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STAGIONE CONCERTISTICA 2016 / 2017 NONA EDIZIONE

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S TA G I O N E C O N C E R T I S T I C A 2 0 1 6 / 2 0 1 7

NONA EDIZIONE

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MERCOLEDÌ 7 DICEMBRE 2016 ore 21.15Civitanova Alta, Teatro Annibal CaroCONCERTO INAUGURALE ORCHESTRA FILARMONICA MARCHIGIANADAVID CRESCENZI direttore

IVAN DONCHEV pianoforte

SABATO 28 GENNAIO 2017 ore 21.15Civitanova Marche, Sala Lettura della BibliotecaSPAZIO GIOVANIELENA BALDONI pianoforte

MATTEO BALDONI violino

FEBBRAIO 2017 MATTINOCivitanova Marche, Auditorium Scuola “E. Mestica” PROGETTO SCUOLA“Il Carnevale degli animali” di C. Saint-Säens

ORCHESTRA FILARMONICA MARCHIGIANA

DOMENICA 12 MARZO 2017 ore 17.30Civitanova Alta, Teatro Annibal CaroKREISLERIANA. Viaggio notturno nel Romanticismo tedescoCESARE CATÀ filosofo

MASSIMO ARCANGELI critico letterario

LORENZO DI BELLA pianoforte

DOMENICA 9 APRILE 2017 ore 17.30Civitanova Alta, Teatro Annibal CaroORCHESTRA FILARMONICA MARCHIGIANAJIRÍ PETRDLÍK direttore

ANNA MIERNIK pianoforte

JIRÍ VODICKA violinointerverrà STEFANO PAPETTI storico dell’arte

MERCOLEDÌ 10 MAGGIO 2017 ore 21.15Civitanova Alta, Teatro Annibal CaroCONCERTO di CHIUSURAORCHESTRA FILARMONICA MARCHIGIANAMICHAEL MACIASZCZYK direttore

YOKO KIKUCHI pianoforte

LORENZO DI BELLA pianoforteinterverrà STEFANO PAPETTI storico dell’arte

STAGIONE CONCERTISTICA2016/2017 NONA EDIZIONE

Civitanova Classica Piano Festival giunge quest’anno alla nona edizione, con la consapevolezza di aver raggiunto la sua piena maturità, grazie ad un sempre maggior sèguito di pubblico, alla costante qualità degli artisti coinvolti e soprattutto alla scelta di un repertorio immaginato e proposto con la massima cura, nel corso di questi anni. Oltre ad avere comple-tato l’esecuzione dei cinque Concerti di Beethoven (autore che insieme con Mozart ha rappresentato una sorta di ‘alfa ed omega’ nei nostri programmi musicali) con questa edizione concluderemo tutta l’opera per pianoforte e orchestra di Fryderyk Chopin, proponendo tra l’altro due composizioni che oggi è raro ascoltare dal vivo: il Krakoviak op. 14 e le Varia-zioni su un tema dal Don Giovanni di Mozart op. 2.Non mancherà la consueta attenzione per i migliori musicisti in erba del momento, con lo Spazio Giovani nella Biblioteca “Zavatti”, e la presenza nel mondo della scuola, con l’esibizione della Filarmonica Mar-chigiana per gli studenti dell’Istituto Comprensivo “Via Tacito” della nostra città.Negli ultimi due appuntamenti avremo infine la gradita presenza del prof. Stefano Papetti con le sue salutari ‘pillole d’arte’, a sancire una stimolante e proficua collaborazione con la Pinacoteca Civica “Moretti”.Nell’attesa quindi di vedervi numerosi, non mi resta che augurarvi

Buon ascolto!

il direttore artistico Lorenzo Di Bella

COMUNE DICIVITANOVA MARCHEAssessorato alla Cultura

con il sostegno di

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MERCOLEDÌ 7 DICEMBRE 2016 ore 21.15

Civitanova Alta, Teatro Annibal Caro

CONCERTO INAUGURALE

ORCHESTRA FILARMONICA MARCHIGIANADAVID CRESCENZI direttore

IVAN DONCHEV pianoforte

si ringraziano

IMPRESA EDILE

F. MENDELSSOHN (1809-1847) Le Ebridi (La grotta di Fingal) op. 26

  Concerto per pianoforte e orchestra n. 1, op. 25 in Sol minore

Molto allegro e con fuocoAndantePresto. Molto allegro e vivace

INTERVALLO

L.van BEETHOVEN (1770-1827) Sinfonia n. 1 op. 21 in Do maggiore

Adagio molto. Allegro con brioAndante cantabile con motoMinuetto - Allegro molto e vivaceAdagio. Allegro molto e vivace

ORCHESTRA FILARMONICA MARCHIGIANAIstituita e sostenuta dalla Regione Marche, la FORM-Orchestra Filarmonica Marchigiana è una Istituzione Concertistica Orchestrale Italiana fra le tredici riconosciute dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Nel corso della sua attività, consistente principalmente nella realizzazione della stagione sinfonica in ambito regionale e nella partecipazione alle più importanti manifestazioni a carattere lirico delle Marche, si è esibita con grandi interpreti come Gidon Kremer, Natalia Gutman, Vladimir Ashkenazy, Ivo Pogorelich, Uto Ughi, Salvatore Accardo, Mario Brunello, Paolo Fresu, avvalendosi della guida di direttori di prestigio internazionale, quali Gustav Kuhn, Woldemar Nelsson, Daniel Oren, Donato Renzetti, Bruno Campanella, Bruno Bartoletti, Michele Mariotti, Anton Nanut, Hubert Soudant, Andrea Battistoni. Rivolge una particolare attenzione alla valorizzazione dei compositori marchigiani del passato, promuovendo nel contempo anche le produzioni dei maggiori compositori marchigiani contemporanei. Realizza inoltre cicli di concerti destinati al pubblico scolastico. Collabora con gli Enti e le Associazioni concertistiche più prestigiose della regione Marche. Attualmente la FORM-Orchestra Filarmonica Marchigiana si avvale della direzione artistica del M° Fabio Tiberi e, dal 2015, della direzione principale del M° Hubert Soudant.

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DAVID CRESCENZIHa iniziato i suoi studi presso il Conservatorio di Fermo, diplomandosi successiva-mente in Pianoforte, Strumentazione per Banda, Musica Corale e Direzione di Coro. Per svariati anni è stato assistente e collaboratore di Alessio Vlad, e allievo di Gustav Khun, del quale ha frequentato dal 1993 al 1996 i corsi di perfezionamento presso I Pomeriggi Musicali di Milano.Nella sua attività ormai ventennale si è cimentato come pianista accompagnatore in vari teatri e festival lirici, sia in Italia che all’estero, e attualmente come Direttore d’Orchestra e Maestro di Coro. Per numerose edizioni ha diretto sia la finale del Concorso pianistico nazionale ‘Città di Osimo’, sia il concerto conclusivo del Concorso violinistico ‘Postacchini’ di Fermo. Mentre dal 1999 al 2001 è stato Altro Maestro del Coro presso il Teatro “Carlo Felice” di Genova e nel 2004/’05 presso il Teatro “San Carlo” di Napoli. Dal 2006 al 2013 ha diretto il Coro Bellini di Ancona, in teatri di Jesi, Ancona e Macerata, con direttori quali Callegari, Mariotti, Arrivabeni, Bartoletti, Battistoni, Bertini, Santi, Elder o Tate, e registi come Pizzi, Brockaus, Ferretti, Cavani, Ranieri, De Hana o Pier’Alli.Come direttore collabora con il Teatro dell’Opera del Cairo dove tra il 1998 ed il 2003 dirige Rossini, Donizetti, Puccini e Verdi. Dal 2014 ricopre il doppio incarico di Direttore Artistico e Musicale, e nell’agosto 2015 dirige Aida in occasione dell’apertura del raddoppio del Canale di Suez (innanzi a oltre 60 capi di Stato).Dal 2002 è Direttore Ospite Principale presso il Teatro nazionale di Timisoara dove ha diretto opere di Puccini, Verdi, Bizet, Mascagni, Leoncavallo e Rossini. Da diversi anni prende quindi parte al Festival internazionale di Timisoara.Dal 2006 inizia la sua collaborazione con l’Opera Nazionale di Bucarest (dirigendo Rigoletto, L’elisir d’amore, Il barbiere di Siviglia e la nuova produzione de Le nozze di Figaro), per poi collaborare con l’Opera di Budapest, dove dirige quasi tutto il repertorio italiano. Da gennaio 2013 è Direttore Ospite Principale presso l’Orchestra Nazionale

della Radio di Bucarest. Nella Stagione 2009/’10 inizia la sua collaborazione presso l’Opera di Cluj (Romania) con opere di Verdi e la Bohéme di Puccini. Presso il Teatro dell’Opera rumena di Iasi dirige opere di Mozart, Rossini, Donizetti e Verdi. Lo scorso settembre inaugura i Concerti all’aperto del Festival Enescu con l’Orchestra Nazionale della Radio di Bucarest.Nella Stagione 2008/’09 dirige la Carmen presso il Teatro della Fortuna di Fano, e Otello al Bolshoi di Mosca. Nel 2008 inaugura la Stagione Lirica dello Sferisterio Opera Festival di Macerata, dirigendo Cleopatra di Lauro Rossi in prima mondiale (in epoca moderna), e nel luglio 2013 una serata di Gala dedicata a Beniamino Gigli. Nell’estate 2014, in occasione dei 50 anni dell’Arena, dirige il Concerto “Nozze d’oro” con la partecipazione record di oltre 1.600 coristi da tutta la regione.Ha condotto in tournée la Bergische Symphoniker Orchestra in Olanda (Aida) e in Germania (Trovatore) e, nella Stagione 2011/’12 della Filarmonica Marchigiana, ha invece diretto un ciclo di concerti in Ancona, Pesaro, Fermo e Fabriano, con il celebre violinista Uto Ughi. Nel 2012 è stato la bacchetta per il Solothurn Oper Air Festival della Svizzera tedesca, mentre nel 2014 dirige Brahms e Beethoven con la FORM, assieme al celebre violinista serbo Stefan Milenkovic.Nel 2016 ha diretto La favorita di Donizetti (alla Radio di Bucarest), Il barbiere di Siviglia (Festival Estivo di Locri), Traviata (Reggio Calabria), Tosca (Chieti), Attila di Verdi (Bucarest), L’elisir d’amore (Düsseldorf). Nel 2017 sarà nuovamente alla Radio di Bucarest con il Simon Boccanegra di Verdi, Traviata, Madame Butterfly, e i Carmina Burana nella nuova stagione all’Opera del Cairo, ed ancora a Düsseldorf in gennaio con Donizetti e L’elisir d’amore.

IVAN DONCHEVÈ stato definito da Aldo Ciccolini «artista di eccezionali qualità tecniche e musicali» e dalla critica internazionale come «raffinato e concentrato» (“Qobuz Magazine”, Francia), «pieno di temperamento» (“Darmstadter Echo”, Germania), dotato di «tecnica impeccabile e incredibile capacità di emozionare» (“Il Cittadino”, Italia). Nasce nella città di Burgas (Bulgaria) e intraprende lo studio del pianoforte all’età di cinque anni, dopo tre anni tiene il suo primo recital solistico e vince il secondo premio al Concorso internazionale ‘Città di Stresa’. A dodici anni debutta con l’Orchestra Filarmonica di Burgas eseguendo il Concerto in re maggiore di Haydn. Per meriti artistici nel 1997 gli viene assegnato il premio ‘Talento dell’anno’ di Burgas. Vincitore di 19 premi in concorsi nazionali e internazionali fra cui ‘Svetoslav Obretenov’ (Bulgaria, 1994), ‘EMCY’ (Dublino, 1996), ‘Carl Filtsch’ (Romania, 1997), ‘Città di Monopoli – Gran Prize Ecomusic, 2000’, ‘S. Fiorentino’ (Morcone, 2004), ‘G. Terracciano’ 2005, ‘Società Umanitaria’ (Milano, 2008). A soli 16 anni vince il ‘Premio Chopin’ della Società Chopin di Darmstadt e debutta alla nota Sala “Gasteig” di Monaco di Baviera. Da allora è regolarmente invitato a suonare nelle maggiori città europee, negli Stati Uniti, Russia, Giappone e Corea del Sud. Essenziali i concerti tenuti a New York, Vienna, Berlino, Mosca, Ekaterinburg, Darmstadt, Kitzingen, Dublino, Londra, Seoul, Sofia, Oradea, Daegu, Yamagata, Montpellier (per il Festival de Radio France). In Italia ha suonato a Milano (alla Sala “Verdi” – per La Società dei Concerti e all’Università Bocconi), Firenze, Napoli, Taranto, Palermo, al Laudamo di Messina, ai Festival dei Due Mondi di Spoleto, San Sepolcro Symphonia Festival, Apollonia Music Festival, ‘Franz Liszt’ Festival di Albano, e molti altri. Ha suonato con la New York Festival Orchestra, la Filarmonica di Burgas, la Kronstadt Philharmoniker, USC Mussorgsky Symphony Orchestra, la Daegu Symphony Orchestra, la Jeonju Philharmonic, la Pazardjik Philharmonic, l’Oradea Philharmonic, l’Orchestra Sinfonica di Razgrad, l’Orchestra da Camera Fiorentina, l’Orchestra Sinfonica di Bari, l’Orchestra Sinfonica della Magna Grecia e molte altre. Ha inciso l’integrale dei Concerti per pianoforte e orchestra di Cajkovskij e, in prima mondiale, il Quadro sinfonico concertante per pianoforte e orchestra di Vito Palumbo, a lui dedicato. I dischi di Ivan Donchev sono

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pubblicati dalle case discografiche “Rai Trade”, “Sheva Collection” e “Gega New”. Le sue registrazioni sono trasmesse da Radio France, Radio Classica, Radio Vaticana, Radio 3, la Radio e la Televisione Nazionale Bulgara. Fondamentale è stato il perfe-zionamento con Aldo Ciccolini dal quale ha ricevuto il premio ‘Sorrento Classica’ (2008) e con il quale ha suonato in formazione di duo pianistico a 4 mani al Festival de Fenetrange in Francia. È spesso invitato nelle giurie di concorsi internazionali e ogni anno tiene corsi di perfezionamento in Europa, Asia e America. Nel 2013 il suo disco con le Sonate per pianoforte e violino di L. van Beethoven ha ricevuto il ‘5 Stars Award’ dalla rivista inglese “Musical Opinion”. Nel 2015 debutta con successo presso il Kaufman Music Center di New York con il Concerto per pianoforte e orchestra n. 5 op. 73 (Imperatore) e al Festival dei Due Mondi di Spoleto con la Sonata op. 106 (Hammerklavier) e l’op. 120 di Beethoven..

NOTE DI SALA‘Uamh-Binn’ (in gaelico ‘Grotta delle melodie’) venne scoperta nel 1772 dal naturalista inglese Joseph Banks, tra i fiordi e le gole della costa Ovest di Scozia. Col cataclismatico sprofondare di alcune colate laviche dentro le gelide acque dell’oceano, più di sessanta milioni di anni fa, un fitto nùgolo di piloni basaltici dalla curiosa pianta esagonale si era venuto a creare, assiepandosi lungo la costa, come una selva di pietre. Quel che sessant’anni dopo la sua scoperta si offriva agli occhi stupiti di un giovane Mendelssohn era ora un antro profondo, invaso dal mare, che si affacciava, come un profondo squarcio tra l’acqua ed il cielo, nella parete meridionale dell’isola di Staffa, tutto percorso dagli echi che le onde intessevano tra le sue rocce. Già allora quel luogo era conosciuto come ‘la Grotta di Fingal’, e il nome deriva dall’eroe che secondo leggenda (condivisa nei secoli dalla mitologia irlandese e scozzese) scolpì nella roccia un camminamento, tra l’Irlanda e la Scozia, scavalcandovi il mare. Il mito è ripreso anche in un sublime falso letterario di tardo Settecento, i Canti di Ossian, opera del poeta preromantico James MacPherson, che affermava di avervi raccolto quel che ancora esisteva dell’epica in versi alto-medievale attribuibile al bardo Ossian (‘l’Omero del nord’), da lui riscoperto nelle brumose lande scozzesi.Nel 1829, deciso a intraprendere un viaggio nelle isole britanniche, Felix Mendelssohn era appena ventenne, e lasciava una Berlino che già lo aveva acclamato nei leggendari concerti in cui le opere corali di Johann S. Bach si erano animate di vita nuova. Il viaggio fu lungo e, dopo una permanenza londinese, virò verso nord. Facile a immaginarsi, la Scozia impressionò – e profondamente – l’animo romantico del giovane compositore che, oltre all’Overture de Le Ebridi, troverà in quelle terre lo spunto anche per la più nota tra le sue Sinfonie, la terza in la minore, detta appunto ‘Scozzese’. Così, molto stupore suscitò in lui anche la Grotta di Fingal, che ben rispondeva a quel fascino oscuro di cui s’ammantava la nascente sensibilità del preromanticismo tedesco. Del musicista ci sono rimaste let-tere in cui questi descrive alla sorella le emozioni del viaggio, e proprio in una di queste si conserva un abbozzo che riporta la frase iniziale della sua “nuova Overture”. Il titolo prescelto doveva essere Die einsame insel (‘L’isola solitaria’), e con questo l’opera sarà in effetti data alle stampe, in Venezia, nel 1830, già riscuotendo per altro il plauso entusia-sta dell’amico Ignaz Moscheles, che la lesse in partitura. Solo in seguito Mendelssohn lo muterà in Die Hebriden (‘Le Ebridi’), recandovi però anche il sottotitolo con cui l’opera oggi è a tutti più nota, La Grotta di Fingal. Il 14 maggio 1832, assieme all’Overture del Sogno di una notte di mezza estate (il capolavoro mendelssohniano in omaggio all’opera di Shakespeare), il brano venne eseguito in pubblico, rivelandosi un pieno successo. Con intuito profondo, Mendelssohn qui precorreva già i tempi, dando alla luce quella ch’è in fondo una ‘musica a programma’, in certo qual senso antesignana per l’epoca di ciò che in futuro sarà il genere nuovo del Poema sinfonico. Il compositore fa sfoggio di tutta la propria abilità da strumentatore, dispiegando in orchestra uno spettro ampio e mutevole di timbri, e di effetti. Sarebbe un torto però riconoscere il colorismo favolistico, per tacervi invece del magistero formale. Scritta in forma-sonata, e sottoposta poi a un costante lavorio di sviluppo, l’Overture è splendidamente modellata, articolandosi attorno a due temi conduttori: il primo (negli archi gravi) era quello che Mendelssohn già aveva abboz-zato durante la sua visita scozzese, consegnato poi in schizzo nel suo scambio epistolare; il secondo invece ricorda, col suo dispiegarsi, l’eco suggestiva delle voci del mare nelle profondità della grotta. Questi due spunti tematici, accomunati da una forte compattezza motivica, percorreranno tutta la prima parte dell’opera con sotterranea insistenza, come in preda a un serpeggiante incantesimo, per esserne da ultimo rievocati poi in coda, fusi tra loro, prima degli accordi finali.Con questa pagina sensazionale, il M° Crescenzi ben ci introduce al programma di stasera, tutto costruito su brani in cui forte è la tensione tra un linguaggio e una forma ancora in certa misura ‘classici’ e l’aspirazione invece a un’urgenza emotiva ch’è già tutta ‘romantica’. Non è un caso così se quest’opera si ritrovò ammirata, e con trasporto, da autori diversi delle generazioni successive. Il Brahms orchestralmente più ‘conservatore’ ne era appassionato, ma anche Wagner, pieno d’entusiasmo in particolare per il tema d’apertura (quello alle viole, e ai violoncelli), la definì “forse la migliore Overture di tutta la musica romantica”!Solo un anno prima i Concerti per pianoforte e orchestra di Fryderick Chopin avevano

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coronato quello che usualmente oggi si definisce con l’espressione di ‘Stile Biedermeier’, in cui (come scriveva Belotti) “l’orchestra era concepita come semplice accompagnamento dei passi ‘espressivi’ o ‘virtuosistici’ del pianoforte solista”, e lo strumentale vi era “ridotto al punto che, se si eccettuano le introduzioni, le conclusioni orchestrali e qualche tutti che separa una sezione dall’altra, l’orchestra si limita spesso a pochi tocchi, e talvolta tace del tutto!” Il Concerto in Sol minore di Mendelssohn, cominciato un anno dopo il suo viaggio in Scozia, risultò così un deciso superamento di quell’estetica, in primis nel rinnovato ruolo dell’orchestra che si vedeva riconsegnare un còmpito veramente dialo-gico con lo strumento solista. Con una scrittura in certo senso più debitrice dell’eredità beethoveniana, di quanto non fossero sembrati di fatto la cerchia dei vari Field, Hummel, Kalkbrenner e non ultimo forse lo stesso Chopin, molti dei momenti anche più di cornice nell’orchestrazione di questo Concerto ci paiono così un’evoluzione dei passi ‘di semplice raccordo’, che spesso affollano quella letteratura. Nella brillantezza del gioco pianistico, così pure nel colore orchestrale (che più del consueto gioca anche col timbro dei fiati, secondo la lezione di Weber e riscoprendo in fondo un certo classicismo viennese), quest’opera ci appare come esempio sublime dell’apparente ‘facilità’ di scrittura – per intenderci, ‘alla Mozart’ – di cui Mendelssohn si dice fosse particolarmente dotato. Il suo acceso virtuosismo fluisce “senza malinconie, senza ripensamenti, con una scioltezza di discorso e con una prestigiosità tecnica” in grado di travolgere da subito qualsiasi ascol-tatore. Non c’è da stupirsi quindi se un orecchio fine come quello di Robert Schumann ne rimase profondamente impressionato, la sera della prima, con l’autore in persona sul podio. Nel mezzo di un vorticoso turbinare di note, il tocco di Mendelssohn a Schumann era sembrato quello di sempre; “con il suo solito passo giocondo, con un sereno sorriso alle labbra”, il genio del giovane amburghese pareva già allora un miracolo, sin dai suoi primi capolavori rivelatosi forse il più ‘classico’ tra tutti i romantici.Ludwig van Beethoven indugiò sino ai trent’anni prima di arrischiarsi, sul crinale del secolo, nell’impervio terreno della Sinfonia classica. Terreno che poi non abbandonerà più, da allora, se non dopo averlo radicalmente rivoluzionato con le sue nove Sinfonie, forse le più leggendarie composizioni di tutta la musica colta occidentale. Può far riflettere pensare quanto sia Haydn che Mozart (e alla stessa età in cui Beethoven si apprestava alla sua prima Sinfonia) già avessero al loro attivo alcune decine di opere in questa forma. Il confronto che gravava sul genio di Bonn era quindi enorme, tale forse da intimorire persino un uomo come lui. Da pochi anni, infatti, Haydn da un lato aveva licenziato le sue Sinfonie ‘londinesi’, opere in cui il magistero del classicismo settecentesco era stato condotto a un esito insuperabile di perfezione linguistica e formale, e Mozart dall’altro aveva lasciato tre ultimi capolavori che venivano già a costituire un testamento spirituale del suo sinfonismo dove, sotto l’impeccabile cornice formale, ribollivano le inquietudini che sarebbero state poi proprie del primo sentire romantico. Qualcosa stava quindi cambiando. E il genio beethoveniano lo presentiva, con impeto. Un piglio tutto nuovo ad esempio, ch’è in primo luogo strumentale (come nell’impiego dei fiati), ravviva da subito – dopo l’Adagio introduttivo – il primo Allegro di questa Sinfonia, colpendoci con un entusiasmo sincero, che infiamma. L’urgenza del genio si agita del resto anche nel Minuetto, dov’è sì trattenuta ma con difficoltà; per cui l’elegante danza settecentesca è soltanto un ricordo, in quello che è già in verità uno ‘Scherzo’ beethoveniano, a tutti gli effetti. In quest’opera ‘prima’, che forse soffre ancora di qualche incertezza (se paragonata ai capolavori che la seguiranno), la vivacità del colore, l’accesa propulsione ritmica, la forza dell’umore tratteggiano un inedito chiaroscuro, che la rende cosa nuova al contempo sia per la sapienza pacata di Haydn, che per la sublime eleganza di Mozart.Con il programma di oggi così, il Civitanova Classica Piano Festival riapre la sua stagione e, nel rendere omaggio a due protagonisti di spicco della musica europea, ci svela tre titoli, imprescindibili alla storia dei generi che affiancano la letteratura pianistica nella grande avventura dell’epoca romantica.

Nicolò Rizzi

SABATO 28 GENNAIO 2017 ore 21.15 ingresso libero

Civitanova Marche, Sala Lettura della Biblioteca

SPAZIO GIOVANI

ELENA BALDONI pianoforte

MATTEO BALDONI violino

In collaborazione con

F. SCHUBERT (1797-1828) Improvviso op. 142, n. 2 per pianoforte

F. CHOPIN (1810-1849) Tarantella op. 43 per pianoforte

M. RAVEL (1875-1937) Alborada del gracioso, da Miroirs per pianoforte

J. S. BACH (1685-1750) Ciaccona dalla Partita n. 2 BWV 1004 per violino

N. PAGANINI (1782-1840) Capriccio op. 1, n. 5 per violino

INTERVALLO

J. BRAHMS (1833-1897) Sonata n. 3, op. 108 in Re minore, per violino e pianoforte

AllegroAdagioUn poco presto e con sentimentoPresto agitato

si ringrazia

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ELENA BALDONINasce a Recanati il 5 dicembre 1995. Inizia lo studio del pianoforte all’età di sei anni e a otto viene ammessa all’Istituto Pareggiato “G.B. Pergolesi” di Ancona, sotto la guida del M° Gloria D’Atri prima e, successivamente, del M° Lorenzo Di Bella, vincendo diverse borse di studio dal 2006. Nel 2014, dopo aver conseguito la maturità scienti-fica con il massimo dei voti, si trasferisce presso il Conservatorio “G.B. Pergolesi” di Fermo, dove si diploma nella classe del M° Fabrizio Viti col massimo dei voti, lode e menzione speciale. Parallelamente frequenta Ingegneria Meccanica presso l’Università Politecnica delle Marche. Ha ottenuto primi premi in vari concorsi, tra cui: iv Concorso europeo di musica ‘Città di Numana’, 2009; Nuova Coppa pianisti di Osimo, 2011; iv Concorso nazionale per giovani musicisti ‘Città di Falconara’, 2012; xviii Concorso di esecuzione musicale ‘Rotary Club Teramo Est’, 2013. Si è esibita presso l’Auditorium S. Rocco di Senigallia per la Festa della Musica 2008, presso il Teatro Sperimentale di Ancona per il Concerto “Musica e Poesia” 2013 e per la Rassegna Bio Boccosi 2012 (partecipando al Cd “La musica di Bio Boccosi”, prime registrazioni assolute). Nel marzo 2014 suona in occasione del 3° Festival Musicale Goffredo Petrassi presso Villa Tuscolana, a Roma. In duo con il fratello Matteo, violinista, suona al Teatro Gentile di Fabriano per il progetto “Le musiche - Le ali”, a Fermo presso la Camera di Commercio e presso la Sala dei Ritratti in occasione del convegno “Philosophy for Children”, al Teatro La Fenice di Amandola, al Teatro di Porto San Giorgio in occasione del 150° anniversario della Capitaneria di Porto della Guardia Costiera, al Teatro “G. Leopardi” di San Ginesio. Insieme hanno ottenuto il primo premio al Concorso Nazionale di Musica da Camera ‘Rotary Symphony: la musica per la pace’, 2013 di Castel Gandolfo. Ha partecipato a numerose masterclass: a Recanati, presso l’Accademia Pianistica delle Marche, dal 2009 (con i maestri Gianluca Luisi, Piernarciso Masi, Uwe Brandt, Marc Toth, Michel Brousseau, Evgeny Starodubtsev, Cristina Altamura, Lei Weng, Ratko Delorko e Christa Bützberger), all’Imola summer piano Academy & Festival, nel 2013 (con i maestri Enrico Pace e Anna Kravtchenko). Nell’aprile del 2016 ha suonato il Concerto n. 3 di Beethoven con l’Orchestra del Conservatorio, diretta dal M° Luca Ferrara, presso il Teatro dell’Aquila di Fermo. Attualmente si sta perfezionando presso l’Accademia di Musica di Pinerolo sotto la guida di Enrico Pace, e presso l’Accademia Pianistica delle Marche di Recanati con Lorenzo Di Bella. Frequenta il Biennio di Pianoforte presso il Conservatorio “G. B. Pergolesi” di Fermo con il M° Fabrizio Viti.

MATTEO BALDONINato a Recanati nel 1999, ha iniziato lo studio del violino a 7 anni ed è stato ammesso già a 9 anni presso il Conservatorio “G.B. Pergolesi” di Fermo come primo classificato tra oltre 50 candidati; nel 2016 consegue con il massimo dei voti, lode e menzione speciale il diploma finale sotto la guida del M° Luca Marziali. È stato sempre premiato come violinista in tutti i concorsi a cui ha partecipato, conseguendo tra gli altri il 1° premio assoluto al III Concorso europeo di musica ‘Città di Numana’ nel 2008 e 2009, il 1° premio al xv Concorso nazionale per giovani musicisti ‘Città di Camerino’ nel 2008, il 1° premio al Concorso nazionale di Musica da camera ‘Rotary Symphony: la musica per la pace’ a Castel Gandolfo, nel 2013, e il 1° premio assoluto al XVIII Concorso di esecuzione Musicale da Camera ‘Rotary club Teramo est’, nel 2013. Ha frequentato masterclass di violino con i Maestri Luca Marziali, Cristiano Rossi, Pasquale Pellegrino e Natalia Boiarsky, con esibizione finale al Kammerfestival di Recanati insieme a giovani talenti provenienti da tutto il mondo. È stato selezionato come violinista in numerose occasioni: già a 8 anni presso la sede della Prefettura di Ancona; alla 9° edizione Poliphonica Festival di Visso; come miglior corsista al Canto Festival 2011, con esibizione al Teatro “La Fenice” di Amandola. Ha suonato in orchestra in varie manifestazioni e suona attualmente nell’Orchestra del Conservatorio “G.B Pergolesi” di Fermo, nella sezione violini primi, dove ha esordito – vincendo una borsa di studio – per l’apertura dell’anno accademico 2013/’14. Nel 2016 ha vinto la selezione come solista e si è esibito con l’orchestra del suo conservatorio presso il Teatro dell’Aquila di Fermo sotto la direzione del M° Luca Ferrara. In seguito a questa selezione è stato chiamato a suonare nella stagione concertistica di Rocca Tiepolo 2016 di Porto San Giorgio e al teatro “Leopardi” di San Ginesio. In duo con la sorella Elena, pianista, è stato invitato a numerose iniziative, tra cui quella presso il Teatro Gentile di Fabriano per la scoperta di giovani talenti nel territorio marchigiano denominata “Le musiche – Le ali”, presso la Sala dei Ritratti dove ha inaugurato il convegno “Philosophy for Children”, presso la sala Marconi di Francavilla d’Ete, al teatro “Velluti” di Corridonia, al teatro “La Perla” di Montegranaro, all’Abbazia S. Marco alle Paludi, al teatro di Porto San Giorgio in occasione del festeggiamento dei 150 anni della Capitaneria di Porto. È stato invitato in diverse occasioni presso la Camera di Commercio di Fermo e ha suonato come solista al 3° Festival Musicale Goffredo Petrassi a Villa Tuscolana. Dal 2016 frequenta il corso di perfezionamento con il M° Dora Schwarzberg e il M° Adrian Pinzaru presso l’Accademia di Musica di Pinerolo.

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FEBBRAIO 2017 MATTINO

Civitanova Marche, Auditorium Scuola “E. Mestica”

PROGETTO SCUOLA

ORCHESTRA FILARMONICA MARCHIGIANA

“Il Carnevale degli animali” di C. Saint-Säens

Quattordici piccoli ritratti in musica di animali e personaggi fantastici concepiti nello spirito divertito, ironico e festoso del Martedì Grasso. Questo è il Carneval des animaux (Carnevale degli animali), grande fantasia zoologica per due pianoforti e piccola orchestra composta da Camille Saint-Saëns nel 1886. Tra le opere più celebri della letteratura musicale per ragazzi, il mondo animale prende forma con grande efficacia comunicativa attraverso i colori della raffinata tavolozza del grande compositore francese, abilissimo nel piegare con originalità la tecnica strumentale al servizio della rappresentazione di caratteri, immagini, sensazioni. Animali della foresta, galline e galli, tartarughe, elefanti, canguri, pesci, uccelli, creature immaginarie dalle lunghe orecchie e persino due pianisti, descritti con grande ironia come due ‘animali da con-certo’ impegnati in una sfrenata gara di esibizionismo. Tutti insieme in una divertente e affascinante parata sonora, dove la forza del leone ruggente si coniuga alla grazia del cigno, animale cui Saint-Saëns dedica uno dei ritratti più riusciti della letteratura musicale, divenuto in seguito anche un notissimo assolo di danza.

L’evento è riservato agli alunni, genitori e docenti dell’Istituto Comprensivo “Via Tacito” di Civitanova Marche

DOMENICA 12 MARZO 2017 ore 17.30

Civitanova Alta, Teatro Annibal Caro

KREISLERIANA Viaggio notturno nel Romanticismo tedesco

CESARE CATÀ filosofo

MASSIMO ARCANGELI critico letterario

LORENZO DI BELLA pianoforte

interverrà NICOLÒ RIZZI musicologo

In collaborazione con di Civitanova nel 25° di attività

R. SCHUMANN (1810-1856) Kreisleriana op. 16 (Otto fantasie per pianoforte)

Molto mosso Con molto sentimento e non troppo veloceMolto agitatoMolto lentoVivace assaiLento assaiMolto prestoVeloce e scherzando

si ringrazia

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CESARE CATÀÈ nato a Fermo, il 3 agosto del 1981. Già professore a contratto nella Facoltà di Scienze della Comunicazione di Macerata, è Dottore di ricerca in filo-sofia, scrittore, insegnante, performer teatrale; è ideatore e interprete del format teatrale “Magical Afternoon”, in cui si mescolano didattica e recitazione. Lavora inoltre come consulente nell’ambito della comunicazione aziendale. È calciatore e tennista dilettante. Ha curato e tradotto testi dal latino, dal francese, dall’ingle-se, e ha collaborato con università e centri di ricerca internazionali, tra cui la University of Hawaii a Honolulu, il Cusanus Institut di Trier, l’EPHE di Paris, l’Istituto Italiano di Cultura di Dublino. Tra le sue pubblicazioni: Shakespeare e l’urlo di Narciso. Viaggio nel Riccardo ii (Aguaplano, 2015); La Croce e l’Inconcepi-bile. Il pensiero di Nicola Cusano (EUM, 2009); Perspicere Deum. Nicholas of Kues and the European Art of Fifteenth Century (UCLA, 2009); Filosofia del Fantastico. Escursione tra i Monti Sibillini, l’Irlanda e la Terra di Mezzo (Il Cerchio, 2012); La passeggiata impossibile. Martin Heidegger e Paul Celan tra il niente e la poesia (Aracne, 2012). È attualmente in lavorazione il suo primo romanzo, che racconta la storia di un amore disperato tra le Marche, la Francia e l’Irlanda.

MASSIMO ARCANGELILinguista, critico letterario, sociologo della comunicazione, è professore or-dinario di Linguistica italiana presso l’Università di Cagliari. Già responsa-bile scientifico mondiale del Progetto Lingua Italiana Dante Alighieri (PLIDA), è componente del collegio di dottorato in Linguistica storica e Storia linguistica italiana dell’Università “La Sapienza” di Roma; collabora con l’Istituto dell’Enci-clopedia Italiana Treccani, con la Radio e la Televisione pubblica e privata, con varie testate quotidiane e periodiche; è garante dell’Italianistica a Banska Bystrica, External Examiner per l’U-niversità di Malta, direttore di imprese editoriali e di festival culturali nazionali e internazionali. Autore di oltre 600 contributi, 13 dei quali monografie, ha tenuto corsi e con-

ferenze su invito in tutto il mondo, anche come visiting professor. Nel 2016 ha ricevuto il Premio internazionale ‘Bronzi di Riace’, attribuito «a quelle personalità che, come fieri guerrieri, hanno combattuto per la crescita e lo sviluppo della nazione distin-guendosi, in Italia e nel mondo, per competenza e professionalità, e portando alto il nome della propria terra».

LORENZO DI BELLASi è aggiudicato nel 2005 il primo premio e medaglia d’oro al concorso pianistico ‘Horowitz’ di Kiev (unico italiano ad aver vinto un concorso pianistico in una nazione dell’ex Unione Sovietica). Per meriti artistici nel 2006 gli è stato consegnato in Quirinale, dall’ex Presidente Ciampi, il ‘Premio Sinopoli’, in memoria del direttore d’orchestra Giuseppe Sinopoli, scomparso nel 2001. Nel 1995 si è aggiudicato il ‘Premio Venezia’, il più importante concorso nazionale a seguito del quale ha tenuto recital per le maggiori società concertistiche italiane. Grande successo hanno riscosso le sue apparizioni al ‘Festival dei Due Mondi’ di Spoleto, su invito personale del M° Giancarlo Menotti, al Teatro “La Fenice” di Venezia, al Teatro Olimpico di Vicenza, al Teatro delle Muse di Ancona, alla Sala Michelangeli di Bolzano, al Festival Liszt di Utrecht, all’ETH di Zurigo, al Festival Chopin di Marianske Lazne (Cz), ad Amburgo, Berlino, Praga, Sarajevo, Montreal, Ottawa, Denver (CIPA), Pechino, Shanghai (Oriental Center), Wuhan, Xi’han, alla Società dei Concerti di Milano e all’Auditorium ‘Parco della Musica’ di Roma, con l’Orchestra Nazionale di Santa Cecilia. La sua attività concer-tistica lo ha portato ad esibirsi in importanti città italiane ed estere, e con orchestre quali: Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano, Orchestra Sinfonica di San Remo, Orchestra Nazionale di O’Porto, Orchestra Filarmonica Marchigiana, Orchestra Sinfonica di Pesaro, Orchestra Sinfonica Nazionale dell’Ucraina, Orchestra Sinfonica di Nancy, Südwestdeutsche Philarmonie, Orchestra Sinfonica Villingen-Schwenningen, New World Philarmonic, Philarmonisches Kammerorchester Berlin. Ha collaborato con numerosi direttori tra cui James Conlon, Kirill Karabits, Vassilis Christopoulos, Reinhard Seehafer, Jorge Iwer, Zbinĕk Müller, Michel Brousseau, David Crescenzi.

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Lorenzo Di Bella compie i suoi studi musicali al Conservatorio “G. Rossini” di Pesaro, dove si diploma con lode e menzione speciale nella classe del M° B. Bizzarri. Ha fre-quentato poi per cinque anni i corsi tenuti da F. Scala e L. Berman presso l’Accademia Pianistica ‘Incontri col Maestro’ di Imola e, in seguito, i corsi presso l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia a Roma con S. Perticaroli. Così si è espresso il pianista Lazar Berman pochi mesi prima della sua scomparsa: «Lorenzo è un notevole pianista di talento, un brillante virtuoso, un emozionante e raffinato musicista. Io sono stato suo insegnante per tre anni e ho sempre ammirato la sua grande abilità tecnica e la sua forte personalità artistica ma soprattutto la sua voglia di parlare al pubblico…». Di Bella è docente di pianoforte principale presso l’Istituto Statale Superiore di Studi Musicali “G. Braga” di Teramo e direttore artistico dell’Accademia Pianistica delle Marche di Recanati. Per la sua attività artistica è stato insignito in Campidoglio del ‘Picus del Ver Sacrum’, insieme all’attore Max Giusti e al soprintendente Pier Luigi Pizzi, quale ‘Marchigiano dell’anno 2006’, riconoscimento istituito dal Ce.S.MA di Roma. Ha eseguito nel 2013 l’integrale delle Études-Tableaux di Rachmaninov in due concerti, a Torino e Milano, all’interno della settima edizione del Festival MiTo – Settembre Musica. È direttore artistico del Mugellini Festival di Potenza Picena, della stagione concertistica Civitanova Classica Piano Festival e del Concorso Pianistico ‘La Palma d’oro’ di San Benedetto del Tronto.

NICOLÒ RIZZIRicerca per passione un continuo dialogo tra la propria esperienza di esecutore e un’approfondita formazione musicologica, condotta a Cremona (presso il Dipartimento di Musicologia e Beni Culturali) poi perfezionata a Cracovia, in Polonia (presso la prestigiosa Jagielloński Uniwersytet). Nel corso dei propri studi accademici, si è de-dicato con particolare interesse alla musica pianistica russa, approntando tre Tesi di ricerca; su A. Scrjabin, su M. Musorgskij e su N. Medtner. Ha fatto parte in Milano del direttivo scientifico della casa editrice Clarius Audi (poi Ergo Diesis), come responsabile di progetto per collane di saggistica musicale. Collabora con l’editore Zecchini di Varese nella stesura di alcune voci enciclopediche per la Guida alla mu-sica sacra, di prossima stampa. È stato Maestro di palcoscenico e collaboratore del Segretario artistico musicale al Teatro lirico “A. Ponchielli” di Cremona. Nel campo della divulgazione culturale, ha collaborato con varie istituzioni come l’Associazione ‘Musica rara’ di Milano, il Wam Festival internazionale W.A. Mozart di Rovereto o il Mantova Chamber Music Festival. Attualmente è assistente alla direzione artistica del Mugellini Festival di Potenza Picena e del Cremona PianoForum. È da alcuni anni redattore di sala per teatri e festival italiani. Come pianista, si sta specializzando nel repertorio solistico e da camera russo e dell’Est Europa. Da molti anni infine è basso nel Coro della Facoltà di Musicologia, col quale si è esibito in numerose tournée in Italia e all’estero ed ha approntato la prima incisione dell’opera sacra di Giovanni Albini, nel 2014 per Brilliant Classics.

NOTE DI SALARobert Schumann cominciò a scrivere per pianoforte poco più che ventenne e, nel giro di un decennio, diede alla luce una fitta serie di capolavori, fondamentali oggi per capire l’essenza stessa del Romanticismo musicale tedesco. Sette tra questi, ormai pietre miliari nel repertorio pianistico, contengono inoltre un esplicito riferimento al cosmo multiforme della grande letteratura romantica; ai suoi autori, alle tematiche da loro preferite, alla narrazione fantastica, alle diversità delle forme sperimentate, alle visioni più ricorrenti infine nei loro incubi e sogni. Le Variazioni ‘Abegg’, opera prima del compositore, disvelano la fascinazione schumanniana per la simbologia dell’acrostica musicale. I Papillons sono un esplicito omaggio ai Flegeljahre (‘Anni di scapigliatura’) di Jean Paul Richter, tra le più abili penne che il romanzo romantico tedesco abbia avuto, dopo il genio di Goethe. Il Carnaval op. 9 e il Faschingsschwank aus Wien (‘Carnevale di Vienna’) riprendono invece, proprio da Jean Paul, la fascinazione tutta romantica per il ‘doppio’ e per la maschera da carnevale. Le Novellette dell’op. 21 infine sono tutte una fittissima trama di «musica, scherzi, scene di famiglia, storie di Egmont», per dirla con parole del compositore. Un’opera cioè in cui la pagina pianistica di carattere si piega con decisione al ‘raccontare qualcosa’.Quello che emerge qui, sin da queste opere prime, e con forza, è una tendenza di Schumann a comporre per vorticoso avvicendarsi di slanci e passioni, di impeti e dolcezze, in una contrapposizione di accenti che sembra svelare non solo una dialettica stilistica, quanto una dualità psicologica nell’animo stesso del compositore. Dualismo ben rappresentato del resto dalle due maschere schumanniane rese ormai celebri dalla letteratura critica, oltre che dal suo epistolario. Eusebio, l’anima teneramente lunare, si vede sempre contesa la parola (e l’avventura d’amore) da Florestano, l’amico irruente e tutto un fuoco di entu-siasmo. Ci si potrebbe poi spingere a vedere qualcosa di più in questo celebre ‘doppio’, se Schumann scelse d’immedesimarvisi a tal punto da firmare molti suoi lavori con l’uno o l’altro pseudonimo, ovviamente a seconda dell’opera, e del suo intrinseco carattere. La maschera diviene qui l’occasione per inscenare un lato della personalità, capace di squarciarne la logica e farne affiorare la psiche. Il tema del carnevale, dell’equivoco, dell’indistinto diviene qualcosa di più profondo quindi, tralasciando il divertimento della sala da ballo, per colorarsi di un denso chiaroscuro, punto di vista forse più psicanalitico che di frivola mondanità.Ecco così che l’op. 16 diviene stasera un’occasione perfetta per addentrarsi nel multiforme della sensibilità schumanniana, e sentirci introdotti (con musica) all’inquieta avventura del Romanticismo tedesco. Dovremo innanzitutto figurarci un uomo che fu non soltanto pianista, e compositore, ma anche editore e critico musicale (sulla Neue Zeitchrift für Musik). E affamato lettore, certo estimatore di Clemens Brentano, di Ludwig Tieck o di Joseph von Eichendorff, più di tutti appassionato però della prosa di Jean Paul – già lo si è detto – e dell’irrefrenabile fantasia di Ernst T.A. Hoffmann. Una figura cioè d’intellettuale tout court, per cui Hoffmann stesso avrebbe certo ricambiato la stima (lo scrittore era inoltre pittore, e musicista, e anch’egli critico musicale).Vediamo però di procedere con ordine, che altrimenti già il titolo rimarrebbe oscuro ai più, senza qualche spiegazione. Perché ‘Kreisleriana’? Già lo sapeva, Schumann, se a un corrispondente francese della sua rivista confessò: «Di tutte le composizioni degli anni intorno al 1838, Kreisleriana mi è la più cara. Il titolo non può esser compreso che dai tedeschi. Kreisler è un personaggio creato da E.T.A. Hoffmann, ed è un maestro di cap-pella strano, esaltato, spirituale. Molte cose in lui vi piaceranno…». Schumann riassume qui solo corsivamente il personaggio, ma il suo entusiasmo era certo stato maggiore, allorché aveva letto e con gioia la folle opera del genio hoffmanniano Vita e opinioni del gatto Murr, comprensivo della biografia frammentaria del maestro di cappella Johannes Kreisler in forma di casuali scartafacci. In primo luogo nel libro, uscito nel ’19, ritroviamo memorie, opinioni e confessioni non esposte però in prima persona: tra Kreisler e il lettore viene anteposto un narratore, nientemeno che un gatto! Allo stesso modo, nell’opera di Schumann, tra il suo io creativo (il doppio bipolare di Eusebio-Florestano) e l’ascoltatore viene immaginato frapposto chi ne ha ‘rinvenuto’ le opere. Anche lui forse compagno di quella ‘Lega dei fratelli di Davide’, immaginata da Schumann come comunanza degli spiriti eletti, dèditi all’impresa dell’arte.Lo strano personaggio di Johannes Kreisler accompagnerà tutta la carriera letteraria e

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musicale di Hoffmann, come un suo alter ego. E lo scrittore ne riproporrà la memoria tramandando così la sua esperienza nel mondo, tutt’altro che facile, con le sue amare rifles-sioni sul significato dell’arte, nell’ottusa cecità della moderna società borghese. Un aspro conflitto quindi, in cui si svela la dolorosa frattura (tutta romantica del resto) tra l’artista creatore e il mondo circostante. La sofferenza dell’esistere ingenera un’arte che anela a un altrove, consegnando però il poeta o alla paralisi, o all’esilio, o alla pazzia. Si pensi al Werther di Goethe o al nostro Leopardi: «Non di sospiri è degna la terra. Amaro e noia la vita, altro mai nulla; e fango è il mondo». L’artista diventa così una figura che strenuamente difende la propria voce, e ancor più si preoccupa di custodire l’arte presceltasi, ricercando quei propri simili con cui stringere alleanza. La percezione del proprio destino, diverso da quello comune, rende l’esilio però – o il viaggio – una scelta possibile, percepita vicina. Sia poi il motivo di carattere sociale (o in certo qual modo ‘politico’), filosofico e religioso, o sia non ultimo intimo, personale, o d’amore, l’artista giungerà immancabilmente a sentirsi solo alla fine, errante in un viaggio che ha il suo senso più vero nel suo non giungere, mai. Così era stato il poeta nella Winterreise di Schubert, o il Viandante sul mare di nebbia di Caspar D. Friedrich. Così è il Kreisler di Hoffmann, ricordato in contumacia da un felino buffamente erudito, dèdito alla cronaca. Così sarà anche lo stesso Robert Schumann, nella sua opera, certo, ma ancor più nella vita; costellata da cupi momenti di crisi e di allucinazione, culminanti col tentato suicidio nel Reno e l’internamento in manicomio. Ecco quindi il significato del titolo, Kreisleriana, e il senso del proporre stasera proprio quest’opera, per un ‘viaggio notturno nel Romanticismo tedesco’.Con l’inanellarsi degli otto suoi rapidi movimenti – veri e propri squarci nel pianismo più ‘schumanniano’ possibile – ci scopriremo di fronte a quello che appare come un au-toritratto in musica, una sorta di ‘intima confessione sonora’. La dedica avrebbe voluto essere per Clara Wieck, il tormento amoroso del giovane compositore, poi divenuta sua moglie, ma verrà poi celata sotto un pudico omaggio amicale, «à F. Chopin». (Anche se il compositore non saprà poi trattenersi, e confesserà per lettera l’omaggio amoroso: «Ho scritto Kreisleriana in quattro giorni: dei mondi totalmente nuovi s’aprono davanti a me. […] Tu e il pensiero di te li dominate completamente, e io voglio dedicarteli, a te e a nessun altro…»). La confessione non fu facile, e ci è possibile comprendere la reticenza schumanniana, perché gli otto componimenti abbracciano in sé un tale spettro di emo-zioni e pulsioni, da travalicarne in verità in certo qual modo la forma. Schumann qui parla quindi per così dire ‘cuore alla mano’, senza un’idealizzazione affettata del sentimento o dei ruoli: la vibrante sensibilità di un uomo, consegnata nuda non solo tra le mani della donna amata, ma a noi tutti, e al mondo.In questo si origina una caratteristica poi tipica dello Schumann pianistico: la giustap-posizione a continuo contrasto dei caratteri, dei gesti idiomatici, dei colori, che qui s’infiammano tra il moto eccitato e febbrile – su cui può ben cavalcare Florestano – e l’intimismo più tenero e disarmato, in cui Schumann ritrova gli accenti di Eusebio. L’op. 16 reca è vero il sottotitolo di Phantasien, ma pare però una raccolta più di sogni agitati, come iridescenti fantasmi di esauste allucinazioni. Ben le ha descritte Mauro Mariani: nelle scene di Kreisleriana «grandi ondate emozionali si accavallano, si mescolano, si perdono nelle profondità di crisi misteriose, in un continuo ascendere verso le vette e precipitare verso gli abissi, in uno stato di perpetua esaltazione e agitazione». La tecnica pianistica che vi si riscontra può risultare non del tutto ‘ortodossa’, ma quanto poi spesso ciò accada nell’opera di Schumann ben lo sanno i pianisti (per loro certa sfortuna). Un’irrequietezza insanabile serpeggia, quindi, dall’inizio alla fine, e sembra prometterci una soluzione nel moto del penultimo quadro, quando invece l’incedere recalcitrante della coda ci fa intuire che nulla è, né potrà esser risolto. In questa, che altro non sembra se non una cavalcata notturna ( fiabesca forse, ma à la fratelli Grimm), permane vivo così, e inestinguibile, un senso che qualcosa resti drammaticamente interrotto, sospeso. Sembra quasi di udirla la volontà dell’autore che insoddisfatta si aggira, in fuga da un mondo in cui i sogni l’hanno sì condotto, ma anche abbandonato. Lo Schumann più sincero là ancora era in viaggio, nella dolente speranza che ‘altri suoni’ esistessero. Forse, di un’altra voce possibile.

Nicolò Rizzi

DOMENICA 9 APRILE 2017 ore 17.30

Civitanova Alta, Teatro Annibal Caro

ORCHESTRA FILARMONICA MARCHIGIANAJIRÍ PETRDLÍK direttore

ANNA MIERNIK pianoforte

JIRÍ VODICKA violino

in collaborazione con

B. BARTÓK (1881-1945) Danze popolari romene Sz 68

J. BRAHMS (1833-1897) Danze ungheresi n. 5 e 6

F. CHOPIN (1810-1849) Krakowiak Grande Rondò da concerto op. 14 per pianoforte ed orchestra

INTERVALLO

La pillola d’arte del Prof. STEFANO PAPETTI

F. MENDELSSOHN (1833-1897) Concerto per violino e orchestra op. 64 in Mi minore

Allegro molto appassionatoAndanteAllegretto non troppoAllegro molto vivace

si ringrazia

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(con dottorato di ricerca – Ph.D. – alla Charles University di Praga), nonché editore e docente (presso lo Jaroslav Ježek Conservatory di Praga). Dal 1998 Jiří Petrdlík è membro permanente e presidente della giuria del Praga Cantat Competition, oltre che membro e vice presidente del Dvořák Society Committee. È anche fondatore e membro del Comitato della Fibich Society e direttore musicale dell’International Festival of Concert Melodrama.L’ampio repertorio del M° Petrdlík comprende composizioni di vari generi, stili e periodi nella storia della musica. Nel campo dell’incisione discografica e della registrazione in studio, ha spesso rivolto la propria attenzione ad opere raramente eseguite (alcuni esempi: l’Ezio di Gluck, nella prima registrazione mondiale della versione praghese dell’opera; le Cantate in morte dell’imperatore Guseppe ii e per l’incoronazione dell’im-peratore Leopoldo ii di Beethoven; la Messa glagolitica di J.B. Foerster; la Missa brevis di Z. Fibich; gli Astral Travels di D. Arend; La Revue Cuisine di B. Martinů o l’Eugene Onegin di Prokofjev).

ANNA MIERNIKCome solista e musicista da camera, si è già esibita in cinque continenti e in 24 pa-esi (Armenia, Australia, Belgio, Brasile, Canada, Colombia, Cile, Georgia, Israele, Italia, Kazakistan, Lituania, Lussemburgo, Macedonia, Messico, Montenegro, Nuova

JIŘÍ PETRDLÍKClasse 1977, è riconosciuto come uno dei più interessanti direttori europei della sua generazione. Ha studiato pianoforte, trombone e direzione d’orchestra (dal 1995 al 2000 in Conservatorio, e dal 2000 al 2005 all’Academy of Performing Arts di Praga) con Miroslav Košler, Miriam Němcová, Jiří Bělohlávek, Radomil Eliška e František Vajnar, tra gli altri. Ha completato i propri studi nelle masterclass del direttore principale della New York Philharmonic Orchestra, Kurt Masur, e del direttore principale della Prague Philharmonia e della BBC Philharmonic, Jiří Bělohlávek. Ha anche partecipato con successo a numerosi concorsi (ottenendo le Golden e Special Awards al Praga Cantat, il terzo premio all’American Opera Competition, e risultando finalista nella ‘D. Flick’ Conductor Competition di Londra).Tra il 2002 e il 2009 è stato ingaggiato come direttore permanente al Teatro Nazionale di Brno e come direttore musicale e direttore principale al Teatro Municipale della stessa città. Dal 2004 è stato direttore permanente del Pilsner Theatre e, come ospite, Petrdlík collabora regolarmente con molti importanti teatri d’opera (ad esempio il Teatro di Messina, il Theatre du Capitol di Tolosa, il Mazowian Music Theatre di Varsavia, la North Texas University Opera, il Teatro Nazionale di Praga, la Prague Chamber Opera, il National Theatre di Seghedino, la Cairo Opera House e l’Alexandria Opera House). Nel campo della musica sinfonica, il M° Petrdlík conduce rinomate orchestre in patria e all’estero (come la Prague Symphony Orchestra, la Czech Radio Symphony Orchestra, la Czech National Symphony Orchestra, la Moravian Philharmonic Orchestra di Olomouc, la North Bohemian Philharmonic Orchestra di Teplice, la Wroclaw Philharmonic Orchestra, la Silesian Philharmonic Orchestra di Katowice, la MTM Orchestra di Varsavia, la KSO di Toronto, la Podkarpacka Philharmony di Rzeszow, o la Iwasaki Philharmonic Orchestra). È inoltre ospite di prestigiosi Festival in Europa, Cina, Giappone, Canada e Stati Uniti d’America. Nel 2010 il M° Petrdlík ha cominciato una lunga e fruttuosa collaborazione con la Cairo Symphony Orchestra, dov’è stato nominato direttore artistico generale e direttore principale dal 2011 al 2015. Nella stagione 2014/’15 ha debuttato con successo all’Alte Oper Frankfurt, e dalla stagione 2015/’16 è il direttore ospite permanente della Podkarpacka Philharmony Orchestra in Rzeszow (Polonia). Nel dicembre 2015 ha condotto il ‘China New Year Tour’ della Moravian Philharmony di Olomouc e nell’aprile 2016 è stato invitato dal Musikverein di Vienna a condurre un concerto del ciclo “Musik der Meister” nella Vienna Philharmony Hall.Oltre alla sua carriera da direttore d’orchestra, Jiří Petrdlík ha coltivato diverse espe-rienze come direttore di coro (dal 2002 al 2010 come direttore dello Charles University Choir, e dal 2009 come direttore artistico del Prague Mixed Choir), come musicologo

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Orchestra sotto la direzione di Jiří Kout, e si esibirà con la Wuhan Philharmonia del M° James Liu Peng.Jiří Vodička suona un violino torinese 1779, del liutaio Giovanni Battista Guadagnini, per gentile concessione della Florian Leonhard Fine Violins di Londra.

STEFANO PAPETTIConservatore delle collezioni comunali di Ascoli Piceno e direttore della Pinacoteca Civica, della Galleria Civica di Arte Contemporanea “Osvaldo Licini” e del Museo dell’Arte Ceramica, docente a contratto di Museologia e Restauro dei Beni Culturali presso l’Università degli Studi di Camerino e Presidente della Fondazione Salimbeni di San Severino Marche. Ha al suo attivo l’organizzazione e la curatela di diverse iniziative espositive dedicate al Gotico nelle Marche, ai Pittori del Rinascimento, al Seicento nelle Marche e ad alcune personalità di spicco dell’arte regionale come Carlo e Vittore Crivelli, Simone de Magistris, Pier Leone Ghezzi ed Antonio Amorosi. Nel corso degli anni ha pubblicato circa ottanta volumi dedicati principalmente al contesto artistico marchigiano, presso le case editrici FMR, Skira, Federico Motta Il Sole 24 Ore, Electa, Allemandi, Silvana editoriale. Suoi articoli sono apparsi sull’ “Osservatore Romano”, “Il Sole 24 Ore”, “FMR” e “Paragone Arte”.

Zelanda, Perù, Polonia, Serbia, Slovenia, Turchia e Stati Uniti d’America). Ha debutto alla Carnegie Hall di New York (presso la Weill Recital Hall), nel novembre 2015, ed ha vinto numerosi premi nazionali e internazionali.Nel 2013 ha tenuto 15 concerti – durante un tour in Australia, Nuova Zelanda, Canada e Stati Uniti – tra cui uno nella prestigiosa Sidney Opera House, così come in Calgary, Braisbane, Canberra, Melbourne, Ottawa, Perth e Wellington (NZ). Tra le molte altre città in cui si è esibita, ricorda Roma e Bari (in Italia), Tbilisi (in Georgia), Yerevan (in Armenia), Almaty (in Kazakistan), Tel Aviv e Haifa (in Israele).Nel 2013 si è diplomata all’Akademia Muzyczna di Cracovia, dopo aver completato i suoi studi nella classe di pianoforte del M° Andrzej Pikul, ed aver anche studiato con il M° Sławomir Zubrzycki (pianista, organista e liutaio). Ha inoltre partecipato a masterclass gestite da eminenti maestri, come Paul Badura-Skoda e Dina Yoffe.Ha registrato il suo primo album nel 2014, incidendovi sonate per violino e pianoforte di J. Brahms e C. Franck. L’idea per questo disco ha avuto origine insieme a Patrycja Piekutowska, violinista di fama mondiale, che l’ha invitata ad unirsi a lei nel progetto. Insieme hanno tenuto il primo concerto promozionale del disco al Teatro Reale nel parco Łazienki Królewskie di Varsavia, cui hanno partecipato importanti personalità del mondo della musica, degli affari e della televisione. Il disco ha ricevuto positive accoglienze di critica ed è stato recensito come «una piacevole riproposta dei classici» (“Newsweek Polska”).Dal momento che il suo repertorio comprende ampiamente opere di oltre 20 compo-sitori polacchi (tra questi Chopin, Lutosławski e Szymanowski), l’artista le aggiunge usualmente nei programmi dei propri concerti, impegnandosi così attivamente nella promozione della musica polacca all’estero. Grazie a una personale passione per la moderna musica contemporanea, Anna Miernik ha preso parte anche a diverse première di numerose opere di compositori viventi (alcune delle quali a lei espres-samente dedicate).In riconoscimento dei suoi successi artistici e accademici, Anna Miernik ha ricevuto numerose borse di studio. Le sue registrazioni sono state inoltre trasmesse da vari media e molte recensioni di suoi concerti sono state pubblicate sulla stampa specia-listica internazionale.

JIRÍ VODICKAÈ tra i più rinomati violinisti della Repubblica Ceca. In gioventù, inizia ad acquisire una certa fama da quando nel 2000 vince in un solo anno diversi concorsi (come il Kocian Violin Competition, il Prague Junior Note o il Cirenie Talentov). Nel 2002 si aggiudica il primo premio all’International Violin Competition di Hradec Kralové, e un premio speciale come partecipante alla masterclass del M° Václav Hudeček. Nel 2004 ottiene il primo premio all’International Violin Competition ‘Louis Spohr’ di Weimar. Nel 2008, infine, all’età di venti anni, vince (tra diverse centinaia di strumentisti da tutto il mondo) il primo premio al rinomato Young Concert Artist Competition di Lipsia, ottenendo così l’ammissione alla finale di New York dove, nel 2009, si aggiudica il secondo premio.Dall’età di quattoridici anni è stato ammesso all’Istituto delle Arti, presso l’Università di Orstrava, nella classe del rinomato M° Zdeněk Gola. Nel 2007 comincia una pro-mettente carriera come solista, collaborando con alcuni dei più noti pianisti cechi, quali Martin Kasík, Adam Skoumal e Lukáš Vondráček. Dal 2010 inizia a insegnare violino, presso il Conservatorio di Praga.Il M° Vodička è il solista permanente della Janáček Philharmonic Orchestra, sia per concerti in madre patria, sia all’estero. Suona usualmente con la Prague Philharmonia, la Prague Symphony Orchestra, la Czech Chamber Orchestra e la National Theatre Orchestra. Ha registrato numerosi concerti per la Radio e la Televisione ceche. È ospite di prestigiosi Festival musicali, tra cui il Prague Spring, lo Young Prague, il Grand Festival (in Cina), l’Hohenloher Kultursommer, il Choriner Musiksommer e il Kammermusikfest Lockenhaus (invitato da Gidon Kremer). A breve suonerà al concerto d’apertura del Musiktage Salzgitter, sarà il solista della Prague Symphony

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NOTE DI SALAL’impegno etnografico di Béla Bartók è stato considerevole, nel raccogliere, catalogare e studiare la produzione musicale del folclore magiaro, ungherese e romeno. Al punto che il suo lavoro è da molti riconosciuto tutt’oggi antesignano della più moderna etnomusicologia. L’interesse bartokiano, ai primi decenni del secolo, fu allora una novità, non a caso desti-nata a scontrarsi con la gretta violenza razzista già serpeggiante in Europa. Un’ideologia che allo studio dei popoli e delle loro culture antepose i sentimenti del rancore e dell’odio, ben diversi dall’interesse curioso verso ciò ch’è diverso. Per rendersi conto del valore (non solo scientifico, quindi) dell’impegno di Bartók, bastino queste sue poche parole, per altro ben note: per cui lo studio della ‘musica contadina’ avrebbe potuto contribuire all’ideale «della fraternità dei popoli, della loro fratellanza davanti e contro ogni guerra, contro ogni conflitto». L’importanza culturale di questo lavoro non si esaurisce però nel valore etnografico. Lo studio della musica popolare, mediato da un suo accurato reimpiego nei canoni della ‘musica colta’, permise a Bartók e ad altri compositori di contribuire in modo importante al decorso storico della musica europea. Si pensi anche solo al campo della rivoluzione teorica (in primo luogo armonica) che a partire da quegli anni infiammò la musica del Novecento. «Lo studio di questa musica contadina era di decisiva importanza, perché mi ha condotto […] alla liberazione dal rigido esclusivismo delle scale maggiore e minore, ed ebbe per ultima conseguenza la possibilità di impiegare ormai liberamente e indipendentemente tutti e dodici i suoni della scala cromatica».È interessante notare come Bartók abbia comunque usato una certa circospezione nell’av-vicinare questo vasto e mutevole repertorio, allora in gran parte sconosciuto. Per questo motivo, preferì maneggiarlo per prima cosa allo strumento con cui sentiva una confidenza maggiore: il pianoforte. Le prime opere in tal senso sono la Sonatina su melodie popolari o i Nove canti romeni per voce accompagnata. Sempre tra queste ‘opere prime’, nel 1915 verranno alla luce le Sette danze popolari romene, originariamente scritte anch’esse per pianoforte, poi arrangiate per piccola orchestra (nel ’17), e infine diffuse nella più nota versione per duo da camera, con pianoforte e violino. Lo specifico riferimento nei titoli ai passi di danza, tipici della tradizione popolare, rende esplicita qui quella connotazione gestuale (nei ritmi, nelle figurazioni melodiche o nel tessuto armonico) che è in grado di caratterizzarne l’origine regionale. La Danza del bastone è tradizionale di Mezözabad, la Danza della fascia e la Danza sul posto provengono da Egrés, la Danza del corno da Bisztra, la Polka romena infine, e le ultime due, sono originarie dei distretti di Belényes e Nyàgra, nella Romania settentrionale. Ne risultarono sette piccole composizioni, particolarmen-te originali; in primo luogo per il colore del timbro orchestrale (due flauti, due fagotti, due clarinetti, due corni, poi gli archi), in grado di ricreare quell’ambiente sonoro tipico ‘dell’orchestrina di paese’. Come ha acutamente osservato Sergio Sablich, la timbrica è resa così una qualità preminente, «oscillando tra i due poli opposti della ricostruzione di un paesaggio sonoro, anch’esso presumibilmente popolare, e della modernità che aggiunge tratti e figure inediti a quel paesaggio, senza però tradirne lo spirito».L’interesse per la produzione musicale contadina, o più genericamente popolare, non è però una novità introdotta da Bartók. Il compositore ungherese è stato forse il primo ad applicare con sistematicità un approccio ‘etnomusicologico ante litteram’ alle proprie opere. Ad ogni modo, nel profondo interesse rivolto alla multiforme realtà del folclore musicale, Bartók aveva degli illustri predecessori, in particolare tra i colleghi di area slava o mitteleuropea. Tra questi si può ricordare l’ungherese Franz Liszt (più correttamente Férenc), autore delle arcinote Rapsodie ungheresi ma ancor più di un magnifico libretto intitolato Gli zigani (o Des bohémiens et de leur musique en Hongrie), dove sono indagati i tratti musicali più caratteristici dei rom e dei sinti ungheresi. Anche le 59 Mazurche di Fryderyk Chopin (in polacco Szòpen) altro non sono, del resto, se non la raffinata testimo-nianza di quanto il repertorio colto europeo fosse già in grado di introiettare – nei propri generi – molti stilemi della musica popolare. Sarebbe ingiusto però dimenticare Antonin Dvoràk e Johannes Brahms, con le loro raccolte di Danze slave e ungheresi. Quest’ultime, di cui oggi gusteremo due assaggi, furono composte in diversi fascicoli, originariamente per duo pianistico a quattro mani. La raccolta godette da subito di un notevole successo di pubblico, cui fecero però da contraltare alcune critiche di intellettuali ungheresi, che vi vedevano un pervertimento dello stile originario della musica magiara. Grazie alla loro

diffusione, lo stesso Brahms fu spinto dall’editore Simrock ad approntarne l’orchestrazione, limitandosi però a solo tre danze. Ad altri compositori si devono i successivi adattamenti orchestrali (tra questi lo stesso Dvoràk, grande amico di Brahms, Albert Parlow, Martin Schmeling e Andréas Hallén). Brani certo godibilissimi, nella vivacità dell’umore e nella sanguigna vena melodica, si cadrebbe in errore a volerli porre sullo stesso piano concet-tuale dell’opera bartokiana. Basti dire che la più nota fra tutte – la quinta, in Fa diesis minore – a lungo ritenuta di chiara origine folclorica è sì una rielaborazione, non però di una melodia popolare, bensì di una Czarda d’autore, la Bàrtfai Emlék di Béla Kéler. Nulla di più diverso quindi dagli intenti etnoculturali di Bartók.Quando si pensa alla ‘polonesità’ di Chopin certo alla mente verranno per prime le sue ben note Polacche, o tutt’al più il cosmo raffinato delle Mazurche. Difficilmente dell’altro. Pochissime occasioni si hanno infatti di ascoltare dal vivo il Gran Rondò da concerto in Fa maggiore, per pianoforte e orchestra, detto à la Krakowiak. Ed è un vero peccato. Composizione giovanile (l’autore era diciottenne), l’op. 14 soffre di quel perverso ostracismo cui molta storiografia musicale ha voluto condannare lo sparuto manipolo di composizioni orchestrali del genio polacco. L’orchestra vi è insoddisfacente. Lo stile salottiero (certo fascinoso) ne scade l’estetica complessiva a quella di opere meno blasonate. I passaggi di raccordo, tra gli episodi più strumentali, risultano convenzionali, e così via. Critiche siffatte abbondano, anche in anni recenti e non sospetti (solo i due Concerti a volte si salvano, ma quasi mai indenni del tutto). La loro ferocia, con tutta evidenza, è sopravanzata soltanto da un limite certo: la cecità o, meglio, la sordità. L’aveva del resto intuito – con ammenda tardiva – anche il vecchio Gerald Abrahm, padre della musicologia chopiniana moderna: «Io stesso ho avvallato, vent’anni fa ormai, giudizi più che convenzionali. […] Mi sono convinto invece che l’opinione generalmente espressa su come Chopin trattava l’orchestra debba essere, se non rovesciata, almeno sostanzialmente rivista». L’orchestrazione - non ‘insufficiente’, semmai delicata – può sì risultare un problema; non tanto compositivo però, quanto in sede d’esecuzione. Come acutamente osservava il Belotti: nel Krakowiak «l’equilibrio delle sonorità risulta difficile senza un confronto continuo e diretto; le sole due prove, che in genere oggi si concedono per questo tipo di esecuzioni, non le ritengo sufficienti». Merito al coraggio quindi di Anna Miernìk e del M° Petrdlik che, per un re-pertorio non così usuale, è ancor più un piacere riconoscere. Il concerto di stasera ci testimonia l’influenza costante che, nei due secoli passati, e da più parti d’Europa, la cultura popolare ha saputo apportare alla grande storia della musica. Ci sembra quindi giusto ritrovare infine, a coronamento di questo programma, un grande classico del repertorio colto occidentale. Il Concerto in Mi minore op. 64 è forse il più noto di Felix Mendelssohn, da sempre tra i preferiti cavalli di battaglia dei grandi virtuosi al violino. Scritto vent’anni dopo il Krakowiak chopiniano, negli anni ’40 dell’Ottocento, è un’opera già più che matura del genio amburghese. Composta in continuo dialogo con Ferdinand David (dedicatario dell’opera, e primo violino al Gewandhaus di Lipsia), l’opera fu causa di non pochi dubbi e perplessità nell’autore se, in una lettera all’amico, Mendelsshon si dichiarò preoccupato di non riuscire a dar luce a pagine che fossero a sufficienza di stimolo, per la sua agile abilità esecutiva. «Voi lo vorreste brillante, e come credete che possa, io!?». Probabile ironia, cui è difficile credere, per un autore alla cui opera poco si può rimproverare, non certo però l’assenza di scintillio o lucentezza. Tant’è che, sin giovanissimo, proprio per queste sue qualità Mendelsshon era stato per molti il ‘nuovo Mozart’ della musica tedesca. E non a caso; il risultato dell’op. 64, infatti, fu un capolavoro. Romantico e turbinoso, nel cipiglio romantico, ma al contempo leggiadro, con la levigatezza dei classici, il Concerto è un’irripetibile esempio di ‘romantico clas-sicismo’. In questo del resto sta l’essenza più rara di Mendelsshon, la sua ineguagliabile malia: ricorda e custodisce, nel suo squisito equilibrio, la storia di un secolo (e fors’anche più) di musica europea. Quella tradizione che solo al Novecento sarebbe spettato poi il compito, arduo, di saper rinnovare.

Nicolò Rizzi

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MERCOLEDÌ 10 MAGGIO 2017 ore 21.15

Civitanova Alta, Teatro Annibal Caro

CONCERTO di CHIUSURA

ORCHESTRA FILARMONICA MARCHIGIANAMICHAEL MACIASZCZYK direttore

YOKO KIKUCHI pianoforte

LORENZO DI BELLA* pianoforte

in collaborazione con

W. A. MOZART (1756-1791) Sinfonia n. 34 K 338 in Do maggiore

Allegro vivaceAndante di moltoAllegro vivace

F. CHOPIN (1810-1849) Variazioni per pianoforte e orchestra sul tema Là ci darem la mano dal Don Giovanni di Mozart, op. 2

INTERVALLO

La pillola d’arte del Prof. STEFANO PAPETTI

F. CHOPIN (1810-1849) Concerto per pianoforte e orchestra n. 2, op. 21 in Fa minore*

MaestosoLarghettoAllegro vivace

MICHAEL MACIASZCZYK«Gran musicista, violinista eccellente e giovane direttore molto talentuoso. Ha un’in-tesa assolutamente strabiliante con i musicisti dell’orchestra e le sue interpretazioni sono originali, con gran quantità di colore ed emozione». Così si è espresso a propo-sito di Michael Maciaszczyk il M° Jerzy Maksymiuk (leggendario direttore polacco, fondatore della Polish Chamber Orchestra – Sinfonia Varsovia ed ex direttore della Scottish Chamber Orchestra).Nel 1998 ha vinto un’audizione come spalla della Wiener Kammerorchester e, l’anno seguente, è entrato a far parte dei Wiener Philharmoniker e della Staatsoper Wien. Ha avuto l’opportunità di lavorare con alcuni tra i più rinomati artisti di fama internazio-nale (come Nikolaus Harnoncourt, Zubin Mehta, Riccardo Muti, Daniel Barenboim e molti altri). Tra i più apprezzati giovani direttori di oggi, il M° Maciaszczyk è anche

si ringrazia

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direttore artistico della Wiener Klassik Orchester di Vienna e del Chamber Orchestra Concertino, oltre che direttore ospite della Capella Bydgostiensis, e professore ospite al Conservatorio Centrale di Musica di Pechino e all’Akademia Muzyczna di Cracovia. Per molti anni è stato primo violino dei Secession Players Wien e dei Wiener Kammer Ensembles. Ha collaborato con i Wiener Virtuosen, la Fritz Kreisler Ensemble e lo Steude Quartett. Per oltre dieci anni è stato inoltre membro dell’Ensemble Wiener Collage allo Schönberg Center. Come solista e come direttore si è esibito con molte orchestre europee e dell’Asia in importanti sale da concerto quali: la Goldener Saal Musikverein e la Konzerthaus (Vienna), la Suntory Hall e l’Opera City (Tokyo), la Nagoya Philharmonic (Nagoya), la Gewandhaus (Lipsia), l’Auditorio Nacional de Música (Madrid), la Konzerthaus (Berlino), la Tiencin Concert Hall (Tientsin), la Xinghai Concert Hall (Guangzhou) e la Beijing Concert Hall (Pechino).Entusiaste recensioni della sua attività sono comparse su testate della stampa interna-zionale, come la “Mitteldeutsche Zeitung”, il “Frankfurt Musik Journal” o la “Torgauer Zeitung”. Michael Maciaszczyk è anche direttore artistico presso il Festival dell’Arte e membro onorario dell’European Forum of Polish Music di Berlino. Vive a Vienna.

YOKO KIKUCHIYoko Kikuchi ha iniziato lo studio del pianoforte all’età di 4 anni. Si è diplomata alla Toho Gakuen High School of Music di Tokyo, studiando con Kiyoko Tanaka. Dall’ottobre 1996 è allieva dell’Accademia Pianistica Internazionale “Incontri col Maestro” di Imola, dove ha studiato sotto la guida del M° Franco Scala e del M° Antonio Ballista, ottenendo il diploma Master, nel 2003. Presso la stessa Accademia ha seguito il corso di fortepiano, tenuto dal M° Stefano Fiuzzi.Nel gennaio 2002 ha vinto il primo premio al Concorso Mozart di Salisburgo, che le ha permesso di allargare notevolmente la sua attività in Europa e in Asia. Nel 2003 ha suonato al Festival di Salisburgo “Mozart Matinée”, con l’Orchestra Mozarteum Salzburg diretta dal M° Ivor Bolton.Ha suonato sotto la direzione di Laurence Foster, Gerd Albrecht, Hubert Soudant, Dennis Russell Davis, Ivor Bolton, Alexsander Dmitriev, Heinz Karl Gruber, Günter Pichiler, Pedro Halffter, Eiji Oue, Christian Arming, Christian Mandeal, Anton Nanut, Petr Altrichter, Arie Van Beek, Saulis Sondeckis ed altri. Ha suonato con la Mozarteum Orchester Salzburg, la Gulbenkian Orchestra, la NHK Symphony Orchestra, la Franz Liszt Chamber Orchestra, l’Orchestra da camera di Mantova, l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano, l’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento, la Sicilia Symphony Orchestra, la Camerata Virtuosi di New York, la Slovenia Radio Television Orchestra, l’Hellas Orchestra di Patrasso, la Hong Kong Sinfonietta, la Nuremberger Symphoniker, la Sudwestdeutsche Philharmonic Konstanz, la Robert Schumann Philharmonie di Chemnitz, i Berliner Symphoniker, l’Orchestra Ensemble Kanazawa, la New Japan Philharmonic Orchestra, la Tokyo Philharmonic, la Yomiuri Nippon Symphony Orchestra, la Tokyo Metropolitan Symphony Orchestra, la Hiroshima Symphony Orchestra, la Osaka Philharmonic Orchestra, la Nagoya Philharmonic Orchestra, la Shanghai Symphony Orchestra, e la Shenzhen Symphony Orchestra. Ha collaborato come musicista da camera, tra gli altri, con l’Ensemble Wien Berlin, il Quintetto d’archi dei Berliner Philarmoniker, il Leipzig String Quartet, i Clarinotts, l’Afflatus Quintetto, Radek Baborak, Daniele Damiano, Andreas Ottensamer e Michael Collins. Nel 2006 ha vinto il premio ‘Best recording by a Japanese Artist’ del Music Pen Club, e nel 2007 il premio ‘Idemitsu Awards’. Ha suonato in prestigiose stagioni concertistiche e festival come Mozart-Matinée del Salzburg Festival, lo Schleswig-Holstein Musik Festival, il Sintra Festival, il Madeira Festival, il Leiria Festival, il Bodensee Festival, le Recital series of Tonhalle Zurich, il St. Ursanne Piano Festival, le Schloss Eggenberg Concert series, e il Settembre Musica di Torino, il Maggio Musicale Fiorentino, il Palermo Festival, il Mittelfest di Udine, l’Emilia Romagna Festival, il Musica Insieme di Bologna, la Serie Smeraldo della Società dei Concerti di Milano, la Società dei Concerti di Brescia, il Festival Internazionale ‘Concerti d’autunno’ in Sala Greppi, e gli Amici della Musica di Palermo.

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NOTE DI SALASi rischia l’aneddotica spicciola nel citare la famosa ‘pedata’ con cui il giovane Mozart di punto in bianco si ritrovò sulla strada, licenziato da Hiyeronimus Colloredo von Wallsee und Meis, principe arcivescovo di Salisburgo. Il poco garbato ‘ben servito’ gli fu sommi-nistrato però non già dalle eleganti scarpe di raso di sua Eccellenza reverendissima, bensì dai duri stivali del conte Karl Joseph von Arco, camerlengo arcivescovile e incaricato delle contrattazioni alla corte salisburghese. Il 1781 segnerà quindi una svolta per Mozart, che dalla corte del Colloredo partirà alla volta di Vienna. Una svolta di uguale importanza rappresenterà molti anni più tardi la decisione di Fryderyk Chopin di lasciare Varsavia. Lo vedremo. Per intanto diciamo che un cambio di contesto poté rappresentare, a entrambi, l‘occasione di abbandonare uno stile sul quale gli influssi dei maestri o dell’apprendistato erano più evidenti, in favore di un nuovo linguaggio in cui finalmente ricercare se stessi, e la propria particolare espressione.Pubblicata poi postuma, la Sinfonia in Do maggiore k 338 sembra essere un omaggio inconsapevole, da Mozart rivolto ad un mondo ch’è già in procinto di abbandonare. In coerenza con l’eredità italiana, l’opera è tripartita. Mozart sin dall’80 aveva sperimentato sinfonie in quattro movimenti, ad ogni modo si deciderà (pur con qualche ripensamento) per lo schema col Minuetto solo dopo il trasloco viennese. Più che altro è così nel colore strumentale che qualcosa di nuovo si agita, qui, sotto le sembianze dell’ennesima sinfonia. Un’inattesa urgenza espressiva, una nuova intensità sembrano volerci condurre verso un ‘altrove’, in qualche modo già presentito. Non c’è traccia alcuna di staticità; l’anelito è quello sicuro, tipico della gioventù, in un Mozart in procinto di imboccare la sua vera strada. Il conte Arco non avrà certo capito cosa stava calciando, con quella pedata, e i suoi modi spicci avrann forse accelerato le cose, si può però intuire che il destino del giovane genio aveva qui già avviato il suo inarrestabile corso. Dalle testimonianze degli allievi sappiamo della grande venerazione che Chopin nutriva per Johann S. Bach, sempre rimasto per lui un modello insuperabile di perfezione stilisti-ca. Può essere ovvio, ma fa piacere ricordare che solo un altro compositore, nell’empìreo musicale, era dal genio polacco tenuto in altrettanta considerazione: nessuno certo tra i grandi virtuosi dell’epoca, non un grande italiano, neppure il genio par excellence, padre della scuola romantica, Beethoven. Alla perfezione divina del Kantor solo lui poteva es-sere accostato, la gemma più pura del Classicismo viennese, il transfuga salisburghese: Mozart. Del resto è ben noto quanto Chopin ritenesse necessaria nella formazione di un valido strumentista quella naturalezza canora, al meglio esemplificata dalla lirica ‘italiana’. Ai suoi giovani studenti, in Parigi, non si stancava mai di ripeterlo: «la musica dovrebbe essere canto!» E m.lle Vera Rubio (nata Kologrivoff) ricordava ancora queste sue parole: «se volete suonare il pianoforte, dovete cantare». In questa testimonianza ci si svela così, in nuce, l’essenza stessa del pianismo chopiniano: la musica è canto, e il suono del pianoforte deve continuamente evocare la lirica distensione della morbidezza vocale. Mozart in questo poteva essere un maestro migliore di tanta letteratura pre-romantica, persino forse dello stesso Beethoven!Una sorta di ‘affinità elettiva’ doveva così essere all’opera sin dagli albori della sua co-scienza creativa se, dopo il primo Rondo in Do minore, uno Chopin diciassettenne darà alle stampe come sua op. 2 le Variazioni sopra ‘Là ci darem la mano’, celeberrimo duetto dal Don Giovanni mozartiano. Le introduce un godibilissimo episodio tutto gestualità biedermeier, in cui troviamo riassunto il virtuosismo di Hummel, la sapienza di Herz e il colorito di Moscheles. In un elegante dipanarsi di volute e arabeschi, si tesse poi una delicata trama di timbri, di giochi e rifrazioni ritmiche, nel più puro stile della galanterie per tastiera. Un recensore d’eccezione come Robert Schumann vi scorse riassunto tutto il mondo teatrale mozartiano, rianimatovi inoltre con mirabile maestria, ancor più perché in un giovanissimo, qual era Chopin, nel 1827. La variazione «signorile e civettuola», quella «più comica e litigiosa», il «chiarore di luna e un incanto di fate», la sfrontata arditezza dell’animo polacco, s’alternano per sciogliersi nel «finale tutto intero di Mozart – coi turaccioli di champagne che saltano, le bottiglie che tintinnano, poi la voce di Leporello e sul finire gli spettri, a ghermire un Don Giovanni che sfugge». Consegnato al nome di Eusebio, uno degli pseudonimi con cui Schumann firmava molti suoi pezzi critici, il suo alter ego più poetico, rapito e emotivo, fu netto e generoso il giudizio con cui Schumann

riassunse quest’opera del giovanissimo collega, all’epoca semi sconosciuto: «Giù il cap-pello, signori: un genio!»Nelle variazioni, l’orchestra pare lasciata al compito di ‘abbracciare’ il timbro pianistico, nuance più che altro espressiva, tutt’al più di raccordo, fugace, o d’introduzione danzan-te. Il virtuosismo lucente, alla tastiera, è invece lo stesso che ritroviamo anche in molte altre composizioni del Chopin giovanile. Tra tutte si pensi alla famosa Grande Polonaise brillante, op. 22. Uno stile di scrittura che accomuna Chopin a quei grandi virtuosi che imperversavano Parigi, in pieno Ottocento. Per lui il modello più rispettato e ammirato in tal senso era Weber ancora, scomparso proprio l’anno prima che gli riuscisse di licenziare le sue variazioni alla stampa. E se a noi oggi viene più spontaneo accostare al magistero chopiniano il nome di Franz Liszt, bisogna però tenere alla mente che l’ungherese e il polacco saranno sì compagni di strada ma più nelle avventure future, cui associare quindi ben altre opere dal catalogo chopiniano. Per un raffronto col pianismo giovanile e charmant di Chopin è forse il nome di Mendelssohn che più risulterebbe calzante. Al contrario di questi, il giovane polacco scriverà molto poco per l’orchestra, e sempre componimenti per pianoforte accompagnato, mai pensando al solo organico orchestrale. Oltre alle Variazioni, alla già citata Polonaise brillante, e a due opere minori (la Fantasia su arie polacche e il Krakowiak), il suo sforzo in tal senso si produsse nei due Concerti per pianoforte, scritti a brevissima distanza l’uno dall’altro, tra il 1829 ed il ‘30, quando l’autore si avvicinava ai vent’anni.Nel quarantennio che seguì l’ultimo grande concerto di Mozart, il tardo Classicismo aveva certo visto risplendere i cinque capolavori beethoveniani, ma si era trovato al contempo accerchiato da un fitto sottobosco di opere che gli stavano rapidamente mutando i con-notati. Con uno stile strumentale sempre più nuovo, il genere del Concerto si ritrovava pronto a salpare gli ormeggi e ad allontanarsi per sempre dagli aurei equilibri dello stile classico. Prima di giungere al tumulto del Concerto romantico, tre autori in particolare consegneranno alla storia lo stile instabile e inquieto di questa nuova tempèrie stilistica, non più classica, certo, né pienamente romantica. Proprio Carl Maria von Weber era stato il primo a raccogliere, e a un sol anno di distanza, l’insormontabile sfida lanciata da Beethoven nel 1810 con il suo quinto concerto, l’Imperatore. Nel ’22 Felix Mendelssohn comporrà invece il suo primo concerto di quattro, di cui solo il secondo ed il terzo vedranno le stampe, vivente l’autore, nel 1831 e nel ’37. Tra Weber e Mendelssohn corre all’incirca un decennio, ed è qui che si colloca quindi Chopin.Si è discusso, e a lungo, dell’inadeguatezza supposta nell’orchestrazione chopiniana per queste opere giovanili. «Tutto si concentra nella parte pianistica e l’orchestra non è che un freddo e superfluo accompagnamento». Il giudizio di Hector Berlioz è solo uno dei tanti (e neppure il più feroce) a consegnare alla storia una ricezione forzatamente stereotipica di questi lavori. È per fortuna ormai tempo che la critica musicologica ha invece riconosciuto una realtà differente. Certo il giovane polacco non si trovava a suo agio egualmente con la compagine orchestrale come col suo strumento elettivo, ma la sua delicata orchestrazione non è forse tanto da attribuirsi a un’inesperienza compositiva quanto invece alla difficol-tà di armonizzare lo spettro coloristico della grande orchestra con la delicata scrittura strumentale qui troviamo prescelta, per il pianoforte. Si è giustamente fatto notare che alcuni momenti, in particolare nell’op. 21, tradiscono in verità una capacità di scrittura che contraddirebbe la vulgata di uno Chopin orchestratore disimpegnato o peggio incapace. Bastino lo stupore evocato dal cupo tremolo agli archi, sotto allo splendido ‘recitativo’ ch’è il cuore del Larghetto centrale. O, nel finale, l’elegante passo di agilità dei violini, ‘col legno’, e l’effettistica fanfara dei corni che introduce il movimento e poi prelude la coda, in un vezzo di elegante ironia, tra il divertito e il teatrale. Non ci troviamo qui certo di fronte ai capolavori beethoveniani, né ai colossi del grande concertismo romantico, ma la godibilità di quest’opera è innegabile e, nella spensierata raffinatezza che lo percorre da capo al fine, Chopin sembra volerci ricordare quanto il vero virtuosismo, in uno stile al limite forse dell’eleganza più frivola, debba essere inscindibile dal savoir-faire e lo charme.

Nicolò Rizzi

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