

Figura 33 – Localizzazione ritrovamenti archeologici nel Tronco 1° - Tratto 1° dell’Autostrada Salerno-Reggio Calabria (1° sito)

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Figura 34 – Localizzazione ritrovamenti archeologici nel Tronco 1° - Tratto 1° dell’Autostrada Salerno-Reggio Calabria (2° sito)

Nel Tratto 2° sono invece state ritrovate evidenze riferibili soprattutto alla presenza

etrusca nel territorio di Pontecagnano. Si tratta di uno degli insediamenti più rilevanti

della Campania antica, risalente alla prima metà dell’Età del Ferro, fondato da genti di

cultura villanoviana2 provenienti dall’Etruria Meridionale.

Il sito ha un’importanza particolare in quanto risulta essere l’estremo sito di colonizzazione

etrusca verso il meridione. Le emergenze archeologiche rinvenute nel corso degli anni

permettono di delinearne l’articolata storia attraverso i secoli. I ritrovamenti effettuati

invece durante i lavori relativi all’ammodernamento dell’A/3 sono ascrivibili alla parte più

esterna dell’antico abitato e si riferiscono per lo più a necropoli e a quartieri artigiani,

anche se il rinvenimento più importante è sicuramente quello del santuario

settentrionale. La ricchezza dei reperti e l’importanza del sito, dal nome ancora

sconosciuto, ma ritenuto uno dei più significativi risultati degli studi archeologici in Italia

negli ultimi decenni, hanno portato all’ipotesi di una futura istituzione di un museo a

Pontecagnano per raccogliere e ospitare i numerosi reperti rinvenuti.

Un altro ritrovamento di grande valore si è avuto poi in corrispondenza del 1°

Maxilotto nei pressi dello svincolo di Polla, in località San Pietro. Qui sono emerse strutture

risalenti ad un vasto arco di tempo, a partire dal II sec. a.C. fino al VII sec. d.C., che 2 Per cultura villanoviana si intende una civiltà sviluppatasi durante l’Età del Ferro, tra il X e l’VIII sec. a.C. in un’area che interessa parte dell’Emilia Romagna, tutta l’Italia centrale e la Campania. Il suo nome deriva da quello di Villanova, una località nei pressi di Bologna, dove furono scoperte le prime necropoli a metà ‘800. La civiltà villanoviana viene da molti considerata come una fase iniziale di quella etrusca, che si sviluppò sostanzialmente nelle stesse aree.

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sembrerebbero essere riconducibili ad un luogo di culto privato o pubblico. La rilevanza

del sito ha portato ad una variante progettuale al fine di garantirne la conservazione.

Per quanto riguarda invece i lavori realizzati con le risorse del PON Trasporti

2000/2006 relativi a RFI, da ricordare sono i reperti archeologici rinvenuti durante i lavori di

costruzione della nuova Linea a monte del Vesuvio, inseriti in quelli di riorganizzazione del

nodo di Napoli per l’ottimizzazione della circolazione ferroviaria e il generale

miglioramento del trasporto regionale.

In corrispondenza del Lotto C1, durante la realizzazione del Viadotto Volla, sono stati

scoperti tre piedritti in opera mista di un ponte canale di epoca romana.

La Soprintendenza Archeologica di Napoli ha effettuato indagini mirate, che hanno

portato all’identificazione dei resti di un tratto dell’acquedotto augusteo che portava le

acque dalle fonti del Serino fino a Napoli e a capo Miseno, dove sfociava nella Piscina

Mirabilis3, la più grande cisterna romana mai conosciuta. L’importanza dell’acquedotto

era notevole: fu una delle opere più importanti realizzate dai Romani in Campania, con

la funzione di rifornire anche la flotta ancorata a Capo Miseno.

Figura 35 – Piscina Mirabilis Figura 36 – Pianta della Piscina Mirabilis

La presenza di tali significative emergenze archeologiche ha portato la

Soprintendenza ad allargare l’area di indagine per comprendere l’effettiva interferenza

del viadotto con il tracciato dell’antico acquedotto. Di fronte ad un caso del genere si

3 La Piscina Mirabilis è la più grande cisterna romana mai esistita. Scavata nel tufo, poteva contenere 12.000 metri cubi d’acqua grazie alle sue dimensioni (70 metri per 25 per 15 di altezza). L’interno è scandito da 48 pilastri cruciformi disposti su 4 colonne, che la rendono simile ad una cattedrale.

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sono prese in considerazione varie ipotesi, tra le quali anche quella di rimuovere i reperti

e di estendere ulteriormente le indagini. Una soluzione di questo tipo, tuttavia, prevedeva

un iter lungo e non facile, pertanto è stato deciso di attuare una variante al progetto

originario del viadotto, proprio al fine di preservare intatto il sito.

La soluzione prescelta è stata la realizzazione di un impalcato di luce unica di 50 metri tra

le pile 80 e 82, con l’eliminazione della pila 81. In questo modo si è garantita la

conservazione del sito e se ne è permessa la fruibilità al pubblico.

Figura 37 – Variante progettuale del Viadotto Volla

Figura 38 – Prospetto longitudinale del Viadotto Volla

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Numerosi e importanti sono stati infine i ritrovamenti archeologici riferibili ai lavori

per la Linea TAV Roma – Napoli. In totale, considerando anche i rinvenimenti del Lazio, il

numero di evidenze archeologiche emerse ammonta a 149 siti, scoperti grazie alle

preliminari indagini necessarie allo studio di fattibilità del progetto per la scelta del

tracciato meno invasivo dal punto di vista paesaggistico e archeologico.

Una delle zone più ricca di ritrovamenti è risultata essere quella di Napoli

Afragola, dove sorgerà la nuova stazione della linea Alta Velocità. L’opera

infrastrutturale ha di sicuro avuto un impatto importante sul territorio e quindi è stata

necessaria la partecipazione di studiosi del paesaggio e di archeologi per pianificare gli

interventi di mitigazione, specialmente per quanto riguarda la scelta del tracciato, la

sistemazione del verde connesso all’opera e lo studio e la conservazione dei siti rinvenuti.

La collaborazione tra RFI/TAV e le Soprintendenze coinvolte ha permesso di

trasformare il ritrovamento archeologico da possibile problema a occasione di studio e

valorizzazione del patrimonio archeologico e del territorio interessato dal progetto.

Figura 39 – Insediamento protostorico a Gricignano d’Aversa (Caserta) – da AA.VV., “Sguardi su una grande opera – L’Alta Velocità Roma – Napoli prima e dopo il cantiere”, RFI/TAV, Electa,

Milano, 2005

In particolare per quanto riguarda gli interventi nella Regione Campania, gli scavi

per la Linea TAV hanno permesso di conoscere l’uso del territorio di Caserta e Napoli in

un vasto arco di tempo che va dalla più tarda preistoria fino all’età romana. I siti emersi

sono soprattutto riferibili a insediamenti preistorici, ville rustiche di età romana (spesso con

annessi impianti produttivi di vario tipo, tra i quali quelli per la produzione di ceramica e

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laterizi), edifici adibiti ad attività artigianali sia romani che medievali, tratti di strade e

necropoli di varia estensione.

E’ emersa quindi la vocazione produttiva che il territorio campano ha avuto fin

dall’antichità, quando era già noto per la ricchezza e la fertilità della sua terra.

L’incredibile quantità e qualità dei ritrovamenti ha testimoniato ancora una volta la

vitalità e la ricchezza di questo territorio in epoca antica, quando era crocevia di scambi

commerciali e culturali importantissimi.

Figura 40 – Edificio rustico di età romana – Capua (Caserta) - da AA.VV., “Sguardi su una grande opera – L’Alta Velocità Roma – Napoli prima e dopo il cantiere”, RFI/TAV, Electa, Milano, 2005

Alcuni esempi dei ritrovamenti più significativi:

• a Teano, in provincia di Caserta, sono stati rinvenuti i resti di due edifici termali, dei

quali rimangono alcune vasche, che, come hanno dimostrato le indagini

archeologiche, erano riscaldate con un sistema di tubuli fittili. In questo caso, TAV

ha finanziato indagini più approfondite che sono state estese all’area circostante

e che hanno permesso di rilevare la monumentalità del primo edificio, le cui

strutture si sono conservate fino a tre metri di altezza;

• nei pressi di Capua, nel corso dei lavori del Cantiere Volturno, sono emersi alcuni

tratti della Via Appia Antica, ai cui lati sono stati rinvenuti resti di vari edifici, fra i

quali: una struttura con annesso impianto produttivo, costituito in particolare da

tre fornaci (ascrivibile ad un periodo compreso tra il II sec. a.C e il I sec. d.C.); una

necropoli, in cui l’elemento di principale interesse è un mausoleo monumentale di

16 m di lato databile al I sec. d.C.; una villa rustica a carattere produttivo (II sec.

a.C. – II sec. d.C.), i cui resti sono relativi agli ambienti di servizio. Gli altri vani della

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villa sono stati rilevati approfondendo le indagini archeologiche al di fuori della

fascia interessata dall’intervento di TAV (vedi Fig. 40);

• durante le indagini archeologiche nel territorio urbano di Napoli, in

corrispondenza del Viadotto Botteghelle, è emerso un sito ricchissimo di evidenze

archeologiche. Negli strati più profondi del terreno sono stati rinvenuti reperti

risalenti al IV millennio a.C. e anche resti di un villaggio di epoca neolitica, mentre

ad un livello più superficiale sono emersi numerosi materiali che hanno fatto

ipotizzare la presenza in loco di un santuario databile tra la fine del IV e il II sec.

a.C.

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3.1 Regione Calabria

Evidenze archeologiche rinvenute nella regione Calabria

ANAS – Allacciamento S.S. 106 all’A/3:

- Quartiere artigiano, abitazioni private ed altre evidenze archeologiche delle antiche

città di Sibari e Thurii (CS)

3.1 Scheda degli interventi e dei ritrovamenti

Regione Calabria e Regione Basilicata sono state interessate dai lavori di

ammodernamento della S.S. 106 Jonica nell’ambito dei Grandi Progetti finanziati dal

PON Trasporti 2000-2006.

L’arteria stradale ha una grande importanza per lo sviluppo di quest’area del

Mezzogiorno che comprende anche la Regione Puglia, in quanto permette di collegare i

più importanti centri turistici costieri di queste regioni, costeggiando tutto il litorale. Il

miglioramento della viabilità lungo la costa jonica porterà benefici economici all’area

anche sotto il profilo dell’incremento del turismo, rendendo più facilmente raggiungibili i

luoghi di maggior interesse.

Inoltre alcuni siti rinvenuti durante i lavori hanno contribuito ad arricchire il patrimonio

archeologico delle regioni interessate, costituendo nuove future fonti di attrazione

turistica.

Ad esempio, durante i lavori di adeguamento della strada a scorrimento veloce per

l’allacciamento della S.S. 106 all’A/3 in località Stombi, a causa di importanti ritrovamenti

archeologici, è stato necessario applicare una modifica al progetto originale con la

realizzazione di uno svincolo a rotatoria per salvaguardare il sito e permetterne la visita.

I ritrovamenti sono da riferirsi a due antiche città della Magna Grecia, Sibari e Thurii.

Sibari venne fondata da coloni greci nell’VIII sec. a.C. e divenne in breve tempo una tra

le più ricche e potenti città della Magna Grecia, essendo il principale nodo per i

commerci con l’Asia Minore. Nel VI sec. a.C. fu rasa al suolo dai Crotoniati, abitanti di

Kroton (Crotone) e solo un secolo dopo i coloni greci tornarono sulle rovine della città

sulla quale fondarono la nuova colonia chiamata Thurii, il cui impianto fu progettato dal

celebre architetto Ippodamo di Mileto.

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Figura 41 – Moneta di Sibari Figura 42 – Il “Toro cozzante” rinvenuto nell’antica Thurii

Le emergenze archeologiche rinvenute durante i lavori appartengono all’impianto

originario della città e sono relativi ad un suo quartiere artigiano. Sono emersi pozzi, forni

e frammenti di ceramica, che testimoniano l’utilizzo produttivo degli edifici. Sono presenti

tuttavia anche i resti di strade e ville con ricche pavimentazioni musive appartenenti ad

entrambe le città di Sibari e Thurii, soprattutto nelle zone di Parco del Cavallo e in località

Casa Bianca.

Significativo è infine il vicino Museo Archeologico Nazionale della Sibaritide, per il quale è

stato previsto un raccordo stradale che possa favorirne l’accesso e la visibilità.

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4. Regione Basilicata

Evidenze archeologiche rinvenute nella regione Basilicata

ANAS – S.S. 106 “Jonica”:

- Importanti evidenze archeologiche nei lotti 8° e 9° della S.S. 106 “Jonica” relative al

sito di Metaponto (MT)

4.1 Scheda degli interventi e dei ritrovamenti

Come già precedentemente accennato, la S.S. 106 è un’arteria stradale di grande

importanza che si sviluppa lungo la fascia costiera jonica, dove anticamente sorgevano

le ricche colonie della Magna Grecia, interessando quindi anche la Regione Basilicata.

Durante i lavori di adeguamento del tracciato che attraversa tale regione, sono venute

alla luce evidenze archeologiche ritenute di inestimabile valore dalla locale

Soprintendenza. Poiché la Soprintendenza non ha ancora inviato materiale informativo,

si può solo dire che i rinvenimenti dovrebbero riguardare nuclei sepolcrali attribuibili alla

colonia greca di Metaponto, riferibili ad un arco temporale compreso tra il VI e il II secolo

a.C.

Figura 43 – Dracma di Metaponto raffigurante una spiga di grano

La colonia venne fondata nella seconda metà del VII sec. a.C. da coloni greci

dell’Acaia, allo scopo di sostenere Sibari contro l’espansione e il potere di Taranto. Grazie

alla fertilità del suolo, simbolicamente raffigurata dalla spiga che campeggiava sulle

monete della città (vedi Fig. 20), Metaponto divenne in breve tempo una delle più

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importanti città della Magna Grecia. La colonia, nota anche per aver ospitato il grande

Pitagora, che qui visse e fondò una delle sue scuole, si espanse fino all’età romana,

quando venne progressivamente abbandonata.

I nuovi ritrovamenti occorsi durante gli scavi relativi alla S.S. 106 “Jonica” sono destinati

ad alimentare il già ricco patrimonio museale conservato nel Museo Archeologico

Nazionale di Metaponto.

Figura 44 – Resti di un tempio dedicato ad Hera nell’antica Metaponto

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5. Regione Sicilia

Evidenze archeologiche rinvenute nella regione Sicilia

RFI – Linea Palermo – Messina:

- Villa romana di San Biagio presso Terme Vigliatore (ME)

- Villa romana di Patti Marina (ME)

- Colonia greca di Himera (PA)

5.1 Scheda degli interventi e dei ritrovamenti

La linea ferroviaria Palermo-Messina si sviluppa lungo la maggior parte del litorale

settentrionale del territorio siciliano. Il suo potenziamento, importante per lo sviluppo della

mobilità e dell’economia della Regione, consiste nel raddoppio dell’intero tracciato

della linea, che è stato diviso in diverse tratte. La sola tratta oggetto di cofinanziamento

da parte del PON Trasporti 2000-2006 è quella tra Villafranca e San Filippo del Mela,

comprendente la subtratta Rometta-Pace del Mela, nella quale non sono stati rinvenuti

siti archeologici. Tuttavia, i tratti immediatamente adiacenti, tra San Filippo del Mela e

Terme Vigliatore e tra Terme Vigliatore e Patti, sono stati interessati dal ritrovamento di

reperti archeologici e dall’interferenza con siti già noti di una certa importanza.

Si è pertanto deciso di segnalare che, durante l’esecuzione dei lavori per il raddoppio

della linea ferroviaria Palermo – Messina in località Terme Vigliatore, a nord della linea

ferroviaria, si è verificata un’interferenza tra il progetto di realizzazione di una rotonda fra

la SS113 e la SS185, progettata a seguito dell’adeguamento del tratto ferroviario, e gli

importanti resti di una villa romana, la Villa di Castroreale – San Biagio, rinvenuta negli

anni ’50, importantissimo esempio di villa di lusso suburbana.

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Figura 45 – Villa di San Biagio a Terme Vigliatore Figura 46 – Villa di Patti Marina

Nella stessa località è stato inoltre individuato un insediamento risalente alla Prima

e Media Età del Bronzo, la cui ricognizione ha impegnato la Soprintendenza

Archeologica di Messina per ben quattro mesi (Zona A della planimetria, Fig. 47).

Sono inoltre emersi una vasca e un acquedotto in muratura di epoca romana che

hanno provocato la sospensione temporanea dei lavori inerenti la ferrovia (Zona B della

planimetria, Fig. 47).

In prossimità della stazione di Patti Marina, inoltre, esiste una pregevole villa

romana con ricchi mosaici, i cui primi rinvenimenti risalgono ai lavori del viadotto

autostradale nell’agosto 1973. Gli scavi relativi sono stati portati avanti dalle

Soprintendenze di Siracusa prima e di Messina poi e hanno permesso di portare alla luce

la vasta superficie della villa, pari a 20000 mq.

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Figura 47 – Ritrovamenti presso la Stazione di Terme Vigliatore – Patti

Si segnala inoltre il ritrovamento della colonia greca di Himera sempre lungo il

tracciato della linea ferroviaria Palermo – Messina, che ha portato alla scoperta di

strutture antiche di notevole importanza e alla conseguente elaborazione di nuove

scelte progettuali per la tutela e la valorizzazione del sito in esame.

La città sorgeva su un pianoro bagnato dalle acque di un fiume dal quale prese il nome.

Divenne in breve tempo una colonia di grande importanza sia strategico-militare, che

economica, soprattutto per i commerci con l’Etruria e la Spagna, dalla quale importava

l’argento necessario per coniare le monete, attività che la distinse da tutte le altre

colonie greche.

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Figura 48 – Tempio della Vittoria di Himera (dalla foto emerge con chiarezza la vicinanza tra le infrastrutture sia ferroviarie che stradali e le evidenze archeologiche)

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6. Nuove linee ferroviarie e antiche testimonianze

Francesca Frandi La realizzazione di grandi infrastrutture, quale le linee ferroviarie, è stata ed è

un’occasione eccezionale di ricerca scientifica finalizzata alla conoscenza dei processi

storici di frequentazione del territorio.

Negli ultimi anni, affrontare il problema degli accertamenti archeologici e degli eventuali

rinvenimenti è risultato di non scarso rilievo in opere destinate a determinare importanti

trasformazioni del territorio.

La sensibilità nei confronti del patrimonio culturale è cresciuta in misura sempre

maggiore. Era quindi necessario non solo studiare e sperimentare nuove metodologie di

approccio, al fine di salvaguardare e rendere fruibile da parte di tutti “l’eredità” dei

nostri antenati (di cui l’Italia è oltremodo ricca), ma rendere possibile anche il passaggio

di opere pubbliche di rilevante importanza.

L’impostazione perseguita fino a ieri nella progettazione e realizzazione di grandi opere,

che teneva raramente in considerazione “l’impatto archeologico” delle stesse, non era

più da perseguire. L’esperienza passata aveva insegnato che in occasione di

ritrovamenti “fortuiti” verificatisi durante i lavori, le Soprintendenze Archeologiche

competenti territorialmente erano sempre intervenute in maniera per così dire

“repressiva”, ordinando il fermo lavori, con notevoli perdite e per il patrimonio

archeologico (a volte già compromesso) e per i soggetti realizzatori dell’opera, che si

trovano bloccati con dispendio di tempo e denaro.

Si imponeva, quindi, la necessità di effettuare degli studi preventivi, alla stregua della

valutazione di impatto ambientale prevista dalla normativa a tutela dell’ambiente.

A tale proposito, la metodologia adottata dal Gruppo FS e dalle Soprintendenze

Archeologiche in occasione della costruzione della linea AV può essere a ragione

considerato “pioniere” nel campo di una nuova strategia di intervento volta a studiare,

già in fase di progettazione, l’impatto archeologico della nuova rete ferroviaria, affinché

quest’ultimo non risulti più un ostacolo da superare (o da aggirare), ma piuttosto un

elemento connotante il territorio, nonché aspetto progettuale dell’opera stessa.

I progetti di massima ipotizzati hanno tenuto conto delle principali testimonianze antiche

note, cercando di trovare il corridoio più adatto; infatti nel caso della tratta Roma-Napoli

la stessa Soprintendenza Archeologica per il Lazio ha rilevato che l’interferenza della

costruenda linea Alta Velocità con eventuali presenze sul territorio “è la meno

impattante rispetto ad altre soluzioni progettuali”.

Il tracciato delle linee AV, inoltre, è stato sottoposto ad un complesso studio di

monitoraggio archeologico predisposto su indicazione e di concerto con le diverse

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Soprintendenze interessate: sono stati schedati e raccolti dati derivati da diverse fonti di

informazione, quali la ricognizione intensiva di superficie, la bibliografia scientifica, gli

archivi e la foto interpretazione.

Tale approccio ha permesso di elaborare un quadro conoscitivo preliminare alla

definizione delle prescrizioni di tutela da eseguire nel corso dell'esecuzione dei lavori.

La metodologia adottata ha consentito di conoscere preventivamente e il numero e le

caratteristiche degli interventi archeologici e, quindi, di programmare i tempi e le

modalità di esecuzione. Il sistema di monitoraggio si presenta dunque sostanzialmente

diverso dalla metodica tradizionale incapace di programmare i lavori con relative

ripercussioni sulla tempistica di completamento delle opere nonché sul livello qualitativo

della tutela.

L'adozione di tale strategia, già prevista dalla Convenzione Europea per la protezione

del patrimonio archeologico permette che l’esperienza maturata in occasione della

costruzione della linea AV si configuri come pilota, sperimentando una innovativa

strategia di intervento con nuovi metodi scientifici e nuovi moduli di procedura.

Sulla base dei dati del monitoraggio sono stati determinati i successivi interventi: dalla

programmazione progettuale di interventi sulle presenze archeologiche interferite, alla

liberatoria delle aree su cui dare immediato inizio ai lavori.

In presenza di evidenze antiche si è proceduto allo scavo archeologico, alla cui

conclusione viene individuato un percorso per la valorizzazione del bene archeologico

rinvenuto. Quest’ultimo rappresenta la terza fase della metodologia: l’intervento di

valorizzazione permette la fruizione di un bene che altrimenti dovrebbe o esclusivamente

essere rimosso, ovvero sepolto per sempre. Tale intervento costituisce parte integrante

della tutela del Bene.

Come prodotto dell’esperienza innovativa sperimentata, è stata elaborata da parte del

Gruppo FS, in particolare dalla Società TAV, una ipotesi di procedura da applicare per la

realizzazione di grandi opere pubbliche e private al fine di poter valutare l’impatto

archeologico (VIARCH), sul modello della VIA.

La finalità principale è quella di raggiungere per la realizzazione delle opere pubbliche e

private “una pianificazione coerente con i caratteri storici dei luoghi”, evitando di

“tenere distinti i beni da tutelare dagli interventi di trasformazione e d’uso dell’ambiente”

(A. La Regina, ‘Roma: archeologia e sviluppo nella città e nel Suburbio’, in Rischio

archeologico: se lo conosci lo eviti. Atti del Convegno, Ferrara 24-25 marzo 2000, 29-33).

La suddetta procedura è stata successivamente dettagliata ed arricchita dagli Organi

del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in particolare dalla Direzione Generale per

l’Archeologia.

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Da queste premesse prende le mosse la verifica preventiva dell’interesse archeologico,

artt.2 ter - 2 quinquies Legge 109/2005, recepita poi agli artt. 95-96 del Testo Unico

Appalti Decreto Legislativo 163/2006.

Tale ordinamento, si inserisce, quindi, a colmare un vuoto normativo e a fornire una

legittimazione di una prassi consolidata.

Si tratta di effettuare tutte le verifiche archeologie necessarie ad individuare il contesto

archeologico prima dell’approvazione del progetto definitivo e, quindi, di conoscere,

per quanto possibile, l’interferenza tra l’opera da realizzare e il contesto archeologico

prima della conclusione dell’iter approvativo.

In sostanza, la verifica preventiva dell’interesse archeologico è avviata dalla

Soprintendenza a seguito della consegna da parte della stazione appaltante di copia

del progetto preliminare e degli esiti delle indagini geologiche e archeologiche (con

particolare riferimento ai dati di archivio e bibliografici, all’esito delle ricognizioni volte

all’osservazione dei terreni, alla lettura geomorfologia del territorio e alle

fotointerpretazioni) e si articola in due fasi principali:

• Una fase integrativa della progettazione preliminare, che prevede l’esecuzione di

carotaggi, prospezioni geofisiche e geochimiche e saggi archeologici tali da

assicurare una sufficiente campionatura dell’area interessata dai lavori;

• Una fase integrativa della progettazione definitiva ed esecutiva che prevede

l’esecuzione di sondaggi e di scavi anche in estensione.

L’esito di tali indagini permette alla Soprintendenza di esprimere il proprio parere sulle

varie fasi di progettazione in maniera motivata, sulla base della conoscenza sempre più

approfondita del contesto archeologico.

Ciò consente di arrivare alla fase realizzativa avendo già definito le prescrizioni relative

alle attività da effettuare per garantire la conoscenza e la tutela dei rinvenimenti

effettuati e la conservazione e la protezione dei rinvenimenti archeologicamente

rilevanti.

Tuttavia, tale iter non può escludere a priori un rischio di tipo archeologico. Infatti,

prendendo ad esempio la linea Alta Velocità Roma-Napoli, che oltremodo è stata ricca

di rinvenimenti archeologici a causa del territorio che si trova ad attraversare, è stato

verificato che le indagini preliminari hanno permesso di individuare il 92% dei siti

archeologici.

Per quanto riguarda il Gruppo FS, sulla base della pregressa esperienza e della nuova

normativa, Italferr, la Società di ingegneria del Gruppo, si è strutturata al fine di poter

effettuare direttamente tutte le indagini previste dalla Legge 109/2005 nelle diverse fasi

di progettazione.

Esempio ne sono le indagini effettuate per la realizzazione del raddoppio ferroviario

Giampilieri-Fiumefreddo (Messina), dove ad integrazione della progettazione preliminare

sono stati effettuati saggi di verifica archeologica in un’area individuata Ad alto rischio a

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causa della presenza nelle adiacenze di una villa di età romana e di aree di

affioramento di frammenti di ceramica del medesimo periodo.

A breve avranno inizio le attività archeologiche per l’approvazione della Tratta

ferroviaria Treviglio-Brescia della Linea AV/AC Milano-Verona.

Le attività previste sono prospezioni geofisiche e saggi archeologici in 35 aree dove gli

studi preliminari hanno individuato come possibile la presenza di rinvenimenti antichi

interferenti con le opere civili.

Ciò permetterà l’espressione della Soprintendenza Archeologica in sede di Conferenza

di Servizi per l’approvazione del progetto definitivo a valle un contesto archeologico il

più definito possibile e di programmare i successivi interventi e le misure di tutela da

adottare, riducendo al minimo in corso d’opera prescrizioni di ulteriori scavi archeologici

e di misure di tutela (quali varianti di progetto) che comporterebbero incremento di costi

e di tempi alla realizzazione di opere ferroviarie, finanziate dallo Stato.

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Bibliografia

• AA.VV., Sguardi su una grande opera – L’Alta Velocità Roma – Napoli prima e

dopo il cantiere, RFI/TAV, Electa, Milano, 2005

• AA.VV., I Grandi Progetti del PON Trasporti 2000-2006 , Quaderni del PON Trasporti

n°02 2006

• Castelbianco Bianchi F. (a cura di), Calabria. Itinerari greci e romani, COM.E,

Roma, 2004

• House Organ n°2 – Marzo Aprile 2007, Le Strade della storia. Archeologia e Nuova

A3 di Giulio Festa

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Ringraziamenti

Si ringraziano:

• Ministero delle Infrastrutture: arch. Ornella Segnalini, arch. Maria Rita Antonini,

arch. Linda D’Amico, dott.ssa Alessia Pandolfi.

• Italferr: arch. Antonello Martino, dott.ssa Francesca Frandi.

• R.F.I. S.p.a.: ing. Mario Goliani, dott. Errico Nazzarri, ing. Domenico Domina.

• TAV S.p.a.: ing. Letterio Fazzari.

• F.S. S.p.a.: dott. Paolo Parrilla.

• Soprintendenza di Cagliari: dott.ssa Maurizia Canepa, dott.ssa Emerenziana Usai,

dott. Marco Piras, dott. Fabrizio Fanari, dott. Riccardo Cicilloni.

• ANAS S.p.a.: ing. Federico Murrone, ing. Fabio Arcoleo, ing. Giancarlo Luongo,

ing. Antonio Villano, dott.ssa Loredana Giliberto, ing. Antonio Di Mattia.

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