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SPALLA SEZIONE 1

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Page 1: SPALLA - Doctor33 · rosità deltoidea si trova a circa un terzo della distanza tra spalla e gomito. I muscoli elevatore della scapola e romboidi grande e piccolo

SPALLA

SEZIONE 1

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Page 2: SPALLA - Doctor33 · rosità deltoidea si trova a circa un terzo della distanza tra spalla e gomito. I muscoli elevatore della scapola e romboidi grande e piccolo

Tavola 1.1 Apparato locomotore: VOLUME I

2 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

OSSA E ARTICOLAZIONI DELLA SPALLA

La funzionalità dell’arto superiore dipende considerevolmente dal

movimento correlato delle quattro articolazioni della spalla, ossia

le articolazioni gleno-omerale, acromioclavicolare, sternoclavicolare

e scapolotoracica. L’articolazione gleno-omerale presenta minime

limitazioni ossee, il che consente un ampio grado di movimento.

SCAPOLA

La formazione dei centri di ossifi cazione della scapola ha inizio

durante l’ottava settimana di vita intrauterina, ma la fusione com-

pleta non avviene prima dei vent’anni di età. L’apofi si acromiale si

sviluppa da quattro centri di ossifi cazione distinti: basi-acromion,

meta-acromion, meso-acromion e pre-acromion. Si stima che

il mancato completamento della fusione in un individuo schele-

tricamente maturo, responsabile del cosiddetto “os acromiale”,

avvenga nell’8% della popolazione e che in un terzo dei casi sia

bilaterale. L’epifi si prossimale dell’omero è formata da tre centri di

ossifi cazione primari (testa dell’omero, grande tuberosità e piccola

tuberosità) che si fondono verso i 6 anni di età. L’80% dell’accre-

scimento longitudinale dell’omero si verifi ca in corrispondenza della

epifi si prossimale, la cui chiusura avviene verso i vent’anni di età.

L’estremità superiore dell’omero è costituita da un’ampia superfi -

cie quasi sferica rivestita da cartilagine (testa), al di sotto della quale

vi è una stretta zona non cartilaginea (collo anatomico dell’omero)

alla cui periferia si trovano due tuberosità. La testa dell’omero si

articola con la superfi cie glenoidea, grande poco più di un terzo

delle dimensioni della testa. L’ampia libertà di movimento dell’ar-

ticolazione gleno-omerale comporta inevitabilmente una notevole

riduzione di stabilità.

Dei tendini della cuffi a, il sopraspinato si inserisce sulla parte

superiore della grande tuberosità, mentre il sottospinato e il piccolo

rotondo trovano inserzione nella parte posteriore della tuberosità.

Il tendine del sottoscapolare si inserisce sulla piccola tuberosità. I

quattro ventri muscolari della cuffi a dei rotatori originano dal corpo

della scapola, un osso piatto e sottile che costituisce la sede di inser-

zione di diversi muscoli importanti del cingolo scapolare. L’estremità

lateale della clavicola si articola con quella mediale dell’acromion

per formare l’articolazione acromioclavicolare.

Il muscolo deltoide ha una larga sede di inserzione che va dalla

spina della scapola, posteriormente, a tutto il bordo posteriore e

laterale all’acromion, e al terzo laterale della clavicola, anterior-

mente. Un’inserzione molto ampia, e simile a quella del deltoide,

ha il muscolo trapezio, che inferoanteriormente si attacca sul bordo

posteriore e sulla faccia superiore del terzo laterale della clavicola. La

funzione principale del trapezio è di retrarre e sollevare la scapola.

L’inserzione del deltoide sull’omero in corrispondenza della tube-

rosità deltoidea si trova a circa un terzo della distanza tra spalla e

gomito. I muscoli elevatore della scapola e romboidi grande e piccolo

si inseriscono sul margine mediale della scapola e servono per la

retrazione della scapola verso la colonna vertebrale.

Tra la faccia anteriore della scapola e la gabbia toracica (non

mostrata) si trova l’articolazione scapolotoracica, un’altra strut-

tura importante per la funzione della spalla. Oltre a contri buire

alla mobilità generale di essa, la rotazione della scapola porta

la glenoide sotto la testa dell’omero, in modo che essa possa

sostenere una parte del peso dell’arto superiore, riducendo in

questo modo la forza che deve essere generata dai muscoli

del cingolo scapolare. I processi patologici del tessuto osseo e

dei tessuti molli possono provocare una borsite, che talvolta si

manifesta con crepitii nei movimenti della scapola, realizzando

la cosiddetta “scapola a scatto”.

Incisura soprascapolare

SCAPOLA E OMERO: VEDUTA POSTERIORE

Margine superiore

Angolo superiore

Fossa sopraspinata

Spina

Collo

Fossa sottospinata

Margine mediale

Margine laterale

Angolo inferiore

Clavicola (sezionata)

Processo coracoideo

Acromion

Angolo acromiale

Incisura spinoglenoideache collega le fossesopraspinata e sottospinata

Grande tuberosità

Testa dell’omero

Collo anatomico

Collo chirurgico

Tuberosità deltoidea

Solco per il nervo radiale

Muscolo brachiale

Muscolo deltoide

Muscolo deltoide

Muscolo sopraspinato

Muscolo sottospinato

Muscolo piccolo rotondo

Muscolo tricipitebrachiale (capo laterale)

Omero

Scapola

Muscolo trapezio

Muscolo sopraspinato

Muscolo elevatoredella scapola

Muscolo piccoloromboide

Muscolo granderomboide

Muscolo sottospinato

Muscolo grande dorsale(piccola cresta di origine)

Muscolo grande rotondo

Muscolopiccolo rotondo

Muscolotricipitebrachiale(capo lungo)

Inserzioni muscolariOriginiInserzioni

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Tavola 1.2 Spalla

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 3

Il corpo della scapola presenta un’ampia concavità sulla super-

fi cie anteriore, la fossa sottoscapolare, da cui origina il muscolo

sottoscapolare. La faccia posteriore è convessa e divisa dall’apofi si

spinosa in una parte superiore, la fossa sopraspinata per il mu-

scolo sopraspinato e in una parte inferiore, la fossa sottospinata,

per il muscolo sottospinato. L’incisura soprascapolare è imme-

diatamente mediale al processo coracoideo nella parte superiore

del corpo della scapola. L’apofi si spinosa, o spina della scapola, è

un’ampia prominenza triangolare della parte posteriore dell’osso,

che si estende dal margine mediale di esso fi n quasi al processo

glenoideo. La sporgenza e lo spessore aumentano mano a mano

che la spina procede lateralmente; essa termina con un margine

concavo, all’origine del collo della scapola. L’apofi si spinosa, peraltro,

prosegue lateralmente continuandosi con l’acromion, un arco osseo

che sovrasta l’articolazione della spalla. Dalla superfi cie laterale di

esso origina il terzo posteriore e medio del muscolo deltoide.

Il processo coracoideo si proietta anteriormente e lateralmen-

te dal collo della scapola. Costituisce la sede di inserzione del

muscolo piccolo pettorale, del capo breve del bicipite brachiale,

del muscolo coracobrachiale, del legamento coracoacromiale e dei

legamenti coracoclavicolari. L’angolo laterale della scapola si allarga

a formare la glenoide, che termina con una superficie articolare

leggermente concava e piriforme, con la parte inferiore più ampia. La

superfi cie della glenoide è ampliata dal cercine (o labbro) glenoideo

che aderisce al suo bordo. Sulla parte superiore del cercine e sul

tubercolo sopraglenoideo si inserisce il tendine del capo lungo del

bicipite brachiale.

OMERO

L’omero è un osso lungo formato da una diafi si e da due estremità

articolari. Prossimalmente, la testa è all’incirca un terzo di una sfera,

con la dimensione anteroposteriore leggermente minore di quella

supero-inferiore. Il collo anatomico è il lieve infossamento situato

a margine della cartilagine articolare, su cui si inserisce la capsula

articolare. Il collo chirurgico è il restringimento appena distale alle

tuberosità, che va spesso incontro a fratture. La grande tuberosità dà

inserzione ai tendini dei muscoli sopraspinato, sottospinato e piccolo

rotondo. Sulla piccola tuberosità si inserisce il tendine del muscolo

sottoscapolare. Entrambe le tuberosità (o tubercoli) si prolungano

verso il basso con una cresta ossea: la cresta della grande tuberosità

riceve il tendine del muscolo grande pettorale mentre quella della pic-

cola tuberosità dà inserzione al tendine del muscolo grande rotondo.

Il tendine del grande dorsale si inserisce anch’esso su questa cresta

al davanti di quello del grande rotondo e si prolunga in parte sul

pavimento del solco formato dalle due creste. Questo solco prende il

nome di solco intertubercolare o di solco o doccia bicipitale, perché

in esso decorre il tendine del capo lungo del bicipite brachiale. La

diafi si dell’omero è piuttosto arrotondata nella parte superiore e

prismatica in quella inferiore. La tuberosità deltoidea è prominente

lateralmente a livello della porzione media della diafi si, la quale ha

un solco per il nervo radiale che percorre l’osso posteriormente e

gira a spirale in direzione laterale mentre discende.

OSSA E ARTICOLAZIONI DELLA SPALLA(Seguito)

Acromion

SCAPOLA E OMERO: VEDUTA ANTERIORE

Processo coracoideo Clavicola (sezionata)

Collo anatomico

Grande tuberosità

Piccola tuberosità

Collo chirurgico

Tuberosità deltoidea

Doccia bicipitale

Cresta della grandetuberosità

Cresta della piccolatuberosità

Muscolo deltoide

ScapolaOmero

Testa dell’omero

Muscolo bicipite brachiale(capo lungo)

Muscolo sopraspinato

Muscolo sottoscapolare

Muscolo coracobrachialee

Muscolo bicipite brachiale(capo breve)

Muscolosottoscapolare

Muscolo grande pettorale

Muscolo grande dorsale

Muscolo grande rotondo

Muscolo deltoide

Muscolo coracobrachiale

Margine superiore

Angolo superiore

Incisura soprascapolare

Collo

Margine mediale

Fossa sottoscapolare

Margine laterale

Angolo inferiore

Glenoide

Muscolo trapezio

Muscolo piccolo pettorale

Muscolo omoioideo

Muscolodentato anteriore

Muscolotricipitebrachiale(capo lungo)

Inserzioni muscolariOriginiInserzioniMuscolo brachiale

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Tavola 1.3 Apparato locomotore: VOLUME I

4 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

CLAVICOLA

La clavicola è il primo osso che ossifi ca nell’embrione in via di

sviluppo; tuttavia l’ossifi cazione completa non avviene prima dei

trent’anni di età. Vista dall’alto, la clavicola presenta una lieve

forma a S caratterizzata da una curva mediale più ampia, conves-

sa anteriormente, e da una curva laterale meno pronunciata e più

piccola, convessa posteriormente. I due terzi mediali dell’osso

hanno in sezione una forma quasi triangolare, mentre il terzo

laterale è appiattito. Sulla superfi cie inferiore della clavicola sono

presenti numerose prominenze ossee. Sulla superfi cie inferiore

del terzo laterale si trovano il tubercolo conoide e la linea tra-

pezoide, che corrispondono all’inserzione delle due parti del

legamento coracoclavicolare. Centralmente, il solco succlavio

riceve il muscolo succlavio. Medialmente, vi è un’impronta dove

si inserisce il legamento costoclavicolare. L’estremità sternale

dell’osso è triangolare e presenta una superficie articolare a

forma di sella di cavallo, che occupa la fossa clavicolare del

manubrio dello sterno.

L’estremità acromiale possiede una faccetta articolare ovale,

diretta lateralmente e leggermente verso il basso, per l’acromion.

La clavicola, oltre a fungere da sostegno per la spalla, per te-

nerla in una posizione più laterale, serve anche per l’inserzione di

vari muscoli. Nella parte mediale, il capo clavicolare del muscolo

grande pettorale origina anteriormente mentre lo sternoioideo po-

steriormente. Il muscolo succlavio origina dal terzo medio della

faccia inferiore. Nella parte laterale, il terzo anteriore del muscolo

deltoide origina anteriormente e una porzione del muscolo sterno-

cleidomastoideo superiormente, mentre una parte del trapezio si

inserisce posteriormente. La resezione di porzioni della clavicola di

solito è ben tollerata, purché non venga compromessa l’integrità delle

inserzioni muscolari. L’articolazione sternoclavicolare costituisce

l’unica vera articolazione tra il tronco e l’arto superiore. La rotazione

della clavicola in corrispondenza di questa articolazione favorisce il

sollevamento del braccio sopra la testa. Tra i capi ossei è interposto

un disco fi brocartilagineo articolare, che aumenta notevolmente la

mobilità articolare. La stabilità è garantita da stabilizzatori statici.

OSSA E ARTICOLAZIONI DELLA SPALLA (Seguito)

Clavicola destra

CLAVICOLA

Faccia superiore

Estremità acromialeCorpo

Faccia articolare acromiale

Posteriore

Anteriore

Estremitàsternale

Faccia inferiore

Linea trapezoide

Tubercolo conoide

Muscolo trapezio

Improntaper il legamentocostoclavicolare

Facciaarticolaresternale

Faccia superiore

Muscolo deltoide

Origini muscolariInserzioni muscolariInserzioni legamentose

Muscolosternocleido-mastoideo

Posteriore

Anteriore

Muscolo grande pettorale

Legamento costoclavicolare

Faccia inferiore

Legamentocoraco-clavicolare

Legamentotrapezoide

Legamento conoide Muscolo succlavio

Muscolo sternoioideo

Posteriore

Anteriore

Solco per il muscolo succlavio

Anteriore

Posteriore

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Tavola 1.4 Spalla

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 5

LEGAMENTI

La stabilità della spalla dipende in larga misura da numerosi stabiliz-

zatori statici. I legamenti capsulari (gleno-omerali) superiore, medio e

inferiore sono ispessimenti nella parete anteriore della capsula artico-

lare. Di fatto visibili solo sulla parte interna della capsula, si irradiano dal

margine glenoideo anteriore in vicinanza del tubercolo della scapola,

dal quale si estendono verso il basso. Le immagini artroscopiche

costituiscono il mezzo migliore per visualizzare questi legamenti.

Legamento gleno-omerale superiore Il legamento gleno-omerale superiore (LGOS) è sottile, origina subito

davanti all’inserzione del tendine del capo lungo del bicipite bra-

chiale e decorre parallelamente al tendine, fi no a giungere vicino

all’estremità superiore della piccola tuberosità dell’omero. Dalla

confl uenza del LGOS e del legamento coraco-omerale si forma

il legamento trasverso dell’omero, che stabilizza il capo lungo del

tendine del bicipite brachiale quando entra nel solco bicipitale.

Legamento gleno-omerale medio Il legamento gleno-omerale medio (LGOM) origina in prossimità

del LGOS e raggiunge la regione anteriore della piccola tuberosità

appena al di sotto dell’inserzione del muscolo sottoscapolare. È

caratterizzato da un decorso obliquo immediatamente al di sotto

dell’origine della borsa sottoscapolare. Quando presente, il lega-

mento si inserisce sul bordo glenoideo posteriormente al cercine.

Il LGOM può essere cordoniforme, sottile o persino assente. Un

legamento sottile può essere osservato nelle immagini artroscopi-

che della spalla che consentono la visualizzazione intra-articolare

di gran parte della porzione articolare del tendine del muscolo

sottoscapolare.

Legamento gleno-omerale inferiore Il legamento gleno-omerale inferiore (LGOI) origina dalla scapola,

direttamente sotto l’incisura (virgola della glenoide) nel margine

anteriore del processo glenoideo distinto in due fasci, anteriore

e posteriore, che discendono verso la parte inferiore del collo

dell’omero in corrispondenza della parte più bassa della tasca

capsulare inferiore. È possibile che i due fasci non siano ben

separati tra di loro. Il LGOI si inserisce sul cercine anteroinferiore

e posteroinferiore.

Legamento coraco-omerale Il legamento coraco-omerale, in parte continuo con la capsula artico-

lare, è un ampio fascio che origina dal margine laterale del processo

coracoideo. Appiattendosi, si congiunge alla parte superiore e po-

steriore della capsula e termina sul collo anatomico dell’omero, in

vicinanza della grande tuberosità.

Nella capsula sono presenti due aperture. L’apertura in corri-

spondenza dell’estremità superiore del solco bicipitale consente il

passaggio del tendine del capo lungo del bicipite brachiale. L’altra

OSSA E ARTICOLAZIONI DELLA SPALLA (Seguito)

Veduta anteriore

Articolazione e legamenti gleno-omerali

Acromion

Legamento coracoacromiale

Tendine del muscolosopraspinato (sezionato)Legamento coraco-omerale

Grande tuberosità e

Legamento trasverso dell’omero

Guaina del tendine bicipitale(comunica con la sinoviale)articolare

Capsula dell’articolazione acromioclavicolare(che incorpora il legamento acromioclavicolare)

Tendine del muscolo sottoscapolare (sezionato)

Tendine del muscolobicipite brachiale (capo lungo)

Clavicola

Legamentotrapezoide Legamento

coraco-clavicolareLegamento

conoide

Legamento trasversosuperiore della scapolae incisura soprascapolare

Processo coracoideo

Legamenti capsulari (gleno-omerali)

Legamento sternoclavicolare anteriore

Clavicola

Muscolosucclavio

Legamento costoclavicolare

1a costa

Cartilagini costali

2a costa

Legamento sternocostale raggiato

Articolazione e legamenti sternoclavicolari

Legamentointerclavicolare

Legamentocostoclavicolare

Sincondrosidella 1a costa

Manubrio

Articolazionesternocostale (sinoviale)

Sincondrosi manubriosternale

LEGAMENTI

Cavità articolaridell’articolazionesternoclavicolare

Disco fibrocartilagineodell’articolazionesternoclavicolare

Piccola tuberosità dell’omero

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Tavola 1.5 Apparato locomotore: VOLUME I

6 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

apertura è una via di comunicazione anteriore della cavità articolare

con la borsa sottocoracoidea. La membrana sinoviale si estende dal

margine della cavità glenoide e riveste la capsula fi no ai limiti della

cartilagine articolare dell’omero. Forma inoltre la guaina sinoviale

intertubercolare sopra il tendine bicipitale che in essa decorre.

Legamenti coracoclavicolari I legamenti coracoclavicolari originano dalla parte superiore della

base della coracoide. La porzione conoide (legamento conoide)

è più posteriore e mediale, mentre quella trapezoide (legamento

trapezoide) è più anteriore e laterale. Insieme alla capsula dell’ar-

ticolazione acromioclavicolare, evitano lo spostamento verso l’alto

della clavicola.

Legamento coracoacromiale Il legamento coracoacromiale origina dall’apice del processo co-

racoideo e si inserisce nella porzione più anteriore dell’acromion.

In corrispondenza dell’inserzione acromiale possono svilupparsi

speroni da trazione, che conferiscono all’acromion una forma più

uncinata. Questo legamento svolge un ruolo importante nella spalla

priva di cuffi a dei rotatori, in cui costituisce l’unica limitazione rima-

sta alla migrazione prossimale della testa dell’omero.

ARTICOLAZIONE STERNOCLAVICOLARE

L’articolazione sternoclavicolare costituisce l’unica vera articola-

zione tra il tronco e l’arto superiore. La rotazione della clavicola

in corrispondenza di questa articolazione consente di sollevare il

braccio sopra la testa.

Tra le superfi ci articolari si interpone un disco fi brocartilagineo,

che ne aumenta notevolmente la mobilità. La stabilità articolare è

garantita da stabilizzatori statici. La capsula articolare è piuttosto

sottile, ma è rinforzata dai legamenti capsulari. Il legamento sterno-

clavicolare è un ampio fascio anteriore di fi bre inserite sui margini

superiore e anteriore dell’estremità sternale della clavicola; la parte

inferiore è inserita sulla superfi cie antero-superiore del manubrio

dello sterno. Questo robusto fascio è rinforzato dalle inserzioni

tendinee del muscolo sternocleidomastoideo. Il legamento sterno-

clavicolare posteriore presenta un orientamento analogo sul retro

della capsula e simili inserzioni ossee. Il legamento costoclavicolare

è un fascio corto e piatto che decorre tra la cartilagine della prima

costa e la tuberosità costale della superfi cie inferiore della clavicola.

Il legamento interclavicolare rinforza la capsula superiore, passando

dalla clavicola destra a quella sinistra e aderendo anche al margine

superiore dello sterno. Il nervo sopraclavicolare anteriore fornisce

l’innervazione all’articolazione sternoclavicolare. La vascolarizzazio-

ne deriva dai rami dell’arteria toracica interna, dall’arteria toracica

superiore e dal ramo clavicolare dell’arteria toracoacromiale.

OSSA E ARTICOLAZIONI DELLA SPALLA (Seguito)

ANATOMIA ARTROSCOPICA GLENO-OMERALE

Margine superiore del tendine del muscolo sottoscapolare

Metà superiore della superficie articolare della fossa glenoidea

Intervallo dei rotatori contenente i legamenti coraco-omeralee gleno-omerale superiore

Superficie articolare della testa dell’omero

Margine anteriore del tendine sopraspinato che forma la carrucola lateraleper la parete mediale della doccia bicipitale

Tendine del capo lungo del bicipite (tendine bicipitale)

Confluenza dei legamenti gleno-omerale superiore e coraco-omeraleper formare la carrucola della parete mediale della doccia bicipitale

Superficie articolare della testa dell’omero

Crescent del tendine sopraspinato circondato dal cable del tendine

Tendine del capo lungo del bicipite

Inserzione del tendine del capo lungodel bicipite sul cercine glenoideo superiorea livello del tubercolo glenoideo superiore

Limiti anteriore e posteriore del cercine glenoideo superiore. Le patologiedi questa porzione del cercine tra i due punti indicati sono definite lesioni “SLAP”

Questa regione anatomica costituisce il complesso cercine superiore-tendine del bicipite e rappresenta una sede frequente di patologiedella spalla, per quanto concerne lesioni degenerative e traumatiche di questi tessuti.

Margine superiore del tendine del sottoscapolare. Nella popolazione normalevi è un’ampia variabilità nell’inserzione del legamento gleno-omerale medio.Il sottile tessuto sopra il tendine è il legamento gleno-omerale medio,che è quasi translucido in questo esempio. Questo tessuto può essere,in altri pazienti, un legamento molto spesso e robusto

Punto medio della superficie articolare glenoidea anteriore, in cui questa cambia.La dimensione mediolaterale della concavità forma una curva, denominata “virgola della glenoide”,visibile anche come una C lungo la superficie articolare della glenoide

Fascio anterosuperiore del legamento gleno-omerale inferioreche si inserisce sul cercine glenoideo anteroinferiore

Superficie articolare della porzione media della testa dell’omero

Cercine glenoideo inferiore

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Tavola 1.6 Spalla

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 7

ARTICOLAZIONE GLENO-OMERALE

A causa della mancanza di limitazioni ossee, l’articolazione

gleno-omerale è circondata da stabilizzatori statici e dinamici.

L’esame artroscopico di queste strutture risulta fondamentale per

identifi care in modo accurato una condizione patologica in una spalla

sintomatica. Le strutture anatomiche e il loro rapporto possono es-

sere visualizzati mediante l’artroscopia dell’articolazione (Tavole 1.5

e 1.6). Il capo lungo del bicipite deve essere osservato lungo l’intero

decorso intra-articolare. È necessario valutare l’integrità dell’ancora

bicipitale, così come la stabilità della banda fi brosa trasversale in

corrispondenza della parte superiore del solco bicipitale. Occorre

esaminare il perimetro dell’inserzione del cercine glenoideo, anche

se un foro sottolabbrale nel quadrante anterosuperiore può rap-

presentare una variante normale. Il cercine inserito sulla glenoide

è visibile nelle immagini artroscopiche e nei disegni. La condizione

della cartilagine articolare della glenoide e della testa dell’omero può

essere valutata e le alterazioni classifi cate basandosi sul suo aspetto

all’esame artroscopico. Le alterazioni di grado 1 corrispondono al

rammollimento della cartilagine senza perdita dell’aspetto liscio

della superfi cie cartilaginea. Quelle di grado 2 consistono nella

perdita della levigatezza e lucentezza della superfi cie cartilaginea,

OSSA E ARTICOLAZIONI DELLA SPALLA (Seguito)

che assume un aspetto rugoso, ma senza perdita di spessore. Il

grado 3 è caratterizzato da perdita di spessore e/o fi ssurazione della

cartilagine, che assume un aspetto vellutato quando l’alterazione è

lieve e sfi lacciato quando è grave. Il grado 4 è caratterizzato dalla

perdita completa di cartilagine fi no all’osso subcondrale. Occorre

visualizzare lo sfondato ascellare, perché vi si possono trovare talora

corpi liberi endoarticolari.

Devono essere valutate le sedi di inserzione dei quattro tendini della

cuffi a dei rotatori. Superiormente l’inserzione è adiacente al margine

articolare, mentre posteriormente è presente un’area nuda di osso

tra la cartilagine articolare e l’inserzione del sottospinato e del piccolo

rotondo. Il tendine del sottoscapolare è posizionato anteriormente e, in

presenza di un legamento gleno-omerale medio ben defi nito, la com-

pleta visualizzazione della sua inserzione può risultare diffi coltosa. La

sublussazione mediale del tendine del capo lungo del bicipite dal centro

del solco bicipitale è un segno di compromissione dell’inserzione del

muscolo sottoscapolare o di lesione della parte mediale della puleggia

e dei tessuti molli della parete del solco bicipitale.

ANATOMIA ARTROSCOPICA GLENO-OMERALE (SEGUITO)

Porzione più inferiore della testa dell’omero. Tra la testa dell’omeroe il bordo glenoideo vi è la tasca capsulare inferiore contenenteil legamento gleno-omerale inferiore

Cercine glenoideo inferiore in posizione ore 6

Cable

Crescent

Faccia posterosuperiore della testa dell’omero

Tendine del capo lungo del bicipite

Tendine sottospinato appena posteriore al cable posteriore del sopraspinato

Superficie articolare della testa dell’omero

Inserzione del tutto posteriore della cuffia dei rotatori

Area nuda della testa dell’omero

La variazione di colore della porzione posteriore della testa dell’omero, vicino all’inserzione del tutto posteriore della cuffiadei rotatori, corrisponde alla porzione superiore dell’area nuda della testa dell’omero, che è normalmente priva di cartilagine articolare.

La porzione del tutto posteriore dell’articolazione gleno-omerale mostra la parte più posteriore della superficie articolare della testadell’omero e l’inserzione più posteriore della cuffia dei rotatori, tra le quali si trova l’area nuda della testa dell’omero, in cui questanon è ricoperta da cartilagine articolare. Tutti i solchi nell’area nuda rappresentano i residui dei canali vascolari dei vasi dell’epifisiche erano presenti durante lo sviluppo, precedentemente alla chiusura della cartilagine di accrescimento. La vascolarizzazionedell’epifisi della testa dell’omero deriva da questi vasi. Dopo la chiusura della cartilagine di accrescimento, essi decorronointernamente, lasciando i canali vascolari vuoti, e l’epifisi viene vascolarizzata dai vasi metafisari che passano sopra l’area di chiusuradella cartilagine di accrescimento. La testa dell’omero è altresì vascolarizzata dal vaso terminale di Laing, dal ramo ascendentedell’arteria circonflessa anteriore dell’omero e dall’arteria circonflessa posteriore dell’omero (Tavola 1.16).

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Tavola 1.7 Apparato locomotore: VOLUME I

8 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

MUSCOLI DELLA SPALLA

MUSCOLO DELTOIDE

Il muscolo deltoide è triangolare, con un’origine semicircolare lungo

il terzo laterale della clavicola, il margine laterale dell’acromion e

il labbro inferiore della cresta della spina della scapola. Tutti i fasci

convergono per inserirsi sulla tuberosità deltoidea dell’omero. Il mu-

scolo è il principale responsabile dell’abduzione dell’omero, azione

prodotta soprattutto dalla sua potente porzione centrale. A causa

della posizione e della maggiore lunghezza delle fi bre, le porzioni

clavicolare e scapolare eseguono azioni diverse rispetto alla por-

zione muscolare centrale. La porzione clavicolare contribuisce alla

fl essione e all’intrarotazione del braccio, mentre quella scapolare

partecipa all’estensione e all’extrarotazione. Il nervo ascellare (C5,

C6) della corda posteriore del plesso brachiale innerva il deltoide. Un

ramo superiore si curva attorno alla superfi cie posteriore dell’omero

e decorre da dietro in avanti sulla superfi cie profonda del muscolo,

diramandosi all’interno di esso. Un ramo inferiore innerva il muscolo

piccolo rotondo, risalendo sulla sua faccia laterale e superfi ciale.

Diviene quindi il nervo cutaneo brachiale laterale superiore. Il muscolo

è vascolarizzato dall’arteria circonfl essa posteriore dell’omero

MUSCOLO PETTORALE

Il muscolo grande pettorale origina dalla metà mediale della clavicola,

sulla sua superfi cie anteriore, e dalla superfi cie anteriore del manubrio

e del corpo dello sterno. Ulteriori fasci originano dalle cartilagini della

seconda, terza, quarta, quinta e sesta costa, oltre che dall’aponeurosi

anteriore della guaina del muscolo retto dell’addome. Le fi bre mu-

scolari convergono per inserirsi sulla cresta immediatamente distale

alla grande tuberosità, lateralmente al solco bicipitale. La parte di-

stale ruota su se stessa e termina in un tendine bilaminare a forma

di U con una curva nella parte distale. Pertanto, le fi bre di origine

clavicolare formano la lamina superfi ciale della struttura tendinea,

le fi bre addominali e sternali inferiori si estendono fi no alla parte

più alta dell’arto formando la lamina profonda posteriore e le fi bre

sternali superiori confl uiscono nella lamina superfi ciale, nella piega e

nella parte più bassa della lamina profonda e nell’intervallo tra le due

lamine. Il grande pettorale è deputato alla fl essione e all’adduzione

dell’omero; può inoltre determinare l’intrarotazione del braccio, ma

di solito solo quando questo movimento è contrastato. La porzione

clavicolare del muscolo consente di sollevare la spalla e di fl ettere il

braccio, mentre la porzione sternocostale porta la spalla verso il basso.

Acromion

Triangolo deltoideopettorale

Muscolo deltoide

Vena cefalica

Muscolo dentato anteriore

Muscolo grande dorsale

Muscolo obliquo esterno

Muscolo bicipitebrachiale

Capo breve

Capo lungo

6a cartilagine costale

Sterno

Clavicola

Capo clavicolare

Capo sternocostale

Fascio addominale

Muscolograndepettorale

Muscolo trapezio

Muscolo sternocleidomastoideo

MUSCOLI ANTERIORI DELLA SPALLA

Articolazione acromioclavicolare

Articolazione sternoclavicolare

Muscolo deltoide

Acromion

Vena cefalica

Muscolo dentato anteriore

Muscolo grande dorsale

Capo sternale

Muscolo grande pettoraleCapo clavicolare

Sfondato ascellare anteriore(m. grande pettorale)

Sfondato ascellare posteriore(m. grande dorsale)

Ascella

Muscolo tricipite brachiale

Muscolo bicipite brachiale

Clavicola

Muscolo sternocleidomastoideoCapo sternale

Capo clavicolare

Muscolo omoioideo e strato della fasciacervicale profonda che lo riveste

Ramo deltoideodell’arteria toracoacromiale

Muscolo tricipite brachiale(capo laterale)

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Tavola 1.8 Spalla

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 9

Il grande pettorale è innervato dai nervi pettorali laterale e mediale

provenienti dalle corde laterale e mediale del plesso brachiale, con

coinvolgimento di tutti i nervi spinali (da C5 a T1). I rami pettorali

dell’arteria toracoacromiale accompagnano i rami nervosi.

Il triangolo deltoideopettorale è uno spazio tra le fi bre prossimali,

tra loro adiacenti, del deltoide e del grande pettorale, situato subito

al di sotto della clavicola. Distalmente, la separazione di queste fi bre

è dovuta alla vena cefalica e al ramo deltoideo dell’arteria toracoa-

cromiale. Il muscolo piccolo pettorale origina dalla faccia anteriore di

terza, quarta e quinta costa in prossimità delle loro cartilagini costali

e presenta spesso una porzione aggiuntiva dalla seconda costa.

Le fi bre muscolari convergono per inserirsi sul margine mediale e

sulla faccia superiore del processo coracoideo. Il piccolo pettorale

porta la scapola in avanti, medialmente e con forza verso il basso.

A scapola fi ssata, il muscolo contribuisce all’inspirazione forzata. Il

piccolo pettorale è innervato dal nervo pettorale mediale (C8, T1),

che lo penetra completamente per passare, attraverso lo spazio

interpettorale, nel muscolo grande pettorale. Il nervo è accompa-

gnato dai rami pettorali dell’arteria toracoacromiale. Profondamente

al tendine del piccolo pettorale passano l’arteria ascellare e le corde

del plesso brachiale.

MUSCOLO DENTATO

Il muscolo dentato anteriore origina lateralmente dalle prime otto

coste. Le fi bre muscolari convergono per inserirsi sulla superfi cie

profonda del margine laterale del corpo della scapola. La con-

trazione del muscolo porta anteriormente la scapola e contribuisce

alla sua rotazione verso l’alto.

L’ipotonia muscolare determina la scapola alata (Tavole 1.20

e 1.52). L’innervazione è fornita dal nervo toracico lungo (da C5

a C8), che può essere lesionato facilmente durante la dissezione

dei linfonodi ascellari.

La vascolarizzazione avviene principalmente attraverso l’arteria

toracica laterale.

MUSCOLI DELLA SPALLA (Seguito)

MUSCOLI ANTERIORI DELLA SPALLA: SEZIONI TRASVERSALI

Arteria e vena ascellari

Muscolo deltoide

Muscolo sopraspinato

Muscolo trapezio

Acromion

Muscolo grande dorsale

Tendine del bicipite, capo lungo

Complesso cercine glenoideo-bicipite

Arteria, vena e nervo soprascapolari

Incisura soprascapolare

Recesso sottolabbrale

Capo breve del muscolo bicipitee muscolo coracobrachiale

Legamento trasverso superiore della scapola

Arteria e nervo circonflessi posteriori dell’omero

Legamento acromioclavicolare

Glenoide

Liquido sinoviale

Capsula articolare

Muscolo sottoscapolare

Capsula articolare

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Tavola 1.9 Apparato locomotore: VOLUME I

10 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

MUSCOLO SUCCLAVIO

Il succlavio è un piccolo muscolo di forma cilindrica che origina alla

giunzione tra la prima costa e la sua cartilagine. Decorre parallela-

mente alla faccia inferiore della clavicola e si inserisce in un solco

presente su questa faccia, tra le inserzioni del legamento conoide la-

teralmente e del legamento costoclavicolare medialmente. Mediante

la trazione esercitata sulla clavicola, il muscolo contribuisce a portare

la spalla in avanti e in basso. Il nervo per il muscolo succlavio è un

ramo del tronco superiore del plesso brachiale, con fi bre provenienti

dal V nervo cervicale, che raggiunge il margine posterosuperiore del

muscolo. Al muscolo giunge un piccolo ramo clavicolare dell’arteria

toracoacromiale.

MUSCOLO TRAPEZIO

Il muscolo trapezio è costituito da tre parti, superiore, media

e inferiore, e ha un’ampia origine che va dalla protuberanza

occipitale superiormente, all’apofi si spinosa della vertebra T12

inferiormente.

Da queste inserzioni procede verso il margine posteriore del

terzo laterale della clavicola, il margine mediale dell’acromion e

il margine superiore dell’apofi si spinosa della scapola. Le por-

zioni superiore e inferiore, per il loro orientamento, permettono

la rotazione della scapola in modo che la glenoide sia rivolta

verso l’alto, consentendo in tal modo il completo sollevamento

della spalla. La porzione media serve per la retrazione della

scapola. Quando il trapezio non è funzionale, la scapola si sposta

lateralmente a causa dell’azione non contrastata del muscolo

dentato anteriore (si veda Tavola 1.52). I nervi che raggiungono

il trapezio sono il nervo accessorio spinale (XI nervo cranico) e

le diramazioni dirette dei rami ventrali di II, III e IV nervo cranico.

Il nervo accessorio perfora il muscolo sternocleidomastoideo,

quindi attraversa il triangolo posteriore del collo direttamente

sotto il suo rivestimento fasciale, decorrendo diagonalmente ver-

so il basso per raggiungere il lato inferiore del muscolo trapezio.

Il trapezio è vascolarizzato principalmente dall’arteria cervicale

trasversa del sistema succlavio; alla vascolarizzazione del terzo

inferiore contribuisce un ramo dell’arteria scapolare dorsale che

perfora il muscolo.

MUSCOLI DELLA SPALLA (Seguito)

MUSCOLI POSTERIORI DELLA SPALLA

Muscolo trapezioSpina della scapola

Muscolo deltoide

Muscolo sottospinato

Muscolo grande rotondo Angolo inferiore della scapola

Margine mediale della scapola

Spina della scapola

Muscolo deltoide

Triangolo di auscultazione

Processo spinoso della vertebra C7

Muscolo elevatore della scapola

Muscolo piccolo romboide

Muscolo grande romboide

Acromion

Muscolo sopraspinato

Spina della scapola

Muscolo sottospinato

Muscolo piccolo rotondo

Muscolo grande rotondo

Muscolo grande dorsale

Capo lungo

Capo laterale

Processo spinoso della vertebra T12

del muscolotricipite brachiale

Muscolo trapezio

Muscolo deltoide

Fascia sottospinata

Triangolo di auscultazione

Veduta posteriore: strato superficiale Veduta posteriore: strato più profondo

TendineCapo laterale

Muscolo tricipite brachialeCapo lungo

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Tavola 1.10 Spalla

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 11

MUSCOLO ELEVATORE DELLA SCAPOLA

Questo muscolo origina dai processi trasversi delle prime tre o

quattro vertebre cervicali. Si inserisce nel margine mediale della

scapola dall’angolo superiore fi no al processo spinoso. È sovra-

stato e parzialmente coperto dai muscoli sternocleidomastoideo e

trapezio. È deputato al sollevamento e all’adduzione della scapola.

L’innervazione è fornita dal nervo scapolare dorsale (da C3 a C5) e

la vascolarizzazione deriva dall’arteria scapolare dorsale.

MUSCOLI ROMBOIDI

Il muscolo piccolo romboide origina dalla parte inferiore del legamento

nucale e dai processi spinosi di C7-T1. È diretto verso il basso e late-

ralmente, in posizione parallela rispetto al muscolo grande romboide

e si inserisce sul margine mediale della scapola in corrispondenza

della base della spina scapolare. Il muscolo grande romboide origina

dai processi spinosi di T2-T5 e si inserisce sul margine mediale della

scapola al di sotto della spina. I due muscoli portano la scapola verso

l’alto e in direzione mediale, e supportano il muscolo dentato anteriore

nel tenerla salda alla gabbia toracica. La trazione obliqua aiuta ad

abbassare l’altezza della spalla. L’innervazione e la vascolarizzazione

avvengono come per il muscolo elevatore della scapola.

MUSCOLO GRANDE DORSALE

Il muscolo grande dorsale origina dalle vertebre toraciche inferiori,

dalla fascia toracolombare, dalla cresta iliaca e dalle ultime

tre-quattro coste. Esso si inserisce sul pavimento del solco inter-

tubercolare dell’omero.

La contrazione di questo muscolo rende possibile l’estensione

dell’omero, portando il braccio verso il basso e all’indietro, e ruo-

tandolo internamente.

Il muscolo è innervato dal nervo toracodorsale che origina dalla corda

posteriore del plesso brachiale, con fi bre dal VII e VIII nervo cervicale.

L’arteria toracodorsale, un ramo dell’arteria sottoscapolare e una

vena omonima accompagnano il nervo.

MUSCOLI DELLA SPALLA (Seguito)

MUSCOLI POSTERIORI DELLA SPALLA: SEZIONI TRASVERSALI

Arteria circonflessaanteriore dell’omero

Muscolo deltoide

Muscolo deltoide

Acromion

Muscolo tricipite, capo lungo

Muscolo piccolo rotondo

Muscoli grande dorsale e grande rotondo

Nervo ascellare

Diafisi omerale

Testa dell’omero

Muscolo bicipite, capo brevee muscolo coracobrachiale

Capsula articolare

Muscolo sottospinato

Cercine

Arteria e vena circonflesse posteriori dell’omero

Glenoide

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Tavola 1.11 Apparato locomotore: VOLUME I

12 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

MUSCOLI DELLA SPALLA E DEL BRACCIO

CUFFIA DEI ROTATORI

La funzione principale delle quattro unità muscolotendinee che

costituiscono la cuffi a dei rotatori consiste nel mantenere adesa

la testa dell’omero alla glenoide in modo da fornire un fulcro per la

rotazione del braccio. È a questa azione congiunta che si deve

la possibilità per ciascun muscolo dell’articolazione scapolo-omerale

di svolgere anche una funzione specifi ca.

Muscolo sopraspinato Il muscolo sopraspinato occupa gran parte della fossa sopra-

spinata della scapola, originando dai due terzi mediali di essa.

Il tendine si congiunge intimamente con la capsula dell’artico-

lazione della spalla e si inserisce sulla più alta delle tre faccette

della grande tuberosità dell’omero. Il muscolo sopraspinato aiuta

il deltoide nei primi 90° di fl essione in avanti e abduzione del

braccio. Lacerazioni parziali o a tutto spessore di questo tendine

non sono rare e possono essere ben tollerate se gli altri tendini

della cuffi a, rimasti integri, possono compensarne la funzione. Ciò

è particolarmente vero in caso di interessamento della porzione

cosiddetta crescent (semilunare) del tendine sopraspinato piuttosto

che della porzione defi nita cable (ispessimento mediale) (Tavole 1.6

e 1.42). Le rotture che coinvolgono la porzione più anteriore del

tendine sopraspinato e, in particolare, la porzione cable anteriore

determinano ipotonia muscolare, retrazione tendinea e atrofi a

muscolare maggiori rispetto alle lacerazioni limitate alla porzione

crescent centrale del tendine. Ampie rotture, di un altro tendine,

oltre al sopraspinato, possono provocare la migrazione pros-

simale della testa dell’omero, dovuta all’azione non contrastata

del deltoide. Il muscolo sopraspinato è innervato dal nervo sopra-

scapolare (C5, C6), che origina dal tronco superiore del plesso

brachiale. Il nervo può rimanere intrappolato quando entra nella

fossa sopraspinata attraverso l’incisura scapolare, dove passa al

di sotto del legamento trasverso superiore della scapola. L’arteria

soprascapolare accompagna il nervo, ma decorre al di sopra del

legamento trasverso della scapola.

Muscolo sottospinato Il sottospinato origina dalla fossa sottospinata della scapola e si

inserisce sulla faccetta media della grande tuberosità dell’ome-

ro. In profondità, le sue fi bre aderiscono a quelle della capsula

dell’articolazione della spalla.

Questo muscolo è deputato all’extrarotazione del braccio. Una

marcata ipotonia è dimostrata dal “lag sign” per l’extrarotazione,

in cui il paziente non è in grado di mantenere l’extrarotazione

attiva del braccio (Tavola 1.40). Il nervo e l’arteria soprascapolari

proseguono attraverso l’incisura spinoglenoidea, dopo essersi

MUSCOLI DELLA CUFFIA DEI ROTATORI

Acromion

Tendine del muscolo piccolo rotondo

Tendine del muscolo sottospinato

Tendine del muscolo sopraspinato

Articolazione acromioclavicolare

Legamento coracoacromiale

Tendine del muscolo sottoscapolare

Processo coracoideoLegamento trapezoideLegamento conoide

Legamentocoracoclavicolare

Veduta superiore

Muscolo sottospinato

Spina della scapolaMuscolo sopraspinato

ClavicolaMargine superiore della scapola

Muscolo sottoscapolare

Veduta anteriore

Muscolo deltoide (ribaltato)

Muscolo sopraspinato

Borsa sottodeltoidea fusacon la borsa sottoacromiale

Muscolo sottoscapolare

Legamento capsulare

Borsa sottodeltoideaTendine sopraspinato

Legamento capsulareMembrana sinoviale

AcromionArticolazioneacromio-clavicolare

Sezione coronaleattraverso l’articolazione

Recesso ascellare

Cavitàglenoidedella scapola

Muscolodeltoide

Cercineglenoideo

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Tavola 1.12 Spalla

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 13

diramati al sopraspinato. In quest’area, insieme a lacerazioni del

cercine glenoideo è possibile osservare cisti articolari che possono

comprimere il nervo (Tavola 1.51).

Muscolo piccolo rotondo Questo muscolo origina dai due terzi superiori del margine ascellare

della scapola. Il suo tendine decorre in alto e lateralmente per inserirsi

sulla faccetta inferiore della grande tuberosità e sul collo chirurgico

dell’omero. Anch’esso aderisce con la faccia profonda alla capsula

articolare della spalla. Il muscolo è avvolto dalla fascia sottospinata

e, talvolta, non è separabile dal muscolo sottospinato. Il piccolo

rotondo si contrae con il sottospinato per partecipare all’extrarota-

zione dell’omero. Un ramo del nervo ascellare risale sul suo margine

laterale a circa metà della sua lunghezza. Il capo lungo del tricipite

brachiale, il nervo ascellare e i vasi circonfl essi posteriori dell’omero

separano il piccolo rotondo dal grande rotondo. È perforato da rami

dei vasi circonfl essi scapolari lungo il margine ascellare della scapola.

Muscolo sottoscapolare Il muscolo sottoscapolare origina dai due terzi mediali della fossa

sottoscapolare situata sulla faccia del corpo della scapola. Il tendine

decorre lungo la superfi cie anteriore della capsula dell’articolazione

della spalla e termina nella piccola tuberosità dell’omero; è separato

dal collo della scapola dall’ampia borsa sottoscapolare. Questo

muscolo è il principale responsabile dell’intrarotazione del braccio,

ma contribuisce altresì all’adduzione. È stato dimostrato che la

metà superiore del sottoscapolare possiede oltre il 70% delle

fi bre muscolari e della tensione e resistenza dell’intero muscolo.

Ne consegue che le lesioni che interessano la porzione superiore

del tendine del sottoscapolare sono associate a una maggiore

disabilità rispetto a quelle della metà inferiore. La disfunzione del

muscolo sottoscapolare, e la conseguente ipotonia, può essere

ben valutata mediante il test di compressione addominale e il lift

off test per l’intrarotazione (Tavola 1.43). Il muscolo è innervato dai

nervi sottoscapolari superiore e inferiore che penetrano dalla sua

faccia costale.

MUSCOLI DELLA SPALLA E DEL BRACCIO (Seguito)

MUSCOLI DELLA CUFFIA DEI ROTATORI: SEZIONI TRASVERSALI

Tendine del muscolo sottoscapolare

Tendine del muscolo sopraspinato

Arteria e nervo soprascapolari

Muscolo deltoide

Vena cefalica

Arteria e venaascellari

Bicipite brachiale e muscolo coracobrachialeCoracoide

Tendine del bicipite, capo lungo

Muscolo sottoscapolare Muscolo sottospinato

GlenoideLegamentogleno-omerale medio

Cercine anteriore

Foro sottolabbrale

Cercine posteriore

Cartilagine articolare

Testa dell’omero

Muscolo grande pettorale

Veduta sagittaleVeduta assiale

Muscolo piccolo pettorale

Acromion

Muscolopiccolo rotondo

Muscolo bicipite, capo breve

Diafisi omerale

Muscolo tricipite,capo laterale

Muscolo grande pettorale

Tendine del bicipite, capo lungo

Muscolo deltoideMuscolo deltoide

Ramo acromiale dell’arteria toracoacromiale

Vena cefalica

Muscolo sottospinato

Cartilagine articolare

Muscolo sopraspinato

Testa dell’omero

Legamento acromioclavicolaree capsula articolare

Tendine del muscolo sottoscapolare

Intervallo dei rotatori

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Tavola 1.13 Apparato locomotore: VOLUME I

14 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

RAPPORTI NERVEOVASCOLARI

L’anatomia del plesso brachiale e il suo rapporto con l’osso e con

le strutture muscolari circostanti sono variabili. I rapporti anatomici

più comuni del plesso brachiale sono mostrati nella Tavola 1.13.

Il plesso brachiale si forma dall’unione dei rami anteriori dei nervi

spinali C5, C6, C7, C8 e T1, benché possano esservi contributi

variabili da C4 e T2. Le radici si uniscono a formare i tronchi che,

insieme all’arteria succlavia, escono dalla colonna cervicale tra

i muscoli scaleni anteriore e medio. A questo livello, il plesso si

trova in posizione posteriore e superiore rispetto all’arteria, per via

dell’inclinazione inferiore della prima costa. I nervi periferici del

plesso sono responsabili della funzione dei nervi motori e sensitivi

in tutta la muscolatura della scapola (eccetto il muscolo trapezio,

che è innervato dal nervo accessorio spinale) e del resto dell’arto

superiore.

Di solito si esegue l’iniezione interscalenica di un anestetico

locale per gli interventi chirurgici all’arto superiore. La dispersione

del farmaco è minima all’esterno dell’area circostante i nervi, in

quanto questi si collocano nella fascia prevertebrale, quando de-

corrono tra i muscoli scaleni. Il plesso brachiale passa attraverso i

muscoli scaleni, sopra la prima costa, e sotto la clavicola e il piccolo

pettorale, prima di entrare nell’ascella. In tutte queste sedi può

verifi carsi, per patologie congenite o acquisite, una compressione

delle strutture nerveovascolari che determina sintomi vascolari o

neurovascolari; ciò si verifi ca, in particolare, quando si usa il braccio

al di sopra del livello della spalla o nel caso di movimenti ripetuti

in una qualsiasi posizione del braccio. Questi sintomi si osservano

nella sindrome dello stretto toracico.

Tendine del muscolo piccolo pettorale (sezionato)

Processo coracoideo

Vena cefalica

Arteria circonflessa anteriore dell’omero

Muscolo deltoide

Muscolo bicipite brachiale

Nervo muscolocutaneo

Arteria brachialeprofonda

Muscolo brachiale

Arteria toracoacromiale

DISSEZIONE DELL’ASCELLA: VEDUTA ANTERIORE

Ramo acromialeRamo deltoideo

Ramo clavicolareRamo pettorale

Arteria ascellare

Clavicolae muscolosucclavio(sezionati)

Arteria e nervo soprascapolari

Arteria e nervo scapolari dorsali

Arteria trasversa del collo

Muscolo scaleno anteriore

Muscolo trapezio

Acromion

Nervo muscolocutaneo

Muscolo coracobrachiale

Muscolo grande pettorale (sezionato)

Nervo ascellare e arteria circonflessaposteriore dell’omero

Muscolo sternocleidomastoideo

Nervo frenico

Muscolo omoioideo

Nervo radiale

Muscolo tricipite brachiale

Vene brachialiNervo ulnare

Nervo mediano

Arteria brachiale

Nervo cutaneo mediale dell’avambraccioVena basilica

Nervo ulnareNervo cutaneomediale del braccio

Nervo intercosto-brachialeArteria circonflessadella scapola

Nervo sottoscapolareinferiore

Muscolo grande rotondo

Arteria sottoscapolare

Muscolo grande dorsaleArteria e nervo toracodorsaliNervo sottoscapolare superiore

Muscolo dentato anterioreArteria toracica laterale e nervo toracico lungo

Nervo toracico lungo

Nervo pettoralemediale

Ansa pettorale

Nervo pettoralelaterale

Arteria toracicasuperiore

Plesso brachiale

1a costa

Arteria e venasucclavie

Piccolo pettorale (sezionato)

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Tavola 1.14 Spalla

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 15

Il plesso si divide in corde in corrispondenza della clavicola o prima di

passare sotto di essa. A seconda della loro posizione rispetto all’arteria

ascellare, le corde sono denominate: laterale, posteriore e mediale.

Dalla sede di formazione dei rami terminali, i nervi mediano, ulnare e

radiale proseguono con l’arteria nel braccio. Una lesione o un intrap-

RAPPORTI NERVEOVASCOLARI (Seguito)

polamento di questi nervi periferici può determinare sintomi di defi cit

sensitivi o motori in base all’area di innervazione del nervo coinvolto.

È fondamentale conoscere la transizione delle strutture nerveova-

scolari posteriori dalla loro origine anteriore. La divergenza dei muscoli

piccolo rotondo e grande rotondo genera lateralmente una lunga

apertura triangolare orizzontale (Tavola 1.15). Il triangolo è bisecato

verticalmente dal capo lungo del muscolo tricipite brachiale ed è

chiuso lateralmente dalla diafi si dell’omero. Si formano così un piccolo

spazio triangolare situato medialmente al capo lungo del tricipite

brachiale, in cui i vasi circonfl essi scapolari si curvano sul dorso della

scapola, e uno spazio quadrangolare situato lateralmente al muscolo

tricipite brachiale (Tavola 1.17). Il secondo spazio è delimitato dai

muscoli rotondi piccolo e grande superiormente e inferiormente,

dal tricipite brachiale medialmente e dall’omero lateralmente. Nello

spazio quadrangolare, il nervo ascellare e i vasi circonfl essi poste-

riori dell’omero decorrono intorno alla diafi si omerale. Distalmente,

l’intervallo triangolare (talvolta defi nito “spazio triangolare laterale o

inferiore”), attraversato dal nervo radiale, è delimitato dal muscolo

grande rotondo prossimalmente, dal capo lungo del tricipite brachiale

medialmente e dalla diafi si dell’omero lateralmente.

Tronchi brachiali Superiore Medio Inferiore

Nervo radiale (spostato lateralmente)

Muscolo coracobrachiale

Muscolo bicipite brachiale Tendine del capo lungo Muscolo e tendine del capo breve (sezionati)

Muscolo grande pettorale (sezionato)

Nervo ascellare

Muscolograndepettorale(sezionato)

Muscolo obliquo esterno

Muscolo e tendinecoracobrachiale(sezionati)

Muscolopiccolopettorale(sezionato)

Muscolo deltoide

ASCELLA: PARETE POSTERIORE

Processo coracoideo e muscolo piccolo pettorale(tendine, sezionato)

Corda posteriore

Legamento trasverso superiore della scapola

Muscolo sopraspinato

Clavicola e muscolo succlavio

Muscolo trapezio

Muscolo sternocleidomastoideo

Muscolo piccolo rotondo

Muscolo grande dorsale

Muscolo grande rotondo

Nervo sottoscapolare superiore

Nervo toracodorsale

Nervo sottoscapolare inferiore

Muscolo sottoscapolare

Muscolo dentato anteriore

Muscolo bicipite brachiale(sezionato) Capo lungo Capo breve

Muscolo tricipite brachiale Capo mediale Capo lungo

Rami del nervo ascellare Nervo cutaneo laterale superiore del braccio

Ramo posteriore

Ramo anteriore

Ramo per il muscolo piccolo rotondo

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Tavola 1.15 Apparato locomotore: VOLUME I

16 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

ASCELLA

L’ascella è uno spazio situato in corrispondenza della giunzione di

arto superiore, torace e collo. Ha la forma di una piramide tronca

e funge da passaggio per i nervi, i vasi sanguigni e i vasi linfatici

verso l’arto o da questo verso il centro.

La base è costituita dalla concavità ascellare, in quanto il pavi-

mento vero e proprio è la fascia ascellare.

La parete anteriore è formata dai due piani dei muscoli pettorali

e dalle fasce pettorale e clavi-pettorale associate.

Il margine laterale del muscolo grande pettorale forma lo sfondato

ascellare anteriore. La parete posteriore dell’ascella è costituita

dalla scapola, dalla muscolatura scapolare e dalle fasce associate.

I componenti inferiori di questo gruppo, insieme al tendine del

grande dorsale, formano lo sfondato ascellare posteriore. La gabbia

toracica, ricoperta dal muscolo dentato anteriore e dalla sua fascia,

forma la parete mediale.

La parete laterale è formata dalla convergenza dei tendini

della muscolatura anteriore e posteriore del cavo ascellare

sulla cresta della grande tuberosità, sul solco intertubercola-

re e sulla cresta della piccola tuberosità dell’omero. L’apice

dell’ascella è formato dalla convergenza degli elementi ossei

delle tre pareti principali: la clavicola, la scapola e la prima

costa.

RAPPORTI NERVEOVASCOLARI (Seguito)

Muscolo omoioideo

Clavicola

Muscolo succlavio e sua fascia

Legamento costocoracoideo

Arteria toracoacromiale e vena cefalica

Membrana costocoracoidea

Nervo pettorale laterale

Arteria e vena ascellari

Muscolo grande pettorale e sua fascia

Muscolo piccolo pettorale e sua fascia

Nervo pettorale mediale

Legamento sospensore dell’ascella

Fascia ascellare (fenestrata)

Sezione obliqua parasagittale dell’ascella

Muscolo trapezio

Plesso brachialeCorda lateraleCorda posterioreCorda mediale

Muscolo sopraspinato

ScapolaSpinaCorpo

Muscolo sottospinato

Muscolo sottoscapolare

Muscolo piccolo rotondo

Muscolo grande rotondo

Muscolo grande dorsale

Linfonodi ascellari

Centrali

Pettorali(o anteriori)

Nervo soprascapolare (C5, C6)

Nervo scapolare dorsale (C5)

Nervo sottoscapolare inferiore (C5, C6)

Nervo ascellare (C5, C6) (nello spazio quadrangolare)

Nervocutaneolateralesuperioredel braccio

Muscolo sopraspinato

Muscolodeltoide

Muscolo elevatore della scapola

Muscolo grande romboideMuscolo piccolo romboide

Muscolo sottospinatoMuscolo grande rotondo

Muscolo piccolo rotondo

Nervo radiale (C5, C6, C7, C8, T1) (nell’intervallo triangolare)Contributo incostante

Legamento coracoacromiale

Processo coracoideoArteria e nervo soprascapolari

Legamento trasversosuperiore della scapolae incisura soprascapolare

Tendine del muscolopiccolo pettorale(sezionato)Tendini dei muscolibicipite brachiale(capo breve)e coracobrachiale(sezionati)

Muscolo sottoscapolareArteria sottoscapolare

Nervo sottoscapolareinferiore (per il muscologrande rotondo)

Arteria circonflessa della scapola Arteria e nervo toracodorsali(per il muscolo grande dorsale)

Muscolo sottoscapolare

Muscolo grande rotondo

Veduta anteriore

STRUTTURE PROFONDE

Acromion

Tendine del muscolo sopraspinato Grande tuberosità dell’omero

Tendine del muscolo sottoscapolarePiccola tuberosità dell’omero

Guaina tendinea intertubercolareArteria circonflessa anteriore dell’omero

Spazio quadrangolare(o quadrilatero di Velpeau)

Tendine del capo lungo del bicipitebrachiale (sezionato)

Nervo ascellare e arteriacirconflessa posteriore dell’omero

Muscolobicipitebrachiale

Nervo radiale

Capo lungoCapo breve

Muscolo coracobrachiale

Spazio triangolare(o triangolo omo-tricipitale)

Muscolo grande dorsale

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Tavola 1.16 Spalla

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 17

ANATOMIA VASCOLARE DELLA SPALLA

La vascolarizzazione dell’arto superiore deriva dall’arteria succlavia,

che decorre con il plesso brachiale tra i muscoli scaleni anteriore

e medio. Il primo ramo importante per l’anatomia della spalla è il

tronco tirocervicale, che dà origine alle arterie soprascapolare e

cervicale trasversa. Il ramo successivo è l’arteria scapolare dorsale,

che talvolta si dirama dall’arteria cervicale trasversa, invece che

all’arteria succlavia.

L’arteria ascellare è la continuazione dell’arteria succlavia oltre

il margine laterale della prima costa. L’arteria è suddivisa in tre

porzioni in base alla posizione del tendine del piccolo pettorale. Il

primo ramo collaterale, che origina prossimalmente al tendine, è

l’arteria toracica superiore, che decorre dietro la vena ascellare fi no

ai muscoli del primo e del secondo spazio intercostale e alla por-

zione superiore del muscolo dentato anteriore. La seconda branca

collaterale si diparte dall’arteria profondamente al tendine e si divide

in due rami: l’arteria toracoacromiale e l’arteria toracica laterale.

Il ramo toracoacromiale si divide in quattro parti, dando origine ai

rami acromiale, deltoideo, pettorale e clavicolare. L’arteria acromiale

decorre lateralmente sotto al processo coracoideo fi no all’acromion.

Fornisce rami al muscolo deltoide e partecipa, insieme ai rami delle

arterie circonfl esse anteriore e posteriore dell’omero e ai vasi sopra-

scapolari, alla formazione della rete acromiale di piccoli vasi sulla

superfi cie dell’acromion. Il ramo deltoideo (che spesso non nasce

separatamente, ma come ramo dell’arteria acromiale) occupa,

insieme alla vena cefalica, lo spazio tra i muscoli deltoide e grande

pettorale, nei quali manda rami. L’arteria pettorale è ampia e di-

scende tra i muscoli grande pettorale e piccolo pettorale. Fornisce

rami a questi muscoli, si anastomizza con le arterie intercostale

e toracica laterale e, nelle donne, vascolarizza la parte profonda

della ghiandola mammaria. Il ramo clavicolare è un vaso sottile

che risale medialmente per vascolarizzare il muscolo succlavio e

l’articolazione sternoclavicolare. L’arteria toracica laterale è variabile.

Arteria brachiale

Arteria ascellare

Ramo clavicolare

Ramo pettorale

Arteria toracicasuperiore

Arteria toracoacromiale

Arteria toracica laterale

Arteria sottoscapolare

Arteria circonflessadella scapola

Arteria toracodorsale

Ramo acromiale

ARTERIE ASCELLARI E BRACHIALI

Ramo deltoideo

Arteria circonflessaanteriore dell’omero

Arteria ascendenteche termina nell’arteria di Liang

Arteria circonflessa posteriore dell’omero

Arteria brachiale profonda

Arteria collaterale media

Arteria collaterale radiale

A livello del margine inferioredel muscolo grande rotondol’arteria ascellare cambia nomee diventa arteria brachiale

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Tavola 1.17 Apparato locomotore: VOLUME I

18 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

ANATOMIA VASCOLARE DELLA SPALLA (Seguito)

Può originare direttamente dall’arteria ascellare oppure dall’arteria

toracoacromiale o dall’arteria sottoscapolare; è spesso costituita

da diversi vasi. In genere (nel 65% dei casi) origina dall’arteria

ascellare, discende lungo il margine laterale del muscolo piccolo

pettorale e manda rami ai muscoli pettorali e al dentato anteriore,

e ai linfonodi ascellari.

La terza divisione dell’arteria ascellare è distale al tendine del

muscolo piccolo pettorale. A questo livello originano tre arterie: le

circonfl esse, anteriore e posteriore, dell’omero e l’arteria sotto-

scapolare. Quest’ultimo, che è il ramo più ampio dell’arteria

ascellare, si divide nei rami circonfl esso scapolare e toraco-

dorsale. L’arteria circonfl essa scapolare, più grande, decorre

posteriormente attraverso lo spazio triangolare, si dirige verso

il dorso della scapola e si ramifi ca nella fossa sottospinata. In

questa sede, vascolarizza i muscoli del dorso della scapola e si

anastomizza con l’arteria scapolare dorsale e i rami terminali

dell’arteria sopra scapolare. Mediante i rami originati nello spazio

triangolare, vascolarizza il muscolo sottoscapolare e i due mu-

scoli rotondi. L’arteria toracodorsale è la principale fonte di va-

scolarizzazione per il muscolo grande dorsale, penetrando nella

Veduta anteriore

ARTERIA ASCELLARE E ANASTOMOSI INTORNO ALLA SCAPOLA

Arteria trasversa del collo

Arteria soprascapolare

Acromion e anastomosiacromiale

Arteria scapolare dorsale

Processo coracoideo

Arteria circonflessaanteriore dell’omero

Ramo ascendentedell’arteriacirconflessadell’omero

Arteria circonflessaposteriore dell’omero

Arteria sottoscapolare

Arteria circonflessadella scapola

Arteria brachiale

Arteria toracodorsaleArteria toracica laterale

Arteria tiroidea inferiore

Arteria cervicale ascendente

Tronco tirocervicaleArteria vertebraleArteria succlavia

Muscolo scaleno anteriore

Arteria toracicainterna

Clavicola(sezionata)

Arteria toracicasuperiore

Arteriatoracoacromiale

Ramo clavicolare

Ramo acromiale

Ramo deltoideo

Ramo pettorale

1, 2 e 3 indicano la prima, la secondae la terza parte dell’arteria ascellare

Muscolo elevatore della scapola

Arteria scapolaredorsale

Muscolosopraspinato(sezionato)

Legamento trasversodella scapolae foramesoprascapolare

Spina della scapola

Muscolo sottospinato(sezionato)

Muscolo piccolo rotondo(sezionato)

Muscolo grande rotondo

Muscolo omoioideo (ventre inferiore)Arteria soprascapolare

Ramo acromiale dell’arteria toracoacromiale

Acromione plesso acromiale

Ramo sottospinatodell’arteriasoprascapolare

Arteria circonflessaposterioredell’omero(nello spazioquadrangolare)e rami ascendentie discendenti

Arteria circonflessa della scapola

Capo laterale

Veduta posteriore

del muscolotricipitebrachialeCapo lungo

1

2

3

sua superfi cie profonda insieme al nervo toracodorsale. Possiede

spesso una branca toracica che sostituisce l’arteria toracica

laterale nella parte inferiore dell’area di distribuzione di questa.

Le due arterie circonfl esse dell’omero si ramifi cano a loro volta.

Il vaso anteriore dà origine a un ramo ascendente che prosegue

fi no a divenire l’arteria arcuata, la quale costituisce la princi-

pale fonte di vascolarizzazione della testa dell’omero. L’arteria

circonfl essa posteriore decorre posteriormente, insieme al nervo

ascellare, attraverso lo spazio quadrangolare. Essa circonda il

collo chirurgico dell’omero e si anastomizza con l’arteria circon-

fl essa anteriore.

L’arteria ascellare diviene l’arteria brachiale quando attraversa il

limite inferiore dell’ascella in corrispondenza del margine inferiore

del muscolo grande rotondo. Entra nel braccio accompagnata da

due vene brachiali, oltre che dai nervi mediano, ulnare e radiale.

Nella posizione normale dell’arto, la vena ascellare è anteriore e

inferiore rispetto all’arteria, ma risale ed è completamente anteriore

all’arteria durante l’abduzione del braccio.

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Tavola 1.18 Spalla

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 19

Nervo pettorale mediale (C8, T1)

Nervo cutaneo mediale del braccio (T1)

Nervo cutaneo mediale dell’avambraccio (C8, T1)

Nervo sottoscapolare superiore (C5, C6)

Nervo toracodorsale (sottoscapolare medio) (C6, C7, C8)

Nervo sottoscapolare inferiore (C5, C6)

Nervo muscolocutaneo (C5, C6, C7)

Nervo ascellare (C5, C6)

Nervo radiale (C5, C6, C7,C8, T1)

Nervo mediano (C5, C6, C7,C8, T1)

Nervo ulnare (C7, C8, T1)

Contributo da C4(prefissato)

Ramo dorsale

Contributo da T2(postfissato)

Per i muscoli lungo del colloe scaleno (C5, C6, C7, C8)

I nervo intercostale

Nervo toracico lungo (C5, C6, C7)

Nervosoprascapolare(C5, C6)

Per il nervosucclavio (C5, C6)

Nervo pettoralelaterale (C5, C6, C7)

Rami

terminali

3 tronch

i sec

ondari

3 rami d

i divis

ione

anteriore

3 rami d

i divis

ione

posterio

re

3 tronchi

5 radici

(rami ventrali

dei nervi spinali)

Nervo scapolaredorsale (C5)

Per il nervofrenico

Nota: viene mostrata la composizione standard.Il plesso prefissato riceve un ampio contributoda C4, ma perde T1. Il plesso postfissato perde C5,ma ha un contributo di T2

1a costa

Superiore

Medio

Inferiore

Later

ale

Posteriore

Mediale

C5

C6

C7

C8

T1

Contributo incostanteContributo incostante

PLESSO BRACHIALE L’innervazione dell’arto superiore è fornita dai rami del plesso bra-

chiale. Questo ampio complesso di nervi non origina nell’ascella,

benché gran parte delle sue diramazioni e la formazione dei

nervi defi nitivi dell’arto avvengano in questa regione. Anche se le

varianti anatomiche non sono rare, è essenziale capire a fondo la

descrizione classica di questa rete. Il plesso brachiale è formato

dai rami ventrali (radici) di V, VI, VII e VIII nervo cervicale (da

C5 a C8) e da gran parte del I nervo toracico (T1). Piccoli con-

tributi possono derivare dal IV nervo cervicale (C4) e dal II nervo

toracico (T2). Le fi bre simpatiche presenti in ciascuna radice

si aggiungono mentre passano tra i muscoli scaleni. Ciascun

ramo ventrale di C5 e di C6 riceve un ramo comunicante grigio

dal ganglio cervicale medio. Il ganglio cervicotoracico (gangli

cervicale inferiore e primo toracico) fornisce rami grigi alle radici

C7, C8 e T1 del plesso.

I rami ventrali di C5 e C6 si congiungono per formare il tronco

superiore, il ramo di C7 prosegue da solo come tronco medio e

i rami di C8 e T1 formano il tronco inferiore. Ciascun tronco si

divide in un ramo anteriore e un ramo posteriore. Il ramo anteriore

innerva le parti ventrali dell’arto, mentre il ramo posteriore si di-

stribuisce alle parti dorsali. Tutti i rami posteriori si congiungono

per formare la corda posteriore del plesso, i rami anteriori dei

tronchi superiore e medio formano la corda laterale, mentre la

corda mediale è la continuazione del ramo anteriore del tronco

inferiore. Pertanto, la corda posteriore contiene i fasci nervosi

da C5 a T1 diretti alla parte posteriore dell’arto, la corda laterale

è formata dai fasci nervosi da C5 a C7 per la porzione anteriore

dell’arto e nella corda mediale decorrono le componenti nervose

anteriori da C8 a T1. La denominazione delle corde deriva dal loro

rapporto con l’arteria ascellare.

I rami terminali si uniscono ulteriormente per poi espandersi

nei nervi terminali del plesso. Ampie porzioni delle corde laterale

e mediale formano il nervo mediano. Le corde laterale e mediale

rimanenti costituiscono rispettivamente il nervo muscolocutaneo e

il nervo ulnare. La corda posteriore dà origine al nervo ascellare in

corrispondenza del margine inferiore del muscolo sottoscapolare e

la parte restante procede distalmente come nervo radiale. Oltre a

questi rami terminali, dalle radici e dalle corde del plesso emergono

diversi rami, che sono raggruppati in base alla porzione di plesso

da cui originano.

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Tavola 1.19 Apparato locomotore: VOLUME I

20 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

NERVI PERIFERICI

I nervi cutanei dell’arto superiore derivano principalmente dal

plesso brachiale, ma i nervi della parte più prossimale della spalla

originano dal plesso cervicale. I nervi sopraclavicolari (C3, C4) di-

vengono superfi ciali in corrispondenza del margine posteriore del

muscolo sternocleidomastoideo, all’interno del triangolo posteriore

del collo. Essi perforano lo strato superfi ciale della fascia cervicale e

il muscolo platisma, irradiandosi in tre direzioni: (1) sopra la clavicola

(nervi sopraclavicolari mediali), (2) verso l’acromion (nervi sopra-

clavicolari intermedi) e (3) sopra la scapola (nervi sopraclavicolari

laterali o posteriori).

Il nervo cutaneo laterale superiore del braccio (C5, C6) è il

ramo collaterale più distale del nervo ascellare. Lasciando il nervo

ascellare, si dirige superfi cialmente intorno al margine posteriore del

terzo inferiore del muscolo deltoide per perforare la fascia brachiale.

La sua distribuzione cutanea corrisponde alla metà inferiore del

muscolo deltoide e capo lungo del tricipite brachiale.

Il nervo cutaneo laterale inferiore del braccio (C5, C6) nasce dal

nervo cutaneo antibrachiale posteriore, appena dopo l’origine di

questo dal nervo radiale. Il nervo cutaneo brachiale laterale inferiore

diviene superfi ciale in linea con il setto intermuscolare laterale poco

sotto l’inserzione del muscolo deltoide. Accompagna la parte inferiore

della vena cefalica e si distribuisce alla superfi cie laterale inferiore e

anteriore del braccio.

Il nervo cutaneo posteriore del braccio (C5-C8) origina all’inter-

no dell’ascella come ramo del nervo radiale. Qui si anastomizza

di solito con il nervo cutaneo mediale del braccio, passa lungo

il lato mediale del capo lungo del muscolo tricipite brachiale e

C2

C3

C6

C5C6

Veduta anteriore

Veduta posteriore

C7

C8

C4

C2

C6

C7

C8

T1

C6

C7

C8

C3

C5

T1

C8

C4C5

T1

Nota: mappa dei dermatomeri (secondo Keegan e Garrett), raffiguraticome segmenti distinti. Tra dermatomeri adiacenti esiste in realtàuna considerevole sovrapposizione

DERMATOMERI DELL’ARTO SUPERIORE

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Tavola 1.20 Spalla

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 21

NERVI PERIFERICI (Seguito)

quindi perfora la fascia brachiale per distribuirsi al terzo medio

della parte posteriore del braccio, superiormente e posterior-

mente alla distribuzione dei nervi cutaneo brachiale mediale e

intercostobrachiale.

Il nervo cutaneo mediale del braccio (C8, T1) origina dalla corda

mediale del plesso brachiale nell’ascella inferiore. Discende lungo

il lato mediale dell’arteria brachiale fi no alla porzione centrale del

braccio, dove perfora la fascia brachiale e innerva la cute della faccia

posteriore del terzo inferiore del braccio fi no all’olecrano.

Il nervo intercostobrachiale (T2) è la parte più ampia della branca

cutanea laterale del II nervo toracico. Nel secondo spazio interco-

stale, in corrispondenza della linea ascellare, perfora il muscolo

Veduta anteriore (palmare)

Distribuzione sensitiva

DISTRIBUZIONE SENSITIVA E NEUROPATIA NELLA SPALLA

Neuropatia della spalla: nervo toracico lungo

Nervi sopraclavicolari(dal plesso cervicale –C3, C4)

Nervo ascellareNervo cutaneolaterale superioredel braccio (C5, C6)

Nervo radialeNervo cutaneolaterale inferioredel braccio (C5, C6)

Nervo intercosto-brachiale (T2) e nervocutaneo medialedel braccio(C8, T1, T2)

Veduta posteriore (dorsale)

Nervi sopraclavicolari(dal plesso cervicale –C3, C4)

Nervo ascellareNervo cutaneolaterale superioredel braccio (C5, C6)

Nervo radiale

Nervo intercostobrachiale (T2)e nervo cutaneo medialedel braccio (C8, T1, T2)

Muscolo dentato anteriore(aiuta a stabilizzare la scapola)

Nervo toracico lungo

Scapolaalata

Normale

Nervo cutaneo posterioredel braccio (C5, C6, C7, C8)Nervo cutaneo lateraleinferiore del braccioNervo cutaneo posterioredell’avambraccio(C[5], C6, C7, C8)

dentato anteriore per entrare nell’ascella. In questa sede, di solito si

anastomizza con il nervo cutaneo brachiale mediale, quindi perfora

la fascia brachiale appena oltre lo sfondato ascellare posteriore.

La sua distribuzione cutanea avviene lungo le superfi ci mediale e

posteriore del braccio, dall’ascella al gomito.

Un esame neurologico completo della spalla valuta i derma-

tomeri appena menzionati, così come la contrazione coordinata

della muscolatura del cingolo scapolare (T11). Una neuropatia

comune è quella della disfunzione del nervo toracico lungo, che

può essere provocata dalla dissezione dei linfonodi ascellari.

L’esame obiettivo rivela lo spostamento mediale della scapola

quando il braccio è posizionato anteriormente al piano del

corpo, tale spostamento è reso ancora più evidente premendo

contro una parete.

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Tavola 1.21 Apparato locomotore: VOLUME I

22 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

FRATTURE DELL’OMERO PROSSIMALE

CLASSIFICAZIONE DI NEER

Le fratture dell’omero prossimale sono comuni e si verifi cano molto

spesso nei pazienti anziani per cadute con la mano estesa.

Il frammento è considerato scomposto quando ha uno spo-

stamento maggiore di 1 cm o un’angolazione superiore a 45°. La

classifi cazione in quattro parti proposta da Neer richiede l’identi-

fi cazione sulle radiografi e iniziali dei quattro frammenti fratturati

principali e dei loro rapporti reciproci: (1) segmento articolare,

(2) grande tuberosità con il muscolo sopraspinato inserito in essa,

(3) piccola tuberosità con il muscolo sottoscapolare inserito in essa e

(4) diafi si omerale. Le fratture possono essere associate a lussazione

del segmento articolare ( testa dell’omero) e in questo caso vengono

classifi cate come “fratture-lussazioni”. Può verifi carsi, ad esempio,

una frattura della grande tuberosità associata a lussazione ante-

riore della testa dell’omero (Tavola 1.21). Questa condizione viene

defi nita “frattura-lussazione a due parti”. Queste lesioni presentano

particolare importanza clinica riguardo sia al tipo di trattamento,

sia al danno tissutale e alla prognosi. In questi casi, la riduzione

incruenta (a cielo chiuso) della testa dell’omero può comportare

la persistenza della scomposizione della grande tuberosità che

necessita di intervento chirurgico per la riduzione della frattura

(si veda Tavola 1.21). Al contrario, se la riduzione incruenta della

testa omerale determina un avvicinamento della grande tuberosità,

l’intervento chirurgico non è necessario e, soprattutto, lussazioni

recidivanti della testa dell’omero dopo la guarigione della frattura

della tuberosità sono rare. Ciò è dovuto al fatto che non si verifi ca

una lacerazione dei legamenti gleno-omerali perché sono la frattura

della grande tuberosità e le lesioni della cuffi a dei rotatori che hanno

consentito la dislocazione e la sua riduzione e guarigione comporta

la guarigione dei legamenti gleno-omerali.

Analogamente, varianti delle fratture dell’omero prossimale com-

prendono lesioni al segmento del capo articolare (Tavola 1.25).

Le lesioni della testa dell’omero costituiscono una variante della

tradizionale classifi cazione in quattro parti. Nella maggior parte dei

casi, è necessario effettuare la sostituzione protesica della testa

dell’omero per trattare sia le sequele a lungo termine della pos-

sibile necrosi avascolare (perdita di vascolarizzazione) della testa

dell’omero, sia l’artrosi post-traumatica derivante da traumi alla

cartilagine articolare.

La classifi cazione di Neer delle fratture dell’omero prossimale

comprende fratture a due, tre e quattro parti. Le fratture a due parti

possono interessare il collo anatomico, il collo chirurgico, la grande

o la piccola tuberosità. Le fratture a tre parti coinvolgono il segmento

della testa dell’omero e la grande o piccola tuberosità. Nelle fratture

a quattro parti, queste sono rappresentate dalle due tuberosità, dalla

testa dell’omero e dalla diafi si omerale. Nelle fratture a quattro parti

con ampia scomposizione, la testa dell’omero è privata della sua

vascolarizzazione e vi è un’elevata incidenza di necrosi avascolare.

La diagnosi, e la conseguente classificazione, delle fratture

dell’omero prossimale è confermata da radiografi e effettuate almeno

su due piani ortogonali (90° di differenza tra l’uno e l’altro) e deve

comprendere una proiezione anteroposteriore e una proiezione

transcapolare a Y della spalla. Se possibile, occorre ottenere anche

una proiezione ascellare modifi cata. In molti casi di frattura acuta,

è diffi cile ottenere una proiezione ascellare a causa del dolore asso-

ciato alla frattura e della diffi coltà di portare il braccio nella posizione

necessaria. La tomografi a computerizzata (TC) con ricostruzione

multiplanare o tridimensionale consente di determinare meglio il

numero di parti e la loro scomposizione. In alcune fratture, ciascuno

dei segmenti principali dell’omero prossimale può presentare più di

una rima di frattura (comminuzione). In questi casi, le fratture sono

distinte secondo la classifi cazione in quattro parti, con l’aggiunta del

termine comminuzione per il segmento interessato. In altre parole,

non sono chiamate fratture a cinque o a sei parti. Le fratture di una

o più parti dell’omero prossimale con una minima scomposizione

di tutti i segmenti interessati sono considerate fratture a una parte,

per indicare che nessun frammento è scomposto o richiede la

riduzione chirurgica. Ad esempio, una frattura isolata della grande

tuberosità senza scomposizione è chiamata “frattura a una parte

della grande tuberosità” o “frattura minimamente scomposta della

grande tuberosità”.

Sopraspinatoe muscoliextrarotatori

CLASSIFICAZIONE DI NEER

Intervallodei rotatori

Colloanatomico

Grandetuberosità

Collochirurgico

Tendinedel capolungodel bicipitebrachiale

Piccolatuberosità

Muscolosottoscapolare

Classificazione di Neer a quattro parti delle fratture dell’omeroprossimale:1. Frammento articolare (testa dell’omero)2. Piccola tuberosità3. Grande tuberosità4. Diafisi. In assenza di scomposizione, la frattura è considerata

stabile (evenienza più comune) e trattata con una minimaimmobilizzazione esterna e mobilizzazione precoce.La scomposizione di 1 cm o l’angolazione di 45°di uno o più frammenti di solito costituisce un’indicazionealla riduzione chirurgica con fissazione internao alla sostituzione protesica

Una frattura scompostadella grande tuberosità vieneriparata chirurgicamentemediante fili fatti passareattraverso la cuffia dei rotatorie fori transossei. Frammenti moltopiccoli possono essere asportatie il tendine sopraspinatoreinserito

12

3

4

Collo anatomico

Collo chirurgico

Grande tuberosità

Piccola tuberosità

Grande tuberosità

Piccola tuberosità

Grandee piccola tuberosità

Classificazione di Neer delle fratture dell’omero prossimale

2 Parti 3 Parti 4 Parti

C0005.indd 22C0005.indd 22 12/09/13 10:38 AM12/09/13 10:38 AM

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Tavola 1.22 Spalla

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 23

FRATTURE DELL’OMERO PROSSIMALE (Seguito)

FRATTURA A DUE PARTI DELLA GRANDE TUBEROSITÀ

Per defi nizione, come descritto in precedenza, una frattura scompo-

sta della grande tuberosità comporta il coinvolgimento isolato di

quest’ultima con scomposizione di oltre 1 cm. Nell’esempio mo-

strato, la scomposizione è maggiore come si osserva nell’immagine

anteroposteriore, e posteriore come si rileva nella proiezione ascel-

lare. Ciò indica la rottura dei tessuti molli circostanti, in particolare

la rottura di tendini della cuffi a dei rotatori che ha consentito la

scomposizione del frammento. I muscoli sopraspinato, sottospinato

e piccolo rotondo si inseriscono sulla grande tuberosità. Questi

muscoli della cuffi a dei rotatori sono responsabili del sollevamento

e dell’extrarotazione del braccio. Una frattura della grande tuberosità

di grandi dimensioni implica la capacità di questi muscoli di spo-

stare il frammento superiormente e posteriormente. L’intervento

chirurgico è necessario per ricollocare il frammento nella sua sede

in modo da ripristinare la funzione propria della cuffi a ed evitare una

perdita di mobilità per un consolidamento del frammento in cattiva

posizione. Ciò può provocare un attrito (impingement) del frammento

nella controparte posteriore della glenoide quando il braccio viene

extrarotato, o sulla superfi cie inferiore dell’acromion nei movimenti

di sollevamento dell’arto. La scomposizione posteriore determina

altresì l’accorciamento della capsula posteriore, con conseguente

perdita di intrarotazione. Il trattamento delle sequele tardive di un

consolidamento in scomposizione della frattura è molto diffi cile

e spesso esita in un risultato insoddisfacente. Il riconoscimento

tempestivo di queste fratture scomposte è importante per indirizzare

a un intervento chirurgico precoce. Se si ottiene una riduzione

anatomica con fi ssazione stabile, la riabilitazione può portare a una

funzionalità normale della spalla, senza sintomatologia dolorosa.

Per raggiungere questo obiettivo si può ricorrere a diversi tipi di

intervento chirurgico.

Nel caso mostrato, la frattura è stata trattata con riduzione a

cielo aperto e fi ssazione interna con fi li di sutura spessi. Questa

tecnica è ideale nei pazienti più anziani con osteoporosi, in cui

la fi ssazione con viti potrebbe essere diffi cile o impossibile per

la scarsa tenuta dei frammenti ossei. La fi ssazione con punti di

sutura nei tendini della cuffi a dei rotatori è molto più resistente

della fi ssazione limitata ai frammenti ossei ed è migliore anche in

presenza di numerosi piccoli frammenti della grande tuberosità

(si veda Tavola 1.25).

Nel caso di fratture isolate della grande tuberosità in pazienti

con buona qualità ossea, la riduzione minimamente invasiva sotto

visione fl uoroscopica e la fi ssazione con viti può essere un’alterna-

tiva effi cace e meno invasiva rispetto alla riduzione a cielo aperto e

fi ssazione con punti di sutura transossei (Tavola 1.24).

FRATTURA A DUE PARTI DELLA TUBEROSITÀ

Radiografia ascellare (sinistra) e radiografia anteroposteriore (destra) di una frattura a due partidella grande tuberosità (linea tratteggiata), con scomposizione posteriore e laterale

Tecnica di suturaper la fissazionedel frammentodi frattura della grandetuberosità

Riduzione e fissazione interna con sutura per frattura della grande tuberosità o frammenti di questa(linea tratteggiata) evidenziata da una proiezione anteroposteriore (sinistra) e da una proiezioneanteroposteriore in intrarotazione (destra)

Tendinedel sottoscapolare

Tendine del sopraspinato

Fori di sutura

Tendine del capolungo del bicipite

C0005.indd 23C0005.indd 23 12/09/13 10:38 AM12/09/13 10:38 AM

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Tavola 1.23 Apparato locomotore: VOLUME I

24 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

FRATTURE DELL’OMERO PROSSIMALE (Seguito)

FRATTURA A DUE PARTI DEL COLLO CHIRURGICO E LUSSAZIONE DELLA TESTA DELL’OMERO

Le fratture del collo chirurgico associate a lussazione della te-

sta omerale costituiscono una variante frequente della clas-

sifi cazione a quattro parti delle fratture dell’omero prossimale. La

signifi catività clinica è connessa alla possibile coesistenza sia di

danni alla cartilagine articolare e alla vascolarizzazione della testa

dell’omero, sia di traumi alla glenoide e ai legamenti gleno-omerali.

Ciascuno di questi eventi può determinare sequele cliniche a lungo

termine, quali artrosi post-traumatica, necrosi avascolare della

testa dell’omero, alterazioni artrosiche della glenoide o instabilità

dell’articolazione. Queste possibili complicanze non solo rendono

necessario il trattamento chirurgico per un’adeguata gestione

della lesione, ma devono indirizzare verso un intervento urgente.

È da notare che la difficoltà di diagnosticare la presenza della

lussazione nell’ambito della lesione fratturativa valutata con la

radiografi a anteroposteriore rafforza la necessità di una radiografi a

ascellare e di una TC. Sulla radiografi a anteroposteriore può risultare

altresì diffi cile visualizzare adeguatamente la frattura dell’omero

prossimale. Se vengono eseguite indagini radiologiche inadeguate,

questo tipo di lesioni spesso non viene diagnosticato in ambulatorio

o in Pronto Soccorso. In questi casi non si ricorre all’intervento

chirurgico precoce e talora il paziente non viene neppure operato,

con conseguente risultato anatomo-funzionale molto scadente.

La chirurgia ricostruttiva tardiva per il trattamento delle sequele

del cattivo consolidamento della frattura determina spesso un

miglioramento, ma il risultato non è tanto valido quanto quello di

un trattamento precoce.

Nel caso mostrato, relativo a una persona attiva di mezza età ca-

duta da cavallo, l’intervento chirurgico a cielo aperto per la riduzione

anatomica della frattura e la riduzione della lussazione ha permesso

di utilizzare un limitato numero di mezzi di fi ssazione grazie alla

buona qualità del tessuto osseo e a una riduzione anatomica che

ha consentito un’osteosintesi con compressione interframmentaria

mediante una tecnica tipo lag . La vite distale, per osso corticale,

è stata introdotta nel frammento laterale, con conseguente com-

pressione nella sede della frattura, resa possibile dall’orientamento

della vite, perpendicolare alla linea di frattura. La vite superiore è

una vite da spongiosa con fi lettatura parziale, collocata nell’os-

so spongioso della testa dell’omero. La fi lettatura di questa vite,

più larga di quella da corticale, consente di ottenere la fi ssazione

nell’osso spongioso. La parte liscia della vite da spongiosa consente

alla vite lag di esercitare un’ulteriore compressione nella sede di

frattura. La vite è posizionata di nuovo perpendicolarmente alla linea

di frattura per massimizzare l’effetto compressivo e la stabilità della

frattura mediante l’uso di un impianto con minima invasività, invece

che di una placca di grandi dimensioni (Tavola 1.23).

FRATTURA A DUE PARTI DEL COLLO CHIRURGICOE LUSSAZIONE DELLA TESTA DELL’OMERO

Radiografia ascellare (A) di una frattura-lussazione a due parti. La frattura interessa il collo anatomico e giunge alla diafisi omerale. La testadell’omero è lussata posteriormente. La stessa frattura è mostrata in una radiografia anteroposteriore, in cui si può osservare anche la fossaglenoidea “vuota” (B), e in una TC (C). Riduzione a cielo aperto e fissazione interna con due viti interframmentarie per osso spongiosoe corticale (D ed E). Riduzione anatomica ottenuta con minima fissazione interna. 1 = superficie articolare della testa omerale, 2 = grande tuberositàdell’omero in massima intrarotazione, 3 = glenoide vuota.

1

1

1

2

31

1

A

B

C

D E

C0005.indd 24C0005.indd 24 12/09/13 10:38 AM12/09/13 10:38 AM

Page 25: SPALLA - Doctor33 · rosità deltoidea si trova a circa un terzo della distanza tra spalla e gomito. I muscoli elevatore della scapola e romboidi grande e piccolo

Tavola 1.24 Spalla

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 25

FRATTURE DELL’OMERO PROSSIMALE (Seguito)

FRATTURA A QUATTRO PARTI IMPATTATA IN VALGO

Una frattura a quattro parti impattata in valgo è una variante di una

classica frattura-lussazione a quattro parti, in cui il segmento

della testa dell’omero è completamente separato dagli altri tre

segmenti dell’omero prossimale (grande e piccola tuberosità, e

diafi si omerale). In molte di queste classiche fratture a quattro

parti anche la testa dell’omero è dislocata e non si articola con la

glenoide. Quando la vascolarizzazione della componente articolare

è interrotta (Tavole 1.16 e 1.17) vi è un’elevata incidenza di ne-

crosi avascolare. Nella maggior parte dei casi, queste fratture

si verifi cano nelle persone anziane e la sostituzione della testa

dell’omero con un’endoprotesi (protesi omerale), come mostrato

nella Tavola 1.25, è il trattamento di scelta per la riduzione e la

fissazione delle tuberosità e la sostituzione della componente

articolare avascolare.

La frattura a quattro parti impattata in valgo comporta la rotazione

della testa dell’omero in posizione orizzontale con incastro di essa

tra la grande e la piccola tuberosità che si separano e si allargano

per adattarsi alla penetrazione tra di esse della testa omerale. In

questo tipo di frattura, la superfi cie articolare della testa è orienta-

ta superiormente verso la faccia inferiore dell’acromion. La testa

dell’omero non è in contatto con la glenoide ed è coperta dalle

tuberosità scomposte. In molte di queste fratture, il periostio sul

lato mediale della diafisi omerale, subito al di sotto della testa

dell’omero, rimane intatto e forma un ponte di tessuti molli tra

i due, contribuendo alla stabilità del segmento della testa e alla

sua vascolarizzazione. In questo caso, l’incidenza della necrosi

avascolare è molto minore rispetto a quella che si verifi ca nelle

classiche fratture-lussazioni a quattro parti. I frammenti fratturati

della grande e della piccola tuberosità sono scomposti lateralmente,

ma rimangono uniti alla diafi si omerale per mezzo dell’inserzione dei

tessuti molli intatta. Di conseguenza, la confi gurazione della frattura

è tale che la testa omerale e le tuberosità sono abbastanza ridotte e

stabili. È importante riconoscere questo specifi co tipo di frattura per

poter preservare il segmento della testa dell’omero e, soprattutto,

per non confonderla con una frattura minimamente scomposta da

trattare conservativamente. In presenza del cardine rappresentato

dai tessuti molli mediali che fornisce una certa stabilità al segmento

della testa, si può ricorrere a un metodo poco invasivo di riduzione

e fi ssazione interna della frattura, come mostrato nella Tavola 1.24

in basso. In presenza di una maggiore instabilità, comminuzione dei

segmenti ossei o scarsa qualità dell’osso per osteoporosi, è preferi-

bile un intervento più tradizionale, a cielo aperto, di osteosintesi con

placche, come mostrato nella Tavola 1.24 in alto.

La riduzione a cielo aperto con osteosintesi interna assicura una

fi ssazione più rigida dei frammenti di frattura, ma richiede una pro-

cedura che può essere ampiamente invasiva. Quando si esegue una

riduzione minimamente invasiva con osteosintesi, viene praticata

una piccola incisione (1-2 cm) distalmente alla sede di frattura

e, sotto controllo fl uoroscopico, il segmento della testa omerale

FRATTURA A QUATTRO PARTI IMPATTATA IN VALGO

Riduzione a cielo aperto con fissazione interna impattata in valgo

Radiografia anteroposteriore (A) di una frattura a quattro parti impattata in valgo.Il trattamento della frattura è consistito nella riduzione a cielo apertoe nella fissazione interna mediante placca e viti. Radiografiaanteroposteriore (B) e radiografia ascellare (C) postoperatorie.

Uno strumento è introdotto attraverso una piccola sezione laterale e, sotto guida fluoroscopica,il segmento della testa dell’omero viene ridotto con angolo cervicodiafisario più normale, di circa 135°.Esercitando trazione sul braccio, la grande e la piccola tuberosità sono ridotte mediante tensionamentodei tessuti molli intatti. Il posizionamento percutaneo di due viti cannulate da spongiosa attraversoil frammento fratturato della grande tuberosità completa così la fissazione interna con tecnicheminimamente invasive. Il segmento articolare ha un leggero valgismo di 10-15° rispetto all’angolocervicodiafisario, che è clinicamente accettabile.

1 = superficie articolare della testa dell’omero, 2 = grande tuberosità, 3 = piccola tuberosità,4 = diafisi omerale.

Battitore osseo

2

2

2

22

2

44

4

4

4

4

3

3 3 3

1

11

1

1

1

Metodo percutaneo di riduzione del frammento di frattura della testa omerale

A B CC

C0005.indd 25C0005.indd 25 12/09/13 10:38 AM12/09/13 10:38 AM

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Tavola 1.25 Apparato locomotore: VOLUME I

26 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

FRATTURE DELL’OMERO PROSSIMALE (Seguito)

viene sollevato in posizione anatomica utilizzando uno strumento

a punta smussa collocato sotto la testa, in modo da farla ruotare e

ridurre il valgismo. Grazie alle inserzioni di tessuti molli in ciascun

frammento, il sollevamento della testa con trazione sul braccio

riallinea facilmente le tuberosità sotto la testa stessa. La fi ssazione

percutanea con fi li di Kirschner o viti assicura una stabilità dei seg-

menti ossei suffi ciente a mantenere la riduzione. La rimozione dei

fi li a 6 settimane dall’intervento consente una guarigione suffi ciente

per l’inizio della riabilitazione. Grazie all’approccio minimamente

invasivo, non si verifi ca un ritardo della riabilitazione in gran parte

dei pazienti, che ottengono una buona mobilità purché i frammenti

di frattura si mantengano in buona posizione.

I pazienti trattati mediante fi ssazione con placche di solito ot-

tengono un’osteosintesi più stabile e, quindi, possono e devono

iniziare gli esercizi di mobilizzazione per la riabilitazione subito dopo

l’intervento chirurgico.

SPACCO DELLA TESTA DELL’OMERO IN UNA CLASSICA FRATTURA- LUSSAZIONE A QUATTRO PARTI

La classica frattura-lussazione a quattro parti può essere associata

ad una frattura che attraversa la superfi cie articolare della testa

dell’omero. Queste fratture si verifi cano di solito per traumi ad ele-

vata energia. La frattura della testa è molto più diffi cile da trattare e

richiede di solito la sostituzione protesica della testa omerale. Inoltre,

in questo tipo di frattura la probabilità di artrosi post-traumatica e

di necrosi avascolare è pressoché certa ed è quindi giustifi cata

l’applicazione di una protesi. Nell’impianto della protesi, lo stelo è

collocato saldamente nella diafi si dell’omero, perlopiù fi ssandolo alle

pareti con cemento osseo. Una delle fasi più diffi cili dell’intervento

chirurgico è quella del posizionamento dello stelo all’altezza e con

la rotazione corrette per riprodurre l’anatomia normale precedente la

frattura. Se eseguito correttamente, tra la testa protesica metallica

e la diafi si ci deve essere uno spazio equivalente a quello presente

prima della frattura, per potervi collocare tutti i frammenti fratturati

della grande e piccola tuberosità, in modo che vengano a trovarsi al

di sotto della testa e al di sopra della diafi si omerale. La fi ssazione di

questi frammenti è facilitata dalla presenza, nello stelo metallico,

di un dispositivo di fi ssazione interna, intorno al quale sono collocati

i frammenti, in adeguata posizione, con la testa dell’omero in sede.

Punti di sutura spessi e non riassorbibili servono ad ancorare le

tuberosità sia alla diafi si, sia alla protesi attraverso il dispositivo di

fi ssazione interna di cui è fornita e a fi ssare i tendini della cuffi a

dei rotatori sia allo stesso dispositivo sia tra loro per coprire com-

pletamente la protesi sottostante. Nonostante il numero di fratture

e frammenti ossei, quando si ottiene una riduzione anatomica con

una buona fi ssazione, l’esito a lungo termine è eccellente.

FRATTURE SCOMPOSTE A QUATTRO PARTI CON FRATTURA ARTICOLARE DELLA TESTA

Radiografie antero-posteriori di una fratturacomplessa a quattroparti con interessamentodella testa.In questa variantedella classica fratturaa quattro parti, la lineadi frattura attraversala testa omerale.Ne consegue una fratturamolto instabile. Questefratture richiedono spessouna protesi omerale

Ricostruzione TC anteroposterioreche mostra la frattura articolaredella testa

Sostituzione della testa con una protesi parziale (endoprotesi). Lo stelo omerale funge da supportoendomidollare di una testa dell’omero di dimensioni anatomiche. Esso serve altresì, come mostrato, per fissarela grande e la piccola tuberosità alla protesi e sintetizzarle tra loro e allo stelo con fili di sutura. In questomodo, entrambe le tuberosità sono ancorate allo stelo, sintetizzate e ridotte anatomicamente al di sottodella testa omerale. Quando si raggiunge questo risultato anatomico, i risultati clinici sono eccellenti in terminidi riduzione del dolore e di recupero funzionale.

Questa frattura, a frammenti multipli, è stata prodottada un trauma ad alta energia per un incidente di sci

Frattura complessa articolare della testa omerale

Grande tuberosità Tendine del capo lungodel bicipite

Grande tuberosità Piccola tuberositàTesta omeraledivisa in due parti

Divisionein due partidella testaomerale

Diafisi omerale

Testa dell’omero

Grandetuberosità

Grandetuberosità

DiafisiDiafisi

Piccolatuberosità

Piccolatuberosità

C0005.indd 26C0005.indd 26 12/09/13 10:38 AM12/09/13 10:38 AM

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Tavola 1.26 Spalla

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 27

LUSSAZIONE ANTERIORE DELL’ARTICOLAZIONE GLENO-OMERALE

Il 95% circa delle lussazioni della spalla è anteriore ed è perlopiù se-

condario a un trauma indiretto. La tipologia più comune di lussazione

anteriore è quella sottocoracoidea, mentre la meno frequente è la

lussazione sottoclavicolare. Le lussazioni anteriori si osservano in

tutte le fasce di età, ma soprattutto negli adolescenti e nei giovani

adulti. Spesso accadono durante eventi sportivi e si verifi cano di

solito per un trauma da contatto o da caduta sul moncone della

spalla, con braccio atteggiato in abduzione ed extrarotazione (brac-

cio posizionato come per lanciare una pallina). È sempre in questa

posizione che vi sono maggiori probabilità di andare incontro a una

lussazione recidivante o avvertire una sensazione di instabilità della

spalla. L’esame obiettivo di un paziente con lussazione anteriore

evidenzia un’abnorme prominenza dell’acromion sotto al quale

la regione deltoidea appare vuota, e una prominenza della testa

dell’omero anteriormente. Il braccio si trova spesso in posizione di

abduzione o di intrarotazione, con perdita dell’extrarotazione pas-

siva. Poiché il nervo ascellare decorre, nella regione dell’ascella, in

immediata vicinanza della porzione anteroinferiore della capsula

articolare dell’articolazione della spalla, una lussazione anteriore

traumatica può spesso causare una lesione da trazione del nervo.

Questa determina una ridotta sensibilità cutanea nella regione del

deltoide e nella parte sottostante dell’area laterale del braccio e

un defi cit motorio del muscolo. Inoltre, il nervo muscolocutaneo

è collocato 5-7 cm distalmente all’apice della coracoide e può

essere lesionato per compressione o trazione con conseguente

diminuzione della sensibilità nel margine radiale dell’avambraccio,

nonché una riduzione della forza fl essione del gomito.

La riduzione incruenta (a cielo chiuso) della lussazione della

spalla viene effettuata perlopiù nel posto in cui si è verifi cata la

dislocazione, se è disponibile una persona competente, o in Pronto

Soccorso. Le lussazioni verifi catesi per la prima volta sono spesso

le più diffi cili da ridurre. Più è rapida la riduzione della lussazione,

minori sono le probabilità di danni alla cartilagine dell’articolazione,

alla parte posteriore della testa dell’omero (lesione di Hill-Sachs) o al

nervo ascellare e/o muscolocutaneo. Con tutti i metodi di riduzione

incruenta, il rilasciamento del paziente e dei muscoli circostanti

la spalla e la trazione assiale sono elementi che contribuiscono al

successo della riduzione. Minore è la manipolazione rotazionale,

minori sono le probabilità che si creino ulteriori traumi durante la

riduzione. Un comune metodo di riduzione è la manovra di Stimson.

Al paziente, posto in posizione prona, viene somministrato un seda-

tivo o un analgesico. Il braccio viene collocato delicatamente oltre il

bordo del lettino e si applica trazione manualmente o mediante un

peso statico, come mostrato nella Tavola 1.26. Nella maggior parte

dei casi, quando il paziente si rilassa la testa dell’omero esce dalla

regione sottocoracoidea e rientra nella cavità glenoide.

Valutazionedella sensibilità nelle areedei nervi ascellare (1)e muscolocutaneo (2)

Lussazione sottoglenoidea Lussazione sottoclavicolare(non comune). In casi moltorari, la testa dell’omero penetratra le coste, realizzando unadislocazione intratoracica.

Acromion prominente

Spalla appiattita

Testa dell’omeroprominenteBraccioin leggeraabduzione

Gomitoflesso

Avambracciointraruotato,sostenutodall’altra mano

Aspetto clinico

1

2

Lussazione sottocoracoidea(tipo più comune)

Radiografia anteroposterioreLussazione sottocoracoidea.

Manovra di StimsonPaziente adagiato sul tavolo in posizione prona con l’arto colpito che penzola liberamente oltre il bordo; al polso è attaccato un peso di 5-7 kg. La trazione graduale risolve la contrattura muscolare e, nella maggior parte dei casi, consente la riduzione in 20-25 minuti.

C0005.indd 27C0005.indd 27 12/09/13 10:38 AM12/09/13 10:38 AM

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Tavola 1.27 Apparato locomotore: VOLUME I

28 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

LUSSAZIONE ANTERIORE DELL’ARTICOLAZIONE GLENO-OMERALE: LESIONI ANATOMOPATOLOGICHE

Nella lussazione traumatica anteriore della spalla si osserva comune-

mente una lesione di Bankart, ossia una disinserzione dei legamenti

gleno-omerali e un distacco del cercine glenoideo nella regione

anteroinferiore. Nella maggior parte dei casi di lussazione recidivante

anteriore, in cui vi è un’indicazione chirurgica si esegue l’intervento

di Bankart, in cui il cercine glenoideo, con i legamenti gleno-omerali,

sono reinseriti lungo il margine anteriore e inferiore della glenoide.

Se vi è una frattura acuta del bordo glenoideo anteriore in una prima

lussazione è possibile fi ssare il frammento osseo alla glenoide e

reinserire il cercine glenoideo con i legamenti a esso adesi. Lo

stesso, seppure raramente, può essere fatto in presenza di un

frammento di frattura inveterata per una lussazione recidivante.

Tuttavia, quando vi è un ampio defi cit osseo del bordo anteriore della

glenoide, in assenza di un frammento osseo che può essere ridotto

e fi ssato, è preferibile ricorrere all’uso di un innesto osseo. Sono

disponibili, a questo scopo, numerosi tipi di intervento chirurgico.

La metodica più diffusa si basa sull’utilizzo del processo coracoideo

e delle strutture muscolotendinee a esso inserite (capo breve del

bicipite brachiale e coracobrachiale). La coracoide, previamente

sagomata, viene posta sul processo glenoideo al margine della

cavità glenoide a livello del difetto osseo anteroinferiore e fi ssata

al processo glenoideo con delle viti. Questa procedura (Bristow-

Latarjet) consente sia il ripristino della perdita ossea della glenoide,

sia una stabilizzazione dinamica grazie all’effetto fasciante dei tendini

e dei muscoli coracoidei. Le procedure di stabilizzazione descritte,

soprattutto le prime, possono essere eseguite a cielo aperto o

con tecnica artroscopica. In molti casi vi è anche una frattura da

impatto, di dimensioni variabili, nella parte posterosuperiore della

testa dell’omero, denominata lesione di Hill-Sachs . Le fratture da

impatto conseguenti alla lussazione anteriore si verifi cano quando

l’osso spongioso (più fragile) della testa dell’omero urta contro l’osso

corticale compatto (più resistente) del bordo glenoideo anteriore.

Possono essere ampie e talvolta sono trattate mediante posizio-

namento di un alloinnesto osseo a riempire la lesione della testa

omerale o mediante sostituzione protesica parziale in questo difetto.

Un’alternativa è la fi ssazione di tendini della cuffi a dei rotatori e di

tessuto capsulare nella sede della lesione ossea.

TC che mostra lesioni di Hill-Sachsnella parte superiore della testa dell’omero

Lesione di Bankart Lesione capsulare

Lesione di Hill-Sachs

LESIONI DI BANKART, DI HILL-SACHS E CAPSULARE

Testa omerale

GlenoideGlenoide

Testaomerale

Testadell’omero

Capsulaantero-inferiore

Capsulaantero-inferiorereinseritasul bordoglenoideo(riparazionedi Bankart)

Lesione di Hill-Sachs

Fasi di formazione della lesione di Hill-Sachs

Lussazione anteriore.Il bordo anterioredella glenoide provocauna depressione della parteposterolaterale della testa omerale

La lussazione anteriorecontinua; la depressionedella testa dell’omerosi allarga

Dopo la riduzione.Il difetto persiste, causandoun’instabilità che predisponea lussazione recidivante

Sezione attraverso l’articolazione gleno-omerale normale

Tendine del capo lungodel bicipite brachiale

Piccola tuberositàTesta dell’omero

Cavità glenoide

Muscolo sottoscapolare

Muscolo sottospinato

Incisura normale

Grande tuberosità

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Tavola 1.28 Spalla

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 29

LUSSAZIONE POSTERIORE DELL’ARTICOLAZIONE GLENO-OMERALE

Le lussazioni posteriori rappresentano il 5% circa delle lussazioni

della spalla. Nella maggior parte dei casi, l’instabilità posteriore è

traumatica. Analogamente alla lussazione anteriore, anche quel-

la posteriore può essere atraumatica. Una causa atraumatica è

più frequente nell’instabilità posteriore. Questo tipo di instabilità

atraumatica consiste spesso nella sublussazione recidivante o

nel semplice spostamento parziale della testa omerale che dà al

paziente una sensazione di ipermobilità istantanea, dolorosa. L’in-

stabilità è dovuta a lassità legamentosa generalizzata, a ipoplasia

glenoidea congenita con conseguente defi cit osseo della glenoide

posteroinferiore, come mostrato nella Tavola 1.28, o a squilibrio

muscolare, spesso osservato in presenza di scapola alata o di

movimento scapolare anomalo.

La sublussazione con instabilità posteriore atraumatica non è di

solito associata a un difetto o a una lesione della capsula posteriore

o del cercine glenoideo. La lussazione completa della spalla con

la testa dell’omero collocata posteriormente al bordo glenoideo

è associata generalmente a lacerazione della capsula posteriore

e a distacco della parte posteriore del cercine glenoideo, come

avviene per la lussazione anteriore (ad es. lesione di Bankart). La

lussazione posteriore traumatica può essere una deformità fi ssa

che richiede la riduzione da parte di un medico. In questi casi, si

può riscontrare una lesione di Hill-Sachs inversa sulla parte ante-

riore della testa omerale che si verifi ca con lo stesso meccanismo

delle lesioni di Hill-Sachs posteriori, di più comune osservazione. A

differenza della lussazione anteriore, quella posteriore spesso non

viene diagnosticata sulla radiografi a anteroposteriore standard della

spalla, come si osserva nella Tavola 1.28. La lussazione posteriore

è visualizzata molto più facilmente con la proiezione transcapolare

laterale (o vera anteroposteriore della spalla) o con quella ascellare.

Per questo motivo, quando si valuta un paziente che ha subito una

lesione traumatica, è fondamentale includere almeno due di queste

proiezioni radiografi che, se non tutte e tre.

La lussazione posteriore traumatica è più comune in pazienti con

patologie convulsive maggiori. Uno sviluppo difettoso della glenoide

(ipoplasia) si verifi ca in pazienti con anomalie della cartilagine di

accrescimento della glenoide; le porzioni posteriore e inferiore

dell’osso sono meno sviluppate, il che determina una glenoide

ipoplasica.

La riduzione incruenta della lussazione posteriore segue gli stessi

principi della riduzione incruenta della lussazione anteriore. La

trazione longitudinale assiale del braccio e il rilassamento muscolare

sono importanti per una riduzione incruenta non traumatica. Una

pressione sulla parte posteriore della testa dell’omero può aiutare

a ridurre la lussazione, se le prime due parti della procedura non

hanno avuto successo.

Riduzione a cielo aperto. Tendinedel sottoscapolare o piccolatuberosità con tendine trapiantatonel difetto

Lussazione(sottoacromiale)posteriore

Vedutaantero-superiore

Vedutalaterale

Radiografia antero-posteriore. È difficiledeterminare se la testadell’omero si troviall’interno della cavitàglenoide oppure se siaanteriore o posteriore a essa

Radiografia laterale (raggioparallelo al piano del corpodella scapola). Si osservachiaramente che la testadell’omero è posteriorealla cavità glenoide

Vera proiezione ascellare. Anche in questo casola testa dell’omero è posteriorealla cavità glenoide

Piccola tuberosità

GlenoideTestadell’omero

Lesionedi Hill-Sachs“inversa”

Muscolosottoscapolare

Grandetuberosità

Sezione attraverso l’articolazionegleno-omerale normale

Cavità glenoide

Muscolosottospinato Lussazione posteriore. Il bordo posteriore

della cavità glenoide causa una depressionesulla parte anteromediale della testadell’omero (lesione di Hill-Sachs inversa)

Riduzione incruenta. Trazioneverso il basso applicataall’omero associata a pressionein avanti e in basso sulla testadell’omero per ridurla nellacavità glenoide. L’extrarotazioneforzata deve essere evitata,poiché può causare la fratturadella testa o della diafisi

Riduzione incruenta. Difettopersistente, instabilità e tendenzaa lussazione recidivante

Radiografia anteroposteriore che mostraun’assenza della porzione posteroinferioredella glenoide per difetto di sviluppo di essa.Si tratta di una “glenoide ipoplasica”, che puòessere associata a instabilità posteriore

La TC mostra una retroversione della glenoidedi circa 50° in un paziente con glenoide ipoplasica

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Tavola 1.29 Apparato locomotore: VOLUME I

30 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

LUSSAZIONI ACROMIOCLAVICOLARE E STERNOCLAVICOLARE

Le lussazioni acromioclavicolari (AC) sono frequenti lesioni trau-

matiche causate da cadute sulla parte superiore della spalla. Si

osservano spesso in occasione di pratiche calcistiche (calcio,

football americano) o per cadute dalla bicicletta o da cavallo sul

moncone della spalla. La lussazione AC si suddivide in sei tipi diversi

a seconda dell’entità del danno ai tessuti molli e dell’orientamento

dell’estremità acromiale della clavicola:

Grado I: distorsione dei legamenti capsulari AC.

Grado II: rottura completa dei legamenti capsulari AC e stiramento

dei legamenti coracoclavicolari.

Grado III: rottura completa dei legamenti AC e dei legamenti

coracoclavicolari con conseguente instabilità della clavicola.

La parte distale di essa appare spostata in alto, ma a un’analisi

più attenta delle radiografi e o all’esame obiettivo si può os-

servare che le clavicole si trovano alla stessa altezza e che la

scapola e la testa dell’omero sono spostate distalmente per

la gravità e il peso del braccio.

Grado IV: lesioni dei legamenti di grado III, ma con rottura della

fascia del trapezio, che determina quindi una lussazione po-

steriore dell’estremità acromiale della clavicola attraverso il

muscolo trapezio. Questo tipo di lesione si osserva meglio

sulla proiezione radiografi ca ascellare e all’esame obiettivo.

Grado V: lussazione con danno più esteso dei tessuti molli. Oltre

alle lesioni dei legamenti AC e coracoclavicolari, vi è una

rottura completa della fascia del deltoide e del trapezio con

scomposizione molto marcata tra la clavicola e la scapola, pari

a due o tre volte la larghezza della parte distale della clavicola.

Grado VI: rare lesioni derivanti dalla rottura completa dei le-

gamenti e dallo spostamento dell’estremità acromiale della

clavicola sotto la coracoide.

Le lussazioni di grado I e II e la maggior parte delle lesioni di

grado III sono trattate conservativamente. Le lesioni di grado IV,

V e VI, di norma, sono trattate mediante ricostruzione chirur-

gica dei legamenti e riposizionamento della clavicola a livello

dell’acromion. In alcuni pazienti con lesione di grado III che

presentano sintomatologia dolorosa o astenia persistenti o ese-

guono lavori fi sicamente impegnativi si esegue la ricostruzione dei

legamenti AC e la riparazione, con varie tecniche, dei legamenti

coracoclavicolari.

La lussazione sternoclavicolare anteriore è spesso il risultato di

traumi ad alta energia diretti sulla regione anteriore della spalla. La

rottura dei legamenti sternoclavicolare e costoclavicolare determina

una lussazione anteriore completa dell’articolazione sternoclavicolare.

In molti casi, ciò determina una deformità grave e una tumefazione si-

gnifi cativa. In molti di questi casi non è possibile ottenere e mantenere

la riduzione incruenta della lussazione. Queste lesioni sono spesso

trattate in modo conservativo, in quanto molti di questi pazienti, so-

prattutto quelli con fasci legamentosi inferiori integri hanno disturbi

molto modesti. In presenza di dolore residuo e limitazioni funzionali

signifi cative si può effettuare, in casi selezionati, la riduzione e la

ricostruzione dei legamenti in fase cronica. La lussazione posteriore

dell’articolazione sternoclavicolare è una lesione traumatica più grave,

in quanto vi possono essere lesioni o compressione delle strutture

neurovascolari retrostanti. In questi casi, si esegue la riduzione in-

cruenta in anestesia generale. Talvolta possono rendersi necessarie

la riduzione a cielo aperto e la ricostruzione dei legamenti. Nella

maggior parte degli individui, la cartilagine di accrescimento in corri-

spondenza dell’estremità sternale della clavicola non si chiude prima

dei 20 anni. Nei pazienti più giovani, quindi, il trauma determina spes-

so una frattura a livello della cartilagine di accrescimento (distacco

epifi sario). In questi casi, la cartilagine di accrescimento guarisce

come una frattura, i legamenti non si lacerano e la clavicola dopo la

guarigione non presenta instabilità. Sebbene possa essere presente

una deformità, questi pazienti sono perlopiù asintomatici.

Lesione all’articolazione acromioclavicolare.Di solito è causata da una caduta sulla partelaterale della spalla con conseguente abbassamentodell’acromion (separazione della spalla)

Il paziente avrà dolore al di sopradell’articolazione AC

Dolenzia

Grado I Grado II Grado III

Grado IV Grado V Grado VI

Lussazione posteriore dell’articolazione sterno-clavicolare. Può trattarsi di una lesione graveper i possibili danni alla trachea o ai vasi. Siala lussazione posteriore, sia quella anteriore di solitopossono essere ridotte manualmente o per mezzodi un forcipe, sotto anestesia

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Tavola 1.30 Spalla

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 31

FRATTURE DELLA CLAVICOLA E DELLA SCAPOLA

FRATTURE DELLA CLAVICOLA

Le fratture del terzo distale della clavicola sono classifi cate come

quelle che interessano la porzione più laterale della clavicola. Una

frattura di tipo I interessa la clavicola distalmente ai legamenti

coracoclavicolari e non presenta una scomposizione signifi cativa.

Le fratture di tipo II coinvolgono il terzo distale della clavicola

nella regione dei legamenti coracoclavicolari. Queste fratture sono

spesso scomposte in relazione alla sede della frattura rispetto

ai legamenti coracoclavicolari. Le fratture situate medialmen-

te ai legamenti hanno un frammento fratturato laterale stabile,

mentre quelle situate lateralmente con rottura dei legamenti

coracoclavicolari presentano una scomposizione del moncone

clavicolare. Le fratture di tipo III comportano una contusione o

compressione della parte più distale della frattura a livello della

superfi cie articolare. Le fratture di tipo I sono spesso trattate con-

servativamente. Lo stesso vale per le fratture di tipo II con mode-

sta scomposizione mentre quelle con scomposizione signifi cativa

richiedono spesso un’osteosintesi associata a ricostruzione dei

legamenti coracoclavicolari mediante sutura diretta o sostituzione

protesica dei legamenti con strisce di materiale non riassorbibile.

Le fratture di tipo III sono spesso trattate in modo conservativo, ma

in molti casi ne consegue un’artrosi post-traumatica.

Le fratture medioclavicolari interessano il segmento del terzo

medio. Sono molto frequenti in tutte le fasce di età e rappresentano

una delle fratture più comuni dell’intero scheletro. In molti casi,

queste fratture possono essere trattate in modo conservativo.

Il trattamento chirurgico precoce è indicato esclusivamente in

presenza di comminuzione signifi cativa o di marcata scomposizio-

ne della frattura. Nelle fratture gravemente scomposte, possono

verifi carsi una viziosa consolidazione, una pseudoartrosi o una

compromissione importante delle strutture neurovascolari situate

al di sotto della clavicola. Nei casi in cui è appropriato il trattamento

conservativo, l’utilizzo di un tutore o di bretelle a 8 costituisce un

metodo effi cace per mantenere la spalla a riposo e in posizione

adeguata. Il tutore a 8 mantiene la spalla in una posizione di retra-

zione della scapola e aiuta a mantenere fermi i frammenti di frattura

e ad allontanarli per favorire la loro riduzione. La guarigione della

frattura con e, soprattutto senza, fi ssazione interna può determinare

la formazione di un callo esuberante con deformità residua della

clavicola. Deformità minori si rimodellano spesso nel corso del

tempo, fi no al raggiungimento di un aspetto accettabile del profi lo

della spalla.

FRATTURE DELLA CLAVICOLA NEL BAMBINO

Le fratture della clavicola sono tra le lesioni fratturative più fre-

quenti dell’età infantile e possono essere causate sia da un trauma

diretto sulla clavicola, sia da un trauma indiretto per una caduta

sul braccio esteso. Nel bambino la clavicola presenta un grande

potenziale di guarigione e, anche in presenza di comminuzione

Fratture del terzo laterale della clavicola

FRATTURE DELLA CLAVICOLA

Tipo I. Frattura senza rottura dei legamentie, pertanto, senza sposta-mento del frammento fratturato. Trattatacon semplice tutoreper poche settimane

Tipo IIA. Frattura mediale ai legamenti. Entrambi i legamenti sono intatti

Tipo IIB. Fratturatra i legamenti;il conoide è lacerato,il trapezoide è intatto. Il frammento mediale può sollevarsi

Tipo III. Frattura attraverso l’articolazione acromio-clavicolare; nessuna scomposizione. Spessonon viene diagnosticatae, successivamente,può causare artrosi dolorosache richiede un’artroplastica di resezione

Tipo IIB

Frattura della clavicola nel bambinoFrattura scompostadel terzo mediodella clavicola destracon accavallamentodei due capi ossei

Corpo clavicolare

Coracoide

Frammento lateraledella clavicola fratturato

In genere causata da una caduta sullamano estesa, in cui la forza è trasmessaalla clavicola attraverso la spalla

Frattura immobilizzata per 3-4 settimane con tutore morbidodisponibile in commercio, fornito di bretelle incrociate a 8

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Tavola 1.31 Apparato locomotore: VOLUME I

32 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

FRATTURE DELLA CLAVICOLA E DELLA SCAPOLA (Seguito)

o deformità, queste fratture guariscono e si rimodellano meglio

rispetto allo stesso tipo di frattura nell’adulto. La maggior parte

dei bambini con una frattura clavicolare senza lesioni della cute o

lesioni neurovascolari può essere trattata con successo in modo

conservativo. L’utilizzo del tutore a 8 mantiene in buona posizione la

frattura e ne consente la guarigione. Con questo tipo di frattura non

si ottiene un’effettiva immobilizzazione dei frammenti di frattura e

la gestione del dolore consiste principalmente nella diminuzione

del livello di attività fi sica e nell’assunzione di analgesici. In età

pediatrica, una suffi ciente riduzione della mobilità dei frammenti

fratturati si verifi ca tra 4 e 6 settimane dalla lesione.

La consolidazione della frattura impiega un tempo considerevol-

mente maggiore e, quindi, di solito, questi pazienti devono evitare

di partecipare ad attività sportive per 3 mesi e a qualsiasi sport di

contatto per 4-6 mesi.

FRATTURE DELLA SCAPOLA

Le fratture della scapola derivano spesso da traumi ad alta energia

sulla gabbia toracica. Non raramente possono essere associate

ad altre lesioni viscerali o toraciche, quali le fratture delle coste.

Possono verifi carsi anche fratture del bordo glenoideo per interes-

samento traumatico della spalla. Le fratture anteriori del bordo

glenoideo derivano spesso da una lussazione anteriore, mentre

quelle posteriori da una lussazione posteriore della spalla. In questi

casi, l’intervento chirurgico precoce deve essere eseguito per la

riduzione del frammento e la fi ssazione interna, quando quest’ultimo

è di grandi dimensioni e scomposto. Nel caso di piccoli frammenti

isolati, si può ricorrere alla chirurgia artroscopica.

Le fratture acromiali derivano spesso da traumi diretti sulla

parte superiore della spalla. È possibile che si rilevi un frammento

di osso non fuso al resto dell’acromion, espressione di un centro di

ossifi cazione dell’acromion rimasto isolato, che può avere l’aspetto

di una frattura, ma non è correlato al trauma. Questo frammento,

frequentemente associato a patologia cronica della cuffi a dei rotatori

è il cosiddetto “os acromiale”. Queste anomalie di accrescimento

sono mostrate nella Tavola 1.39.

I frammenti fratturati possono comprendere diverse porzioni

del corpo della scapola. Le fratture del corpo o del collo che non

sono scomposte o che sono solo moderatamente scomposte

molto spesso sono trattate con misure conservative. I frammenti

fratturati che interessano la superfi cie articolare della glenoide con

scomposizione sono spesso trattati chirurgicamente, in particolare

quelli associati a una dislocazione anteriore o posteriore della spalla.

Questi frammenti fratturati sono spesso causa di un’instabilità

persistente della spalla. Fratture scomposte della fossa glenoidea

possono altresì provocare un’artrosi post-traumatica signifi cativa.

Frattura del terzo medio della clavicola (tipo più comune). Frammento mediale dislocato superiormente per trazione del muscolo stenocleidomastoideo; frammento laterale spostato inferiormente per il peso della spalla. Queste fratture si verificano spessoin età pediatrica

Radiografia anteroposteriore. Frattura del terzo medio della clavicola.

Frattura del terzo medio della clavicola, trattata nel modo migliore con tutore a 8 o con bretelle ortopedicheper clavicola. Il tutore o le bretelle devono essere strettidi tanto in tanto, perché non si allentino

Frattura della clavicola guarita. Anche con un trattamento adeguato, può residuare una modesta prominenza

Fratture della scapola

Corpo

Collo

Collo più pilone laterale

Cavità glenoide

Processo coracoideo

Spina Acromion

FRATTURE DELLA CLAVICOLA E DELLA SCAPOLA

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Tavola 1.32 Spalla

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 33

Tendinite e borsite cronica con deposito calcificonel tendine e minima infiammazione. I depositi cronici nonsi rompono spontaneamente, ma possono essere riassorbiti

La chirurgia artroscopica consentedi visualizzare e localizzare il depositocalcifico all’interno del tessuto tendineodella cuffia dei rotatori

Il deposito può rompersi spontaneamentenella borsa ed essere riassorbito, con scomparsadel dolore e dell’infiammazione acuta

Il deposito calcifico può rompersispontaneamente sotto il pavimentodella borsa, con conseguente riduzionedel dolore e dell’infiammazione

AcromionBorsa sottodeltoidea

Muscolodeltoide

Tendine del muscolo sopraspinato

CapsulaScapola

L’abduzione del braccio provoca un attrito cronicotra grande tuberosità dell’omero e acromion,con conseguente degenerazione e infiammazionedel tendine sopraspinato, infiammazionesecondaria della borsa e dolore nell’abduzionedel braccio. La formazione di un deposito calcificonel tendine degenerato produce una protuberanzadel tendine che aggrava ulteriormente l’infiammazionee il dolore

Nella tendinite acuta, la rottura del deposito con un ago allevia rapidamente i sintomi acuti. Dopo la somministrazionedi un anestetico locale, viene inserito un ago nell’area più dolorosa. Possono essere necessari diversi tentativi per raggiungereil deposito. Questa procedura deve essere eseguita sotto guida ecografica. Il deposito, di consistenza pastosa, può fuoriuscire dall’ago. Spesso si effettua l’irrigazionedella borsa con soluzione fisiologica mediante due aghi per rimuovere una maggiore quantità di materiale calcifico. Può essere iniettatoun corticosteroide per dare ulteriore sollievo

TENDINITE CALCIFICA

I depositi di calcio nei tendini della cuffi a dei rotatori compaiono se-

condariamente a uno stato ipossico all’interno del tessuto tendineo

degenerato. Nella fase di formazione del deposito, si manifestano

pochi sintomi. Durante la fase di riassorbimento, nei tessuti si inne-

sca una risposta infi ammatoria acuta associata a intenso dolore,

aumento della temperatura tissutale e, talvolta, arrossamento e

tumefazione locale. Nella fase acuta di riassorbimento, il quadro

clinico può sembrare compatibile con un’infezione.

La fase acuta può essere trattata con iniezioni locali di cortisone

nella borsa sottoacromiale e la somministrazione orale di farmaci

antinfi ammatori. In fase cronica, in presenza di dolore persistente,

refrattario al trattamento conservativo, si può eseguire un lavaggio-

aspirazione del calcio della lesione sotto guida ecografi ca.

Il quadro clinico delle calcifi cazioni della cuffi a dei rotatori è

variabile. In alcuni casi il deposito di calcio viene riscontrato ac-

cidentalmente sulle radiografi e, in pazienti con una storia clinica

negativa per sintomatologia alla spalla o solo un’anamnesi remota

di dolore alla spalla possibilmente associabile alla calcifi cazione. In

alcuni pazienti un episodio acuto di dolore e infi ammazione è as-

sociato al riassorbimento del deposito, con risoluzione dei sintomi.

Altri pazienti hanno episodi ricorrenti di dolore acuto e intenso alla

spalla associati a intervalli di benessere; altri ancora presentano

dolore cronico continuo da lieve a moderato con alcuni episodi di

dolore marcato. Nella maggior parte dei casi si tratta di pazienti

con numerosi episodi di dolore intenso o con sintomi cronici, che

non rispondono al trattamento conservativo e nei quali è indicata

la rimozione del deposito di calcio.

La chirurgia artroscopica consente di visualizzare e di localizzare

il deposito calcifico all’interno del tessuto tendineo della cuffia

dei rotatori. Sotto visualizzazione diretta, la lesione può essere

rimossa interamente con uno strumento motorizzato (sinoviotomo).

All’intervento chirurgico il deposito di calcio appare sotto forma di

una protuberanza all’interno del tendine, spesso circondato da vasi

sanguigni dilatati. I reperti operatori e il quadro clinico sono variabili.

Nella maggior parte dei casi che richiedono l’intervento chirurgico,

quando il deposito di calcio è aperto, fuoriesce da esso una grande

quantità di detriti di calcio sotto forma di granuli sotto pressione

dall’interno del tessuto tendineo. In una fase successiva, dopo

l’apertura del deposito il materiale presente ha più una consistenza

pastosa. La rimozione del deposito può provocare un difetto di tes-

suto nel contesto del tendine. Se il difetto è di grandi dimensioni,

può essere opportuno riparare, in artroscopia, la cavità che residua

nel tendine mediante punti di sutura passati attraverso i lembi della

lesione. Altre tecniche utilizzate per la rimozione dei depositi di calcio

nella cuffi a dei rotatori comprendono l’uso di ultrasuoni a bassa o

alta energia (onde d’urto) e l’aspirazione con ago sotto controllo

fl uoroscopico. L’intervento chirurgico a cielo aperto viene eseguito

raramente, in quanto le attuali tecniche minimamente invasive sono

altrettanto effi caci e presentano una morbilità minore.

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Tavola 1.33 Apparato locomotore: VOLUME I

34 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

Aderenzedella capsulaperifericaalla cartilaginearticolaredistale

Capo lungo delbicipite all’internodel solco bicipitale

Ampiezzaridotta dellacapsula inferiore

Le aderenzeobliteranoil recessoascellaredella capsula

Sezione coronale della spalla in cui vengono mostrate le aderenzetra la capsula e la parte periferica della testa dell’omero

Reperti intra-articolari di sinovite e riduzione di ampiezzadella capsula e release (sezione) capsulare (frecce) effettuatocon chirurgia artroscopica

Mobilità passiva e attiva della spalladestra notevolmente limitate. L’abduzioneè dovuta principalmente al movimentoscapolotoracico. I movimentidella spalla sono ridotti in tuttii piani e provocano dolorequando si raggiunge il massimodel movimento consentito

L’ispezione posteriore rivelaatrofia da disuso dei muscoliscapolare e deltoide. Le lineetratteggiate, che indicanola posizione della spina dellascapola e dell’asse dell’omerodi ciascun lato, mostranouna riduzione da lieve a moltomarcata dell’articolaritàgleno-omerale

Artrogramma anteroposteriore dellaspalla normale (in basso). Sono visibililo sfondato ascellare e la guaina deltendine bicipitale. Il volume capsulareè nella norma. Artrogramma antero-posteriore di spalla congelata (in alto).La capacità articolare è ridotta. Non siapprezzano lo sfondato ascellaree la guaina del tendine bicipitale

QUADRO CLINICO DELLA SPALLA CONGELATA

SPALLA CONGELATA (CAPSULITE ADESIVA)

La patologia clinica e anatomica della spalla congelata (detta anche

spalla rigida o capsulite adesiva) deriva da una sinovite infi ammato-

ria acuta seguita da una fi brosi dei tessuti molli intracapsulari, con

conseguente contrattura della capsula. Sono state rilevate analogie

tra la spalla congelata e la malattia di Dupuytren della fascia palmare

della mano. Quest’ultima è stata associata a presenza, nel tessuto

fi broso, di miofi broblasti, cellule che possono essere riscontrate

anche nella capsula della spalla in caso di spalla congelata. La

spalla congelata è osservata spesso in associazione a diabete o

disturbi della tiroide. I pazienti con queste patologie sistemiche

associate presentano spesso una rigidità della spalla più grave e

più facilmente refrattaria ai trattamenti. In questi pazienti, la fase di

recupero è più lunga e il tasso di recidiva e il numero di fallimenti

del trattamento sono maggiori sia con la terapia conservativa, sia

con quella chirurgica.

Un contributo è dato dalla terapia intra-articolare con un cor-

ticosteroide, in particolare nel trattamento delle fasi precoci della

malattia in cui vi è infi ammazione acuta della sinovia. Quando

la malattia progredisce e passa alla seconda fase con un grado

maggiore di fi brosi e poche alterazioni infi ammatorie, le infi ltrazioni

di corticosteroidi sembrano avere un effetto terapeutico minore. Il

trattamento conservativo si concentra sulla mobilizzazione passiva

della spalla, che deve interessare tutte le porzioni della capsula

e tutti gli archi di movimento, comprendendo esercizi di fl essione

anteriore, abduzione, intrarotazione ed extrarotazione. In molti

casi la mobilizzazione causa un dolore signifi cativo e, per questo,

il programma di esercizi deve essere eseguito con delicatezza, ma

con frequenza quotidiana. Sono preferibili i programmi di esercizi

praticabili a domicilio, stabiliti da un fi sioterapista. Gli esercizi di

stretching della fase I e della fase II sono mostrati in seguito, nella

sezione relativa alla riabilitazione. A domicilio, gli esercizi devono

essere eseguiti ogni giorno e frequentemente per brevi periodi di

tempo. In genere, ogni sessione deve comprendere cinque tipi di

esercizi di allungamento selezionati tra quelli mostrati in seguito,

nella sezione della riabilitazione, ciascuno della durata di 2 minuti,

per un totale di 10 minuti di esercizi, a intervalli regolari, almeno

cinque volte al giorno. Seguendo con costanza questo programma,

accompagnato da una buona terapia antalgica, in genere si assiste

a un miglioramento signifi cativo dopo 6-8 settimane. Una volta che

il dolore è diminuito e la mobilità ha raggiunto l’80% circa rispetto

alla norma, si può aggiungere un programma di potenziamento,

ridurre la frequenza del programma di stretching e aumentare la

durata di ogni sessione a 15-20 minuti per tre volte al giorno.

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Tavola 1.34 Spalla

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 35

SPALLA CONGELATA (CAPSULITE ADESIVA)(Seguito)

Grado di rotazionein posizione seduta

Il grado di rotazionealla flessionepassiva normalmenteè una combinazionedi movimentoscapolaree gleno-omerale

Immobilizzazionecon apparecchio gessatoo tutore dopo interventochirurgico o trauma

Problemi alla tiroide

Diabete

Riposo prolungato a letto

Grado di rotazione nella flessione passiva effettuatadall’operatore, isolando il movimento gleno-omerale.Si può valutare che il massimo di elevazione è dovutointeramente alla mobilità scapolotoracica muovendoil braccio mentre si palpa l’angolo inferiore della scapola

Una mano sulla scapola elimina il movimentoscapolare nel sollevamento del braccio

Grado di rotazionein posizione supinainferiore rispettoalla spalla opposta:ciò indica perditadella mobilità passiva

Stessa rotazione in posizioneseduta e supina

Braccio interessatoBraccio normale

Perdita dell’extrarotazione passiva

Flessione passiva dell’arto

Fattori di rischioFATTORI DI RISCHIO E TEST PER LA SPALLA CONGELATA

In una piccola percentuale di pazienti con sintomi clinici refrattari

associati a perdita signifi cativa dei movimenti passivi, il trattamento

chirurgico può essere molto effi cace. La spalla congelata idiopatica

(capsulite adesiva) risponde bene sia al trattamento conservativo sia

a quello chirurgico. La sezione artroscopica della capsula articolare

in tutte le sue porzioni costituisce un trattamento effi cace per rila-

sciare il tessuto contratto, facilitare il movimento e consentire la

riabilitazione postoperatoria. La terapia antalgica postoperatoria

deve prendere in considerazione i blocchi regionali. Come in tutti

i tipi di trattamento, questa terapia è importante e consente un

programma di riabilitazione postoperatoria effi cace.

L’esame della spalla congelata dimostra perdita della mobilità

passiva dell’articolazione; la posizione migliore per la valutazione è

quella supina, come mostrato nella Tavola 1.34 . Quando l’operatore

cerca di sollevare ulteriormente il braccio, la sua mano percepisce

perdita della mobilità gleno-omerale, e le fasi fi nali del sollevamento

sono interamente dovute al movimento toracoscapolare. Inoltre,

la perdita dell’extrarotazione può essere valutata in posizione sia

supina sia seduta, come mostrato nella Tavola 1.34 . Il movimento

deve essere esaminato sia per la mobilità passiva, sia per quella

attiva. La perdita della mobilità attiva nel contesto di un movimento

passivo normale è spesso dovuta a ipotonia muscolare, secondaria

a prolungata mancanza di funzione della cuffi a dei rotatori e degli

altri muscoli della spalla ( Tavole 1.38, 1.40 e 1.43 ).

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Tavola 1.35 Apparato locomotore: VOLUME I

36 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

BICIPITE, ROTTURE TENDINEE E LESIONI SLAP

La classica deformità “Popeye” del bicipite è dovuta a rottura del

tendine del capo lungo del bicipite (tendine bicipitale) a livello del

solco bicipitale. In caso di retrazione del tendine distalmente, il

muscolo si accorcia causando un “accorciamento” del suo ventre.

Si tratta di una patologia comune, spesso associata a rottura della

cuffi a dei rotatori o alla sindrome da attrito ( Tavola 1.41 ). In molti

casi, la persistenza di sintomi alla spalla dopo la rottura del tendine

bicipitale è correlata alla patologia della cuffi a dei rotatori piuttosto

che alla lacerazione del tendine del bicipite. Se i sintomi persistono

dopo la rottura del tendine bicipitale, è opportuno valutare la cuffi a

dei rotatori mediante risonanza magnetica (RM) o ecografi a. In

alcuni pazienti, benché non di frequente, la lacerazione isolata

del capo lungo del bicipite può determinare dolore o crampi al

bicipite nella flessione forzata del gomito o nella supinazione

dell’avambraccio, funzioni espletate entrambe dal bicipite. Le

rotture isolate del capo lungo del bicipite sono perlopiù asinto-

matiche, dopo i primi giorni o settimane di fastidio locale. Pertanto

la maggior parte di esse non necessita di riparazione chirurgica, in

particolare nei pazienti di età avanzata o più sedentari. In alcuni casi

la lacerazione acuta isolata in pazienti giovani e attivi deve essere

presa in considerazione per la riparazione chirurgica. All’intervento,

l’estremità lacerata del tendine del capo lungo del bicipite viene

suturata all’interno del solco bicipitale usando un’ancora intro-

dotta nell’osso, con i cui fi li di sutura si afferra e traziona in alto

il tendine. In alternativa, il tendine può essere suturato ai tessuti

molli locali, quali il tendine del grande pettorale o il capo breve del

bicipite. Questa procedura è defi nita “tenodesi del bicipite” e può

essere effettuata in artroscopia quando il tendine è distaccato

Rottura del tendine del capo lungo del bicipite destroevidenziata dalla flessione attiva del gomito

Rotturaprossimaledel tendinebicipitale

1. Sollevamento anteriore contro resistenza con il braccionel piano sagittale, perpendicolare al piano del corpo,sollevato di 90° e completamente intrarotato. Per risultare positivo,il paziente deve avvertire dolore nella regione anterioredella spalla alla pressione verso il basso sul braccio.

3. Per completare l’esame, il braccio viene valutato contro resistenzain intrarotazione completa e sollevato di 90° sul piano della scapola(posizione del test di Jobe). Se in questa posizione il doloreè notevolmente minore rispetto alla prima posizione, si ha una confermache esso non deriva dalla parte superiore della cuffia dei rotatori(ossia dal sopraspinato), ma dalle sedi di inserzione del tendine bicipitale,del cercine superiore o del tendine del sottoscapolare.

2. Il dolore scompare o diminuiscese si extrarota il braccio, mantenendocomunque la posizione di flessione.

Segno di O’Brien in tre parti

BICIPITE, ROTTURE DEL TENDINE E LESIONI SLAP: PRESENTAZIONE ED ESAME OBIETTIVO

dall’inserzione ossea, nei casi in cui la procedura artroscopica è

effettuata per una lesione SLAP (distacco del cercine glenoideo

dalla parte anteriore a quella posteriore) e all’intervento si trova

una lesione del tendine bicipitale. Quando si esegue una teno-

desi per il trattamento di una rottura acuta, la riparazione viene

effettuata più spesso mediante intervento chirurgico a cielo aperto

attraverso una piccola incisione deltopettorale o subpettorale.

Nei casi in cui si riscontra una condizione patologica del tendine

bicipitale (rottura parziale, avanzata degenerazione) nel suo de-

corso intra-articolare oppure della parte superiore del cercine

glenoideo con coinvolgimento del tendine bicipitale, questo viene

tagliato a livello della doccia bicipitale, e non fi ssato all’osso,

lasciando che si retragga distalmente. La stessa procedura viene

effettuata in presenza di marcate alterazioni del tendine associate

a una patologia della cuffi a dei rotatori in un paziente anziano e

con attività sedentaria. Sebbene la sezione del tendine bicipitale

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Tavola 1.36 Spalla

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 37

BICIPITE, ROTTURE TENDINEE E LESIONI SLAP(Seguito)

Tipo Ispesso associato al normaleprocesso di invecchiamento

Tipo II rottura e distaccodell’inserzionedel capo lungodel bicipite

Tipo III rottura del cercinesuperiore senzacoinvolgimentodel capo lungodel bicipite

Tipo IV rottura del cercinee del tendine bicipitale

Immagine artroscopica del tipo III. Interessamentodel cercine superiore e del tendine del bicipite,ma con coinvolgimento meno grave del tessutotendineo del bicipite, mentre è interessatal’inserzione del tendine

Immagine artroscopica del tipo IV. Coinvolgimentodel cercine superiore insieme al tendine bicipitale

BICIPITE, ROTTURA DEL TENDINE E LESIONI SLAP: TIPI DI ROTTURA

determini una deformità “Popeye”, questa non causa disturbi e

il dolore che prima dell’operazione era dovuto alle alterazioni del

tendine scompare.

Il tendine del bicipite si inserisce sul cercine superiore anterior-

mente e posteriormente. Le lesioni SLAP ( Superior Labrum Anterior

Posterior ) di tipo I sono comuni e spesso legate al normale processo

di invecchiamento, pertanto sono di rado realmente patologiche

e associate a sintomi signifi cativi. Analogamente, le lesioni di tipo

II osservate tipicamente nella popolazione di età avanzata sono

spesso asintomatiche. Le lesioni SLAP di tipo II possono essere

sintomatiche quando sono acute e traumatiche. Si osservano spes-

so dopo una caduta sul braccio esteso o per microtraumi reiterati

in atleti che praticano sport che comportano movimenti a braccio

abdotto ed extrarotato (come per lanciare una palla) e possono

richiedere la riparazione chirurgica.

Le lesioni di tipo III comportano una lacerazione a manico di

secchio del cercine superiore con sintomi meccanici senza coinvol-

gimento del tendine del bicipite; esse possono richiedere un tratta-

mento chirurgico di rimozione della porzione del cercine distaccata.

Le lesioni SLAP di tipo IV interessano sia il cercine superiore sia

il tendine del capo lungo del bicipite. Sono spesso sintomatiche

e in genere vengono trattate mediante rimozione del tessuto del

cercine e tenodesi del bicipite. In alternativa, il tendine del bicipite

e la lesione SLAP possono essere riparati se la qualità del tendine

è buona e la lesione è relativamente piccola. Tipologie più rare di

lesione SLAP sono associate a lacerazioni che si estendono nel

cercine anteroinferiore (lesioni di Bankart del cercine) e a instabilità

gleno-omerale. In questi casi entrambe le lesioni, se sintomatiche,

vengono riparate al momento dell’intervento chirurgico, di norma

con tecniche artroscopiche.

La diagnosi delle lesioni SLAP viene effettuata mediante diverse

manovre, tra cui quella di O’Brien. Questa consiste in una serie di

tre manovre, come mostrato e descritto nella Tavola 1.35 . Il test è

positivo per una lesione SLAP quando causa dolore nella regione

anteriore della spalla nella fl essione del braccio contro resistenza.

Il dolore diminuisce o scompare nella extrarotazione del braccio o

se questo è intrarotato, ma posto nel piano della scapola.

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Tavola 1.37 Apparato locomotore: VOLUME I

38 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

Immagine artroscopica dello spaziosottoacromiale in prossimitàdell’articolazione AC primadella rimozione dei tessuti mollidell’articolazione AC

Dopo l’utilizzo di una fresae di un sinoviotomo, si creauno spazio (freccia) di circa 1 cm tral’estremità della clavicola e la porzionemediale dell’acromion

Quando sintomatica, l’articolazione ACcausa dolore nella parte superioredella spalla. Anche infilarsi una magliettao portare la mano verso la spalla opposta(lavarsi, toccarla) causano dolore

ArticolazioneAC

Acromionnormale

Acromion

Chirurgia artroscopica per il trattamento delle artropatie AC

Estremitàdella clavicolacon cartilaginearticolaredegenerata

Acromion

Clavicola

Clavicola

Veduta dell’estremità acromiale della clavicola dopola rimozione dei tessuti molli a livello della facciainferiore dell’articolazione. Vi sono significativealterazioni degenerative dell’articolazione

ARTROPATIE DELL’ARTICOLAZIONE ACROMIOCLAVICOLARE

L’articolazione AC si forma come articolazione di tipo sinoviale tra

l’estremità acromiale della clavicola e l’acromion. Può divenire

artrosica, come può accadere per tutte le altre articolazioni. Quando

è sintomatica, l’artrosi di questa articolazione provoca dolore nella

regione superiore della spalla. Talvolta il dolore si irradia nell’area

del trapezio ed è spesso maggiore all’intrarotazione, ad esempio

quando si porta il braccio dietro la schiena. L’artrosi AC viene spesso

diagnosticata mediante esami di imaging, tra cui la radiografi a an-

tero-posteriore e la RM della spalla. Può apparire come una lesione

isolata o essere associata a patologie della cuffi a dei rotatori o altre

patologie sottoacromiali. È considerata clinicamente signifi cativa

se le manovre provocative del dolore sono positive. La diagnosi

clinica di artrosi dell’articolazione AC viene posta in presenza di

osteofi ti marginali acromiali e/o clavicolari o a presenza di cisti nei

capi articolari.

L’infi ltrazione di un anestetico locale nell’articolazione AC allevia

temporaneamente il dolore causato dalla palpazione o dai test

provocativi e aiuta a stabilire se l’articolazione è l’unica respon-

sabile del dolore alla spalla o ne è un fattore signifi cativo. Bisogna

considerare che molti pazienti presentano alterazioni artrosiche

sulle radiografi e e nelle immagini di RM, ma non hanno sintomi cli-

nicamente signifi cativi che richiedano trattamenti. È da sottolineare,

inoltre, che i sintomi e i reperti obiettivi di dolore per una patologia

dell’articolazione AC sono molto simili a quelli di una patologia della

cuffi a dei rotatori e che le due condizioni possono coesistere. Se un

dolore clinicamente signifi cativo causato dall’articolazione AC non è

riconosciuto come un problema distinto da patologie concomitanti

delle strutture sottoacromiali, persisterà un dolore residuo dopo

l’eventuale trattamento adeguato delle altre patologie. Quindi, in

presenza di dubbi sul ruolo dell’articolazione AC, un corretto esame

obiettivo e l’infi ltrazione di anestetico sono importanti per una dia-

gnosi completa della patologia.

Il dolore all’articolazione AC dovuto ad artrosi o altre patologie

locali (infi ammatorie, osteonecrotiche) può essere spesso trattato con

farmaci antifl ogistici, modifi cazione delle attività fi siche e, talvolta,

infi ltrazioni cortisoniche nell’articolazione AC ( Tavola 1.54 ). Quando

i sintomi restano persistenti e signifi cativi per lungo tempo, può

essere indicato resecare l’estremità acromiale della clavicola in

artroscopia. Questo trattamento è defi nito  resezione artroplastica  ed

è di solito risolutivo della sintomatologia. La tecnica chirurgica artro-

scopica consiste nell’asportare i legamenti AC, senza ledere quelli

coracoclavicolari e nell’asportare circa 1 cm dell’estremità acromiale

della clavicola. Poiché i veri stabilizzatori di questa sono i legamenti

coracoclavicolari, la clavicola conserva la sua stabilità.

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Tavola 1.38 Spalla

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 39

SINDROME DA ATTRITO E CUFFIA DEI ROTATORI

I reperti associati a patologie che interessano la cuffi a dei rotatori

comprendono dolorabilità alla pressione sulla cuffi a dei rotatori, segni

di attrito (o confl itto) positivi e ipotonia della cuffi a dei rotatori dimo-

strata da lag sign per l’intrarotazione e l’extrarotazione. Tutti questi

reperti sono dimostrati nelle Tavole 1.38, 1.40 e 1.43 .

I test di Hawkins e di Neer sono comunemente defi niti “test di

di attrito (o confl itto)”, poiché sono spesso positivi in presenza di

infi ammazione, degenerazione o rottura delle componenti superiore

e posteriore della cuffi a dei rotatori. Il dolore provocato da questi

test all’esame obiettivo deriva da compressione per contatto o

da stiramento indotto su queste componenti della cuffi a dal pas-

saggio della testa dell’omero sotto l’arco coracoacromiale oppure

dal contatto con il bordo glenoideo. In alcuni casi questi test sono

ambigui, ossia non è chiaro all’operatore se il dolore causato da

essi abbia origine da una condizione patologica dello spazio sottoa-

cromiale (ad es. borsite, rottura parziale della cuffi a dei rotatori o

rottura completa). In questi casi, l’operatore può eseguire il test

dopo l’infi ltrazione di 10 mL di un anestetico locale (lidocaina o

altro anestetico) nello spazio sottoacromiale in condizioni di sterilità.

Il metodo di infi ltrazione è mostrato in seguito, nella parte relativa

alle tecniche di infi ltrazione. Parecchi minuti dopo l’infi ltrazione,

Palpazione dello spazio sottoacromiale.Spesso si suscita più facilmente doloresulla grande tuberosità se il braccio vieneintrarotato dietro il tronco

Il test per la rottura parziale o completadella cuffia è rappresentato dall’incapacitàdi mantenere l’abduzione a 90° contro lieveresistenza, spesso dovuta a minor forzacausata dal dolore. Per rotture più ampie,questo test dimostra una reale mancanzadi forza

Test di attrito di Hawkins. Il braccioè posto in intrarotazione passiva completae in abduzione da 90° nel piano della scapola

Test di attrito di Neer. Flessionepassiva completa dell’arto nel piano sagittale.In questa manovra il dolore è provocatonella parte superiore e laterale della spalla

SINDROME DA ATTRITO E CUFFIA DEI ROTATORI: PRESENTAZIONE E DIAGNOSI

l’operatore ripete i test, che vengono considerati positivi se vi è una

riduzione signifi cativa del dolore prodotto da queste manovre prima

dell’infi ltrazione (di solito miglioramento dal 50 al 100%).

L’acromion, la coracoide e il legamento acromioclavicolare for-

mano l’arco coracoacromiale. In molti casi, un dolore cronico alla

spalla è causato da una ristrettezza dello spazio sottoacromiale o

dello spazio sottocoracoideo. Lo spazio sottoacromiale è lo spazio

tra la superfi cie inferiore dell’acromion e la cuffi a dei rotatori, spazio

occupato da una borsa sierosa (borsa sottoacromiale). Questo spazio

può essere ristretto da prominenze ossee che si formano al di sotto

dell’acromion per ossifi cazione del legamento coracoacromiale o

da una prominenza ossea del bordo antero-laterale dell’acromion.

Queste alterazioni possono causare irritazione meccanica della

borsa sottoacromiale e della cuffi a dei rotatori sottostante. Non è

noto se esse si formino prima e poi causino irritazione meccanica

della cuffi a dei rotatori, determinandone rotture parziali o a tutto

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Tavola 1.39 Apparato locomotore: VOLUME I

40 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

SINDROME DA ATTRITO E CUFFIA DEI ROTATORI(Seguito)

Immagine artroscopica che mostra la faccia inferioredell’acromion con rimozione parziale della prominenzapresente sulla porzione laterale dell’osso

RM sagittale e coronale di una parte di acromion non fusa(freccia) (il meso “os acromiale” è il tipo più comune)

Immagine artroscopica di un “meso os acromiale” Immagine artroscopica della rimozionedella porzione anteriore dell’acromion (frecce)in un paziente di età avanzata e poco attivo.La riduzione a cielo aperto e la fissazioneinterna possono essere preferibili in un pazientepiù giovane e più attivo

Acromionmedialefresatoche presentauna promi-nenza ossea

Acromionlateralefresato

Acromioncomple-tamentefresatoe levigatodopo rimozionedella promi-nenza ossea

SINDROME DA ATTRITO E CUFFIA DEI ROTATORI: IMAGING RADIOLOGICO E ARTROSCOPICO

Immagine artroscopica che mostra il completamentodell’acromioplastica, con l’acromion resototalmente liscio e piatto

spessore, o se le lesioni provochino ipotonia della cuffi a dei rotatori,

con conseguenti alterazioni dell’acromion. In entrambi i casi, esse

possono contribuire al dolore associato all’impingement.

L’attrito sottoacromiale e i sintomi a esso correlati possono

derivare anche dalla mancata fusione dei centri di ossifi cazione

dell’acromion nei primi anni della vita adulta, con conseguente

presenza di una malformazione denominata “os acromiale”.

Questa condizione può comportare più elevate probabilità di rottura

della cuffi a dei rotatori. Inoltre, la rottura può essere spesso ampia

e può verifi carsi in età più giovanile rispetto alle rotture dovute

tipicamente a una degenerazione tendinea. La forma più comune di

“os acromiale” consiste nella mancata fusione della metà anteriore

con quella posteriore dell’acromion, con conseguente formazione

della condizione defi nita “meso os acromiale”. Queste anomalie

acromiali, che peraltro possono essere asintomatiche, non devono

essere scambiate per una frattura recente acuta o una pseudoar-

trosi dell’acromion. In alcuni casi è visibile, sulla radiografi a, una

linea radiotrasparente corrispondente al tessuto fi broso che divide

il corpo dell’acromion dalla porzione rimasta separata, che peraltro

non è di solito mobile. Nel 60% circa dei casi l’anomalia è bilaterale.

Poiché l’“os acromiale” è spesso inclinato verso il basso, esso può

essere responsabile di un attrito cronico con la cuffi a e causarne

la rottura. La radiografi a ascellare, la TC e la RM consentono di

visualizzare nel modo migliore l’“os acromiale”. La rimozione ar-

troscopica di esso è riservata di solito ai soggetti meno attivi. Più

spesso il trattamento consiste nella riduzione a cielo aperto e nella

fi ssazione interna con viti, o talvolta con fi lo metallico, nei soggetti

che effettuano attività fi siche o lavori pesanti, o che partecipano a

determinate attività sportive.

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Tavola 1.40 Spalla

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 41

Segno del sollevamento. Estesa rottura della cuffia sinistra. Per effettuare l’abduzione, il muscolo trapezio si contrae fortemente, ma traziona solo la scapola verso l’alto (freccia). Questa condizione deve essere distinta dalla spalla congelata (Tavola 1.33), in cui sia la mobilità attiva sia quella passiva sono nettamente ridotte

Lag sign. Rotture più ampie determinano perdita di varia entità della flessione e dell’extrarotazione attiva

Una volta rilasciato,il braccio cadein basso,dimostrandoun’ipovaliditàdegli extrarotatoridella cuffia(sottospinatoe piccolo rotondo)

L’operatore posiziona il braccio del pazientein modo da ottenere l’extrarotazione passivacompleta, distinguendo così una rottura della cuffiadalla spalla congelata (si veda Tavola 1.33)

Perditadellaflessionedel braccio

Perditadell’extraro-tazione

Rottura della cuffia dei rotatori a sinistra

ROTTURE DELLA CUFFIA DEI ROTATORI: ESAME OBIETTIVO

I tendini della cuffi a dei rotatori circondano la testa dell’omero e

contribuiscono in misura determinante ai movimenti dell’omero e

alla forza di essi. Insieme al muscolo deltoide consentono il solleva-

mento dell’arto. La presenza di rotture ampie della cuffi a dei rotatori

comporta l’incapacità parziale o completa di sollevare l’arto e una

conseguente ipotrofi a muscolare. Spesso si provoca dolore e si

avvertono crepitii sottoacromiali nei movimenti rotatori del braccio.

Il defi cit di extrarotazione è dimostrato dal cosiddetto lag sign e

indica l’insuffi cienza funzionale dei tendini del sopraspinato e del

sottospinato e, talvolta, del tendine del piccolo rotondo. Le rotture

che interessano questi tendini possono comportare la positività del

lag sign per l’extrarotazione. L’entità del defi cit è rivelata dal grado di

caduta del braccio in intrarotazione dalla posizione di extrarotazione

passiva completa ed è correlata alle dimensioni della rottura e al

numero di tendini interessati. La stessa incapacità di extrarotazione,

peraltro, si può verifi care per lesioni nervose ( Tavola 1.51 ). I muscoli

sopraspinato e sottospinato sono innervati dal nervo soprascapolare.

In presenza di lesioni di questo nervo, spesso dovute a compres-

sione a livello dell’incisura soprascapolare o dell’incisura spino-

glenoidea ( si veda Tavola 1.51 ), i muscoli sono ipovalidi e il modo

migliore per valutare il defi cit funzionale è saggiare la resistenza

all’extrarotazione o ricorrere al lag sign per l’extrarotazione.

Rotture ampie o massive della cuffi a dei rotatori, che interessano

due o più tendini, determinano di solito diffi coltà o impossibilità a

sollevare il braccio o tenerlo sollevato contro una resistenza mode-

rata. Il segno del sollevamento è defi nito come l’incapacità di alzare

il braccio associata a un’elevazione compensatoria della scapola.

In alcuni casi, l’incapacità di alzare il braccio non è associata al

sollevamento della scapola. Questa condizione può assomigliare alla

paralisi della spalla, ma poiché i nervi sono integri, la si defi nisce

pseudoparalisi . L’incapacità di elevazione del braccio è associata di

solito a risalita della testa omerale al di sotto dell’arco coracoacro-

miale e prominenza in avanti della testa stessa ( Tavola 1.48 ). Questi

segni di perdita della fl essione attiva del braccio si riscontrano

all’esame obiettivo associati a defi cit di forza della cuffi a dei rotatori

e sono dovuti a patologie di differenti parti della cuffi a o di altre

strutture della spalla, quale l’arco coracoacromiale. In presenza di

una rottura massiva, o tanto grande da essere defi nita irreparabile,

l’incapacità di elevare e l’atrofi a dei muscoli della cuffi a è associata

a una mobilità passiva completa o quasi completa del braccio e

spesso non vi è dolore signifi cativo. In alcuni casi di lacerazioni

ampie o massive, il paziente può essere in grado di effettuare un

sollevamento attivo completo del braccio, ma ha una forza ridotta,

come può essere dimostrato dall’incapacità di mantenere l’arto

sollevato a 90° contro una resistenza lieve o moderata opposta

dalla mano dell’operatore. Lesioni più piccole, soprattutto quelle in

cui il dolore non è intenso, possono consentire una mobilità attiva

completa e non causare un marcato defi cit di forza. Una mobilità

completa e una forza normale non escludono la presenza di una

rottura a tutto spessore quando l’ampiezza della lesione non supera

1-2 cm. D’altro canto, pazienti con lacerazioni di piccole dimensioni

possono avere una ridotta forza nel movimento di extrarotazione

quando questo viene effettuato con braccio addossato al tronco

e gomito fl esso o ricorrendo al lag sign. Quando i reperti obiettivi

riguardo alla forza sono dubbi a causa del dolore alla spalla per la

rottura tendinea o la borsite sottoacromiale o per la rigidità dell’ar-

ticolazione, può essere indicata un’infi ltrazione di anestetico locale

nell’articolazione e/o nello spazio sottoacromiale. Con la riduzione

del dolore si può valutare meglio la forza muscolare e determinare

la sede della patologia e l’origine stessa del dolore (se dalla colonna

cervicale o da altra sede non correlata alla spalla).

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Tavola 1.41 Apparato locomotore: VOLUME I

42 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

Sequenza RM coronale obliqua pesata in T1 (sinistra)che mostra un aumento del segnale nella porzione distaledel tendine sopraspinato e un ulteriore aumento del segnale(area bianca) nella sequenza con soppressione del grasso (destra)

La sequenza T1 sagittale obliquaevidenzia una significativa atrofiadel ventre del muscolo sopraspinatoe un discreto aumento di tessutoadiposo all’interno del muscolo,dimostrato da aree con segnale aumentato

La comunicazione tra l’articolazionedella spalla e la borsa sottoacromialenell’artrogramma è patognomonicadi una rottura della cuffia

Tendinedel muscolosopraspinato

Muscolosopraspi-nato

Sededi inserzionetendineasulla grandetuberosità

Mezzo di contrasto sottoacromialeTendine della cuffia dei rotatori

Mezzo di contrasto nell’articolazione gleno-omerale

Tendinedel capolungo delbicipite

Muscolo piccolo rotondo (nessuna atrofia muscolare)

Muscolo sottospinato

Muscolopiccolorotondo

Muscolosotto-spinato

Muscolo sottoscapolare

Muscolosottosca-polare

Muscolo sopraspinato normale che riempie l’intera fossasopraspinata (a differenza della rottura cronicamostrata sopra)

Mezzodi contrasto

Sequenza RM coronale del sopraspinato con rotturae retrazione del tendine fino a metà della testa omerale.È presente un significativo versamento articolareche evidenzia il difetto tendineo. In questo caso il tessutomuscolare è molto sano in quanto si tratta di una rotturaacuta presente da meno di 6 settimane e non vi èatrofia muscolare

Sequenza RM sagittale che mostra un muscolo molto grandee biconvesso e un segnale omogeneo in tutti i muscolidella cuffia dei rotatori (sopraspinato e sottospinato,sottoscapolare e piccolo rotondo)

IMAGING DELLE ROTTURE DEI TENDINI DEL SOPRASPINATO E DEL SOTTOSPINATO

IMAGING DELLE ROTTURE DEI TENDINI DEL SOPRASPINATO E DEL SOTTOSPINATO

I tendini della cuffi a dei rotatori si inseriscono sulla piccola tuberosità

(sottoscapolare) o sulla grande tuberosità (sopraspinato, sottospi-

nato e piccolo rotondo) dell’omero. Tra le due tuberosità è presente

il solco bicipitale, nel quale decorre il tendine del capo lungo del

bicipite ( Tavola 1.4 ).

Le rotture dei tendini della cuffi a possono essere parziali o a tutto

spessore. Le prime interessano uno strato superfi ciale del tendine,

ma non tutto lo spessore di esso. Le seconde sono estese a tutto

lo spessore del tendine.

Oltre che in base allo spessore, le dimensioni della rottura sono

defi nite in base all’estensione in larghezza della lesione dei ten-

dini interessati (ad es. sopraspinato, sottospinato). In presenza di

un’ampia rottura, spesso con coinvolgimento di più di un tendine, si

verifi ca una retrazione del tendine/i dalla sua/loro sede di inserzione.

Quando la lesione di un tendine si è verifi cata da lungo tempo, il

relativo muscolo va incontro ad atrofi a e sostituzione del tessuto

muscolare con tessuto adiposo. Queste alterazioni sono spesso

visibili alle immagini RM e costituiscono fattori prognostici importanti

riguardo alla possibilità di riparazione del tendine o al recupero della

forza muscolare. Le rotture molto grandi (massive) determinano una

perdita della fl essione anteriore e dell’extrarotazione attive, che può

persistere anche dopo la riparazione se il muscolo è notevolmente

atrofi zzato.

Gli esami di imaging della cuffi a dei rotatori comprendono l’eco-

grafi a, la RM e la TC. L’ecografi a è una metodica semplice, con buon

rapporto costo-effi cacia per la diagnosi di rotture parziali o a tutto

spessore della cuffi a. La metodica, che deve essere eseguita da un

radiologo esperto, è più effi cace se accompagnata dalla valutazione

dinamica e dalla registrazione delle immagini.

In molti centri sanitari non è stata raggiunta la stessa esperienza

nell’uso degli ultrasuoni rispetto a quella acquisita nell’artro-TC o

nell’artro-RM, o nella RM con enhancement mediante contrasto per

via endovenosa. L’artrografi a con contrasto viene eseguita mediante

iniezione di mezzo di contrasto nell’articolazione gleno-omerale. In

presenza di una rottura a tutto spessore della cuffi a, il mezzo di

contrasto fuoriesce dall’articolazione attraverso la lesione e penetra

nello spazio sottoacromiale dove è visibile sulle radiografi e, nelle

scansioni TC o nelle immagini RM. Le radiografi e forniscono una

visione bidimensionale della spalla ma, se ottenute su molteplici

piani, possono consentire una valutazione migliore delle patologie

della spalla; nella gran parte dei casi, tuttavia, non offrono infor-

mazioni signifi cative nelle rotture della cuffi a. Maggiori informazioni

si possono ottenere con le scansioni a strato sottile della TC, ma

anche questa non consente una valutazione precisa della lesione,

anche se permette di apprezzare il grado di atrofi a e sostituzione

adiposa dei muscoli. L’indagine correntemente usata per la diagnosi

di rottura è la RM, che può fornire informazioni su presenza, sede

e dimensioni della rottura, e sul grado di retrazione tendinea e

alterazioni muscolari associate alla lesione.

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Tavola 1.42 Spalla

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 43

Muscolo sottospinato

Tendine bicipitale

Omero

Muscolo sottoscapolare

Tipi di lacerazione

Chirurgia a cielo aperto per rottura dei tendini della cuffia dei rotatori

Chirurgia artroscopica per rottura dei tendini della cuffia dei rotatori

Muscolo sopraspinato

Rottura acuta (vista dall’alto). Spesso associata a rotturaparallela ai fasci tendinei. Un’ulteriore retrazionedetermina una lesione semilunare, come mostrato a destra

Con questa tecnica, i punti di sutura vengono applicati, mediante ancore, nella parte mediale della grandetuberosità e quindi fatti passare nell’estremità laterale del tendine, a circa 1½ cm dal margine di rottura(A). Quando si annodano i fili di sutura, l’estremità tendinea raggiunge il margine mediale della grandetuberosità (B). Le estremità dei fili vengono poi portate sulla grande tuberosità per comprimere le estremitàtendinee sulla superficie ossea della tuberosità (C).

CA B

Rottura tendinea retratta, spesso riscontrata all’intervento. La linea tratteggiata indica l’estensionedella resezione del tendinedegenerato ai fini della riparazione

Cuffia dei rotatori

Grande tuberosità

Grandetuberosità

Cuffia dei rotatoriAncora di sutura nell’osso

Filo di sutura

Tendine del capolungo del bicipite

La veduta della riparazione a cielo aperto della cuffiaevidenzia un’ampia rottura dei tendini del sopraspinatoe del sottospinato

Sutura a ponte per portare la partelaterale dei tendini della cuffiasulla parte lateraledella grande tuberosità

Serie di fili di suturamediali annodati

Tendine bicipitaleedematosoe ispessito

TRATTAMENTO CHIRURGICO DELLE ROTTURE DEI TENDINI DEL SOPRASPINATO E DEL SOTTOSPINATO

La grande maggioranza delle rotture dei tendini della cuffi a sono in

realtà disinserzioni del tendine dalla tuberosità su cui si inseriscono.

In alcuni casi, alla tuberosità rimane adeso un residuo di tessuto

tendineo che, tuttavia, è di solito troppo breve e degenerato per essere

usato per la riparazione. Se è presente, all’intervento viene di norma

rimosso in modo da creare un nuovo letto osseo per la reinserzione

del tendine alla tuberosità. I principi generali della riparazione chi-

rurgica sono gli stessi per la chirurgia tradizionale a cielo aperto e

per quella artroscopica. Attualmente, nella maggior parte dei casi la

riparazione chirurgica primaria (per la prima volta) viene eseguita in

artroscopia, poiché è meno invasiva e non necessita di una grande in-

cisione o di distacco di porzioni del muscolo deltoide. Di conseguenza,

l’intervento chirurgico è meno doloroso, i danni ai tessuti sono minori,

non vi sono rischi di danni al deltoide, i rischi di infezione sono minori

e il recupero postoperatorio è tendenzialmente più rapido. Inoltre, le

patologie intra-articolari ed extra-articolari sono meglio identifi cabili.

Attualmente, l’intervento chirurgico a cielo aperto è riservato perlopiù

alle ricostruzioni della cuffi a dei rotatori più complesse in pazienti con

rotture croniche massive di dimensioni molto grandi in cui possono

essere indicati una trasposizione muscolotendinea (grande rotondo

e/o grande dorsale) per rimpiazzare i tendini lacerati o un loro rinforzo

con innesti di materiale biologico.

I principi della riparazione primaria della cuffi a dei rotatori com-

prendono l’asportazione della borsa sottoacromiale, la mobilizza-

zione del moncone tendineo, anche mediante eventuali sezioni

capsulari, in modo da portare l’estremità tendinea a contatto del

letto preparato sulla tuberosità. I fi li di sutura che vengono fatti pas-

sare attraverso il moncone tendineo sono contenuti all’estremità di

“ancore” che vengono infi sse nell’osso del letto già preparato. I fi li

di sutura vengono poi annodati in modo da posizionare l’estremità

tendinea a diretto contatto del letto osseo. Quando è presente una

rottura nel contesto del tendine, invece che una disinserzione dalla

tuberosità, si effettua una sutura diretta “latero-laterale” (tendine-

tendine) delle estremità dei monconi tendinei senza uso di ancore.

In casi particolari di disinserzione e rottura nel decorso del tendine,

le due metodiche vengono associate.

Dopo l’intervento chirurgico la spalla viene immobilizzata in

appositi tutori per proteggere la riparazione, evitando movimenti

attivi della spalla (sollevare, allungarsi, spingere o tirare). Il tempo

di immobilizzazione varia di solito da 3 a 6 settimane, a seconda

delle dimensioni della rottura, della qualità del tessuto tendineo

e della tenuta della riparazione. Il tutore può lasciare il braccio

addossato al tronco o essere munito di una sorta di cuscino che

mantiene il braccio in abduzione a circa 20 ° per eliminare in parte

la tensione dalla sede di riparazione. La rigidità postoperatoria della

spalla (spalla congelata) è ridotta al minimo per l’attenta valutazione

postoperatoria del movimento della spalla da parte di un chirurgo

o di un altro operatore sanitario nei primi 2 mesi dall’intervento

chirurgico. Iniziando con la mobilizzazione passiva nel corso delle

prime 6-8 settimane successive all’intervento, la terapia è perso-

nalizzata sulla base delle dimensioni della lacerazione, della qualità

dei tessuti e della riparazione, e del grado della rigidità insorta nelle

prime settimane dopo l’intervento.

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Tavola 1.43 Apparato locomotore: VOLUME I

44 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

Eccessiva extrarotazione passiva del lato sinistroche indica una disinserzione del tendine del sottoscapolare

Muscolo trapezio

Coracoide

Muscolo sottoscapolare

Tendine del capo lungo del bicipite

RM coronale in cui si vede il ventre normale del muscolosottoscapolare sinistro che passa al di sotto della coracoidee quindi si inserisce sulla piccola tuberosità

L’operatore riesce a eseguire l’intrarotazione passivadel braccio; ciò dimostra che l’incapacità del pazientea compiere questo movimento è dovuta a ipovaliditàmuscolare e non a perdita della mobilità passiva

Lift-off test (spalla sinistra) o lag signper l’intrarotazione positivi

Indica la disinserzione del tendinedel sottoscapolare dalla piccolatuberosità della spalla sinistra.Il paziente non è in gradodi eseguire l’intrarotazionedel braccio e lascia il gomitoparallelo al tronco

Test di compressione addominale

DIAGNOSI DI ROTTURA DEL TENDINE DEL SOTTOSCAPOLARE

Le rotture del sottoscapolare possono essere isolate o essere as-

sociate a lesioni delle porzioni superiore e posteriore della cuffi a dei

rotatori. La RM può mostrare il ventre del muscolo sottoscapolare

che passa al di sotto della coracoide per inserirsi, mediante il

tendine omonimo, sulla piccola tuberosità. Essendo il muscolo

sottoscapolare posto anteriormente alla gabbia toracica, la sua

funzione specifi ca si svolge particolarmente quando il braccio è

addossato al tronco. La funzione principale del muscolo e del suo

tendine è di intrarotare l’arto, a cui si aggiunge la funzione di portare

il braccio verso il tronco (adduzione). Questo chiarisce la natura

dei test clinici usati per valutarne il defi cit di forza. Gli altri grandi

muscoli deputati all’intrarotazione (grande pettorale, grande dorsale

e piccolo pettorale) hanno anche la funzione di opporre resistenza

alla rotazione interna del braccio, ma soprattutto quando questo è

distante dal corpo. Per queste ragioni, il metodo migliore per valutare

la funzione del sottoscapolare consiste nel testare la resistenza

all’intrarotazione con il braccio posto in prossimità, piuttosto che

lontano dal corpo. Il test di compressione addominale e il lag sign

per l’intrarotazione rappresentano i due metodi migliori per valutare

la funzionalità del sottoscapolare. La maggior parte delle lesioni

del tendine del sottoscapolare non verrà diagnosticata all’esame

obiettivo se non vengono eseguiti questi test specifi ci per il sotto-

scapolare; se la forza di rotazione interna è valutata in diversi gradi

di abduzione ed extrarotazione non si può dimostrare un defi cit del

muscolo perché gli altri intrarotatori del braccio sono tanto potenti

che possono mascherare un’insuffi cienza del muscolo.

Il test di compressione addominale dimostra, in caso di rottura del

tendine sottoscapolare, l’incapacità di compiere l’intrarotazione del

braccio con la mano posta contro l’addome, contrastando o meno

il movimento da parte dell’operatore. Per effettuare correttamente

questo test il paziente deve premere fortemente la mano contro

l’addome. Il distacco della mano dall’addome per ottenere un certo

grado di intrarotazione e portare in avanti la spalla è un segno di

defi cit di forza muscolare. La positività del test, data dall’incapacità

di eseguirlo in parte o completamente, è confermata dalla pos-

sibilità, per l’operatore, di effettuare passivamente il movimento

di introrotazione. Ciò esclude le false positività dovute a rigidità

della spalla. Un altro test per la funzionalità del sottoscapolare è

il lift off o lag sign per l’intrarotazione. Questo test è più diffi cile

da eseguire per il paziente se vi è signifi cativo dolore alla spalla

e richiede una buona mobilità passiva della spalla e una funzio-

nalità normale del gomito. Per questi motivi, non viene eseguito

sempre nei pazienti con rotture massive della cuffi a dei rotatori.

Questo test è più sensibile per diagnosticare un defi cit muscolare

minore del sottoscapolare per rotture parziali o a tutto spessore

di dimensioni ridotte. Il test è positivo quando vi è incapacità del

paziente a sollevare e mantenere il braccio lontano dal tronco. Nelle

rotture complete, oltre a una perdita dell’ intrarotazione attiva, vi

è un aumento dell’extrarotazione passiva perché il tendine non è

più inserito sulla piccola tuberosità. L’aumento dell’extrarotazione

passiva è facilmente apprezzabile ponendo il paziente in posizione

supina e confrontando l’ampiezza dell’extrarotazione passiva della

spalla con lesione del sottoscapolare rispetto a quella sana.

Le rotture traumatiche acute a tutto spessore del sottosca-

polare possono essere trattate adeguatamente se diagnosticate

con un precoce e corretto esame obiettivo. Le rotture di questo

tendine sono spesso associate a lesioni del tendine del capo

lungo del bicipite, consistenti in rotture parziali o più spesso in

sublussazione o lussazione del tendine dal solco bicipitale. La

riparazione della lesione del sottoscapolare può essere effettuata

con tecnica artroscopica o a cielo aperto. La riparazione consi-

ste nel rifi ssare il tendine alla piccola tuberosità con metodiche

analoghe a quelle descritte per le rotture del sopraspinato e

del sottospinato. Le lesioni o la lussazione del capo lungo del

bicipite sono trattate mediante sezione del tendine o tenodesi di

esso al solco bicipitale, come descritto nella sezione relativa alle

patologie del bicipite.

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Tavola 1.44 Spalla

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 45

Radiografia anteroposterioreche mostra l’impiantodi una componente glenoideain plaspolietilene (plastica)

Radiografia anteroposterioreRadiografia ascellare

Perdita della cartilagine articolare, uniformemente bianca,nella superficie della testa dell’omero e proliferazione ossea (osteofita)nella periferia della testa dell’omero. Le gravi artrosi della testadell’omero sono caratterizzate da una maggiore presenzadi osteofiti periferici

Usuradella glenoideposteriore

Centrodella glenoide

Componente glenoidea in polietilene (plastica)

AcromionAddensamento osseosubcondrale(aspettobiancastro)

Clavicola

Perditadello spazioarticolare

Osteofita

Osteofita

Testa dell’omeroirregolare e moltoingrossata per osteofita periferico, senza cartilagine (l’area cerchiata indica le dimensioni normali della testa dell’omero)

Gravesublussazioneposteriore dellatesta dell’omero(più della metàdella testa)

Centro dellatesta dell’omero

Dolorabilità in corrispondenza dello spazioarticolare anteriore

Dolorabilità alla palpazionedello spazio articolare posteriore,spesso associata ad artropatiagleno-omerale

Palpazione a livello degli spazi articolari anteriore e posteriore

OSTEOARTROSI GLENO-OMERALE

L’osteoartrosi (o artrosi) della spalla è una patologia degenerativa

della cartilagine articolare. Può essere associata ad alterazioni

infi ammatorie articolari, ma le lesioni cartilaginee non sono dovute

essenzialmente a fenomeni infi ammatori come nel caso dell’ar-

trite reumatoide. Nei pazienti con artrosi, i tendini della cuffi a dei

rotatori sono quasi sempre indenni, mentre vi è la formazione di

osteofi ti alla periferia della testa omerale, che diviene più voluminosa

e perde la sua normale sfericità, acquistando talora un aspetto

fungiforme. La cartilagine articolare è assottigliata e in alcune aree

completamente erosa. Queste alterazioni della testa omerale, as-

sociate ad alterazioni analoghe della glenoide, determinano una

riduzione di varia entità della mobilità articolare. Nella maggior parte

dei casi, la testa dell’omero appare ben centrata rispetto alla cavità

glenoide nelle radiografi e anteroposteriori. Il centro della testa si

trova quindi a livello della linea orizzontale mediana della glenoide.

Di conseguenza, una linea tracciata lungo il margine inferiore della

testa omerale si continua con quella tracciata lungo il margine

inferiore della glenoide (linea di Maloney). Per questo motivo la

comune artrosi gleno-omerale è denominata “concentrica”. Ciò non

si verifi ca in presenza di una rottura massiva della cuffi a dei rotatori

come avviene nell’artropatia da rottura della cuffi a in cui la testa

omerale, non più mantenuta in sede rispetto alla glenoide dai tendini

della cuffi a migra prossimalmente restringendo o annullando lo

spazio acromio-omerale. In questo caso, quindi, la linea di Maloney

non è più continua nella radiografi a anteroposteriore della spalla

( Tavole 1.49 e 1.50 ). In presenza di un’artrosi gleno-omerale mar-

cata, si può verifi care un’erosione della porzione posteriore della

glenoide con conseguente traslazione posteriore della testa omerale,

visibile su una radiografi a ascellare o sulle scansioni TC. Le con-

dizioni artrosiche più marcate rendono più diffi cile una corretta

sostituzione protesica della spalla.

Il quadro clinico di un’artrosi marcata è caratterizzato da per-

dita signifi cativa della mobilita gleno-omerale passiva (per rigidità

articolare) e attiva (per rigidità e dolore). Nei movimenti passivi si

possono avvertire rumori di scroscio o scatti articolari. La palpazione

profonda della spalla suscita spesso dolore lungo gli spazi articolari

anteriore e posteriore. Un’artrosi in stadio avanzato è spesso trattata

mediante una protesi di spalla. Questa comporta la resezione della

testa omerale a livello del collo anatomico ( Tavole 1.1 e 1.45 ) e l’in-

serzione nel canale midollare di uno stelo, all’estremità prossimale

del quale viene inserita una testa omerale protesica in posizione e

di dimensioni adeguate. Questo intervento è denominato protesi

parziale (o endoprotesi). Più spesso si esegue una protesi totale

(o artroprotesi), che comporta anche la preparazione della super-

fi cie ossea della glenoide per rimuoverne gli osteofi ti e correggere

l’eventuale versione patologica, a cui consegue l’inserzione di una

componente glenoidea in polietilene (plastica). Con una protesi totale

cosiddetta “anatomica”, quale quella che si effettua in assenza di

rottura della cuffi a, vi è il ripristino dei normali rapporti anatomici

tra il centro della testa dell’omero e la linea centrale della glenoide

nelle radiografi e anteroposteriore e ascellare.

Il trattamento conservativo di un’artrosi di entità modesta o

moderata comprende la modifi cazione dell’attività fi sica, l’assun-

zione di farmaci antinfi ammatori orali e, talvolta, delle infi ltrazioni

di corticosteroidi nell’articolazione ( si veda Tavola 1.54 ). Questi

possono essere sostituiti, o a essi si può aggiungere come terapia

di mantenimento, l’acido ialuronico ad alto peso molecolare som-

ministrato con 3-5 infi ltrazioni intra-articolari ( si veda Tavola 1.54 )

distanziate di una settimana l’una dall’altra.

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Tavola 1.45 Apparato locomotore: VOLUME I

46 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

Radiografia preoperatoria anteroposteriore.La linea tratteggiata indica l’area di necrosiavascolare

Radiografia anteroposteriore postoperatoria

Scansione TC

TO

Una linea scapolo-omerale (lineadi Maloney)intatta indicache la testaomerale è centratanella glenoide

Componente glenoidea;filo metallico al centrodella protesi in polietilene(plastica)

Glenoide

Irregolarità della laminaossea subcondrale

Muscolo sopraspinato

Incisura soprascapolare

Nervo soprascapolare

GlenoideRima di frattura subcondrale

Rima di frattura

NAV

Processo coracoideo

Steloomeralenel canalemidollare

ArticolazioneAC Clavicola

NECROSI AVASCOLARE DELLA TESTA DELL’OMERO

La necrosi avascolare (NAV) della testa dell’omero è dovuta a ridotto

affl usso arterioso a una parte della testa omerale o all’intera testa.

Può essere conseguente a eventi traumatici, quali le fratture-lus-

sazioni della testa omerale, ma può essere altresì riscontrata in

un’ampia gamma di patologie sistemiche, quali anemia falciforme,

malattia dei cassoni (da decompressione) o mucopolisaccaridosi,

oppure all’assunzione di corticosteroidi per lungo tempo, soprattutto

se a dosi elevate.

La NAV precoce è quasi del tutto asintomatica, in termini di

dolore, defi cit di forza o rigidità della spalla. Nella maggior parte

dei casi si verifi ca per un unico evento, quale una frattura. Nelle

patologie sistemiche, invece, il difetto vascolare può determinare

molteplici infarti ossei e, pertanto, le aree di NAV possono ampliarsi

nel corso del tempo. In questi casi, i sintomi si manifestano quando

si instaura la deformità della testa omerale per collasso dell’osso o

fratture subcondrali o quando compaiono alterazioni della superfi cie

cartilaginea per incongruenza articolare. Quando la necrosi è dia-

gnosticata in fase tardiva, è spesso necessario ricorrere all’impianto

di una protesi di spalla, che in questi pazienti, molto spesso giovani

e attivi, ha una sopravvivenza più breve che nei pazienti anziani.

Nei pazienti con fattori di rischio noti in cui è stata diagnosticata

una NAV in un’articolazione, è opportuno eseguire uno screening

precoce delle articolazioni più a rischio, quali sono quelle sottoposte

a carico. Non è raro, infatti, che in questi pazienti possano essere

interessate più articolazioni. La scintigrafi a ossea è l’esame più

indicato per l’individuazione di una NAV precoce per il migliore

rapporto costo-effi cacia. La RM ha una maggiore sensibilità, ma ha

una minore indicazione, anche in termini di costi, per uno screening

dell’intero scheletro.

La NAV della testa dell’omero è visibile sulla radiografi a e alla

RM sotto forma di area di addensamento osseo con margini ben

defi niti. Negli stadi più avanzati, il segmento osseo coinvolto subisce

un collasso, che appare inizialmente come un’area semilunare al

di sotto della superfi cie articolare. Si tratta di una vera e propria

frattura tra l’osso subcondrale e il segmento di osso spongioso

avascolare sottostante. Successivamente, la testa omerale subisce

un collasso perdendo la normale forma sferica, con conseguenti

alterazioni artrosiche. Negli stadi tardivi della malattia, le alterazioni

degenerative si estendono alla superfi cie glenoidea in conseguenza

della deformità della testa omerale.

Negli stadi precoci della NAV, alcuni chirurghi effettuano un

forage del segmento avascolare con lo scopo di far giungere vasi

sanguigni nell’area necrotica. La metodica consiste nel praticare,

per via percutanea e sotto controllo fl uoroscopico, dei fori nell’epifi si

partendo dalla corticale laterale fi no ad arrivare nell’area necrotica.

Nei pazienti con marcata deformità della testa omerale e do-

lore cronico, refrattario ai trattamenti conservativi, si esegue la

sostituzione della testa dell’omero mediante un’endoprotesi. In

caso di coinvolgimento signifi cativo anche della glenoide è indicato

effettuare un’artroprotesi.

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Tavola 1.46 Spalla

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 47

A B

2

2

1 1

Sequenza RM ascellare che mostra una sinovitecon versamento articolare

Quando la cuffia dei rotatori è intatta, il trattamento più tradizionale è rappresentato dall’artroprotesianatomica della spalla. Una protesi totale della spalla con stelo cementato è mostrata nelle proiezionianteroposteriore (C) e ascellare (D)

A B C D

Glenoide

Sinovite e liquido sinoviale (versamento)

Testa dell’omero

Cisti glenoidea (geode)

Aspetti radiografici dell’artrite reumatoide dell’articolazione gleno-omerale

Opzione di trattamento: artroprotesi anatomica della spalla

ASPETTI RADIOGRAFICI E OPZIONI DI TRATTAMENTO DELL’ARTRITE REUMATOIDE DELL’ARTICOLAZIONE GLENO-OMERALE

**

La perdita ossea è spesso localizzata al centro della cavità glenoide, con conseguente migrazione mediale della testa dell’omero (* = coracoide). Le due linee rappresentano (1) l’acromion lateralee (2) la parte laterale della grande tuberosità. Nella spalla con AR meno marcata (B), la linea 2 è situata lateralmente alla linea 1. Nella spalla con AR più grave (A) con erosione glenoidea mediale, la linea 2è situata medialmente alla linea 1

ARTRITE REUMATOIDE DELL’ARTICOLAZIONE GLENO-OMERALE

L’artrite reumatoide (AR) è una malattia infi ammatoria che si svilup-

pa all’interno del rivestimento dell’articolazione (sinovia). Può essere

molto distruttiva per la cartilagine articolare e l’osso, ma colpisce

anche i tessuti molli circostanti. L’AR della spalla, in particolare, può

causare un marcato assottigliamento e in seguito una rottura della

cuffi a dei rotatori e del tendine del bicipite, oltre che una distruzione

progressiva della cartilagine di entrambi i capi articolari.

A differenza dell’artrosi, l’AR è una patologia infi ammatoria non

proliferativa caratterizzata da una minima formazione di osteofi ti.

Questa caratteristica è importante per distinguere le due cause

più comuni di artropatia della spalla. Nell’AR si può verifi care una

perdita progressiva di tessuto osseo con conseguente osteopenia e

demineralizzazione della testa dell’omero, analogamente a quanto

può accadere nei pazienti con artropatia da rottura della cuffi a dei

rotatori. I pazienti artrosici presentano un tessuto osseo sclerotico

che appare più radio-opaco sulla radiografi a per neoformazione

ossea. Nell’AR il depauperamento osseo della glenoide spesso

riguarda soprattutto la sua porzione centrale, con conseguente

migrazione mediale della testa omerale. Nel soggetto artrosico

vi è un’usura più eccentrica della glenoide, particolarmente della

parte posteriore. In molti casi di artrite reumatoide, si verifi ca una

migrazione prossimale della testa dell’omero, visibile sulle radio-

grafi e, che è dovuta a fenomeni distruttivi dei tendini della cuffi a

dei rotatori. L’artrite reumatoide, come l’artropatia da rottura della

cuffi a dei rotatori e l’artropatia da microcristalli (malattia da deposito

di idrossiapatite, “spalla di Milwaukee”), danno luogo ad ampie

lacerazioni della cuffi a dei rotatori, responsabili di migrazione pros-

simale della testa omerale, che possono determinare, a loro volta,

perdita ossea asimmetrica della glenoide superiore. Le radiografi e e

la TC sono le indagini migliori per visualizzare le alterazioni ossee di

questa malattia. La sinovite, il versamento articolare e le alterazioni

della cuffi a dei rotatori possono essere invece dimostrate con la RM.

La testa dell’omero può andare incontro a marcate erosioni della

superfi cie articolare. In questi casi, un’opzione terapeutica per i

pazienti in età giovanile è la sostituzione protesica conservativa

della testa omerale, rappresentata dalla protesi di rivestimento, ossia

una protesi omerale priva di stelo che preserva la maggior parte

dell’osso della testa. In presenza di una marcata usura glenoidea, in

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Tavola 1.47 Apparato locomotore: VOLUME I

48 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

ARTRITE REUMATOIDE DELL’ARTICOLAZIONE GLENO-OMERALE (Seguito)

Una protesi di rivestimento della testa omerale può assicurare un buon risultato clinico,come dimostra il quadro preoperatorio rispetto a quello postoperatorio a 1 anno

Una protesi conservativadella superficie omerale (protesidi rivestimento), senza steloomerale, consente di preservarela maggior parte del bone stockdella testa dell’omero, perchési sostituisce solo la sua partesuperficiale

Si è riusciti a evitare l’impianto di una componenteprotesica glenoidea applicando un alloinnestomeniscale suturato alla superficie glenoidea privadi cartilagine

Perdita del sollevamento completo

La testa dell’omero non mostra osteofiti proliferativi,ma gravi alterazioni erosive della superficie articolare

CistiOsso eburneo

PROTESI CONSERVATIVA DELLA TESTA OMERALE (PROTESI DI RIVESTIMENTO)

Alloinnesto meniscaleAssenza di osteofiti

luogo di una componente protesica, si può effettuare un alloinnesto

di menisco del ginocchio applicato sulla superfi cie della glenoide. In

realtà, questa è una metodica chirurgica ancora controversa, poiché

i risultati sono più incerti di quelli di una protesi totale di spalla.

Peraltro, i pazienti con AR possono essere in età tanto giovanile

che una sostituzione protesica totale può facilmente andare incon-

tro a fallimento a medio-lungo termine. Quindi una soluzione più

conservativa, che lascia aperta la strada a un’artroprotesi in età

più avanzata, può essere un trattamento comunque valido per il

paziente giovane e attivo.

Nel paziente in età media-avanzata o senile, il trattamento chi-

rurgico più tradizionale dell’artrite reumatoide, quando la cuffi a dei

rotatori è integra, è l’artroprotesi anatomica della spalla con stelo

omerale non cementato o cementato. Quando la cuffi a dei rotatori

è danneggiata e vi è migrazione prossimale della testa dell’omero,

è preferibile applicare la sola componente omerale (endoprotesi).

In presenza di una migrazione prossimale della testa dell’omero,

la componente omerale di una protesi totale rimane anch’essa

migrata prossimalmente, restando quindi a contatto con la parte

superiore della glenoide protesica. Ciò determina un carico eccen-

trico sulla componente glenoidea, che espone al rischio di una sua

mobilizzazione precoce. In alcuni casi di defi cit grave della cuffi a

dei rotatori e della mobilità attiva del braccio, un’opzione può es-

sere l’artroprotesi inversa della spalla (si veda “Artropatia da rottura

della cuffi a”) che può alleviare il dolore e migliorare la funzionalità

dell’arto, evitando il carico eccentrico sulla glenoide che un’artro-

protesi anatomica può comportare.

Molti dei più recenti farmaci biologici impiegati per l’AR possono

interferire effi cacemente sui fattori responsabili del meccanismo

infiammatorio che porta alla distruzione articolare. Per questa

ragione, la necessità della sostituzione protesica della spalla nei

pazienti affetti da questa malattia si è ridotta notevolmente negli

ultimi 10-15 anni.

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Tavola 1.48 Spalla

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 49

Incapacità di sollevare il braccioanteriormente, con quadroche simula una paralisidei muscoli del cingolo scapolare

Artropatia da rottura della cuffia dei rotatori. Gravifenomeni erosivi della testa dell’omero, assenzao marcata riduzione di tessuto tendineo della cuffiadei rotatori intorno alla testa

QUADRI CLINICI E ASPETTI ANATOMOPATOLOGICI

TO

TOAA

Quadro clinico di risalita della testa omerale e spalla pseudoparalitica. Con il braccio in posizione di riposo, vi è un aspetto relativamente normale della spalla con testa dell’omero (TO) al di sotto dell’acromion (A). Al tentativo di sollevare attivamente la spalla, si verifica uno spostamento superiore della testache fa prominenza anteriormente, al di sopra all’acromion (A)

ARTROPATIA DA ROTTURA DELLA CUFFIA DEI ROTATORI

ARTROPATIA DA ROTTURA DELLA CUFFIA CON TESTA DELL’OMERO CENTRATA E STABILE

In alcuni casi di artropatia, vi è un grave danno alla cuffi a dei rotatori

accompagnato da alterazioni delle componenti articolari. Ciò può

verifi carsi in casi gravi di artrite reumatoide o di artrite da microcri-

stalli, o in pazienti con ampie rotture croniche della cuffi a dei rotatori.

Queste patologie determinano gravi erosioni osteocartilaginee o

perdita di tessuto osseo nella parte prossimale dell’omero, che

spesso migra prossimalmente ( Tavola 1.50 ). Quando questi pazienti

si sottopongono all’intervento chirurgico, si trova che i tendini della

cuffi a sono estremamente assottigliati o pressoché assenti.

Nei pazienti con artropatia da defi cit della cuffi a meno grave la

testa omerale può essere ancora stabile e centrata, ossia a contatto

con la superfi cie glenoidea, per la presenza di tessuto residuo della

cuffi a suffi ciente a mantenere un fulcro stabile per i movimenti

dell’estremità prossimale dell’omero. In questi casi, si può effettuare

una protesi parziale, ossia della sola componente omerale, con esito

clinico soddisfacente.

Nei pazienti con artropatie meno gravi, l’esame obiettivo dimo-

stra di solito che vi è la capacità di sollevare il braccio almeno

fi no a 90 ° perché la testa omerale è ancora ben contenuta e in

buona posizione al di sotto dell’arco coracoacromiale. Non si ri-

scontrano cioè i reperti clinici di migrazione prossimale della testa

e pseudoparalisi della spalla ( si veda Tavola 1.48 ). L’obiettività è più

simile a quella della parte B della Tavola 1.40 che al quadro clinico

mostrato nella parte A della Tavola 1.40 o a quello visibile nella

Tavola 1.48 . In questi pazienti con artropatia meno grave la protesi

parziale costituisce un intervento chirurgico più semplice rispetto

alla protesi inversa e può dare una suffi ciente riduzione del dolore

e un miglioramento moderato della funzionalità della spalla al di

sopra del piano orizzontale. Nei pazienti che sono buoni candidati

alla protesi parziale, è importante preservare, all’intervento, tutte le

parti intatte della cuffi a dei rotatori e attuare successivamente un

adeguato programma riabilitativo diretto ad attivare i muscoli della

cuffi a ancora effi cienti e il deltoide.

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Tavola 1.49 Apparato locomotore: VOLUME I

50 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

ARTROPATIA DA ROTTURA DELLA CUFFIA DEI ROTATORI(Seguito)

La testa dell’omero è contenutaall’interno dell’arco coracoacromialee della superficie glenoidea.Un’endoprotesi può essere eseguitacon un esito clinico soddisfacente

La linea di Maloney è intatta e il centro di rotazionedella testa dell’omero è ora allineato alla linea centraledella glenoide (linea rossa)

1 = collo dell’omero2 = collo della glenoide

= erosione della superficie inferioredell’omero

= linea centrale della glenoide

Riduzione degli spazi articolaree sottoacromiale

Protesi omerale senza protesizzazione della glenoide

Arrotondamento della testadell’omero e assenzadella cuffia dei rotatori

• = centro di rotazione della testa omerale

• = centro di rotazione della testa dell’omero

1

1

2

2

ARTROPATIA DA ROTTURA DELLA CUFFIA: REPERTI RADIOGRAFICI

ARTROPATIA GRAVE DA ROTTURA DELLA CUFFIA DEI ROTATORI CHE NECESSITA DI PROTESI INVERSA DELLA SPALLA

In presenza di una rottura massiva molto ampia della cuffi a dei

rotatori in cui la testa omerale migra prossimalmente al di sotto

dell’acromion con conseguente perdita del fulcro per i movimenti del

braccio, e particolarmente del movimento di elevazione, si realizza

la condizione defi nita pseudoparalisi della spalla . In questi casi una

protesi parziale non fornisce alcun miglioramento della funzionalità

della spalla poiché, per la funzione ridotta o assente della cuffi a dei

rotatori, la testa omerale non è più centrata nella cavità glenoide e,

quindi, il deltoide non può agire come elemento motore del braccio.

Se vi è indicazione, nel paziente di età avanzata, all’applicazione

di una protesi, quella che viene usata è l’artroprotesi inversa della

spalla. Il quadro clinico di un paziente con migrazione prossimale

della testa omerale e spalla pseudoparalitica è caratterizzato da un

aspetto relativamente normale della spalla quando il braccio è in

posizione di riposo. Quando il paziente tenta di sollevare attivamente

il braccio vi è uno spostamento prossimale della testa omerale,

che appare prominente anteriormente, e diffi coltà o quasi impos-

sibilità di sollevare il braccio fi no al piano orizzontale o al di sopra

di questo. A ciò si associa la perdita dell’extrarotazione attiva per

defi cit funzionale delle componenti superiore e posteriore della

cuffi a dei rotatori. Il quadro radiografi co classico è quello di una

migrazione prossimale della testa dell’omero, che appare deformata

per marcate alterazioni degenerative e frequente presenza di cisti

subcondrali (geodi).

L’artroprotesi che si impianta in questi casi è chiamata “inversa”

perché le componenti sono collocate in posizione opposta a quelle

dell’anatomia normale e della protesi comune della spalla, de-

nominata appunto “anatomica”. Ossia, la componente convessa

(corrispondente alla testa omerale protesica della protesi anatomica)

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Tavola 1.50 Spalla

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 51

ARTROPATIA DA ROTTURA DELLA CUFFIA DEI ROTATORI(Seguito) 3 = centro del muscolo deltoide

1 = superficie convessa

1, 2 = interruzione della linea di Maloney

Acromion

Acromion

Scomparsa dello spazio sottoacromiale dovuta a rotturamassiva della cuffia

Deltoide

Cisti subcondrale (geode)

Riduzione dello spazio sottoacromiale

Migrazione prossimale della testa dell’omero

Migrazione prossimale della testa dell’omero dovutaa rottura massiva della cuffia con perdita di continuitàdella linea di Maloney

Perdita ossea della glenoide superiore

Glenoide inferiore, profilo normale

1

1

TO1GT

2

2

2

53

2

1

4

5 = nuovo centro di rotazione

4 = posizione approssimativadel centro di rotazioneoriginario della testa dell’omero

2 = superficie concava

ARTROPATIA DA ROTTURA DELLA CUFFIA: REPERTI RADIOGRAFICI (SEGUITO)

Intervallo tra 3 e 4: originario braccio di leva del deltoideIntervallo tra 3 e 5: nuovo braccio di leva del deltoideL’intervallo 3-5, che è 2 volte l’intervallo 3-4,ha raddoppiato la capacità del deltoide di sollevare il braccio

Artroprotesi inversa della spalla. La componente convessasi trova sul lato glenoideo, mentre quella concava è situata sul lato omerale. Ciò realizza un’articolazione semivincolata, con un centro di rotazione fisso dell’articolazione cheè medializzato (punto nero) e con la componente omerale nettamente spostata in basso (freccia a doppia punta). Entrambe le condizioni determinano un considerevole miglioramento della funzione del deltoide per l’allungamento del muscolo e l’aumento del suo braccio di leva. L’artroprotesi inversa deve essere preferita all’endoprotesi perché il centro di rotazione è spostato dal punto centrale della testa omerale (sua posizione normale) all’interfaccia tra componente protesica glenoidea e glenoide ossea

Cisti glenoidea (geode)

è impiantata sulla glenoide, mentre la componente concava (corri-

spondente alla glenoide della protesi anatomica) è impiantata

sull’omero. Si tratta di una protesi semi-vincolata, che ha un centro

fi sso per la rotazione della componente omerale concava intorno

alla componente glenoidea convessa, sostituendo così la funzione di

contenimento che normalmente ha la cuffi a dei rotatori nei confronti

della testa omerale. Con lo spostamento del centro di rotazione dalla

testa dell’omero alla componente glenoidea si verifi ca una media-

lizzazione del centro di rotazione che aumenta considerevolmente il

braccio di leva del deltoide, migliorando in tal modo la sua effi cienza

meccanica e, quindi, la capacità di sollevare il braccio. Inoltre, la

medializzazione del centro di rotazione sulla glenoide determina una

riduzione delle forze che si concentrano su questa componente, e

di rifl esso sull’interfaccia protesi-osso glenoideo, nei movimenti del

braccio, con il risultato di una bassa incidenza di mobilizzazione, nel

tempo, della componente glenoidea della protesi. La protesi inversa

migliora notevolmente la capacità del paziente di sollevare il braccio,

mentre non fornisce un miglioramento della funzione rotatoria. I

risultati migliori, quindi, si riscontrano nei pazienti che conservano

preoperatoriamente una discreta funzione della cuffi a dei rotatori

posteriore, come avviene in quelli con tendine del piccolo rotondo

indenne. Questi pazienti riescono spesso ad avere una funzionalità

pressoché normale della spalla protesizzata, a differenza di quelli

senza capacità di extrarotazione, che peraltro riacquistano una

buona o completa capacità di sollevare il braccio. In questi ultimi,

peraltro, una trasposizione muscolotendinea (grande dorsale) ese-

guita contestualmente alla protesi può essere in grado di migliorare

il risultato funzionale.

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Tavola 1.51 Apparato locomotore: VOLUME I

52 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

Sequenza RM che mostra una cisti articolareresponsabile di una neuropatia da compressionedel nervo soprascapolare

Sequenza RM di compressione del nervosoprascapolare da parte di una grossacisti articolare

Cisti articolare Cisti articolareTesta dell’omero

Immagine artroscopicadi una cisti articolare intatta

Foro di aperturadi una cistiarticolare parzialmenterimossa

Muscolo sopraspinato

Nervo soprascapolarenell’incisurasoprascapolare

Muscolo sottospinato

Nervo ascellare

NERVO SOPRASCAPOLARE

La compressionedel nervo soprascapolarepuò causare dolorenella regione lateraledella spalla e atrofiadei muscoli sopraspinato e sottospinato

Irradiazionedel dolore

Dolore

PATOLOGIE NEUROLOGICHE DELLA SPALLA

Il nervo toracico lungo innerva il muscolo dentato anteriore ( si veda

Tavola 1.13 ). Questo muscolo origina dalla gabbia toracica antero-

laterale e va a inserirsi lungo il margine mediale della scapola e, con

le fi bre distali, sulla faccia anteriore dell’angolo inferiore della scapola

( si veda Tavola 1.13 ).

Una lesione del nervo toracico lungo causa un defi cit funzionale

del dentato anteriore, che provoca una scapola alata. In presenza di

una lesione grave, il paziente ha diffi coltà a sollevare attivamente il

braccio a causa di un’instabilità della scapola, che non è in grado

di ruotare lateralmente e di restare addossata alla gabbia toracica.

In questa condizione, la funzione del dentato anteriore è in parte

vicariata dal romboide iperattivo e dal trapezio. Quando la lesione

nervosa è dovuta a una patologia virale o a un trauma chiuso, si

verifica spesso un recupero spontaneo in un periodo che varia

da pochi mesi a un anno. Se il recupero è incompleto o assente

e residua una signifi cativa disabilità a lungo termine, può essere

indicato il trapianto del muscolo grande pettorale all’angolo inferiore

della scapola con risultati generalmente buoni.

L’artropatia di Charcot della spalla può causare lesioni distruttive

gravi sia della testa dell’omero, sia della glenoide, che sono spesso

evidenti sulle radiografi e sotto forma di detriti ossei dispersi nella

regione articolare. All’artropatia si associa una siringomielia o altre

cause di denervazione dell’articolazione. La perdita sia della pro-

priocezione a livello del cingolo scapolare, e quindi della percezione

della posizione dell’articolazione, sia dell’effetto trofi co garantito

dall’innervazione provoca gravi distruzioni ossee, che si associano

a dolore, presente nonostante la denervazione. I pazienti, peraltro,

presentano spesso molto meno dolore e una funzionalità migliore

di quanto ci si aspetterebbe in base alla gravità del danno osteo-

articolare. In questa condizione patologica la sostituzione protesica

dell’articolazione o qualunque tipo di ricostruzione chirurgica presen-

tano un tasso elevato di complicanze, tra cui lussazione della protesi,

fratture periprotesiche e mobilizzazione delle componenti protesiche.

Le lesioni del nervo soprascapolare possono essere dovute a

intrappolamento del nervo a livello dell’incisura soprascapolare o

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Tavola 1.52 Spalla

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 53

PATOLOGIE NEUROLOGICHE DELLA SPALLA (Seguito)

Nervo toracico lungo

Nervo accessorio spinale Artropatia di Charcot

Per l’atrofia del trapeziovi è un’alterazione del profilo del collo,prominenza dei romboidi e inclinazionedella scapola

Paralisi del nervoaccessorio spinale

Atrofiadel trapeziosuperiore

Inclinazionedella scapola

Sequenza RM che mostra una siringomieliacervicale (frecce) responsabile di perditadi propriocezione a livello del cingoloscapolare, che può causare un’artropatiadi Charcot della spalla

NERVI TORACICO LUNGO E ACCESSORIO SPINALE

Muscolo dentato anteriore(aiuta a stabilizzarela scapola)

Nervo toracico lungo

NormaleScapolaalata

dell’incisura spinoglenoidea, o a cisti sinoviali dell’articolazione della

spalla. La lesione nervosa determina un defi cit della forza di ex-

trarotazione del braccio e un lag sign per l’extrarotazione ( si veda

Tavola 1.40 ) per ipotrofi a dei muscoli della fossa sopraspinata e sotto-

spinata. La formazione di cisti sinoviali può essere associata a lacera-

zione del cercine superiore ( si veda Tavola 1.51 ). Una cisti articolare si

forma per un’estrofl essione della capsula articolare in cui si raccoglie

liquido sinoviale. Quando la cisti si forma a livello dell’incisura sopra-

scapolare o spinoglenoidea ( si veda Tavola 1.51 ), si può verifi care una

compressione di diversa entità del nervo soprascapolare.

Queste lesioni possono essere trattate mediante aspirazione sotto

guida ecografi ca. Quando viene trattata mediante aspirazione con

ago, la cisti può recidivare poiché la lesione SLAP non è riparata.

La riparazione artroscopica della lesione SLAP può determinare una

risoluzione spontanea della cisti, oppure la cisti può essere asportata

in associazione alla riparazione della lesione. L’aspetto clinico della

neuropatia soprascapolare è una grave atrofi a della muscolatura

sopraspinata e sottospinata. L’atrofi a isolata del muscolo sotto-

spinato è associata a intrappolamento del ramo sottospinato del

nervo soprascapolare a livello dell’incisura spinoglenoidea.

Le lesioni del nervo accessorio spinale comportano ipotrofi a

o paralisi del muscolo trapezio. Esse possono essere dovute a

sindromi virali o a una lesione iatrogena in occasione di una biopsia

di linfonodi cervicali. All’esame obiettivo, la spalla appare più bassa

di quella controlaterale, il profi lo del collo è distorto e i muscoli

romboidi appaiono prominenti per l’atrofia del trapezio medio.

Questa lesione causa altresì una scapola alata con coinvolgimento

predominante della metà superiore della scapola, a differenza

di quanto avviene per la scapola alata prodotta dalla paralisi del

nervo toracico lungo che è prevalentemente di tipo inferiore. Le

lesioni croniche con nessun recupero o un recupero parziale pos-

sono essere trattate, come procedure di salvataggio, mediante

trapianto dei muscoli elevatore della scapola e romboide (Procedura

di Eden-Lang).

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Tavola 1.53 Apparato locomotore: VOLUME I

54 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

Amputazione sopra il gomito

Disarticolazione della spalla

Amputazione del quarto anteriore

Accurata transfissione.La legatura dei grandi vasiè essenziale

Muscolo deltoide

Omero

Muscolocoracobrachiale

Muscolo grande pettorale

Muscolo piccolo pettoraleMuscolo dentatoanteriore

CostePlesso brachiale e arteriae vena ascellari

Scapola

Muscolo sottospinato

Muscolo sottoscapolare

Lineadi resezione

Muscolotrapezio

Muscoliromboidi

Muscolidorsaliprofondi

Linee di incisione

Suturacompletata

Cicatrice di sutura cutaneaposta al di sotto della prominenzadell’acromion

Linee di incisione

La funzionalità della protesi miglioracon l’aumentare della lunghezzadel moncone

Un moncone lungo consenteuna successiva cineplasticaper far funzionare il dispositivoterminale della protesi

Chiusura cutanea

Chiusurafasciale

AMPUTAZIONE DEL BRACCIO E DELLA SPALLA

AMPUTAZIONE SOPRA IL GOMITO

L’amputazione sopra al gomito mira a preservare la massima lun-

ghezza possibile dell’arto residuo. Perché funzioni correttamente,

un arto superiore artifi ciale deve disporre di un lungo braccio che

funga da leva e, quindi, occorre salvare l’omero per la massima

lunghezza possibile perché si realizzi questa leva (si vedano le

immagini in alto). In caso di disarticolazione della spalla si dovrebbe

lasciare, se possibile, un moncone di omero anche molto corto

perché la disarticolazione completa riduce notevolmente la forza

dell’arto artifi ciale.

Talvolta si ricorre a una tecnica cineplastica per consentire al

paziente di far funzionare il dispositivo terminale di una protesi di

arto superiore. In questa procedura, si crea un tunnel al di sotto

del muscolo bicipite brachiale che viene rivestito interamente da

cute, creando un’ansa muscolare. I cavi che consentono il fun-

zionamento del dispositivo terminale della protesi sono attaccati

all’ansa muscolare.

AMPUTAZIONE DEL QUARTO ANTERIORE

Questa procedura radicale è riservata di solito al trattamento

di tumori maligni aggressivi. A differenza della disarticolazione

dell’articolazione della spalla, l’amputazione del quarto anteriore

rimuove l’intera architettura ossea e tutti i muscoli dell’arto superiore

(si vedano le immagini in basso). Si tratta di un’amputazione deva-

stante che non fornisce alcuna base residua per il sostegno dell’arto

artifi ciale. Di conseguenza, in genere è molto diffi cile ottenere un

impianto soddisfacente della protesi.

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Tavola 1.54 Spalla

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 55

Tecnica di infiltrazionenella borsa sottoacromiale

Processo coracoideoMuscolo sopraspinatoClavicola

Acromion

Legamento coraco-omerale

Borsa sottoacromiale

Muscolo sottoscapolare

Capo lungo del bicipitebrachiale

Capo breve del bicipitebrachialeMuscolo coracobrachiale

Legamento coracoacromiale

Muscolo piccolo pettorale

Braccio trazionatoin basso

Sede di ingressoper infiltrazioneacromioclavicolare

Gleno-omerale(accesso posteriore)

Infiltrazione/Aspirazionesottoacromiale(accesso laterale)

Infiltrazione/Aspirazionesottoacromiale(accesso posteriore)

INFILTRAZIONI NELLA SPALLA

Le infi ltrazioni nella spalla possono essere eseguite a scopi dia-

gnostici nelle patologie degenerative, o in presenza di un’infezione

o di un’artropatia da microcristalli. L’introduzione di un’ago intra-

articolare può essere inoltre eseguita per aspirare il liquido sinoviale.

L’inoculazione di un anestetico locale può essere utile per individuare

la sede del dolore in uno specifi co compartimento, effettuando subito

dopo la rivalutazione clinica della spalla.

Le infiltrazioni a scopi terapeutici sono spesso praticate per

iniettare un corticosteroide in sede intra-articolare o nello spazio

sottoacromiale. La conoscenza dell’anatomia della spalla e dei

punti di repere cutanei per lo spazio sottoacromiale, l’articolazione

gleno-omerale e l’articolazione AC è di fondamentale importanza

per effettuare infi ltrazioni sicure ed effi caci o per aspirare il liquido

sinoviale. Le infi ltrazioni devono essere eseguite in condizioni di

sterilità e dopo accurata disinfezione della cute.

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Tavola 1.55 Apparato locomotore: VOLUME I

56 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

ESERCIZI DI BASE PER LA MOBILIZZAZIONE PASSIVA E ATTIVA-ASSISTITA

Fase ISollevare la mano sopra la testacon quella del lato sano

Fase IExtrarotazione del braccio usandoil manico di una scopa. Il braccio sano è usatoper muovere la spalla affetta

Fase IIAdduzione in posizione supina per allungare la capsula posteriore

Fase I Piegarsi in avanti,lasciando che l’artodondoli liberamente.Farlo dondolare avantie indietro e da sinistraa destra. Ruotare la manointernamente ed esternamente

Fase IIIntrarotazione posteriore del bracciodel lato affetto tirando il polsoindietro e in alto dietro la schienacon il braccio sano

Fase ISollevare l’arto del lato affetto conquello sano usando una carrucolacollocata almeno 70 cm più in altorispetto al braccio da sollevare

ESERCIZI DI MOBILIZZAZIONE E POTENZIAMENTO DELLA SPALLA

ESERCIZI DI BASE PER LA MOBILIZZAZIONE PASSIVA E ATTIVA-ASSISTITA

Gli esercizi di riabilitazione presentati in questa sezione sono ap-

plicabili sia al trattamento conservativo sia a quello postoperatorio

per tutte le condizioni patologiche della spalla trattate in questo

manuale. Gli esercizi specifi ci utilizzati, la loro progressione e la

loro coordinazione con altre modalità di trattamento possono variare

a seconda della diagnosi, della gravità della patologia e di molti

altri fattori correlati al trattamento chirurgico o al paziente. Questo

manuale non intende fare un’analisi dettagliata del trattamento

riabilitativo per ciascuna di queste condizioni.

In linea generale, il programma deve iniziare dagli esercizi più

semplici e poi progredire quando il paziente è in grado di effettuare

facilmente gli esercizi della fase iniziale. Nella riabilitazione della

spalla è importante trattare il dolore ed evitare lesioni durante gli

esercizi. La terapia antalgica ha varie opzioni: applicazione di ghiac-

cio o di calore; somministrazione di antinfi ammatori non steroidei

o di antidolorifi ci, infi ltrazioni di corticosteroidi, uso di un tutore o

blocco anestetico di rami nervosi. Il primo obiettivo è riacquistare

la maggior parte della mobilità passiva. Il secondo è migliorare

progressivamente la forza dei muscoli della spalla e della scapola,

nonché di quelli del tronco. Il potenziamento dei muscoli scapolari

deve iniziare quando inizia la fase I di potenziamento dei muscoli

della spalla. Gli esercizi per la scapola comprendono il sollevamento

della spalla e movimenti analoghi a quelli del rematore (protrazione

e retrazione della spalla). È necessario coordinare il potenziamento

della scapola con quello della spalla prima di passare agli esercizi

della fase II, che comportano movimenti di sollevamento attivo del

braccio al di sopra della testa. In generale, il potenziamento dei

muscoli della spalla deve iniziare con quelli della cuffi a dei rotatori

evitando movimenti di attrito acromio-omerale (fase I) per migliorare

la forza di rotazione del braccio, associando esercizi per gli altri mu-

scoli scapolari. Prima di iniziare il sollevamento del braccio con pesi,

il paziente deve essere in grado di compiere il sollevamento attivo

completo senza alcun peso. In caso contrario, occorre continuare

il potenziamento della fase I e quello della muscolatura periscapo-

lare, nonché il sollevamento attivo a catena cinetica chiusa. Una

volta raggiunto il sollevamento attivo completo senza resistenza, il

paziente può iniziare il potenziamento della fase II.

Un programma riabilitativo efficace richiede che il paziente

esegua la kinesiterapia anche a domicilio. Nella maggior parte

delle situazioni, gli esercizi devono essere distribuiti nell’arco della

giornata e non essere concentrati in un’unica seduta. Questo

principio di base della riabilitazione è particolarmente importante

nelle fasi precoci del recupero funzionale della spalla, quando

l’articolazione si trova nello stato peggiore per quanto riguarda

dolore, mobilità o resistenza. Quanto più scarso è il recupero, tanto

maggiore deve essere la frequenza delle sedute di kinesiterapia,

che tuttavia deve essere eseguita per brevi periodi di tempo e

nei limiti delle capacità del paziente, oltre che correttamente. Il

programma riabilitativo iniziale deve essere focalizzato sui problemi

più importanti e sui defi cit correlati al tipo di patologia. Ad esempio,

i problemi principali in un paziente con grave spalla congelata

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Tavola 1.56 Spalla

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 57

ESERCIZI DI MOBILIZZAZIONE E POTENZIAMENTO DELLA SPALLA(Seguito)

Spingere in avanti l’elastico agganciatoal pomello della porta

Elevazione del braccio

Estensione

Intrarotazione

Extrarotazione

Fase I

Potenziamento della fase I: con fasce elastiche

ESERCIZI DI BASE PER IL POTENZIAMENTO DELLA SPALLA

in fase precoce sono il dolore e la perdita della mobilità passiva.

È quindi necessario associare un’adeguata terapia farmacologica

antalgica alla kinesiterapia passiva per ottenere una riduzione del

dolore e migliorare la mobilità passiva, prima di passare a esercizi

di potenziamento muscolare. Quanto maggiore è il dolore, tanto

minore deve essere la diffi coltà degli esercizi, da eseguire per

breve tempo ma frequentemente nell’arco della giornata. Con il

miglioramento del quadro clinico, il tempo può essere prolungato

e l’impegno articolare aumentato.

L’educazione e la partecipazione del paziente sono fondamentali

per il successo della riabilitazione sia delle patologie trattate con-

servativamente, sia di quelle operate. Per un esito favorevole, una

comunicazione chiara e precisa tra medico, paziente e terapista è

tanto importante quanto la precisione e l’esperienza con cui vengono

effettuati tutti i trattamenti, compreso l’intervento chirurgico.

Gli esercizi pendolari consistono nel fl ettere il tronco a 90 ° ap-

poggiandosi con il braccio a un supporto stabile, come un tavolo.

L’arto interessato viene fatto dondolare davanti e indietro al corpo

del paziente e vengono compiuti piccoli movimenti circolari in senso

orario e antiorario, in base alla mobilità passiva dell’articolazione

gleno-omerale.

La fl essione passiva supina viene effettuata utilizzando l’arto

sano per muovere l’arto opposto passivamente o con modalità

attiva-assistita (con una modesta attività muscolare dell’arto affetto).

Di solito questo movimento viene effettuato sul piano della scapola,

che si trova a metà tra il piano coronale, (parallelo al piano del corpo

[abduzione] e il piano sagittale (perpendicolare al piano del corpo)

[fl essione o elevazione]). Il piano della scapola è anteriore al piano

coronale di 30-40 ° . Per gli esercizi di mobilizzazione, il piano della

scapola colloca la cuffi a dei rotatori e altri muscoli della spalla nella

posizione più fi siologica e naturale rispetto al corpo della scapola.

Per tutti gli esercizi passivi, quando il braccio raggiunge il massimo

livello del movimento possibile, vi deve essere un leggero stiramento

per aumentare l’arco di movimento. Durante ognuna delle sedute

riabilitative si eseguono parecchi di questi o altri movimenti.

La fl essione (o elevazione o sollevamento) attiva-assistita può

essere effettuata anche usando uno strumento di assistenza, come

un bastone per esercizi, in posizione eretta o supina. L’extrarotazione

passiva si compie con l’aiuto di un apposito bastone per esercizi o

uno strumento analogo (bastone da passeggio, manico di scopa).

L’adduzione trasversale (spostamento del braccio verso la spalla

opposta) allunga la capsula posteriore; la cui ampiezza è importante

per la fl essione, come per l’intrarotazione anteriore completa.

ESERCIZI DI BASE PER IL POTENZIAMENTO DELLA SPALLA

Gli esercizi di potenziamento contro resistenza progressiva pos-

sono essere eseguiti in fasi. La fase I comporta l’utilizzo di una

banda elastica per l’extrarotazione, con il braccio addossato al

tronco per evitare un conflitto acromio-omerale o un’eccessiva

sollecitazione dei tendini della cuffia.

La progressione del potenziamento dalla fase I alla fase II

mira a rinforzare in primo luogo la cuffi a dei rotatori mediante

esercizi di rotazione nella posizione del braccio e del corpo più

agevole e meno dolorosa. Ottenuto il miglioramento della resi-

stenza della cuffi a dei rotatori e della funzionalità della spalla

grazie agli esercizi di fase I eseguiti con il braccio addossato

al tronco, la spalla è in grado di tollerare meglio gli esercizi più

diffi cili previsti dalla fase II.

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Tavola 1.57 Apparato locomotore: VOLUME I

58 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

ESERCIZI DI MOBILIZZAZIONE E POTENZIAMENTO DELLA SPALLA(Seguito)

Potenziamento con letto inclinato

Potenziamento attivo-assistito a catenacinetica chiusa del sollevamento del braccio

ESERCIZI DI BASE PER IL POTENZIAMENTO DELLA SPALLA (SEGUITO)

Il potenziamento della fase I può essere eseguito usando l’ela-

stico con entrambe le mani oppure attaccandolo a un oggetto fi sso,

come la maniglia o il pomello di una porta, tenendo un cuscino sotto

il braccio per ottenere una moderata abduzione ed effettuare quindi

l’extrarotazione con il braccio lontano dal corpo. È meglio usare

un oggetto fi sso per evitare che la spalla più debole lavori meno

rispetto a quella indenne o più forte. Analogamente, l’intrarotazione

può essere eseguita con il braccio in leggera abduzione effettuando

la rotazione interna verso l’addome. L’estensione viene compiuta in

modo simile, tirando indietro l’elastico con il gomito addossato al

tronco. La fl essione con l’elastico consiste nel sollevare il braccio,

di solito al di sotto del livello della spalla. Molti di questi esercizi

possono essere eseguiti con tecniche alternative, usando un peso

di 0,5-2 kg.

I pazienti con marcato defi cit della forza di fl essione devono

effettuare esercizi graduali, soprattutto per la fl essione, che deve

essere iniziata in posizione supina senza alcun peso.

Quando è possibile compiere con facilità e ripetutamente

il movimento di fl essione, si utilizza un peso di 0,5-1 kg fi no al

raggiungimento del medesimo risultato. Successivamente, il pa-

ziente viene posto in posizione semiseduta a 30-40 ° senza alcun

peso all’estremità dell’arto. Si procede in questo modo fi nché il

movimento viene eseguito facilmente, dopodiché si aggiunge un

piccolo peso di 0,5-1 kg. L’esercizio viene ripetuto fi no a quando

il paziente è in grado di portare attivamente il braccio verso l’alto

in posizione seduta.

Un metodo alternativo per giungere al sollevamento attivo com-

pleto senza assistenza è l’utilizzo di esercizi attivi-assistiti a catena

cinetica chiusa, quale il sollevamento del braccio afferrando un

bastone o, preferibilmente, una palla leggera. In quest’ultimo caso,

il paziente usa entrambe le mani, afferrando la palla con la mano

del lato sano al di sopra della quale pone la mano del lato affetto

e solleva gli arti, in modo che lo sforzo maggiore sia fatto dall’arto

sano. Ottenuto un suffi ciente rinforzo del lato affetto, la palla è

afferrata con la mano di questo lato, al di sopra della quale viene

posta quella del lato sano, che funge da resistenza al movimento.

Questi esercizi sono utili nella fase intermedia della riabilitazione per

raggiungere l’obiettivo della fl essione attiva completa del braccio

e del sollevamento dell’arto contro resistenze progressivamente

maggiori.

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Tavola 1.58 Spalla

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 59

Sede di incisione

Muscolo deltoide(divaricato)

Muscolo deltoide (divaricato)

Muscolo bicipite brachiale (capo lungo)

Muscolo bicipite brachiale (capo breve)

Arteria circonflessa anteriore dell’omero

Tendine bicipitale

Muscolo grande pettorale (divaricato)

Vena cefalica

Muscolo grandepettorale (divaricato)

Testadell’omero

Spazio articolare

Glenoide

Tendine del muscolosottoscapolare

Capsula articolare anteriore

Superficie articolare della testa dell’omeroCapsula articolare (aperta)

Muscolo sottoscapolare (sezionato)

Processo coracoideoACCESSO DELTOIDEOPETTORALE ALL’ARTICOLAZIONE DELLA SPALLA

Tendine congiunto (capo brevedel bicipite e coracobrachiale)

Portaleantero-superiore

Portale anteroinferiore

Portaleantero-inferiore

Portale anterosuperiore

Portaleposteriore

Portalelaterale

Portaledi Neviaser

Portaledi Wilmington

Acromion(angolo postero-laterale)

Portali artroscopici

COMUNI ACCESSI CHIRURGICI ALLA SPALLA

L’accesso deltoideopettorale è quello comunemente usato sia per

il trattamento di fratture complesse dell’omero prossimale o della

glenoide, sia per qualsiasi tipo di sostituzione protesica della spalla.

L’incisione, che ha una lunghezza di 10-15 cm, viene effettuata

sulla faccia anteriore della spalla e inizia a livello dell’apice della

coracoide o poco al di sotto. Dalla regione coracoidea si porta la-

teralmente verso la sede di inserzione del muscolo deltoide, lungo

il decorso della vena cefalica. In profondità si identifi ca lo spazio

tra deltoide e grande pettorale, nel quale decorre la vena cefalica,

e si divaricano i due muscoli, retraendo il deltoide lateralmente.

L’accesso all’articolazione gleno-omerale avviene attraverso il ten-

dine e il muscolo sottoscapolari. Può essere eseguito separando il

tendine e le fi bre muscolari in direzione lateromediale senza distacco

dell’inserzione tendinea. Questo accesso dà la possibilità di effet-

tuare poche procedure, la più frequente delle quali è l’intervento di

Bristow-Latarjet per la lussazione recidivante di spalla. La maggior

parte delle indicazioni per questo accesso, infatti, sono state so-

stituite da procedure artroscopiche.

Procedure ricostruttive più ampie, quali quelle di protesizzazione della

spalla, vengono eseguite mediante sezione del tendine sottoscapolare

come mostrato nella Tavola 1.58 e della capsula articolare sottostante.

In alternativa, il tendine può essere distaccato dalla piccola tuberosità

e poi reinserito al termine dell’intervento mediante punti di sutura

transossei. Recentemente è stato rilevato che si possono ottenere

risultati clinici migliori rimuovendo una sottile bratta ossea dalla

porzione della piccola tuberosità su cui è inserito il tendine, invece

di sezionarlo, sintetizzando alla fi ne il frammento osseo nella sede

originaria con punti transossei. Questa metodica consentirebbe una

migliore guarigione di osso contro osso che di tendine-osso o tendine-

tendine nei pazienti anziani con avanzata degenerazione tendinea.

Attualmente, molte procedure di riparazione o ricostruzione sono

eseguite mediante tecniche artroscopiche. Per queste procedure si

praticano diverse piccole incisioni di 3-4 mm (portali) che possono

essere effettuate nella parte superiore, anteriore e/o posteriore della

spalla. Nella maggior parte delle procedure ricostruttive, vengono

usati due o più portali. Perlopiù viene usato un solo portale per la

fase diagnostica, mentre almeno un altro o altri portali servono per

far passare gli strumenti chirurgici o i dispositivi per riparare una

lesione o inserire un impianto. Le procedure effettuate all’interno

dell’articolazione gleno-omerale utilizzano portali nello spazio artico-

lare posteriore e uno o due portali anteriori per interventi sul cercine

e/o sulla capsula articolare, il portale di Wilmington per le riparazioni

delle lesioni SLAP e i portali posteriore, laterale e anteriore per la

riparazione della cuffi a dei rotatori.

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