søren kierkegaard
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SøREN KIERKEGAARD
Sara Casula 5°B S.U.
LA VITASøren Kierkegaard nacque a Copenaghen il 5
Maggio 1813 e morì nell’ 11 Novembre 1855.
Fu educato dal padre nel clima di una religiosità
severa, si iscrisse alla facoltà di teologia e nel
1840 si laureò. Fu un filosofo, teologo e scrittore
danese il cui pensiero è considerato il punto di
avvio dell’esistenzialismo. Negli ultimi anni
della sua vita attaccò l’ortodossia protestante
danese.
L’ESISTENZIALISMO
Kierkegaard contesta Hegel e sostiene che l’esistenza è sempre del singolo, ossia il reale protagonista è l’uomo preso come singolo e non come genere, come sosteneva Hegel. Quest’ultimo considera l’essenza razionale delle cose, mentre Kierkegaard l’esistenza. L’esistenza è , per Hegel, un accessorio dell’ essenza mentre per Kierkegaard l’esistenza, che significa stare fuori dal concetto, dall’essenza universale. Occuparsi delle essenze vuol dire occuparsi dell’universale, ma egli sposta la sua attenzione dall’universale astratto all’individuale: il Singolo.
L’UOMO SINGOLO
Il singolo è l’uomo posto di fronte all’assoluta
libertà del proprio destino: ogni uomo fa delle
scelte e si trova davanti ad esse, ma è la vita che
gli pone le scelte. Solo all’uomo spetta decidere
attorno alla sua esistenza. Queste scelte sono
spiegate in tre stadi.
I TRE STADIIn due delle sue opere principali, “Aut Aut” e
“Timore e Tremore”, il filosofo mostra come,
di fronte all’uomo, si aprano possibilità di
scelta esistenziale che corrispondono a tre
precisi stadi di vita: estetico, etico e
religioso. Non si tratta di tappe collegate tra
loro da un rapporto di necessità, ma fra
esse c’è un salto, per lui ogni stadio risulta
alternativo all’altro.
STADIO ESTETICO
L’esteta è colui che vive attimo per attimo, alla ricerca incessante del piacere e delle sensazioni più nuove. Il poeta romantico e il seduttore incarnano questo ideale estetico, in cui si manifesta la consapevole mancanza di senso e responsabilità. La figura dell’esteta è il Don Giovanni, il quale vive alla ricerca dell’attimo in cui la perfezione della bellezza si realizza, per svanire subito dopo. La dimensione estetica, con la sua radicale assenza di impegno e responsabilità, sfocia nella disperazione e tutto ciò porta la presa di coscienza della vanità di quell’esistenza.
STADIO ETICO
Lo stadio etico implica l’accettazione di quelle responsabilità del tutto estranee alla leggerezza dell’esteta. Per chi compie la scelta etica, i doveri e gli incarichi sociali diventano il fulcro della quotidianità. Kierkegaard identifica il tipo etico in un personaggio che conduce una vita ordinata, da buon marito e buon cittadino; nell’adempimento del dovere, egli prende coscienza di sé formandosi una personalità e guadagnando quelle libertà che nello stadio estetico erano solo un’illusione. Egli vive del suo lavoro.
STADIO RELIGIOSO
L’unica possibilità che ci può salvare dalla disperazione è
la scelta religiosa. Essa viene esaminata in "Timore e
Tremore" mediante la figura di Abramo, chiamato da
Dio, per il sacrificio del suo stesso figlio. Il patriarca si
piega al volere del Signore senza trovarvi né senso né
giustizia: la fede non è morale e la morale non è fede,
ma si tratta di due dimensioni tra loro incommensurabili.
L'uomo pertanto libero di credere o non credere e a lui
spetta la scelta angosciosa fra queste due alternative.
LA CRITICA AL CRISTIANESIMO DEL SUO TEMPO
Nella cristianità stabilita si è purtroppo dimenticato cosa vuol dire essere cristiani. Kierkegaard addita in Lutero il primo responsabile della mondanizzazione del Cristianesimo. Il protestantesimo, secondo Kierkegaard, ha scaricato tutto il compito della salvezza sul cuscino della fede-grazia, abolendo il celibato. Così, per il filosofo danese, "il Cristianesimo nella cristianità non esiste più", perché la cristianità ha abolito il Cristianesimo del Nuovo Testamento e lo ha tradito trasformandosi in una sorta di comodo paganesimo. L’eresia più terribile, oggi, è quella che consiste nel "giocare al
Cristianesimo".
LA NORMALITA’Per prima cosa occorre rimettersi in rapporto con Dio. Ma
la legge divina ha in sé qualcosa di angosciante e l’uomo
preferisce rapportarsi prima alla legge umana ed essere
come gli altri. Nasce allora la normalità, che Kierkegaard
definisce una “massa di scimmie”. La folla sembra avere
una grande forza, ma idealmente vale zero. Le manca
infatti la coscienza, e l’unico suo scopo è trovare qualcosa
su cui far quattro chiacchiere. Chi si rapporta agli altri è
anonimo. Ma questo genera angoscia verso la morte.
Allora l’uomo deve assumere un atteggiamento ironico,
cioè “avere dolore dove gli altri hanno desiderio”.
L’ANGOSCIALa scelta di fede, quindi l’accettazione del paradosso e il superamento dello scandalo, può portare all’angoscia. Se l’esistenza è libertà, vuol dire che noi abbiamo comunque sempre la possibilità di scegliere qualsiasi alternativa. L’angoscia è la coscienza della nostra terribile libertà: tutto ci è possibile, quindi possiamo anche perderci. L’angoscia è il puro sentimento del possibile; è il senso di quello che può accadere e che può essere molto più terribile della realtà. Chi vive nel peccato è angosciato dalla possibilità del pentimento; chi è libero dal peccato, vive nell’angoscia di ricadervi. Essa distrugge tutte le nostre presunte certezze assolute, scoprendo tutte le loro illusioni.
LA DISPERAZIONE Se l’angoscia è tipica dell’uomo
nel suo rapportarsi col mondo, la
disperazione è propria dell’uomo
nel suo rapporto con se stesso.
Essa è l’incapacità di risolvere il
rapporto con se stessi; è la colpa
dell’uomo che non sa accettare se
stesso nella sua profondità; essa è
dunque la malattia mortale, non
perché conduca alla morte
dell’io, ma perché è "il vivere la
morte dell’io". Il credente però
possiede il "contravveleno"
sicuro contro la disperazione: è la
fede, il credere che a Dio tutto è
possibile. La fede è
l’eliminazione della disperazione.
AFORISMI