s@ntomero - dicembre 2012

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Informazione, cultura, società e sport - Anno IV - N. 4 - Dicembre 2012 Ogni rumore, ogni colore, ogni nota musicale, ogni piccolo o grande evento suscitano inevi- tabilmente in noi dei ricordi. Viviamo nel presente e ci proi- ettiamo nel futuro sempre e co- munque con la mente carica di ricordi, che costituiscono una parte essenziale del nostro modo di essere. Essi, con il passare del tempo, assumono contorni, colori e sfumature diversi da quelli reali, cosicché un “brutto “momento vissuto nel passato, non ci appare così problem- atico e una “bella” situazione torna alla mente come qualcosa di positivamente irripetibile. Con l’avanzare dell’età, che purtroppo non torna mai in- dietro, i ricordi si fanno sem- pre più nostalgici e “ai miei tempi……” quasi sempre sot- tintende un periodo migliore dell’attuale. Un evento ciclico, importante, come il Natale, non può non suscitare in ognu- no di noi ricordi e sensazioni, che riviviamo ogni anno, magari ogni volta “ammantati” da una coltre sentimentale e nostalgica più intensa. Il nostro Natale, quello della nostra infanzia e fanciullezza, era sicuramente molto diverso da quello del presente. Era l’atmosfera che cambiava in casa e nel paese, rispetto a qualsiasi altro perio- do dell’anno, ad avvisarci che la FESTA per antonomasia era alle porte. Nelle vie adia- centi il forno di Sisina (allora l’unico di Sant’Omero) era un via-vai di donne che, accaldate per l’opera svolta, nonostante il freddo invernale, e con qual- che sbafo di farina, portavano a cuocere i famosi dolci natal- izi: bocconotti, crostate e più recentemente uccelletti; o tor- navano a casa con il cesto, ben coperto, contenenti le fragranti delizie già pronte. Le strade si riempivano di quel profumo, di quella fragranza, che non era più possibile sentire se non in quei pochi giorni all’anno. Un odore che ti saziava anche senza mangiarli, anche perché era impossibile gustare quel ben di Dio prima del 25 dicem- bre. Infatti per la famiglia era destinato ben poco mentre si pensava di far bella figura ”se vé caccdù”. Il profumo si amal- gamava con le note della mu- sica dell’organo che proveniva dalla Chiesa Parrocchiale. “Tu scendi dalle stelle…” riusciva a procurarci una inspiegabile Sande Mire tunne tunne... Sande Mire tunne tunne... Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale -70% Teramo Aut. N. 125/2009 Il nostro Natale Quota Gran Sasso a pag. 7 continua a pag. 8 A tu per tu con la nostra montagna Pizza come mestiere Intervista a Tony Di Antonio Personaggi a pag. 2 Annessandrino Guazzieri Schegge di memoria Intervista ai Wanted a pag. 4 a pag. 6 Dicembre è mese di consuntivi e di bi- lanci; l’anno finisce, si fanno verifiche e si analizzano risultati conseguiti. Risul- tati lusinghieri, è il caso di dirlo per la Pro-loco che anche nel 2012, nonostan- te tante difficoltà e in un anno di crisi, è riuscita ad organizzare e ad offrire ad un vasto pubblico manifestazioni di rilievo e di grande richiamo. Il pensiero corre alla tradizionale sagra del baccalà, che è sicuramente l’evento centrale dell’estate santomerese, che richiama ogni anno folle di buongustai da ogni dove. An- che nel 2012 è stato un successo. Ma gli eventi sono spaziati in più ambiti, dal ricreativo al culturale, dal turistico allo scientifico. L’impegno dei soci della pro- loco si è manifestato in modo ampio e competente. Lo stesso impegno e la stessa verve l’associazione rinnova anche per il 2013, con un calendario ricco di eventi e manifestazioni, a cominciare dai labo- ratori di teatro per adulti e ragazzi. Lo scorso anno abbiamo riso e ci siamo di- vertiti con la commedia di De Filippo rappresentata dai veterani della scuola di teatro, e abbiamo avuto l’occasione di assistere ad una splendida edizione dei Teatri Paralleli, che sotto la supervi- sione di Ottaviano Taddei ha ricevuto il premio Franco Enriquez Città di Sirolo 2012 “per la loro forte funzione comu- nicativa, capaci di dare uno slancio posi- tivo al teatro sociale, terapeutico non solo per chi lo fa, ma anche e soprattutto per chi lo vive da spettatore”. Al teatro per adulti si affiancherà la scuola di teatro per ragazzi in ambito extra-scolastico. Un altro appuntamento sarà di tipo so- cio-culturale con la riproposizione della “Scuola di formazione civica e di educa- zione alla legalità” in collaborazione con un gruppo di docenti dell’Università “G. d’Annunzio” di Chieti, cui dovreb- bero partecipare anche altri soggetti istituzionali (questura, CRI, ecc.). Una sezione della scuola sarà tra l’altro destinata alla formazione degli immi- grati, che dovrebbero essere coinvolti anche per manifestazioni enogastro- nomiche, serate e cene etniche, ecc. Sempre in ambito gastronomico una manifestazione di portata provinciale verrà organizzata in da febbraio a marzo collaborazione con lo Slowfood, che si occuperà della cucina del baccalà co- involgendo alcuni prestigiosi ristoranti della provincia (Luisetta di Colledoro, Pervoglia di Castelbasso, La Piazzetta di Sant’Omero ed altri). Tornerà il Carnevale del bambini e, a maggio, lo sport in piazza in collabora- zione con il Comune e con le associazi- oni sportive del territorio. La festa della birra aprirà l’estate e offrirà l’occasione per assaggiare ottime birre artigianali (ma la cosa al momento in cui scriviamo non è confermata). La sagra del baccalà si terrà invece, secondo tradizione, la terza settimana di luglio dal 12 al 21. Oltre l’occasione gastronomica ci sarà l’importante evento culturale rappresentato dal con- vegno “La ragion gastronomica” ar- rivato quest’anno alla quarta edizione. Nell’ambito del convegno e quindi nei primi giorni della sagra verranno pre- sentati anche i volumi che raccolgono i contributi scientifici degli studiosi che si sono succeduti nel corso dei primi tre anni dell’importante manifestazione. Non mancherà infine la presenza tri- mestrale del nostro/vostro giornale, che si arricchirà di rubriche nuove, tra cui una denominata “Ditelo al giornale” in cui verranno pubblicate le domande, le proposte e le critiche dei lettori. Un im- pegno anche questo verso la comunità. Non è tutto, ma come si può notare si tratta di un programma di tutto rilievo che animerà Sant’Omero per tutto l’anno. Ed è con questo che la Pro-loco rivolge a tutti gli auguri di un Felice Natale e di un prospero 2013. 2013 la Pro-loco per Sant’Omero Madonna con bambino. Chiesa parrocchiale di Sant’Omero

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I n f o r m a z i o n e , c u l t u r a , s o c i e t à e s p o r t - A n n o I V - N . 4 - D i c e m b r e 2 0 1 2

Ogni rumore, ogni colore, ogni nota musicale, ogni piccolo o grande evento suscitano inevi-tabilmente in noi dei ricordi. Viviamo nel presente e ci proi-ettiamo nel futuro sempre e co-munque con la mente carica di ricordi, che costituiscono una parte essenziale del nostro modo di essere. Essi, con il passare del tempo, assumono contorni, colori e sfumature diversi da quelli reali, cosicché un “brutto “momento vissuto nel passato, non ci appare così problem-atico e una “bella” situazione torna alla mente come qualcosa di positivamente irripetibile. Con l’avanzare dell’età, che purtroppo non torna mai in-dietro, i ricordi si fanno sem-pre più nostalgici e “ai miei tempi……” quasi sempre sot-tintende un periodo migliore dell’attuale. Un evento ciclico, importante, come il Natale, non può non suscitare in ognu-no di noi ricordi e sensazioni, che riviviamo ogni anno, magari ogni volta “ammantati” da una coltre sentimentale e nostalgica più intensa. Il nostro Natale, quello della nostra infanzia e fanciullezza, era sicuramente molto diverso da quello del presente. Era l’atmosfera che cambiava in casa e nel paese, rispetto a qualsiasi altro perio-do dell’anno, ad avvisarci che la FESTA per antonomasia era alle porte. Nelle vie adia-centi il forno di Sisina (allora l’unico di Sant’Omero) era un via-vai di donne che, accaldate per l’opera svolta, nonostante il freddo invernale, e con qual-che sbafo di farina, portavano a cuocere i famosi dolci natal-izi: bocconotti, crostate e più recentemente uccelletti; o tor-navano a casa con il cesto, ben coperto, contenenti le fragranti delizie già pronte. Le strade si riempivano di quel profumo, di quella fragranza, che non era più possibile sentire se non in quei pochi giorni all’anno. Un odore che ti saziava anche senza mangiarli, anche perché era impossibile gustare quel ben di Dio prima del 25 dicem-bre. Infatti per la famiglia era destinato ben poco mentre si pensava di far bella figura ”se vé caccdù”. Il profumo si amal-gamava con le note della mu-sica dell’organo che proveniva dalla Chiesa Parrocchiale. “Tu scendi dalle stelle…” riusciva a procurarci una inspiegabile

S a n d e M i r e t u n n e t u n n e . . .S a n d e M i r e t u n n e t u n n e . . .

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale -70% Teramo Aut. N. 125/2009

Il nostro Natale

Quota Gran Sasso

a pag. 7

continua a pag. 8

A tu per tu con la nostra montagna

Pizza come mestiereIntervista a

Tony Di Antonio

Personaggi

a pag. 2

AnnessandrinoGuazzieri

Schegge di memoriaIntervista ai

Wanted

a pag. 4

a pag. 6

Dicembre è mese di consuntivi e di bi-lanci; l’anno finisce, si fanno verifiche e si analizzano risultati conseguiti. Risul-tati lusinghieri, è il caso di dirlo per la Pro-loco che anche nel 2012, nonostan-te tante difficoltà e in un anno di crisi, è riuscita ad organizzare e ad offrire ad un vasto pubblico manifestazioni di rilievo e di grande richiamo. Il pensiero corre alla tradizionale sagra del baccalà, che è sicuramente l’evento centrale dell’estate santomerese, che richiama ogni anno folle di buongustai da ogni dove. An-che nel 2012 è stato un successo. Ma gli eventi sono spaziati in più ambiti, dal ricreativo al culturale, dal turistico allo scientifico. L’impegno dei soci della pro-loco si è manifestato in modo ampio e competente.Lo stesso impegno e la stessa verve l’associazione rinnova anche per il 2013, con un calendario ricco di eventi e manifestazioni, a cominciare dai labo-ratori di teatro per adulti e ragazzi. Lo scorso anno abbiamo riso e ci siamo di-vertiti con la commedia di De Filippo rappresentata dai veterani della scuola di teatro, e abbiamo avuto l’occasione di assistere ad una splendida edizione dei Teatri Paralleli, che sotto la supervi-sione di Ottaviano Taddei ha ricevuto il premio Franco Enriquez Città di Sirolo

2012 “per la loro forte funzione comu-nicativa, capaci di dare uno slancio posi-tivo al teatro sociale, terapeutico non solo per chi lo fa, ma anche e soprattutto per chi lo vive da spettatore”.Al teatro per adulti si affiancherà la scuola di teatro per ragazzi in ambito extra-scolastico.Un altro appuntamento sarà di tipo so-cio-culturale con la riproposizione della “Scuola di formazione civica e di educa-zione alla legalità” in collaborazione con un gruppo di docenti dell’Università “G. d’Annunzio” di Chieti, cui dovreb-bero partecipare anche altri soggetti istituzionali (questura, CRI, ecc.). Una sezione della scuola sarà tra l’altro destinata alla formazione degli immi-grati, che dovrebbero essere coinvolti anche per manifestazioni enogastro-nomiche, serate e cene etniche, ecc.Sempre in ambito gastronomico una manifestazione di portata provinciale verrà organizzata in da febbraio a marzo collaborazione con lo Slowfood, che si occuperà della cucina del baccalà co-involgendo alcuni prestigiosi ristoranti della provincia (Luisetta di Colledoro, Pervoglia di Castelbasso, La Piazzetta di Sant’Omero ed altri).Tornerà il Carnevale del bambini e, a maggio, lo sport in piazza in collabora-

zione con il Comune e con le associazi-oni sportive del territorio. La festa della birra aprirà l’estate e offrirà l’occasione per assaggiare ottime birre artigianali (ma la cosa al momento in cui scriviamo non è confermata).La sagra del baccalà si terrà invece, secondo tradizione, la terza settimana di luglio dal 12 al 21. Oltre l’occasione gastronomica ci sarà l’importante evento culturale rappresentato dal con-vegno “La ragion gastronomica” ar-rivato quest’anno alla quarta edizione. Nell’ambito del convegno e quindi nei primi giorni della sagra verranno pre-sentati anche i volumi che raccolgono i contributi scientifici degli studiosi che si sono succeduti nel corso dei primi tre anni dell’importante manifestazione.Non mancherà infine la presenza tri-mestrale del nostro/vostro giornale, che si arricchirà di rubriche nuove, tra cui una denominata “Ditelo al giornale” in cui verranno pubblicate le domande, le proposte e le critiche dei lettori. Un im-pegno anche questo verso la comunità.Non è tutto, ma come si può notare si tratta di un programma di tutto rilievo che animerà Sant’Omero per tutto l’anno. Ed è con questo che la Pro-loco rivolge a tutti gli auguri di un Felice Natale e di un prospero 2013.

2013 la Pro-loco per Sant’Omero

Madonna con bambino. Chiesa parrocchiale di Sant’Omero

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2 Dicembre 2012

AI MIEI TEMPI ci si rivolgeva alle persone che appartenevano ad un ceto sociale alto con “Gnor.. ” o “Gnora….”. Fra li “gnor”, si può an-noverare Annessandrino Guazzieri. In verità, quando si parlava di lui, si usava anche l’appellativo riferito alla sua professione:”lu SPZIALE”. Fin dal Medioevo colui che si occupava di preparazione di medicine, veniva chiamato lo Speziale, poiché nella sua bottega si potevano acquistare anche le spezie. Ma se in epoca antica era necessa-ria solo una conoscenza empirica per svolgere questa professione, con il passare degli anni (primi anni del XVII secolo) divenne indispensabile possedere una laurea in farmacia e chimica per essere ritenuto tale. Ad Anneessandrino Guazzieri, compete-va di diritto il titolo di dottore o spe-ziale, avendo conseguito, nel 1892, la laurea in Farmacia e Chimica pres-so l’Ateneo di Napoli. Nel corso degli studi fu notato per l’impegno profuso nella ricerca, per cui ottenne l’incarico di ”Assistente al Gabinetto di Chimica”. Appena laureato fu chiamato a dirigere im-portanti farmacie. Maturò una sig-nificativa esperienza, che gli tornò utile allorché svolse la professione nella farmacia del paese di cui già si occupava il padre, “gnor Genna-rino”. Dopo di lui si sono traman-dati l’attività altri familiari, l’ultima, in ordine di tempo (quarta genera-zione), ad aver ereditato la profes-sione di “nonno Sandrino” è la dot-toressa Maria Guazzieri. “Gnor Sandrin”, appassionato di ricer-ca farmacologica, continuò a condurre esperimenti, tanto che a lui si deve la scoperta del procedimento di “riduzione allo stato liquido dei Glicerofosfati”. L’innovazione, ritenuta di notevole importanza dalla scienza di allora, gli consentì di realizzare in termini asso-luti e per la prima volta, lo Sciroppo di Glicerofosfati.Per i suoi meriti scientifici gli saran-no concessi riconoscimenti nazionali e internazionali: a Roma, a Firenze, a Palermo. Nel 1907 a Siena, nella “Mostra Campionaria Internazio-nale” otterrà il diploma di Granpre-mio e la Medaglia d’Oro. Sempre nel 1907, all’Esposition International di Bruxelles, gli verrà assegnato il diploma di Gran Prix pour Shirop Glicerophosphates. Nel 1908 analo-go riconoscimento all’Esposition In-ternational de Paris- 6me Manifesta-tion des Arts e Metiers Scientifiques.Dalla scoperta il dott. Guazzieri non

ricaverà alcun profitto economico non avendola volutamente brevet-tata per metterla così a disposizione dell’intero mondo scientifico. Sarà questa la scelta coerente di un uomo onesto che non riduce la virtù dell’onestà nel non rubare, ma la es-tende, nell’operare con pieno disin-teresse per il bene comune. E’ uno dei valori che accompagnerà “Gnor Sandrin” in ogni momento della sua vita privata, professionale e pubblica. Incuteva un po’ di soggezi-one a noi ragazzini “lu spzial”, non solo per il suo ruolo, ma anche per-ché fra i giovani e le persone mature esisteva un rispetto reverenziale, che non consentiva un rapporto diretto se non quello del saluto. Mi sentivo onorato quindi quando lui, conoscendo la mia passione per la lettura, mi autorizzava a prelevare i libri dalla sua biblioteca e soprat-tutto in quelle rare occasioni in cui mi invitava alla sua tavola, dove oltre a mangiare bene, si dialogava. La sua lezione ricorrente si basava sul tema “la parola data” che, a suo dire, rap-presentava uno dei valori indispens-abile per essere ritenuto “UOMO ONESTO”. Dal 1932 al 1934, rivestì la carica di Potestà di Sant’Omero. La scelta cadde sulla sua persona, non per meriti politici, ma per la stima, il rispetto, la fiducia dei concittadini. La breve esperienza sarà interrotta dai cosiddetti puri e duri del Nuovo Verbo, per averlo ritenuto non ido-neo politicamente. L’occasione propizia per rimuoverlo dal suo ruolo é offerta dalla venuta del Vescovo a Sant’Omero in una normale visita parrocchiale in cui il Potestà non si presenta a riceverlo: esonerato!!!

L’intera storia di “Gnor Sandrin”, mi fu raccontata dall’avvocato Guido Guazzieri, che riteneva il farmacista una persona coerente e giusta. Per alcuni anni sarà il Giudice Concili-atore a Sant’Omero carica onorifica di Magistrato in materia civile, fun-zione poi trasferita al Giudice di Pace. Annessandrino Guazzieri anche in

questa veste rivelerà le doti dell’uomo paziente, equilibrato, e dotato del senso della giustizia. Durante le udi-enze, in occasione dei battibecchi tra le parti in causa, il Giudice inter-veniva con voce ferma e autorevole, priva dei toni alti, ristabilendo ordine al dibattimento, appellandosi al buon senso e alla logica.Il dottor Guazzieri morirà a Sant’Omero il primo gennaio del ‘45. Il suo nome si aggiunge nell’elenco dei personaggi dimenticati che hanno onorato il paese, facendolo conoscere, come in questo caso, oltre i confini d’Italia.Egli lascerà il ricordo del tipico Galantuomo, figura oggi quasi scom-parsa per carenza, spesso, di soggetti di riferimento. Se sono la persona che sono il merito va, oltre ai miei genitori, umili persone, che però mi hanno trasmesso i valori impre-scindibili per essere un UOMO, anche a chi, come “gnor Sandrin”, mi ha aiutato a colmare le lacune derivanti dalla mancanza di studio, che non ho potuto permettermi da ragazzo.

Gennaro Cristofori

Personaggi santomeresi: Annessandrino Guazzieri

“Ogni bambino ha dirit-to all’istruzione,di ricevere un’educazione che sviluppi le sue capacità…”. “Ogni bambino ha il diritto di rag-giungere il massimo livello di salute fisica e mentale, di essere curato, di crescere bene spiritualmente e so-cialmente.” Sono questi due articoli della Dichiarazione dei diritti dei bam-bini, emanata il 20 novembre del 1959 dall’ONU. Sebbene sia tras-corso più di mezzo secolo da che essa é stata sottoscritta e divulgata, milioni di bambini nel mondo non vivono la loro infanzia né han-no prospettive per il futuro. Non possiamo rimanere insensibili di fronte a due occhi spalancati che sembrano chiedere perché non hanno cibo per sfamarsi, acqua per dissetarsi, scuole per imparare e qualche volta un tetto per ripararsi. Abinet Bakalo e Buzunesh Tegene, avevano il presente e il futuro già

delineato: miseria e ignoranza. Oggi, invece, frequentano la prima elementare in Etiopia, il loro Paese e non mancano mai di ringraziare. La Pro-loco di Sant’Omero, da ormai quattro anni, li “sostiene a distanza”.La “castagnata”, organizzata ogni anno per gustare gratuitamente polenta, castagne, vino, in allegra compagnia, è stata il veicolo per chiedere un piccolissimo contribu-to il cui scopo fu quello di “adot-tare” due bambini, che avevano bi-sogno di un atto d’amore concreto. Il sorriso di Abinet e Buzunesh, la certezza che crescono in salute e possono frequentare la scuola, la speranza che il loro futuro possa es-sere meno problematico di quello prospettato, ci rendono orgogliosi ed è con questo sentimento nel cuore che vogliamo presentarvi i nostri e vostri due bambini, che non mancano mai di inviarci le loro foto con una dedica:”Nel tuo cuore un miracolo chiamato amore”.

Un miracolo chiamato amore

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Dicembre 2012 3

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Per informazioniniTel. 333 4546086

A seguito dell’interesse suscitato dalla “leggenda di S.Migliorato” pubblicata come tributo alla memoria dell’antropologo e linguista santomerese Giuseppe Di Domenicantonio, riproponiamo il saggio, apparso nel 1978 sempre sui quaderni della Pro-loco, su Sant’Apollonia, una santa il cui culto è ormai dimenticato, ma che di cui resta la statua, posta in un’edicola in alto lungo via Regina Mar-gherita, sulla parete della c.d. “casa del fattore”, di fianco alla chiesa di S.Rocco nelle pertinenza di Villa Pilotti. Ultimamente il muro della facciata è stato restaurato e si sono purtroppo persi i segni las-ciati dalle pietre scagliate dai fedeli secondo il rito di cui parla il saggio dell’indimenticato Giuseppe Di Domenicantonio.

Il culto di S. Apollonia è una pratica popolare contro il mal di denti a S. Omero (*)

II dolore di denti è particolarmente temuto dal popolo, il quale, per poterlo scongiurare, ha, via via, escogitato una serie di rimedi popolari, come l’applicazione di infusi di erbe magiche, lana sudicia di pecora e perfino, come mi dice una mia informatrice, sciacqui eseguiti con l’urina di una pecora che non ha ancora figliato. Ma, accanto a questi rimedi, abbondantemente illustrati da folkloristi e storici della medici-na, sono da aggiungere le numerose pratiche magico-religiose, come, per esempio, quella della campanella di S. Domenico di Cocullo in Abruzzo che viene fatta suonare tirando la cordicella con i denti, le varie formule scongiu-ratorie, nonché i numerosi amuleti da portare addosso, ecc.In questa breve nota vorrei illustrare e docu-mentare una di queste pratiche e precisamente quella che è in uso a S.Omero (Teramo), ridente paese della Val Vibrata e in via di industrializza-zione, perché mi sembra rivesta una particolare importanza in quanto presenta anche tratti di culto violento.Questa pratica si svolgeva, fino a pochi anni fa, davanti ad una immagine di S. Apollonia, pa-trona del mal di denti. Il malato, per scongiu-rare il dolore di denti, si recava davanti la parete di una abitazione cittadina in cui era posta una statuina fittile della Santa e recitava, a mo’ di preghiera, la seguente formula:

Sand’Appellònie pe la strada jevee sse ngundrò nghe ssand’Anastascije.— Che haje Ppellònie, che ppiange?— Mme fa dole lu dende!Dole lu dende,crèpe lu vermene,l’ha cummannate Ddije nneputènde !(1).

Non cessando il dolore, il malato scagliava vio-lente- mente delle pietre contro l’immagine, pronunciando parole ingiuriose, per punire la Santa che non gli aveva concessa la guarigione.L’usanza è del tutto scomparsa, ma è ancora viva nella memoria degli abitanti e delle per-sone da me interpellate. Comunque rimane an-cora la statua in terracotta, tutta lesionata dalle ripetute sassaiole, a testimoniare tangibilmente l’usanza superstiziosa. Lo stesso avveniva con-tro un’altra immagine, pure di S. Apollonia, a Casealte, una frazioncina di S. Omero; ma qui

l’effigie scolpita sui mattoni di una catapecchia, è andata completamente distrutta, insieme con l’abitazione.Come è noto, Apollonia di Alessandria, santa, vergine e martire, è la protettrice di denti. Non si hanno notizie precise sulla sua vita. Si sa solo che nacque al principio del 3° secolo o negli ultimi anni del 2°. Morì martire in seguito ad una persecuzione di cristiani, verso gli ultimi anni dell’impero di Filippo (244-49). Durante la tortura le furono strappati i denti, e poi fu mandata al rogo (2).Il suo culto, iniziato attorno al 300 d.C., ebbe particolare vigore nel 13° e 14° secolo e raggi-unse la sua pienezza nel 15° e 16° secolo, perio-do coincidente - come fa notare Bulk Wilh (3) - « con la catastrofica cura odontoiatrica delle popolazioni», e con la conseguente recrudescen-za delle infezioni odontalgiche. Probabilmente, già a quei tempi, dette popolazioni, afflitte dai lancinanti dolori di denti, dovettero rivolgersi alla Santa che aveva subito il martirio, e non è da escludere che il dolore particolarmente acuto avesse spinto i pazienti a rituali violenti contro le immagini della taumaturga.L’aggressione violenta contro immagini sacre allo scopo di ottenere la grazia richiesta o come punizione per il disinteresse della divinità, è una pratica molto diffusa sia nella religiosità dei primitivi e dei popoli di interesse etnologico, sia presso i culti pagani come pure nei culti del cris-tianesimo popolare. Per esempio sono ben note

le sollecitazioni violente e le parolacce rivolte a S.Gennaro dal popolino, quando il sangue «miracoloso» tarda a liquefarsi. A Guardiavalle (Catanzaro) la reliquia di S.Agazio veniva im-mersa nell’acqua con rabbiosa violenza; a S. Andrea Apostolo (Catanzaro) il popolo traspor-tava la statua del protettore sulla spiaggia e qui lo minacciava ripetutamente: «O mi bagni o ti bagno!». A Curinga facevano di peggio: il santo veniva portato in processione e poi collocato sotto un mulino con le spalle alla corrente, dove doveva rimanere in castigo, finché non fosse venuta la pioggia. A Cassano legavano la statua di S. Francesco di Paola, gli toglievano gli orna-menti e lo facevano stare così fino alla prossima pioggia (4).A tale proposito il Durkheim (5), così si esprime- «L uomo, spessissimo, li tratta (gli dei) sul piede della più perfetta parità. Indubbiamente, egli dipende da essi, ma essi non dipendono meno da lui. Egli ha bisogno del loro aiuto, ma essi han bisogno dei suoi sacrifici. Così quando egli non è contento dei loro servizi, sopprime ogni offerta: taglia loro i viveri. I rapporti che man-tiene con essi sono di ordine contrattuale e si basano su do ut des. Una volta (Schultze) che il selvaggio ha presentato al suo feticcio le pro-prie offerte secondo le sue possibilità, pretende energicamente la contropartita. E ciò perché, per grande che sia la sua paura del feticcio, non bisogna immaginarsi il rapporto esistente tra essi come se il selvaggio fosse necessariamente

e in ogni evenienza sottoposto al suo feticcio, e questo al di sopra del selvaggio. Non si tratta di un essere di natura superiore al suo adoratore; è un selvaggio anch’esso e, occorrendo, va trattato come tale. Per esempio: si rifiuta, questo, di fare con le buone quanto gli si chiede, nonostante le preghiere che gli si rivolgono e i doni che gli si presentano? Allora bisogna costringerlo con le brusche: così, se la caccia non è stata fortunata, gli si applicano dei colpi di sferza. Non già che si metta in dubbio la sua potenza; infatti una volta inflitta la punizione, ha luogo la riconciliazione con esso, lo si riveste a nuovo, gli si fanno nu-ove offerte. Solo che si sospetta della sua buona volontà e si spera che un’opportuna correzione lo farà tornare a miti consigli. (...). Si potreb-bero moltiplicare gli esempi in cui si vede che l’uomo spesse volte non si forma un concetto molto elevato degli dei da lui adorati ».Talvolta la sollecitazione si esplica attraverso un ricordo di una guarigione esemplare (che deve necessariamente avversarli di nuovo), infatti nella formula scongiuratoria da me riportata si parla della guarigione di S.Apollonia dal dolore di denti grazie all’intervento miracoloso di S. Anastasia. Analogamente in quest’altro scongi-uro siciliano, che riproduco dal Bonomo, si par-la di guarigione dal male, operata da un medico:

Ben vegliate, santissima luna,che venite d’Orientee andate in verso occidentesalutatemi il medicoche medicava il dentedite che ammorta la doglia e ‘1 vermineche noiava il mio dente (6).

Questi moduli narrativi, che parlano di guari-gioni esemplari (chiamati exemplum o histo-riola) e che, in particolare auspicano l’uccisione del « vermine », ritenuto agente patogeno principale del mal di denti, fanno parte della struttura di molte formule scongiuratorie, e, in fondo, rispondono ad una fondamentale legge della magia, quella del «simile produce simile», cioè, come, in un tempo mitico, avvennero del-le guarigioni miracolose, così, nel rievocarle al presente, è possibile riprodurre l’effetto analogo.La tecnica del «come. . . così », presente negli scongiuri con historiola da me ricordati, non è la sola. Vi sono anche scongiuri in cui si ricorre, senza mezzi termini, ad impartire comandi alle potenze magico-religiose che devono effettu-are l’azione salvifica. La violenza vendicativa della costumanza santomerese rientra, in questo quadro e, come è facile riconoscere, va oltre, fino a rasentare la minaccia o la punizione della potenza che ricalcitra ad operare.

Giuseppe Di DomenicantonioNOTE(*) Questo articolo è già stato parzialmente pubblicato sulla rivista « Lares », XLIII, 1977, n. 1, pp. 61-62.(1) La formula scongiuratoria mi è stata dettata dalla Sig.ra Dauri Vincenza, mia madre, di anni 68, massaia.(2) Per notizie più dettagliate sulla vita della Santa, vedi Bibliotheca Sanctorum, Vol. II, Roma 1962, pp. 258-268.(3) B. WILH, II culto di S. Apollonia e l’evoluzione dell’odontoiatria, « Pagine di Storia della Medicina», XIV, 1971, pp. 5-14.(4) A. BASILE, Santi castigati in Calabria e altrove, «Cal-abria letteraria», XIX, 1971, nn. 11-12, pp. 32,33.(5) E. DURKHEIM, M. MAUSS, Sociologia e antrolopo-gia, Roma, Newton Compton, 1976, pp.23-24.

Il culto di Santa Apollonia

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4 Dicembre 2012

Verso la fine del mese di Agosto o primi giorni di Settembre dell’anno 1969 lavora-vo come bagnino nella spiaggia dell’Hotel Europa di Giulianova. Un gruppo di amici di Sant’Omero vennero a trovarmi propo-nendomi la partecipazione per la formazi-one di un complesso musicale. Tra di loro, ricordo benissimo Nino Viscioni, Tonino Cristofori, Angelo Pediconi ed altri. Ebbi subito qualche perplessità suonavo da qual-che anno la fisarmonica e non avevo mai suonato una tastiera.Insistettero dicendomi che non c’era nessun problema, avevano già parlato con il mio maestro di musica e con qualche lezione potevo prontamente acquisire le capacità necessarie. Per quanto riguarda l’acquisto della tastiera era già tutto organizzato, la Ditta Giocondi di San Benedetto accettava il pagamento rateale e mio padre era al cor-rente di tutto e in qualche modo mi avrebbe aiuto per i pagamenti. Già nel mese di Ot-tobre le prime prove con strumenti nuo-vissimi: Nino Viscioni alla batteria, Angelo Pediconi canto e chitarra, Gianni Picchini al basso, Leo Franceschini alla tastiera. Il nome Wanted c’era già e iniziò l’avventura.Il batterista Nino un personaggio fantastico impiegava moltissimo tempo per perfezi-onare il tutto – le prime luci psichedeliche fatte artigianalmente – le pedane per la batteria e per la tastiera – addirittura an-che le bacchette per la batteria realizzate presso la falegnameria di Faustino Florà. I primi giorni di prove si svolgevano nella sartoria del papà di Angelo e vi era una grande partecipazione di persone giovani e meno giovani. Tutti davano consigli, richie-devano una canzone. Moltissimi venivano per assistere l’esuberante Nino alla batteria che inventava ritmi sempre più moderni e stravaganti. Ricordo che passavo notti in-sonni per il pensiero delle rate da pagare per la tastiera e pensavo di aver fatto un grave errore a fare quei debiti. Avevo paura per aver messo la firma su quelle cambiali e mi vergognavano di parlarne con i miei amici. Grazie all’intervento del Sindaco Giuseppe Armillei ed il sempre presente Gennarino Cristofori, nostro primo sostenitore, ci fu concesso l’uso dei locali sopra l’attuale Ban-ca Tercas di Sant’Omero ( chiamata ex casa del fascio). Dopo la scuola nei pomeriggi e nelle serate ci si riuniva per le prove ed era una vera attrattiva per il paese. Alcuni si lamentavano per il suono troppo forte, men-tre altri ci accoglievano e si entusiasmavano perché la nostra musica riempiva la malin-conia e la tristezza di quel luogo. Il sindaco Armillei era contentissimo e spesso veniva a trovarci accompagnato da alcuni giovanis-simi. Le prove si svolgevano a porte aperte e la scalinata dell’edificio era stracolma di giovani che venivano ad ascoltarci. Rara-mente salivano da noi le ragazze. Erano altri tempi! Loro ci ascoltavano dalle panchine sotto gli alberi e ci scambiavamo i saluti dalle finestre. Suonavamo canzoni di can-tanti come Paoli – Ranieri - Battisti ecc. e gruppi musicali italiani emergenti New

Trolls - Camaleonti - Nomadi - Dick Dick ecc. e brani anche dei Beatles “- Hei Jude Let it be” ecc. Finalmente la prima uscita con il pubblico presso la palestra della scuola elementare.Ricordo che era inverno e Nino si arrab-biò con me perché non disponendo di una giacca pesante fui costretto a suonare

con il cappotto. Le mani erano così fredde - forse anche per l’emozione - che nem-meno riuscivo a suonare. Il pubblico di Sant’Omero intervenne numerosissimo an-che se l’acustica della palestra era pessima. C’era anche il Sindaco e la Giunta a tifare, per Gianni Picchini (diventato dopo qualche anno Sindaco). Tutti furono conquistati dalla voce di Angelo e dal suono della sua chitarra e soprattutto era il grande batterista Nino il più acclamato. Subito dopo, le prime serate danzanti presso il Cinema di Sant’Onofrio ove ne seguirono altre negli anni successivi, durante i periodi Natalizi. Proprio durante quelle belle serate di allegria balli e mu-sica, quindi anche grazie ai “WANTED” nacquero diversi primi amori: il batterista Nino ed Agata - il manager Tonino e Sil-vana, il caro amico, nostro assiduo fan fre-quentatore Luigi con Anna e altri ancora che ebbero però breve durata. Era il periodo di Carnevale, Nino da diversi giorni era impegnato a realizzare le bacchette per la batteria presso la falegnameria di Faustino, dalle 15 –20 paia di bacchette. Durante una serata ne ruppe così tante che i pezzi di legno erano sparsi dappertutto in mezzo ai coriandoli. Quella sera c’era la sua Agata alla quale dedicava la sua canzone preferita. Con i piccoli incassi delle serate, finalmente si riuscì a comperare l’impianto audio di ultima generazione. Vi era la possibilità di modificare il tono della voce e fare l’effetto eco. Praticamente un registratore che faceva risentire la voce subito dopo. Eccezionale... diceva Nino entusiasta del nuovo impianto. La cosa più bella fu quando il nostro parro-co Don Mario consentì di cantare la messa BEAT in chiesa .Mai vista tanta gente alla Messa e Don Ma-

rio era contentissimo anche se richiamava Nino affinché suonasse più piano e fac-esse meno “rumore” con la batteria. “Don Ma… nella batteria non c’è la manopola del volume…” rispondeva Nino, ma lo accontentava mettendo della stoffa sopra i tamburi per attutire il battito. Venivano persone anche da Teramo e da Ascoli Piceno

per ascoltarci. Fummo chiamati anche per la celebrazione di matrimoni con la nostra Messa Beat. Il nostro manager Tonino Cristofori scritturò anche un presentatore il grande Stefano Cristofori e quindi feste del Patro-no a Civitella a Ripe di Civitella a Rocca Santa Maria – spessissimo a Case Alte – a San Giuseppe di Nereto – a Roccafluvione – Sant’Egidio- Sant’Arcangelo e poi mol-tissime serate danzanti a Giulianova – Alba Adriatica -Teramo - Martinsicuro ecc.Ingaggiammo anche delle brave cantanti, erano anche carine e quindi grazie a loro anche lo spettacolo si arricchì con le pri-missime minigonne. Indescrivibile la lotta per il primo posto sotto il palco da parte dei giovanissimi.Molti erano i fans amici che ci seguivano, c’è da ricordare Nicolino Cristofori, En-rico Brandimarte e tantissimi altri che ci aiutavano perfino a montare gli strumenti musicali. Uno degli eventi più importanti per i WANTED si concretizzò quando nel lun-gomare di Giulianova si esibì il gruppo, allora emergente adesso diventato mito, de “I NOMADI” e noi intrattenemmo la prima parte della serata. Il gruppo utilizzò una parte dei nostri strumenti ed in partico-lare la batteria di Nino che per l’epoca era già all’avanguardia, il gruppo pagò pegno perché Nino si ritrovò tre piatti, di pregio, dei Nomadi oltre che delle bacchette con la testina in feltro pressato. Accessori per batte-ria praticamente introvabili per quell’epoca e peraltro appartenuto ai mitici NOMADI, un vero trofeo vanto del grande batterista di Sant’Omero. Furono quelli dei giorni vissuti senza pensieri, passati forse anche troppo - troppo presto in armonia con la

nostra musica e le nostre fantasie. Giorni di vera aggregazione. Forse non sapendolo i “WANTED ” fu un vero collante di ag-gregazione per molti giovani nel nos-tro paese, aggregazione che purtroppo la moderna gioventù non riesce ad ottenere e ricostruire pur avendo tantissime possibilità economiche e di mezzi, forse perché distrat-ta da mille altre occasioni che tutto facilita meno che quello dello stare insieme e di condividere direttamente larghi momenti aggregativi. Bellissimi momenti, interrotti però dalla partenza di Gianni per il Servizio Militare e subito dopo da Angelo per il suo primo impiego fuori Sant’Omero. Successivamente , Nino e Gianni ricostitu-irono un altro gruppo insieme a dei ragazzi di Campli, che però non ebbe lunga durata a causa soprattutto di impegni di lavoro o di studio ai quali fu data la giusta precedenza.Io fui ingaggiato da altri complessi musicali verso le Marche ancora per qualche anno, lo facevo per hobby ma interruppi presto per motivi di lavoro. Successivamente continuai a suonare l’Organo della Chiesa accompag-nando il coro della Parrocchia.

Leo Franceschini

Durante una festa di paese a Villa Tofo conclusi un contratto per 150mila lire, per la presenza sul palco anche di tre cantanti carine, possibilmente in minigonna. Il gior-no della festa ricordo la piazza gremita, il gruppo era già pronto a suonare e tutti as-pettavano le ragazze in minigonna. Arrivai con una seicento scassata e, anzichè le tre raga-zze in minigonna feci scendere una ragazza tutt’altro che bella e con le gambe storte che destò l’ilarità di molti dei presenti. Fui av-vicinato da un membro del comitato ceh mi disse:”Tonì, avevamo detto tre ragazze carine e in minigonna e tu ne hai portata solo una, persino brutta e con le gambe storte...”. Io con freddezza risposi:”Questa sarà pure brutta ma canta molto bene!”. Naturalmente il compenso si ridusse note-volmente.Un giorno mi chiamò un fattore di Cor-ropoli che voleva farmi ascoltare il figlio, as-pirante cantante, per valutare l’opportunità di inserirlo nel gruppo. Andammo a sen-tirlo. Il padre azionò un giradischi che suonava “In ginocchio da te” di Gianni Morandi mentr il figlio cantava sulle note della canzone. Alla fine chiesi al padre cosa avesse fatto il ragazzo fino a quel mo-mento e lui rispose:”Aiuta a me a corie li bestie e in campagna”. In tutta franchezza risposi:”Beh, allora è meglio che continui a fargli fare quello che ha fatto finora”.In occasione di un capodanno eravamo stati ingaggiati presso un noto locale di Alba Adriatica. Arrivammo la sera del 31, siste-mammo gli strumenti ed eravamo pronti per suonare quando il proprietario, non sapendo con chi aveva a che fare, si rifiutò di firmare il contratto dicendo che bastava la parola. Smontammo gli strumenti e an-dammo via lasciando la serata senza musica.

Tonino Cristofori

Intervista ai Wanted

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Dicembre 2012 540 anni fa: The dark side of the moon

Un libro raffinato ed elegante dedicato alla capra: è l’omaggio di Francesco Galiffa, noto ri-cercatore di cose locali e appas-sionato gourmet neretese, ad uno degli animali da sempre, fin dalla fanciullezza del mondo, a fianco dell’uomo, forse il primo ad essere addomesticato. E naturalmente anche mangiato! L’autore parte da lontano, mescolando con maestria ed er-udizione riferimenti mitologici a dettagli storici, cenni di ritu-ali di antiche religioni e osser-vazioni sull’utilità e sui vantaggi dell’allevamento di questo animale libero e indocile ma premuroso, accostato da sempre alla sua funzione di nu-trice degli dei e degli uomini. Apprezzato per la lana e per il latte, il nostro ovino, testardo per antonomasia, è stima-to anche per la carne che, benché naturalmente di odore non gradevole, dopo una lunga e sapiente preparazione si muta in gustosissima e tenera. Sapientissimi nell’arte di cucinarla i Neretesi, in Val Vibrata, che ne hanno fatto il piatto simbolo dell’intera comunità.È proprio in omaggio alla “Capra alla neretese”, piatto

contadino, che Francesco Galiffa si è avventurato in una meticolo-sa ricerca che lo ha portato a con-sultare centinaia di testi, di fonti, tutte riportate nella dettagliata bibliografia, con una narrazione che si mantiene sempre tra facil-ità e amenità della divulgazione e rigore della ricerca scientifica. Edito dall’Associazione Cul-turale “F. Ranalli”, il libro per-mette al lettore di conoscere la storia della capra nei secoli, le sue caratteristiche, i suoi prodotti e, soprattutto, l’impiego della sua carne nell’alimentazione, con la

descrizione delle tante maniere in cui questa può essere preparata, lavorata, cucinata, conservata e naturalmente gustata. Un repertorio di ricette, che spaziano dalla tra-dizione neretese alla realtà di molte regioni e provincie italiane ed estere, dà lustro al volume anche sotto il profilo gastronomico tanto che parafrasando un famoso detto sarebbe forse opportuno mutare la famosa “panca” del proverbio in una gongolante pentola dove, in linea con il titolo del volume, la capra si nobilita per i migliori palati.

Gabriele Di Francesco

Juventus Club Sant’Omero

Nella classifica ideale dei dischi che hanno cambiato la storia del-la musica, “The Dark side of the Moon” dei Pink floyd, resta tra i più rappresentativi, assurgendo al ruolo di icona del nostro tempo e con numeri che oggi sembrano impossibili da eguagliare: oltre 50 milioni di copie ven-dute, numero 1 della classifica Billboard, 47 dischi di pla-tino e 2 di diamante, più di 741 set-timane in classifica, fino al 1988!Registrato nei mitici studi di Abbey Road, quelli dei Beatles per intenderci, e pubblicato nel marzo del 1973, il dis-co è un concept che segna una decisa svolta nella carriera della band, decre-tandone definitivamente la maturità e, in un certo senso, facendo loro pren-dere le distanze da quella produzione che li ha visti diventare il punto di rif-erimento del movimento rock psiche-delico degli anni 70.Senza Syd Barrett, fu Roger Waters a prendere in mano definitivamente la leadership del gruppo, mutandone nel contempo sia lo stile, più definito e

meno sperimentale, sia la forma dando più risalto ai testi e alla voce.Il risultato è un disco che accelera e rallen-ta più volte, disorien-ta e stordisce per poi ammaliare e sedurre: Time, Money, The great gig in the sky, Brain damage sono melodie senza tem-po, che ti entrano

dentro e definiscono i termini di para-gone di tutta la musica rock.A 40 anni dal uscita, “The dark side of the moon” mantiene ancora inte-gro tutto il suo fascino e continuerà a stregare anche le future generazioni. Se sia o meno il miglior album dei Pink Floyd oggi ha poco senso. Personal-mente non lo è, ma è innegabile che è un opera che non lascia indifferenti ed è di certo il primo passo per i novizi per avvicinarsi e conoscere in modo più approfondito la musica del gruppo inglese.Resta la storia. Quella si che è cam-biata, e per sempre, con il “lato oscuro della luna”.

Fabrizio Cardelli

In una villa di campagna nei pressi di Todi, un cinquantenne misterioso, ricco e solo, decide di affittare una compagnia di attori per far interpretare loro la famiglia che non ha mai avuto in occasione delle feste natalizie. Leone, il singolare padrone di casa, adesso ha una moglie, un fratello, una cognata, tre figli e una mamma. La finzione e la realtà si mescoleranno rap-presentando una situazione da idillio natalizio presto ribaltato dall’entrata in scena di un Ser-gio Castellitto che alla presunta rilassatezza del quadro aggiunge una nota tesa, quasi tagliente in un godibile aggiornamento di ferocia da troppo assente nella commedia italiana contempora-nea.Proprio nei ripetuti e sempre più paradossali attriti tra il committente e gli attori, “Una famiglia perfetta” trova il suo punto di forza e la sua ragione d’essere, portando avanti un discorso sulla natura e sulla pos-sibilità offerte dalla recitazione, arte che ha capacità di cambiare la realtà. Lo scorrere davanti agli occhi

del Natale (e della vita) che avrebbe potuto essere e avere nel passato, misto alla ferrea cornice, lascia emergere la distanza tra interprete e per-sona, corpo e ruolo, come le contraddizioni e le fragilità di chi può entrare e uscire a piacimento da uno specchio di cui bisogna conoscere le regole. Innegabilmente al di sopra del livello medio del cinema italiano (per non parlare dei nostrani titoli natalizi), questa è una commedia

fuori dal coro, un vero e proprio Van Gogh, per fotografia, ambientazione e sceneggiatura. Per non parlare degli attori, Marco Giallini e Ilaria Occhini, Claudia Gerini e Francesca Neri, Castellitto stesso, in una parola, superlativi, diretti magistralmente da un Paolo Genovese che dopo la bella prova del primo Immaturi, prende tratti della maestria Ozpetek-iana e li fonde in un esperimento a cui il cinema italiano sarà in futuro devotamente grato.

Antonello Cristofori

Una famiglia perfetta Viva la Capra... in pentola!

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6 Dicembre 2012

Non è un mestiere in via di estinzione, il pizzaiolo, tutt’altro. La pizza infatti è, probabilmente ancor più degli spaghetti, il cibo italiano per eccellenza e il più conosciuto nel mondo. La pizza italiana si può definire un piatto di alta cucina, prima di tutto perché è una delle invenzioni culinarie più geniali nella storia dell’alimentazione e poi perchè è senza dubbio un piatto di altissima qualità organolettica e degustativa.

Parlaci un po’ di te, come mai sei diventato Pizzaiolo?Il mio nome è Di Antonio Antonio, ma tutti mi chia-mano Tony sin da quand’ero piccolo. Ho 43 anni, sono sposato, ho due figli e vivo nel mio paese d’origine: Sant’Omero. I miei hobby, prima di diventare piz-zaiolo erano lo sport e l’ornitologia (per il primo ora non ho proprio più tempo, per il secondo ritaglio un breve momento ogni giorno). Una decina d’anni fa, quando lavoravo come magazziniere presso una nota azienda alimentare della zona che cominciava a risentire dei primi momenti di crisi economica, pensai che fosse opportuno cercare un lavoretto extra da svolgere la sera, dopo il lavoro quotidiano, o nel fine settimana, anche per arrotondare lo stipendio. Su “Chi cerca trova” notai che la richiesta/offerta di lavoro più ricorrente era quella della mansione di “pizzaiolo”….Pensai di frequentare un corso base per avvicinarmi con consapevolezza al mestiere ed avere, in tal modo, più possibilità di trovare l’opportunità lavorativa che cercavo in quel momento. Dopo qualche mese iniziai a lavorare la sera e nel week-end in un ristorante/pizzeria della zona e con il passare del tempo quel lavoro extra cominciò ad appassionarmi, rendendomi sempre più curioso di ap-prendere e migliorare.Nel 2004 iniziai a pensare di mettermi in gioco in prima persona e cominciai a cercare in giro se c’era qualche at-tività di pizzeria al taglio in vendita. La trovai proprio a Garrufo e nel maggio del 2005 ho iniziato la mia at-tuale attività lavorativa rilevando la pizzeria al taglio “La Piazza”.Qual è il segreto di una buona pizza? E quali sono le regole d’oro per un ottimo impasto di base e per una perfetta cottura?Secondo me non c’è nessun segreto, l’importante è utilizzare gli ingredienti giusti (ottima farina, che può variare tra vari tipi, a seconda della pizza che si vuole ot-tenere, acqua, olio extravergine d’oliva, lievito madre, sale), miscelare gli stessi nelle giuste quantità e secondo un certo ordine, al fine di ottimizzare il risultato finale: impasto ben lievitato da portare a cottura solo nel mo-mento della sua maturazione. Quali sono gli errori più diffusi nella preparazione della pizza?Sempre secondo il mio modesto parere, che, comunque, proviene anche dall’insegnamento di importanti maestri pizzaioli d’Italia, la preparazione della pizza utilizzando il cosiddetto “impasto veloce” è l’errore più ricorrente nel settore. Esso, pur non essendo dannoso per la salute, non è raccomandabile per il semplice fatto che è otte-nuto con l’utilizzo di abbondante lievito che “fa lievitare presto l’impasto che, però, si presenterà difficilmente digeribile”.Qual è la pizza più mangiata? E qual è invece la tua pizza preferita?La “Regina Margherita” è da sempre la pizza per ec-cellenza (quella con mozzarella di bufala, ovviamente). Altre pizze più gettonate sono le classiche (capricciosa, 4 stagioni, wurstel, prosciutto cotto con funghi); infatti sul banco del mio locale, che è una piccola pizzeria al taglio, di solito si trovano le tipologie di pizza che vanno per la maggiore. Molti miei clienti, inoltre, ordinano la propria pizza prendendo spunto dal fornito elenco che trovano disponibile in bacheca, altri, invece, la inventano in base ai propri gusti, ed io cerco sempre di accontentare tutti! La mia pizza preferita, sia in estate che in inverno è “la caprese”. Meglio un forno a legna o elettrico?Ho utilizzato entrambe le tipologie di forno, e posso dire che la cottura fornita da un forno a legna, al contrario

di ciò che generalmente si pensa, non è di qualità supe-riore a quella del forno elettrico o del forno a gas. Inoltre, lavorare con il forno a legna, è indubbiamente più fati-coso, infatti esso comporta più manodopera (sia prima che dopo l’utilizzo). La legna necessaria per riscaldare il forno va inserita quotidianamente sulla “platea”, va accesa e mantenuta controllata, con successivo regolare inserimento di altra legna al bisogno; durante la cot-tura bisogna prestare la massima attenzione affinché il prodotto non venga inquinato dalla legna accesa; infine, terminata la fase di lavoro, bisogna asportare la cenere e pulire adeguatamente la platea per non lasciare all’interno alcun residuo di legna; tutto ciò non accade nelle altre due tipologie di forno. Nella mia pizzeria inizialmente avevo un forno a gas mentre attualmente ne utilizzo uno elettrico; non ho trovato differenze in merito alla cottura della pizza, neppure in confronto al forno a legna, inoltre questi ultimi consentono un lavoro più veloce e pulito.Com’è cambiata la professione rispetto a qualche anno fa? Quali sono le novità? Bhè, come ho detto prima, svolgo quest’attività da trop-po poco tempo per poter fare un paragone. A me piace ricercare la professionalità per essere competitivi sul mer-cato. Il consumatore, infatti, è sicuramente più esigente, molto più attento e consape-vole rispetto al passato (forse anche a causa dell’aumento delle problematiche legate alla salute alimentare); è per questo che anche le aziende operanti nel settore ali-mentare svolgono continue ricerche, puntando sulla qualità delle materie prime offerte e cercando di ampli-are le tipologie di prodotti da offrire. Per quel che mi riguarda ho frequentato vari corsi di aggiornamento con gli istruttori appartenenti alla Scuola Italiana Pizzaioli (Gabriele Fazzini di Teramo e Graziano Bertuzzo di Caorle), nonché con i maestri panificatori Piergiorgio Giorilli e Simona Lauri, entram-bi di Varese e con la Dott.ssa Marisa Cammarano di Na-poli, laureata in scienze biologiche e specializzata in sci-enze dell’alimentazione; inoltre nel 2009 ho partecipato

ad un master della Suola Italiana Pizzaioli a Caorle (VE) per il conseguimento del titolo di istruttore pizzaiolo.Meglio essere dipendenti o lavorare in proprio? Qua-li sono gli imprevisti, i rischi e le difficoltà di questo mestiere?Nella mia vita lavorativa sono stato sia dipendente che autonomo e ti assicuro che essere in proprio ha più svan-taggi che vantaggi. Per come sono fatto io preferisco es-sere autonomo, perché per carattere, non amo prendere ordini. Ciò comunque, comporta anche lo svantaggio

di avere pochissimo tempo libero da dedicare alla fami-glia, agli hobby ed agli amici ed i sacrifici da affrontare sono sicuramente mag-giori. D’altro canto ritengo che nello svolgimento del proprio lavoro, sia esso dipendente o autonomo, l’importante sia sentirsi gratificati e soddisfatti di ciò che si sta facendo, an-che se per perseguire tutto ciò è necessario impegnarsi

tanto (anche avere dei validi collaboratori è importante, oltreché una famiglia che ti appoggia e ti sostiene). Gli imprevisti possono riguardare vari aspetti dell’attività, ed anche l’ambito personale influisce sul lavoro (sia del titolare che dei propri dipendenti). Per prendere in considerazione il primo caso, può capitare che uno degli strumenti di lavoro (frigorifero, forno, friggitrice, affet-

tatrice) all’improvviso non funzioni più bene o non funzioni affatto, ciò com-porta un ulteriore onere per l’attività, che va al di fuori di quello considerato per la manutenzione ordinaria; nel secondo caso, invece, può succedere che il titolare o il proprio dipendente si ammali, o si debba assen-tare per ragioni improro-gabili, ciò comporta dover trovare un capace sostituto

che possa garantire la stessa resa di colui che si è dovuto assentare, con l’ulteriore aggravio economico della dop-pia retribuzione (nel caso di assenza del dipendente), ovvero comporta la decisione di “abbassare momenta-neamente la serranda”; inutile dire che in quest’ultimo caso oltre al mancato incasso si corre il rischio di perdere, anche se momentaneamente, qualche cliente… Inoltre anche il fisco è un elemento importante da prendere in

considerazione… Spero tornino presto tempi migliori. Quale consiglio dare a chi vuole intraprendere questa professione?In parte credo di aver già risposto a questa domanda; un mestiere come il mio non si può improvvisare, si devono avere le conoscenze necessarie e… tanta voglia di lavorare! In ogni caso ai più giovani ed a coloro che non hanno vincoli familiari, attualmente mi sento di dire di provare ad andare all’estero, dove la ristorazione italiana in genere è molto gradita e ricercata, e dove il peso fiscale non è così pressante come in Italia. A quali manifestazioni hai partecipato e quali premi hai vinto? Quali sono le prossime manifestazioni a cui parteciperai?Nel 2007 è stato il maestro pizzaiolo Gabriele Fazzini a stimolare la mia curiosità nell’ambito delle competizioni tra pizzaioli. Per me rappresentano soprattutto un mo-mento di incontro tra colleghi, utile anche per scambi-arsi idee, conoscenze e novità.Da allora ho partecipato ogni anno ad importanti manifestazioni nazionali ed internazionali quali: il Giropizza d’Europa, il Campionato Europeo, il Cam-pionato Olimpizza e il Campionato Mondiale della Pizza (con tappe organizzate in varie città italiane ed europee (Scalea, Lecce, Bari, Roma, Rimini, Salsomag-giore Terme, Milano, Verona, Massa Carrara, Budapest, Parigi, Chalon sur Saone). In ognuna di dette gare ho conseguito sia buoni che ottimi risultati, piazzandomi nella maggior parte dei casi tra i primi dieci classificati. I premi di solito sono rappresentati da strumenti di lavoro quotidiano, da coppe o targhe. I miei risultati migliori sono stati:- 1° posto nella tappa di Roma del Giropizza d’Europa 2010/2011 (categoria pizza in pala)- 2° posto nella tappa di Rimini del Campionato di pizza a due 2010/2011, con la chef Adriana Ferretti del ristorante “La Perla” di S.Egidio alla Vibrata (categoria pizza classica)- 1° posto con la stessa chef nella finalissima del Giropizza d’Europa 2010/2011 a Parigi (categoria pizza classica);- 4° posto nella tappa di Budapest del Giropizza d’Europa 2011/2012 (categoria pizza in pala)- 2° posto nel Campionato Mondiale della Pizza 2012 a Salsomaggiore Terme (categoria pizza in teglia);- 3° posto nel Campionato Europeo 2012 a Roma (cat-egoria pizza in pala).Nel 2009, inoltre, insieme a tre colleghi pizzaioli abru-zzesi (Emilio Bizzarri del ristorante-pizzeria “Il Tra-monto” di Ancarano, Gianni Pompetti del ristorante-pizzeria “Dei Poemi” di Val Vomano e Luigi Pelle del ristorante-pizzeria “Grue” di Castelli), ho partecipato ad un master della Scuola Italiana Pizzaioli, conseguendo il titolo di istruttore. Insieme abbiamo formato un gruppo di lavoro, chiamato “Interamnia Pizza”, che oltre a col-laborare nelle suddette competizioni, ha contribuito gra-tuitamente alla riuscita di varie manifestazioni a scopo benefico quali il pizzaday a L’Aquila, nel maggio 2009, subito dopo il terremoto del 6 aprile nonché alla realiz-zazione di varie cene di raccolta fondi organizzata dalla C.R.I..Nell’aprile scorso, inoltre, sempre con il gruppo “Inter-amnia Pizza”, ho partecipato ad un progetto realizzato dalla Preside dell’Istituto Alberghiero Di Poppa – Ro-zzi di Teramo, Prof.ssa Silvia Manetta, ed in collabora-zione con lo chef, Prof. Paolo D’Evangelista, consistente nell’insegnamento delle regole fondamentali per avvici-narsi al mestiere di pizzaiolo: conoscenza degli ingredi-enti, preparazione dell’impasto, conoscenza della tecnica per la stesura dell’impasto a mano, farcitura e cottura. Anche il Presidente della Provincia di Teramo, Dott. Valter Catarra, ha trovato apprezzabile detto progetto, per cui ha voluto incontrarci e consegnarci un gradito riconoscimento.Le prossime competizioni previste sono: la finalissima del Giropizza d’Europa 2012/2013 e il Campionato Mondiale della Pizza 2013.

Antonello Cristofori

Il mestiere del pizzaioloIntervista ad Antonio Di Antonio

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Con l’anno che è stato, è arrivato l’inverno, timi-damente, un po’ in ritardo. Ha portato con se il freddo ma non troppo, ha portato qua e là un po’ di neve. Ci sono posti dove la neve sembra non arrivi mai: c’è già, da sempre. Il Calderone, i canaloni all’ombra del Franchetti, Fonte Rionne. E’ il mondo del massiccio del Gran Sasso, dove l’aria è più sottile e il cielo è più vicino. Dove è possibile ascoltare il rumore del silenzio. Dove ci si riconcilia con la natura perduta per chi è abituato al traffico, alla fretta, all’inquinamento, al telegiornale, alle guerre, ai politici. Scusatemi, Voi, che al brulicare frenetico della civiltà, in cerca dell’ultimo, spesso inutile regalo natalizio, presi dalle squallide vicende che percorrono la nostra Italia, forse non sapete che il Calderone è il ghiacciaio più a sud d’Europa, il Franchetti è il più bel Rifugio del Gran Sasso e Fonte Rionne è un canalone del versante Aquilano della catena Appenninica. Sul “nostro” Gran Sasso, le luci artificiali e le vicissitudini occidentali si perdono tra i magici riflessi delle linee disegnate da creste e canaloni. Ed è per questo che nell’anno che sta per finire, gli amici del Club Monti Gemelli hanno cercato nella fatica il riposo più profondo. Sono alcuni anni, con la democrazia da espor-tare, che si è chiusa una storia un po’ orrenda: l’omicidio di Saddam Hussein, uno dei person-aggi più ributtanti degli ultimi decenni. Ancora con la democrazia da esportare, negli anni recenti che sono stati, abbiamo eliminato il penultimo dittatore libico. In quegli anni, è ancora dopo, l’Occidente, che ha scelto la strada delle bombe, era amico e sostenitore del dittatore baffuto prima e del riccioluto tinto corvino dopo. L’anno che è stato sta per finire ed è difficile pensare che si va ancora avanti così. Noi, più ingenui, abbiamo rinfrancato i pensieri e lo sguardo, calpestando i sentieri che si inerpicano tra i massi alla conquista della cima.La montagna è tutto un ambiente da scoprire, fatto di esperienze da vivere, di luoghi per muo-versi, camminare, arrampicare, entrare in sinto-nia con un mondo meraviglioso. Vivere l’ambiente montano non è solo sport e movi-mento, ma anche stile di vita. In una società post industriale e sedentaria come la nostra, il cam-minare, oltre che uno svago, è anche una medic-ina per sentirsi in forma, per conoscere la cultura montana, e. a mano a mano che il pendio si iner-pica, diventa sempre più arrampicata. Si entra in una nuova visione del movimento, da orizzontale a verticale, cambiano anche le prospettive, si ac-centuano le emozioni, il contatto è più diretto. L’escursionismo, e ancor di più l’arrampicata, ha dentro di sè un mondo di emozioni, di istinti, di filosofia di vita. I non addetti non immaginano neanche il fascino e la bellezza della verticalità in una montagna al cospetto di tanti sport alla moda. Il Massiccio del Gran Sasso, nella sua pic-

cola immensità, presenta un numero elevato di cosiddette vie di ascensione alle varie cime e tra-versate da un versante all’altro da soddisfare le esigenze e i gusti degli appassionati della mon-tagna, dal semplice camminatore fino al forte al-pinista. Il Gran Sasso, cuore dell’appennino, costituisce il massiccio montuoso con le maggiori altitudini di tutta la catena peninsulare. Geo-graficamente è situato tra il Passo delle Capan-nelle, sulla statale 80 tra Teramo e L’Aquila, e le Gole di Popoli, con una estensione di oltre 40 Km e una superficie di circa 180 Kmq. Situato a

45 chilometri dal Mare Adriatico e a 120 chi-lometri dal Mar Tirreno. Essenzialmente, l’intero raggruppamento montuoso può essere suddiviso in tre parti: la Catena Occidentale, il Massiccio Centrale e la Catena Orientale. E’ tutto un costone impervio e selettivo all’escursionista, di roccia cal-carea, che si erge tra il mare Adriatico e il mar Tirreno. Da diversi punti di vista, è considerato un piccolo pezzo di Dolomiti, tanto sono simili le origini del calcare del Gran Sasso e della dolo-mia delle Dolomiti. L’intero complesso montuo-so del Gran Sasso, che racchiude numerose valli, guglie, anfiteatri carsici e crepacci orridi, fa parte del Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga. Uno dei Parchi più grandi d’Europa, il ter-zo d’Italia, delimitato da nord verso sud, dalla città di Ascoli Piceno, da Amatrice, Acquasanta Terme, Teramo, L’Aquila e giù fino a Bussi sul Tirino. Nessuna vetta del Parco arriva a quota tremila, ma gli ampi spazi, i dislivelli notevoli, i repentini cambiamenti climatici per la notevole vicinanza dei mari, il regno dei venti sferzanti e una rigida stagione invernale che rende molti luoghi inaccessibili, portano tutti il profumo dell’alta montagna. Il Massiccio Centrale, regno di nevi perenni, da nord verso sud, è costituito dal Corno Piccolo, il paradiso dei rocciatori, e dal Corno Grande con le sue cinque cime. Il Massic-cio Centrale è il più importante della catena,

foss’anche per la presenza della vetta massima, la Vetta Occidentale del Corno Grande di metri 2912. Un’altezza certo non ciclopica, ma rag-guardevole, se solo si pensa che il suo Paretone che guarda verso nord, nel versante teramano, pressoché verticale, ha ai suoi piedi il paese Ca-sale San Nicola a quota circa 800 metri. Il Corno Piccolo, costituito da roccia ottima e da placche spettacolari, ha una particolare vocazione alpinis-tica per le numerose vie di ascensione. Dal Rifu-gio Franchetti, sulla parte alta del Vallone delle Cornacchie, è possibile ammirare tutta la parete est, come prosecuzione della Cresta dell’Arapietra sullo Sperone sud-est, sul Monolito e, per finire, verso la Sella dei Due Corni sulle Fiamme di Pi-etra. Questo versante del Corno Piccolo, quando innevato, ha un aspetto Patagonico di incredibile bellezza e fascino. Dalle vette del Corno Grande, in giornate terse e fredde, è possibile scorgere sia il Tirreno che l’Adriatico e a volte anche la costa Jugoslava. L’alba dalla vetta del Corno Grande, con il sole che esce dal mare, è uno spettacolo della natura. Nelle viscere del Massiccio Centrale, pulsa come un vero cuore, il Laboratorio

dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), ma di questo parleremo in una prossi-ma puntata. Salire la montagna non è solo allon-tanarsi dalla quota del mare, ma anche acquisire una dimensione diversa delle cose e apprezzare di più il senso della vita. Durante il “sentiero”, i pae-saggi del nostro massiccio sembrano approfittare della nostra fatica come se sapessero che meritano di essere visti. Come sempre, dopo aver preso

qualche informazione in più e pianificato i tempi per il giorno dopo, l’indomani inizia l’escursione. Quasi sempre con spettacolari tornanti si apprez-za il terreno ghiaioso che via via lascia il posto alla roccia. Si prosegue a fatica e, quasi nascosto, d’un tratto appare il tratto più impegnativo. Per alcuni è la prima volta e, alle normali difficoltà, si ag-giunge una inevitabile apprensione. Via via salendo lentamente e respirando profondamente, sembra che tutte le preoccupazioni siano sparite, anche il freddo, o il caldo, si sente meno, un po’ di apprensione però, accompagna per tutta l’escursione. Uno strapiombo, poi un tratto “fer-rato”, poi un altro, mentre la fatica si fa sentire con un recupero sempre più difficile. Ogni volta che si raggiunge un Colle, ai nostri occhi si apro-

no vallate immense, canaloni sterminati, pareti verticali vertiginose. L’attrazione della cima è più forte della ragione, anche se ad ogni passo una smorfia di fatica attraversa il volto. Ma ad un tratto si arriva all’ultima cresta e appare la meta. La sensazione è immensa anche se un vento, che sopra i duemila metri non manca mai, ti sbatte in faccia, ti riporta alla realtà della situazione. La vetta è il trampolino di lancio della fantasia, la casa del pensiero, la libertà dell’immaginario, la democrazia. Nonostante la fatica e il vociare sod-disfatto, la quiete sembra assoluta e il nostro stare lì, in poco spazio di roccia, sembra un po’ biz-zarro. Si consuma quel poco di cibo che ci siamo portati appresso e si inizia la discesa, con la sen-sazione della meta raggiunta, e questa volta, am-mirando con maggiore attenzione le bellezze naturali attorno, che l’entusiasmo dell’ascesa aveva offuscato. Non abbiamo fatto tante escur-sioni quest’anno, ma tutte particolari e abbiamo dedicato attenzione non solo al magnifico Gran Sasso. La discesa e poi risalita alla incantevole spiaggetta sul Conero ai piedi di Sirolo. La fatico-sissima escursione al Lago di Pilato sul Vettore, dove si può ammirare la presenza di un crostaceo endemico che in tutto il mondo, vive solo in quelle acque di una limpidezza incredibile. La presenza vivente di un tale animaletto di colore rosso corallo, costituisce motivo più che valido al presidio del luogo da parte di Guardie Forestali. Un fascino particolare si realizza per le vie ferrate che portano al Corno Piccolo e per quelle che portano al Bivacco Bafile, situato su uno spun-tone di roccia che strapiomba per centinaia di

metri sull’autostrada sottostante. La salita al “Franchetti” è forse, tra le escursioni fatte quest’anno, la più semplice e frequentata, perchè fattibile senza tanti patemi d’animo e con la pos-sibilità di scegliere, a duemilacinquecento metri di quota, tra cinque – sei primi per il “pranzo” della domenica. La più affascinante, forse perché porta sul tetto della Penisola, è la salita al Corno Grande. Ormai fatta sempre più spesso dalla “Di-rettissima”. La montagna, per chi non è allenato o d’invenro, è come se fosse un quattromila. Si isola, si racchiude in sé, è selettiva, si lascia avvici-nare solo da chi è più motivato e più disposto a spendere energie, ma ripaga ampiamente. La montagna è democrazia: è fatta per tutti, non solo per temerari e alpinisti ed è sempre più at-tuale, non la salita alla cima, ma la conquista del Rifugio. La democrazia non può esportarla chi non c’è l’ha, soprattutto non la casta che pensa solo a prolungare il soggiorno nelle confortevoli stanze del potere, a nostre spese. Una montagna si conquista con amore, passione, rispetto e fati-ca. La democrazia non si esporta con la guerra, la democrazia è come un montagna. Il Natale è come la Montagna: LA VIA ALLA VITA.

Rossano Ruggieri

Quota Gran Sasso

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Lungo la via per il Franchetti

Un caratteristico passaggio sulla via Danesi al Corno Piccolo

Salita al Rifugio Franchetti

Salita al Rifugio Franchetti

Lungo la via per il Franchetti

Un bel gruppo sulla vetta del Corno Grande

Page 8: S@ntomero - Dicembre 2012

8 Dicembre 2012

DialettezzeFesta del patrono

Mazzarell’ = s.f. = articolo li = usata quasi esclusivamente al plurale = mazzarelle, pre-parazione alimentare della cucina teramana costituita da un piccolo e cilindrico involto (lungo dai 7 ai 15 cm e spesso 3 o 4 cm) di fo-glie di borraggine (ma anche scarola) a forma di piccolo bastone, o piccola mazza, da cui il nome, che contiene striscioline di “coratella” di agnello (fegato, polmone, ecc.). L’involto viene tenuto insieme da budellini annodati sempre di agnello.Voscene o Vuoscene = s.m. = canale o con-dotta di adduzione dell’acqua, deviata gener-almente da un fiume, da un bacino idrico o da una sorgente, per produrre energia cinetica che muove le pale e fa girare gli ingranaggi nei mulini idraulici.Varràt’ = s. f. = colpo di sbarra o spranga. Vol-garmente è anche sinonimo colpo di colpo di “verga”.Rizz = s.f. = articolo la = recinzione, rete.Pustale = s. m. = articolo lu = autobus, postale.Sculàt’ = part. pass. del verbo scolare = scolato. Come aggettivo è metafora di pallido in viso, emaciato.Sdegnàt’ = part. pass. = slogatoZ’nal = s. m. = articolo lu = zinale o, più rara-mente, zinnale, lungo grembiule con pettorina usato dalle donne per i lavori domestici e dagli artigiani per proteggersi sul lavoro. Voce forse derivata dal longobardo “zinna”, seno, mam-mella.

Con l’arrivo del nuovo anno il Comitato Festa Santo Patrono e Associazione Culturale Uni-versitas Sancti Homeri, riparte con i preparativi della Festa del Patrono del 3 giugno cercando di ripetere il successo degli anni passati, quando personaggi del calibro di Ron, Matia Bazar, Enrico Ruggieri, Michele Zar-

rillo, Stadio, Massimo Di Cataldo, Drupi, Audio 2, Paola Turci, Arisa, Luca Carboni ecc. hanno dato lustro al nostro piccolo grande paese. Consapevoli delle non poche difficoltà economiche in cui versa il nostro paese, il Comitato, costituito per volontà del nostro parroco Don Luigi Consorti, spera da un lato nelle conferme di chi l’anno scorso ha partecipato attivamente alla riuscita dell’evento, e dall’altro nell’impegno di chiunque voglia rendersi utile alla buona riuscita della festa e dare conti-nuità al fortunato successo che di anno in anno è cresciu-to sempre di più. A tal proposito, a fine gennaio sarà indetta una riunione aperta a chiunque voglia far parte o semplicemente “dare una mano” nell’organizzazione degli eventi in programma. “Consapevoli delle dif-ficoltà, confidiamo sempre nella generosità che ogni anno i santomeresi e gli operatori economici locali ci dimostrano” - dice Paolo di Serafino - “non è facile riuscire a mettere insieme le risorse necessarie. Finora ce l’abbiamo sempre fatta, grazie al preziosissimo lavoro di tutto il Comitato ma anche di persone che contribuis-cono volontariamente alla questua. Ancora una volta, per la riuscita della festa, non ci rimane che confidare in Lui, nostro caro patrono, operatore di mille prodigi e gran pastore della comunità, Sant’Omero o, affettuosa-mente per i santomeresi, Sandmir!”

Santomerese 2012S@ntomero fin dal primo numero ha sempre voluto essere un giornale real-izzato con la collaborazione dei lettori, Santomeresi in particolare. Il tentativo sembra finora riuscito, visto il numero di affezionati amici che ci hanno seguito fino a questo numero e che sentitamente ringraziamo sperando che continuino a seguirci in futuro. Nel ringraziarli per la loro calda partecipazione e sempre agendo in piena sintonia con loro, la direzione e la redazione di S@ntomero ripropongono l’istituzione di un ri-conoscimento a un concittadino, uomo o donna senza distinzione di genere né di età, nato o residente nel Comune, che si sia particolarmente distinto nel corso dell’anno 2012.Il riconoscimento verrà assegnato su indicazione dei lettori, che potranno far pervenire a mezzo e-mail ([email protected]) o tramite il social network Facebook, le loro proposte di candidatura e le segnalazioni relative a personaggi di Sant’Omero meritevoli di un elevato apprezzamento nei diversi ambiti della vita di relazione. Si può fare riferimento alla vita economica, so-ciale, culturale, sportiva, politica, reli-giosa, artistica, ecc. In tal modo si costituirà un database di candidati, tra i quali un’apposita giuria tecnica, la cui composizione verrà resa nota al momento della premiazione e che comprenderà comunque rappresent-anti della redazione, sceglierà sulla base delle nominations popolari ricevute e dei voti dei suoi componenti il “SAN-TOMERESE DELL’ANNO 2012”.Votate numerosi!

Direttore Responsabile: Gabriele Di FrancescoRedattori: Antonio De Ascaniis,

Danilo Camaioni, Antonello Cristofori, Fabrizio Cardelli, Fabiano Di Damaso,

Verolei Cristofori, Giampiero FileniSegretario di redazione: Sandro Di Addezio

Disegni e Vignette: Fabiano Di DamasoImpaginazione Grafica: Antonello Cristofori

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Teramo Aut. N. 125/2009

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n° 608 del 16/09/2009

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gioia, un sentimento di commozione. Non c’erano luminarie nelle vie del paese, le poche botteghe non addobbavano i locali o le vetrine, ma se entravi a fare acquisti avvertivi che non erano giorni uguali ad altri giorni dell’anno, apparivano tutti più gentili e felici. Babbo Natale, ancora non aveva preso l’abitudine di raggiungerci con la sua slitta, perciò non passava per niente nella nostra mente di bambini di aspettarsi un dono. I tempi erano veramente magri e noi eravamo consapevoli delle difficoltà economiche familiari e ci accontentavamo del ”regalo” che arrivava la sera della vi-gilia: poche lire, ricevute dopo la lettura della “letterina” ci appagavano. La cena del 24 dicembre si svolgeva con un menù ripetitivo, ma sempre apprezzato: gli spa-ghetti al tonno, il baccalà, i calcionetti, i più attesi. L’atmosfera si faceva sempre più idilliaca soprattutto quando si doveva dar da mangiare al grande “ceppo”, che ar-deva nel camino o agli animali domestici, che quella sera avrebbero parlato con il linguaggio degli umani. Si allestiva il pre-sepe, avendo cura di andare alla ricerca del muschio più bello, l’addobbo dell’abete arrivò più tardi, per lo meno nelle case non signorili. La messa di mezzanotte… le luci che rischiaravano a giorno la chie-sa al “Gloria” intonato con voce tenorile da Don Mario,l a possibilità di indossare l’abito, confezionato dalla sarta apposta

per l’occasione, che sarebbe stato tolto di nuovo dall’armadio solo la domenica. Mi sembra che anche la neve volesse contri-buire a rendere l’atmosfera poetica: sbaglio o Natale era quasi sempre un Bianco Na-tale? Allora non si era presi dalla frenesia dello shopping, né dall’ansia dei regali da fare, non esisteva questa usanza né la possibilità di farlo, si donava ciò che si aveva, con il cuore, senza sentirne il peso. Poi arrivò Dante, che nella vetrina del suo “emporio” iniziò ad esporre tra gomitoli di lana colorata, qualche personaggio del presepe illuminato da una semplice lam-padina, qualche pallina per l’addobbo. Ci piacque l’idea e ci si soffermava volentieri ad ammirare la novità. Non che oggi il “Natale” non sia carico di significato ma purtroppo, aldilà dell’aspetto religioso, che rimane sempre lo stesso per i credenti, non suscita più quel sentimento di gioia intensa, l’attesa per vivere veramente “qualcosa di nuovo”. La scelta dei doni ci stressa, tutti hanno tutto e trovare un dono che possa soddisfarci è difficile, i bambini chiedono a Babbo Natale giochi sempre più tecno-logici e costosi, abiti nuovi li indossiamo quasi abitualmente e i dolci si acquistano in pasticceria. Forse è la nostalgia dei tem-pi passati a colorare di rosa il ricordo del nostro Natale, ma ripensandoci bene… era proprio così il NOSTRO NATALE.

continua dalla prima pagina

Il nostro Natale

È stato sig-lato mercoledì p o m e r i g g i o (28 novembre) presso il Co-mune di Roma l’accordo di col laboraz ione tra il Comune di Sant’Omero e la città cinese di Jincheng.Alla riunione con i rappresentanti della città di Jincheng ed il direttore dell’assemblea capitolina di Roma capitale ha parte-cipato, in rappresentanza del Comune di Sant’Omero, l’Assessore Stefano Papa. Nel corso dell’incontro l’Assessore ha spiegato come l’impegno dell’Amministrazione comunale, in un periodo di grave crisi economica, sia quello di incentivare il turismo, puntando sulla creazione di strutture alberghiere diffuse, e di valorizzare le tipicità ed eccellenze del territorio quali il pomodoro pera d’Abruzzo, il vino e l’olio.“L’obiettivo che intendiamo rag-giungere attra-verso l’accordo sottoscritto oggi – ha spiegato l’Assessore – è quello di creare relazioni di amicizia, pro-

pedeutiche alla costruzione di un gemellaggio uffici-ale, in nome della millenaria cultura che contraddis-tingue i due nos-tri paesi, sperando che ciò possa avve-nire al più presto, già nel corso del 2013”.“Il gemellaggio

con la città di Jincheng – ha ribadito l’Assessore – può costituire un utilis-simo strumento di sensibilizzazione po-litica, di cooperazione tra enti locali di paesi diversi e lontani tra loro in quanto offre l’opportunità di confrontarsi con cittadini di altre nazioni, di scambiare esperienze, di sviluppare progetti condi-visi su aspetti d’interesse comune come l’integrazione locale, l’ambiente, lo svi-luppo economico, le relazioni culturali, sociali e commerciali. Il gemellaggio consente, in sintesi, di accrescere il prestigio della nostra città e

di favorire lo svi-luppo e la cresci-ta del territorio”.Per il Comune di Sant’Omero si tratta di un am-bizioso impegno nell’ottica del rilancio di tutta la vallata vibra-tiana.

Accordo con Jincheng