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CAP.1 (di Alice Zurla)
E’ una fredda mattina d’inverno, mi alzo quando la mamma mi
chiama e, anche se vorrei continuare a dormire, mi rendo conto che è
ineluttabile: devo andare a scuola.
Come tutte le mattine suona la campanella ed entriamo in classe. Le
prime ore passano normalmente.
All’improvviso suona la campanella dell’intervallo e la professoressa ci
dice di aprire le finestre per cambiare aria.
E’ una giornata fredda e buia guardo il cielo e mi sembra di vedere in
lontananza una luce bianca… non capisco cosa possa essere e
chiamo il mio compagno di banco per farla vedere anche a lui.
Quando lui arriva non c’è più la luce e quindi lui mi guarda e mi dice:
“Ma stai bene?” e io ribatto: “Ti giuro che c’era una luce bianca!!!”
Finisce l’intervallo, chiudiamo le finestre e ci rimettiamo a fare lezione.
Ad un certo punto sento bussare alla finestra vicino a me e vedo una
specie di bambino con la testa molto grande, due occhi piccolissimi e
due orecchie giganti a forma di imbuto. Mi spavento pensando che
deve essere un alieno.
Allora mi decido di chiamare la professoressa per farglielo vedere. Tutti
siamo senza parole… decidiamo di farlo entrare anche se abbiamo
un po’ di paura.
Lui si muove a scatti, non parla e gesticola molto, ma noi non
riusciamo a capire cosa ci vuole dire.
All’improvviso ci fa guardare il cielo… forse quella famosa luce bianca
che avevo visto poteva essere la sua astronave??Che sia caduto da
lì??Vorrà ritornare?
A questo punto con la professoressa e i miei compagni decidiamo di
aspettare per vedere se l’astronave tornerà a prenderlo.
Lo lasciamo nella nostra aula… sembra spaventato! Che tenerezza
che mi fa!
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Il giorno dopo torno a scuola con una grande euforia, mi chiedo
chissà come avrà passato la notte! Sia io che i miei compagni gli
abbiamo portato da mangiare, ma purtroppo non mangia niente…
chissà cosa è abituato a mangiare!
E’ buffo perché mentre noi facciamo lezione lui sta lì buono buono e
sembra quasi che ascolti!
Il giorno dopo ancora entriamo in classe e vediamo che il vetro della
finestra è rotto! Cominciamo a cercarlo per tutta la scuola ma
purtroppo non riusciamo a trovarlo… sicuramente la sua famiglia sarà
tornato a prenderlo!
Siamo tutti molti dispiaciuti che quell’esserino non sia più tra noi perché
ci piaceva proprio: era così buffo!
Poi tutto ad un tratto ci domandiamo: “Era un sogno o era realtà?”
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CAP.2 (di Federico Liguori)
Eccolo lì. Era proprio davanti ai miei occhi. Sentivo l’acqua scorrere
dietro di me. Buio. I lampioni illuminavano la stretta strada alla mia
sinistra, ma era fioca la luce che arrivava. Molto fioca. Il ruscello
scorreva incessantemente. Ma non ci feci caso. Era proprio lì, davanti
a me. C’era una leggera foschia, e sentivo un odore acre. Buio. Mi
avvicinai, ma non osai fare nulla, non potevo sapere che effetto
avrebbe fatto. Sarebbe potuto essere pericoloso. Acqua. Freddo.
C’era qualcosa che rendeva il tutto troppo irreale, sembrava di essere
in un sogno. Non potevo chiamare nessuno, non avevo il cellulare. Era
lì, e si stagliava maestosa davanti a me. Buio. L’odore si fece più forte,
e anche lo scorrere del ruscello. O era la mia immaginazione? Stavo
sognando tutto? No, non ero pazzo. Era proprio di fronte a me, ma
perché mai nessun altro l’aveva notato? Non era così piccolo. Non lo
era per niente.
24 ore prima…
La mattina era piovosa. Come al solito. La camera era la stessa delle
altre mattine, come se avesse dovuto essere diversa. Aprii gli occhi,
ma vidi il muro davanti a me, il vecchio muro sbiadito della mia
camera. Sembrava di vivere in bianco e nero, la mia camera era
quasi completamente grigia. Proprio come il cielo. E il mio umore. Mi
alzai dal letto già stanco e mi vestii con le prime cose che capitarono.
Una maglia nera, dei pantaloni grigi e le solite scarpe nere rovinate.
Strano, eh? Spalancai la porta, ma non vidi niente di nuovo. Come al
solito. I miei genitori erano via di casa, così sarei dovuto andare a
scuola in autobus. Che bella prospettiva. Scesi le scale, mi misi a
sedere al tavolo. Accesi la TV. Non c’era nulla di interessante, così la
spensi. Il brutto ghigno del presentatore sparì nel nulla. Feci colazione,
mi misi lo zaino in spalla e uscii di casa, chiudendola a chiave. Dopo il
viaggio in autobus più noioso della terra arrivai alla vecchia scuola
nella quale mi recavo ogni mattina. Per la strada c’erano decine di
auto colpite dalla pioggia. Altri ragazzi si recavano con passo lento e
avvilito. Non avevo nemmeno un ombrello, ma un po’ d’acqua non fa
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male a nessuno, vero? Dopo essere entrato nel palazzo millenario che
tutti chiamano scuola, mi fermai un secondo. Solo io vedevo una
specie di foschia nella scuola? Mi infastidiva. Dovetti fare un passaggio
rapido in bagno per lavarmi la faccia, ma la foschia rimase. Forse non
mi ero ancora svegliato del tutto. Entrai nella classe 2^E, cioè la mia.
Mancavano ancora alcune persone, quindi mi tranquillizzai. Passarono
la prima, la seconda e la terza ora molto lentamente.
DRRRRRRIIIIIINNNNNNN! La campanella suonò e scatto l’intervallo. Non
che importasse davvero qualcosa a nessuno. Tutti rimasero ai banchi
a leggere o a chiacchierare. Ormai del piccolo “alieno” nessuno
parlava più. Io andai in bagno. Cosa diavolo era quella foschia che
continuavo a vedere? Mi sciacquai nuovamente il volto, ma
sembrava di essere in un sogno. Sentii dell’acqua scorrere dietro di
me. Dietro? Ma se il lavandino era davanti a me! E per giunta, non era
nemmeno aperto! Un po’ impaurito uscii dal bagno e corsi in classe.
Come ogni giorno mi misi alla finestra, tanto per far passare quei tre
minuti che restavano. Fu allora che vidi una luce bianca in cielo. Ma
non era una luce come le altre, sembrava provenire da un cannone
laser molto potente. Forse era un’altra allucinazione. Chiamai un mio
amico, ma nel tempo in cui venne alla finestra la fantomatica luce
scomparve nel nulla. Dopo qualche insulto da parte sua, mi ritrovai
confuso. Perché vedevo della foschia intorno a me? Perché sentivo
dell’acqua scorrere nella mia testa? Perché avevo visto una luce
bianca nel cielo, che poi era sparita? DRRRRIIIIIINNNNNN! Fine
dell’intervallo e c’era matematica per giunta. Non poteva andare
peggio. Mi sedetti ad un banco vicino alla finestra per osservare ciò
che accadeva al di fuori della scuola. Dopo circa un quarto d’ora
qualcuno bussò al vetro della finestra. Nessuno sentì nulla, a parte me
e decisi di non farne parola per evitare di esser preso in giro. Mi voltai
di scatto e vidi… un essere! Era una specie di lucertola mezza umana
e grigiastra, piena di aculei. Ma non feci in tempo a osservarla che
fuggì con dei movimenti che non riesco nemmeno a descrivere. Mi
guardai attorno. Nessuno aveva notato niente. Niente. Ero
estremamente confuso. Chiesi di andare in bagno e uscii. Scappai
dalla classe. Dovevo riordinare le idee. E in fretta. Balzai fuori da
un’uscita d’emergenza cosicché nessuno mi vedesse e mi fiondai nel
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giardino. Quell’essere doveva essere lì, ci avrei scommesso la vita. I
miei piedi colpivano l’erba bagnata in modo frenetico. Mi persi fra gli
arbusti della scuola, e pensai di impazzire. La pioggia mi scivolava
addosso, tanto che sentii dell’acqua scorrere alle mie spalle. Una
specie di latrato mi fece prendere un colpo. Ecco l’essere! Era caduto
in una buca scavata da qualche cretino. Sembrava che stesse
affogando, dato che la pioggia aveva riempito il buco come un
bicchiere. Dovevo scegliere se lasciarlo morire come un miserabile o
salvarlo. Mi fiondai nella buca e lo tirai fuori con una fatica immane.
Eravamo entrambi sporchi di fango da tutte le parti. Sembrava che
fosse svenuto. Lo dovetti trascinare fino al muro vicino all’ingresso della
scuola. Era una grande scoperta per la scienza, avevo catturato un
alieno vivo! Eravamo lerci come maiali. Lo osservai meglio. Chissà se
aveva a che fare con l’esserino che si era fermato da noi qualche
tempo prima. Era un rettile, o lo sembrava, e aveva delle specie di
aculei che uscivano da ogni dove. Ero indeciso: potevo portarlo in
classe o chiamare la polizia o chiunque altro. Ma no. Mi attirava l’idea
di tenerlo segreto. Prima lo portai nel bagno, lasciando dietro di noi
una scia di fango che cercai di camuffare alla meglio e facendo
impronte anche verso l’ingresso che porta all’orto. Poi dovevo lavarmi
e cambiarmi velocemente, non potevo tornare in classe così
conciato. E così feci. Andai nella palestra (dove fortunatamente non
c’era nessuno) e mi feci una doccia a tempo di record. Poi mi
cambiai con dei vestiti puliti che avevo nello zainetto che conservo
nello spogliatoio. Intanto avevo buttato l’alieno nello sgabuzzino in
disuso dei bidelli. Lì non l’avrebbe trovato nessuno. Entrai in classe, ma
nessuno notò che mi ero cambiato, né tanto meno mi chiesero
perché ero stato fuori così a lungo. Finirono le lezioni e tutti uscirono
dalla classe, ma io no. Furtivo, portai l’alieno o quello che era nella
classe e la chiusi a chiave. Poi scappai fuori. Tornai in autobus, ma
anche lì sembrava che nessuno mi vedesse. Le luci dei lampioni mi
bruciavano gli occhi, nonostante la luce che proveniva fosse fioca.
Molto fioca. La pioggia cadeva spietatamente, ma io pensavo solo a
quell’essere. Che cos’era? Da dove diavolo era arrivato? Avevo fatto
bene a non ucciderlo e occultarne il corpo? Un uomo mi venne
contro, ma non mi notò. Gli urlai dietro, e lui per tutta risposta mi disse
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di fare attenzione a ciò che avevo fatto. Sbarrai gli occhi. A che cosa
si riferiva? Sapeva che avevo nascosto un mostro nella mia classe?
No, ho un’immaginazione troppo fervida. E psicotica. Passarono le ore,
ma nel mio letto non riuscivo a dormire. Tick, tack, tick,
tack…L’orologio procedeva inesorabilmente. La mattina dopo era
sabato. Di nuovo buio e pioggia. La scuola era chiusa e vi tornai di
nascosto. Ora sorgeva un problema. Come potevo entrare? Mi
ricordai di aver lasciato aperta la porta d’emergenza dalla quale ero
uscito la prima volta e così entrai facilmente e corsi per i corridoi
nebbiosi. Quella nebbia mi perseguitava. Sentii di nuovo una specie di
ruscello alle mie spalle. Spalancai la porta della classe ma non vidi
nessuno. Le tende svolazzavano davanti ad una finestra rotta. Anzi,
completamente sventrata. Pezzi di vetro non più grandi di un’unghia
erano sparsi a terra. Oh, no. L’essere si era risvegliato ed era fuggito.
Questo era un problema. Balzai fuori dalla scuola e corsi. Corsi e corsi.
Dovevo riacciuffare quell’alieno prima che scappasse e andasse in un
centro abitato. I passi rimbombarono nel silenzio. Arrivai presso il
vecchio ponte sul fiume. Eccolo lì! Era proprio davanti ai miei occhi.
Sentivo l’acqua scorrere dietro di me. I lampioni illuminavano la stretta
strada alla mia sinistra. Il ruscello scorreva incessantemente. Ma non ci
feci caso. Era proprio lì, davanti a me. C’era una leggera foschia, e
sentivo un odore acre. Mi avvicinai all’essere. No, non all’essere. Mi
avvicinai ad un’astronave enorme. Esatto, ed era proprio sul
ponticello. Era inglobata dentro a una specie di membrana luminosa.
Non ci potevo credere. L’essere non c’era, ma questo era
decisamente più spaventoso. Era fatta interamente di alluminio e
metallo, ed aveva dei cannoni laser ai lati. Non potevo chiamare
nessuno, non avevo il cellulare. Ma non potevo averla vista solo io! Era
enorme, luminosa ed era proprio sul ponte. La foschia attorno si fece
fittissima. E il ruscello iniziò a scorrere velocemente. Indietreggiai per lo
stupore misto ad angoscia, ma caddi. Poi vidi solo nebbia.
MANCA il capitolo della VIAGGI
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CAP. 4 (di Chiara Cioni)
Ero molto confuso. L’unica cosa che mi venne in mente fu di
guardarmi intorno. Muri violacei luminosi fatti di una membrana
appiccicosa, molle e trasparente, ed enormi macchinari misteriosi con
numerosi pulsanti che lampeggiavano mi circondavano. Mi avvicinai
all’i-pad posizionato sopra a degli strani rami che partivano dal
pavimento e intrecciandosi formavano una specie di conca. Sfiorai lo
schermo con la punta delle dita e si aprì una pagina scritta in
“alienese” con raffigurata la terra ed evidenziati alcuni punti su di essa.
Improvvisamente vidi attraverso quella parete gelatinosa l’alieno che
stava tornando. Dovevo sapere di più allora preso da uno dei miei
soliti e inopportuni raptus afferrai l’i-pad ma uno dei rami si attorcigliò
alla mia mano. Cosa potevo fare?! Ero bloccato e per quanto provassi
a liberarmi non ci riuscivo, anzi, il ramo continuava a stringere sempre
di più. Non mi sentivo più la mano. L’alieno si stava avvicinando
sempre di più, allora nella foga diedi uno strattone e spezzai il ramo.
Uscii dalla navicella e corsi più veloce possibile con l’i-pad sotto
braccio fino ad un enorme masso, mi nascosi lì dietro in preda alla
paura. Sentii un urlo forte e raccapricciante: l’alieno se ne doveva
essere accorto. All’improvviso la foschia si fece sempre più fitta, così
corsi a perdifiato fino ad essere il più lontano possibile. Mi fermai
quando attorno a me non c’era che nebbia e il fiume. Mi resi conto di
una cosa: ero stato via molto a lungo senza dir niente... E i miei
genitori?
Corsi a più non posso verso casa. Una volta arrivato vidi che i miei non
c’erano ed esausto mi andai a chiudere in camera per tenere tutto
segreto. Sprofondato nella mia poltrona preferita, presi l’i-pad e cercai
la possibilità di selezionare una lingua “terrestre” anche se non fu facile
per via della scrittura in “alienese”. Riuscii a leggere i nomi dei punti
evidenziati nella mappa e vidi che erano: San Pietroburgo, Stoccolma,
Los Angeles e BOLOGNA!!! Tutti i nomi avevano una crocetta sopra
tranne Bologna. Avevo ancora il cuore in gola quando sentii il rumore
delle chiavi girare nella serratura, i miei!!! Ero in condizioni indecenti,
completamente sporco di fango allora più veloce della luce schizzai in
bagno. Lavato e con vestiti puliti uscii e andai ad abbracciare i miei,
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con l’aria di chi si è annoiato tutto il tempo… poi andai in camera mia
e stanco, ma davvero molto stanco, mi addormentai di schianto. Il
giorno dopo era domenica. Mia madre mi svegliò per il pranzo e io,
svogliato, mi recai in cucina. La TV era accesa. Mio padre stava
guardando il TG e io non potei fare a meno di sentire che delle enormi
voragini si erano formate a San Pietroburgo, Stoccolma e Los Angeles.
Ma erano proprio le città evidenziate e poi crocettate sulla mappa!
Corsi fuori di casa con la scusa che dovevo vedere un amico e mi
diressi verso il fiume. Troppo tardi. Davanti a me c’era un’enorme
voragine. Mi avvicinai e intravidi una luce all’interno….
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CAP. 5 (di Giovanni Lenzi, Paolo Sabattini e Marco Tugnoli)
Ero molto spaventato ma mi avvicinai lo stesso per capire la
provenienza della luce. La situazione era critica: che fosse una bomba
nucleare?! Forse qualche terribile esperimento su noi umani… o forse
una guerra tra alieni… mi chiesi che fine avesse fatto il primo simpatico
esserino che ci aveva chiesto ospitalità in classe… Ma non c’era da
fidarsi! A cosa poteva servire questo cratere? In quale parte della terra
ne potevano provocare altri?
E se fosse la minaccia di qualcosa di peggiore… se volevano farla
esplodere a breve? Come potevo portare tutti in salvo?
Tornai a casa un po’ frastornato e speranzoso di incontrare qualcuno
che potesse darmi delle risposte, ma nel tragitto vidi in lontananza una
figura molto familiare. Stessi occhi, stessa andatura, stessi capelli. Ci
passai di fianco e ci sfiorammo.
Lui si girò con aria minacciosa ed ecco che capii. Ero io! Mi trovai
all’improvviso di fronte a me stesso! Ad un mio clone! Eppure io non ho
fratelli. Doveva per forza essere un qualcosa di paranormale.
Decisi di fermarlo a tutti i costi e di chiedergli qualcosa… ma proseguii
il cammino.
Tornai a casa stanco per via della lunga camminata, ma una volta
arrivato vidi la mia camera completamente saccheggiata. Mi resi
conto che l’unico autore di questo disastro poteva esser l’alieno.
Cominciai a cercare disperatamente i miei genitori e il mio
preziosissimo I Pad ma nulla da fare! Non si trovavano.
Guardai dietro alla porta e vidi una scritta: incontriamoci al grande
ponte sull’Idice.
Spaventato ed incuriosito mi incamminai immediatamente verso il
luogo dell’incontro.
Arrivato al parcheggio, mi posizionai dietro un albero e mi domandai
perché il clone si trovava nel mio percorso.
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Sarà forse stato lui a distruggere casa mia e portarmi via l’I
Pad?..........................
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CAP. 6 (di Giulia Negroni e Alessia Taglioli)
Appena arrivato al parcheggio vicino al ponte sull’Idice mi ritrovai
circondato da una fittissima foschia: non si vedeva nemmeno lo stadio
a pochi passi. Sentii ancora lo scroscio dell’acqua. Mi voltai e lo vidi.
Era lì. Ero pervaso dall’ansia. Era uguale a me. Come il sosia che
avevo incontrato poco prima. Ma ad un tratto cambiò forma. Caddi
a terra dallo spavento alla vista di quel mutamento di forma. Mi rialzai
di scatto. Corsi dietro il primo nascondiglio che vidi. Un albero. Con lo
scroscio dell’acqua che mi perseguitava come il tempo che passa,
urlai. Ma sentii il nulla. Sembrava che la città fosse deserta, non c’era
una macchina o un qualsiasi altro rumore che tradisse quel silenzio. Mi
voltai lentamente. Dietro di me vidi l’alieno. Era lì che mi guardava. Mi
girai dalla parte opposta cercando una scappatoia, ma mi ritrovai
faccia a faccia con un esserino assomigliante ad un bambino. Mi
toccò la spalla e sorrise. Luce bianca. Mi svegliai nella mia stanza.
Corsi in salotto e vidi i miei genitori addormentati sul divano. La casa
era in ordine. La scritta era sparita. Tornai nella mia stanza. Spalancai
la porta della mia camera e vidi quell’esserino sul mio letto con l’Ipad
in mano. Voleva aiutarmi o voleva essere aiutato???…
![Page 12: strane](https://reader031.vdocuments.pub/reader031/viewer/2022020504/568c4eae1a28ab4916a8dd46/html5/thumbnails/12.jpg)
Cap. 7 (di Leonardo Laghetti, INSERITE ANCHE IL VOSTRO NOME…)
Qui potete modificare o ampliare come volete, MA, dico ma !!!
occorre RICUCIRE tutte le parti e dare un senso a tutti i personaggi,
l’alienino, l’alieno-lucertola, il clone!! Vi ho solo messo qualche
suggerimento, ma potete cambiare come credete
Era sul mio letto, lasciò l’iPad per terra, si alzò e mi guardò con uno
sguardo curioso. Gli chiesi il suo nome, mi rispose: “(dovete indicare un
nome)”.
Rapidissimo ticchettando sulla tastiera dell’iPad mi mostrò l’immagine
dell’alieno mostruoso che avevo catturato. Era il suo nemico, si capiva
dall’espressione con la quale l’esserino lo guardava. Vedendo forse la
mia espressione angustiata volle confortarmi e mi mostrò l’astronave
dalla quale proveniva: era splendida e non aveva affatto l’aspetto di
quella che avevo visto lungo il fiume. Forse i due esseri provenivano da
luoghi diversi… da popoli diversi…?
Ma poi si fece cupo e col ditino sfogliò altre immagini rapidamente
fino a fermarsi su un’orribile foto che ritraeva delle viscide lucertole
accanto a crateri ….
Cloni, cloni di umani, come quello che avevo visto di me stesso, forse
realizzato proprio frugando tra le mie cose, in camera mia…
Un botto sordo ci distolse: vidi sul balcone il viscido alieno che in un
lampo spaccò il vetro, ghermì il piccolino e schizzò fuori.
Non esitai: scattai di corsa alla Bolt saltai giù attraverso la grondaia e
lo inseguii nel parco.
Corsi più forte che potevo. Arrivai nei pressi dell’altalena nel parco del
mio amico Frank, il parco sembrava deserto.
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CAP. 8 (di Sara Dugoni e Noemi Nicchi)
La strada presa dall’alieno la conoscevo bene, via via che correvo mi
accorgevo che mi stava portando nientemeno che… dalla mia
nonna!
Lo vidi. Stava entrando proprio dalla porta del giardino. Conosceva la
casa!Ma io meglio di lui. Utilizzai un passaggio dall’interno del garage
collegato con l’appartamento. Corsi in cucina nella speranza di
chiedere aiuto alla nonna, ma quando ci arrivai la vidi già sdraiata a
terra ricoperta di una sostanza verde. Cominciai a pensare che fosse
stato l'alieno.
Corsi fuori dalla casa della mia nonna e andai in mezzo alla strada per
chiedere aiuto a qualcuno. Ma non c’era nessuno… solo la solita
terribile nebbia.